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Quale futuro per la funzione sociale della proprietà? Abbandonare

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Quale futuro per la funzione sociale della proprietà? Abbandonare
Bocconi University
From the SelectedWorks of Bocconi Legal Papers
March, 2013
Quale futuro per la funzione sociale della
proprietà? Abbandonare Weimar per tornare a
Locke?
Geo Magri
Available at: http://works.bepress.com/bocconi_legal_papers/40/
Bocconi Legal Papers
A Student-Edited Journal
http://bocconilegalpapers.org
QUALE FUTURO PER LA FUNZIONE SOCIALE DELLA PROPRIETÀ? ABBANDONARE
WEIMAR PER TORNARE A LOCKE?
Geo Magri
BOCCONI LEGAL PAPERS
This paper can be downloaded without charge from
Bocconi Legal Papers
http://bocconilegalpapers.org
Bocconi Legal Papers (http://bocconilegalpapers.org),
rivista giuridica edita dagli studenti della Bocconi School of Law
1
QUALE FUTURO PER LA FUNZIONE SOCIALE DELLA
PROPRIETÀ? ABBANDONARE WEIMAR PER TORNARE A
LOCKE?
Geo Magri
SOMMARIO
I. INTRODUZIONE .................................................................................................................... 3
II. EVOLUZIONE DELL’IDEA DI PROPRIETÀ. DAL DIRITTO EX IURE QUIRITIUM
ALL’ARTICOLO 832 DEL CODICE CIVILE ITALIANO ................................................................. 4
III.
PROPRIETÀ E COSTITUZIONI.......................................................................................... 9
A. GLI STATI UNITI.................................................................................................................. 9
B. LA FRANCIA....................................................................................................................... 10
C. LA GERMANIA ................................................................................................................... 12
D. L’ITALIA ............................................................................................................................ 13
IV.
LA FUNZIONE SOCIALE: UNA NUOVA VESTE DELLA PROPRIETÀ? ........................... 15
V. LA PROPRIETÀ DI FRONTE ALLA CORTE COSTITUZIONALE......................................... 20
VI.
C’È UN GIUDICE A STRASBURGO.................................................................................. 23
VII. PROPRIETÀ E UNIONE EUROPEA ................................................................................ 29
VIII.
IL DIRITTO DI PROPRIETÀ OGGI: DIRITTO FONDAMENTALE O CONFORMATO? 31
Bocconi Legal Papers (http://bocconilegalpapers.org),
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I. INTRODUZIONE
Recentemente la funzione economico-sociale della proprietà è tornata al centro del
dibattito dottrinale1. Causa scatenante di questa rinascita di attenzione è dovuta ad una
giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo conflittuale con la prassi
italiana in materia di espropri, e ad una presunta maggiore dignità che le norme europee
riserverebbero al diritto di proprietà e contrastante con le previsioni della costituzione
italiana.
La rilevanza della questione proprietaria nell’attuale dibattito giuridico emerge con tutta
evidenza anche dal tema dei c.d. “beni comuni”. Si tratta di beni che, per la loro
peculiare funzione, devono essere sottratti alla gestione individuale e assegnati alla
collettività. Il tema dei beni comuni è stato introdotto in tempi piuttosto recenti, prima
dal progetto di riforma del libro III del codice civile presieduta dal Prof. Rodotà2, poi dai
referendum sulla privatizzazione dell’acqua.
È stato proprio con il referendum del 13 giugno 2011 che i beni comuni hanno assunto
particolare centralità nel dibattito scientifico. I promotori del referendum hanno infatti
individuato, proprio nell’acqua, il prototipo della categoria “beni comuni”.
Scopo del presente lavoro non è tanto quello di inserirsi nella discussione sulla validità
della categoria giuridica “beni comuni”, quanto piuttosto quello di ricostruire la nozione
di funzione sociale della proprietà, individuandone l’origine, seguendone l’evoluzione e
* Wissenschaftlicher Mitarbeiter für italienisches Recht Universität Osnabrück, Lehrstuhl Prof. von Bar.
Email: [email protected]
1 Oltre a molteplici saggi e monografie, il tema della proprietà quale diritto costituzionalmente rilevante è
stato oggetto di almeno due importanti convegni. Il primo (i cui atti sono reperibili al seguente indirizzo
online http://principi-ue.unipg.it/), organizzato nel 2011 dall’Università di Perugia, sebbene dedicato più
in generale al “Diritto civile e principi costituzionali europei ed italiani”, ha riservato ampi spazi al diritto
di proprietà ed ai suoi risvolti pubblicistici. Il secondo si è invece tenuto nel novembre 2012 presso
l’Università degli Studi di Milano ed ha avuto come tema centrale proprio quello della proprietà nel XXI
secolo. Il titolo del convengo ben sintetizza il tema discusso “Fra individuo e collettività. La proprietà nel
secolo XXI”. Il convegno milanese è stata l’occasione di sviluppare in maniera approfondita e sotto diverse
visuali giuridiche, l’evoluzione del diritto di proprietà nel secolo presente.
2 Una relazione del progetto e l’articolato di riforma sono reperibili sul sito del ministero della Giustizia
all’indirizzo http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?contentId=SPS47617. Ai nostri fini
assume particolare rilievo il punto 3 lettera c) della proposta secondo il quale sarebbe opportuna la
«Previsione della categoria dei beni comuni, ossia delle cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio
dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. I beni comuni devono essere tutelati e
salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. Titolari di beni
comuni possono essere persone giuridiche pubbliche o privati. In ogni caso deve essere garantita la loro
fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge. Quando i titolari sono persone
giuridiche pubbliche i beni comuni sono gestiti da soggetti pubblici e sono collocati fuori commercio; ne è
consentita la concessione nei soli casi previsti dalla legge e per una durata limitata, senza possibilità di
proroghe. Sono beni comuni, tra gli altri: i fiumi i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; i
parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le
nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i
beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate. La disciplina dei beni
comuni deve essere coordinata con quella degli usi civici. Alla tutela giurisdizionale dei diritti connessi
alla salvaguardia e alla fruizione dei beni comuni ha accesso chiunque. Salvi i casi di legittimazione per la
tutela di altri diritti ed interessi, all’esercizio dell’azione di danni arrecati al bene comune è legittimato in
via esclusiva lo Stato. Allo Stato spetta pure l’azione per la riversione dei profitti. I presupposti e le
modalità di esercizio delle azioni suddette saranno definite dal decreto delegato».
In dottrina si vedano Ugo MATTEI, Beni Comuni, Bari Roma, 2012 e in senso critico Ermanno VITALE,
Contro i beni comuni, Bari Roma, 2013.
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cercando di comprendere se davvero essa sia giunta al suo crepuscolo, oppure, se,
proprio grazie al diritto europeo, non ci si trovi di fronte ad una sua semplice
evoluzione. In ultima analisi, la domanda che intendiamo porci è se, attualmente, la
proprietà sia tornata ad essere un diritto dell’uomo, come era ai tempi della Déclaration
des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789, oppure se la nozione di proprietà come
strumento in mano al singolo, ma funzionalizzato al raggiungimento del bene comune,
tramandataci da Weimar, non sia tramontata.
La ricerca prenderà origine da una rapida analisi del concetto civilistico di proprietà, in
particolare attraverso la lettura delle codificazioni più significative. Terminata questa
prima fase, sarà possibile concentrarci sulle principali Costituzioni europee, per
verificare quale sia lo status del diritto di proprietà che esse designano. Nell’ultima parte
della ricerca si analizzerà invece in quale rapporto tra loro si pongono il diritto italiano e
quello europeo (con riguardo sia all’UE, che alla CEDU) alla funzione economicosociale della proprietà. In particolare la domanda alla quale si dovrà rispondere sarà la
seguente: davvero il riconoscimento della proprietà quale diritto fondamentale in
Europa ha segnato la fine della funzione economico sociale e la conseguente necessitata
disapplicazione dell’articolo 42 della Costituzione?
II. EVOLUZIONE DELL’IDEA DI PROPRIETÀ. DAL DIRITTO EX IURE QUIRITIUM
ALL’ARTICOLO 832 DEL CODICE CIVILE ITALIANO
Sappiamo che il diritto romano3 riconduceva la proprietà, nella sua forma più nobile di
dominium ex iure Quiritium, al pater familias, che aveva la piena potestà sulle cose e le
persone rientranti nel suo patrimonio4. Dòmini ex iure Quiritium potevano essere,
almeno in epoca arcaica, solo i cives. Il diritto di proprietà era pressoché illimitato, si
estendeva usque ad sidera et usque ad inferos e ricomprendeva la possibilità di
distruggere la cosa per mero capriccio (ius utendi, fruendi et abutendi). Il dominium ex
iure Quiritium, almeno all’origine, non conosceva espropri o tributi5.
Le cose cambiano radicalmente nel medioevo. L’assolutezza della proprietà quiritaria si
sgretola, sostituita dal dominio «eminente» del signore e da una serie di domini «utili»
dei suoi sottoposti6. La proprietà diviene una struttura complessa, frutto di rapporti
intrecciati tra soggetti legati in un sistema gerarchico7. Sovrano, vassalli, censuari,
fittavoli, Chiesa (per la riscossione delle decime) e collettività locali (per gli usi civici)
sono i soggetti che traggono godimento da una proprietà immobiliare, che, di fatto, non
può circolare.
Ciò pare non corrispondere a quanto avveniva in epoca arcaica, quando la proprietà dei terreni era
tribale o collettiva, cfr. John M. KELLY, Storia del pensiero giuridico occidentale, Bologna, 1996, p. 105.
4 Pietro BONFANTE, Istituzioni di diritto romano, Torino, IX ed., 1931, p. 249 ss.; Vincenzo ARANGIO-RUIZ,
Istituzioni di diritto romano, Napoli, XIV ed., 1968, p. 174 ss.
5 Cfr. Andrea GUARINO, Profilo del diritto romano, Napoli, 1994, p. 146.
6 Carlo CASTRONOVO – Salvatore MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, vol. II, Milano 2007, p.
28.
7 Robert Joseph POTHIER, Trattato del diritto e dominio di proprietà, Livorno 1848, p. 4, il quale
osservava che «riguardo ai fondi tenuti in feudo o a censo, distinguosi due specie di dominio, il dominio
diretto, ed il dominio utile». Il dominio diretto era quello appartenente al proprietario del feudo, mentre il
dominio utile era quello spettante a chi materialmente sfruttava il fondo, con l’obbligo, però, di
riconoscerne l’altrui proprietà.
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Si è osservato8 che la «struttura piramidale» della proprietà non rispecchierebbe altro
che «l'anima cristiana dell'Europa medievale», anima che poneva all'apice di tutto Dio,
che, parafrasando Händel, era Re dei Re e Signore dei Signori. Conseguentemente
«tutte le cose esistenti in natura, opera della creazione divina, appartengono a Dio, che
ne concede il godimento agli uomini affinché possano fruirne per i loro bisogni, senza
però abusarne»9.
Una simile costruzione della società si protrasse sino al 1789, quando la rivoluzione
borghese, laica e antifeudale, liberò dai vincoli la proprietà e la riconsegnò al
proprietario.
Arriviamo così alle codificazioni di diritto moderno, figlie dell’illuminismo e del
giusnaturalismo10, ed al ritorno, al centro della scena, dell’individuo. Centralità
dell’individuo è sinonimo di centralità del diritto di proprietà11.
Non sorprende quindi leggere all’art. 544 del Code Napolèon, codice figlio
dell’illuminismo borghese per antonomasia12, che: «La propriété est le droit de jouir et
Antonio LA TORRE, I rapporti patrimoniali nella giurisprudenza costituzionale. Dalla proprietà
quiritaria alla funzione sociale, in Giust. Civ., 2007, II, p. 481.
9 Può essere di qualche interesse richiamare il pensiero dei padri della Chiesa, per i quali la proprietà
privata non era conforme a natura, poiché la natura riservava a tutta l’umanità le sue risorse, ma frutto
delle leggi dell’uomo.
A questo principio Agostino aggiunse un importante corollario. Se la proprietà privata è frutto delle leggi
dell’uomo, allora quelle stesse leggi possono abolirla, senza che la cosa sia in contrasto con le leggi divine.
Sul tema cfr. John M. KELLY, op. cit., 142 ss. Il Decretum Gratiani (XII secolo) riaffermava la prima
dottrina cristiana, che voleva la proprietà comune a tutti gli uomini, mentre la proprietà privata doveva
essere in realtà considerata come frutto del peccato, che aveva intaccato i rapporti umani con i concetti di
“mio” e “tuo” (Cfr. D. 8, 1; C. 12, qu 1. C. 2 «per iniquitatem alius hoc dixit esse suu* (controllare la
citazione, presumo sia «suum » ), et alius istud»). Altri pensatori del XIII.mo secolo (Guglielmo di
Auxerre e Alessandro di Hales) rifiutarono questa ricostruzione osservando come la proprietà fosse,
invece, da considerare giustificata dal diritto naturale, poiché presupposta dal comandamento non rubare.
La tesi fu poi ripresa anche da Accursio e Azzone (cfr. John M. KELLY, op. cit., 195).
La proprietà è ancora oggi considerata un diritto naturale in alcune carte costituzionali europee, come ad
esempio, quella irlandese (cfr. Rita ROLLI, op. cit., p.1036)
La netta opposizione alla proprietà privata ed all’accumulo di ricchezze fu un dato comune dei pensatori
protestanti, i quali, in contrasto con l’accumulo di ricchezze da parte della chiesa cattolica, predicavano
una forma di comunitarismo dei beni, cfr. John M. KELLY, op. cit., 249
10 Hugo GROZIO, De iure belli et pacis, 2, 2, 2, 1 osserva che, dopo il diluvio, le cose formavano un’eredità
comune a tutti gli uomini; tale eredità comune è stata successivamente oggetto di occupazione da parte
dei singoli, che per convenzione hanno così acquistato proprietà private (evidente il riferimento
all’occupatio che Gaio considerava istituto di diritto naturale). Nei «dibattiti di Putney» del 1647 Ireton
sottolineava il diritto naturale ad ereditare ed alla conservazione della proprietà cfr. John M. KELLY, op.
cit. 289. Locke fece un passo ulteriore considerando la tutela della proprietà, frutto del lavoro dell’uomo, il
motivo per cui si istituiva la società tra gli uomini cfr. John M. KELLY, op. cit. 290.
11 Ci pare rilevante segnalare come Rousseau si sia espresso in termini quanto meno critici con riguardo
alla proprietà privata. Nel suo Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini, trad.
it., Roma, 1968, 133 egli affermò che: «Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire questo è mio
e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti
delitti, quanti assassinii, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i
paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare questo impostore!
Siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno».
12 Interessanti le osservazioni sui legami tra il Code Napolèon e l’ancien régime evidenziati da Paolo
GROSSI, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, in Quaderni fiorentini, n. XVII; 1988, p.
360 ss., in specie p.416 ss.
Rita ROLLI, La proprietà come diritto dell’uomo?, in Contratto e impresa, 2011, p. 1033, parla, con
riferimento all’articolo 544 di «un’autentica rivoluzione, ossia di un processo di astrazione e unificazione
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disposer des choses de la manière la plus absolue, pourvu qu'on n'en fasse pas un usage
prohibé par les lois ou par les règlements»13. La regolamentazione della proprietà
contenuta nel codice napoleonico è salutata dalla dottrina come una riunificazione delle
molteplici forme di appartenenza in un unico concetto unitario di proprietà14.
La formulazione del diritto ci porta indietro ad una concezione della proprietà simile a
quella del diritto romano. Non è un caso che Pothier, dal quale la definizione del Codice
evidentemente deriva, definisse la proprietà: il diritto che il proprietario ha, «di disporre
a suo grado di una cosa, senza però ledere l’altrui diritto, né contravvenire alle leggi, jus
de re libere disponendi, o jus utendi et abutendi»15, con un evidente richiamo alla
concezione che di essa aveva il diritto quiritario.
Definizioni analoghe le leggiamo nelle altre codificazioni di ispirazione giusnaturalistica.
