Italia bella, mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare.
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Italia bella, mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare.
LO SPECCHIO MAGAZINE www.specchiomagazine.it • [email protected] Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità - distribuzione gratuita N. 8 - dicembre 2014 - ANNO III Italia bella, mostrati gentile e i figli tuoi non li abbandonare. La grande fuga degli italiani all’estero PERSONAGGI DITEMELO ADÈ - Lino Palanca 6 LEOPARDI CARROZZE - Giancarlo Liuti 10 STORIE ADRIATICHE IL SOL LEVANTE PELLEGRINO A LORETO - Marco Moroni 13 ARCHITETTURA STORIA DI UNA FAMIGLIA, FORMA DI UNA CITTÀ. - Aurora Foglia 17 TOPONOMASTICA IL NOME DI OSIMO: È POI COSÌ STRANO? - Massimo Morroni 21 LAVORO GLI UOMINI DELLE NAVI - Paolo Gissi 24 MUSICA UN MIRACOLO FATTO IN CASA - Janula Malizia 27 ANTONIO GIANNINI, “PASIONARIO” DELLA MUSICA - Paolo Onofri 30 MEDICINA SENTENZA DELLA STORIA: IL VERO MEDICO È UN DEMOCRATICO - Franco Magnoni 32 LA NOSTRA TERRA LA FIERA DEI RICORDI DELL’AGRICOLTURA E DELL’ARTIGIANATO CERCA CASA - Antonio Bartolo 34 VECCHIE MEMORIE, SUGGESTIONI DEL PASSATO - Grazia Bravetti 36 SOPRAVVIVERE ALLE SFIDE AGGRAPPANDOSI… ALLA TERRA! - Paola Acciarresi 38 ERA IL MAGGIO ODOROSO … - Mario Mancinelli 40 GUERRA CHI PER LA PATRIA MUOR… - Elio Camilletti 42 RECENSIONI LA RIVOLUZIONE DI FABRIANO - Vincenzo Oliveri 44 NON SOLO TEATRO AL MUGELLINI - Eleonora Stortoni 45 ARTE A RECANATI LA CULTURA SI DECLINA AL PLURALE - Eleonora Tiseni 46 NON SONO COME UN VECCHIO SCARPONE - Nikla Cingolani 48 LETTERATURA CON LA MIA PENNA HO CANTATO LA PATRIA … - I Santesi weblog 50 SCIENZA RENDEZ-VOUS TRA LA LUCE E LA BELLEZZA - Massimiliano Gubinelli 52 VINI IL BUON VINO PER UN BUON NATALE - Alfredo Pirchio 53 POESIA «CITTA’ DI PORTO RECANATI» XXIV Edizione 2013 55 SCUOLA IN @RETE UNA RUBRICA MOLTO SPECIALE - Vanni Semplici 58 CONDIVIDERE PRINCIPI E VALORI. E ASCOLTARE. - Redazione Lo Specchio Scuola 59 PROGETTO IN DIFESA DELLA MADRE TERRA - Eleonora Stortoni 60 NO LIBRI NO PARTY 61 ATTIVITA’ LO SPECCHIO SPECCHIO DELLE MIE BRAME - Vanni Semplici 62 Trimestrale di cultura, tempo libero, sport e varia attualità. Proprietà: Associazione Lo Specchio, C.so Matteotti, 34 - 62017- Porto Recanati (MC) Direttore responsabile: Lino Palanca - cell. 347.1931215; e-mail: [email protected] Direttore editoriale: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected] Capi servizio: Giorgio Corvatta - cell. 338.7648664; e-mail: [email protected] Aurora Foglia - e-mail: [email protected] Emilio Pierini - cell. 338.7370016; e-mail: [email protected] In redazione: Cristina Castellani - [email protected] Eleonora Tiseni - [email protected] Pubblicità: Vanni Semplici - cell. 331.5786518; e-mail: [email protected] Distribuzione gratuita Registrazione Tribunale di Macerata Registro 599 del 5 aprile 2011 Hanno collaborato a questo numero: Lino Palanca, Vanni Semplici, Giorgio Corvatta, Giancarlo Liuti, Marco Moroni, Aurora Foglia, Massimo Morroni, Paolo Gissi, Janula Malizia, Paolo Onofri, Franco Magnoni, Annamaria De Siena, Eleonora Stortoni, Paola Acciarresi, Antonio Bartolo, Grazia Bravetti, Fausto Cenci, Mario Mancinelli, Elio Camilletti, Vincenzo Olivieri, Eleonora Tiseni, Nikla Cingolani, I Santesi Weblog, Massimiliano Gubinelli, Alfredo Pirchio. La foto in copertina: archivio ANPI. Vignetta di Giorgio Corvatta. Chiuso in redazione il dicembre 2013 Auguri! OBIETTIVO: FARE LA DIFFERENZA C on questo numero de Lo Specchio Magazine si conclude il percorso editoriale annuale dell’Associazione Lo Specchio. Tirando le somme di un anno di attività, come non ringraziare tutti i collaboratori redazionali e i soci che attivamente e con entusiasmo si sono impegnati nell’arco dell’anno nei numerosi progetti e che, attraverso il loro impegno, hanno offerto ai lettori una visione, spesso anche alternativa, del territorio dando la possibilità ad ognuno di riflettere criticamente sugli eventi quotidiani che interessano i nostri Comuni e l’attuale contesto sociale. L’Associazione Lo Specchio, ormai al suo quinto anno di attività, se pur giovanissima si è dimostrata essere un gruppo coeso ed entusiasta che crede nell’impegno attivo nel territorio di appartenenza e che intende offrire a chi entra in contatto con lei una visione completa e consapevole della società, in ogni sua sfaccettatura.Con la conclusione di questo 2013 un ringraziamento va inoltre agli interlocutori istituzionali, e non, de Lo Specchio che hanno reso possibile la concretizzazione delle idee partorite dall’associazione concretizzate poi attraverso festival, incontri culturali, presentazioni di libri e mostre comunque occasioni di crescita, culturale e umana, che ci ha fatto entrare in contatto oltre che con contesti a volte inaspettati, anche con persone, intellettuali ed artisti, di caratura culturale e umana formidabili. Dal rapporto di collaborazione e confronto che si è creato nel tempo tra l’associazione, i protagonisti degli incontri e il pubblico non poteva non nascere una miscela accattivante, e non scontata, che ha offerto chiavi di lettura originali e alternative della nostra società.Non si può negare la difficoltà, infatti, che nel nostro Paese si sta vivendo a causa di un contesto socio economico non favorevole dove ogni minimo accenno al cambiamento sembra frantumarsi contro un muro, chiamato burocrazia, chiamato tassazione, chiamato evasione fiscale, chiamato assenteismo e individualismo …. Ma nel nostro piccolo, pur accusando i colpi di un’economia “a marcia ridotta” che non permette di investire, tanto meno nella cultura e nel futuro, abbiamo riscontrato in questo 2013, un enorme interesse sia da parte di chi vuole rendersi partecipe impegnandosi attivamente nell’associazione, sia da coloro che entrano in contatto con il nostro team, attraverso Lo Specchio Magazine e attraverso il sito specchiomagazine.it aggiornato da una redazione parallela che nelle prossime settimane offrirà ai lettori ulteriori novità nate dalla collaborazione tra l’Associazione e gli Istituti scolastici della zona. Per rimanere collegati al territorio e comprendere gli eventi che lo animano, il nostro augurio per i lettori de Lo Specchio Magazine e i fruitori de specchiomagazine.it è quello di continuare a leggere l’attualità con criticità, consapevoli che la partecipazione e l’impegno nella società offrono una lettura obiettiva dei fatti e permettono di essere inseriti in meccanismi dai quali spesso ci si crede esclusi, facendo così la differenza. Associazione Lo Specchio Lo Specchio Magazine specchiomagazine.it 5 PERSONAGGI DITEMELO ADÈ di Lino Palanca foto della famiglia Castellani 10 dicembre 1994 - Settimo centenario della Traslazione della Santa Casa L’arcivescovo Pasquale Macchi presenta Augusto Castellani a Giovanni Paolo II La vita e la poesia di Augusto Castellani testimoniano l’autentica “devozione” di un uomo verso la sua città, “amata tantum quantum amabitur nulla”. 6 PERSONAGGI C astellani ha cantato la Loreto che ha vissuto come nessun altro mai. Lo ha fatto sul filo della nostalgia e, a volte, del rimpianto, ma senza sdilinquimenti, francescanerie o dulcitudini varie. Senza schionne, come diciamo qui, bensì con virile accettazione del seguitare del tempo, carico del nostro passato e di quel che ci pare più bello, la nostra gioventù. Il tema del dialetto è affrontato col rigore che impone la delicata complessità della materia. Certo, Augusto ha usato la parlata popolare anche per far divertire, per riandare a scoprire e riproporre, affinché non fosse dimenticato, quanto il tempo e la massificazione scolastico-televisiva stavano seppellendo sotto un mare di trascuratezza ufficiale. Ce ne è voluto perché chi governa in nome del popolo italiano capisse che non si può privarlo, questo popolo, di un patrimonio così ricco di genio, di valori, di storia. Castellani ha svolto con rigore la sua missione, consapevole che il dialetto è una lingua capace non soltanto di esternare il côté giocoso e mordace del popolo, ma pure di manifestare nei ritmi e nella sanguigna pregnanza che gli appartengono, tutto un mondo, tutta una società, con le sue angosce e paure, saggezza e ignoranza, gioia e dolore. Esso è la nostra lingua madre; l’italiano (che Dio e l’Europa ce lo conservino a lungo!), invece, è una lingua che andiamo a scuola ad imparare e che a tanti non è mai entrata per bene nella capa. Trascurare questa madre lingua, com’è successo per tanto tempo, sarebbe un tradimento e una prova di corte vedute intellettuali. La raccolta intitolata Tira el vento, baja i ca’ è uscita nel ’92, per i tipi di Lamberto Anconetani (Loreto) e con i disegni di Angela Volpi. È qui che si può leggere uno straordinario omaggio alla gente di Loreto. Augusto sapeva bene che nessuno è profeta in Patria e chi lo è in vita andrebbe guardato con qualche diffidenza; la storia ci ha appreso che le leggende si smontano quasi tutte dopo che sparisce il protagonista. Tuttavia, resta l’amarezza di vedere la propria opera trattata con superficialità e trascuratezza, da chi amministra, da chi detiene le chiavi delle casseforti, da chi non ne sa valutare l’importanza. Pazienza, si sarà detto Castellani. Chissà, quando non ci sarò più, magari diranno che ho fatto qualche cosa di buono. Così è andata. Nessuno però sarà in grado di togliergli il merito di essere stato il primo a lanciarsi nella battaglia per la salvaguardia del dialetto loretano, primato che nessuno potrà mettere in dubbio. La gente de Loreto La gente de Loreto/ ai giorni d’oggi/ è tutta uguale nun c’è più quello / che se stacca un po’:/ manchene i personaggi. Bazzighi el Pozzo/ giri pe’ la Costa/ Montreale o ntei paraggi/ ndu’ trovi più i Cannó/ i Sumentina Mannaggiavede/ o pure i Paciaccó?/ Nun c’è più Casacchì manca Cia’/ Cimaderapa/ manca Ragnepera quessa era gente / allegra spensierata/ vera che la miseria se la cutulava/ ma cantava. Fadiga tanta pe’ mestieri ‘ncerti/ e po’ pe’ alza’qualche grado de pressió/ ‘na guccetta de vi’ ‘na stornellata/ mezz’a la strada: “Faccete da la finestra/ o ricciulona de ‘ssi capelli tua / ne vo’ ‘na rama” la voce che ricama/ el vi’ che la rischiara le gambe che suregge maldepena/ fa gnignetta a casa pe’ la cena ‘na cenetta/ striminzita ‘na renga e un cuttighi’/ do’ brance de ‘nsalata basta nun manchi el vi’. Oggi ‘ssa gente/ senza ‘na fojetta/ da beve qui e da ribeve là/ ntel solito giretto/ per lora senza più un sciacquetto/ saria vegilia stretta: nun c’è più ‘na gargotta/ pe’ Loreto nun c’è più ‘na cantina/ cu’ la frasca e per pija’ ‘na papera/ cu’ bevi l’acqua fresca ch’è piena de ‘trazzina? S’è proprio livellata/ la gente de Loreto: a personaggi po’/ nun alza un deto 1. Chi si dedica allo studio delle tradizioni popolari del proprio territorio, al suo dialetto e alla sua storia, non può che provare soddisfazione se gli capitasse quel che Augusto ci racconta qui di seguito. Tuttavia, non manca la delusione per il comportamento agnostico dei grandi, dei benaltristi che hanno sempre qualche cosa di più importante da fare e non sanno di essere destinati a diventare, così, sempre più marziani e sempre meno loretani. Un cert’effetto M’ha fatto un cert’effetto/ sape’ che un ragazzetto/ de Loreto ha scelto per l’esame/ de quinta elementare/ ‘na poesia mia in dialetto. Fra Carducci Ungaretti/ e gio’ de lì/ ci ha nmeso pure a me Gustì e m’ha voluto nutizzie su la vita:/ ‘na vita de ‘mpiegato/ dozzinale guasi da scritturale/ semplice ignota/ nun certo da poeta. Quanto la scola urmai/ s’è fatta provinciale/ de periferia cume s’è mal cunciata la poesia/ che brutta piega ha preso/ se sceje quelle mia! O so’ un genio ‘ncompreso/ o pure è stato un caso/ che ‘ssu monello forse un po’ scarzetto in italiano/ ha preferito 7 PERSONAGGI ‘mbruja’ la cummissio’ cul dialetto loretano. Questa però davero/ nun me la ‘spettavo e m’ha datto emuzzio’/ miga lo nego. Ade’ dopo ‘ssu fatto/ nun digo che me dago/ un sacco d’arie e che me gonfio el petto/ me fa solo piacere che l’aprezzamento se dai “granni” me vie’ cul contagocce/ me riva ‘nvece pieno da un bardascio magara mischiato a parolacce/ pe’ le dificultà/ che ‘ncontra a studia’ ‘ssa poesia mia: d’un poeta de gnente/ usa e butta via 2. L’addio alle armi arriva con Brodo e acini, tozzi e bucco’, che è del 2001, quattro anni prima della morte. Luogo di edizione, sempre Loreto; editore, di nuovo il loretano Lamberto Anconetani. Ultimo segno di fedeltà, estrema testimonianza di appartenenza appassionata e inesaurita alla terra madre. Nella poesia scelta per siglare questo omaggio a Castellani, assai lontano dal restituire tutto lo spessore umano e culturale del personaggio (ma speriamo che qualcuno, a Loreto, se ne occupi in futuro), non si tratta di dialetto. L’ho voluta qui perché ci si ricordi del poco che Castellani chiedeva ai suoi concittadini a fronte del molto, molto, che avevano ricevuto da lui. Ditemelo adè Nun spettate che parto/ (… vago in trasferta)/ pe’ vulemme be’ se fusse/ che me ne vulete/ (un tantinello/ un sacco ‘na sporta) ditemelo ade’/ (sarìa più bello) già che ce so’/ lo preferiscio: dopo chi sa/ se lo capiscio/ dipenne ndu’ me trovo/ e cusa fago … ma su ve prego/ fateve coraggio/ fate nu sforzo dite ‘ssu messaggio/ ditemelo ade’/ che me vulete be’ ade’ che ‘ncora sento/ dopo … chi me lo porta el vento? Dopo/ per vo’ sarò solo un ricordo e io chi sa/ pudrìa nun sentillo perché troppo da longo/o pure un po’ più sordo. Su bravi, allora,/ date retta a me: che me vulete be’/ ditemelo ade’. 1977, il sindaco Castellani riceve delle autorità polacche. Accanto a lui la moglie Fedora e il segretario comunale Di Nicola. 8 1 Augusto Castellani - Tira el vento, baja i ca’, Loreto, Anconetani, 1992 pp. 66-67. Il lungo elenco di spiriti folletti che aleggiano su Loreto e hanno lasciato un vuoto incolmato, lì per lì ricrea un’atmosfera da ubi sunt medievale, destinata a ricordare all’uomo che egli è polvere e tale ritornerà: dove sono, adesso, i re, i cavalieri, i potenti della terra? E le belle dame del tempo che fu? Ossa, cenere. Per fortuna, Castellani non la prende così per più di tanto. Il suo lamento non è una predica da tregenda, alla Savonarola, ma è un canto di nostalgia, quasi sussurrato, sommesso, proposto sottovoce. Anche di rimpianto, certo; ché oggi viviamo tutti meglio, ma appiattiti su comportamenti massificati dettati da imbonitori televisivi o della carta stampata, senza che ci sia lasciato qualche cosa da spartire con l’originalità, l’impronta genuina di personalità libere da clichés e forzato bon ton come quelle del tempo perduto. Che cosa non avrebbe dato, Gustì, pur di incontrare di nuovo, invece che qualche ministro o capo di stato, Mannaggiavede o Cimaderapa. Questi sì che sono titoli! 2 Tira el vento, baja i ca’, cit., p. 88. PERSONAGGI CENNI BIOGRAFICI DI AUGUSTO CASTELLANI Parlare di Augusto Castellani a Loreto, come parlare di uno di casa, di cui si conosce quasi tutto: dei due figli Antonio e Cristina, che la moglie Fedora, scomparsa di recente, era originaria di Imola, che cosa fatto, che carattere ha espresso, come la pensava. Ma per i più giovani o per chi risiede da poco a Loreto o … di fuori, utile ripercorrere i fatti più salienti della sua vita. Nasce a Loreto l’11 marzo 1920, da mamma coronara e babbo capomastro muratore di cui rimane a soli sette anni orfano. S’ingegna a fare il chierichetto, come usava a quei tempi e poi con passione e impegno negli studi consegue la Maturità Classica al Liceo G.Leopardi di Recanati. Studente universitario di Giurisprudenza, viene chiamato alle armi dal 1941 al 43, ma non completerà i pochi esami rimasti (non troverà più “tempo” per dare esami) non approfittando dei benefici che potevano avere gli studenti in tempo di guerra. Al rientro dal militare l’assunzione all’Ente Opere Laiche Lauretane /Ospedale Santa Casa presso cui giungerà negli anni alla responsabilità di Direttore Amm.vo – Coordinatore della USL n.14 Recanati – Loreto e dopo ben 43 anni di servizio, nel luglio 1983, collocato in quiescenza. Ma Augusto Castellani non si può misurare con il metro delle date o delle cifre o degli incarichi. In ogni manifestazione o iniziativa per il buon nome di Loreto lui è sempre stato in prima fila, non per ambizione o invadenza, ma per il suo innato senso del lavoro e per l’amore sconfinato per la sua città anche a costo di sacrificare la sua dimensione familiare. Come Presidente dell’Azienda Soggiorno e Turismo di Loreto da 1954 al 1967, diede un impulso nuovo alla stessa procurandole una sede decorosa e prendendo iniziative che la faranno una delle più attive della Regione: la Tappa del Giro ciclistico d’Italia per la prima volta a Loreto nel 1957, il Carnevale dei Bambini, i Festeggiamenti del Settembre Lauretano, le Manifestazioni Aeree, ma soprattutto l’ideazione e l’organizzazione per ben 40 anni dal 1961 al 2000 della Rassegna Internazionale di Cappelle Musicali che ha portato attraverso la musica sacra il nome di Loreto nel mondo. Tutte iniziative intonate con il carattere della città, sede del più insigne Santuario Mariano della cristianità, che portano la sua firma o la sua preziosa collaborazione e che onorano Loreto. E’ stato Consigliere Provinciale eletto nel partito della Democrazia Cristiana dal 1965 al 1970 ed ha servito la città quale Sindaco di Loreto dal 1975 al 1979. Per il suo impegno civile il Presidente Gronchi lo nominò nel 1960 Cavaliere della Repubblica italiana e nell’ottobre 1962 Papa Giovanni XXIII lo rese Commendatore dell’ordine di S. Silvestro Papa. La Francia lo insignì nel 1975 della prestigiosa Commenda dell’Ordine delle Arti e delle Scienze (le Palme Accademiche) per aver favorito con la Rassegna i rapporti culturali tra Francia ed Italia. Poche ore prima della sua scomparsa avvenuta il 1° ottobre 2005, S.E. l’Arcivescovo Mons. Gianni Danzi gli notificò la nomina a Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno a lui concessa da Papa Benedetto XVI, segno di estrema gratitudine. Se non fosse sempre stato impegnato in incarichi pubblici, civici ed onorifici, forse avrebbe avuto più tempo per occuparsi dei suoi interessi come la composizione dei testi delle canzoni dei bambini (negli anni 1962-63 fu finalista allo “Zecchino d’oro” dell’Antoniano di Bologna), di testi teatrali comici ancora oggi rappresentati da compagnie amatoriali locali, di libri in dialetto loretano soprattutto poesie che pure ha prodotto in grande numero. 9 LEOPARDI CARROZZE di Giancarlo Liuti L’attore Elio Germano, il Leopardi cinematografico - foto Cinemomento Le ambasce di Monaldo e Adelaide per un figlio che continua a turbare i loro giorni, eterni, di fantasmi per bene. L’invasione delle vie dorate e gli orti, strani macchinari che spuntano dai vicoli, un regista progressista (Gesu!), Giacomo con la faccia di uno immortalato in un nudo integrale. Ecco dove conduce l’aborrita democrazia. 10 LEOPARDI L ’altra notte, dopo una festa tra amici dalle parti del duomo di Macerata, mi accingevo a riprendere l’auto alla volta di Porto Recanati quando ho notato un antico landò a quattro ruote parcheggiato in via Armaroli e immaginando che provenisse dal Museo delle Carrozze di Palazzo Buonaccorsi mi sono chiesto perché mai stesse lì. Un furto? Uno scherzo? Qualcosa di rifatto per le riprese del film di Mario Martone su Giacomo Leopardi? Avvicinatomi, ho poi avuto la sorpresa di vedere che in quel landò c’erano due persone, un uomo e una donna, vestite alla moda dell’inizio dell’Ottocento, lui tutto di nero, lei di un’eleganza appena più colorata. “Comparse del film”, ho pensato, “strana cosa, a quest’ora”. Dopodiché, scesi a terra, loro mi si sono presentati con un inchino cortese ma distaccato. “Io sono il conte Monaldo Leopardi e la signora che mi accompagna è la mia consorte, la marchesa Adelaide Antici. Mi sa dire se questo di fronte a noi è il palazzo dove si sta facendo del cinema su nostro figlio?” “Sì, è questo. Ma l’ingresso sta sull’altro lato, in via Don Minzoni”. “Vedi, Adelaide, che non ci siamo sbagliati? Quello è l’ingresso e lì siamo andati, ma il portone è chiuso”. “Beh, essendo un museo ci mancherebbe che fosse lasciato aperto pure di notte”. “Ma questo non sarebbe un problema, signore, perché noi siamo fantasmi e possiamo tranquillamente passare attraverso i muri”. Si capirà il mio sbalordimento. “Fantasmi? Ed io che vi credevo comparse del film! Dunque siete proprio i genitori di Giacomo?” “Per servirla”. “Ma allora perché non entrate?” “Se il portone è chiuso significa che lì non c’è nessuno e noi vogliamo parlare col regista”. “Ma le parti di lei, conte Monaldo, e della marchesa Adelaide sono già state assegnate a due noti attori, la prima a Massimo Popolizio e la seconda a Raffaella Giordano”. La marchesa ha fatto una smorfia: “Raffaella Giordano la danzatrice? Mah, a me il ballo non è mai piaciuto. Troppe occhiatine galeotte, troppi strofinamenti”. “Le parti non c’interessano”, ha detto il conte, “noi non interpretiamo, noi siamo”. “E da dove venite?” “Dal 1840 di Recanati”. “Qui siamo nel 2013 di Macerata. Un bel salto, quasi due secoli!” “Per i fantasmi le date non contano”. “E cosa volete da Martone?” “Ci siamo informati su di lui, lo inseguiremo dappertutto, a Recanati, a Loreto, a Osimo, a Napoli, dovunque gira queste sue scene. Vogliamo capire cos’ha in testa . Si renda conto, signore, qui è in gioco il decoro di un figlio”. “Non sarà che il cinema non vi entusiasma?” “Preferiamo il teatro. In casa, a Recanati, avevamo un piccolo palcoscenico e da ragazzino ci si diverti- va pure Giacomo, scriveva i testi, li recitava coi fratelli Carlo e Paolina”. “Dunque Martone. Che domande intendete fargli?” “Un’infinità. Mia moglie, ad esempio, va sul pratico e vorrebbe chiedergli una compartecipazione ai diritti d’autore. Sa, trovandomi io fuori equilibrio per i debiti ed essendo caduto sotto le mani spietate degli usurai, la nostra famiglia non attraversa un periodo di buona finanza”. “Non ne parliamo”, ha detto la marchesa, “l’amministrazione della famiglia pesa tutta su di me, vitto, vestiti, servitù. Sapesse quanto ci costa la manìa di mio marito per i libri! Montagne di libri, e il povero Giacomo costretto per anni a uno studio matto e disperatissimo che ha finito per rovinargli la salute”. “Ma che dici? Io ero premuroso con lui, con Carlo e con Paolina, li aiutavo a farsi una vera cultura. E i risultati, specie per Giacomo, sono sotto gli occhi di tutti”. “Sì, la cultura degli spendaccioni come te. E le feste, e tutti i giorni il circolo dei nobili con la cioccolata calda, ed io che andavo a pagare il conto alla fine dell’anno, e per risparmiare giravo per casa con una vecchia zimarra sfilacciata, e quando i contadini ci portavano le uova le misuravo con un cerchietto di legno per assicurarmi che fossero abbastanza grandi”. “Tu hai sempre contestato il mio ruolo di marito e di padre, te le ho date tutte vinte per quieto vivere, ma sappi, cara Adelaide arciparsimoniosa e arciforastica, che la gloria di Giacomo è solo merito mio”. “Ogni volta ti sei lasciato prendere dalla voglia del troppo. Hai addirittura fatto battezzare Giacomo con altri quattro orribili nomi , Taldegardo, Francesco Salesio, Saverio e Pietro”. “Fra me e te non ci sono confronti. Io sono uno studioso, un erudito, ho scritto trattati di scienza, tragedie, commedie, ho avuto cariche pubbliche. Ecco la grande ricchezza immateriale che ho trasmesso ai nostri figli. Spendaccioni? Ma fammi il piacere!” Allora mi sono intromesso io. “A proposito dei diritti d’autore, marchesa, lei non dovrebbe rivolgersi al regista ma al produttore, quello che sborsa i quattrini”. Il conte Monaldo s’è rabbuiato. “Quattrini? No, signore, non ci penso neanche. Io sono un idealista, un puro di spirito, l’ultimo spadifero d’Italia, un assertore degli austeri costumi del cosiddetto ‘Ancien Régime’, quello santamente e rettamente governato dal Papa. Lei saprà che nel 1796, quando il bieco rivoluzionario Napoleone Bonaparte passò per Recanati e tutta la città andò a rendergli omaggio, io rimasi chiuso in casa e nemmeno mi affacciai alla finestra, giudicando non doversi a quel tristo l’onore che un galantuomo si alzasse per vederlo”. “Giacomo, però, era di tutt’altra pasta. Non mi dica che andavate d’accordo”. “Guastato, purtroppo, da cattivi maestri. Basti pensare alle ideacce di Pietro Giordani, uno che stravedeva per Cesare Beccaria, il contestatore, figuriamoci, della pena di morte”. 