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L`appetito vien coltivando
L’appetito vien coltivando Forme di verde condiviso Tesi di Sonia Zanzi 754691 Relatore: Davide Fassi a.a. 2011-2012 Politecnico di Milano Scuola del design Corso di laurea Magistrale in Design degli Interni Indice Abstract 2 Il cibo 5 Il rapporto uomo-cibo Il cibo come attivatore sociale 7 Gli orti comunitari Progetti collaborativi e innovazione sociale 87 23 Orti comunitari Il cibo come fatto culturale 83 105 43 I luoghi del cibo 65 Conclusioni 81 Orto urbano ≠ Orto comunitario 108 Orto comunitario come attivatore sociale 117 Orto comunitario come veicolo culturale 125 Orto comunitario come strumento di riqualificazione urbana 137 Conclusioni 149 1 Coltivando 153 Contesto 155 Processo e sviluppo 177 Modello di servizio 189 Progetto 201 Riferimenti 213 2 Abstract Il fenomeno diffuso della migrazione nelle metropoli, così attuale al giorno d’oggi, porta con sé diverse conseguenze, una tra queste è il forte individualismo che caratterizza il contesto socio-culturale attuale. Gli spazi sono così vicini mentre le distanze tra gli individui sono così ampie da sembrare insormontabili. Ed è così che si trovano a far convivere nell’ambito di pochi kilometri realtà completamente diverse. Benché Milano abbia dimensioni ridotte, nel suo piccolo questo genere di tensioni è presente anche qui ed è nel tentativo di superare questi conflitti tra mondi diversi che occupano spazi attigui che si è pensato di realizzare un orto conviviale all’interno dei confini del campus Durando del Politecnico di Milano. Questo progetto nasce dalla convinzione che gli spazi universitari siano luoghi pubblici, che tutti possono vivere ed utilizzare. Il carattere pubblico del campus, però è sconosciuto al quartiere, che vede il Politecnico come una realtà a parte: un’entità che si è insediata, occupando aree dismesse e creando una sua comunità, formata da studenti, professori e lavoratori che nella maggior parte dei casi vivono la Bovisa solo in funzione dell’università. Essendo presente all’interno delle mura universitarie uno spazio verde da riqualificare, si è pensato di utilizzarlo come ponte tra le due realtà: l’università ed il quartiere. Si vuole proporre la realizzazione di uno spazio conviviale, che sia gli studenti che gli abitanti della Bovisa possano condividere, che sentano proprio, e di cui prendersi cura. Il luogo che per eccellenza l’uomo sente come proprio, in cui si sente a suo agio e di cui si prende cura è la casa. La casa è il luogo della famiglia, degli affetti, che si trasforma a seconda delle esigenze del nucleo familiare. Da sempre, il momento in cui tutti i membri si riuniscono è il pasto; nonostante la società contemporanea occidentale sia caratterizzata da ritmi frenetici, e si stia sempre meno dentro le mura domestiche, le feste e le celebrazioni sono ancora i momenti in cui la famiglia si incontra. In molti casi ci si ritrova in luoghi pubblici, ma sempre attorno ad un tavolo e si consumano dei prodotti alimentari. La stessa ritualità avviene anche tra amici, ed in altri ambiti: pranzi e cene di lavoro sono sempre più all’ordine del giorno. ambientale, delle trasformazioni che ha subito, ecc. All’interno del campus si è quindi deciso di realizzare un orto collettivo, sfruttando l’elemento cibo come catalizzatore sociale, ma anche come veicolo culturale, per trasmettere un nuovo stile di vita, un nuovo modo di sfruttare gli spazi pubblici, di riappropriarsi di angoli che sarebbero della collettività ma che nessuno sente come propri per il fatto che spesso sono abbandonati o sono ubicati in luoghi che non si è soliti frequentare. Dato il contesto in cui si lavora, caratterizzato da un forte dinamismo dovuto al fermento progettuale peculiare delle facoltà presenti, lo spazio che si è deciso di progettare si configurerà come un luogo in divenire, un laboratorio verde, in cui tutti i partecipanti potranno sperimentare, e partecipare ad eventi e attività che vanno oltre la mera coltivazione. Uno spazio in divenire, che gli agricoltori urbani trasformeranno giorno dopo giorno, dal momento in cui pianteranno il primo seme. Si vuole quindi fornire uno spazio e un servizio, un sistema in cui tutti possano partecipare, collaborare e mettere a disposizione alcune ore del proprio tempo libero al servizio della comunità. Il compenso sarà non solo la soddisfazione di poter consumare prodotti coltivati da sé, ma anche il vedere la trasformazione, il miglioramento qualitativo di uno spazio grazie alla propria partecipazione. L’orto urbano è un’esperienza che sta sempre più prendendo piede, che nasce dalla voglia dei cittadini di reinserirsi all’interno della filiera dei prodotti, dalla terra alla tavola. Si tratta di realtà in cui vengono coltivati prodotti alimentari, e dove contemporaneamente si coltivano relazioni, conoscenze, e amicizie. Sono luoghi in cui è fondamentale la partecipazione attiva di tutti coloro