Ad esempio, nel Codex Maximilianeus Bavaricus del 1756 (Cap. 2 §1) la proprietà è
definita come il potere («Macht und Gewahlt») del singolo di disporre in modo libero e
senza vincoli, di una cosa, nei limiti circoscritti dalla legge o dai regolamenti. L’ALR
prussiano definisce nel §1 del titolo ottavo Eigenthümer colui che ha lo ius excludendi
alios dal godimento della cosa o del diritto; mentre al § 10 dello stesso titolo, troviamo
scritto che «das Recht, über die Substanz der Sache zu verfügen, wird Proprietät
genannt»16. Per il § 354 dell’ABGB austriaco «la proprietà considerata come diritto è la
facoltà di disporre a piacimento e ad esclusione di ogni altro della sostanza e degli utili
di una cosa».
I codici dell’ottocento sono i codici della borghesia al potere; normale, quindi, che
ruotino intorno ad essere (l'individuo) e avere (la proprietà) e che l’essere venga
considerato anche e soprattutto in funzione di quello che ha. La proprietà ritorna ad
essere il diritto fondamentale intorno al quale ruota tutto il resto dell’ordinamento.
Le cose cambiano in fretta e si passa, attraverso la rivoluzione industriale, da una
rivoluzione borghese a quella socialista di inizio ´900. Il passaggio, veloce per la società,
è più graduale per il diritto. Pare utile, però, osservare come il codice che chiude l`800
inaugurando il 900, ossia il BGB, affronti il tema della proprietà in modo radicalmente
di una pluralità di diritti, tutti affermati come diritti di proprietà: il dominium eminens, come diritto del
re di fare tutto ciò che gli piacesse sulle cose del regno secondo una concezione privatistica dello Stato; il
dominium directum, spettante all’aristocrazia feudale, consistente nel pretendere le rendite dalle cose
esistenti nel feudo; il dominium utile, come proprietà borghese coincidente con la facoltà di godere e
disporre delle cose».
13 Articolo che può essere tradotto in italiano in questo modo: la proprietà è il diritto di godere e di
disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso proibito dalle leggi o dai
regolamenti.
Già Luigi XVI, in occasione della seduta reale del 23 giugno 1789, ebbe ad affermare che «toutes les
propriétés sans exception seront constamment respectées», riconoscendo, evidentemente, che anche il
sovrano riconosceva, nel diritto del proprietario, un limite alla sua discrezionalità.
14 Cfr. Antonio Iannarelli – Francesco Macario, Commentario del Codice Civile, vol. I, della Proprietà,
Torino, 2012, p. 307s. e Carlo ARGIROFFI, Delle azioni a difesa della proprietà, in Commentario al codice
civile (dir. Busnelli), Milano, 2011, p. 128 ss. L’unitarietà come caratteristica del diritto di proprietà è
enunciata anche in Bernhard WINDSCHEID, Lehrbuch des Pandektenrechts, III ed., tomo I, Düsseldorf,
1873, p. 464.
15 POTHIER, op. loc. cit., Philippe Antoine MERLIN, voce Propriété, in Répertoire universel et raisonné de
jurisprudence, tomo X, III ed., Garnery, 1809, p. 193 ss.
16 Che tradotto letteralmente significa: “Il diritto di disporre sopra la sostanza della cosa viene denominato
proprietà”. Da notare come il legislatore prussiano utilizzasse il sostantivo di origine latina “Proprietät”,
anziché quello di matrice germanica “Eigentum”.
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diverso rispetta al codice francese17. Anche il BGB è un codice tradizionalmente definito
borghese, ma in esso scompare la definizione del diritto di proprietà e leggiamo (§ 903
Abs. 1) che «Der Eigentümer einer Sache kann, soweit nicht das Gesetz oder Rechte
Dritter entgegenstehen, mit der Sache nach Belieben verfahren und andere von jeder
Einwirkung ausschließen»18. Si potrebbe affermare che il BGB ripropone, in un'altra
veste, la formula francese. Ci sono, però, due aspetti della norma, che meritano di essere
sottolineati. Innanzitutto, il soggetto diviene il proprietario, non più il diritto di
proprietà. In secondo luogo, mi pare che la norma ponga l’accento, più che
sull’assolutezza del diritto, sulla sua limitabilità. Non è un caso che i paragrafi 904, 905
e 906 immediatamente successivi contengano un’elencazione delle cose che il
proprietario può o non può fare19.
Sulla scia della codificazione tedesca si muove anche quella italiana. L’articolo 832 del
nostro codice civile afferma che «il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose
in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti
dall'ordinamento giuridico». Abbastanza evidente l’emancipazione dalla definizione
contenuta nell’articolo 346 del codice del 1865, che, ricalcando il Code Napolèon,
recitava: «La proprietà é il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più
assoluta, purchè non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti». Il
proprietario può godere e disporre in «modo pieno ed esclusivo», ma non più «nella
maniera più assoluta» e comunque osservando «limiti e … obblighi stabiliti
dall'ordinamento giuridico»20.
La proprietà è limitata e il proprietario è tenuto al rispetto di precisi obblighi di non
facere o di pati. Ma vi è di più. Il codice contiene una disposizione in forza della quale,
Osservazioni grosso modo analoghe sono espresse da LA TORRE, op. cit. Para 7
Ossia “il proprietario di una cosa può, a meno che non si oppongano la legge o i diritti di terzi, agire su
di essa a proprio piacimento ed escludere gli altri dal godimento”.
19 Si riporta qui di seguito il testo dei paragrafi 904, 905, 906 e 907, nel testo originale del 1900: Ǥ904
Der Eigentümer einer Sache ist nicht berechtigt, die Einwirkung eines anderen auf die Sache zu verbieten,
wenn die Einwirkung zur Abwendung einer gegenwärtigen Gefahr notwendig und der drohende Schaden
gegenüber dem aus der Einwirkung dem Eigentümer entstehenden Schaden unverhältnismäßig groß ist.
Der Eigentümer kann Ersatz des ihm entstehenden Schadens verlangen.
§905 Das Recht des Eigentümers eines Grundstücks erstreckt sich auf den Raum über der Oberfläche und
auf den Erdkörper unter der Oberfläche. Der Eigentümer kann jedoch Einwirkungen nicht verbieten, die
in solcher Höhe oder Tiefe vorgenommen werden, dass er an der Ausschließung kein Interesse hat.
§906 Der Eigentümer eines Grundstücks kann die Zuführung von Gasen, Dämpfen, Gerüchen, Rauch,
Ruß, Wärme, Geräusch, Erschütterungen und ähnliche von einem anderen Grundstück ausgehende
Einwirkungen insoweit nicht verbieten, als die Einwirkung die Benutzung seines Grundstücks nicht oder
nur unwesentlich beeinträchtigt oder durch eine Benutzung des anderen Grundstücks herbeigeführt wird,
die nach den örtlichen Verhältnissen bei Grundstücken dieser Lage gewöhnlich ist. Die Zuführung durch
eine besondere Leitung ist unzulässig.
§907 Der Eigentümer eines Grundstücks kann verlangen, dass auf den Nachbargrundstücken nicht
Anlagen hergestellt oder gehalten werden, von denen mit Sicherheit vorauszusehen ist, dass ihr Bestand
oder ihre Benutzung eine unzulässige Einwirkung auf sein Grundstück zur Folge hat. Genügt eine Anlage
den landesgesetzlichen Vorschriften, die einen bestimmten Abstand von der Grenze oder sonstige
Schutzmaßregeln vorschreiben, so kann die Beseitigung der Anlage erst verlangt werden, wenn die
unzulässige Einwirkung tatsächlich hervortritt.
Bäume und Sträucher gehören nicht zu den Anlagen im Sinne dieser Vorschriften».
20 Natalino IRTI, La cultura del diritto civile, Torino, 1990, 5 definì la codificazione del 1865 come la
«carta fondamentale della borghesia e statuto della proprietà terriera». Per Alberto DONATI, I valori della
codificazione civile, Padova, 2009, 114 e 115, il codice del ’65 non era il codice della proprietà, ma delle
proprietà, posta la frammentarietà di diritti riconducibili alla schema proprietario.
17
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qualora il proprietario non sfrutti convenientemente un proprio bene, pregiudicando la
produzione nazionale, può essere espropriato (art. 838). Ecco che, almeno in questo
caso, scompare, senza ombra di dubbio, lo ius utendi et abutendi, nel quale rientra
anche la facoltà di non usare il bene. Altra norma, indice del crepuscolo dell’assolutezza,
è l’articolo 833. Sebbene la norma sia di scarsa importanza pratica, essa ha un valore
teorico notevole, dal momento che vieta al proprietario di usare la cosa per finalità, che,
non avendo utilità alcuna, abbiano il solo scopo di arrecare molestie. Nel progetto
ministeriale di codice civile era presente una suddivisione tra i beni che interessano la
produzione ed i beni che servono solo all’uso individuale; tale suddivisione è poi stata
abbandonata in favore di quella che era contenuta nell’abrogato articolo 811, in forza del
quale i beni sono sottoposti alla disciplina corporativa in relazione alla loro funzione
sociale21. Insomma, prime evidenze del fatto che il concetto di funzione economicosociale era ben presente ai redattori del codice22.
Un’altra osservazione pare decisiva nel rilevare il superamento della centralità del
diritto di proprietà. La codificazione francese, tributaria della filosofia illuministica e
dell’influenza kantiana23, è sostanzialmente divisa tra proprietà (livre II des biens et des
differénts modification de la proprieté) e le differenti modalità attraverso le quali essa si
acquista (livre III, des différents manières dont on acquis la propriété, nel quale sono
disciplinate, tutte insieme, successioni, donazioni, obbligazioni e contratti),
dimostrando, con evidenza, che il centro gravitazionale del Code era la proprietà24.
Diverso l’approccio del BGB e del codice italiano del ´42, i quali mettono sullo stesso
piano successioni, obbligazioni e proprietà. Se la cosa può apparire ad una frettolosa
lettura del codice civile italiano come una conseguenza della commercializzazione del
diritto civile, il fatto che la stessa suddivisione fosse già presente nella codificazione
tedesca ci sembra attestare come, già a fine Ottocento, il fare avesse assunto
un’importanza pari all’avere, offuscandone la centralità per il diritto.
Il definitivo tramonto della sacrale assolutezza della proprietà è attestato in un celebre
scritto del Pugliatti25, nel quale il concetto di proprietà è declinato al plurale, a
sottolineare come il vecchio dominio assoluto del proprietario abbia lasciato spazio a un
fascio di diritti più limitati. Dunque, non più la Proprietà, ma le proprietà.
Mariano D’AMELIO, in Codice civile, Libro della proprietà, Commentario, Firenze, 1942, p. 14.
Un riferimento esplicito alla funzione economico-sociale era già contenuto nell’articolo 811 c.c. il cui
testo, abrogato dal Decreto legislativo luogotenenziale 14/09/1944 n. 287, G.U. 09/11/1944 n. 79,
disponeva: «I beni sono sottoposti alla disciplina dell’ordinamento corporativo in relazione alla loro
funzione economica ed alle esigenze della produzione nazionale».
23 Secondo Kant, la tutela della proprietà è caratteristica tipica dello stato giuridico, mentre nello stato di
natura la tutela della proprietà, qualora esista, ha comunque un carattere provvisorio. Immanuel KANT,
Primi principi metafisici della dottrina del diritto, Bari – Roma, 2005, 99 e ss.
24 La centralità della proprietà è caratteristica tipica della codificazione napoleonica. La sistematica del
Code è, infatti, ignota tanto al Codex Maximilianeus, quanto all’ALR prussiano.
Il codice più simile alla suddivisione francese è l’ABGB austriaco, che è suddiviso in tre parti: persone,
diritti reali e disposizioni comuni sulla costituzione, regolamentazione ed estinzione dei rapporti giuridici.
25 Il riferimento è ovviamente a Salvatore PUGLIATTI, La proprietà e le proprietà in Id. La proprietà nel
nuovo diritto, Milano, 1954. Invero il ricorso al termine “le proprietà” al plurale, non fu un’invenzione di
Pugliatti. Esso fu espressamente introdotto dalla Constitution francese del 1791 (Titre II, art. 3, alinéa 4) e
successivamente ripreso dalla Constitution del 1795 (Titre XIV, Dispositions généeales, art. 358). Cfr.
Alberto DONATI, op. cit., 2009, 113 e s., il quale, peraltro, osserva come, già il codice del 1865, fosse un
codice delle proprietà.
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Concludendo questa breve e necessariamente lacunosa ricostruzione storica, possiamo
riassumere la storia della proprietà in questo modo: la proprietà si è adeguata, come
ogni istituto giuridico, all’evoluzione dell’uomo. Ecco, quindi, che sino a quando l’uomo
è stato agricoltore, la proprietà era il cardine attorno al quale tutto ruotava, in quanto
dalla terra proveniva il sostentamento. L’unico confine che la proprietà aveva, stava
nella proprietà del vicino, che, in forza del principio del neminen laedere, non poteva
essere violata.
Non appena l’uomo si è emancipato dalla sudditanza alla terra e dall’individualismo
proprio del mondo agricolo, per vivere in una società attiva, a stretto contatto con altri
individui, la proprietà, vincolata soltanto dal neminen laedere non era più sufficiente.
Essa prende ad essere declinata in un’accezione diversa e solidaristica. La proprietà non
è più solo un diritto del singolo, ma deve essere funzionalizzata all’interesse collettivo
della società nella quale l’individuo vive.
III.
PROPRIETÀ E COSTITUZIONI
A. Gli Stati Uniti
La proprietà assume rilievo costituzionale già a fine 1700. Basti pensare agli
emendamenti 5 e 14 della Costituzione americana. Il quinto emendamento riconosce il
diritto ad un due process of law in tutti quei casi in cui sia in gioco il diritto alla
proprietà, diritto che entra così nel Bill of Rights, tanto che la dottrina parla di un
“economic due process”26. Merita soffermarsi brevemente sul testo di questi
emendamenti. Il quinto recita: «No person shall be held to answer for a capital, or
otherwise infamous crime, unless on a presentment or indictment of a Grand Jury,
except in cases arising in the land or naval forces, or in the Militia, when in actual
service in time of War or public danger; nor shall any person be subject for the same
offence to be twice put in jeopardy of life or limb; nor shall be compelled in any criminal
case to be a witness against himself, nor be deprived of life, liberty, or property, without
due process of law; nor shall private property be taken for public use, without just
compensation». Il quattordicesimo, introdotto nel 1868, alla section I, riprendendo il
testo del quinto, dispone: «all persons born or naturalized in the United States and
subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of the State
wherein they reside. No State shall make or enforce any law which shall abridge the
privileges or immunities of citizens of the United States; nor shall any State deprive any
person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person
within its jurisdiction the equal protection of the laws».
Le disposizioni richiamano, con tutta evidenza, la filosofia lockiana alla quale la
costituzione americana è largamente tributaria27. Secondo Locke, gli individui, che
vivono originariamente allo stato di natura, accettano di sottoscrivere un contratto
sociale, in cambio della protezione di vita, libertà e proprietà28.
Cfr., John M. SCHEB e Otis H. STEPHENS Jr., American Constitutional Law, Vol. II, Civil Rights and
Liberties, 5 ed., Boston, 2011, 83 e ss.
27 Cfr., John M. SCHEB e Otis H. STEPHENS Jr., op. cit., 78.
28 Maggiori dettagli in Matthew H. KRAMER, John Locke and the origins of private property, Cambridge
University Press, 1997.
26
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Diritti che la costituzione americana riconosce e tutela come inviolabili, se non in
seguito ad un equo processo e, nel caso della proprietà, comunque, previa
corresponsione di un giusto compenso.
Anche negli USA la sacralità della proprietà e dei diritti economici contenuti nel Bill of
Rights ha vissuto periodi altalenanti. In una prima lunga fase, la c.d. “age of laissez faire
activism”, culminata nella dottrina Lochner (dalla pronuncia Lochner vs New York29),
le Corti utilizzavano le disposizioni costituzionali per limitare gli interventi economici
dello Stato che danneggiassero i privati.
L’approccio giurisprudenziale è, però, radicalmente cambiato, forse più per
un’autoritaria imposizione politica30, che per una reale convinzione giuridica, con il
New Deal rooseveltiano ed oggi vive in una fase a metà tra New Deal e ritorno alla
dottrina Lochner. Per cui possiamo ritenere che attualmente, anche negli Stati Uniti, si
sia abbandonata la vena individualista ed ultraliberale, che connotava la prima fase
costituzionale e si siano riconosciuti dei limiti ai diritti dei singoli in funzione sociale.