11 LEOPARDI “Perdonatemi”, ho detto, “ma pur essendo fantasmi state litigando come due coniugi in carne e ossa”. Il conte ha sorriso: “Litigare? Ma no, ci vogliamo bene. Si figuri che innamorati com’eravamo il nostro fidanzamento durò soltanto sei giorni”. E la marchesa, pure lei accennando un sorriso: “Ringrazia il cielo che hai trovato me. Se non ti avessi amato così tanto saresti andato in rovina”. “ Torniamo al film”, ho insistito. “Anzitutto contesto il titolo”, ha detto il conte. “Il Giovane Favoloso?” “Troppo da fiction televisiva, il peggio del peggio. E sempre con questa stucchevole storiella della fiducia nei giovani di oggi, che però passano le notti in discoteca e si fanno le canne. Giacomo era giovane, sì, ma pensava ,ragionava e si comportava con la maturità dei vecchi”. “La trovo informata, conte, sui tempi moderni. Ma forse ignora che Mario Martone non è affatto entusiasta dell’Italia contemporanea. Al contrario, nella figura di Giacomo lui vede la volontà di fuga dall’Italietta di allora ma anche un profetico rifiuto di quella attuale”. “Tuttavia è uno strenuo fautore di quel mito falso e nefasto che si chiama democrazia. Se il popolo è quello che comanda, a chi tocca ubbidire? Se tutti hanno da comandare e tutti hanno da ubbidire, a che cosa servirà comandare? Guardi come mi vesto, con abiti di panno nero che hanno sempre formato il mio guardaroba e sempre hanno riscosso il rispetto del volgo, perché il volgo rispetta quelli dei quali si ritiene giustamente inferiore”. “Quant’acqua è passata, conte, pure nell’abbigliamento …” “Non me lo dica. Anche nell’epoca mia venne la moda di espellere le spade, i galloni e i broccati, e di sostituirli con gli abitucci 12 da due baiocchi, e siccome tutti hanno due baiocchi tutto il mondo è uguale, non più distinzioni, non più ranghi, non più ordini di società, ma uguaglianza di tutti in tutto, e promiscuità di ceto, di educazione, di matrimoni. Viva la democrazia? No, abbasso! Anche per questo mi opposi alle prime fantasie balzane che covavano nel Risorgimento”. “Risorgimento? E che c’entra Martone?” “Non c’entra? Ha girato ‘Noi credevamo’, un film proprio sul Risorgimento”. “Ma deluso, critico, la storia di tre giovani patrioti meridionali che infine assistono al fallimento dei loro ideali”. “Rimane un film troppo democratico. Ed io temo che adesso si faccia fare a Giacomo la figura dello sciocco sognatore e a me quella del bieco reazionario”. “Mica vero. Martone, in un’intervista, ha parlato bene di lei, l’ha definita uomo colto e generoso”. “Lo so, ma non mi fido. E questo è un punto che va chiarito”. “Altri punti da chiarire?” “Insomma, questo Martone non mi convince. Prendiamo i titoli di altri suoi film, per esempio ‘Una disperata vitalità’ e ‘L’amore molesto’. Vitalità di Giacomo? Via, povero figlio mio, così gracile fin dalla nascita. E l’amore? Lasciamo perdere. S’innamorava, sì, ma nessuna s’innamorava di lui, che era, diciamolo, piuttosto bruttino”. “Bruttino sarai tu”, è saltata su la marchesa Adelaide. “Ero sano senza essere robusto, né alto né basso, non bello ma senza alcuna bruttezza rimarcata. E sempre disprezzai i requisiti del corpo e di quanto non dipendeva dallo spirito”. Ed io: “Mi permetta, conte, ma la prodigiosa vitalità di Giacomo fu culturale, morale, proiettata nel futuro, immortale. Lo ‘Zibaldone’ è stato tradotto in inglese e negli Stati Uniti ne stanno facendo un monumento filosofico”. “Sarà. Ma la cosa su cui Martone deve darmi spiegazioni è soprattutto un’altra”. “Quale?” “La scelta di Elio Germano a protagonista del film”. “Ottima, secondo il mio parere. Germano ha l’età giusta, trentatré anni, è uno dei migliori attori italiani, è stato premiato al Festival di Cannes, ha ottenuto il David di Donatello, al suo attivo vanta una trentina di film più undici telefilm”. “Ha fatto di tutto, lo so. Anche il delinquente spione in ‘Romanzo criminale’, addirittura l’esibizionista in uno scandaloso nudo integrale in ‘Nessuna qualità agli eroi’ e il numero uno in ‘Mio fratello è figlio unico’, un titolo che allude alla confusione della famiglie di oggi, dove non si sa bene chi siano i padri e di chi siano i figli. E costui pretende di trasformarsi in Giacomo? Malfattore, col sesso di fuori e bastardo? Su, non scherziamo. E’ un affronto e da Martone mi aspetto almeno delle scuse”. “Ma ha visto i provini di Germano truccato da Giacomo? L’intensità dello sguardo, l’autenticità della partecipazione emotiva, la toccante immediatezza della trasfigurazione?” “Finzioni, finzioni. Io voglio la verità”. “Via, conte, Giacomo è morto da 176 anni …” “Ebbene? Martone poteva evocarne il fantasma, che certo non si sarebbe rifiutato di interpretare se stesso”. “Un fantasma come voi?” “Certo. Non stiamo forse parlando, noi e lei, come se fossimo in un film?” “Andiamo via, Monaldo”, ha tagliato corto Adelaide. “Capirsi, con la gente di oggi, è impossibile”. E sono spariti di colpo, il conte, la marchesa, il landò. STORIE ADRIATICHE IL SOL LEVANTE PELLEGRINO A LORETO di Marco Moroni Crocifissione in oriente di tre gesuiti, anonimo, Chiesa di San VIto, Recanati Il Giappone feudale viene a gettare uno sguardo dalle colline adriatiche di Loreto e Recanati sul nostro mare. Prima parte di un sogno di evangelizzazione infranto da paure politiche e ragion di stato. 13 STORIE ADRIATICHE N el 1585, accolti con grandi onori, giungono in visita a Recanati e a Loreto quattro giovani nobili giapponesi. La vicenda ha un grande risalto a livello locale, così come era avvenuto in tutte le città europee da essi visitate. Erano anni di grande curiosità per i popoli lontani. L’interesse per il meraviglioso e per l’esotico era esploso con la scoperta delle Americhe, ma ben presto la curiosità si era allargata anche alle Indie orientali, soprattutto dopo che erano incominciate a giungere in Europa, da Goa e da Macao, le notizie sulle prime missioni dei gesuiti e in particolare sull’attività di Francesco Saverio, giunto in India nel 1542 e sbarcato in Giappone nel 1549 con il samurai Anjiro, neoconvertito al cristianesimo, e con due confratelli. Anche dopo la morte di Francesco Saverio, nel 1552, i gesuiti avevano contribuito a tenere desta l’attenzione per le loro attività missionarie pubblicando testi che avevano un indubbio valore propagandistico: innumerevoli opuscoli e libri contenenti resoconti di viaggio, descrizioni e lettere spedite dai missionari della Compagnia ormai sparsi in varie regioni dell’estremo Oriente. Il viaggio in Europa dei quattro giovani nobili giapponesi era stato fortemente voluto dal gesuita Alessandro Valignano (il maestro di Matteo Ricci) che, nominato visitatore generale delle Indie orientali e approdato a Goa nel 1575, aveva iniziato la sua missione in Giappone nel 1579 ed era rimasto a operare tra India e Giappone per oltre trent’anni, fino alla sua morte. Il viaggio aveva una duplice finalità: non solo mostrare al papa (e al re di Spagna Filippo II) i successi missionari dei gesuiti, ma anche convincere i giapponesi della potenza della civiltà europea. Da una parte, quindi, si trattava di ottenere dal papa la conferma del monopolio dei gesuiti in quell’area, insidiato da francescani e domenicani, nonché i finanziamenti 14 necessari a sostenere economicamente il grande sforzo missionario della Compagnia; dall’altra i giovani, tornati in Giappone, avrebbero dovuto raccontare ai loro compatrioti la magnificenza delle città europee. Ecco quanto scrive Valignano nelle sue Istruzioni ai padri gesuiti che aveva incaricato di accompagnare i quattro giovani: “bisogna far comprendere ai giapponesi la gloria e la grandezza della religione cristiana, e la maestà dei principi e dei signori che hanno abbracciato questa religione. Così questi ragazzi giapponesi in quanto testimoni oculari e persone di alto rango, al loro ritorno in Giappone, potranno raccontare ciò che hanno visto e far valere anche in Giappone il credito e l’autorità che convengono alla nostra religione. Dato che i giapponesi non hanno mai visto tali ricchezze, non possono crederci, e così riusciranno a capire lo scopo per cui i Padri Gesuiti vogliono venire in Giappone, fatto che sinora molti di essi non hanno ancora capito in quanto credono che noi, nei nostri Paesi, siamo gente povera e di misera condizione e che, per questa ragione, veniamo a cercare fortuna in Giappone con il pretesto di predicare le cose del Cielo”. La visita fu organizzata da Valignano anche nei dettagli. Quattro giovani, dei quali si conosce i nomi, seppure latinizzati (Mancio Ito, Michele Chijiwa, Martino Hara e Giuliano Nakaura), furono incaricati di portare a papa Gregorio XIII le lettere di omaggio di tre signori feudali dell’isola di Kiushu che, da tempo in contatto con i mercanti portoghesi, si erano convertiti al cristianesimo; questi i loro nomi latinizzati: Francesco di Bungo, Protasio di Arima e Bartolomeo di Hizen. La spedizione partì da Nagasaki su una nave portoghese nel febbraio 1582, facendo sosta a Macao e poi a Goa. La circumnavigazione dell’Africa si rivelò lunga e difficile, tanto che la nave poté giun- gere a Lisbona soltanto nell’agosto 1584. Nel loro viaggio attraverso il Portogallo e la Spagna i quattro giovani furono ricevuti dappertutto con manifestazioni spettacolari; fra i fatti più significativi, vi furono sicuramente i grandi onori loro riservati dal re di Spagna Filippo II. Sbarcati a Livorno il primo marzo 1585, visitarono Pisa, Firenze e Siena; passati poi per Viterbo e Caprarola, il 22 marzo entrarono a Roma. Qui, dopo essere stati ricevuti da papa Gregorio XIII con gli onori riservati agli ambasciatori a ccreditati, furono organizzate numerose iniziative per conoscerli e festeggiarli: colpivano i loro abiti coloratissimi e l’abitudine a bere non vino ma “acqua calda” (evidentemente il tè era ancora sconosciuto ai cronisti). L’ambasceria fu costretta a trattenersi a Roma fino al 3 giugno, perché essendo morto il 10 aprile Gregorio XIII, si dovette attendere l’elezione del suo successore. L’attesa risulterà proficua per i gesuiti, perché il nuovo pontefice, il marchigiano Sisto V, oltre a offrire ai giovani nuovi doni, accoglierà una delle principali richieste di Valignano: la concessione di una assegnazione perpetua per i seminari del Giappone. Partiti da Roma, i quattro giovani attraversarono l’Umbria, visitando Spoleto, Assisi e Perugia; poi puntarono su Loreto. Entrati nelle Marche, fecero sosta a Tolentino, Macerata e Recanati. Secondo quanto risulta dalle riformanze comunali del 1585 il loro passaggio a Recanati suscitò grande interesse in città; avvertito dell’arrivo dell’ambasceria dal governatore della Marca, il consiglio della Comunità deliberò che “venissero eletti due deputati i quali, a spese pubbliche, curassero in modo onorevolissimo il ricevimento dei nipoti dei nobili giapponesi”; l’11 giugno, fecero il loro ingresso in città “con la più grande solennità”: li attendevano i priori, innumerevoli autorità religiose e una folla incuriosita e festante. A Recanati l’interesse per la vicenda si man- STORIE ADRIATICHE tenne a lungo; alla visita accenna il vescovo di Recanati e Loreto, monsignor Rutilio Benzoni, nella sua opera sul giubileo, stampata a Venezia nel 1599; ne parla anche Monaldo Leopardi nei suoi Annali recanatesi redatti nei primi anni Quaranta dell’Ottocento. Ancora più significativa l’accoglienza riservata ai giovani giapponesi a Loreto. Nella città mariana, accolti al suono di trombe e tamburi da 200 archibugieri e dall’intera popolazione, furono ricevuti dai notabili del luogo, da tutti i canonici e dal governatore, il bolognese monsignor Vitale Leonori; dopo aver pregato “con singolare devozione” nella santa cappella, furono ospitati nel Palazzo apostolico. All’indomani, secondo quanto risulta dalla relazione pubblicata da Guido Gualtieri nel 1586, dopo una messa solenne, fu loro offerto un pranzo “con grande splendore”; quindi gli ospiti “si soffermarono ad ammirare l’argenteria e i drappi della sagrestia”. Il giorno seguente, infine, ricevuta la comunione in Santa Casa, “ripieni tutti di consolazione per la vista di un sì sacro e santo luogo, si partirono per Ancona”. Dopo aver toccato Ancona e Pesaro, visitarono Bologna, Ferrara, Chioggia e infine Venezia, dove in loro onore la processione di San Marco fu spostata al 29 giugno. Quel giorno, secondo alcuni resoconti, per vedere “li quattro signori giaponesi” si accalcarono in piazza San Marco circa ottantamila persone. Lasciata Venezia, l’ambasceria si mosse in direzione di Padova; poi i giovani visitarono Vicenza, Verona, Mantova, Milano e infine Genova, da dove si imbarcarono per Barcellona il 9 agosto 1585. Attraversata la Spagna, giunsero infine a Lisbona; dal Portogallo salparono nell’aprile 1586. Il viaggio di ritorno fu faticosissimo e oltremodo lungo, a causa dei venti contrari e di altri contrattempi, tanto che i quattro giovani riuscirono a sbarcare a Nagasaki soltanto nel luglio 1590. A Recanati nella chiesa di San Vito si conserva un dipinto di grande effetto; rappresenta una crocifissione ma i personaggi raffigurati nella tela non sono Cristo e i due “ladroni”, bensì tre gesuiti giapponesi. Tornati in Giappone, infatti, su consiglio (e con il costante aiuto) di Valignano i quattro giovani scrissero una accurata relazione della loro visita in Italia; il gesuita Duarte de Sande tradusse il testo in latino, dandogli la forma letteraria del dialogo filosoficoscientifico. La relazione fu pubblicata nel 1590 a Macao, presso la stamperia dei gesuiti, con il titolo De missione Legatorum Iaponensium ad Romanam Curiam. Non fu possibile, invece, realizzare la traduzione dal latino al giapponese, prevista da Valignano in modo che la relazione potesse essere letta da un pubblico più vasto. Proprio in quegli anni, infatti la situazione politica del Giappone cambiò radicalmente. Come ha chiarito Ronnie Po-chia Hsia, docente di Storia nella New York University, nell’anno della partenza dei quattro giovani ambasciatori era stato assassinato lo shogun Oda Nobunaga, un “signore della guerra” che aveva protetto i cristiani allo scopo di conoscere le tecniche militari portoghesi. Il suo successore, Toyotomi Hideyoshi, continuò a proteggere i missionari europei fino a che non venne nominato provinciale il gesuita Gaspar Coelho. L’atteggiamento bellicoso del nuovo provinciale e il timore di un intervento militare degli spagnoli portarono nel 1587 a un primo editto che limitava la libertà di culto per i cristiani. Tornato temporaneamente in Giappone per accompagnare i quattro giovani rientrati dall’Europa, Valignano ottenne il ritiro del decreto, ma la tregua durò pochi anni. L’esplodere dei contrasti fra i gesuiti, sostenuti dai portoghesi, e i francescani spagnoli provenienti sempre più numerosi da Manila fece crescere nello shogun il timore che le potenze europee stessero per attaccare il Giappone. Nel 1597 Hideyoshi ordinò di giustiziare un gruppo di missionari, fra i quali sei francescani europei, dieci laici francescani di origine giapponese, sette laici giapponesi e tre gesuiti; questi ultimi sono i tre gesuiti raffigurati nel dipinto della chiesa di San Vito a Recanati. Dopo la morte di Hideyoshi si ebbe un quindicennio di tregua; poi, nel 1614, probabilmente influenzato da olandesi e inglesi, rivali commerciali dei portoghesi, il nuovo shogun Ieyasu Tokugawa emanò un decreto di espulsione dei missionari stranieri. Era il rifiuto dell’occidentalizzazione imposta da portoghesi e spagnoli che - questa almeno era la convinzione degli shogun Tokugawa - “cominciavano mandando avanti i loro frati, per poi riversarsi in armi al loro seguito”; era insomma la chiusura all’occidente e alla sua cultura. Da quel momento ebbe inizio uno stillicidio di processi, condanne ed esecuzioni che, con il successore di Ieyasu, Hidetada, esplose in una massiccia persecuzione. L’ultimo sanguinoso episodio si consumò nel 1638 a Shima Bara, vicino a Nagasaki: oltre trentamila contadini cristiani che si erano ribellati al regime dei Tokugawa, furono massacrati. Gli ultimi resistenti, guidati da un giovane samurai, Amakusa Shiro, si erano rifugiati in un vecchio fortilizio affacciato sull’oceano: vi trovarono la morte il 12 aprile 1638. Si consumò così l’espulsione del cristianesimo dal Giappone, dove della visita in Europa dei quattro giovani nobili non resterà neppure il ricordo. La loro relazione di viaggio era stata stampata nella tipografia allestita da Valignano a Macao con i torchi portati al ritorno dall’Europa dagli stessi giovani giapponesi. Oggi ne restano appena quattro esemplari originali, uno dei quali è conservato presso l’Archivio generale dei Gesuiti a Roma. 15 FARMACIA Cruciani omeopatia dermocosmesi laboratorio galenico alimenti senza glutine Corso Matteotti, 107 - Porto Recanati, MC, 62017 Tel. 0719799146 PORTO RECANATI 62017 PORTO RECANATI (MC) - Via 29 Marzo 1935 Telefono: 071 7590716 - Fax: 071 7598007 email: [email protected] STORIA/ARCHITETTURA STORIA DI UNA FAMIGLIA, FORMA DI UNA CITTÀ. di Aurora Foglia - foto dell’autrice I luoghi dell’opera Pia Ceci di Camerano a cento anni dalla fondazione dell’istituzione. Lapide all’esterno del mausoleo di Luigi Ceci, Camerano S ituata sulla strada che dal monte Conero conduce ad Ancona, Camerano è una cittadina nota per il nettare rosso rubino che produce da secoli, e per le meravigliose grotte che si sviluppano in dedali sotterranei*. Passeggiando per le sue strette vie, quando l’occhio non è rapito dall’azzurro dell’Adriatico che fa capolino, è impossibile non notare la commistione di edilizia storicizzata, ma dalla relativa valenza storica, e di edifici pregevoli, tutti realizzati all’inizio del Novecento, secondo il gusto del periodo, caratterizzato da accentuato linearismo ed eleganza decorativa. Quei manufatti non condividono solo epoca e stile, ma sono legati da qualcosa di più profondo, da una volontà generatrice forse poco nota oltre i confini comunali, ma che resta un esempio mirabile di generosità e senso civico. Sul finire dell’Ottocento, Camerano presenta uno scenario non dissimile da quello di altri paesi delle fasce costiera e di media collina marchigiane1. Prima dell’avvento dell’attività manifatturiera, che detterà un brusco cambio di passo nella cittadina, il contesto socio economico è fatto di piccole attività commerciali, primarie e secondarie, quasi tutte connesse all’agricoltura, 17 STORIA/ARCHITETTURA principale fonte di sostentamento per la gran parte della popolazione, che spesso non riesce a ricavarvi nulla che vada al di là del proprio sostentamento. Un contesto del genere non può non riflettersi sia sulle condizioni assistenziali dei meno abbienti, affidate a confraternite e a monti frumentari2 sia sulle forme e sulle funzioni del patrimonio edilizio. Scarsità di mezzi, dunque, tradotta in essenzialità dei servizi e forzata sobrietà di espressione. All’inizio del Novecento, i fratelli Genziano, Aristide, Alfredo, Socrate e Parisina Ceci, manifestano la volontà di donare al loro paese d’origine un’opera di beneficenza3, a memoria dei genitori Luigi e Annunziata. I Ceci, emigrati verso la lontana Argentina, dove si affermano come costruttori, non dimenticano Camerano, dalla quale sono partiti verso un futuro solo potenzialmente migliore. L’Opera Pia è istituita, come poi indicato nello Statuto approvato con RD. n. 1699/32, allo scopo di dare ricovero agli anziani soli e malati, riunendo in un unico, moderno e funzionale edificio, le Opere Pasquali-Marinelli e Jacomini già esistenti, votate anch’esse all’assistenza dei malati, ma ormai inadeguate al sostegno della popolazione. Il nuovo ospizio e ospedale viene ultimato nel giugno del 1913 e inaugurato nell’agosto dell’anno successivo, con una solenne e festosa cerimonia alla presenza delle autorità. Due sale portano il nome del letterato Giuseppe PasqualiMarinelli e del filantropo Enrico Jacomini, a memoria dei concittadini altrettanto generosi, mentre due sono a memoria di Luigi e Assunta Ceci. L’iniziativa non si ferma a questo atto caritatevole. Non sono solo gli anziani indigenti a beneficiare di tanta generosità, ma un paese intero, al quale i Ceci donano tutti quei servizi essenziali alla vita della comunità ed altrettanti edifici per ospitarli. Architetture legate al concetto di pubblica utilità, luoghi salubri, igienici, luminosi, arte nuova per una nuova Camerano, a misura dei suoi abitanti, di ogni età e condizione sociale. Oltre ad un ampliamento dell’Ospizio Ospedale, reso necessario già nel 1927 a soddisfare i bisogni di una popolazione in crescita, i Ceci provvedono alla realizzazione di un asilo infantile, a memoria della loro madre Assunta Lanari Ceci, e di un salone-oratorio, nonché di un monumento al pittore cameranese Carlo Maratti4, insieme a terreni da mettere a reddito per la sussistenza dell’Opera. Elementi puntuali che, seppur contestualizzati nell’incasato, fatto che li rende di per sé un’eccezione5 rispetto alla gran parte delle coeve espressioni del 18 Mosaico all’ esterno del mausoleo di Luigi Ceci, Camerano. Ospizio Ospedale, Camerano, dettaglio della facciata. STORIA/ARCHITETTURA Mausoleo di Luigi Ceci, Camerano, facciata. liberty nelle Marche6, spiccano per la ricchezza espressiva del loro apparato decorativo e per la finezza nell’esecuzione degli stessi. I manufatti, non certo scanditi da quelle linee serpentine o quegli elementi fitomorfi che caratterizzano l’esasperata ricerca formale dell’art nouveau di scuola francese, sono delineati da forme schiette e quadrangolari proprie del filone tedesco della tendenza. Esempio paradigmatico di questa espressività, il mausoleo di Luigi Ceci. Tanta perizia nel realizzare il piccolo tempio, situato nei giardini dell’edificio che ospita oggi la casa di riposo, potrebbe disvelare quali meccanismi abbiano innescato nell’animo dei fratelli Ceci un moto di tanta generosità, dapprima indirizzato agli anziani soli, poi verso un’intera comunità. I dolorosi ricordi cui accenna la lapide posta all’esterno del monumento, realizzato proprio sul luogo in cui sorgeva la misera casupola dove si spense il capo famiglia, sono forse quelli dei figli verso un padre lasciato in miseria e solitudine fino al momento del trapasso, senza la possibilità di stringere a sé i suoi affetti. Note: *E quindi uscimmo a riveder le stelle. Dante Alighieri, Inferno, XXXIV, 139. A tutte le stelle che mi hanno indicato la via durante la notte buia della vita. A M. S.. 1 Sullo sviluppo economico della regione Marche dopo l’Unità d’Italia, si legga: Sorri Ercole, Lineamenti dei processi di urbanizzazione e sviluppo economico nelle Marche 1871-1961, Urbino, 1969, estratto da Quaderni storici delle Marche, n. 11, gennaioaprile 1969. 