che sono interessati al progetto, e in tutte le fasi di sviluppo dell’orto, dato che, lavorando con elementi vivi, che evolvono, non vi è un risultato finale prestabilito. Perché mettere il cibo al centro di questo progetto? L’attenzione al bello, e la ricerca della perfetta forma fisica che caratterizzano la società attuale fanno emergere nuove tematiche, quali la genuinità degli alimenti e la loro freschezza. Soprattutto in Europa si sta sempre più diffondendo una nuova consapevolezza intorno all’alimentazione: si sta affermando un nuovo stile di vita, in cui il consumatore si preoccupa, non solo di dove e cosa consuma, ma anche dell’origine di ogni prodotto, del suo impatto Si vogliono proporre diversi scenari di possibili evoluzioni ed espansioni dell’orto conviviale a partire dal momento della costruzione iniziale, fino a come apparirà il luogo dopo un anno di lavoro collettivo. 3 4 CAPITOLO 1 Il cibo 7 Il rapporto uomo-cibo 8 1 San Alberto Magno 1206-1280, detto Doctor Universalis, fu un religioso domenicano tedesco. Papa Pio XI nel 1931 lo proclamò Dottore della Chiesa, e un decennio dopo Papa Pio XII lo dichiarò patrono dei cultori delle scienze naturali. 2 Regimen sanitatis salernitanum, è un trattato a carattere didatticodidascalico in versi latini redatto nell’ambito della Scuola Medica Salernitana nel XII-XIII secolo. Espone le indicazioni della Scuola per tutto ciò che riguarda le norme igieniche, il cibo, le erbe e le loro indicazioni terapeutiche. Dopo la prima stampa – 1480 – raggiunse un’enorme popolarità ed era tenuto in grande considerazione come testo didattico per l’insegnamento e la divulgazione della medicina, tanto da essere utilizzato fino al XIX secolo, e tradotto in quasi tutte le lingue europee. L’uomo ha bisogno di nutrimento: di lipidi, di proteine, di sali minerali, di vitamine, presenti nei prodotti naturali, e non può ingerirli, incorporarli se non sotto forma di alimenti, cioè di prodotti naturali culturalmente costituiti e valorizzati, trasformati e consumati nel rispetto di un protocollo d’uso fortemente socializzato. Gli alimenti o cibi sono, per definizione, ogni sostanza che sia in grado di fornire energia, materiale per i tessuti o catalizzatore chimico a qualsiasi organismo vivente. Specificatamente per l’uomo gli alimenti sono, a tutti gli effetti, organismi animali, vegetali e loro derivati che la specie umana ha selezionato nel corso dei millenni in relazione alla loro reperibilità e alla loro capacità di rispondere ai bisogni di sostentamento biologico. L’idea che l’alimentazione sia importante per il benessere fisico e psichico ha origini lontane. Il cibo è considerato una fonte di energia, un dono che viene dal cielo di cui, perciò, non abusare, ma che va consumato nel giusto modo. Il male del cibo è legato soprattutto all’eccesso; solo riti legittimati consentono, in rare occasioni di trasgredire. Per molti secoli il saper guarire e il saper vivere sono una sola cosa. La medicina e le regole del vivere sano diventano un unico elemento all’interno di una filosofia di vita organica. Un corpo sano deve essere quotidianamente accudito e nutrito, in modo che si conservi integro e venga preservato dal rischio di contaminazioni. Gli aspetti essenziali dell’arte del vivere razionale comprendono il giusto impiego di cibi e bevande, il giusto equilibrio tra corpo e quiete, la difesa del corpo dall’eccesso o dalla carenza di sonno, il controllo delle passioni e delle emozioni. I consigli sull’alimentazione sono veicolati dai medici, ma prima ancora dai religiosi: San Alberto Magno1 dedica all’alimentazione un intero trattato dal titolo De nutrimento et nutribili. In esso si consiglia di badare più alla qualità che alla quantità, di smettere di mangiare quando ancora ci si prova gusto, di conoscere alla perfezione il processo alimentare in tutti i suoi effetti. Nel XIII secolo il Regimen Sanitatis Salernitanum2 diviene il libro di igiene più popolare ed è tradotto in diverse lingue volgari. Il regolamento dietetico occupa un ruolo centrale: di che genere, che cosa e quanto, quando e dove si servano i cibi, il medico 9 deve insegnarlo e mostralo. Il capitolo alimentare si chiude con un appello alla moderazione nel mangiare e nel bere.3 È comprensibile che il cibo nell’antichità fosse oggetto di paure e di preoccupazione: esso poteva essere causa di gravi malattie. Il cibo non era gioia, ma casomai condizione di una vita equilibrata, all’insegna della parsimonia. Il cibo, però, era tutt’altro che disprezzato: aveva, anzi, una centralità come via di congiunzione tra materia e spirito, termine che propone una sorta di mediazione tra corpo e anima. Il cibo come piacere esplode con il Rinascimento. Con le conquiste di benessere, quando il fantasma della carestia si allontana, l’uomo si riappacifica con la natura; finiscono le grandi epidemie e anche i prodotti della terra diventano più abbondanti: rifiorisce la gioia di vivere. Rabelais, alla metà del Cinquecento, descriverà il cibo come esplosione della sensualità, come l’esasperazione della gioia di vivere.4 Trionfa l’abbondanza, il gusto della sorpresa, dell’ostentazione: nel Seicento e nel Settecento la cucina acquista valore estetico. 