B. La Francia
Nella Déclaration des Droits de l’home et du Citoyen del 1789, la proprietà viene
menzionata tra i diritti naturali dell’uomo (art. 2): «Le but de toute association politique
est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l’Homme. Ces droits sont la
liberté, la propriété, la sûreté et la résistance à l’oppression»31, ma, all’articolo 17,
contenente una disciplina di maggior dettaglio, l’assolutezza del diritto comincia a
Tale pensiero ci sembra riecheggia ancora nella nota frase che Lord Chatman pronunciò, davanti al
Parlamento inglese, nel corso di un dibattito sull'uso delle garanzie. Egli ebbe a dire: «The poorest man,
may, in his cottage, bid defiance to all the forces of the Crown. It may be frail; its roof may shake; the wind
may blow through it; the storm may enter; the rain may enter; but the King of England may not enter; all
his forces dare not cross the threshold of the ruined tenement», cfr. Thomas COOLEY, A treatise on the
constitutional limitation, Boston, II ed., 1871, 299, in specie nota 2.
29 Corte Suprema degli Stati Uniti, 23 febbraio 1905, Joseph Lochner, Plaintiff in Error v. People of the
State of New York, 198 U.S. 45 (1905). Sul caso Lochner e sulla sua influenza sul diritto americano si
veda: David E. BERNSTEIN, Rehabilitating Lochner, Defending Individual rights against progressive
reform, Chicago University Press, 2011, in specie 23 ss. e Michael J. PHILLIPS, The Lochner Court, Myth
and Reality, Greenwood Press, 2001, 31 ss.
30 L’evoluzione della giurisprudenza della Corte Suprema è descritta in John W. Wertheimer, The “Switch
in Time” Beyond the Nine: historical memory and the constitutional revolution of the 1930s, in Studies
in Law, Politics, and Society, (Austin Sarat Ed.), vol. 53, Emerald Group publishing Ltd, 2010, 3 ss. Il
titolo dello scritto fa riferimento al modo di dire americano per descrivere il revirement giurisprudenziale
(switch in time saves nine). Roosvelt, infatti, minacciava di aumentare il numero dei giudici se la Corte
Suprema non avesse adottato una giurisprudenza più corrispondente ai suoi desideri politici. Lo
stratagemma, forse non completamente corrispondente ad una visione roussoiana della divisione dei
poteri, si rilevò, però, sorprendentemente efficace.
31 Ossia: “Lo scopo di tutte le associazioni politiche è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili
dell’essere umano. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza contro
l’oppressione”
La rilevanza del diritto di proprietà è successivamente confermata, con enunciazioni che già
preannunciano il contenuto del Code Napolèon, sia nell’articolo 16 della Constitution du 24 juin 1793
(Dèclaration des droits et devoirs de l’homme et du citoyen «Le droit de propriété est celui qui appartient
à tout citoyen de jouir et de disposer à son gré de ses biens, de ses revenus, du fruit de son travail et de son
industrie»), sia nella Troisene Dèclaration des droits et devoirs de l’homme et du citoyen (Préambule à la
Constitution du 5 fructidor an III – 22 août 1795), che, all’articolo 5, dispone: «La propriété est le droit de
jouir et de disposer de ses biens, de ses revenus, du fruit de son travail et de son industrie».
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vacillare e si riconosce allo Stato il diritto di espropriare: «La propriété étant un droit
inviolable et sacré, nul ne peut en être privé, si ce n’est lorsque la nécessité publique,
légalement constatée, l’exige évidemment, et sous la condition d’une juste et préalable
indemnité»32.
L’articolo ed il suo rapporto con la dichiarazione dei diritti dell’Uomo destò annose
discussioni tra i costituzionalisti francesi, discussioni che si acuirono negli anni ottanta,
in occasione della decisione del Conseil constitutionel del 16 gennaio 1982, su un
progetto di legge in materia di nazionalizzazione delle banche e dei grandi gruppi
industriali33.
La questione principale che si poneva di fronte al Conseil era quella di stabilire se
l’articolo 17 della Déclaration avesse ancora attualità e rango di precetto costituzionale,
posto che, secondo la tesi di alcuni autori, per la Costituzione francese del 1958 (art.
3434), la République ha un carattere «sociale» (art. 1), che relega il diritto di proprietà
tra i diritti soggetti alla legge ordinaria. Secondo altri autori, invece, il contratto sociale
sul quale si base la comunità francese, continua ad essere la Déclaration del 1789 ed il
fatto che la costituzione del 1958 abbia attribuito al legislatore ordinario la possibilità di
regolamentare la proprietà, non vuol certo dire che gli abbia consentito di regolarla in
modo contrario ai principi fondamentali, contenuti proprio nella Déclaration, alla quale,
peraltro, la stessa costituzione si richiama. Questa fu anche l’interpretazione seguita dal
“La proprietà è un diritto inviolabile e sacro, nessuno ne può esserne privato, se non a causa di una
esigenza di pubblica necessità, accertata in conformità alla legge e sotto la condizione della
corresponsione di un previo equo indennizzo”
33 Cons. const. 16. 1. 1982, sent. n. 81 – 132 DC, in Rec. 18.
34 Vale forse il caso di riportare la norma, che così dispone: «La loi fixe les règles concernant:-les droits
civiques et les garanties fondamentales accordées aux citoyens pour l'exercice des libertés publiques; la
liberté, le pluralisme et l'indépendance des médias; les sujétions imposées par la Défense nationale aux
citoyens en leur personne et en leurs biens; -la nationalité, l'état et la capacité des personnes, les régimes
matrimoniaux, les successions et libéralités; -la détermination des crimes et délits ainsi que les peines qui
leur sont applicables ; la procédure pénale ; l'amnistie ; la création de nouveaux ordres de juridiction et le
statut des magistrats; -l'assiette, le taux et les modalités de recouvrement des impositions de toutes
natures ; le régime d'émission de la monnaie. La loi fixe également les règles concernant: -le régime
électoral des assemblées parlementaires, des assemblées locales et des instances représentatives des
Français établis hors de France ainsi que les conditions d'exercice des mandats électoraux et des fonctions
électives des membres des assemblées délibérantes des collectivités territoriales; -la création de catégories
d'établissements publics; -les garanties fondamentales accordées aux fonctionnaires civils et militaires de
l'Etat; -les nationalisations d'entreprises et les transferts de propriété d'entreprises du secteur public au
secteur privé.
La loi détermine les principes fondamentaux: - de l'organisation générale de la Défense nationale; - de la
libre administration des collectivités territoriales, de leurs compétences et de leurs ressources; - de
l'enseignement; - de la préservation de l'environnement; - du régime de la propriété, des droits réels et
des obligations civiles et commerciales; - du droit du travail, du droit syndical et de la sécurité sociale.
Les lois de finances déterminent les ressources et les charges de l'Etat dans les conditions et sous les
réserves prévues par une loi organique.
Les lois de financement de la sécurité sociale déterminent les conditions générales de son équilibre
financier et, compte tenu de leurs prévisions de recettes, fixent ses objectifs de dépenses, dans les
conditions et sous les réserves prévues par une loi organique.
Des lois de programmation déterminent les objectifs de l'action de l'État.
Les orientations pluriannuelles des finances publiques sont définies par des lois de programmation. Elles
s'inscrivent dans l'objectif d'équilibre des comptes des administrations publiques.
Les dispositions du présent article pourront être précisées et complétées par une loi organique».
32
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11
Conseil constitutionnel35, per il quale, quindi, il fatto che la Francia fosse una
«République sociale» non implicava che essa fosse anche socialista, per cui, le eventuali
privazioni della proprietà, dovevano osservare i requisiti di cui alla Déclaration del 1789.
Oggi, in Francia, la proprietà è un diritto fondamentale, il cui contenuto non è assoluto,
ma deve essere conciliato con gli altri diritti di eguale valore. In ultima analisi, il diritto
fondamentale consiste nel ricevere un equo indennizzo in caso di esproprio, non nel
diritto assoluto a conservare la cosa sulla quale si ha il dominio36.
C. La Germania
La prima Costituzione a rompere con la tradizione illuminista propria dei modelli
americano e francese è senz’altro la Costituzione della Repubblica di Weimar del 191937,
la quale riprendendo ed accentuando la funzionalizzazione già presente nel BGB,
disponeva, all’art. 153, che: «La proprietà è garantita dalla costituzione. Il suo contenuto
ed i suoi limiti sono fissati dalla legge». La Costituzione weimariana prevedeva
l’espropriabilità della proprietà privata; occorreva però che essa fosse consentita dalla
legge e che vi fosse un interesse collettivo a giustificarla. All’espropriato doveva
comunque essere corrisposto un congruo indennizzo e, in caso di controversia sul suo
ammontare, competente a decidere era il tribunale ordinario. Il Reich, verso il
pagamento di un’indennità, poteva espropriare anche i beni dei Länder, dei Comuni e
delle associazioni di pubblica utilità.
La grande novità contenuta nella Costituzione tedesca è però il terzo comma dell’articolo
153, secondo il quale «Eigentum verpflichtet», «la proprietà obbliga» ed il suo utilizzo,
«oltre che al privato, deve essere rivolto al bene comune». Abbastanza evidente
l’emancipazione della carta fondamentale weimariana rispetto ai modelli americano e
francese. La proprietà resta garantita dalla Costituzione, ma ha chiari limiti nella legge,
non è più un diritto sacro ed inviolabile e soprattutto obbliga il proprietario a sfruttarla,
non solo nell’interesse del singolo, ma anche per il raggiungimento del bene comune.
La Costituzione di Weimar è la prima norma fondamentale ad enunciare la funzione
sociale della proprietà; essa si caratterizza, quindi, per essere lo spartiacque tra il
costituzionalismo illuminista e liberale, che vede la proprietà come diritto
dell’individuo, e quello novecentesco, più attento alla necessità di garantire le istanze
solidaristiche connaturali alla nascita dello Stato sociale38. Non è un caso, quindi, che il
diritto di proprietà venga sì regolato nella sezione seconda dedicata ai diritti e doveri
fondamentali dei tedeschi, ma nel capo V relativo alla vita economica. Esattamente
come avverrà in Italia, con la Costituzione del 1948. La proprietà non più diritto sacro
ed inviolabile del singolo, ma diritto funzionalizzato, oltre che agli interessi del
proprietario, al benessere della Nazione.
Per un commento della decisione, oltre a Bernard CHANTEBOUT, Droit Constitutionnel, XXVI ed., Sirey,
2009, 52, si veda anche Jörg SPRECHER, Beschränkungen des Handels mit Kulturgut und die
Eigentumsgarantie. Schriften zum Kulturgüterschutz, De Gruyter, 2004, 83.
36 Dominique CHAGNOLLAUD – Guillaume DRAGO, voce Propriété (Droit de), in Dictionnaire des droits
fondamentaux, Dalloz, 2006, 617
37
Il
cui
testo
tradotto
in
italiano
è
consultabile
sul
sito:
http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/19190811_germaniaWeimar_ita.pdf .
38 Cfr. Francesco MACARIO, in commento sub art. 42 Cost., in Commentario alla Costituzione (a cura di A.
Celotto, M. Olivetti, R. Bifulco), Torino, 2006, p. 869
35
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12
L’attuale Costituzione della Repubblica federale di Germania, emanata nel 1949, colloca
la proprietà, al pari delle successioni, tra i diritti fondamentali (Grundrechte), ma non si
emancipa dalla Costituzione del 1919 con riguardo agli aspetti fondamentali della
disciplina. L’articolo 14, commi 1 e 2, dispone che «Das Eigentum und das Erbrecht
werden gewährleistet. Inhalt und Schranken werden durch die Gesetze bestimmt.
Eigentum verpflichtet. Sein Gebrauch soll zugleich dem Wohle der Allgemeinheit
dienen.
Eine Enteignung ist nur zum Wohle der Allgemeinheit zulässig. Sie darf nur durch
Gesetz oder auf Grund eines Gesetzes erfolgen, das Art und Ausmaß der Entschädigung
regelt. Die Entschädigung ist unter gerechter Abwägung der Interessen der
Allgemeinheit und der Beteiligten zu bestimmen. Wegen der Höhe der Entschädigung
steht im Streitfalle der Rechtsweg vor den ordentlichen Gerichten offen39».
D. L’Italia
Passando all’Italia, troviamo un’enunciazione del diritto di proprietà come diritto
costituzionale nello Statuto albertino, che recita: «Tutte le proprietà, senza alcuna
eccezione, sono inviolabili. Tuttavia quando l'interesse pubblico legalmente accertato, lo
esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità
conformemente alle leggi» (art. 29).
La disposizione dello Statuto prende le distanze in modo significativo dal
giusnaturalismo e dalla formulazione della Déclaration francese. Innanzitutto il diritto
di proprietà non è riconosciuto come diritto inviolabile, né ad esso si attribuisce una
veste sacrale. Molto semplicemente, alla proprietà è riconosciuto un carattere
inviolabile, se non in caso di un interesse pubblico confliggente e comunque previo
indennizzo.
La differenza con la Francia pare notevole, tanto che, già con riguardo allo Statuto
albertino, vi è chi parla espressamente di una funzionalizzazione della proprietà40.
Funzionalizzazione, che è ulteriormente sviluppata dalla Costituzione repubblicana, la
quale, all’articolo 42.2, precisa ulteriormente quanto lo Statuto diceva più
genericamente: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne
determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». La funzionalizzazione della proprietà
peraltro, come si è dimostrato, era già nota presente, se non nella codificazione del
´6541, certamente in quella del 194242. Su questo aspetto, dunque, la Costituzione non
«La proprietà ed il diritto successorio sono garantiti. Contenuto e limiti sono determinati dalla legge.
La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene comune.
L'espropriazione è ammissibile soltanto per il bene della collettività. Essa può avvenire solo per legge o in
base ad una legge che regoli il modo e la misura dell'indennizzo. L'indennizzo deve essere stabilito
mediante un giusto contemperamento fra gli interessi della collettività e gli interessi delle parti. In caso di
controversia sull'ammontare dell'indennizzo è ammesso ricorso di fronte ai tribunali ordinari».
40 Giorgio PAGLIARI, Corso di diritto urbanistico, IV ed., Milano, 2010, 101.
41 Pur non essendo enunciata nel diritto positivo, autorevole dottrina già la desumeva dal sistema, cfr.
Pietro BONFANTE, in nota a WINDSCHEID, Diritto delle pandette, Torino, 1926, vol. V, p. 151 ss.
42 Ludovico BARASSI, La proprietà nel nuovo codice civile, Milano, 1941, p. 83, riconosceva la funzione
sociale della proprietà come un luogo comune del quale, ormai, si discuteva da molto tempo, addirittura
da prima dell’avvento del fascismo.
39
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13
ha innovato nulla43. Un altro sarebbe, invece, il punto di novità introdotto dalla legge
fondamentale. È stato autorevolmente osservato da Mortati e da Rodotà44, che la
Costituzione riconosce e garantisce il diritto di proprietà, in quanto esso ha una funzione
sociale. Si tratta di una scelta di compromesso dotata di molteplici significati45.
Piero Calamandrei salutava la formula come l’emblema di una nuova società civile, che
si andava costruendo, vero e proprio segno di quella rivoluzione sociale «meglio che
mancata, non ancora compiuta: non compiuta nel presente, ma promessa ». Palmiro
Togliatti, invece, puntava l’accento sulla scelta di compromesso46: «Scrivendo una
Costituzione corrispondente a un periodo transitorio di lotta per un regime economico
di coesistenza di differenti forze economiche, che tendono a soverchiarsi le une con le
altre» occorreva necessariamente trovare un punto di incontro; tuttavia, anche il
rappresentante dal partito comunista, riconosceva che, in quel periodo: «la lotta che si
conduce non è diretta contro la libera iniziativa e la proprietà privata dei mezzi di
produzione in generale, ma contro quelle particolari forme di proprietà privata che
sopprimono l’iniziativa dei vasti strati di produttori e, particolarmente, contro le forme
di proprietà privata e monopolistiche, specie nel campo dei servizi pubblici che tendono
a creare nella società dei concentramenti di ricchezze che vanno a danno della libertà
della grande maggioranza dei cittadini e quindi vanno a scapito dell’economia e della
politica del paese»47.