2 I primi monti frumentari, nati alla fine del XV secolo per prestare ai contadini più indigenti il grano e l’orzo per la semina, si rivolgevano in particolare ai tanti che vivevano in condizioni di pura sussistenza quando, per il bisogno, erano costretti a mangiare anche quanto doveva essere riservato al prosieguo del ciclo agrario. Ebbero una notevole diffusione durante i secoli XVI e XVII. 3 Sulla storia della famiglia Ceci, e sulla fondazione che ne porta il nome, si veda: STROLOGO Sandro, Assistenza e beneficenza: l’Opera Pia Ceci di Camerano, Ancona, 1994. Il testo, oltre a raccontare mirabilmente le vicende che hanno portato all’istituzione dell’Opera Pia, racchiude alcune missive dei fratelli Ceci, dalle quali si evincono gli ideali di carità e altruismo che hanno animato la loro attività. 4 Carlo Maratti, (Camerano, 15 maggio 1625 – Roma, 15 dicembre 1713) è stato un pittore e restauratore italiano. Fu una figura centrale della pittura romana ed italiana della seconda metà del Seicento. 5 Negli stessi anni, infatti, le più rilevanti espansioni avvengono al di fuori della forma urbanistica tradizionale, quella conclusa nella cinta muraria, e l’arte nuova caratterizza la nuova edilizia, sia privata, declinata in eleganti villini, sia pubblica, con i primi esperimenti modernistici di edilizia plurifamiliari. 6 Sul liberty nelle Marche si legga: Mariano Fabio, Dall’eclettismo al liberty, in Architettura nelle Marche. Dall’età classica al liberty, Fiesole (FI), 1995, pp. 461-491. 19 TOPONOMASTICA IL NOME DI OSIMO: È POI COSÌ STRANO? di Massimo Morroni - foto dell’autore Mura romane Scorribanda tra i millenni della civiltà indoeuropea, celtibera e picena alla ricerca della parentela ispano-francese del toponimo Auximum. Che cerca di nascondersi in molti modi, ma non sfugge all’assillante caccia di Morroni *. 21 TOPONOMASTICA L ’indagine sulla storia ed il significato del toponimo “Osimo”, generalmente insolito, lo rende più comune nell’area francese e spagnola. Per introdurre l’argomento, tracciamo anzitutto un inquadramento storico ed uno linguistico. La storia parte da lontano. Già in età preistorica si hanno testimonianze che la nostra zona era abitata (parliamo di Paleolitico superiore, quindi prima del VI millennio). Nella nostra regione, la civiltà picena ebbe origine nell’età del Ferro (XII - X sec. a. C.) da due sottostrati: la cultura subappenninica e quella protovillanoviana, unitamente ad apporti culturali transadriatici. Per Osimo si può parlare di un vero e proprio centro abitato dal IX secolo, in Età del Ferro, con il villaggio piceno sull’altura. Di questo centro non è stato tramandato il nome. L’insediamento principale risulta ininterrottamente sulla nostra collina (ritrovamenti si sono avuti in zona Mercato Coperto), mentre un villaggio minore si trovava sul fianco nordorientale di Monte Santo Pietro. La cultura picena raggiunse l’apogeo della sua fioritura tra VI e V secolo a. C., con un vasto fenomeno culturale unitario, dalla Romagna all’Abruzzo e alla Sabina. La prosperità economica delle comunità picene è evidenziata da molti oggetti d’importazione. Dalla fine del V secolo a. C. si colgono invece i primi segni dell’inesorabile processo di decadenza che, in meno di due secoli, porterà alla pressoché totale scomparsa della civiltà picena. I tempi vennero accelerati da eventi storici che videro come protagonisti i Senoni ed i Romani. Agli inizi del IV secolo a. C., gruppi armati di Senoni occuparono l’estremo lembo della pianura padana e le Marche settentrionali. I Galli Senoni, sconfinando verso Sud oltre il fiume Esino, penetrarono, in modeste entità, nella zona terminale del medio corso del Musone, at- 22 testandosi nei due villaggi, l’uno sorto sulla collinetta di S. Paolina ed il secondo sul declivio di S. Filippo, poco oltre le Casenove. Sembra che la presenza dei Senoni armati non si protrasse oltre il 270 a.C. In questo periodo il nome piceno di Osimo potrebbe essere stato celtizzato, ma seguita ad essere sconosciuto, non avendosene attestazioni. L’ultima fase della cultura picena è contraddistinta dalla comparsa di numerosi elementi di origine celtica, che sottintendono scambi e contatti, non sempre pacifici, con i gruppi senoni. Il primo intervento romano nella storia del Piceno risale al 299 a.C, quando venne stipulato un trattato di alleanza (foedus) con i Piceni contro i Galli. La conquista militare romana del Piceno si concluse nel 268 a.C., poi si dedussero le varie colonie (Firmum, Potentia, Pisaurum, Forum Sempronii), per il controllo politico ed amministrativo di tutta l’area. Tra queste si ebbe Auximum (157 o 128 a. C.), che aveva già assunto l’aspetto di un oppidum. Ed ecco, in questo periodo, le prime attestazioni del nome di Osimo, ormai latinizzato in Oximum e Auximum, come tramandato da Livio e da Velleio Patercolo. Passiamo ora all’inquadramento linguistico. Nel bacino del Mediterraneo è attestata l’esistenza di lingue pre-indoeuropee. Gli Indoeuropei possedevano una cultura rudimentale e non conoscevano nemmeno la scrittura. Erano dei barbari in confronto allo sviluppo culturale che a quei tempi fioriva presso altri popoli. Tutte le odierne lingue europee derivano dall’evoluzione della loro lingua. Si ritiene che l’unità indoeuropea sia da collocare non più in là del V millennio a.C. La patria originaria di questo popolo è collocata da alcuni nell’Asia Minore centrale, da altri in quella orientale e, da altri ancora, nella steppa a nord del Mar Nero. Nell’Italia antica pos- siamo attribuire alla famiglia indoeuropea il latino, il falisco, l’oscoumbro, il piceno meridionale, il messapico, il venetico, il celtico, forse anche il siculo e il ligure. Non indoeuropei sono il retico, l’etrusco, il piceno settentrionale. In particolare, le lingue celtiche si suddividono in due gruppi: celtico continentale (comprendente gallico e celtiberico) e celtico insulare. Perché ci interessano tanto il gallico ed il celtiberico? Il motivo è il seguente: anche nelle terre di lingua celtica troviamo toponimi latinizzati uguali o simili al nostro: Oximum e Oximense in Normandia, Oxima nella zona di Bordeaux, Oxma e Oxmensi ad ovest di Parigi; Auxima, Oxima, Uxama nella penisola iberica. Che cosa si deduce? Semplicemente che, in analogia con le trasformazioni subite da questi toponimi francesi e spagnoli, il nome piceno sconosciuto di Osimo potrebbe essere stato celtizzato in una forma simile ad Uxama, per poi passare in quella latina di Oximum/Auximum. Soffermiamoci allora sulla forma Uxama. Il gruppo indoeuropeo ps o *ups-, insieme al gruppo ks, arrivò nel celtico come s. Nel gallico lo troviamo in preposizioni (uxsi “al di sopra di”), toponimi (Uxellus, Uxellodunum ecc.), sostantivi, aggettivi (ux(s) edios “superiore” ecc.) e uxama “il più elevato” (-sama è il suffisso dei superlativi). A questo punto cerchiamo le altre Osimo. Per le Osimo francesi abbiamo almeno Exmes, Huismes, Humes, Villiersle-Morhier ecc. Exmes si trova nella regione Basse-Normandie e durante i secoli il suo nome è attestato come Uxoma, Oximum , Oxma , Uxuma , Uxono , Uxoma , Usmis , Usamus, Oxima, Uxima/ Uxxima, Ouismes, Uxone, Castri de Oximis. Huismes è nella regione Centre, 50 km da Tours. Le sue forme antiche sono: Oximam, Oximensis, Villa Oxima, Oximis ecc. Humes, unito a Jorquenay, TOPONOMASTICA si trova nella Champagne-Ardenne. Le attestazioni sono: Osismus, Ozima, Osmis ecc. Per Villiersle-Morhier, sempre nella regione Centre, si hanno Oxma, Uxxima, Oxmensi ecc. Le Osimo spagnole sono almeno El Burgo de OsmaCiudad de Osma, i resti di Uxama Barca, Osma di Mallavia, Ultzama. Osma, a circa 60 km da Madrid, è attestato come Oxima, Auxima, Uxsama, Osimensis ecc. Uxama Barca è attestata anche come Oxamabarca. Per Osma di Mallavia, 30 km ad est di Bilbao, non si conosce il nome classico corrispondente. Ultzama si trova nella provincia di Navarra. La fonetica basca avrebbe trasormato Uxama in Ultzama. Attestazioni Altre località non hanno avuto il nome uguale a quello di Osimo, ma la loro denominazione ha un’origine affine al nostro toponimo, contenendo la stessa radice: sono le “quasi Osimo”. Derivano per la maggior parte dall’aggettivo gallico uxellos “alto, eminente”, ma anche da up, uxo e uxisama, quindi dalla stessa radice indoeuropea; si tratta di Uxacona, Uxella, Oisème ecc. Ci sono poi le “quasi Osimo” apparenti. L’aggettivo celtico oscellus, nei toponimi, si è trasformato nel tempo dando gli stessi risultati di uxellos, per cui diversi toponimi moderni simili possono essere provenuti da uxellos o da oscellus. Il significato di quest’ulti- mo sembra essere “acqua corrente”. Sono: vari Huisseau, Ocelum, vari Oiselet, Oisseau, vari Oissel, Oisselle, Osselin, vari Ossola, vari Usseau, Ocellodurum ecc. Le “dubbie Osimo” sono toponimi che lasciano perplessi riguardo alla loro comune origine con quella del toponimo Osimo: Axams, Ocellum (Holderness), Osmate, Auxuenna, Usmate ecc. Infine le “false Osimo”, cioè dei toponimi che sembrano richiamare le forme “Osimo”, “Auximum”, ma etimologicamente non hanno niente a che fare con queste: Axona (Aisne), Augusta Auxorum (Auch), Auxerre, Aulessiacum (Auxey), Auxois, Auxonne, Uxonia (Oxford), Oulx ecc. * (si veda: Massimo Morroni – Perché Osimo? Un toponimo insolito, ma non troppo – Osimo, 2012) 23 LAVORO GLI UOMINI DELLE NAVI di Paolo Gissi* Per fare le navi servono cantieri, soldi, materiali, tecnologie, commesse: ma poi, ci vogliono gli uomini. Che pensano, progettano, modificano, verificano … che vivono la Nave perché, alla fine, il segreto del successo è tutto lì Soci dell’Ass. Uomini delle Navi all’inaugurazione della 2^ edizione della Mostra nell’ambito del Festival Adriatico Mediterraneo 2012: sx>dx: Paolo Melati, Silvano Ciccarelli, Giorgio Ercoli, Sauro Turchetti, Luigi Borsini, Maurizio Gueraldi, Pasquale Frascione, Achille Rondine, Paolo Gissi (foto Ass.ne Uomini delle Navi) A ncona fine anno 2010: otto ex-colleghi di lavoro diventati amici sono al tavolo di un ristorante per l’annuale momento di convivialità, i discorsi si intrecciano su famiglie, ricordi e nuovi progetti. Inevitabile è lo scambio di notizie ed opinioni sulla situazione dei cantieri navali marchigiani di cui i componenti del gruppo sono stati protagonisti per molto tempo; la 24 crisi economica ormai conclamata fa sentire i suoi effetti con mancanza di commesse e conseguenti cassa integrazione e chiusure, l’impressione è che la città abbia perduto o comunque sopito il legame con il suo Cantiere per eccellenza, i cantieri del Molo Sud sono quasi sconosciuti alla maggior parte degli anconetani, la città non sembra interessarsi fattivamente della situazione critica che si sta creando. Un attimo di silenzio e spontanea esce la domanda: che possiamo fare? Come provare a far ricordare alla città che è cresciuta anche per le attività legate al mare? Pragmaticamente come sempre si apre la discussione. Tutti ricordano la città in festa fino agli anni ‘70 per il varo di una nuova nave dei CNR con la gente affacciata dalla panoramica del Guasco che sale al Duomo a ve- LAVORO dere la nave che scivolava sul piano inclinato, spettacolo entusiasmante per chi vi assisteva, fonte di tensione per chi lo spettacolo predisponeva. Negli anni ‘80 la ristrutturazione del Cantiere con la costruzione della vasca-bacino aveva privato la città di quei momenti emozionanti e la messa in galleggiamento di una nuova unità non aveva più avuto lo stesso effetto comunicativo. Ma la passione e la professionalità delle maestranze di quello che è il polo cantieristico anconetano non erano certo diminuite e i cantieri navali, come tutte le organizzazioni umane, sono fatti dalle persone che ci lavorano. Ecco allora che si fa strada l’idea di riportare alla memoria della città proprio le persone che hanno lavorato nei cantieri cercando fotografie che li ritraessero sul posto di lavoro. Si uscì dal ristorante con questo impegno di ricerca a cominciare dagli archivi della Fincantieri e per un passa parola tra altri ex colleghi e conoscenti affinché si aprissero gli album di famiglia. Appena diffusa la notizia di questa ricerca la risposta è stata a dir poco entusiastica e in breve tempo sono state raccolte oltre 1000 immagini relative sia a persone dei CNR che dei cantieri cosiddetti “minori” del Molo Sud. Il materiale è stato catalogato e digitalizzato, le foto scelte per l’esposizione da offrire alla città sottoposte a restauro e infine stampate in alta definizione. Gestire fotografie comporta regolarizzarne l’utilizzo nei termini di legge in quanto materiale attinente alla privacy delle persone ritratte, gli otto ex colleghi si sono pertanto costituiti in Associazione dal nome “Uomini delle Navi”. Lo Statuto all’art. 4 riporta lo scopo dell’Associazione: “Promuovere e divulgare la conoscenza dell’evoluzione della tecnica di costruzione navale e dei relativi aspetti economici ed organizzativi, della storia delle persone, dei luoghi e dei prodotti connessi con la costruzione navale” con riferimento in particolare alla regione Marche. La prima mostra fotografica si è svolta nell’ottobre del 2011 presso la sede dell’Aula del Mare all’interno del porto di Ancona, con grande successo di visitatori e risonanza nella stampa cittadina. Il successo della prima edizione ha spinto ad una seconda edizione nell’ambito del Festival “Adriatico Mediterraneo 2012”, nella quale sono state esposte altre foto provenienti dai cantieri navali della regione da Pesaro a San Benedetto del Tronto reperite con il solito passa parola questa volta tra ex colleghi che avevano lavorato in quei cantieri, ottenendo anche in questo caso un notevole successo di visitatori, molti dei quali non a conoscenza di quanto fosse diffusa la costruzione navale lungo le coste marchigiane. Questa constatazione ci ha portato alla terza edizione svoltasi a Porto Recanati nel luglio 2013, in collaborazione con il Comitato degli ex dipendenti del Can- tiere Gardano & Giampieri coordinato dal sig. Enrico Lelli, già coinvolto per la mostra all’Adriatico Mediterraneo. La terza edizione è stata la prima tappa di un percorso che si è pensato di intraprendere nelle città costiere marchigiane proprio per far conoscere quanto sia stata importante la costruzione navale nello sviluppo sociale ed economico della regione. Organizzare una mostra che ritrae il mondo in cui hai lavorato significa anche effettuare un minimo di ricerca storica sui cantieri per la catalogazione del materiale fotografico, ed è inevitabile ripensare a quello che si è fatto e approfondirne aspetti prima non considerati. In questo approfondimento sono state fondamentali le collaborazioni del prof. Roberto Giulianelli, docente di Storia Economica alla Facoltà di Economia della Università Politecnica delle Marche, e del prof. Lino Palanca, cultore della storia e tradizioni portorecanatesi. Il prof. Giulianelli nell’ambito della prima edizione ha svolto una conferenza dal titolo “La cantieristica navale ad Ancona nel ‘900: capitali, lavoro e mercati” 1 , nella quale è stata fatta la ricostruzione della provenienza dei capitali e dei legami dello stabilimento CNR di Ancona con gruppi industriali esterni alla regione, dell’apporto di lavoro e conoscenze tecniche inerenti la costruzione navale particolarmente nel passaggio dalle costruzioni in legno all’acciaio e suoi successivi sviluppi, nonché dei mercati internazionali di riferimento. Il prof. Lino Palanca ha contribuito alla riuscita della terza edizione con una conferenza che ha inquadrato le vicende del Cantiere Navale “Gardano & Giampieri” nella storia di Portorecanati dal 1941 anno di fondazione, al 1966 anno della chiusura, e nell’ambito della cantieristica marchigiana. Attualmente l’Associazione ha in preparazione la quarta edizione da svolgere nella città di Senigallia, sede di un altro cantiere navale storico il “Navalmeccanico”, continuando quel percorso di sensibilizzazione per un’attività manifatturiera quale è la costruzione navale, anche al fine del suo rilancio dati i rilevanti effetti moltiplicatori che può avere sull’economia regionale marchigiana. 1 Vedi a tal proposito l’articolo di R. Giulianelli dallo stesso titolo apparso sul n. 3-2011 della rivista PRISMA, ed. Franco Angeli, Ancona. * L’ingegner Paolo Gissi è il presidente dell’Associazione “Uomini delle Navi”. 25 GE.SP.AL SNC DI CERESCIOLI Viale Europa, STAZIONE 42 - 62017 PORTO (MC) DIRECANATI SERVIZIO Telefono: 071 9799446 - Fax: 071 7598056 email: [email protected] [email protected] Scopini A. & C. s.n.c. AL.GA.SA. STAZIONE DI SERVIZIO AL.GA.SA. AUTOLAVAGGI SELF 24 ORE Scopini A. & C. s.n.c. 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Il gruppo I Sagittari N el 1960 per la prima volta l’industria supera gli addetti dell’agricoltura, il PIL raggiunge il livello più alto nella storia con il + 8,30 e l’Italia si avvia a diventare di lì a pochi anni uno dei maggiori Paesi industrializzati a livello mondiale. Altri tempi, davvero. E’ in questo clima da “miracolo economico” che nelle gremite sale cinematografiche del bel paese esce il film “La dolce vita di Federico Fellini”, mentre in una piccola cittadina della provincia marchigiana cinque ragazzi, cresciuti subito dopo l’ultima grande guerra, decidono di unire i propri talenti musicali per coronare un piccolo sogno e dar vita al gruppo de “I Sagittari”. La prima formazione nasce per idea di Gino Ricciuti, chitarra solista, a cui si uniscono Anto- nio Terragnoli alla batteria, Gilberto Cappelloni al sax e clarino, Franco Ottavianelli al basso e Franco Muratori alla fisarmonica. I componenti del gruppo vengono, chi più e chi meno, da precedenti esperienze musicali. C’è chi ha già fatto parte di un gruppo, come Gino Ricciuti, e chi ha suonato nella sezione fiati della banda cittadina come Gilberto Cappelloni. Quasi tutti 27 MUSICA lavorano nelle industrie musicali che a quel tempo pullulano nel territorio fidardense, come le storiche “Paolo Soprani” e “Crucianelli” . Durante il giorno testa bassa al lavoro, la sera prove. Dopo mesi e mesi di duro “allenamento” sentono finalmente che il momento è arrivato, e organizzano il debutto in una piccola sala da ballo nella frazione “Crocette” di Castelfidardo. Il piccolo quartiere diventa il centro del loro mondo, la gente impazzisce per le loro performance: tutti sono entusiasti. Passano le serate invernali ad Ancona suonando in un locale chiamato “Edera” e, all’arrivo della stagione estiva, intrattengono durante i fine settimana gli avventori del dancing “Lanterna Blu” di Marzocca di Senigallia, dove hanno un tale successo che viene loro prolungato l’ingaggio per l’intero anno. All’inizio non sono dotati di una grande attrezzatura, tant’è vero che come amplificazione durante i live si trovano costretti ad utilizzare le casse degli altoparlanti. Però, messi da parte i primi soldi, si impadroniscono degli ultimi ritrovati tecnologici. Gilberto Cappelloni paga a rate il sax nuovo fiammante “Selmer” comprato da Pigini della Eko per 90.000 Lire. La busta paga di un operaio di allora raggiungeva appena le 47.000 Lire, hai voglia a “mangiare mortadella e frittate” per tirare la cinghia e mettere da parte fino all’ultimo centesimo. A Castelfidardo trovano gli strumenti migliori per quei tempi, come le chitarre Crumar e Welson o l’organo elettronico modello Compact della “Farfisa”, mentre l’amplificazione valvolare della “Binson”, un pezzo da novanta dell’amplificazione, la fanno arrivare dai “F.lli Meazzi” di Milano. I “nostri”, in quel bagliore di anni Sessanta, finiscono per essere il complesso più all’avanguardia della zona: sono gli unici a poter contare sugli “effetti” offerti dalle amplificazioni elettroniche di nuova generazione. Così, grazie al “riverbero” e all’ “alone” degli amplificatori “Binson”, che coprono le leggere stonature e danno un tocco “americano” al sound della band, i frequentatori delle notti delle sale da ballo e dei night dell’entroterra marchigiano si sentono un po’ più vicini a “New York”. Sono fortunati, in quegli anni il lavoro non manca e le aziende del settore musicale concedono loro il permesso per assentarsi dal lavoro nella stagione estiva per suonare nei locali, in fondo si tratta anche di fare pubblicità agli strumenti musicali costruiti a Castelfidardo. Finita la stagione, i Sagittari tornano al chiodo nelle fabbriche. La bravura e la passione per la musica aumentano ad ogni esibizione, così nel giro di poco tempo la band si fa conoscere ed apprezzare in giro per lo Stivale. Nella primavera del 1962 si presenta loro un’ottima occasione: vengono chiamati a rappresentare la Città di Castelfidardo in una gara della trasmissione radiofonica “I 28 due campioni”, registrata al cinema-teatro Astra e trasmessa in diretta su radio RAI, con la conduzione di Silvio Gigli. Al momento della competizione però gli amplificatori all’avanguardia, che dovevano essere il loro asso nella manica, tra manopole e complicate prese Geloso da maneggiare, s’intoppano. L’imprevisto tecnico viene prontamente superato grazie alla calma e alla lucidità che i “nostri” riescono a dimostrare, tant’è che alla fine catturano le simpatie del pubblico e degli ascoltatori radiofonici e riescono a superare le selezioni grazie ad una magistrale interpretazione di “Wheels” (la ruota), un motivo popolare a quei tempi che però allo stesso tempo non risultava troppo sfruttato. Passano al turno successivo e nel mese di maggio, accompagnati da un pullman pieno di sostenitori affittato dal sindaco di allora Mercatalli presso la premiata ditta di trasporti “F.lli Fabbri” (meglio conosciuta con l’appellativo di “le corriere di Mericò”), si recano negli studi dell’Antoniano di Bologna dove danno il meglio di sé e arrivano a conoscere personalmente Iva Zanicchi che a quei tempi non era ancora diventata famosa. I ragazzi de I Sagittari, oramai cresciuti, ripensano ancora a quei momenti come alla loro grande occasione mancata: erano a tanto così dal fare il grande salto di notorietà e prendere il volo con la Zanicchi. Ma purtroppo, in quel maggio bolognese, sul prestigiosissimo palco dell’Antoniano, le cose non vanno come sperato: la band non riesce a qualificarsi e deve così rinunciare anche all’ambito premio, consistente in una fornita biblioteca per la propria amata Città di Castelfidardo che in quegli anni ne era ancora sprovvista. Dal mese di giugno, tornano a suonare al vecchio