Per comprendere la portata dello scontro tra le correnti di ispirazione cattolica e
marxista presenti nell’assemblea costituente ci pare assai significativa la lettura dei testi
elaborati dalla prima e terza sottocommissione. La prima sottocommissione proponeva
la seguente disciplina della proprietà: «I beni di produzione possono essere in proprietà
di cooperative, di istituzioni, dello Stato», ne restavano quindi esclusi i privati. La terza
sottocommissione proponeva, invece, un testo più moderato per cui: «I beni economici
possono essere oggetto di proprietà privata, cooperativa e collettiva». Da questo scontro
nasce l’articolo 42 secondo comma. Disposizione, che, da un lato lasciava soddisfatti i
componenti della prima sottocommissione, che vedevano il riconoscimento della
proprietà condizionato all’assolvimento della sua funzione sociale, dall’altro non
escludeva aprioristicamente la proprietà privata48.
Contra: Stefano RODOTÀ, voce Proprietà, in Novissimo digesto italiano, Torino, 1967, p. 125 ss., in
specie p. 135, secondo il quale prima dell’entrata in vigore della Costituzione era ancora possibile
affermare che il concetto di funzione ripugnava a quello di proprietà.
44 Entrambi citati in Guido ALPA, Mario BESSONE, Andrea FUSARO, Norma costituzionale e funzione
sociale della proprietà. Materiali in tema di interessa pubblico e pubblici poteri di disciplina dei beni, in
http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/Norma_Costituzionale.htm . Cfr. Stefano
RODOTÀ, op. loc. cit., ove espressamente viene osservato come, con la Costituzione, «cade proprio la
possibilità di considerare la funzione come qualcosa di estraneo all’ordinamento, che alcuni giuristi
innovatori o eversori vogliono inserire in un contesto inidoneo a riceverlo».
45 Cfr. Guido ALPA, Mario BESSONE, Andrea FUSARO, Costituzione economica e diritto di proprietà: la
funzione sociale della proprietà, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=7118 .
46 Efficacemente descritta da Piero CALAMANDREI, Scritti e discorsi politici, Firenze, 1966, 461, in questi
termini: «per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si
opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa».
47 Sia il pensiero di Calamandrei, che quello di Togliatti sono tratti da Guido ALPA, Mario BESSONE,
Andrea FUSARO, Costituzione economica e diritto di proprietà: la funzione sociale della proprietà, cit.
48 La necessità di mediare tra le diverse anime politiche, in vista di una proprietà funzionalizzata, emerge
bene dalla lettura della relazione sul diritto di proprietà dell’onorevole Taviani, il quale espressamente
affermava che: «se pure non si accetta la tesi estrema di chi pretende che l’intero corso della storia roti
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Si potrebbe affermare che, nella Costituzione italiana, la funzione sociale diventa, più
che una questione di rilevanza giuridica, il terreno di scontro tra le diverse anime
presenti nella costituente, perdendo, forse in virtù di un presunto significato politico,
parte del suo valore concreto49. Simile affermazione sembrerebbe trovare conferma
nell’indeterminatezza del concetto di funzione sociale; tuttavia, occorre rilevare come
tutte le forze politiche presenti nella costituente erano animate dalla comune intenzione
di limitare, in chiave solidaristica, il concetto di proprietà. Proprio da questo punto, a
nostro avviso, occorre partire per individuare il significato della funzione sociale.
IV.
LA FUNZIONE SOCIALE: UNA NUOVA VESTE DELLA PROPRIETÀ?
In questo paragrafo intendiamo porci tre domande. Innanzitutto vorremmo chiarire se
la funzione sociale, in Italia, sia nata con la Costituzione del 1948, o se essa fosse già
nota ed operante epoca precedente. In secondo luogo vorremmo individuare la portata
di tale funzione. Come si vedrà, infatti, la nozione, per quanto sia diffusa e di comune
utilizzo, non ha un valore semantico condiviso. Infine ci pare fondamentale chiedersi se
tutti i beni abbiano una funzione sociale o se essa sia riservata soltanto a taluni beni in
particolare.
Con riguardo al primo interrogativo mi sembra si debba innanzitutto riconoscere, come
si è detto, che la funzione sociale sia una delle maggiori innovazioni del
costituzionalismo novecentesco.
A tutta prima, potrebbe addirittura apparire che funzione sociale e diritto di proprietà
siano, più che un’endiadi, due termini inconciliabili e contradditori50. Da un lato,
infatti, la funzione sarebbe un obbligo, mentre il diritto una forma di libertà. Difficile
conciliare vincolo e libertà; ma, come abbiamo avuto modo di vedere nei paragrafi
precedenti, il diritto del proprietario incontra precise limitazioni nell’interesse generale
ed oggi il contemperamento tra proprietà e funzione sociale trova addirittura una
formalizzazione nella carta costituzionale, che, secondo autorevole dottrina, avrebbe
attorno all’unico perno dell’istituto della proprietà – è peraltro indiscutibile che questo istituto e le norme
che lo regolano sono fondamentali nella vita economico e nell’organizzazione sociale d’un popolo».
Sempre nella relazione dell’onorevole Taviani si legge che la proprietà viene garantita allo scopo di
consentire la libertà e l’affermazione della persona umana. Per questo motivo la proprietà che la
Costituzione intende garantire è quella frutto del lavoro e del risparmio, non quella che derivi da
speculazione o da sopruso. Taviani proponeva quindi l’adozione della seguente disposizione: «Allo scopo
di garantire la libertà e l’affermazione della persona viene riconosciuta e garantita la proprietà privata
frutto del lavoro e del risparmio.
Allo scopo di garantire la funzione personale e sociale della proprietà privata e la possibilità per tutti di
accedervi con il lavoro e con il risparmio, la legge determinerà le norme che ne regolano l’acquisto e il
trasferimento, i limiti di estensione e le modalità di godimento».
49 Di genericità del concetto parlava anche Luigi Einaudi nella seduta del 13 maggio 1947 dell’assemblea
costituente. Cfr. Arch. Ass. Cost., seduta antimeridiana del 13 maggio 1947, p. 3937 e seguente, nella quale
l’illustre economista affermò: «Il primo emendamento all'articolo 39 da me presentato si limitava a
togliere le parole: « in contrasto con l'utilità sociale o ». Ma poiché vedo che l'Assemblea è propensa ad
introdurre nei testi legislativi parole le quali non hanno un significato preciso e su cui i commentatori
avranno in avvenire ampio campo a discutere, su questo punto preciso non insisto. Avevo già imparato
che nelle Costituzioni di oggi si usano indicare principî ed additare indirizzi per l’azione successiva del
legislatore. Apprendo ora che, oltre ad indicare principî ed indirizzi per il legislatore futuro, si formulano
anche auguri, che in avvenire si riesca a scoprire il significato delle parole che oggi non si conosce».
50 Stefano RODOTÀ, op. cit., p. 134.
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finito per modificare radicalmente ed in maniera definitiva la stessa natura della
proprietà51.
Sarebbe un errore, però, ritenere che la rilettura in chiave sociale del diritto di proprietà
sia una novità assoluta, nata con la Costituzione repubblicana. Tale accezione del diritto
di proprietà, infatti, era già stata coltivata e propugnata nel medioevo da filosofi di
ispirazione cattolica, i quali pur riconoscendo, da un lato, il diritto del singolo ad
appropriarsi della cosa, dall’altro affermavano il contestuale diritto di tutti all’uso
comune del bene52.
In epoca a noi più vicina, come abbiamo visto, di funzione sociale parlava
espressamente l’articolo 811 del Codice Civile e la dottrina conosceva ed utilizzava
l’espressione, già con riferimento al codice civile del 186553.
La funzione sociale costituzionalizzata non ha però la stessa portata di quella codificata.
Fino a quando essa risultava soltanto da una serie di norme contenute in leggi ordinarie,
non importa se codicistiche o no, che conformavano i poteri del singolo proprietario,
essa non poteva essere letta come un criterio generale al quale attenersi esaminando la
proprietà nel suo insieme. Inoltre, la funzione sociale poteva scomparire con un
semplice intervento del legislatore ordinario. La costituzionalizzazione ha avuto il pregio
di rendere la funzione sociale l’altra faccia della medaglia proprietaria, imponendo a
legislatore ed interpreti una lettura funzionalizzata dell’istituto.
Posto che la funzione sociale era ben nota precedentemente alla Costituzione, non ci
sorprende leggere, già in autori degli anni quaranta, i primi tentativi definitori.
Una definizione la troviamo enunciata da Barassi, per il quale la funzione sociale non
sarebbe altro che una «formula sintetica coniata dalla dottrina», utile a declinare tutti
gli atteggiamenti che assume la solidarietà sociale, che ha la sua espressione più alta
nello Stato, ma che è pure coesistenza di interessi privati confliggenti, che «debbono
armonizzarsi nel regime della proprietà privata»54. Messineo55, anziché di funzione
sociale, parlava di finalità sociale del diritto di proprietà. Con tale espressione intendeva
affermare che, pur essendo rimasto fermo il principio della proprietà individuale, esso
andava contemperato con le esigenze della società in cui l’individuo vive. Ne consegue
che, sino a quando il rapporto resta tra individui, il diritto del singolo rimane immutato.
Quando, invece, gli interessi del singolo si scontrano con quelli collettivi, «il diritto del
singolo deve cedere a questi interessi e subordinarsi, nel suo esercizio, ai medesimi».
Evidentemente queste definizioni, se rendono l’idea di quale sia il fondamento della
funzione sociale, non sono utili nella determinazione del suo contenuto. Ci sembra
quindi necessario proseguire nella ricerca, facendo riferimento a testi successivi alla
Costituzione.
Secondo una prima ricostruzione, strettamente legata al rapporto tra vincolo e diritto, la
funzione sociale consisterebbe nella limitazione della proprietà del singolo a vantaggio
dell’interesse collettivo56. Si tratta, forse, della nozione di funzione sociale più diffusa
Stefano RODOTÀ, op. cit., p. 135.
Cfr. Pietro RESCIGNO, voce Proprietà (diritto privato), in Enc. Dir., vol. XXXVII, Milano, 1988, 254 ss.,
in specie 274. Sul fatto che la funzione sociale della proprietà sia tributaria del pensiero cattolico non pare
potersi dubitare cfr. Paul OURLIAC, Propriété et droit rural: l’évolution du droit français depuis 1945, in
Quaderni fiorentini, 1976-77, Tomo II, p. 728, nota 9.
53 Cfr. Mariano D’AMELIO, op. cit., p. 13.
54 Ludovico BARASSI, op. cit., p. 84.
55 Francesco MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. II, Padova, 1943, p. 25.
56 Cfr. Stefano RODOTÀ, Il terribile diritto, Bologna, II ed., 1990, 326.
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ed oggi comunemente accolta57. Secondo questa tesi la funzionalizzazione della
proprietà non atterrebbe più alle facoltà dominicali, ma alla loro limitazione58. Da ciò
conseguirebbe un depotenziamento del diritto del proprietario, un aumento delle ipotesi
in cui la proprietà può essere limitata dalla presenza di norme restrittive e dalla
presenza di interventi conformativi del contenuto del diritto in funzione dell’interesse
sociale59. La funzione sociale, trovando la sua fonte direttamente nella carta
costituzionale, non sarebbe soltanto uno strumento legittimante interventi conformatori
da parte del legislatore ordinario; essa consentirebbe anche all’interprete di leggere, in
chiave analogica, «norme o complessi normativi altrimenti ritenuti eccezionali»60.
Occorre tuttavia precisare che la riserva di legge che copre la funzione, lascia
evidentemente preclusa la possibilità di creare, attraverso le sentenze, regole che si
ricollegano «a nuclei valutativi non incorporati in norme di legge», ma che godono
unicamente di un consenso dottrinale o giurisprudenziale61.
Pugliatti62, a parziale integrazione della nozione di funzione sociale quale limite,
riteneva che essa consistesse nella sintesi che “cementava” tra loro tutte le
trasformazioni subite dalla proprietà, così come disegnata dalle codificazioni
ottocentesche, da parte della legislazione speciale nel corso del tempo. La funzione
sociale assolverebbe quindi un duplice ruolo. Da un lato essa sarebbe l’epicentro di tutte
le diverse forme di proprietà, dall’altro essa dissolve il carattere di eccezionalità delle
norme che conformano il diritto di proprietà63.
Alla tesi della funzione sociale quale limite delle facoltà del proprietario nell’interesse
collettivo, si contrappone l’opinione di chi, come Sacco, la ritiene, invece, consistere nel
«meccanismo attivato dal gioco dell’interesse personale»64. La funzione sociale
consisterebbe, quindi, nell’incentivazione del risparmio e delle iniziative, nella
massimizzazione della produttività dei beni e sarebbe il «risultato del desiderio
individuale di profitto»65. Se così stanno le cose, è chiaro che la funzione non può
consistere in un limite alle facoltà del proprietario, ma che, al contrario, sono i limiti alla
facoltà di trarre il massimo profitto dal bene a contrastare con la funzione sociale. Per
Sacco, parlare di funzione sociale con riferimento ai divieti di edificare o di alterare gli
edifici storici ed artistici è un non senso. Questi limiti, pur positivi, sono finalizzati al
raggiungimento di un obiettivo, che è la funzione sociale del limite, ma non quella della
proprietà.
Rodolfo SACCO, La proprietà, Torino, 1968, p. 78 – 79, il quale, pur non condividendola, dà atto della
sua diffusione.
58 Natalino IRTI, Proprietà e impresa, Napoli, 1965, p. 10.
59 Stefano RODOTÀ, op. ult. cit. loc. cit.
60 Stefano RODOTÀ, op. ult. cit., p. 330. Pietro PERLINGERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale
secondo il sistema italo comunitario delle fonti, Napoli, III ed., 2006, 888, rileva efficacemente che la
funzione sociale va intesa «come criterio d’azione per il legislatore e di individuazione della disciplina da
applicare per l’interprete».
61 Antonio GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Trattato Cicu - Messineo, Milano, 1995, p. 53.
62 Salvatore PUGLIATTI, op. cit., p. 278: «Essa, intanto costituisce il cemento, l’idea unificatrice, il principio
sistematico organizzatore che come tale supera l’episodio, scioglie i limiti della disposizione eccezionale,
pone i nessi tra le disposizioni particolari e colma lacune, rispetto a tutte le norme nelle quali si può
vedere una concreta e specifica attenuazione di esigenze di carattere sociale a mezzo del diritto di
proprietà».
63 Antonio GAMBARO, op. cit., p. 47
64 Rodolfo SACCO, op. cit., p. 77.
65 Rodolfo SACCO, op. loc. cit.
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Evidentemente, secondo questa teoria, non per tutti i beni ha senso parlare di una
funzione sociale. Essa si configurerà soltanto con riguardo ai beni produttivi, il cui
mancato utilizzo comporti un danno per la collettività, mentre non si potrà parlare di
funzione sociale con riferimento ai beni di consumo, per i quali, invece, si configura
soltanto una funzione individuale66. Questa lettura della funzione sociale ci sembra
richiamare alla memoria il pensiero del giurista francese Duguit, per il quale, posto che
ciascun individuo svolge nella comunità cui appartiene un proprio ruolo, il proprietario
è tenuto ad aumentare la ricchezza generale, sfruttando nella maniera più opportuna il
capitale che gli appartiene67. Proprio in questo risiederebbe, secondo il Duguit, «la
fonction sociale du dètenteur de la richesse»68.
Abbiamo sino a qui descritto alcune delle principali nozioni di funzione sociale e, come
si vede, esse divergono, anche sensibilmente, a seconda degli autori che le hanno
sostenute. Parrebbe confermata la battuta che Einaudi fece in sede costituente e che
oggi suona come profetica: «vedo che l'Assemblea è propensa ad introdurre nei testi
legislativi parole le quali non hanno un significato preciso e su cui i commentatori
avranno in avvenire ampio campo a discutere»69. Occorre, però, rilevare il fatto che la
funzione sociale, per quanto espressione fumosa, può essere in qualche modo
delimitata. In particolare a noi sembra che la funzione sociale della proprietà consista
nel dovere del singolo proprietario di sfruttare la cosa non soltanto nel suo interesse, ma
in quello superiore della collettività. Da ciò possono discendere sia obblighi in capo al
proprietario (ad es. art. 838 c.c.), sia limitazioni al suo diritto. In sostanza, la funzione
sociale di cui all’articolo 42 comma 2 Cost., non farebbe altro che delimitare la nozione
di proprietà come offerta dall’art. 832 c.c. Al proprietario è quindi concesso di godere e
disporre del bene che gli appartiene, non più in modo assoluto, ma tenendo conto che
tali facoltà devono essere coniugate con la funzione sociale del bene e con l’obbligo di
solidarietà sociale che essa sottende.
Ne consegue che la funzione sociale, da un lato, si può manifestare come limite,
attraverso la mancata attribuzione al proprietario di determinate facoltà di godimento o
l’imposizione di condizioni che disciplinano l’esercizio del diritto, dall’altro si esprime in
un obbligo di godere o disporre in un determinato modo70.
Resta a questo punto da chiedersi se la funzione sociale sia una caratteristica di tutti i
beni, o se essa sia limitata soltanto ad alcuni di essi.
Anche su questo aspetto non vi è uniformità di veduta in dottrina. Per alcuni la funzione
sociale, essendo connaturale alla proprietà, sarebbe comune a qualunque bene, posto
che l’articolo 42.2 «non prevede eccezioni alla regola della funzione della proprietà
Rodolfo SACCO, op. cit., p. 78.
Léon DUGUIT, Les transformations générales du droit privè depuis Le Code Napoléon, Alcan, 1920, p.
158.
68 Léon DUGUIT, op. loc. cit. Secondo Paul OURLIAC, op. loc. cit. «L’idée d’une «fonction sociale» de la
propriété a été exprimée par Duguit en 1905 (d’ailleurs à un congrès de la propriété et pour justifier celleci)». Tuttavia, sempre secondo Ourliac, la funzione sociale sarebbe risalente almeno al 1850 e al pensiero
di Auguste Comte, poi ripreso dal cattolicesimo sociale.
69 Cfr. Arch. Ass. Cost., seduta antimeridiana del 13 maggio 1947, p. 3937 e seguente.
70 Argomentazioni in questo senso ci sembrano leggibili tra le righe in Guido ALPA, Giuseppe BRANCA,
Istituzioni di diritto privato, Bologna, 1996, VII ed., p. 681
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privata»71. Ne consegue, secondo una interpretazione letterale della norma, che, anche
le abitazioni private ed i mobili in esse contenuti, avrebbero una funzione sociale.
Questa interpretazione è però minoritaria. Secondo la maggior parte degli autori, solo
determinati beni assolvono una funzione sociale. Del resto non si comprende come
possano avere funzione sociale beni che sono, con tutta evidenza, destinati al
soddisfacimento di un bisogno individuale. Comprensibile, quindi, che la maggior parte
della dottrina affermi che sarebbero privi di una funzione sociale tutti quei beni che si
esauriscono con l’utilizzo da parte del proprietario72.
Altri argomenti militano contro un’estensione generalizzata della funzione sociale.
Innanzitutto un argomento storico. La funzione nasce prima con riferimento ai beni
immobili73, si sviluppa e trova la sua prima enunciazione con riguardo ai beni
corporativi (art. 811 c.c.) e quindi si diffonde nel disegno codicistico e nelle leggi speciali
attraverso tutte le ipotesi in cui la proprietà viene conformata con riguardo a specifiche
finalità.
Altra cartina di tornasole che evidenzia la specialità dei beni funzionalizzati la troviamo
nei lavori preparatori della Costituzione. Nessuno, neanche i costituenti comunisti più
ferventi, ha mai proposto una soppressione o una limitazione della proprietà privata
tout court, ma si è sempre parlato di eliminazione o conformazione, a fini sociali, della
proprietà privata dei beni produttivi. Segno evidente, questo, che i costituenti non
hanno inteso funzionalizzare la proprietà di tutti i beni, ma soltanto di quelli che
possono effettivamente svolgere una funzione sociale, lasciando poi al legislatore la
facoltà di individuare di quali beni si trattasse e del modo in cui essi dovessero essere
concretamente conformati74.
Il fatto che soltanto alcune tipologie di beni si prestino ad assolvere una funzione sociale
ha fatto sì che, in dottrina, si sia osservato come tale funzione sia una prerogativa, più
che della proprietà, del bene stesso75.
Oggi possiamo individuare alcune ipotesi di proprietà conformate76. Si tratta,
principalmente, della proprietà fondiaria e della proprietà dei beni culturali. Per
proprietà fondiaria intendiamo riferirci non solo a quella agraria - la cui
funzionalizzazione emerge con tutta evidenza già nell’articolo 44 Cost., oltre che nelle
Cfr. Pietro PERLINGERI, op. cit., p. 899 e Antonio JANNELLI, La proprietà costituzionale, Napoli, 1980, p.
26.
72 Cfr. Rodolfo SACCO, op. cit., p. 78; Stefano RODOTÀ, voce Proprietà, cit. p. 139; Francesco MACARIO, op.
cit., p. 871 e s. rileva come la funzione sociale finisca «dunque per identificarsi nella stessa disciplina del
singolo tipo di bene, che evidentemente non può che contraddire alla logica - si direbbe meglio, la mistica
– della proprietà privata apparentemente desumibile dalla lettura delle disposizioni generali del c.c. in
questa materia. Il criterio fondamentale adottato dalla Costituzione, in altri termini, si rifletterebbe sulla
disciplina dei beni, anziché su quella del diritto di proprietà».
73 Cfr. Mariano D’AMELIO, op. cit., p. 13.
74 Antonio GAMBARO, op. cit., p. 53 afferma che l’articolo 42, II comma Cost. «pare affidare al legislatore il
compito di promuovere la funzione sociale della proprietà»; osservazioni analoghe si trovano in Natalino
IRTI, Proprietà e impresa, cit., p. 10 e Pietro PERLINGERI, op. cit., p. 886, nota 913.
75 Cfr. Alberto TRABUCCHI, voce Proprietà nel diritto civile, in Grande dizionario enciclopedico, vol. XV,
Torino, 1971, p. 282, per il quale «la proprietà rimane attribuzione esclusiva di un bene al titolare del
diritto, per il suo interesse; ma poiché i beni hanno una funzione sociale, questa viene assicurata con i
limiti di cui parla l’articolo 42 Cost. e anche con gli obblighi che il proprietario deve osservare a norma
dell’art. 832 c.c.».
Contra GAMBARO, op. cit., p. 55 e s.
76 Cfr. Guido ALPA, Giuseppe BRANCA, op. cit., 683.
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numerose leggi che disciplinano la materia – ma anche a quella urbana. In particolare,
assumono rilievo funzionalizzante le norme edilizie, che possono vietare al proprietario
di edificare o che prescrivono l’adozione di determinati criteri nel farlo, o ancora le
norme che tutelano il conduttore di immobili, indipendentemente dall’uso abitativo del
bene..
Dalla differente natura delle proprietà conformate è possibile desumere che la funzione
sociale non assolve, sempre, alla stessa causa concreta. Così, nel caso della proprietà
agraria, le ragioni della conformazione possono essere ora la necessità di un razionale
sfruttamento della terra, ora la tutela del coltivatore diretto del fondo; nel caso di
proprietà urbana il razionale sviluppo delle città, piuttosto che la tutela del conduttore;
nel caso dei beni culturali77 la conservazione e la fruizione del patrimonio culturale78.
Questa ci pare un’ulteriore conferma del fatto che della funzione non si possa dare una
definizione generale ed astratta, ma si possano soltanto tratteggiare i suoi aspetti più
lati.
V. LA PROPRIETÀ DI FRONTE ALLA CORTE COSTITUZIONALE
La formulazione vaga e generica dell’art. 42 Cost. doveva evidentemente essere calata
nella realtà concreta79. Non sorprende, quindi, che, in più di cinquant’anni di attività
della Corte Costituzionale, siano state moltissime le decisioni che hanno avuto per
oggetto il diritto di proprietà. Una prima fondamentale precisazione fatta dalla Corte
Costituzionale con riguardo alla funzione sociale è stata che essa scardina il diritto di
proprietà, quale diritto soggettivo assoluto, sottoponendolo, invece, nel suo contenuto,
ad un regime che «la Costituzione lascia al legislatore di determinare»80. Il legislatore,
quindi, può, a sua discrezione, escludere la proprietà privata di intere categorie di
beni81 od imporre contrazioni al diritto; in questo caso, qualora si incida «oltre ciò che è
connaturale al diritto dominicale quale viene riconosciuto nell’attuale momento
Con riferimento ai beni culturali si è addirittura parlato (Cfr. Massimo Severo GIANNINI, I beni culturali,
in Riv. trim. dir. pubb., 1976, p. 3 ss.) di una proprietà divisa spettante, contestualmente, al privato ed allo
Stato. Nella specie, al privato spetterebbe il diritto patrimoniale sul bene, mentre lo Stato sarebbe titolare
del suo valore culturale. Ulteriori approfondimenti sul tema in Armando GIUFFRIDA, Contributo allo
studio della circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, Milano, 2008, p. 119 e Geo MAGRI, voce
Beni culturali, in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Torino, Aggiornamento, 2011, p.
121. Indipendentemente dalla condivisibilità o meno di questa ricostruzione è evidente che la proprietà
privata di beni culturali incontra cospicue limitazioni e sopporta degli oneri, che corrispondono
all’interesse culturale dello Stato.
78 Con riguardo ai vincoli in materia di beni culturali si permetta il rinvio a Geo MAGRI, op. cit., p. 125 ss.
ed alla bibliografia ivi citata.
79 Michele TAMPONI, Il contenuto del diritto di proprietà alla luce dell’art. 42 Cost., in I rapporti
economici nella Costituzione, vol. III, Milano, 1989, p. 165 rileva come nel testo costituzionale risulti
mancare «un sicuro termine di riferimento per distinguere le compressioni del diritto legittime da quelle
illegittime», dal ché appare arduo stabilire la consistenza del riconoscimento e della garanzia contenuta
nel secondo comma dell’art. 42.
80 C. Cost. 29 maggio 1968, n. 55, in Giur. Cost., 1968, p. 838 ss.
81 Francesco Macario, op. cit. 874, ricorda come, secondo la giurisprudenza costituzionale degli anni 6070, non avessero carattere espropriativo i provvedimento con i quale intere categorie di beni, identificabili
a priori per le loro caratteristiche, vengono assoggettati a vincolo. Si pensi, ad esempio, alle decisioni in
materia di concessioni per le cave non coltivate dal proprietario del fondo o a quelle in materia di vincolo
paesaggistico.
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storico», al proprietario spetterà un congruo ristoro, che comunque non deve
necessariamente corrispondere al valore del bene ablato82.
La Corte Costituzionale ha precisato che la funzione sociale deve essere letta, sia dal
legislatore che dall’interprete, in stretta correlazione con l’articolo 2 della Costituzione,
che richiede a tutti i cittadini di assolvere agli inderogabili doveri di solidarietà
economica e sociale83. Il che sembrerebbe significare che l’articolo 42 Cost. non sarebbe
altro che un richiamo ed una specificazione degli obblighi che il costituente ha voluto
introdurre con il generale e programmatico dovere inderogabile di solidarietà politica,
economica e sociale, di fronte al quale la proprietà del privato può legittimamente essere
sacrificata.
Le materie sulle quali la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi riguardano
principalmente il sindacato di costituzionalità delle norme in materia di espropriazione
per pubblica utilità e le disposizioni in materia di occupazione acquisitiva. Proprio
questo aspetto è di particolare interesse nell’economia della nostra ricerca, poiché
denota non solo come la funzione sociale sia stata concretamente attuata in Italia dal
c.d. diritto vivente, ma anche quale sia stata la reazione internazionale al nostro modo di
intendere la funzionalizzazione della proprietà e il conseguente adattamento del nostro
ordinamento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ma andiamo per gradi e cominciamo con l’analizzare la giurisprudenza costituzionale
italiana in materia di espropriazione precedente a quella CEDU; in particolare, quella
formatasi sulla legge 359 del 1992. Orbene, detta legge prevedeva che le indennità di
esproprio venissero determinate in misura pari alla semisomma del valore venale del
bene e del decuplo del reddito dominicale aggiornato, con la riduzione del 40% in caso
di mancata cessione volontaria del bene (art. 5 bis poi trasfuso nell’art. d.p.r. 327/11 c.d.
TU sull’espropriazione).
Con riferimento a tale norma, la Corte costituzionale84 - tornando sulle posizioni della
sentenza n. 55 del 198885 - ebbe a ritenere che, nonostante il criterio di calcolo fosse
complesso e «alquanto pasticciato», arrivando a prevedere un indennizzo oscillante tra
il 30 e il 50% del valore effettivo del bene86, esso non potesse dirsi incostituzionale,
poiché la legge, comunque, tra i vari parametri adottati nel calcolo, faceva figurare
anche il riferimento al valore effettivo del bene87. Nessun riferimento, nella pronuncia
della Corte, a quello che è stato coloritamente, ma efficacemente, definito88 «il barbaro
principio dell’estorsione» condotta dalla pubblica amministrazione in danno del privato,
Cfr. C. Cost. 13 maggio 1957, n. 61, in Foro it., 1957, I, 941. Luca NIVARRA, La proprietà europea tra
controriforma e “rivoluzione passiva”, in Cesare SALVI (a cura di), Diritto civile e principi costituzionali
europei e italiani, Torino, 2012, p. 206 osserva come la funzione di tale indennizzo sia quella di bilanciare
l’interesse del privato espropriato con quello della collettività.
83 C. Cost. 24 ottobre 2007, n. 348, in Foro it., 2008, I, 40.
84 C. Cost. 16 giugno 1993, n. 283, in Foro it., 1993, I, 2089.
85 C. Cost. 29 maggio 1968, n. 55, cit.
86 Cesare SALVI, La proprietà privata e l’Europa. Diritto di libertà o funzione sociale?, in Riv. crit. dir.
priv., 2009, p. 418, afferma che la norma fu salvata, nonostante il criterio pasticciato, ripreso dalla legge
per Napoli del 1865, con varie modifiche.
87 Con tale decisione sembrava definitivamente tramontare il principio, affermato dalla Corte
Costituzionale con la pronuncia 30 gennaio 1980, n. 5 (in Giur cost., 1980, I, 21), per cui l’indennizzo, se
non deve costituire un’integrale riparazione della perdita subita, non può essere fissato in una misura
irrisoria o simbolica e deve rappresentare un serio, congruo ed adeguato ristoro per il proprietario
espropriato.
88 Mario TRIMARCHI, Proprietà e indennità di espropriazione, in Europa e dir. priv., 2009, p. 1043.
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attraverso il meccanismo dell’accordo in via amichevole, in mancanza del quale, si
faceva ricorso ad un’ulteriore riduzione del quaranta per cento dell’indennizzo.
L’illogicità del criterio di calcolo e della decisione della Corte, non è però sfuggita alla
dottrina89, che ha sottolineato come la Corte sia caduta, al par di Guido da Montefeltro,
nella contraddizion che nol consente. Infatti, è chiaro che il riferimento al valore reale
del bene, in mancanza di un’indicazione precisa dell’incidenza che esso deve avere nel
calcolo, finisce per essere un criterio privo di senso e di significato90.
Passando all’occupazione acquisitiva91 dobbiamo segnalare che l’istituto ha origine
giurisprudenziale e ha la sua consacrazione in una decisione delle Sezioni Unite del
198392. Come noto, l’istituto prevede che, qualora sia realizzata un’opera pubblica, su
suolo appartenente ad un privato, il diritto di proprietà del terreno in capo al privato,
pur in assenza di una regolare espropriazione ed in evidente deroga al principio
superficies solo cedit, si estingue in virtù della radicale ed irreversibile trasformazione
che il bene ha subito. Ne consegue che la proprietà del terreno è trasferita in capo alla
pubblica amministrazione dietro corresponsione di un indennizzo. L’istituto
dell’occupazione acquisitiva aveva una chiara connotazione rimediale; esso era
concepito per evitare la perdita di un’area e di un’opera che, se vi fosse stato esproprio,
sarebbero legittimamente della PA93.
Cfr. Antonio GAMBARO in nota alla sentenza in Foro it., 1993, I, 2089.