locale di Marzocca, ma solo per poco tempo: la proprietaria della “Conchiglia Verde”, incuriosita dalla loro fama, li chiama nel suo locale dove raggiungono un successo tale che vi passano tutte le sere per tre stagioni estive consecutive, suonando “da spalla” a nomi molto famosi, come ad esempio Lucio Dalla e la Seconda Roma Jazz Band di Romano Mussolini. Nel frattempo il fisarmonicista Franco Muratori lascia la formazione per impegni di lavoro in Canada e dopo il 1965, mentre sono impegnati con i veglioni, le Matinée e le Soirée organizzate alla Grotta di Recanati, entra nella formazione un giovanissimo Valentino Lorenzetti, talentuoso musicista di appena sedici anni. Una sera viene chiesto loro di accompagnare musicalmente una certa Mimì Bertè, dotata di una bella voce e che si sarebbe in seguito rivelata al grande pubblico con il nome di Mia Martini. Suonano anche nelle piazze ottenendo un discreto successo, ma gli anni passano e un bel giorno arriva il momento degli impegni militari MUSICA per il bassista Ottavianelli, che lascia il gruppo. Valentino Lorenzetti viene spostato dalle tastiere al basso ed arriva il momento di unirsi alla band anche per Adalberto Guzzini, al pianoforte, che arricchirà il repertorio con propri componimenti come la famosa “Accordion Time”. I Sagittari iniziano quindi ad aggiungere pezzi originali ad un repertorio fino a quel momento composto da quelle che oggi chiameremmo “cover”, ovvero riproduzioni di pezzi famosi, di artisti come Peppino di Capri, Bruno Martini e Fred Bongusto (Odio l’estate, Blue Moon, Summer time, Champagne e Roberta sono alcuni dei titoli più gettonati), adatti a scaldare l’atmosfera delle romantiche serate della riviera. In quel periodo, le esibizioni dei “nostri” varcano anche i confini della regione, grazie ad alcuni ingaggi in due locali di Modena procurati dall’impresario Franco Bernabei. Di seguito, si fanno conoscere anche a Roseto e a Lanciano. Vincono un concorso a Fermo e girano parecchio suonando per i locali finché arriva il 1966 e vengono contattati da Romolo, un cantante della scuderia dell’etichetta discografica Blu Bel. Romolo li convince a diventare professionisti. In quell’anno i Sagittari sbarcano nella sfavillante riviera romagnola, aprendo la stagione di un locale di Rimini chiamato “La lucciola”, dove si fanno strada accompagnando a mo’ di orchestra molti artisti affermati. Ma prima di dare il via alla stagione estiva, vanno a suonare al Teatro Novelli di Rimini dove si esibiscono come band principale della serata, riscuotendo un grande successo. Rimini regala alla band grandi soddisfazioni: per ben quattro anni di seguito i Sagittari sono le star della stagione estiva nel capoluogo del divertimento romagnolo e suonano in tutte le sale da ballo che vanno per la maggiore, tra cui Paradis, la Capannina e la Mecca. Riscuotono successo anche nel pesarese, dove si esibiscono a Santa Veneranda con il cantante Gianni Morandi. Per circa cinque anni sono ospiti del Club 500 di San Marino, senza farsi mancare però numerose incursioni in Emilia. Tornano anche nella natia Castelfidardo per suonare al neonato club Arcobaleno. Sempre a Castelfidardo, lasciano il segno anche alla Cantinaccia e in altre decine di locali in tutta Italia. Purtroppo, sarà un evento tragico ad arrestare la lanciatissima carriera della band: nell’estate del 1972 muore in un incidente stradale il cantante che fa loro da promoter. Resta solo l’orchestra, che continua ancora per un po’ ad accompagnare nel ballo centinaia di coppie. Ma arriva il 1974, e i Sagittari si sciolgono. Gino Ricciuti con Antonio Terragnoli restano soli a voler portare avanti il progetto, e anche se di tanto in tanto collaborano con altri musicisti, la formazione rimane instabile. E a noi non resta che fantasticare su queste grandi “rock star” d’altri tempi. Non possiamo far altro che immaginarli ancora lì, a incantare la riviera, tirando a suonare fin dopo mezzanotte per poi spegnere gli amplificatori e accompagnare fino al mattino, al solo suono struggente del sax, quell’unica coppia di innamorati che, con la scusa di una mancia, non vuole smettere di vivere la magia di una romantica serata degli indimenticabili anni Sessanta. 29 MUSICA ANTONIO GIANNINI, “PASIONARIO” DELLA MUSICA di Paolo Onofri - foto concesse dalla famiglia Giannini-Borroni, foto locandina di Sergio Sabbatini, fornita da Gianfranca Sabbatini. Una di quelle anime che hanno servito la propria Comunità con entusiasmo, amore del territorio e cordiale, costante disponibilità. Vale a dire, come meglio non si può. I l 12 Novembre del 2012 Potenza Picena ha perso una delle figure più rappresentative della sua comunità, Antonio Giannini, sarto artigianale, Presidente della locale Associazione Amici della Musica “Arturo e Flavio Clementoni”. Antonio, Valeriano Giannini nasce a Potenza Picena il 14 aprile 1933 da Giusep pe, muratore, e da Giuseppa Sagripanti, casalinga, in Via S. Croce n° 291. L’8 agosto 1970 si sposa a Potenza Picena nella Collegiata di S. Stefano con la sig.ra Augusta Borroni e dal loro matrimonio nasce il 10 gennaio 1973 in Francia, ad Argenteuil, Giovanni (Gianni). Antonio Giannini ha sempre svolto il mestiere di sarto artigianale. Aveva imparato questa professione frequentando la sartoria di Ferruccio Orselli. Nel 1957, come tanti altri santesi, in particolare muratori e manovali, emigra in Francia nella zona di Parigi, a Pontoise, alle dipendenze dell’impresa edile dei F.lli Pagnanini. L’anno precedente erano stati il padre Giuseppe e il fratello Pietro, entrambi muratori, ad emigrare. In questa nazione Antonio, partito come manovale dei muratori, mestiere che svolge per soli 6 mesi, vi resta fino al 1976, svolgendo successivamente il suo lavoro di sarto presso prestigiose sartorie di Parigi. Riuscirà alla fine a mettersi in proprio. Il 27 Gennaio del 1976 quando ritorna a Potenza Picena con la sua famiglia, apre una sartoria insieme alla moglie Augusta, anche lei valente sarta, in Piazza Garibaldi. Al pari del padre Giuseppe, anche Antonio è stato un appassionato di musica e dell’opera lirica in particolare, proseguendo una lunga tradizionale locale. Ha fatto parte della Schola Cantorum S. Stefano, diretta da don Francesco Pallottini. E’ stato uno dei pochi santesi che frequentava lo Sferisterio di Macerata per la stagione dell’Opera Festival. Nel 1997 è stato tra i fondatori dell’Associazione degli Amici della Musica, poi successivamente intitolata ai maestri Arturo e Flavio Clementoni, diventandone anche il Presidente per molti anni. Il primo concerto della nuova asso30 ciazione si è tenuto il 6 dicembre ‘97 presso il Teatro Comunale “Bruno Mugellini” con un concerto per pianoforte del maestro Lorenzo Di Bella di Civitanova Marche. Tra le tante iniziative ci piace ricordare “Alma de Tango” in Piazza Matteotti il 13 luglio 2008. Antonio Giannini, per gli amici oltre che con l’appellativo di “Antò lo sarto”, era conosciuto con quello di “Salvatorello”, per aver interpretato questo ruolo nella omonima operetta di Soffredini nel 1947 presso il Teatro “Bruno Mugellini,” con la regia di Azzolino Clementoni e la direzione musicale di don Francesco Pallottini. Grande era la sua passione per lo sport, il ciclismo in particolare. Nella sua sartoria campeggiava una gigantografia del grande Fausto Coppi. È stato tra i soci e dirigente della locale società ciclistica “Potentia 1945 , socio della sezione dei Veterani dello Sport “Memo e Peppino Sassetti – Giuseppe Giacomelli” Grande appassionato di montagna, è stato tra i fondatori della locale sezione del Cai (Club Alpino Italiano). Era pure socio del Fotoclub di Potenza Picena. Caratteristica di Antonio Giannini l’eleganza nel vestire, la sua cordialità e disponibilità. Quando lo andavo a trovare nel suo laboratorio, lui aveva sempre tempo per ascoltarmi e darmi dei consigli con la sua grande esperienza. Nonostante l’età, 79 anni, era ancora molto attivo nell’organizzazione delle iniziative degli Amici della Musica, associazione che dal 1997 ha promosso a Potenza Picena la bellezza di 65 concerti. L’ultimo si è tenuto il 23 settembre 2012. Poco prima che morisse, ero stato a trovarlo nel suo laboratorio (ancora continuava a lavorare nonostante l’età e la malattia), per coinvolgerlo in una iniziativa che lui condivideva. La valorizzazione del maestro Bruno Mugellini, con l’apposizione di una targa o di una lapide per ricordare il Palazzo dove il 24 dicembre del 1871 era nato in Piazza Grande (Piazza Matteotti), a Potenza Picena, cioè il Palazzo Pierandrei, a pochi passi dal Teatro che porta il suo nome*. Antonio, come al solito mi aveva incoraggiato ad MUSICA andare avanti, garantendo il suo sostegno e quello dell’associazione degli Amici della Musica. Purtroppo non ha fatto in tempo a vedere concretizzato questo progetto, ma noi ci impegniamo a portarlo avanti, anche a suo nome. Potenza Picena con la scomparsa di Antonio Giannini ha perso un grande santese, un artigiano testimone della cultura popolare locale, di cui sentiremo (sentirò) la mancanza. Nell’ambito del Concorso Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo è stata istituita, a cura dell’Associazione Amici della Musica “Arturo e Flavio Clementoni” di Potenza Picena, una Borsa di Studio intitolata ad Antonio Giannini del valore di euro 300,00 da assegnare ad uno dei vincitori del Concorso. Per la 38ª Edizione 2013, per la prima volta, è stata assegnata al giovane Lorenzo Bosica di Villa Bozza di Montefino (TE). Inoltre dal 13 novembre 2013, in occasione del primo anniversario della morte, la sede dell’Associazione Amici della Musica in Corso Vittorio Emanuele II n°10 è stata intitolata dall’Amministrazione Comunale ad Antonio Giannini, come segno di ringraziamento della comunità di Potenza Picena per tutto quello che ha fatto a favore della promozione musicale. Antonio Giannini sulla sella del monte Vettore. * L’iniziativa si è concretizzata lo scorso mese di novembre. Concerto di Gervasio Marcosignori per ricordare Romeo Renzi. Da dx Paolo Tasselli, Antonio Giannini, Giovanni Riccobelli, Aristodemo Renzi. Locandina operetta Salvatorello, di Alfredo Soffredini, 1947. Giannini cantava con Gianfranca Sabbatini 31 MEDICINA SENTENZA DELLA STORIA: IL VERO MEDICO È UN DEMOCRATICO a cura di Franco Magnoni * Un galateo della professione medica pubblicato 140 anni fa, ma che non ha perso niente della sua attualità. Tanto da poter servire di certo anche a qualcuno dei nostri medici di oggi foto dal sito ilbacodaseta.org L ’ospedale di Osimo ha una piccola ma preziosa biblioteca e ho avuto l’opportunità, in un mio recente e breve soggiorno, di imbattermi in un libretto, Il Galateo del Medico, scritto dal dottor Raffaele Maturi nel 1873. Il Maturi, laureatosi in medicina presso la Regia Università di Napoli nel 1854, nello stesso anno venne arrestato dalla polizia borbonica perché sospettato di attività liberale, ma con l’aiuto del suo maestro Pietro Ramaglia, medico personale di Ferdinando II, venne messo in libertà. Il libretto è troppo divertente per non renderne partecipi anche i colleghi. Uno dei capitoletti ha un titolo intrigante: “Deve il medico occuparsi di politica?”. Ne colgo qualche stralcio. 32 “Il medico sia un ottimo cittadino. La politica è tanta parte della vita moderna che viverle straniero non conviene a nessuno. Non dico che debba il medico correre a piedi o in carrozza con un giornale fra le mani; non dico che debba scendere in piazza e riscaldarsi e giudicare a dritto e a rovescio delle istituzioni e degli uomini; ciò lo priverebbe di quella pubblica considerazione di cui ha tanto bisogno. Affermo solamente che nei modi, negli atti e nelle parole debba serbare tale contegno, che tutti il possano giudicare amante del vero progresso e liberale di cuore. Io veramente non capisco che un medico possa essere un retrivo: l’esercizio di nostra professione ci mette a contatto con tanti mali e tante miserie sociali, che MEDICINA non dovrebbe aversi cuore per rimanervi insensibile, e non desiderare e non caldeggiare un governo libero che intenda davvero a sollevarli. Il medico si aggira e vive in mezzo al popolo, e pensa come il popolo; è depositario di suoi dolori e di sue speranze, e anche a non volerlo diviene democratico d’indole. E la storia dà somma testimonianza al nostro asserto … L’abito modesto, il carattere elevato e severo, la parola grave e temperata, non disgiunti da una dignitosa grazia nelle maniere, né da un cuore virilmente affettuoso; di tutto ciò si compone la urbanità che al medico sta bene. Pazienza dunque, senza dar minimo segno di noia ad ascoltare il racconto che fa l’infermo dei suoi mali: vi sono taluni che appena guardato l’infermo e fatte due domande, pigliano l’aria dell’ispirato e ti dicono: basta, ho capito tutto: credendo così di mostrarsi profondi nell’arte, si danno a divenire inurbani. Perché togliere all’infermo l’unica soddisfazione che nel suo stato può risentire? Ma è prolisso – pazienza. Ma è noioso – pazienza ancora; senza contare che tante malattie si sbagliano per non aver udito il cicaleccio dell’ammalato. Principalmente poi l’urbanità sua sta nel mostrare un viso ilare e sicuro. Ce ne ha taluno che, per darsi come valoroso e per avere maggior compenso, usa la tattica di atterrire l’infermo e i congiunti: piglia un’aria meditabonda; contorce il muso, fa tali gesti, tali moti del corpo che tradotti con parole significano: il caso è grave, ma io penso. A questo modo sarà un cerretano, non mai un galantuomo. Si mostri sereno, non mai impacciato e titubante: i suoi giudizi sieno franchi e recisi…1 La buona reputazione è necessaria ad ogni uomo e molto più a chi esercita la medicina. E prima virtù del medico sia la segretezza. C’era un adagio che dicea doversi i segreti confidarsi solamente al confessore e al medico, e si ponea così nella medesima linea la chiesa e la medicina: ora non si ha più fede nei preti, ad onore dei medici resta immutata la seconda parte del proverbio. Ma non c’è pure qualche medico che la fa da prete? E allora i colleghi stessi debbono essere i primi a levare alta la voce contro colui, che dimenticando i suoi doveri, sconosce la nobiltà di sua professione. E non si dolgano i viziosi se non vengono richiesti: al medico bordelliere e sboccato qual padre volete voi che confidi il polso di sua moglie e di sua figlia? Sia dunque il medico come lo voleva Offman: modestus, umanus, et fugiat ceu pestem vitam dissolutam, verba oscena, ebrietatem, omneque ludum illicitum. …..2 L’educazione scientifica del medico è così lunga, così dispendiosa, e impone così grandi sacrifici, che l’opera sua dovrebbe ricevere il massimo prezzo. E pure non è così. Se togli in Italia le grandi città, dove egli è decorosamente ricompensato, in alcune provincie e in alcuni piccoli paesi, egli, a recarsi a zonzo da mane a sera, guadagna appena di che vivere. Questo fatto scoraggia, fa mettere da un canto i libri, e visto che con le malattie non si vive, procurano i medici di aprirsi un altro campo donde possano cavare la sussistenza. Ciò contribuisce a non portarli nella pubblica estimazione. Governo, municipii, cittadini, vi dico con Lorry: voi non sapete quanto ci costa l’esservi utili…. Fatta eccezione dei poveri, verso i quali ogni medico conosce appieno i suoi doveri, dico che l’esercizio medico, come lavoro, rientra nelle leggi dell’economia, ed è giusto che si ottenga un guiderdone ad esso proporzionato. Il medico però non patteggi una cura. Se altri sconosce il suo dovere, non è questa una ragione che egli debba sconoscere il suo. Per tutto il resto, il non esigere decorosa mercede vale offendere la dignità della medicina; essendo pur vero che una cosa è tanto più nobile per quanto più si paga. E per chi non siete certi potervi pagare, abbiate a mente la massima dell’anatomopatologo Cotugno: non chiedete ma non rifiutate”3 1 Cerretano può provenire dal latino cerrìtus, insensato; per altri dal latino gerræ, da cui un probabile gerretanus, chiacchierone. 2 Bordelliere, frequentatore di bordelli – Friedrich Hoffman (1660-1742), medico personale di Federico I di Prussia: modesto, umano e che fugga come la peste la vita dissoluta, l’osceno eloquio, l’ubriachezza e ogni gioco illecito. 3 Anne Charles Lorry (17261783), francese, medico famoso – Domenico Cotugno (1736-1822), medico, pugliese di nascita; gli è intitolato uno degli ospedali di Napoli. * Franco Magnoni, osimano, è stato primario anestesista nell’ospedale di Svignano sul Rubicone, in Romagna. Vive a Rimini (articolo g.c. dal Notiziario dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Rimini - anno XVI, n. 2/2013). 33 LA NOSTRA TERRA LA FIERA DEI RICORDI DELL’AGRICOLTURA E DELL’ARTIGIANATO CERCA CASA di Antonio Bartolo Alla Palestra Diaz un’eccezionale occasione di conoscere vita e tradizioni dei contadini e degli artigiani d’antan viene regalata ogni anno dall’Associazione AgriArt. Rimane senza risposta, però, un interrogativo che l’Associazione pone fin dalla nascita: dove sta scritto che Porto Recanati sia solo spiaggia e mare? Festa AgriArt - La gente in visita alla mostra nella palestra Diaz L ’Associazione AgriArt (Agricoltura e Artigianato) è nata nel 2003; nei primissimi anni di vita ha creato delle occasioni di incontro per quanti volevano ricordare le vecchie usanze, la vita e le attività giornaliere nelle nostre campagne e nelle botteghe artigiane. Poi, a partire dal 2004, è stata organizzata ufficialmente la Festa degli antichi mestieri, giunta quest’anno all’ottava edizione. Nel primo giorno di festa, venerdì 13 settembre è stata inaugurata una mostra di foto in bianco e nero raffiguranti la vita rurale e artigianale degli anni del secondo dopoguerra, in qualche caso anche degli anni ’20 e ’30, nel territorio delle basse valli del Potenza e del Musone. Nel grande locale della Palestra Diaz è stata allestita pure una mostra di vecchie moto d’epoca (dagli anni ’30 in qua), con una dozzina di esemplari, dalla Guzzi Cinquecento 34 al Mosquito, mezzi messi a disposizione per i tre giorni di esposizione dal sig. Roberto Cenci di Porto Recanati. Molto particolare l’esposizione dei modellini di mototrebbiatrici, perfettamente funzionanti, costruite con grande perizia e amore da Giuseppe Piccinini. In un angolo si è potuto illustrare e’ spusarìzziu de ‘na ‘ò’ (le nozze come avvenivano un tempo): l’idea è venuta al gruppo delle donne che collaborano alla vita e alle attività dell’Associazione: il grande evento del matrimonio è stato ricostruito minuziosamente così come si svolgeva negli anni ’30 e ’40. C’erano manichini vestiti con gli abiti d’epoca delle grandi giornate (uomini, donne e bambini, ed poi la sposa e lo sposo ai quali è stata riservata un’attenzione particolare). Fantastiche le donne di AgriArt; non si sono fermate lì, ma hanno cercato e trovato (e LA NOSTRA TERRA esposto) foto di matrimoni eseguite dal fotografo Marchetti 50/60 anni fa. Tanto lavoro, dunque, per un risultato davvero eccellente. Un altro grande evento del programma di venerdì 13 è stata la presentazione del libro Le undici di notte e l’aria oscura di Lino Palanca, direttore di questa Rivista, sui canti popolari del territorio, canzoni di guerra, di protesta, suj fatti di cronaca e stornelli, saltarelli, filastrocche etc… Un tema, come si comprenderà subito, pienamente in sintonia con la ragione e gli scopi della festa AgriArt. E infatti abbiamo fatto il pienone di gente venuta dalle città del circondario e abbiamo avuto il piacere di contare tra i presenti anche i carissimi amici riminesi Franco e Grazia, autrice, quest’ultima, di diversi volumi di tradizioni marchigiano-romagnole. Introdotta dal firmatario di questo articolo, l’avvocato Anna Maria Ragaini ha presentato l’opera alla quale hanno collaborato in molti, in particolare Luciana Interlenghi, autrice della copertina e dei disegni che impreziosiscono il volume (gli originali sono stati esposti al pubblico) e il gruppo musicale La Fiumarella, che ha inciso una decina di testi del volume. La stessa Fiumarella ha tenuto un apprezzato concerto in serata. Il giorno dopo, sabato 14, è partito il torneo di carte di trucco, coordinato dall’Accademia del Trucco, conclusosi la mattina della domenica. E abbiamo avuto anche il piacere di essere filmati da una troupe di Recanati TV, che ha ripreso le immagini di ogni aspetto della festa e intervistato tutti coloro che si trovavano impegnati nelle varie attività, comprese le donne al banco dei dolci fatti col mosto di uva e a quello delle tagliatelle e gnocchi fatti a mano. Il saluto alla seconda giornata è venuto dalla splendida voce di Vittorio Solazzi, che ha cantato in serata riscuotendo il solito grande successo. Il finale della festa, domenica sera, è stato vissuto in compagnia del gruppo folk La Martinicchia, ospite da anni di AgriArt, capace di attirare sempre una gran folla di persone, com’è stato anche in questa occasione, desiderose di ascoltare i canti d’allegria e gli stornelli che accompagnavano di vita contadina. Quel che fa da sempre molto piacere agli organizzatori è il consenso manifestato dalla grande maggioranza dei visitatori: sono curiosi, chiedono e si informano, e poi si offrono di collaborare, mettono a disposizione oggetti e attrezzi dei lavori agricolo-artigianali. Si comincia a capire che questa roba perde ogni valore se resta chiusa dentro le case, ma ne acquista assai se la si mette a disposizione del pubblico. La risposta che possiamo dare a questa disponibilità, però, è sempre la stessa, deludente e ormai anche sconsolante: non disponiamo di nessuno spazio adatto a ospitare un’esposizione permanente, anche il molto che abbiamo viene depositato presso alcune case coloniche; si tratta di un rifugio temporaneo, in attesa di tempi migliori, che però non appaiono all’orizzonte. Perciò l’Associazione ha ripetutamente chiesto alle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi anni di verificare la disponibilità di locali perché anche il mondo contadino e artigianale, parte per niente affatto secondaria della comunità portorecanatese, della sua storia sociale, economica e civile, possa avere lo stesso trattamento riservato a chi si occupa di attività che hanno a che fare con la marineria. A Porto Recanati vivevano quasi duemila contadini prima della meccanizzazione dell’agricoltura e della grande fuga dai campi degli anni ’60; e c’erano decine e decine di artigiani in paese, che lavoravano per il centro urbano e per la campagna, dipendendo il loro guadagno anche dalle buone o cattive annate dell’agricoltura. Nessuno può dimenticarsene. IN RIQUADRO L’Associazione Agri Art conta 75 soci, non tutti di Porto Recanati. È retta da un consiglio direttivo di undici membri, che esprimono il presidente e gli altri incarichi. Il suo statuto è regolarmente registrato. Si tratta di un’Associazione basata sul volontariato, i cui soci mettono a disposizione il loro tempo e anche attrezzi e oggetti di loro proprietà. La festa annuale è gestita da una trentina di soci, in particolare donne. Festa AgriArt - Un angolo suggestivo della mostra AgriArt 35 LA NOSTRA TERRA VECCHIE MEMORIE, SUGGESTIONI DEL PASSATO di Grazia Bravetti - foto di Francesca Magnoni Davvero una festa di tutti, quella dell’Associazione Agricoltura-Artigianato di Porto Recanati. Anche dei tanti forestieri che l’hanno visitata. Una di loro ha voluto raccontarci le sue impressioni, che ripropongono alcuni dei momenti già raccontati da Antonio Bartolo, ma vi aggiungono un tocco di antica dolcezza, la beccuta dei nostri padri. S e ci si fosse trovati a Porto Recanati dal 13 al 15 di Settembre, ci si sarebbe inebriati non di vino né di mistrà, ma del piacere di una Festa particolare, ideata dalla Associazione Agri-Art cioè Agricoltura ed Artigianato, il cui Presidente è il portorecanatese Antonio Bartolo, che insieme a soci e collaboratori la organizza e conduce negli ampi spazi del cortile delle Scuole Elementari e della Palestra Diaz. Tantissimi i partecipanti perchè ricco e variato il programma, fin dall’inizio, con la presentazione della nuova opera dello scrittore e giornalista portorecanatese Lino Palanca “Le undici di notte e l’aria oscura”. L’avvincente titolo apre poi ad antiche e suadenti memorie di filastrocche, nenie, tiritere, pasquelle e canti, ben vivi un tempo nelle zone tra 36 Musone e Potenza, e che ora giustamente non sono da perdere, e proprio di qui l’importanza del libro. Accanto a questo altre, poi, le suggestioni della Festa, con le diverse mostre di “cose” di una volta: figure ed oggetti dei vecchi mestieri, foto di sposalizi di paesani di anni fa, le moto di quando si cantava “... invece di una donna mi prend’una gilera...”