Antonio GAMBARO, op. ult. cit., 2090 e 2091, osserva che «solo due aspetti della presente pronuncia
meritano qualche attenzione. Il primo è che nella motivazione la corte porta all’estremo limite
l’argomento per cui, al fine di escludere il contrasto con l’art. 42 Cost., è sufficiente che il criterio misto
prescelto dal legislatore contenga tra i vari parametri di valorizzazione anche quello del valore effettivo del
bene (cfr. sent. n. 1165 del 1988; n. 216 del 1990). In riferimento alla norma denunciata tale argomento
svela appieno la sua illogicità perché la formula escogitata dal legislatore prevedeva non solo e non tanto
la semisomma tra valore effettivo ed il reddito catastale moltiplicato per dieci, ma la decurtazione di tale
semisomma del quaranta per cento, ed era proprio su questa riduzione che si appuntavano i sospetti dei
giudici rimettenti... È noto che in una somma algebrica una sottrazione ha la medesima funzione della
negazione in un discorso, e perciò, a rigore, la corte avrebbe dovuto pervenire alla conclusione opposta
rispetto a quella raggiunta, poiché la sottrazione nega la rilevanza del parametro del valore effettivo che, si
dice, deve indefettibilmente comparire tra quelli prescelti dal legislatore...
Ciò in quanto il difetto sta a monte, ovvero nel ritenere che il rischio dell’astrattezza del criterio di
quantificazione dell’indennità di espropriazione è in ogni caso evitato quando uno dei parametri che
concorrono sia ancorato al valore venale. È chiaro che senza una quantificazione, anche approssimativa,
dell’incidenza quantitativa che tale parametro deve avere ai fini del criterio globale, una simile asserzione
rimane priva di senso».
91 Per la quale si rinvia alla relativa voce di Antonio GAMBARO in Enc. dir. agg. IV, Milano, p. 859 ss.
92 C. Cass. S. U. 26 febbraio 1983, n. 1464, in Foro it., 1983, I, 1983, 626 ss. e in Giust. Civ., 1983, I, p. 707
ss.
93 Come afferma a p. 10 la Relazione n. 33 del 20 marzo 2007 dell’Ufficio massimario della Corte di
Cassazione avente per oggetto Espropriazione per pubblico interesse (o utilità) – competenza e
giurisdizione «Secondo la ricostruzione della giurisprudenza, in fondo, la P.A., diventata detentrice senza
titolo dell’area di proprietà privata, avrebbe dovuto essere, in linea di principio, obbligata alla restituzione
della stessa e, tuttavia, l’intrapreso procedimento ablatorio attualizzava la funzione sociale della proprietà,
legittimandone il sacrificio, sicché, nell’ipotesi in cui il bene fosse già stato utilizzato per l’esecuzione delle
opere destinate in modo permanente al soddisfacimento di un pubblico interesse, il privato non avrebbe
potuto chiedere al giudice ordinario la restituzione del fondo, bensì solo il risarcimento del danno,
perdendo la proprietà sull’immobile in favore della P.A., che, perciò, in virtù di questa manifestazione
invertita dell’accessione, l’acquisiva26 (in questo senso, perciò, da parte di alcuni, si era fatto ricorso alla
definizione di “espropriazione sostanziale”, in via alternativa a quella di “occupazione appropriativa o
acquisitiva”».
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La regola, applicata in maniera costante dalla giurisprudenza, ha trovato conferma da
parte della Corte costituzionale94, che leggeva in essa null’altro che un’applicazione
della funzione sociale della proprietà.
Questo excursus, per quanto breve e lacunoso, è comunque sufficiente a comprendere
l’ampia portata che il giudice delle leggi ha finito per riconoscere alla funzione sociale.
Facendo ricorso ad essa, si è addirittura finito con il legittimare espropri che
prevedevano la corresponsione di un valore simbolico o, comunque, di molto inferiore a
quello di mercato.
Le cose sono però radicalmente cambiate, come vedremo, in seguito alle decisioni della
Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto le regole italiane in materia di
esproprio contrastare con l’articolo 1 del protocollo 1 della Carta.
VI.
C’È UN GIUDICE A STRASBURGO
Esattamente come minacciava di fare il mugnaio di Potsdam, i proprietari italiani, di
fronte agli indennizzi risibili previsti dalla legge ed avallati dalla Corte costituzionale,
non sono rimasti con le mani in mano, ma hanno chiesto giustizia rivolgendosi alle Corti
internazionali.
In particolare vanno segnalate le pronunce della Corte EDU, che hanno riguardato
direttamente l’Italia determinando la radicale modifica della disciplina in materia di
espropri a seguito di quella che è stata definita una leale collaborazione tra Corti95.
Il discorso con riguardo alle fonti internazionali non sarebbe completo se ci si limitasse
all’analisi della giurisprudenza CEDU. L’Italia, infatti, oltre ad avere aderito alla
Convenzione europea sui diritti dell’uomo, è membro dell’Unione europea e, come noto,
l’ordinamento Ue ha effetti anche su quello degli Stati membri. Occorrerà, quindi,
verificare se in ambito Ue esistono regole in materia di proprietà che possono giocare un
ruolo con riguardo al tema che ci occupa e quale sia la posizione della Corte di Giustizia
sul tema.
Ma andiamo per gradi e cominciamo con l’analizzare le decisioni della Corte EDU, che
hanno segnato la rivincita dei proprietari.
La Convenzione europea per i diritti dell’uomo, nel suo testo originario, non
contemplava il diritto di proprietà. Il diritto fu introdotto successivamente con l’articolo
1 del protocollo 1. Questo ci pare essere segno evidente di come, almeno inizialmente,
non fosse così pacifico che la proprietà rientrasse tra i diritti fondamentali e che come
tale dovesse essere tutelata96, ciò anche, evidentemente, alla luce della necessità di
consentire l’adesione dei paesi del blocco comunista alla CEDU97.
Cfr. C. Cost. 31 luglio 1990, n. 384, in Foro it. 1992, I, 1073 ss. e Cost. 23 maggio 1995, n. 188, in Foro it.
1996, I, 464. La stessa Corte costituzionale ha successivamente chiarito (sentenza 4 febbraio 2000, n. 24,
in Giur. it. 2000, I, 1, 827) che la fattispecie non ha alcun tipo di legame con l’articolo 938 c.c.
disciplinante la c.d. accessione invertita, risultando completamente diversi la ratio e l’interesse tutelato.
95 Cfr. Pietro PERLINGIERI, Leale collaborazione tra Corte costituzionale e Corti europee: per un
unitario sistema ordinamentale, Napoli, 2008.
96 Cfr. Fabio BUONOMO, La tutela della proprietà dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano,
2005, p. 53; Claudio ZANGHÌ, La proprietà e i diritti umani, Intervento al Convegno organizzato dalla
Consulta per i diritti umani in occasione dell’anniversario della firma della Convenzione europea, Palermo
6/11/1999, in Dir. dell’uomo, cronache e battaglie, n. 2 1999, p. 42-43 ove si osserva che: «Come
accennavo, l'articolo che attiene al diritto di proprietà si trova nel primo Protocollo addizionale alla
Convenzione; questa posizione è significativa, a mio avviso, per richiamare come sia stato difficile nel
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Il testo dell’articolo 1 del Protocollo dispone che: «Toute personne physique ou morale a
droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause
d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du
droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de
mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaire pour réglementer l’usage des biens
conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autre
contributions ou des amendes»98. A prima vista una ripetizione di quanto espresso
nelle Costituzioni postweimariane, ma, alla prova dei fatti, secondo molti, la premessa
per un ritorno al passato ed alla ricomprensione della proprietà tra i diritti dell’uomo99.
Un’autorevole chiave di lettura dell’articolo 1 ci viene offerta dalla Corte EDU, la quale,
nel caso Sporrong and Lönnroth 100, osservò come esso fosse in realtà composto da tre
precetti. Un primo, che sancisce il rispetto dei beni appartenenti ad ogni persona fisica e
giuridica; un secondo, che sottopone ogni privazione della proprietà ad alcune
condizioni di legittimità; un terzo che riconosce agli Stati membri della Convenzione la
facoltà di regolamentare l’utilizzo dei beni alla luce dell’interesse generale, adottando le
leggi necessarie a tale scopo101.
negoziato fra i 15 Paesi, allora membri del Consiglio d'Europa, risolvere gli evidenti contrasti sorti
sull'opportunità di inserire il diritto di proprietà nel contesto della Convenzione. Ed è per questa ragione
che il diritto è stato relegato al primo Protocollo. Ma se leggiamo il testo di questo articolo, abbastanza
breve per altro, vediamo come, per una eccessiva prudenza formale, non si fa cenno del “diritto di
proprietà”, nel senso esplicito del termine, ma si legge soltanto di “diritto al rispetto dei propri beni”.
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”. Mi direte che sostanzialmente è la
stessa cosa, è un’altra maniera di affermare un diritto di proprietà; e forse su questo potremmo essere
d'accordo, ma è certamente significativo come la scelta terminologica che è stata utilizzata, non è, e non
può essere, priva di significato. Quanto meno è certamente la prova della difficoltà di inserire o meno un
esplicito diritto di proprietà fra i diritti affermati e protetti dalla Convenzione».
Particolarmente interessanti ci paiono anche le osservazioni del saggio con riferimento alla Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948: «Se diamo uno sguardo ai testi internazionali che hanno
formalizzato e quantificato, in qualche modo, i diritti umani, vediamo anzitutto che il diritto di proprietà
trova posto nella Dichiarazione Universale del 1948 . E’ questa una positiva affermazione, formulata in
un’epoca storica che segna la nascita dei diritti umani a livello internazionale. Ma se ci spostiamo nella
successiva opera che le Nazioni Unite hanno prodotto in materia, e mi riferisco ai Patti internazionali sui
diritti umani, quello su diritti civili e politici e quello sui diritti economici, sociali e culturali del 1976, il
diritto di proprietà scompare. L'unica cosa che troviamo è il diritto di proprietà “dei popoli”».
97 Vd. Fabio BUONOMO, op. loc. cit.
98 Ossia secondo il testo della traduzione non ufficiale in italiano reperibile sul sito della convenzione
(http://www.echr.coe.int/echr/): «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni.
Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni
previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi
ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare
il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende»
99 Cfr. Giulio RAMACCIONI, La tutela multilivello del diritto di proprietà: il caso dell’acquisizione sanante,
in Cesare SALVI (a cura di), Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani, cit., p. 285 ss. ove si
afferma che la CEDU avrebbe comportato un ritorno a Locke del concetto di proprietà.
100 Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 settembre 1982, Sporrong - Lönnroth c. Svezia, in Riv. dir. int.,
1984, p. 592 citata da Fabio BUONOMO, op. cit., 65 come la prima decisione in cui uno Stato venne
condannato per violazione dell’articolo 1 del primo protocollo.
101 Cfr. paragrafo 61 della decisione secondo il quale: «Reste à rechercher si l’ingérence ainsi constatée
enfreint ou non l’article 1 (P1-1). Celui-ci contient trois normes distinctes. La première, d’ordre général,
énonce le principe du respect de la propriété; elle s’exprime dans la première phrase du premier alinéa. La
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In seguito al caso Sporrong la Corte Edu è tornata ad occuparsi di proprietà con una
certa frequenza. Nel caso James e altri c. Regno Unito102, pur non ritenendo violato
l’articolo 1, si precisava che ogni esproprio presupponeva un indennizzo a favore del
proprietario103. La sentenza James pone le fondamenta per le successive ed assai note
pronunce contro l’Italia in materia di indennizzo in caso di esproprio104, tra le quali la
più nota e commentata è sicuramente la decisione Scordino c. Italia 105.
Le pronunce dei giudici di Strasburgo con riguardo all’Italia si riferiscono in particolar
modo all’occupazione acquisitiva, ribattezzata espropriazione indiretta, che viene
bocciata senza appello per violazione dell’articolo 1 del protocollo 1.
Il motivo per cui la Corte ritiene l’istituto contrastare con il protocollo ci pare
cristallizzato nel paragrafo 92 della sentenza Scordino 3106, ove si afferma che: «le
mécanisme de l’expropriation indirecte permet en général à l’administration de passer
outre les règles fixées en matière d’expropriation, avec le risque d’un résultat
imprévisible ou arbitraire pour les intéressés, qu’il s’agisse d’une illégalité existant
deuxième vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions; elle figure dans la seconde
phrase du même alinéa. Quant à la troisième elle reconnaît aux Etats le pouvoir, entre autres, de
réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général et en mettant en vigueur les lois qu’ils
jugent nécessaires à cette fin; elle ressort du deuxième alinéa». Questa lettura dell’articolo 1 prot. 1
ritornerà poi in maniera costante nella giurisprudenza della Corte cfr. Luca NIVARRA, op. cit., p. 207, nota
15.
102 Sentenza Corte europea diritti dell’uomo del 21 febbraio 1986, reperibile sul sito della Corte
all’indirizzo:
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=James%20%
7C%20et%20%7C%20autres%20%7C%20c.%20%7C%20RoyaumeUni%2C&sessionid=100178965&skin=hudoc-fr .
103 Mario TRIMARCHI, op. cit., p. 1030, in specie nota 18.
104 Si vedano, tra le altre, Belvedere Alberghiera c. Italia del 30 maggio 2000, in Foro it., 2001, IV, 23 ss.
e Carbonara e Ventura c. Italia, emessa in pari data ed anch’essa in Foro it., 2001, IV, 235 ss.
Una panoramica della giurisprudenza in materia è rinvenibile in Roberto CONTI, Il risarcimento del
danno da occupazione illegittima: alcuni possibili spunti innovativi alla luce delle sentenze di
Strasburgo in Eol 1/2008, p. 18 ss. e ID. Proprietà e Convenzione dei diritti dell’uomo e Occupazione
acquisitiva, espropriazione e trasferimenti coattivi, entrambi in R. Conti (a cura di), La proprietà e i
diritti reali minori, Milano, 2009, p. 223 ss. e 430 ss., mentre l’elenco di tutte e 54 le decisioni della Corte
EDU in materia di accessione avvertita è rinvenibile in Giulio RAMACCIONI, op. cit., p. 275, nota 19.
105 Sentenza Corte europea diritti dell’uomo del 29 luglio 2004 Scordino c. Italia (si tratta del caso n. 1,
posto che le decisioni Scordino c. Italia sono ben 3) consultabile sul sito della Corte all’indirizzo:
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=4&portal=hbkm&action=html&highlight=italie%20%7
C%20scordino&sessionid=100179981&skin=hudoc-fr e in Riv. giur. edilizia, 2005, p. 3 ss.; Foro it., 2005,
IV, 1; Foro amm. CDS, 2004, p. 2423 ss.
La pronuncia è commentatissima, non solo in Italia; senza pretese di completezza si rinvia a: Jörn
ESCHMENT, Musterprozesse vor dem Europäischen Gerichtshof für Menschenrechte, Peter Lang, 2011,
133; Emanuele BOSCOLO, Espropriazione: la giurisprudenza della. CEDU e l'urbanistica regionale tra
perequazione, compensazione e premialità, in Foro Amm. Tar, 2005, p. 1331; Roberto CONTI, Scordino c.
Italia (pen)ultimo atto: la scure - non definitiva - di Strasburgo sull'indennità di esproprio, in Corr.
giur., 2004, p. 1583.
106 Corte europea diritti dell’uomo 17 maggio 2005 Scordino c. Italia (n. 3) consultabile sul sito internet
della Corte all’indirizzo:
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=5&portal=hbkm&action=html&highlight=&sessionid=
100282784&skin=hudoc-fr.
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depuis le début ou d’une illégalité survenue par la suite»107. Evidente, quindi,
l’incompatibilità con il protocollo CEDU.
Alla luce delle copiose condanne dell’Italia per violazione del protocollo, condanne che
denotavano un vero e proprio “deficit strutturale” nella tutela del diritto di
proprietà108, il legislatore italiano corse ai ripari incaricando il Consiglio di Stato di
redigere un testo unico in materia di espropri, che tenesse conto delle osservazioni della
Corte EDU e che interrompesse la lunga catena di condanne.
Venne così adottato il DPR 372/2001109, il cui articolo 43110 confermava la possibilità
di occupazione acquisitiva, negando che la stessa si fondasse sull’avvenuta realizzazione
Che tradotta liberamente significa: “Il meccanismo di espropriazione indiretta permette in generale
all’amministrazione di passare oltre le regole fissate in materia di espropriazione, con il rischio di un
risultato imprevedibile e arbitrario per gli interessati, sia che si tratti di una illegalità esistente dall’inizio
dell’attività, sia che essa sia sopravvenuta in corso d’opera”.
108 Cfr. Cesare SALVI, La proprietà privata e l’Europa. Diritto di libertà o funzione sociale, cit., 422.
Si vedano in particolare le sentenze Corte EDU 30 maggio 2000, n. 31524/96/2000, Belvedere
Alberghiera S.r.l. c. Italia; Corte EDU 30 maggio 2000, n. 24638/94/2000, Carbonara e Ventura c.
Italia; Corte EDU 17 maggio 2005, n. 43662/98/2005, Scordino c. Italia (n. 3); Corte EDU 17 maggio
2005, n. 43663/98/2005, Mason e altri c. Italia; Corte EDU 17 maggio 2005, n. 36818/97/2005, Pasculli
c. Italia; Corte EDU 19 maggio 2005, n. 41040/98/2005, Acciardi e Campagna c. Italia; Corte EDU 15
luglio 2005, n. 62592/00/2005, Capone c. Italia; Corte EDU 15 luglio 2005, n. 63861/00/2005, Carletta
c. Italia; Corte EDU 15 luglio 2005, n. 63285/00/2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 8); Corte EDU 15
luglio 2005, n. 63242/00/2005, Donati c. Italia; Corte EDU 15 luglio 2005, n. 63240/00/2005, La Rosa
e Alba c. Italia (n. 6); Corte EDU 15 luglio 2005, n. 63868/00/2005, Colacrai c. Italia (n. 2); Corte EDU
11 ottobre 2005, n. 63620/00/2005, Chirò e altri c. Italia; Corte EDU 11 ottobre 2005, n. 65137/01/2005,
Chirò e altri c. Italia (n. 2); Corte EDU 11 ottobre 2005, 67196/01/2005, Chirò e altri c. Italia (n. 4);
Corte EDU 11 ottobre 2005, n. 58119/00/2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 1); Corte EDU 11 ottobre 2005,
n. 67197/01/2005, Chirò e altri c. Italia (n. 5); Corte EDU 11 ottobre 2005, n. 65272/01/2005, Chirò
Dora c. Italia (n. 3); Corte EDU 13 ottobre 2005, n. 63866/00/2005, Maselli c. Italia; Corte EDU 13
ottobre 2005, n. 63633/00/2005, Colazzo c. Italia; Corte EDU 13 ottobre 2005, n. 71175/01/2005, De
Pasquale c. Italia; Corte EDU 13 ottobre 2005, n. 63296/00/2005, Colacrai c. Italia (n. 1); Corte EDU 13
ottobre 2005, n. 63864/00/2005, Fiore c. Italia; Corte EDU 13 ottobre 2005, n. 67198/01/2005, Serrao
c. Italia; Corte EDU 13 ottobre 2005, n. 63238/00/2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 4); Corte EDU 13
ottobre 2005, n. 71603/01/2005, Binotti c. Italia; Corte EDU 15 novembre 2005, n. 60124/00/2005,
Gravina c. Italia; Corte EDU 15 novembre 2005, n. 58386/00/2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 3); Corte
EDU 15 novembre 2005, 56578/00/2005, Lanteri c. Italia; Corte EDU 15 novembre 2005, n.
64111/00/2005, Dominici c. Italia; Corte EDU 17 novembre 2005, n. 63632/00/2005, Binotti c. Italia;
Corte EDU 17 novembre 2005, n. 63241/00/2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 7); Corte EDU 17 novembre
2005, n. 77823/01/2005, Serrilli Pia Gloria e altri c. Italia; Corte EDU 17 novembre 2005, n.
62876/00/2005, Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero c. Italia; Corte EDU 6 dicembre 2005,
n. 77822/01/2005, Serrilli c. Italia; Corte EDU 6 dicembre 2005, n. 20236/02/2005, Capone c. Italia;
Corte EDU 8 dicembre 2005, n. 58858/00/2005, Guiso-Gallisay c. Italia; Corte EDU 15 dicembre 2005,
n. 67790/01/2005, Scozzari e altri c. Italia; Corte EDU 15 dicembre 2005, n. 16041/02/2005, Giacobbe e
altri c. Italia; Corte EDU 15 dicembre 2005, n. 44897/98/2005, Di Cola c. Italia; Corte EDU 12 gennaio
2006, n. 14793/02/2006, Sciarrotta e altri c. Italia; Corte EDU 2 febbraio 2006, n. 9119/03/2006,
Genovese c. Italia; Corte EDU 9 febbraio 2006, n. 69907/01/2006, Prenna e altri c. Italia; Corte EDU 23
febbraio 2006, n. 35638/03/2006, Immobiliare Cerro S.a.s. c. Italia; Corte EDU 2 marzo 2006, n.
20935/03/2006, Izzo c. Italia; Corte EDU 30 marzo 2006, n. 35941/03/2006, Gianni e altri c. Italia;
Corte EDU 20 aprile 2006, n. 176/04/2006, De Sciscio c. Italia; Corte EDU 22 giugno 2006, n.
213/04/2006, Ucci c. Italia; Corte EDU 6 luglio 2006, n. 18791/03/2006, Grossi e altri c. Italia; Corte
EDU 11 luglio 2006, n. 63239/00/2006, La Rosa e Alba c. Italia (n. 5); Corte EDU 11 luglio 2006, n.
61211/00/2006, Maselli c. Italia (n. 2); Corte EDU 13 luglio 2006, n. 12912/04/2006, Lo Bue e altri c.
Italia; Corte EDU 13 luglio 2006, n. 12894/04/2006, Zaffuto e altri c. Italia.
109 In Gazz. Uff. 16 agosto 2001, n. 189.
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irreversibile dell’opera da parte della PA e purché si fosse rispettata un’apposita
procedura di sanatoria.
In sostanza, alla luce di come il principio enunciato nell’articolo 43 è stato elaborato
dalla successiva giurisprudenza amministrativa111, in caso di mancata conclusione del
procedimento espropriativo, se si è effettivamente realizzata un’occupazione senza titolo
del fondo, si è in presenza di un illecito che obbliga la PA a risarcire il danno e a
restituire il fondo. Ecco che, in questo contesto, si inserisce l’articolo 43, che consente di
far venire meno l’obbligo restitutorio attraverso l’acquisizione del bene da parte della
PA.
Perché ciò possa avvenire occorre non solo che l’opera sia astrattamente idonea a
soddisfare esigenze di carattere generale, ma anche che, alla luce di una attenta
valutazione degli interessi in conflitto, la PA motivi adeguatamente le ragioni per cui, in
concreto, l’opera deve essere considerata di pubblico interesse. La trasformazione
irreversibile del fondo e la conseguente impossibilità di restituire il bene al privato,
cessano di avere rilevanza ai fini dell’acquisizione del bene da parte dell’ente pubblico.
La giurisprudenza cercava di far quadrare il cerchio conciliando l’inconciliabile, ossia
giurisprudenza CEDU e dettami della Corte Costituzionale. I nodi, però, restavano
Che nel suo testo originario recitava: «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse
pubblico.
Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico,
modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica
utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano
risarciti i danni.
L'atto di acquisizione: a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il
vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di
esproprio; b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area, indicando,
ove risulti, la data alla quale essa si è verificata; c) determina la misura del risarcimento del danno e ne
dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già
proposta; d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili; e) comporta il passaggio
del diritto di proprietà; f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari; g) è trasmesso
all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2.
Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione
volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha
interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del
ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della
restituzione del bene senza limiti di tempo.
Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia
disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana
l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri
immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.
Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno
sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando
sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal
proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.
Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del
danno è determinato: a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica
utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37,
commi 3, 4, 5, 6 e 7; b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia
stato occupato senza titolo».
111 Cfr. Cons. Stato, ad. plen., 29 aprile 2005, n. 2, in Foro it., 2006, 2, 71; Cons. Stato 21 maggio 2007, n.
2582, in Foro amm. CDS 2007, 5, p. 1463 (s.m); Cons. Stato 30 dicembre 2008, n. 6636, in Riv. giur.
edilizia, 2009, p. 295.
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irrisolti e non tardarono a venire al pettine. Ad esempio, nelle pronunce De Sciscio c.
Italia112 e, in obiter dictum, in Sciarrotta c. Italia113, la Corte EDU ribadisce che anche
la nuova disciplina introdotta dall’Italia non sembra conforme al principio enunciato
nell’art. 1 prot.
Giungiamo così alle famose sentenze gemelle del 2007 della Corte costituzionale: la n.
348114 e la n. 349115. Le sentenze - molto note e commentate poiché ridisegnano il
sistema italiano delle fonti, rileggendolo alla luce dell’art. 117 Cost. - consacrano la
Convenzione EDU a parametro attraverso il quale valutare la costituzionalità delle
disposizioni nazionali.
Ma non è questo l’aspetto sul quale puntare l’attenzione ai nostri fini. La Corte
costituzionale era chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità di una norma che
prevedeva un indennizzo, in caso di esproprio, inferiore al valore di mercato del
bene116. Secondo la giurisprudenza consolidata del giudice delle leggi si trattava di una
causa persa in partenza. Eppure non fu così. La Corte costituzionale, infatti, ribaltando il
proprio precedente ordinamento ed uniformandosi alla Corte EDU, stabilì che: «va
dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 bis comma 7 bis d.l. 11 luglio 1992 n.
333, conv. in l. 8 agosto 1992 n. 359, in quanto, non prevedendo un ristoro integrale del
danno subito per effetto dell'occupazione acquisitiva da parte della p.a., corrispondente
al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali
sanciti dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu e per ciò stesso viola l'art. 117
comma 1 Cost.».
È vero che la Corte eluse il vero problema, ossia se l’occupazione acquisitiva è, in sé,
contrastante con l’articolo 1 prot.117, ma è anche vero che la Corte ha ribaltato il suo
Corte EDU, 20 aprile 2006, n. 176/04/2006, De Sciscio c. Italia, in specie il paragrafo 78 che recita:
«La Cour note ensuite que le mécanisme de l’expropriation indirecte permet en général à l’administration
de passer outre les règles fixées en matière d’expropriation, avec le risque d’un résultat imprévisible ou
arbitraire pour les intéressés, qu’il s’agisse d’une illégalité depuis le début ou d’une illégalité survenue par
la suite. En effet, dans tous les cas, l’expropriation indirecte tend à entériner une situation de fait
découlant des illégalités commises par l’administration, à régler les conséquences pour le particulier et
pour l’administration, au bénéfice de celle-ci. Que ce soit en vertu d’un principe jurisprudentiel ou d’un
texte de loi comme l’article 43 du Répertoire, l’expropriation indirecte ne saurait donc constituer une
alternative à une expropriation en bonne et due forme (voir, sur ce point également, le point de vue du
Conseil d’Etat, au paragraphe 44 ci-dessus)». La sentenza è leggibile sul sito della Corte europea dei
diritti
dell’uomo
all’indirizzo
:
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=De%20%7C
%20Sciscio&sessionid=100179981&skin=hudoc-fr
113 Corte
EDU, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, consultabile sul sito della Corte all’indirizzo
http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=italie%20%7
C%20Sciarrotta&sessionid=100179981&skin=hudoc-fr . Si veda in specie il paragrafo 71: «En outre, la
Cour constate que, dans tous les cas, l'expropriation indirecte vise à entériner une situation de fait
découlant des illégalités commises par l'administration, tend à régler les conséquences pour le particulier
et l'administration, et permet à cette dernière de tirer bénéfice de son comportement illégal. Que ce soit en
vertu d'un principe jurisprudentiel ou d'un texte de loi comme l'article 43 du Répertoire, l'expropriation
indirecte ne saurait donc constituer une alternative à une expropriation en bonne et due forme».
114 C. Cost. 24 ottobre 2007, n. 348, in Giust. civ. 2008, p. 1365 ss.
115 C. Cost. 24 ottobre 2007, n. 349, in Giust. civ. 2008, 6, 1363 ss.
116 Nella specie l’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con
modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre
1996, n. 662.
117 Cfr. Giulio RAMACCIONI, op. cit., p. 281 e s.
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orientamento consolidato per cui la funzione sociale della proprietà giustificava una
riduzione dell’indennizzo ad una somma inferiore rispetto al valore di mercato del bene.
VII.
PROPRIETÀ E UNIONE EUROPEA
Passiamo ora ad esaminare il diritto UE ed il suo rapporto con la proprietà. Da una
prima scorsa del TFUE si rimarrebbe delusi. L’articolo 345 TFUE afferma laconicamente
che «i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli
Stati membri»118. La norma sembrerebbe quindi enunciare una sorta di neutralità
dell’UE rispetto alla proprietà119. La disposizione si è tramandata dalla Dichiarazione
Schuman del 1950 all’art. 83 del Trattato CECA. La funzione originaria della
disposizione era quella di consentire, agli Stati che lo avessero ritenuto opportuno, di
procedere alla nazionalizzazione delle imprese120. Accanto a questa ragione se ne è
affermata una seconda. La proprietà, al pari del contratto, è uno dei cardini del diritto
civile dei singoli Stati membri; essa è però percepita e disciplinata in modo diverso nei
singoli ordinamenti; ecco quindi la necessità di assicurare i legislatori nazionali che
l’Unione approccerà con estrema cautela questi aspetti del diritto civile con una valenza
costituzionale così rilevante121.
La neutralità del diritto comunitario (e oggi dell’Unione) non era assoluta. La libertà dei
singoli Stati di regolare il regime proprietario al loro interno, infatti, non poteva
giungere a consentire violazioni dei principi fondamentali previsti dai Trattati122. Non
solo. A fronte di una disposizione che accenna alla neutralità ve ne sono altre, che,
invece, hanno permesso un vero e proprio attivismo. Pensiamo, in particolare, ai
risultati che il principio di sussidiarietà letto alla luce dell’articolo 3 del TUE permette di
raggiungere. In forza del principio di sussidiarietà, come noto, le istituzioni sono
autorizzate ad intervenire quando determinati obiettivi possono essere raggiunti in
modo più proficuo a livello europeo, piuttosto che a livello nazionale. Gli obiettivi sono
determinati dall’articolo 3 TUE in forza del quale l’Unione deve favorire il benessere dei
popoli, lo sviluppo sostenibile, la lotta all’esclusione sociale, il commercio e, ovviamente
non meno importante, la tutela dei diritti umani. Data la genericità degli obiettivi, la
possibilità di interventi sussidiari si estende a praticamente tutti i settori, compresa,
ovviamente, la proprietà.
Il cerchio si chiude con l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE
(CDFUE), che, in base all’articolo 6 del TUE, ha lo stesso valore dei Trattati. L’articolo 17
riconosce a ogni individuo «il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato
Per un commento della norma si vedano Fernando LOSADA FRAGA, Teemu JUUTILAINEN, Katri HAVU,
Juha VESALA, Property and European Integration: Dimensions of Article 345 TFEU, in Tidskrift utgiven
av Juridiska föreningen i Finland. 2012, 3, p. 203 ss.
119 Del resto, come rileva Marc Jaeger (presidente del Tribunale UE), in Il diritto di proprietà quale diritto
fondamentale nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Europa e diritto privato, 2011, p. 349 ss.,
specie 352, «originariamente il diritto di proprietà non trovava spazio nei trattati istitutivi delle diverse
comunità, o più precisamente lo trovava, con riferimento al concetto di regime di proprietà. In definitiva,
l’ordine comunitario era neutrale rispetto a questo diritto».
120 Luca NIVARRA, op. cit., 213.
121 Cfr. Daniela CARUSO, Private Law and Public Stakes in European Integration: The Case of Property,
in European Law Journal, VI, 2004, p. 751 ss.
122 Cfr. Marc JAEGER, Il diritto di proprietà quale diritto fondamentale nella giurisprudenza della Corte
di Giustizia, in Cesare SALVI (a cura di), Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani, Torino,
2012, p. 27.