. Ma c’era anche, proprio dell’oggi, un inaspettato “Torneo di trucco” con tanto di premiazione. E musica e canzoni, diverse secondo le tre serate. Né basta , naturalmente! Infatti dietro un tavolone di ampio spazio, si ammiravano, sorridenti e bravissime, le “vergare” che con rapidità supersonica facevano venir fuori con i loro mattarelli meravigliose sfoglie cui poi ne uscivano le tagliatelle, che andavano via a ruba, insieme agli gnocchi di patate, altrettanto gustosi. Distanziati in spazio diverso c’erano anche leccornie tipiche di un tempo passato, quando tutto veniva fatto nelle case dalle donne della famiglia, e con la parsimonia dovuta alla miseria. Per la Festa alcuni dei dolci venivano dalle cucine della vicina campagna ed altri da famiglie del paese, e tutti, appunto, si rifacevano a vecchie memorie che si riportavano ai momenti della vendemmia, quando ad un po’ di mosto si accomunavano i frutti dell’Autunno da cui, insieme, sarebbero usciti i dolcetti che oggi appaiono particolari. Qui, per la Festa, mosto e vino erano stati offerti all’Associazione dalla Fattoria di Santa Cassella di Potenza Picena, divenuta tra i maggiori artefici del- LA NOSTRA TERRA la manifestazione e della sua riuscita; così, chi vi ha partecipato si è potuto comprare e gustare i Sughetti, i Biscotti col mosto, la Schiacciata con l’uva. Il tocco finale è stato dato dal recupero di un vecchio dolce forse un po’ dimenticato, e ad impegnarsi a ritrovarlo è stato Fausto Cenci, pasticcere per passione e per arte, che di sua mano ha fatto rinascere, appunto, l’antica “Beccuta”, che si faceva, ha raccontato Fausto, quando, in epoca di vendemmia, in una o nell’altra casa dei pescatori, rimaneva nella tavola qualche pezzo di polenta in più. Unendoli, da un giorno ad un altro, li si rimpastava, aggiungendovi poi quello che si trovava in casa e secondo la fantasia e la possibilità della cuoca, appena un po’ di farina di grano in più, qualche cucchiaino di zucchero, qualche goccia d’olio, e poi qualche pezzetto di una mela e di una pera, noci, mandorle e qualche fico, che era proprio la stagione adatta, e insieme anche un po’ di mosto, e per alcuni gocce di mistrà. Si finiva con il succo spremuto di mezzo limone. Per questo Fausto, che di dolci vecchi e nuovi è raffinato esperto, ci tiene a precisare che la “Beccuta” fatta da lui quest’anno, non sarà più uguale l’anno prossimo, così come succedeva nelle case di una volta ove non c’erano né occorrevano ricette scritte, ma piuttosto serviva il gusto, la capacità e la bravura solo della cuoca. D’altra parte variabili e mutevoli sono anche sia l’etimologia che l’ortografia del nome stesso del dolce, che può indifferentemente chiamarsi con due, ma anche con una sola “c”: da “Beccuta” può trasformarsi in “Becuta”. Così può modificarsi anche il nome stesso del dolce da paese a paese, per cui, ad esempio, ad Ancona diventa “Becciata”, nel fanese “Bacut”, in altre zone “Bettata” o “Beccata”. Ed è in questo modo che si riesce a comprenderne meglio l’etimologia che può rifarsi al “beccare” qua e là il dolce, portandogli via i pezzettini di frutta che vi appaiono in superficie, una volta cotta, o meglio ricotta la polenta. Fausto sa fare bei racconti sulla sua vita da pasticcere, ove la “Beccuta” è veramente il suo “cavallo di battaglia”, racconti capaci di far gustare il piacere del dolce pur senza né vederlo né mangiarlo. Inoltre, ciliegina sulla torta, Fausto è anche poeta, e per gustare pure almeno una delle sue poesie, basta leggerla... . 37 LA NOSTRA TERRA SOPRAVVIVERE ALLE SFIDE AGGRAPPANDOSI… ALLA TERRA! di Paola Acciarresi La rivoluzione economica e culturale proposta dal progetto sugli orti urbani: una moda o una sfida da vincere o una rivisitazione “etica” delle nostre risorse? L’esperienza sta conquistando anche le Marche. dal sito www.babel.cospe.org L a terra che scorre tra le dita di Miss O’Hara, mentre giura davanti a Dio che non avrebbe più patito la fame (una delle scene più famose del film record d’incassi “Via col Vento” diretto da Victor Fleming nel 1939 e nato dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer del 1937 di Margaret Mitchell) è l’immagine riemersa dalla memoria pensando al legame, di sangue e sudore, che ogni uomo vive con la sua terra. Una dignità, questa, con la quale si ristabilisce il contatto quando, abbattuti nell’animo e nel corpo, umiliati dalla vita e dagli uomini, qualcosa in ogni individuo sprigiona la forza per continuare a lottare e sperare. Appunto partendo dalle proprie origini. La citazione potrebbe sembrare forzata, ma l’intensità poetica e simbolica di quel gesto, con il quale Fleming incollò agli schermi milioni di spettatori per decenni e in tutto il mondo, è il racconto di una storia di vita che, con inevitabili aggiustamenti temporali, arriva fino ad oggi, e alla mia mente. E grazie a quella terra, che scorre con orgoglio tra le dita, intrisa di valore e rispetto, ogni uomo riacquista il suo giusto spazio nel mondo, consapevole che la propria impronta sarà riconosciuta dalle future generazioni. Un racconto dalle mille sfaccettature, quindi, che tocca l’ambito sociale, economico e politico e oggi assume una rinnovata importanza. In “Via col vento” si assaporava la grandezza dell’amore, la lotta per la sopravvivenza e la crudeltà della guerra, aspetti questi che nel cinema hanno 38 reso intramontabili numerosi film. E quando accendi la tv non ti aspetti di ritrovarli trasposti in un semplice documentario; invece eccoli lì, a raccontare di un popolo, dei nostri giorni, di una “guerra” di un altro genere, quella contro uno spietato capitalismo o legata alla sfrenata corsa all’Oro nero. E parla di un Paese, di una comunità che con orgoglio cerca e trova un modo per rialzarsi dopo “il picco”. “The power of community: how Cuba survived peak oil” è tutto questo, dunque,: il racconto di una Cuba che, messa in ginocchio dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla conseguente riduzione della fornitura di petrolio, ha visto nei primi anni ‘90 il tracollo della propria economia, del sistema finanziario ed economico che paralizzò ogni settore, da quello alimentare all’industria, ai trasporti rovesciando le abitudini di questo popolo che ha pagato duramente in prima persona una catastrofe fino a quel momento inimmaginabile. Navigando nel web, numerosi sono i documenti che raccontano di questo particolare evento e di come il “Periodo Especial” sia ancora oggi uno degli esempi più eclatanti e concreti di successo ottenuto per mezzo di cambiamenti di stili di vita provenienti dal basso, dalle classi sociali più povere e dalla terra, s’intende. La trasformazione dello stile di vita, quindi, ha interessato tutti i cubani che, fieri della propria agricoltura, hanno affrontato l’urgenza inventandosi un nuovo modo di sostenersi autogestendo, aiutati da interventi governativi, trasporti e produzione alimentare. E’ in questo contesto, LA NOSTRA TERRA dunque, che nascono a L’Avana i primi esempi di orti urbani destinati alla coltivazione di frutta e verdura. In questi appezzamenti di terreno, sorti tra le case e nei giardini privati, hanno preso vita piante di ogni genere coltivate in pochi metri quadrati e piantate in ogni genere di contenitore che potesse fungere da vaso. La forza di questa esperienza, dai tratti quasi romantici, ha incentivato inoltre la diffusione di nuove conoscenze sulle diverse varietà di coltivazioni riscoprendo per di più l’arcaico rito del baratto. Cuba, dunque, ne è l’esempio più palese, ma la vitalità che gli orti urbani donano alle città si può riscontrare in molti angoli del nostro pianeta: dal Brasile a Londra, passando per Berlino fino ad arrivare in Italia. Molte, infatti, sono ormai le città che nel Bel Paese hanno accolto positivamente questa nuova proposta e hanno avviato diverse forme di coltivazione e progetti che coinvolgono di volta in volta singoli cittadini, gruppi o istituti scolastici (un esempio sono le scuole dell’Infanzia e Primarie di Macerata con il progetto “Orto in condotta”), volti appunto alla riscoperta del legame con il proprio territorio ridonando vita ad appezzamenti di terreno dimenticati. A proporre l’iniziativa a livello nazionale è stata “Italia Nostra” che, con Anci (Associazione dei Comuni d’Italia), Coldiretti e Fondazione “Campagna Amica”, ha incentivato, stabilendone le specifiche linee guida, privati o enti pubblici, l’avvio di coltivazioni in orti urbani nel rispetto della memoria storica dei luoghi e di regole etiche dettate dall’Associazione. Da ciò che riporta il sito www.italianostra.org, infatti, “pur nelle differenti caratterizzazioni geomorfologiche dei luoghi, si tende a definire una modalità comune in tutta Italia di come impiantare o conservare un orto, che va inteso nel senso di parco ‘parco culturale’ teso a recuperare specie in via di estinzione ma anche coltivare prodotti di uso comune con metodologie scientifiche”. Con la stessa motivazione, ma non dimenticando l’aspetto più prettamente sociale, solidale e, perché no, anche dagli importanti risvolti economici, diversi Comuni marchigiani (tra cui Fermo, Jesi e in fase di pianificazione è il progetto che partirà presumibilmente nel 2014 anche a Recanati) hanno accolto positivamente l’iniziativa che si è concretizzata, o lo sarà nel breve periodo, attraverso la creazione di orti urbani utilizzabili dai cittadini. Segno di una svolta “ambientale” attiva e consapevole verso comportamenti di fruizione etica dei doni che il nostro Paese dona? Forse sì. O forse è soltanto una questione di moda e tendenza? Presto per dirlo, ma non troppo presto per affrontare queste nuove prospettive. In fondo, come sostiene Miss O’Hara, “domani è un altro giorno” e proprio per questo, si potrebbe dire, adeguarsi ad un tempo e ad un mondo che cambia, racchiude la soluzione, forse dai tratti etici, alla sopravvivenza di fronte alle nuove sfide emergenti. Per approfondimenti: http://it.thoughtmaybe.com/the-power-of-communityhow-cuba-survived-peak-oil/ http://orizzontiliquidi.blogspot.it/2013/03/cuba-agricoltura-come-strategia-per-la.html http://www.growtheplanet.com http://www.italianostra.org/?page_id=209 dal sito www.donnesulweb.it dal sito www.buttalapasta.it 39 LA NOSTRA TERRA ERA IL MAGGIO ODOROSO … di Mario Mancinelli L’esplosione della primavera rivestita del colore del sole e del profumo dei fiori, tra ricordi di memorabili imprese sportive e i campi che tornano a cantare il trionfante splendore della natura. Civitanova Marche (Anno 1951), nei pressi di Fontespina, all’altezza del vecchio Liceo Scientifico “L. Da Vinci”, una macchina delle “Mille Miglia” sfreccia sulla strada, osservata con curiosità da un gruppo di spettatori assiepati ai bordi della strada. (foto Dal Monte, Civitanova Marche) “M aggio vive tra musiche di uccelli”. E’ il mese delle rose che più di ogni altro fiore rappresentano la bellezza dei giardini. E’ il mese delle temperature piacevolmente calde. La grandezza del proprio splendore è nella natura fiorita che raggiunge in Primavera la sua massima esplosione. In campagna, ragazzi e ragazze cantavano e queste ultime si mettevano i fiori nei capelli che rappresentavano la bellezza della stagione e l’augurio di prosperità: … Se torna maggio, e ramoscelli e suoni/ van gli amanti recando alle fanciulle…” (G. Leopardi, Le ricordanze). I campi erano baciati dai raggi del sole che inondava con la sua luce il grano e l’erba ondeggianti al soffio del ven40to caldo che accarezzava l’erba nei campi e portava dal mare un profumo salmastro. La brezza sembrava quasi che si depositasse sugli alberi e sui fiori di ogni specie e di ogni colore. Il primo maggio è rimasto tuttora la Festa dei lavoratori. I cortei attraversano vie e piazze di tutti i paesi. Le bandiere garriscono al vento. I contadini, nelle campagne, zappavano i campi seminati per togliere la gramigna, un’erba infestante che più se ne toglieva, più ne nasceva. I terreni venivano concimati. Si seminavano anche ortaggi tardivi, si dava il verderame alle viti, operazione che durava, anche se in periodi diversi, fino alla fine di luglio. Si festeggiava e si festeggia anche oggi la festa della mamma, l’8 maggio, in segno di gratitudine verso chi ci ha dato la vita. Quando scendeva la sera, era bello guardare il volo delle lucciole, che, volteggiando per la campagna e sulle siepi, punteggiavano di lucine il buio della notte. Da un boschetto lontano si sentivano il gorgheggio ed i trilli di un usignolo che, a gola spiegata, cantava fino all’alba. In questo mese magico, terminata la guerra, partivano da Brescia ed arrivavano fino a Pescara i bolidi della strada. Era la corsa delle “Millemiglia”. Nel 1957, ultima edizione della corsa, sospesa per i gravi incidenti di quell’anno, la “Millemiglia” seguiva questo percorso: Brescia - Desenzano sul Garda-Peschiera del Garda-Verona - Vicenza-Padova -Monselice-Rovigo – Ferrara - Ravenna-Forlì - CesenaRimini – Pesaro – Fano – Senigallia – Ancona - Porto Civitanova - S. Benedetto del Tronto-Giulianova-Pescara-Chieti scalo – Popoli - L’Aquila – LA NOSTRA TERRA Antrodoco – Rieti – Roma - Madonna di Bracciano-Monterosi – Vetralla – Viterbo – Bolsena – Radicofani - San Quirico D’Orcia – Siena - PoggibonsiSan Casciano – Firenze - Passo della Futa - Passo della Raticosa – Bologna – Modena - Reggio Emilia – Parma – Piacenza – Cremona – Mantova – Montichiari - Brescia. Le città marchigiane della costa vennero toccate dalla corsa, a partire dalla edizione del 1949, ed il percorso, nel dopoguerra, rimase sostanzialmente invariato negli anni, tranne per l’edizione del 1954 nella quale venne inserita la città di Mantova per onorare la memoria di Tazio Nuvolari, che era appunto nato nella città virgiliana. Noi ragazzi andavamo lungo la strada per guardare ed applaudire i campioni del volante. Le macchine ruggivano come leoni e mordevano quasi la strada, soprattutto le rosse dell’Alfa Romeo. Sempre nello stesso mese passava il Giro d’Italia, la corsa ciclistica a tappe che richiamava lungo il percorso tanti tifosi. Si dividevano tra Coppi e Bartali. Si rubava un’ora di tempo per vedere passare il giro e quella corsa rimaneva per tanto tempo bene impressa nella nostra mente. La sera si andava a sentire le notizie da qualche vicino che aveva la radio ed in questo modo venivamo a sapere chi aveva vinto la tappa del giorno. Terminato il giro d’Italia, iniziava il Tour de France ed anche su questa corsa a tappe eravamo sempre aggiornati. Le bietole messe nei campi chiedevano una cura particolare. Si entrava allora sul terreno per iniziare l’operazione detta in dialetto “lo sderadì”; consisteva nel diradare le piantine, si sradicavano le bietole piccole, lasciando quelle più grandicelle in modo che venissero su più rigogliose. Si faceva poi il primo taglio del fieno che mandava un forte profumo. Il fieno lasciato ad essiccare per alcuni giorni, veniva poi portato negli spazi antistanti la casa colonica per fare il pagliaio. Sarebbe servito come alimento base per gli animali nei lunghi mesi invernali. I contadini guardavano il cielo e facevano le loro previsioni, osservando come si muo- vevano le nuvole e come soffiavano i venti. Oggi, questa cultura è completamente scomparsa, ci si affida solo ai bollettini meteorologici. I contadini erano poveri, ma felici. Lavoravano all’aria aperta ed erano soliti cantare anche per alleviare le fatiche che erano soprattutto manuali. Sull’aia, a sera tarda, bastava il suono dell’organetto per ballare a piedi scalzi il saltarello, il tipico ballo marchigiano, in voga fino agli anni cinquanta del secolo scorso. Verso la metà del mese iniziava la mondatura del grano, lo si “monnava”, si toglievano tutte quelle erbacce che potevano ostacolarne la crescita: papaveri, avena, veccia, spigarola. L’erba raccolta veniva portata a casa per darla da mangiare alle mucche nelle stalle. Bisognava fare molta attenzione quando si attraversavano i campi di grano. Non si doveva pestarne le pianticelle. La spiga colma di chicchi di grano era la ricchezza e fonte di reddito per la famiglia. Il grano portato al mulino dava la farina necessaria per fare il pane. Una delle più celebri foto della storia dello sport 41 GUERRA CHI PER LA PATRIA MUOR… di Elio Camilletti - lp La lunga ricerca della tomba dello zio Attilio, morto nel febbraio 1941 a Scialesit, sul fronte greco-albanese. Elio Camilletti racconta un’odissea che è toccata a migliaia di famiglie italiane, ormai senza più speranza di versare un giorno una lacrima sopra una tomba certa. L ’ultima offensiva dell’esercito ellenico lanciata contro gli invasori italiani nella sciagurata guerra di Grecia, ebbe luogo nel febbraio 1941 ed visse uno dei suoi momenti decisivi negli scontri del monte Scialesit. Siamo nell’Albania meridionale, nei pressi del confine greco e in quella zona è impegnato il 13° Rgt fanteria Pinerolo, della divisione omonima, al comando del colonnello Dante Ferrara. Freddo intenso, assalti alla baionetta, corpo a corpo nelle nebbie costanti di quel luogo: un inferno dove perdono la vita tanti soldati italiani. La posizione viene tenuta e il nemico non passa, ma tanti dei nostri non faranno più ritorno a casa. Tra loro, mio zio Attilio Camilletti, nato a Porto Recanati il 20 febbraio 1915 da Pasquale e Teresa Doffo, di famiglie contadine. La sua vita era trascorsa su un terreno di proprietà della Santa Casa di Loreto, nella piana di Scossici; aiutava suo padre nei lavori agricoli e cercava di perfezionare sempre di più le sue conoscenze in materia. Tanto che nel 1933 aveva frequentato un corso di istruzione professionale istituito dalla Cattedra Ambulante di Agricoltura con esito che il direttore della Cattedra e l’istruttore del corso definivano ottimo nel diploma rilasciatogli. Aveva prestato servizio militare in sanità, nel 157° rgt di fanteria Liguria, di stanza a Genova, e tornò a casa nel ‘37 con un certificato di tiratore scelto ottenuto l’anno prima, e con eccellenti risultati, secondo la certificazione del colonnello comandante Manlio Mora. Il 17 novembre del 1940 sposò Enrica Bilò, che dovette lasciare dopo soli otto giorni perché chiamato a rivestire la divisa nel 13° Pinerolo, con il grado di caporale. Teresa, la madre dello sposo manifestò subito le sue perplessità per la scelta di quel giorno, il 17: da noi è considerato numero sfortunato, tanto che nel gioco della tombola, quando viene estratto 42 è regolarmente definito “la disgrazia”. E la disgrazia venne: l’ultima notizia di Attilio la portarono i regi carabinieri, che si presentarono a Scossicci per annunciare alla famiglia che Attilio era morto l’8 febbraio, nella battaglia dello Scialesit, insieme a tanti altri giovani commilitoni. Dolore e disperazione: in più, nessuno sapeva dove fosse sepolto Attilio, per lunghi anni si aspettò invano che qualcuno lo comunicasse ai familiari. Nel 1990 mi sono messo decisamente alla ricerca, conclusa, tristemente, nel 2011, ventuno anni dopo. Un calvario percorso da decine di migliaia di famiglie italiane, che hanno perso i loro cari nei fronti di guerra regalati dal fascismo agli italiani. Bari, Sacrario dei Caduti d’oltremare GUERRA Nel gennaio 1990, capìto che la sola attesa sarebbe stata del tutto vana, mi misi decisamente alla ricerca della salma di mio zio. Il giorno 22 scrissi dunque al comitato provinciale dell’Associazione Nazionale dei familiari dei Caduti e Dispersi in guerra. Saputo che la salma era stata tumulata a Scialesit, ne chiesi la traslazione a Porto Recanati. Nel marzo venne interessato il presidente nazionale dell’Associazione, Dante Lattanzi, che si rivolse al Commissariato generale per le onoranze ai Caduti, al quale domandò informazioni sul luogo di sepoltura di Attilio. Seguì un lungo periodo in cui la pratica non fece passi in avanti. Finché, nel maggio 2001, riuscii a parlare per telefono con un dirigente del Commissariato Generale per le onoranze funebri ai Caduti di guerra il quale mi invitò a contattare il Ministero della Difesa e fare richiesta per le ricerche del caso. Tra sollecitazioni e lunghi silenzi, arriviamo al 4 settembre 2004, giorno in cui ho scritto al Commissariato generale succitato, presso il ministero della Difesa, comunicando il risultato di alcune mie ricerche svolte al Sacrario dei Caduti d’oltremare di Bari, risultato che era sempre il solito e cioè che si sapeva solo che Attilio era sepolto in luogo ignoto in Albania. Il 28 settembre mi risponde il generale di C.A. Bruno Scandone, commissario generale, e finalmente la nebbia si dirada: In merito a quanto richiesto con la lettera in riferimento, si conferma che il caduto Caporale Camilletti Attilio è deceduto l’8 febbraio 1941 in Albania, a Shalesi ed è stato sepolto nel locale cimitero. Al riguardo si rende noto che questo Commissariato Generale, a suo tempo, ha curato la ricerca ed il recupero dei Militari italiani deceduti in territorio albanese. In merito è da tenere presente che all’atto delle esumazioni molti Resti non furono identificati per assoluta mancanza di elementi idonei al riconoscimento, in particolare nella zona di Shalesi, dove si erano verificate frane e smottamenti del terreno. Tutte le Spoglie esumate, identificate o meno, furono rimpatriate e consegnate ai congiunti o inumate definitivamente nel Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari, ove non è da escludere che, tra le migliaia di Ignoti, riposino anche quelle del Caporale Camilletti Attilio. Un risultato meschino, dopo quattordici anni di ricerche. Sette anni dovranno ancora passare; il 7 marzo 2011 il Commissariato comunicò che a Bari erano stati identificati i resti di 30 deceduti, compreso lo zio Attilio. Finalmente. Attilio Camilletti e la sua sposa, Enrica Bilò Attilio Camilletti tra i suoi familiari 43 RECENSIONI LA RIVOLUZIONE DI FABRIANO di Vincenzo Oliveri E ’ il prodotto… tecnologico che ha superato confini geografici e sconvolgimenti sociali senza arretrare di un passo nei suoi impieghi, anzi, accrescendoli. E’ finito nelle mani del grande compositore di musica, come in quelle del mercante. E’ servito per tramandare gli eventi della storia, piccola o grande che sia, come per far conoscere le infinite dimensioni del pensiero. Parliamo della carta, in particolare di quella che da secoli esce dalle cartiere di Fabriano. Ad essa è dedicato “Cotone, conigli e invisibili segni d’acqua” (Corraini Edizioni, pagg. 144, euro 29,50), volume che racconta i passaggi principali dei 750 anni di storia della produzione di carta nella cittadina che, a buon diritto, rappresenta un simbolo della capacità manifatturiera e imprenditoriale non solo delle Marche, ma di tutta quella Italia dove il coraggio e la volontà sono stati i propulsori del progresso, dello sviluppo diffuso. Il volume, curato magistralmente da Chiara Medioli, delinea un itinerario che prende le mosse dal 1264, dalle pagine di un registro del Comune di Matelica nelle quali un notaio elenca gli articoli di cancelleria d’acquistare. Tra questi ci sono le risme di “carta bambagina”, che arriva dalla vicina cittadina sulle rive del fiume Giano. Significativo il titolo del primo capitolo: l’invenzione cinese, il viaggio degli arabi, la rivoluzione di Fabriano. Tappe di un percorso che proprio a Fabriano ha conosciuto i contorni dell’impresa, nella quale si sono fuse creatività, tecnologia e innovazione, consacrate dalla nascita, nel 1326, della corporazione dei cartai (oggi Pia Università dei Cartai) ed esaltate dalle tre idee vin44 centi introdotte nel processo produttivo: la pila a magli multipli, la gelatina animale come collante, la filigrana. Quest’ultima una peculiarità che ha aperto la strada alle carte usate per banconote, valori bollati, titoli bancari, ma anche per i fogli sui quali Beethoven scrisse l’Opera 96 per violino e piano. Da quella filigrana sottostante il pentagramma, gli studiosi hanno ricavato la sigla PM, cioè le iniziali di Pietro Miliani, capostipite dei cartai fabrianesi. Innumerevoli comunque le curiosità , le notizie, le informazioni che è possibile ritrovare nel volume, compresi i nomi dei personaggi famosi che, nell’arco di sette secoli e mezzo, si sono serviti delle carte fabrianesi. Detto di Beethoven, non mancano Michelangelo Buonarroti, il “principe dei tipografi” Giambattista Bodoni, Giuseppe Garibaldi, Federico Fellini, Bruno Munari, Enzo Cucchi e altri ancora. C’è poi una particolarità che rende “Cotone, conigli e invisibili segni d’acqua” un volume veramente unico ed esteticamente affascinante: è composto da otto tipi di carta diversi, tutti elencati con la loro denominazione e le caratteristiche tecniche che permettono al lettore di comprenderne le differenze, pagina dopo pagina. Senza dimenticare che, se qualcuno volesse tentare la strada del “mastro cartaio”, può trovare i suggerimenti per iniziare l’avventura, compreso l’elenco degli strumenti irrinunciabili per fare di un angolo della propria casa una piccola cartiera artigianale. Il libro curato da Chiara Medioli non è di quelli destinati a impolverarsi sugli scaffali di una libreria o in un angolo della scrivania, ma ad essere preso e ripreso, con la certezza che ogni volta si potrà scoprire un particolare, un nome, una data sfuggiti la volta precedente. Pagine dalle quali traspare l’orgoglio di una storia imprenditoriale che rappresenta l’identità di una città e del suo territorio, dove le cartiere hanno sempre costituito un punto di riferimento della vita sociale, soprattutto nei passaggi più difficili e restano patrimonio irrinunciabile da salvaguardare ad ogni costo. Un libro anche solo da sfogliare per il piacere di averlo tra le mani, per sentire l’odore di quello strumento di cultura e comunicazione che da settecentocinquanta anni corre sulle rotte del mondo: la carta di Fabriano. Cotone, conigli e invisibili segni d’acqua a cura di Chiara Medioli Mantova, Corraini edizioni, 2013 pp. 144, euro 29,50 RECENSIONI NON SOLO TEATRO AL MUGELLINI di Eleonora Stortoni S i diversifica l’attività del teatro Bruno Mugellini di Potenza Picena quale residenza teatrale, non solo spazio di spettacolo e di laboratorio, ma anche una sorta di agorà all’interno della quale dibattere e, nel caso specifico, rivivere una fase del territorio marchigiano attraverso la voce di un esperto e appassionato di tradizioni delle Marche. Stiamo parlando della Marche del ‘900, raccontata in un libro, “Le undici di notte e l’aria oscura”, che Lino Palanca, autore dell’opera, e l’associazione culturale lo Specchio hanno presentato sabato 23 novembre, al teatro Mugellini. Il Teatro Mugellini, gioiello marchigiano inaugurato nel 1862, con la sua bellezza ha facilitato a coinvolgere il pubblico rendendolo attento e silenzioso. Si perché sabato c’è stato un pubblico speciale, i ragazzi della Scuole Medie di Potenza Picena. L’ Assessore alla Cultura Andrea Bovari rivolgendosi ai giovani studenti ha sottolineato il fatto che la memoria storica e le tradizioni ci donano un sapere denso di cultura e di conoscenze e riappropriarsi di questo patrimonio deve essere il processo attraverso cui la comunità locale prende coscienza di se stessa e proprio a partire dalle proprie radici iniziare a ridisegnare il proprio futuro. Un’ emozionato Lino Palanca di fronte ad un pubblico così giovane parla dei canti popolari, degli stornelli, delle ninne nanne che lui stesso ha raccolto in un volume indagando, facendosi raccontare dagli anziani ciò che erano soliti cantare durante le feste o prima di andare a dormire. Lino Palanca rivolgendosi ai ragazzi ha evidenziato un aspetto importante:” Conoscere significa rendersi conto”. Riscoprire la storia di un popolo attraverso le tradizioni, la lingua, i costumi, il modo di concepire il lavoro e di vivere gli avvenimenti centrali dell’esistenza, è il filo conduttore de “ Le undici di notte e l’aria oscura “. Un lavoro di ricerca che invita ad avere attenzione e cura del patrimonio culturale del territorio marchigiano e della sua gente, nella consapevolezza che il passato sia supporto utile del vivere presente e fonte di insegnamenti morali. Un tuffo nella microstoria per riscoprire la propria identità culturale, la straordinarietà della vita quotidiana e i valori della famiglia, per ricordare i detti e le credenze che accompagnavano l’infanzia, nonostante il tempo e il progresso sembrino far dimenticare le tracce di vita dei nostri progenitori. La presentazione del libro si è avvalsa delle letture dell’ attore potentino Giuliano Mennecozzi, con interventi musicali di Marco Sonaglia e del Maestro Giuliano Stacchiotti di Ars Live. Molto gradito e commovente l’intervento di Anna Donati, pittrice, figlia dello scrittore e poeta potentino Severino Donati. Sul fondo del palco sono stati proiettati alcuni dei disegni di Luciana Interlenghi presenti nel volume. Anna Donati, figlia di Severino Donati - foto Enrico Lelli Da sx a dx - Luciana Interlenghi, Vanni Semplici, Giorgio Corvatta, Emanuela Stortoni e l’assessore Andrea Bovari - foto di Enrico Lelli 45 ARTE A RECANATI LA CULTURA SI DECLINA AL PLURALE Intervista raccolta da Eleonora Tiseni Alla vigilia dell’inaugurazione del “Museo dell’emigrazione marchigiana nel mondo”, abbiamo incontrato Andrea Marinelli, assessore alle Culture di Recanati. E’ stata l’occasione per provare a tracciare un bilancio dei cinque anni di attività amministrativa. L’assessore Marinelli M arinelli, siamo abituati a parlare di cultura al singolare: come è nata, invece, la scelta di declinare l’assessorato al plurale? Penso che il sindaco Fiordomo abbia tratto ispirazione dall’esperienza fiorentina, e non so se l’esempio sia stato seguito da altre realtà italiane. La volontà era quella di dare un riflesso multiplo alla dimensione “cultura” in un mondo sempre più multietni- 46 co e multiculturale, dove le sensibilità si moltiplicano. Oltre a continuare a insistere sulla figura del grande poeta, pensatore e filosofo romantico Giacomo Leopardi – al quale l’offerta culturale era legata in maniera quasi esclusiva -, era opportuno cominciare a lavorare in maniera intensa su altri aspetti: uno su tutti, la presenza in città dei capolavori di Lorenzo Lotto. Da questo punto di vista, un lavoro importante ha coinvolto il Museo Villa Collore- do Mels, oggi uno dei più visitati della regione. Uno scrigno che custodisce preziosi tesori dell’arte italiana… La struttura museale è stata totalmente recuperata. All’inizio del mio mandato c’era un solo piano funzionante, l’attuale seminterrato era usato come deposito, mentre il piano terra era sfruttato da una mostra permanente che bloccava gli allestimenti contemporanei. Grazie ad un’efficace ARTE attività di mediazione con il Ministero, siamo riusciti a realizzare un’impresa straordinaria: il restauro – gratuito per le casse cittadine - delle due opere lottesche, “La Trasfigurazione” e “Il Polittico di San Domenico”. L’intervento, atteso da quasi quattrocento anni, ha restituito il loro splendore originario, in particolare la lucentezza e la vivacità dei colori del Polittico così come l’artista rinascimentale li aveva concepiti. Sono emersi, inoltre, alcuni sfondi sconosciuti, si riconosce l’allontanarsi dei Lanzichenecchi e altri particolari inediti: l’opera, già di una valenza narrativa straordinaria, ha rivelato ulteriori elementi che hanno accresciuto la sua potenza evocativa. Da dicembre, Villa Colloredo ospiterà un’altra importante attrazione storico-culturale… Recanati è stata scelta come sede del Museo dell’emigrazione marchigiana nel mondo, all’interno del quale sarà rappresentata l’esperienza migratoria nel suo complesso. L’allestimento, realizzato dalla ETT, la stessa ditta che ha progettato il Museo del Mare di Genova, esprime originalità, modernità e sfrutta le potenzialità del multimediale, con suggestivi effetti video. Il contesto della vita nella miniera è stato ricreato sfruttando una delle grotte che attraversano il sottosuolo della città, e abbiamo ricostruito lo scenario del treno in viaggio con i “finestrini parlanti” che racconteranno, in modo appunto multimediale, le esperienze dei marchigiani che in passato hanno scelto coraggiosamente di partire per cercare futuro in Argentina, in Nord e Sud America, o in Australia. Al piano superiore, inoltre, sarà allestito un archivio e un centro di documentazione che raccoglierà tutto il materiale legato al fenomeno: da mesi stiamo ricevendo fotografie e documenti da ogni parte del mondo, e l’obiettivo è quello di realizzare una banca dati, un “dizionario dell’emigrazione” che permetta di fare ricerca e di digitalizzare gli elementi utili a rintracciare congiunti e antenati. Alla luce di quanto detto finora, qual è stata, la cifra della sua azione amministrativa? La politica culturale realizzata in questi anni è stata tesa a costruire reti e relazioni a tutti i livelli: internazionale, ministeriale, regionale e provinciale. Questa esperienza di concertazione, che prima non esisteva, ha permesso di risparmiare risorse e ridurre le spese - perché gli investimenti sono stati spalmati su più ambiti senza ricadere soltanto sulle spalle dell’amministrazione - senza diminuire il valore e l’offerta culturale, anzi, forse accrescendoli. Non solo, questo approccio ha fatto sì che si potessero sviluppare nel tempo progetti legati l’uno all’altro, come in un circolo virtuoso. Il film “Il giovane favoloso” di Mario Martone, girato in gran parte a Recanati, ad esempio, ha avuto origine dal primo progetto internazionale che abbiamo realizzato, “Leopardi Tolstoj”, che ha messo in relazione non solo Recanati e Jasnaja Poljana, le città sedi dei due grandi romantici, ma anche Recanati e Mosca. All’epoca, avevo cercato Martone per portarlo a Recanati con le sue Operette morali, e allo stesso tempo ho suggerito ai tavoli regionali di invitare il regista a diventare il simbolo della nostra missione in Russia, perché poteva portare, con la sua arte, la figura di Leopardi all’ombra del Cremlino. L’operazione è andata felicemente in porto: Martone è diventato amico della città, dove ha presentato con un allestimento indimenticabile “Le Operette morali” in anteprima nazionale, ed è partito per la Russia come ambasciatore delle Marche. L’idea di realizzare il film che uscirà nel 2014 è nata proprio in quell’occasione, durante un colloquio con il dirigente Raimondo Orsetti: niente succede per caso, i grandi progetti sono il frutto di un percorso anch’esso declinato al plurale. 47 ARTE NON SONO COME UN VECCHIO SCARPONE di Nikla Cingolani - foto dell’autrice Opere d’arte misconosciute e dimenticate. Lode a chi si fa carico di riabilitarle agli occhi di un pubblico che ha diritto di non essere privato della bellezza che si è prodotta nel proprio territorio. L o scorso 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti, presso il teatrino dell’I.R.C.E.R. (teatrino dell’Assunta) di Recanati, è stata celebrata una Messa da mons. Pietro Spernanzoni, Vicario del Vescovo, a suffragio dei benefattori, degli ospiti, dei dipendenti e degli amministratori defunti. “Nell’occasione – aveva anticipato in un comunicato stampa il dott. Sergio Beccacece, presidente della Fondazione I.R.C.E.R., che puntualmente ci offre interessanti sorprese e opere d’arte da poter ammirare -, nell’ambito della valorizzazione del patrimonio artistico e storico perseguita dal c.d.a., verranno di nuovo esposti al pubblico, dopo tanti anni di oblio nei magazzini della Fondazione, un antico e pregiato crocifisso, un dipinto di Maria Assunta, meritevole di un urgente restauro e il ritratto della benefattrice Dolores Carancini, eseguito dal Peruzzi”. Il magnifico crocefisso processionale (h. 212 cm.), trovato in uno dei locali adibiti a magazzino, è in legno rivestito d’argento con particolari in oro. Come ha osservato lo studioso don Giovanni Simonetti, l’oggetto risale alla fine del Seicento o inizio Settecento per via degli intarsi dorati, in alto e ai lati della croce. Il quadro di Maria Assunta (cm. 155 x cm. 126), un olio su tela di cui non si ha una precisa datazione, è particolare per via della forma ottagonale, simbolo della resurrezione e della mediazione tra la Terra e il Cielo. Contornato da una preziosa cornice in legno con rilievi dorati ad ogni angolo, evidenzia i danni sulla superficie pittorica, soprattutto sul viso e alla base del dipinto, per cui sarebbe necessario l’immediato restauro. Sempre don Giovanni lo ricorda 48 ARTE esposto all’ingresso dell’istituto di Via XX settembre prima dell’ultima ristrutturazione dell’edificio inaugurato nel 2004. L’altra opera è il ritratto di Dolores Carancini (olio su tela, cm. 108 x cm. 88) eseguito da Cesare Peruzzi. Il pittore ha immortalato la dama in abito scuro su cui spiccano due fili di perle che risaltano il sobrio ed elegante portamento. La signora siede con le braccia morbidamente appoggiate al bracciolo in una posa regale, a rappresentazione del suo nobile animo. La benefattrice volle costruire a sue spese l’asilo di Castelnuovo per donarlo ai bambini poveri e dedicarlo alla memoria di suo nipote, il tenente Mario Gaetano Carancini, Pilota d’Aviazione, deceduto il 21 dicembre 1940, a soli 26 anni, nel cielo albanese. Anche di lui l’IRCER possiede il ritratto, sempre ad opera di Peruzzi, raffigurato in blusa bianca mentre mostra uno splendido sorriso. Da questo particolare affiora tutta la vitalità di un giovane che ha speranza nel futuro, tuttavia sopra di lui volano degli areoplani come inquietanti presagi. Il punctum del quadro è il lungo foulard annodato al collo, di un bel colore rosso vivo, a simbolo della forza di questo soldato, ricordandone altresì il sacrificio. Entrambi i ritratti erano collocati presso l’ex asilo Carancini ormai chiuso da diversi anni. Due anni fa, sempre l’Istituto ha ristrutturato e messo in sicurezza il giardino, reso così disponibile per le famiglie del rione. Un gesto significativo per non dimenticare chi ha fatto del bene alla comunità e riqualificare un angolo cittadino. Così l’IRCER dimostra ancora una volta di essere vigile custode di oggetti preziosi e di conservare nel tempo la volontà di riportare all’attenzione pubblica tanti altri interessanti materiali. Crocifisso Dolores Carancini 49 LETTERATURA CON LA MIA PENNA HO CANTATO LA PATRIA … I Santesi weblog Arturo Sardini, poeta, letterato e pluriaccademico, titolare di premi e riconoscimenti di grande prestigio, figlio acquisito di Potenza Picena. Ci manca. I l prof. Arturo Sardini nasce a Montappone il giorno 25 ottobre del 1934 da Giuseppe e Angela Maria Bellabarba. Sesto di 8 figli (Amedeo, Rosa, Renato, Luciana, Sara, Rita e Marcella), frequenta le scuole locali di Montappone. Agli inizi degli anni Cinquanta si trasferisce con la sua famiglia in Argentina, dove si diploma in pianoforte al Conservatorio Musical Santa Cecilia di Buenos Aires. Ritornato in Italia, frequenta l’Istituto Magistrale “Luigi Mercantini” di Ripatransone e successivamente si laurea in Lettere e Pedagogia presso l’Università di Urbino. Insegna Lettere e Filosofia negli Istituti Superiori di diverse città delle Marche e d’Italia. Il 26 Novembre del 1967 si sposa con la sig.ra Raffaella Sasso nella Chiesa di S. Claudio di Corridonia e dal loro matrimonio nasce il 15 novembre 1968 Angelo Mario. Dal 22 Maggio del 1974 si trasferisce definitivamente a Potenza Picena, dove insegna nella locale Scuola Media e nella nostra città fino al 10 Giugno 2012, giorno del decesso presso la Clinica “Villa dei Pini” di Civitanova Marche. Nonostante si allontani per diverse vicende da Montappone, rimane sempre legato alla sua terra d’origine, ricordata non solo con le frequenti visite, ma anche nei sui versi. La città di Montappone il giorno 16 Luglio del 2000 gli conferisce la cittadinanza onoraria. Durante la sua vita il prof. Arturo Sardini ha avuto rapporti epistolari con alte personalità della Cultura, della Chiesa e della Politica. Ha scritto e pubblicato oltre 3.800 sonetti. Può vantare una notevole quantità di titoli accademici tra cui: Accademia Universale Guglielmo Marconi - Roma (1978); Accademia Tiberina - Roma (1979); International Academy Of Sciences And Arts - United Nations Unesco N.G.O. - New York (1980); Accademia Internazionale di S.Marco (1980); Accademia delle Scienze di Roma (1981); Accademia Teatina Per le Scienze – Chieti (1984); Accademia 50 Arturo Sardini con Ernesto Sabato, un grande della letteratura argentina Toscana Il Macchiavello; C.D.A.P. Gela; Accademico Benemerito Centro Culturale, Letterario e Artistico Portoghese; “Pioniere della Cultura Europea”. Inoltre ha ricevuto notevoli premi di poesia: “Gli allori di Pompei” (Parlamento Europeo); Il Temerario-Città di Cassino (1977), La Scarpina d’Oro (1977) Città di Vigevano; TelEuropa (1979); Seleroma (1980); Giusep- LETTERATURA pe Ungaretti-Accademia Internazionale di S. Marco (1981); Il Gran Sigillo d’Oro Dei Dioscuri - Taranto (1983); Primo Parlamento Europeo; Accademia Ligure Apuana; Publio Virgilio Marone (1981); Eugenio Montale (1982); Salvatore Quasimodo (1983); Alessandro Manzoni (1985); Giacomo Leopardi (1987); Donatello (1987). Sono versi i suoi non più usuali ai nostri tempi e che rispecchiano una realtà vissuta, tradizioni del passato e situazioni del presente. È’ grazie a queste considerazioni che nel 1977 gli venne assegnato, su 997 concorrenti, il secondo premio all’11° Concorso Internazionale di poesia organizzato dalla Columbian Academy di St. Louis (USA). È stato scritto di lui: “La sua poesia è soffusa di delicate immagini che penetrano lo spirito e lo ritemprano e di una armonia classica che ci riporta ad assaporare le bellezze del verso in contenuti di alta umanità”. I suoi sonetti sono stati pubblicati nelle seguenti pubblicazioni e testi: Ceccardiana ‘82 - Ceccardiana ‘86 - Ceccardiana ‘87 – Accademia Ligure Apuana “Ceccardo Roccatagliata Ceccardi”, ed. Zappa, Sarzana; Antologia della Poesia dedicata alla Mamma, Antonio Carello Editore, Catanzaro 1980; Cupra e la Val Menocchia, mensile di vita e di cultura, Cupra Marittima; Cronache, periodico mensile, Cooperativa 2020, Civitanova Marche, Febbraio 1992, n°I pp. 26-27; Il Museo e la Memoria, Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana di Ripatransone, G. Maroni Editore, Ripatransone 1995, pp. 85,86,87; Poeti e Narratori a Vigevano, Edizione Letteraria Comunità Europea “Arte e Cultura” di Vigevano, 1997, p. 177; La nostra Ripa, Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana di Ripatransone, Antica Tipografia Franceschini, 1999; Voce Francescana, Tip. Sita, Ancona; Chiesa Viva, Mensile di Formazione e Cultura, ed. Civiltà, Brescia; Mater Misericordiae, Bollettino Mensile Santuario della Misericordia, Macerata; Il Messaggio della Santa Casa, Mensile del Santuario di Loreto. Ha collaborato con il prof. Fortunato Frontoni di Montappone alla redazione del volume “Montappone” storia, tradizioni, leggende dalle origini al duemila, Grapho5 edizioni, dove sono pubblicati diversi suoi sonetti, dedicati alla terra natale ed ai suoi cari affetti e ricordi. Ha composto anche numerosi testi musicali nelle edizioni “Bang Bang”, Milano, la stessa Casa Editrice dove incideva anche Claudio Villa. Con la sua morte Potenza Picena, Montappone, le Marche e l’Italia hanno perso una straordinaria personalità della nostra cultura di cui sentiremo sicuramente la mancanza. (Notizie tratte dal libro “Montappone” storia, tradizioni, leggende dalle origini al duemila, di Fortunato Frontoni, Fano, Grapho5 edizioni, luglio 2000 – foto dal sito I Santesi weblog) Arturo Sardini con Pasqualina Pezzola, detta La Montesanta 51 SCIENZA RENDEZ-VOUS TRA LA LUCE E LA BELLEZZA di Massimiliano Gubinelli * L’immagine poetica evoca due dei che si incontrano; quella scientifica si chiama transito astronomico. Con la benedizione di Lucrezio e Galileo, apriamo una piccola rubrica per profani su ciò che succede appena fuori della casa terrestre. Sono faccende che ci riguardano. I l transito astronomico è l’occultamento, sia parziale che totale, di un corpo celeste ad opera di un secondo corpo celeste che si interpone tra il primo e l’osservatore. Il transito di Venere davanti al Sole è un evento astronomico che si verifica con uno schema “a coppie di transiti” separate da un intervallo di 8 anni. Per fare un esempio l’ultima coppia di transiti Venere – Sole avvenne nel 1874 e nel 1882, mentre per gli attuali osservatori il primo transito della coppia è già avvenuto l’8 giugno 2004 ed il 6 giugno 2012. La prossima coppia di transiti avverrà nel 2117 e nel 21251. E’ certo che già i primi uomini delle caverne guardassero al firmamento con una sorta di rispettoso timore. La loro fervida immaginazione li portava a fantasticare, creando miti e leggende da tramandare di generazione in generazione, ma solo l’uomo moderno è riuscito ad osservare il cielo con occhio diverso. L’era moderna è iniziata quando scienziati come Galileo, Keplero e Copernico hanno contribuito a stabilire che è il Sole, non la Terra, al centro del nostro Sistema Solare 2. Prima che la tecnologia portasse l’uomo nello spazio, il transito, come quello tra Venere ed il Sole, era un’opportunità per misurare le dimensioni del Sistema Solare tramite il sistema del paralasse 3. Aeneadum genetrix, hominum divomque voluta, alma Venus .. 