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legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato
della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla
legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della
stessa. L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse
generale. La proprietà intellettuale è protetta». In dottrina si è osservato123 come tale
norma rivoluzioni il sistema, almeno con riguardo al diritto italiano. La proprietà non è
più trattata con riferimento ai rapporti economici, come avviene nella nostra legge
fondamentale, ma tra le libertà: «al riparo dallo Stato e dai doveri di solidarietà verso i
consociati». Da ciò conseguirebbe, secondo l’opinione di alcuni autori124, «un’evidente
ed immediata ricaduta sulla possibilità stessa di immaginarne una funzione sociale»,
posto che la libertà ed il limite funzionale sono tra loro incompatibili125. Come noto la
funzione sociale sarebbe, per parte della dottrina, ontologicamente incompatibile con il
concetto di libertà e di diritto fondamentale, poiché essa consisterebbe in una forma di
limitazione della proprietà. Il riconoscimento della proprietà come libertà e come diritto
fondamentale comporterebbe, secondo questa opinione, l’inevitabile esclusione della
funzione sociale126.
Sulle conseguenze dell’inquadramento della proprietà tra i diritti fondamentali e sulla
condivisibilità dell’opinione di chi ritiene tramontata, per questo motivo, la funzione
sociale torneremo successivamente. Per il momento basti rilevare che la CDFUE
equipara, indiscutibilmente, la proprietà ai diritti fondamentali.
Accanto al diritto positivo assume un’importanza assai rilevante il diritto pretorio. In
particolare la giurisprudenza venutasi a creare con riferimento ai rapporti tra i diritti
dell’uomo e i principi generali del diritto comunitario.
I risultati raggiunti dalla giurisprudenza sono largamente coincidenti e sovrapponibili a
quelli poi cristallizzati nel dato normativo e ci paiono dimostrare una comune volontà
dei due formanti di interpretare la proprietà come diritto fondamentale dell’individuo,
certo non sacro ed inviolabile come vorrebbe la tradizione liberale più fervente, ma
nemmeno eliminabile con la facilità avvallata dalla Corte Costituzionale italiana.
Tra tutti i diritti umani, quello di proprietà, data la sua natura patrimoniale, è stato
certo quello più spesso oggetto di controversie in ambito comunitario; ciò non
sorprende, posta la natura prevalentemente, se non esclusivamente economica che ha
contraddistinto la Comunità nei primi decenni di vita.
Luca NIVARRA, op. cit., 215 e Stefano RODOTÀ, Il progetto della Carta europea e l’art. 42 della
Costituzione, in Marco COMPORTI (a cura di), La proprietà nella Carta europea dei diritti fondamentali,
Milano, 2005, p. 159, paragona l’art. 17 a «una restaurazione, una sorta di orologio costituzionale messo
indietro di quasi un secolo».
124 Sempre secondo Luca NIVARRA, op. loc. cit.
125 Stefano RODOTÀ, Note critiche in tema di proprietà, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile,
1960, II, p.1300.
126 Cfr. Stefano RODOTÀ, voce Proprietà, in Novissimo digesto italiano, cit., p. 134, appare chiarificante in
questo senso il passaggio seguente: «In via preliminare, infatti è stato posto il problema della
compatibilità dei concetti di funzione e di diritto soggettivo: negandosi tale compatibilità, si è
conseguentemente negata l’ammissibilità di una funzione in relazione alla proprietà. Tale negazione,
anzitutto, viene fondata sulla contraddizione esistente nel corpo stesso dell’espressione adoperata, poiché
lidea di funzione (come vincolo) ripugnerebbe a quella di diritto (come libertà)».
123
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Particolare importanza ebbero le decisioni Nold e Hauer127 nelle quali la Corte di
Giustizia affermò che la proprietà trova tutela nel diritto comunitario, al pari di tutti i
principi comuni alle Costituzioni degli Stati membri recepiti nel protocollo 1 della
CEDU128. La Corte di Giustizia consacra il diritto di proprietà, rispetto al quale i trattati
erano neutrali, come diritto fondamentale attraverso il richiamo alla CEDU.
La giurisprudenza successiva non abbandonerà le linee tracciate con i casi Nold e Hauer.
La proprietà è tutelata dal diritto dell’Unione, ma sono ammesse delle limitazioni in
tutti quei casi in cui sia necessario garantire il rispetto di interessi confliggenti quali
sicurezza, ambiente, salute e concorrenza129.
Gli esempi in cui la Corte ha ammesso limitazioni al diritto di proprietà sono numerosi.
Nel caso Bosphorus la Corte precisò che i diritti fondamentali invocati dalla società
ricorrente (che lamentava una lesione del diritto di proprietà), «non appaiono come
prerogative assolute e il loro esercizio può essere oggetto di restrizioni giustificate in
nome di obiettivi di interesse generale»130. Pensiamo, inoltre, alle decisioni che hanno
riconosciuto come legittime le limitazioni della proprietà finalizzate alla lotta al
terrorismo131.
Molta strada è stata percorsa dall’Unione Europea, rispetto alla neutralità prevista dai
Trattati e la direzione in cui ci si è mossi pare in tutto parallela a quella della CEDU.
VIII. IL DIRITTO DI PROPRIETÀ OGGI: DIRITTO FONDAMENTALE O CONFORMATO?
Dall’analisi sin qui svolta emergono una serie di dati che vale la pena ricapitolare. La
nozione di proprietà non è ferma ed immutabile, come a prima vista potrebbe ritenersi.
Al contrario, essa ha dimostrato, nel corso dei millenni, di essere uno dei concetti
giuridici più elastici. Massima espansione presso i Romani, contrazione nel Medioevo,
nuova espansione nell’Età dei Lumi e contrazione con le costituzioni sociali. E oggi? La
proprietà è tornata ad essere un diritto fondamentale dell’individuo, com’era ai tempi
della Declaration des droits francese, oppure è un semplice diritto funzionalizzato ad un
superiore interesse?
Sentenza J. Nold, Kohlen-und Baustoffgrosshandlung c. Commissione del 14 maggio 1974, causa 4/73,
in Racc., 1974, p. 491. Sentenza Liselotte Hauer c. Land Rheinland – Pfalz del 13 dicembre 1979, causa
44/79, in Racc., 1979, p. 3727.
128 Cfr. in particolare i paragrafi 12 e 13 della decisione Nold ed il paragrafo 17 della Hauer.
129 Cfr., su questo ultimo aspetto, Corte di Giusizia CE., 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P e C415/05 P, Yassin Abdullah Kadi e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, in
Racc. 2008, I-6351. La sentenza é particolarmente importante anche perché traccia le linee dei rapporti
tra CEDU e diritto UE, si rinvia agli autorevoli commenti di Aldo SANDULLI, Caso Kadi: tre percorsi a
confronto, pp. 1088 ss.; Sabino CASSESE, Ordine comunitario e ordine globale, pp. 1091-1092; Edoardo
CHITI, I diritti di difesa e di proprietà nell’ordinamento europeo, pp.1093 ss.; Mario SAVINO, Libertà e
sicurezza nella lotta al terrorismo: quale bilanciamento?, pp. 1096 ss.; Giulio VESPERINI, Il principio del
contraddittorio e le fasi comunitarie di procedimenti globali, pp. 1100-1101; Giacinto DELLA CANANEA, Un
nuovo nomos per l’ordine globale, apparsi sul Giorn. dir. amm. 2008 alle pagine 1088 ss.
130 Corte di Giustizia CE, 30 luglio 1996, n. 84, Bosphorus Hava Yollari Turizm ve Ticaret AS c. Minister
for Transport, Energy and Communications e altri, in Racc., 1996, I, p. 3953, par. 12.
131 Si vedano ad es. Corte di Giustizia CE, 3 dicembre 2009, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, Faraj
Hassan c. Consiglio e Commissione e Chafiq Ayadi c. Consiglio, in Racc., 2009, I, p. 11393.
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In dottrina si ritiene che, posto il ruolo giocato dalle fonti internazionali nel nostro
ordinamento alla luce del nuovo 117 Cost.132, sia oggi prevalente una visione liberale del
diritto, che comporterebbe la preminenza dell’aspetto proprietario su quello sociale.
Vivremmo
quindi
una
fase
di
«destrutturazione
del
compromesso
socialdemocratico»133, a seguito della quale la proprietà, tornata ad essere diritto
fondamentale dell’individuo, gode della massima protezione e soffre delle minori
limitazioni.
In particolare, alla luce della CEDU e della CDFUE, avremmo una «vera e propria presa
di distanze dalla nostra costituzione economica», di cui indizio inequivocabile sarebbe la
collocazione della proprietà tra le libertà e non più tra i diritti economico-sociali, dove il
compromesso tra le forze politiche alla costituente italiana la relegò. Da ciò
conseguirebbe «un’evidente ed immediata ricaduta sulla possibilità stessa di
immaginarne una funzione sociale»134, posto che, come osservava Rodotà, là dove la
proprietà viene concepita alla stregua di uno dei modi di essere della libertà, «il vincolo
funzionale […] manifesterebbe tutta la sua incompatibilità» con il diritto135.
Per alcuni, invece, sarebbe addirittura «improprio e antistorico l’inserimento della
proprietà fra le libertà», posto che «i diritti fondamentali dell’uomo sono solo quelli di
natura personale, e non già quelli di natura patrimoniale»136.
Da tutte queste ricostruzioni parrebbe che, in questo momento storico, un
neocapitalismo imperante e di matrice europea, abbia condannato al patibolo la
funzione sociale, riportando la proprietà, se non alla sua massima estensione, comunque
tra i diritti dell’uomo, che, in quanto libertà, non sarebbero conformabili.
A nostro modo di vedere, il presente della funzione sociale non è così grigio.
È vero che il diritto di proprietà ha, oggi, una dignità costituzionale maggiore, rispetto a
quella che avevano pensato i costituenti italiani. Tale incremento di importanza deve
attribuirsi, con tutta evidenza, all’incidenza del diritto sovranazionale (CEDU e UE), al
quale, ex art. 117 Cost., l’Italia deve ora conformarsi. La proprietà, quindi, non è più
soltanto un diritto economico. Però è vero anche che, nella Costituzione tedesca, la quale
ha ereditato e riproposto la formula weimariana di funzione sociale137, per cui “la
proprietà obbliga” («Eigentum verpflichtet»), la proprietà è contemplata tra i
Grundrechte (diritti fondamentali) e nessuno ha dubitato che, nonostante ciò, essa
svolgesse una precisa funzione sociale e fosse pertanto conformabile138. Dall’empasse si
è usciti riconoscendo che il Grundgesetz139 tedesco riconoscerebbe la proprietà quale
Grundrecht, ma di natura economica e quindi limitabile140.
Sul quale si rimanda a Margherita SALVADORI, L’applicazione della Convenzione europea e
l’integrazione dei processi interpretativi, in Rosanna Gambini e Margherita Salvadori (a cura di),
Convenzione europea sui diritti dell'uomo: processo penale e garanzie, Napoli, 2009, p. 17 ss.
133 Luca NIVARRA, op. cit., p. 238.
134 Luca NIVARRA, op. cit., p. 215.
135 Stefano RODOTÀ, Note critiche in tema di proprietà, cit., p. 1303 e Luca NIVARRA, op. loc. cit.
136 Marco COMPORTI, La proprietà europea e la proprietà italiana, Riv. dir. civ, 2008, I, p. 192. Il fatto
che sia antistorico collocare la proprietà tra i diritti fondamentali non ci pare fondato, posto che, come
abbiamo visto, si sono alternati momenti storici in cui la proprietà era diritto fondamentale, a momenti
storici in cui non lo era.
137 Rita ROLLI, op. cit., p. 1035.
138 Cfr. Christoph ENGEL, Die soziale Funktion des Eigentums, in Thomas von DANWITZ, Otto
DEPENHEUER, Christoph ENGEL, Bericht zur Lage des Eigentums, Springer, 2002, p. 9 ss.
139 Cfr. il già ricordato art. 14 della Costituzione tedesca.
140 C. SALVI, La proprietà privata e l’Europa, cit., 425.
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Se così è, allora, non si vede per quale motivo non sarebbe possibile riconoscerle, anche
in Italia, un tale ruolo. Divenuta diritto fondamentale, sotto l’egida del diritto europeo,
la proprietà avrebbe carattere economico in base alla Costituzione italiana, che non può
essere posta nel nulla. Dunque, anche in Italia, possiamo considerare la proprietà un
diritto fondamentale a carattere economico.
Del resto, a ben vedere, non ci pare affatto che si possa dire tramontata la funzione
sociale, per il sol motivo che il diritto europeo ritiene la proprietà un diritto
fondamentale. Bisogna considerare, infatti, che tanto la CEDU, quanto il diritto UE si
formano alla luce di esperienze diverse rispetto a quella italiana. In Italia, caduto il
fascismo, non vi sono state dittature sanguinarie che hanno negato ai loro cittadini tutti
i diritti, primo tra tutti, la proprietà. Ecco spiegarsi il motivo per cui, a nostro avviso, il
diritto di proprietà, riconquistata la libertà dall’oppressione comunista, diviene, in
alcuni ordinamenti ex socialisti, il diritto che, più degli altri, ha un significato di libertà e
di affermazione dell’individuo rispetto allo Stato. Possibile dunque che, questa spinta
verso l’elencazione della proprietà tra i diritti fondamentali, derivi proprio dall’esigenza
di affermare una presa di distanze rispetto a quei regimi, che, insieme alla libertà,
negavano anche tutti gli altri diritti fondamentali.
Inoltre, ci sembra eccessivo leggere, nel sol fatto che la proprietà sia ricompresa tra le
libertà nella CDFUE e tra i diritti umani nel CEDU, una chiara ed inappellabile
condanna della funzione sociale. Entrambe le carte, infatti, se da un lato pongono la
proprietà in una posizione di maggior rilievo, rispetto alla nostra legge fondamentale,
riconoscono che tale diritto può, ricorrendo determinate condizioni, essere compresso
dall’interesse generale.
La stessa giurisprudenza della Corte EDU, che ha imposto alla Corte costituzionale
italiana di rivedere la sua posizione in materia di espropri, così come la giurisprudenza
della Corte di Giustizia UE, non sono nel senso di escludere del tutto la possibilità di
conformare la proprietà del privato. Piuttosto esse esigono che ciò avvenga a
determinate condizioni, che sono più rigorose rispetto a quelle sufficienti alla nostra
Consulta.
Se per la Corte costituzionale italiana, in caso di esproprio, era sufficiente un
indennizzo, che col valore reale del bene non aveva sostanzialmente alcun rapporto, così
non è per la Corte EDU. Secondo i giudici di Strasburgo, di regola, al proprietario
espropriato la pubblica amministrazione deve corrispondere una somma pari al valore
di mercato del bene. Salvo che si tratti di espropri finalizzati al conseguimento di
riforme economico-sociali, per cui la stessa Corte riconosce, evidentemente ben
consapevole e rispettosa della funzione sociale della proprietà, la possibilità di una
riduzione dell’indennizzo.
Questo è sufficiente per dire che la funzione sociale non esiste più? Francamente a noi
non pare141. Ci sembra, invece, che la funzione sociale sia ben chiara alle Corti
internazionali, le quali, infatti, della proprietà ammettono i limiti; ciò che, invece, non
viene tollerato è che il proprietario subisca, come regola e nummo uno, le angherie
espropriative dello Stato.
In definitiva, il diritto di proprietà disegnato dalla CEDU e dalla CDFEU e quindi
entrato nel nostro ordinamento, è divenuto un diritto dell’uomo al quale, però, la
Conclusioni analoghe in Michele GRAZIADEI, Disciplina internazionale e circolazione dei modelli
proprietari, in L´incidenza del diritto internazionale sul diritto civile, Napoli, 2011, p. 194.
141
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funzione sociale ci pare esser connaturata. Entrambe le carte ammettono la possibilità
di godere dei propri beni, ma nei limiti in cui tale godimento individuale non contrasti
con l’interesse generale. Con tutta evidenza si tratta di un diritto fondamentale sui
generis, ineludibilmente conformato, come risulta dalla sua stessa definizione di diritto
condizionato al pubblico interesse142.
Proprio la pubblica utilità e l’interesse generale, avrebbero sostituito, secondo Rita ROLLI, op. cit., p.
1074, il concetto di funzione sociale della proprietà.
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