4 : sin dall’antichità Venere, conosciuta anche come stella del mattino 5, è rappresentata come potenza generatrice 6 e dea dell’amore, secondo la mitologia amò numerosi dei e mortali, dalla sua unione con Anchise sarebbe nato Enea, padre di Ascanio capostipite della futura Roma, mentre dall’amore con Marte nacque Eros 7 . Anche il Sole era concepito come una divinità in molte culture antiche, esempi in tal senso sono quelli relativi alla civiltà Inca in Sud America o Azteca nel Messico. Nella religione egizia il Sole era la divinità più importante. Noi moderni non diamo quasi più importanza agli eventi astronomici che si verificano ai giorni nostri, probabilmente perché non ne siamo intimoriti o non ne abbiamo utilità, gli uomini del passato al contrario ne riconoscevano l’ * Dedicato ai miei nipoti Federico ed Edoardo 52 Il transito - Si ringrazia FOTO STUDIO MACERATESI di Recanati per la collaborazione. 1 Dati pubblicati su Wikipedia.it 2 Atlante illustrato dell’Universo, 2006 Touring editore srl – Milano, pag. 122 3 Il calcolo si basa sul tempo impiegato da Venere ad attraversare il disco solare rilevato da posizioni diverse sulla Terra. 4 “Progenitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei, alma Venere ..”; Lucrezio, De rerum natura, I, 5. 5 Venere brilla intensamente all’alba o al calar delle sera e per questo è detta stella del mattino o della sera, gli antichi Greci credevano che il pianeta Venere fosse costituito da due corpi diversi che chiamarono Phosphoros (visibile al mattino) e Hesperos (visibile alla sera), successivamente venne ribattezzato Afrodite dal nome della dea dell’amore e della bellezza, Venere per gli antichi Romani. È l’unico pianeta con il nome di una divinità femminile. 6 Ciò è particolarmente evidente nell’attributo “alma” che Lucrezio conferisce a Venere, infatti alma da alo = nutrire, si potrebbe rendere con “nutrice” e identifica Venere con la natura stessa, oggetto su cui si focalizza il poema De rerum natura. 7 Nel mondo antico Eros era conosciuto anche con il nome di Cupido. VINI IL BUON VINO PER UN BUON NATALE di Alfredo Pirchio - foto fornite dall’autore Poco, ma bene. Spendere? … no, bere. Quello del nostro sommelier, seconda firma nelle Marche, ci sembra consiglio pieno di buon senso. E non solo a Natale. La cantina Bocca di Gabbia, a Civitanova Marche L ’inverno e’ oramai padrone; foglie secche, maltrattate dal vento, si rincorrono e mulinano ai bordi delle strade e sul selciato. Di notte , tra un lampione e l’altro, una gialla ragnatela imprigiona e sommerge milioni di piccole gocce che, agonizzanti, non hanno la forza di cadere e indolenti finiscono per morire di inedia ……. Ma in tutte le situazioni. Dobbiamo trovare un aspetto positivo , un modo per spazzare il pessimismo e provare ad illuminare questo clima ostico, dettato oltre che dal tempo, anche dalla crisi che stenta a finire; e cosa c’e di buono? Arriva il Natale!, arrivano le feste! e arrivano quei banchetti luculliani che le nostre mamme sanno ancora preparare con pochi soldi. Non sentite gia’ nell’aria il profumo dei cappelletti in brodo con quegli apostrofi d’ olio che il cappone sobbollendo regala alla superficie della pentola e la silente e dolce nevicata del parmigiano, che a larghi fiocchi imbianca il piatto fumante ap53 VINI pena servito ??? Il borbottio perenne della pentola che per ore sobbollendo intenerisce creste di gallo, interiora di pollo, pezzi di magra carne, catene di salsicce e pomodoro e sedano e cipolle e carote che andranno ad ubriacare tozzi di pane e tagliatelle …. Non vi sembra chiudendo gli occhi di vedere dorati e bronzei arrosti che portano, con volute di fumo, il sapore di patate, siepi di rosmarino e campi di salvia e alloro? E’ venuta fame anche a voi ? Bene! sono certo che per la preparazione di tutti questi prelibati intingoli, le donne di casa non avranno problemi ma, spesso, troppo spesso, trascuriamo un parte fondamentale del piacere e cioè il giusto abbinamento al vino; ora, non pretendiamo di trasformarvi in sommeliers, ma solo di darvi delle dritte per aumentare la goduria del cibo, senza spendere una fortuna . Lasciate perdere vini francesi che non hanno un buon rapporto qualità-prezzo, al bando champagne bordeaux e borgogna e deliziamoci con perle locali (marchigiane). Con i cappelletti in brodo di cappone consiglierei un verdicchio dei castelli di Jesi, la cantina si chiama Fattoria Coroncino, a Staffolo (AN); il proprietario Lucio Canestrari produce un vino base chiamato “Il Bac- 54 co” che costa più o meno 7/8 euro ed è delizioso. Per tagliatelle o primi conditi con ragù mi sposterei a Numana (AN) su un rosso base della “Fattoria le Terrazze “, chiamato “ Rosso Conero” piacevole ed elegante, che pagherete sui 10 euro. Per gli arrosti, sia di penna che di piuma, ardirei consigliarvi di spendere qualcosa di più, un “Akronte” della cantina “Bocca di Gabbia” contrada Castelletta a Civitanova Marche (MC), che il proprietario, il vulcanico e simpatico Elvidio Alessandri, produce in pochi esemplari; se riuscite, provate a trovare un’annata 2000, altrimenti annate più recenti andranno bene lo stesso; il costo qui sale sui 30/35 euro ma ora ve lo descrivo fingendo di berlo con voi e sono certo che capirete: Rosso Granato pingue, spettacolare ventaglio aromatico, nel quale l’ouverture di spezie e cipria, lascia gradatamente spazio a un’aristocratica successione di sottobosco, modulata da ribes, felce, visciole e more di rovo …. In bocca avvolge il palato in un abbraccio caldo e vellutato, le papille gustative sembrano impazzite, ma presto appagate si lasciano sedurre da infiniti ritorni balsamici, intrecciati a giardini di viole e piccoli frutti rossi …… Mi congedo da voi augurandovi un Felice Natale ed un 2014 che riesca a portare in tutte le case tanta, tanta, tanta serenità … e mi raccomando: bevete poco, ma bevete bene. POESIA XXIV CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA «CITTA’ DI PORTO RECANATI» Edizione 2013 Pubblichiamo la classifica stilata dalla Giuria del Premio, composta da Lino Palanca (presidente), Anna Maria Ragaini, Janula Malizia e Renato Pigliacampo. Eccola: 1 – Ivana Federici di Pianello Vallesina (AN) per la poesia Del tuo dirmi non mi stancherò con la motivazione: La poetessa ricorda un percorso esistenziale che, sebbene con l’assenza del protagonista, ci introduce nel patos di un esplicito revival nell’affermazione “risento il canto / nel petto con la stessa vibrazione”. E a poco a poco si avvede dell’insofferenza di tutti alla sua condizione sociale difficile e della società assente. Ecco che la speranza allora si racchiude, scrive la poetessa “in qualche parte ancora / sarà un’alba tenue sugli occhi o forse / solo la forma della tua voce”. Il tutto comunicato con essenziali lessemi nella padronanza dello stile e del linguaggio. 2 – Anna Toni di Prato, per la poesia Canto di un’anima pellegrina, con la motivazione: Stupendo e classico tema rivolto ai patri Lari, tutto ravvivato da suoni e voci e, soprattutto, nell’ “antico cantico d’amore”. Sensibilissima riflessione sul tragico presente dell’ “ombra della sera”. Il pastore, al quale la poetessa invoca protezione “accanto al fuoco”, assurge a entità trascendente, presenza protettiva nel significato prorompente del vissuto nel buio della poetessa. Radiosi versi finali nell’intrinsecità umile di scelta di parole precise nella richiesta d’essere compresa, amata, assistita. 3 – Giuseppe Vetromile di Madonna dell’Arco (NA) per la poesia La mano già sulla valigia con la motivazione: Il disperato metaforico distacco tra padre e figlio, con la sortita del genitore “ma tu non devi seguirmi”, sospingendolo a testimoniare gli eventi della vita, racchiusi in flash efficaci quali “senza luce”, “la goccia di rugiada” che si scioglie “e il sole ignaro” che tuttavia assisteva al distacco e che manifestava la speranza nel risorgere l’indomani. Il tutto con linguaggio sicuro. 4 – Angela Catolfi di Treia (MC) per la poesia Solitudini. 5 – Rita Muscardin di Savona, per la poesia La memoria del mare. 6 – Ivan Fedeli di Ornago (Monza), per la poesia Immaginette (esterno città, giorni di luglio). 7 – Filippo Inferrera di Ravenna, per la poesia Figli della solitudine. 8 – Rossana Guerra di Sant’Ippolito (PS), per la poesia Pensieri per l’Italia. 9 – Rosanna Giovanditto di Spoltore )PE), per la poesia Esorcizzare il ricordo dell’ascolto. 10 – Silvia Cingolani di Marotta di Mondolfo (PS), per la poesia I bambini non hanno paura. La Giuria ha anche assegnato tre Premi Speciali in osservanza di quanto annunciato nel bando del concorso e secondo lo spirito che anima la fondazione e promozione del Premio “Città di Porto Recanati”. I premi sono andati a: - Altieri Sergio di Pesaro, per la poesia Senti tu? - Amato Michele di Bari, per la poesia Gli ultimi. - Coacci Marcello di Macerata, per la poesia Prigionieri di coscienza. 55 POESIA Poesia prima classificata – Ivana Federici di Pianello Vallesina (AN) DEL TUO DIRMI NON MI STANCHERO’ Del tuo dirmi non mi stancherò come non mi stanca il colore dell’autunno sui quercioli. Lungo la strada nuova conto gli anni con le chiome che si fanno arancio e della stagione risento il canto nel petto con la stessa vibrazione. Noi non ci ripeteremo, neanche a volerlo Dire o nascondere, noi Ce ne andremo a gocce rapprese, nella solitudine di un giorno in cui il mondo non si accorgerà dell’assenza né l’aria di un respiro mancante. Sarà tutta la meraviglia dell’universo Che ci porteremo via, senza nulla sottrarre A tutti gli ignari del bene del mondo, a tenerci vivi in qualche parte ancora sarà un’alba tenue sugli occhi o forse solo la forma tonda della tua voce. Poesia seconda classificata - Anna Toni di Prato CANTO D’ UN’ANIMA PELLEGRINA Ritroverò la mia voce E ancora siederò Nel cerchio della famiglia, intorno alla vecchia tavola. Per me prepareranno I cibi migliori, per me spilleranno il vino novello color del rubino, qualcuno suonerà la chitarra e ancora intonerò l’antico canto d’amore. Ma ora debbo fermarmi Ché il cielo è viola E sulla via solitaria Già s’addensano Le ombre della sera. Non scacciarmi, pastore, lascia che resti qui, accanto al tuo fuoco e ti tenga compagnia mentre vigili sul gregge addormentato. Non scacciarmi, pastore Che temo le tenebre E i pericoli che in esse stanno in agguato. Lascia che resti qui, non ti disturberò, starò in silenzio se vuoi che taccia. Domani all’alba Riprenderò la via. 56 Il presidente della giuria Lino Palanca premia Ivana Federici POESIA Poesia terza classificata - Giuseppe Vetromile di Madonna dell’Arco (NA) LA MANO GIA’ SULLA VALIGIA La mano già sulla valigia mi dicesti dunque io parto ma tu non seguirmi e non cospargere di petali la scia d’amore che ti lascio e neppure rendimi le parole che ti ho fatto a misura del tuo corpo figlio perché un giorno tu possa convertirle in inchiostro indelebile sulla tua pelle pellegrina Allora non ti vidi più padre come risucchiato dal cielo o confuso nella terra sparito dalla stanza e il tempo è un’invenzione per crederti ancora qui seduto sulla tua poltrona preferita accanto alla radio a galena di tua costruzione (ti piacevano i rottami del mercatino delle pulci che tu rimettevi a nuovo come per incanto) Partisti allora sì ma per lidi tenebrosi e speranzosi quando l’afa di agosto era già alle porte ti seguii fino all’orizzonte senza luce una goccia di rugiada si scioglieva e il sole ignaro un’altra volta all’alba risorgeva. Le foto sono di Max Serenelli 57 L SCUOLA IN @RETE ’Associazione Culturale Lo Specchio in collaborazione con l’Istituto Comprensivo E.Medi inaugura con questo numero dello Specchio Magazine una rubrica molto speciale. Fare il giornale nelle scuole ha la finalità di sostenere le iniziative dell’Istituto per la valorizzazione dell’attività giornalistica quale strumento di arricchimento comunicativo e di modernizzazione del linguaggio. L’obiettivo della collaborazione è, infatti, quello di avvicinare i giovani studenti al mondo dell’informazione e della comunicazione, nella convinzione che la professione giornalistica sia il frutto di una forte passione che si deve coniugare necessariamente con una solida formazione culturale. Importante è anche fornire alla scuola, insegnanti e studenti, un canale di comunicazione verso l’esterno di tutte quelle attività che meritano di avere una platea vasta come il nostro territorio. L’iniziativa nasce dalla collaborazione dell’Associazione lo Specchio, del magazine “Lo Specchio Magazine” e del sito www.specchiomagazine.it e la Dirigenza dell’Istituto, con l’obiettivo di avere la partecipazione dei professori e l’entusiasmo degli studenti, con l’intento che lo Scuola in @Rete diventi un appuntamento fisso e possa crescere con altre realtà scolastiche del territorio. Ingresso principale Scuola Primaria Gramsci-Matteotti UNA RUBRICA MOLTO SPECIALE Giardini Scuola dell’Infanzia G. Rodari Entrata Scuola Secondaria E.Medi Il progetto, del tutto gratuito, prevede una rubrica nel trimestrale, una sezione interamente online per essere più vicini al mondo dei giovani e ai nuovi media. Sul sito i giovani, con il supporto degli insegnanti e la guida della redazione dello Specchio Magazine, prenderanno confindenza con i diversi strumenti dell’arte del giornalismo. Il portale di Scuola in @Rete, www.specchiomagazine.it, sarà interattivo e ricco di opportunità specie quella di dare visibilità agli Istituti, ai docenti e ai ragazzi che saranno protagonisti sul canale Scuola in @Rete di specchiomagazine.it. Attraverso questo strumento i protagonisti potranno interfacciarsi con la redazione per esprimere le proprie opinioni sul mondo della scuola. 58 SCUOLA IN @RETE CONDIVIDERE PRINCIPI E VALORI. E ASCOLTARE. Redazione Lo Specchio Scuola Intervista alla prof. Annamaria De Siena, dirigente scolastica dell’Enrico Medi di Porto Recanati, convinta che l’obiettivo primo sia restituire alla scuola senso, significato e dignità. I l passaggio al ruolo dirigenziale è recente: dallo scorso anno scolastico. Questo è il mio primo incarico dopo il passaggio di ruolo in seguito a concorso. Ho insegnato esclusivamente nella scuola secondaria di secondo grado con qualche parentesi all’estero come lettrice di lingua italiana all’università su mandato del Ministero degli Esteri. In genere si pensa che per un insegnante la massima aspirazione sia fare il Dirigente Scolastico, ma vorrei chiarire che per me è andata diversamente. C’è stato un momento preciso nella mia carriera in cui, a causa dei tagli agli organici, conseguenza della riforma Gelmini, mi è stato chiaro che non avrei potuto più svolgere il mio lavoro come prima: insegnavo in un liceo scientifico che da anni portava avanti una minisperimentazione linguistica; purtroppo la mia lingua d’insegnamento, il tedesco, essendo seconda lingua comunitaria, è sparito, impoverendo l’offerta formativa d’istituto e vanificando un’esperienza comunque positiva. Il motivo fondamentale della mia scelta è stato quindi indotto da circostanze particolari. Ciò non di meno, nonostante il ruolo diverso e le responsabilità che impone, continuo ad occuparmi di scuola con grande convinzione. Da quanto tempo è a capo di questo Istituto, e come si è trovata a gestire i primi rapporti di collaborazione con gli insegnanti e con gli studenti? Dicevo prima che si tratta del mio primo incarico. Quindi sono direttamente approdata all’Istituto Comprensivo “E. Medi” di Porto Recanati. Le relazioni, in genere, si costruiscono strada facendo. Spero che la gran parte degli insegnanti abbia la consapevolezza di stare realizzando un cammino umano e professionale insieme alla sua dirigente scolastica. Certamente condividere principi e valori è fondamentale. Il dirigente scolastico è una figura atipica rispetto ai dirigenti amministrativi. Proviene dal ruolo docente e porta con sé una sua esperienza nel campo educativo-didattico. Personalmente ho svolto l’attività di insegnante per 20 anni e questo è stato per me un imprinting fondamentale e significativo per meglio comprendere le dinamiche all’interno della scuola. Con gli alunni non ho il rapporto quotidiano e continuativo che hanno gli insegnanti. Quando li ricevo in ufficio o li incontro nelle classi lascio che siano loro a parlare, penso che abbiano tanto da dire. Il più delle volte parlano spontaneamente, diversamente tacciono eloquentemente. Il silenzio è da interpretare. Sono persone in crescita con tutto un universo interiore e delle potenzialità alle quali deve essere dato modo di esprimersi. Partendo da questa idea mi dispongo all’ascolto. Sì, solitamente ascolto molto. Parlando nello specifico dell’Istituto “E. Medi”, quali caratteristiche pensa possa distinguerlo dalle scuole che ha conosciuto in precedenza, quali i suoi punti forti e quali invece le problematiche da affrontare? Mi fa una domanda alla quale è difficile rispondere perché la fascia dai 3 ai 1314 anni non la conoscevo prima d’ora. Per me la realtà degli istituti comprensivi è assolutamente nuova. Posso dire che questo è il primo istituto di tale genere che conosco. Certo sono ambienti umani assai vari sia per l’eterogeneità anagrafica degli alunni e sia per la diversità nella formazione degli insegnanti. Non a caso le scuole vengono definite come organizzazioni di lavoro complesse e, nel caso degli istituti comprensivi, queste differenze sono ancora più accentuate perché frequentati da un’umanità sottoposta a grandi e repentini cambiamenti nel fisico e nella mente. Nella scuola secondaria superiore avevo a che fare con soggetti che, sebbene adolescenti, avevano personalità più definite e quindi “afferrabili”, piccoli adulti con i quali il rapporto era diretto e personale, senza intermediari come i genitori, molto presenti nella nostra scuola. Il nostro istituto ha peculiarità proprie come tutte le scuole. Mi viene in mente la presenza di alunni non italiani, l’essere l’unica scuola del paese e quindi al centro dell’attenzione, una grande tradizione progettuale che, negli ultimi anni, a causa dei tagli di cui prima si parlava, è andata sparendo, ma mi auguro riprenda, la collaborazione col territorio e con le professionalità presenti sul territorio … Parecchio, se opportunamente trattato, potrebbe divenire da punto di criticità punto di forza. Le problematiche al giorno d’oggi accomunano tutte le scuole d’Italia. Senza girarci troppo intorno si dovrebbe restituire alla scuola senso, significato e dignità perché dopo la famiglia è la seconda agenzia educativa più importante e perché dalla scuola dipendono le sorti del nostro Paese. Dato per assunto quanto detto non dovrebbe fare troppo male investire su un futuro migliore e abbandonare il concetto che la scuola costi troppo e sia improduttiva. Qualche curiosità: ci racconti la giornata tipo di un Preside… e quando invece uno studente si sente dire “Guarda che ti mando dal Preside!”, cosa succede? Cosa le posso dire? So quando inizio, ma non so quando finisco e all’indomani c’è ancora tant’altro da fare. Un dirigente dovrebbe trascorrere anche tanto tempo fuori dal suo ufficio per svolgere incombenze più proprie del nuovo ruolo che gli è stato affidato, ma spesso sono obbligata a trattenermi a scuola. Da una parte questo mi permette di conoscere meglio l’ambiente, ma dall’altro finisco col rimandare cose altrettanto importanti. Mi auguro che l’espressione “Guarda che ti mando dal Preside!” non risuoni così spesso, anche perché i diretti deputati alla gestione della classe sono gli insegnanti, non certo il dirigente che dovrebbe avere un compito diverso. Guardando al prossimo futuro, che progetti intende intraprendere al fine di dare visibilità all’Istituto coinvolgendo in prima persona ogni studente e professore? Ok la visibilità, ma al fondo ci deve essere concretezza e sostanza. La progettualità nella nostra scuola è già apprezzabile e si riallaccia a bisogni e necessità emerse a livello locale e nazionale. Si tratta di iniziative che devono avere una ricaduta educativa e didattica, devono contribuire alla crescita e alla maturazione degli alunni che ci vengono affidati. Ad esempio il progetto d’istituto attivato da quest’anno, “Ambientiamoci con gusto e in salute” intende portare avanti grandi tematiche, anche di portata planetaria, quali l’ecosostenibilità, perché le persone devono iniziare ad agire per la difesa e la tutela del patrimonio ambientale e capire il legame culturale profondo e ineludibile col territorio. In questo gli insegnanti si adoperano con grande consapevolezza, interesse e professionalità e, a volte, sono sorprendenti in quanto a originalità. 59 SCUOLA IN @RETE PROGETTO IN DIFESA DELLA MADRE TERRA “ Nel nostro tempo e nell’ambiente civile della nostra società, i bambini... vivono molto lontani dalla natura ed hanno poche occasioni di entrare in intimo contatto con essa o di averne diretta esperienza”. Già all’inizio del secolo scorso Maria Montessori sottolineava il bisogno del bambino di “vivere” la natura e non soltanto di conoscerla studiandola o ammirandola, cogliendo nel rapporto e nella percezione con essa immense potenzialità educative. Le attività formative proposte nel Progetto ‘Ambientiamoci con gusto e in salute’ sono improntate proprio ai principi della pedagogia della scoperta e del fare scuola nel territorio secondo l’idea che, attraverso il rapporto diretto con la natura ed una maggiore sensibilizzazione, il bambino-ragazzo si renderà conto dell’importanza della tutela dell’ambiente e sarà così disposto ad una gioiosa collaborazione. L’educazione alla salute è un aspetto dell’attività didattica che, tenendo conto dell’età degli alunni cui si rivolge, vuole creare un atteggiamento corretto verso l’alimentazione, la cura del proprio corpo e dell’ambiente, fondamentale presupposto per uno sviluppo armonico e consapevole. La famiglia è l’ambiente dove il bambino-ragazzo acquisisce le abitudini che condizioneranno il suo “essere persona” e per questo la scuola ha ritenuto opportuno coinvolgere i genitori e sensibilizzarli a una maggiore attenzione nelle scelte concernenti la salute dei propri figli. Con il progetto, la scuola si è posta l’obiettivo di agevolare l’abitudine a un’alimentazione sana, conoscere l’origine dei cibi e la loro lavorazione, avvicinare gli alunni allo sport per combattere la sedentarietà, educare alla cura dell’ambiente in cui viviamo. La collaborazione con associazioni ed enti presenti sul territorio ha permesso di agevolare lo sviluppo delle competenze degli studenti, attraverso contributi qualificati ed estremamente interessanti. Anche il Ministero dell’Istruzione nel quadro di Expo 2015 parla di promuovere nella scuola, attraverso l’educazione alimentare, “un concetto di qualità complessiva del cibo che incorpori aspetti relativi a sostenibilità, etica, 60 stagionalità dei prodotti, intercultura, territorialità” (Miur- Prot. n° 992 del 12 febbraio 2013). Il progetto “Ambientiamoci con gusto e in salute” si struttura in tre principali aree tematiche: Le cose buone della Terra, Biodiversità e Riciclo, riuso e riduco. Esso mira a promuovere nelle giovani generazioni: la comprensione delle problematiche dell’ambiente e del territorio in cui i ragazzi vivono; la consapevolezza che è possibile rispettare, conservare, tutelare e migliorare l’ambiente e il territorio elaborando progetti di intervento e proponendoli ai soggetti istituzionali della comunità di appartenenza; la riflessione sul valore dell’aria, dell’acqua, della terra come bene comune e come diritto universale per rilanciare nella scuola, nella famiglia e in tutti gli ambienti di vita comportamenti di consumo sostenibile di questi beni, avendo cura della loro tutela e del loro sviluppo, anche a favore delle generazioni future. Nel 1995 è stato creata un’Aula Verde, un orto botanico (nell’area retrostante l’edificio dell’ex Scuola Media) dove si riproduce in forma semplificata la vegetazione attuale delle Marche. Sono stati piantumati alberi di Lecceta, di Querceto, di Bosco di orniello e carpino e di Faggeta. L’iniziativa è ancora portata avanti con entusiasmo dagli alunni, che possono, per esempio, creare erbari e schede botaniche, realizzare piccole guide illustrate sulle specie dell‘Aula Verde o osservare al microscopio preparati vegetali. Intanto, lo scorso 21 novembre l’Istituto in collaborazione con il Comune di Porto Recanati ha celebrato la “Festa dell’Albero”, iniziativa nazionale promossa da LegaAmbiente. Gli alunni della Scuola dell’Infanzia “G.Rodari” e della Scuola Primaria “MatteottiGramsci” hanno dato il via alla manifestazione con canti e poesie, poi si è proceduto con la messa a dimora degli alberi. Protagonisti dell’evento sono stati un ciliegio, un albicocco e cinque ulivi piantati nelle aree verdi dell’Istituto. Le classi che non hanno partecipato alla piantumazione hanno ricevuto in dono una pianta aromatica da custodire e curare in classe. di Eleonora Stortoni Obiettivo: rendere i ragazzi consapevoli che salvare l’ambiente è un irrinunciabile impegno. Il rispetto che si deve alla natura e a noi stessi è condizione ineludibile per vivere “con gusto e in salute” Ambientiamoci con gusto e in salute Dal sito www.legambiente.it Festa dell’albero 2010 I n linea con le direttive seguite da molte scuole italiane, anche la scuola Secondaria di Primo grado “E. Medi” di Porto Recanati aderisce ormai da anni al “Progetto Lettura”, o sarebbe meglio dire al progetto sull’educazione alla lettura. Il percorso intrapreso dalle docenti di italiano è rivolto alle classi prime, seconde e terze e coinvolge gli studenti in attività che promuovono la lettura e il costante confronto con i libri e la carta stampata. Per veicolare in modo accattivante e stimolante il piacere della lettura, l’offerta formativa dell’Istituto prevede, quindi, anche per l’anno scolastico 20132014, eventi e percorsi inerenti la scoperta e fruizione dei libri e della carta stampata al fine, appunto, di stimolare l’interesse verso questi strumenti di conoscenza favorendo l’abitudine alla lettura e, di conseguenza, accompagnando la crescita affettiva, emotiva, sociale, cognitiva e culturale dei ragazzi tramite questa attività. Più in generale, però, è corretto dire che gli obiettivi dell’apprendimento possono essere identificati in precisi concetti iniziando dalla necessità di ampliare la conoscenza di sé, degli altri e del mondo attraverso il libro, strumento in grado di favorire la capacità di espressione del mondo interiore di ognuno potenziando le competenze linguistiche con le quali i ragazzi si esprimono. Da non dimenticare che un confronto costante con i diversi autori permette agli studenti di formare e perfezionare il proprio senso critico, utile ad una riflessione obiettiva e consapevole sull’approccio ai grandi temi della vita, della società, della propria e di altre culture, favorendo così un atteggiamento rispettoso e democratico senza tralasciare l’aspetto più fantasioso e creativo dell’attività di lettura. Tutto ciò è previsto dal progetto intrapreso dall’Istituto portorecanatese che lo concretizza attraverso le indicazioni metodologiche suggerite dall’associazione di lettura Giovanni Enriques, Giralibro e in linea con il “Decalogo del lettore” di Pennac. Partendo da questi presupposti, ormai da dieci anni, una volta alla settimana durante la ricreazione, i libri della biblioteca scolastica per ragazzi sono messi a disposizione di tutti gli alunni: i testi, infatti, sono disseminati in ogni superficie dell’istituto e stimolano la curiosità dei ragazzi che l’anno scorso ha fatto registrare addirittura il record con 601 prestiti. Da sottolineare, infine, che la biblioteca scolastica è formata da titoli scelti in base alle esigenze di ragazzi adolescenti e adeguati ai loro livelli di capacità di lettura e alle loro esperienze con il testo scritto, ma soprattutto garantiscono una varietà di generi, tematiche e gradi di complessità espressiva; il tutto favorito dalla presenza di varie case editrici. Oltre alla biblioteca, da sei anni la scuola Secondaria di Primo Grado dell’Istituto aderisce anche al progetto “Il Quotidiano in classe”, promosso dall’associazione Osservatorio Permanente Giovani - Editori che ha come finalità la promozione della lettura dei quotidiani, e riceve gratuitamente per tutto l’anno 60 copie di giornali 30 copie del Corriere della Sera e 30 copie del Il resto del SCUOLA IN @RETE Carlino. La condizione per portare avanti questa iniziativa è quella di dedicare un›ora alla settimana ai giornali che, a quanto sembra, suscita molto interesse nei ragazzi ed è per loro una grande occasione di crescita culturale, pur richiedendo un›importante mediazione didattica. «A parlare di libri”, invece, è un percorso complementare che prevede che le classi scelgano un testo di narrativa che possa essere oggetto di scambio culturale: si va nelle altre classi a presentarlo e a leggerne delle parti significative. Questa attività si sposa bene con “Leggimi forte”, un’altra idea con la quale i ragazzi offrono ai bambini della scuola Primaria dell’Istituto la lettura e l’animazione di alcune pagine tratte da libri per l’infanzia o dai propri testi in adozione. A completare, infine, un progetto importante quale il progetto lettura si dimostra essere, non poteva mancare il confronto con gli scrittori. A perfezionare il tutto, dunque, si sono tenuti, dopo l’incontro di novembre con il professor Marco Moroni, docente di Storia economica dell’università Politecnica delle Marche, altri quattro appuntamenti con Katia Vergari, autrice del libro “A ciascuno il proprio desiderio”. Un progetto ambizioso. Del resto, da quanto la storia ci insegna sull’importanza della tutela dell’infanzia e dei diritti inviolabili ad essa collegati, non si può certo non far riferimento al diritto alla fantasia e più in generale alla conoscenza. E proprio attraverso percorsi di questo tipo le agenzie educative, insegnanti in testa, hanno il delicato compito di formare cittadini consapevoli, che riescano a discernere comportamenti corretti da comportamenti sbagliati, capacità sostenuta in primis dall’utilizzo di strumenti idonei come i libri, che aiuteranno i giovani ad esprimere pensieri e sentimenti guidati da sano intendimento. Il “Progetto Lettura” è volto a valorizzare il libro come strumento di conoscenza e di confronto, quindi di crescita e di conquista culturale. Non si può trascurare la lettura perché l’alternativa si chiama, quasi sempre, ignoranza. 61 ATTIVITA’ LO SPECCHIO SPECCHIO DELLE MIE BRAME di Vanni Semplici L’associazione culturale Lo Specchio e Lo Specchio Magazine hanno vissuto un 2013 di grandi eventi e soddisfazioni: lo hanno dimostrato gli enti e le persone che ci hanno seguito, sostenuto, vissuto. Ripercorriamolo data per data. 7 aprile: il convegno Sporchi da morire per Dialoghi in corso ha voluto fare il punto sui rischi che l’esposizione all’inquinamento ambientale comporta per la salute, in particolare dell’infanzia. Lo sviluppo economico, industriale e demografico avvenuto nel corso degli ultimi due secoli, oltre ad un indubbio miglioramento della qualità della vita dell’uomo, ha provocato profondi e rapidi mutamenti nell’ambiente. Enormi quantità di sostanze inquinanti provenienti principalmente da processi di combustione (trasporto, riscaldamento domestico, produzioni industriali, ecc.) continuano a essere riversate nell’atmosfera, generando un accumulo di inquinanti che raggiungono concentrazioni pericolose per la salute dell’uomo e per l’equilibrio degli ecosistemi. Si è discusso di come la salute pubblica sia una ricchezza fondamentale per il progresso economico e per lo sviluppo sociale, e al tempo stesso di come essa sia un aspetto decisivo per la qualità della vita. 62 riti culinari propri della loro regione, insieme alle tradizioni e a una concezione della vita diverse da quelle dei loro colleghi romagnoli. Inevitabile la sfida tra le due cucine, dalla quale sembra che quella nostrana sia uscita vincitrice. Sono intervenuti Antonio Bartolo, collaboratore de Lo Specchio Magazine, e il direttore Lino Palanca, che hanno relazionato sul lavoro di Grazia Bravetti. 20 aprile: lo scrittore Roberto Di Giovan Paolo ha presentato il suo libro Il dovere della politica. A cento anni dalla nascita di Giuseppe Dossetti, l’opera racconta, con lo sguardo rivolto all’oggi, una delle figure più emblematiche della storia repubblicana. Partigiano, padre costituente, esponente di spicco della Dc e alter ego di De Gasperi, Dossetti scelse di dimettersi dal partito e dal Parlamento per abbracciare la vita monastica. Pronto, però, a tornare nel 1994 per difendere la Costituzione. Una testimonianza ancora viva, che parla direttamente ai cattolici democratici di oggi, ma che resta un esempio limpido per tutti di come la politica possa essere davvero al servizio della comunità. 1 giugno: in collaborazione con l’agenzia di consulenze editoriali Scriptorama, è stata ospite per Dialoghi in corso la giornalista d’inchiesta Stefania Divertito, specializzata in tematiche ambientali. Toghe verdi. Storie di avvocati e battaglie civili parla, tra le altre, dell’inchiesta Saras, la raffineria di Sarroch, nella costa sud occidentale della Sardegna. Di proprietà della famiglia Moratti è tra le più grandi d’Europa: rappresenta circa il 15% della capacità totale di raffinazione in Italia con 110 mila barili raffinati al giorno e 1.100 persone impiegate. L’attività di raffinazione dà da mangiare a molte persone ma nuoce anche alla salute della maggior parte di loro a causa dei veleni che versa nell’ambiente circostante. In Italia, sottolinea la Divertito citando i dati ufficiali, “si compie un delitto contro l’ambiente ogni 43 minuti, senza distinzione tra Nord e Sud, e il 2010 è stato l’anno nero degli ecodelitti, tanto che, nei tribunali, ormai agiscono almeno trecento eco-avvocati, contando solo quelli del Wwf”. Il libro si chiude con un’intervista a Raffaele Guariniello, noto magistrato della procura di Torino da sempre in prima linea nella lotta contro i disastri ambientali (è stato, tra l’altro, il regista dell’inchiesta che ha portato alla condanna dei dirigenti della Tyssen Krupp per la morte di sette operai). 26 aprile: Grazia Bravetti Magnoni, giornalista e studiosa di letteratura dialettale e storia locale, ha presentato il libro Radici. Vita e mangiari nella campagna marchigiana, che racconta la singolare vicenda della cucina marchigiana trapiantata nelle pianure del riminese. I contadini trasferitisi nelle fertile terre dei principi Torlonia si sono portati dietro ricette e 4 giugno: Un progetto per lo sviluppo sostenibile della Valmusone ha riunito in una tavola rotonda importanti rappresentanti delle Istituzioni locali. Ad evidenziare le tematiche che interessano la zona sono stati gli Amministratori intervenuti a partire dal Sindaco di Porto Recanati Rosalba Ubaldi che ha sottolineato come ”Porto Recanati è la foce del Musone. ATTIVITA’ LO SPECCHIO Noi soffriamo quando le aziende scaricano imprudentemente liquami. Noi qui viviamo di turismo e non solo. Il lavoro ora è una merce rara, un bene prezioso da mantenere”. Il Professor Alberto Niccoli, presidente della Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano, ha evidenziato, invece, l’aspetto finanziario sostenendo che”Le banche devono ritornare a fare le banche e a dare più fiducia, inoltre dovrebbero sostenere le aziende così da poter vendere il proprio prodotto”. L’assessore dell’Ambiente ed Ecologia di Loreto Dino Elisei ha proposto un fondo comune da parte delle imprese da poter reinvestire, proprio come hanno fatto alcune aziende di Loreto ottenendo ottimi risultati. Il Sindaco di Numana Marzio Carletti ha lanciato un segnale di speranza considerando che “Se riusciamo a mettere insieme delle risorse , tutto diventa importante. Oggi la chiusura di un’industria ha un’incidenza notevole, dobbiamo cambiare il modo di affrontare i problemi”. A seguire anche l’assessore ai Beni e Attività Culturali della Regione Marche Pietro Marcolini, che ha puntato sulla tradizione ovvero sul fatto che ”Le Marche è la regione più artigiana d’Italia e in buone posizioni anche in Europa. Sono le tracce di un lavoro su cui possiamo insistere”. Scettico, invece, il Sindaco di Osimo Stefano Simoncini secondo il quale ”C’è incomunicabilità, c’è campanilismo, c’è una difficoltà nel creare elementi in comune. Il comune stesso di Osimo ha difficoltà a creare servizi con Castelfidardo, che si trova a soli 12 km di distanza”. Focus, infine sull’ambito lavorativo e politico con Marco Bastianelli, segretario della Camera del Lavoro di Osimo, che sostiene come sia ”l’imprenditore che manca nel ventunesimo secolo. Il manifatturiero va riqualificato. Bisogna puntare sulle reti, incentivare questo tipo di rapporto e le stesse amministrazioni devono ripensare ai rapporti tra i comuni” mentre Nevio Lavagnoli, Presidente Regionale della Confederazione Italiana degli Agricoltori, conclude con un appello alla partecipazione considerando che ”Quello che serve a noi è un clima favorevole. La politica deve fare il suo dovere. la burocrazia ci sta uccidendo”. 15 giugno: Il Buon Fabio di Striscia la notizia ha portato all’attenzione del pubblico porto recanatese Sotto il segno della bilancia, libro scritto in collaborazione con Vittorio Graziosi (autore di “Sangue di rosa scarlatta”), che è anche la testimonianza di come nella vita di tutti i giorni essere obesi significa trovarsi di fronte a continue barriere architettoniche: cosa significa per un obeso salire su un autobus affollato, viaggiare in treno o in aereo, prendere posto al cinema, o entrare in un negozio di abbigliamento. Il volume è nato per condurre una battaglia di giustizia sociale, secondo l’autore, infatti, ”Si parla ancora poco di questo problema e spesso ci si pensa solo quando si vede una persona obesa per strada, ma non ci si sofferma mai a pensare a quante persone si rinchiudono in casa per evitare le discriminazioni. Il problema è che così si può solo peggiorare, aumentando ulteriormente di peso e rischiando dal punto di vista della salute”. 16-19 agosto: Lo Specchio Magazine Festival 16 agosto: “Aperitivo d’autore” ha inaugurato il festival, mentre le esibizioni dei “Piedi Scalzi in Quarti”, con successi dialettali, nazionali ed internazionali completamente rivisitati negli arrangiamenti jazz e fusion e Bianca Maria Semplici con un revival di ‘canzoni perdute’, hanno scaldato il palco dei Giardini Diaz di Porto Recanati. Durante la manifestazione è stata premiata Federica De Stefani, la vincitrice de Lo Specchio Magazine Photo Contest “Donne allo Specchio”. 17 agosto: prima parte dell’evento “Aperitivo d’autore” con la presentazione di racconti e memorie della provincia maceratese. Nella seconda parte Gianni Giudici, musicista jazz, ormai amico e collaboratore de Lo Specchio, ha mostrato ancora una volta la sua grande simbiosi con tutti gli strumenti a tastiera: dal pianoforte – il mitico Hammond - che rimane il suo strumento principale, al poliedrico mondo delle tastiere elettroniche. 18 agosto: per “Aperitivo d’autore” la giornalista e scrittrice Marina Minelli ha mostrato un aspetto diverso della regione Marche, tra curiosità, leggende e miti presentando il libro 101 Storie sulle Marche che non ti hanno mai raccontato e a seguire gli Havona, band di giovani accompagnati da Gianni Giudici, che con la partecipazione dello stesso Giudici hanno proposto dal groove punk alla tradizione afroamericana. 19 agosto, quarto e ultimo appuntamento del Festival, degna chiusura con “Marche Noir”, antologia di storie noir ambientate nelle Marche, una delle regioni d’Italia considerate più tranquille e con il duo Fenicioli-Riganelli, fisarmonicisti musicisti di fama internazionale, che ci hanno trasportato sulle note dell’eleganza e della passionalità del tango. 13 settembre: protagonista, stavolta, è stato il direttore Lino Palanca che ha presentato Le undici di notte e l’aria oscura. Canti popolari, filastrocche e altro tra Potenza e Musone, volume di canti popolari delle basse valli del Potenza e del Musone, canti religiosi, canzoni politiche, di guerra e di protesta sociale, ninne nanne, stornelli, dispetti e anche di filastrocche, favole e indovinelli. Una minuziosa ricerca per far sì che le tradizioni canore delle popolazioni del nostro territorio non vengano dimenticate da quei tanti giovani che erano soliti cantarle e affinché questo possa diventare anche un patrimonio per le nostre generazioni. Al suo interno, disegni firmati da Luciana Interlenghi e un CD prodotto dal gruppo folk La Fiumarella con incisa una decina di canti scelti tra quelli presenti nel testo. Grazie a Anna Ragaini per la sua relazione iniziale. 63 ATTIVITA’ LO SPECCHIO 28 settembre: Premio internazionale di Poesia ‘Città di Porto Recanati’, giunto alla XXIV edizione grazie soprattutto all’impegno dello stesso fondatore, il Professor Renato Pigliacampo, da due anni organizzato in collaborazione con l’Associazione Culturale Lo Specchio. La giuria ha valutato centinaia di lavori pervenuti da tutta Italia, e incentrati sui temi disabilità, emarginazione e altri aspetti dell’attualità. Dieci i poeti finalisti che hanno regalato al pubblico presente in sala il senso delle realtà di oggi, la possibilità di amare con finezza lessicale, un linguaggio melodioso e una sensibilità che ha riempito gli animi. 64 Anche il Prof. Pigliacampo ha condiviso il suo messaggio: ”Coloro che hanno un handicap possono, anzi, devono diventare protagonisti. Devono aprire una porta nel mondo con l’amore, con il rispetto”. Le poesie dei concorrenti sono state lette da Giuseppe Russo, che ha saputo interpretare in maniera magistrale il loro significato, e impreziosite dall’esibizione musicale al piano del Maestro Gianni Giudici, tastierista di fama mondiale. Un semplice e chiaro esempio di manifestazione culturale di straordinario valore, capace di diffondere un messaggio universale per una crescita morale, culturale, civica, della comunità locale e, attraverso di essa, della comunità nazionale. Per il 2014 desideriamo proseguire su questa strada, promuovere nuove iniziative e la nostra presenza sul territorio incentivando il dialogo e la collaborazione con Istituzioni e operatori culturali a noi vicini. L’intento che ci anima è, come di consuetudine, quello di portare la nostra passione, il nostro senso di comunità e il nostro rispetto verso le tematiche odierne, le nostre tradizioni e la nostra storia. Per fare ciò desideriamo coinvolgervi. I nostri incontri sono fonte di conoscenza, di scambio di opinioni, di idee, e finora non hanno mancato di suscitare emozioni, grandi sorrisi e scroscianti applausi. ATTIVITA’ LO SPECCHIO CAMPAGNA 2014 MI ASSOCIO ! PERCHE’ MI INTERESSO DI … P ambiente, musica, letteratura, salute, arte, cinema, economia, sport, storia, territorio, architettura, problematiche sociali, fotografia.... PERCHE’ VOGLIO FARE rete con Lo Specchio, perché realizza cultura e informazione di qualità per il nostro territorio. ASSOCIAZIONE CULTURALE LO SPECCHIO C oncludendo il percorso annuale l’Associazione culturale Lo Specchio dà appuntamento fin da subito al 2014. Se ti interessi di ambiente, cultura, territorio, musica, arte, architettura, problematiche sociali … dunque sei un cittadino attivo, non perdere l’occasione e inserisciti anche tu nella “rete” collaborando con Lo Specchio. Una rivista di qualità e un sito interattivo accoglieranno le tue riflessioni inserendoti in un circuito dai mille volti… Anche il tuo sguardo è fondamentale per costruire insieme un’informazione di qualità per il nostro territorio! Non perdere questa occasione e sottoscrivi la tua adesione contattando l’indirizzo info@ associazionelospecchio.it o seguendo le indicazioni riportate nel sito www.specchiomagazine.it. SABATO 14 DICEMBRE ore 17,30 S Raccolta e rinnovo sottoscrizione all’Associazione Lo Specchio Inaugurazione Mostra Fotografica “Prospettive a 360°” Presentazione di “SCUOLA IN RETE” portale e supplemento dello Specchio Magazine dedicato alla scuola R Raccolta e rinnovo sottoscrizione all’Associazione Lo Specchio CABARET VOLTAIRE: DJ SET CON DJ MEGMA, selezione di new wave, post-punk, industrial ed ebm. sonorità tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli '80. “Non è il momento di rilassarsi" R DOMENICA 15 DICEMBRE dalle ore 17,30 s “ CAMPAGNA SOCI 2014 14-15 DICEMBRE 2013 Sala Biagetti, Castello Svevo Porto Recanati Ti aspettiamo!! MI ASSOCIO ! 65 LO SPECCHIO SUPPORTA “LO SPECCHIO MAGAZINE” fai una donazione all’Associazione Culturale Lo Specchio MAGA ZINE VOGLIO SOSTENERE LO SPECCHIO MAGAZINE Lo Specchio Magazine è qualcosa di completamente diverso da un sito di informazione commerciale. È il risultato del lavoro di una comunità, scritta da volontari con la loro competenza, conoscenza e amore per il territorio. Anche tu fai parte della nostra comunità. E ti invitiamo per chiederti di sostenere il nostro progetto “Lo Specchio Magazine”. Insieme possiamo riuscire a mantenerla gratuita e libera. Possiamo riuscire a farlo vivere in modo che tutti possano usare le informazioni che contiene e far conoscere, in maniera approfondita e libera, il nostro territorio. Possiamo farla continuare a crescere, a farle diffondere informazione e cultura e a mantenerla aperta alla partecipazione di tutti. Vanni Semplici, Presidente Associazione Culturale Lo Specchio Donazione con bonifico bancario BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI RECANATI E COLMURANO IBAN: IT/06/H/08765/69110/000040115617 Intestato a: Associazione Culturale Lo Specchio È possibile donare all’Associazione Culturale Lo Specchio tramite Pay Pal, carta di credito, bonifico bancario sul sito www.specchiomagazine.it I NOSTRI SUPERMERCATI ® ZIPPILLI Via Mazzini, 7/13 - PORTORECANATI (MC) Tel/Fax 071 9799198 FARMACIA COMUNALE PIAZZA F.lli BRANCONDI, 48 TEL. 071.9799028 - FAX 071.7590562 SUCCURSALE ESTIVA LOC. SCOSSICCI, VIA COLOMBO 41 TEL.071.9798222 PORTO RECANATI (MC) OMEOPATIA FITOTERAPIA DIETETICI BIEFFE SRL via Mariano Guzzini, 38 62019 RECANATI (MC) tel. 071.7578017 fax 071.7578021 www.graficabieffe.it