3 Schipperges H., Il giardino della salute. La medicina nel medioevo, Garzanti, Milano, 1988 4 Bachtin M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino, 1979 10 Cibo-corpo Il corpo è pensato, è un prodotto della nostra mente, è il risultato delle nostre azioni, non più solo un dato fisico. In questo contesto si colloca l’uso del cibo come espressione di una disciplina di interiorizzazione e di un controllo individualizzato del corpo e degli stili di vita. L’idea che l’adozione di un regime alimentare giusto abbia effetti benefici e garantisca la longevità è diffusa in molti contesti culturali ed è enfatizzata dalle medicine orientali, ad esempio quella ayurvedica, che fa dell’alimentazione una strategia di guarigione, in cui il cibo condiziona la natura di chi lo assorbe. La relazione cibo-corpo si colloca all’interno della trasformazione del corpo da elemento naturale a oggetto culturale. Le pratiche dell’io rappresentano le risposte individuali agli imperativi esterni e si inscrivono nel corpo segnandolo e modellandolo in modi culturalmente specifici, correlati al sistema delle interazioni e al contesto sociale. Soprattutto l’equilibrio non deriva più dall’adesione all’ordine naturale, ma corrisponde a un compito e quindi deve essere perseguito e meritato. Il nutrimento del corpo con cibi considerati appropriati fa parte delle pratiche fondamentali con cui ognuno si prende cura di sé. Ciò è decisivo in un tempo in cui l’aspetto fisico è centrale nello spazio sociale come nella percezione individuale. Il richiamo diffuso alle preoccupazioni per la salute si sviluppa in parallelo all’affermarsi della presenza del corpo sulla scena sociale. 11 Cibo-corpo-benessere In virtù della straordinaria centralità del corpo, il cibo è di nuovo oggi la strada privilegiata verso la salute. Il concetto di salute si arricchisce di significati, acquista una portata semantica ben più ampia, ingloba l’idea di benessere psicofisico generale: stare bene è nel contempo vivere meglio, essere in forma, migliorare l’immagine. Mentre l’ideale di bellezza coincide sempre di più con lo stare bene nella propria pelle, si realizza un collegamento fondamentale tra benessere interiore e bellezza esteriore. Corpo e spirito non son più contrapposti, ma vengono riproposti in un binomio indissolubile; l’obiettivo è la ricerca dell’equilibrio e della stima di sé. Ciò avviene mentre cresce la proiezione verso il piacere: si allontana l’ottica della rinuncia, si rifiutano le diete restrittive, si afferma la continua ricerca della ‘formula magica’ in grado di coniugare piacere, bellezza e benessere. La riduzione della quantità imposta dalle diete contribuisce a porre l’enfasi sulla qualità: se il cibo deve essere leggero e, soprattutto, poco, che sia almeno squisito, per consentire di sopportare le privazioni dei pasti abbondanti e senza limiti. Contemporaneamente all’emergere di una sorta di mito delle origini, che cerca nella tradizione la genuinità perduta, si afferma un uso sofisticato della scienza e delle tecnologie per proporre alimenti che siano veri e propri strumenti di risanamento. I cibi biologici in questo orizzonte culturale in cui forme di razionalità si mescolano con rappresentazioni magiche e i saperi scientifici convivono con la produzione di nuovi miti. La diffusione di nuovi prodotti - biologici, vegani, ecc.- indica come sia forte il bisogno di nuovi riferimenti e regole alimentari, in un mondo che sembra aver perso orientamenti certi. Il cibo diviene una via per la salute e ciò produce una sorta di medicalizzazione dello stesso. Il neologismo alicamenti5 dimostra la continuità tra alimento e medicamento. L’espressione healty style, che il marketing fa propria per definire la modo di valorizzare comportamenti improntati alla salute, esprime la tendenza diffusa a scandire la quotidianità con pratiche e consumi orientati al mantenersi in forma. L’ideale di una perenne giovinezza ha enfatizzato il ruolo del cibo come strumento di difesa dai danni dell’invecchiamento. L’insieme strutturato di regole che corrispondono ad una corretta alimentazione crea un ordine 5 Richard Béliveau, D. Gingras, L’alimentazione anti-cancro, 2009; Alicamenti: alimenti costituiti da composti che possiedono proprietà antitumorali; modificando le abitudini alimentari, eliminando cibi cancerogeni ed integrando l’alimentazione quotidiana 12 6 Nutrigenomica: scienza della nutrizione, idealmente collocata tra la medicina e la biochimica. Cerca con metodi scientifici di capire i processi della nutrizione, da quelli digestivi a quelli metabolici dell’essere umano; esamina la risposta degli individui ai diversi componenti alimentari, utilizzando tecnologie post-genomiche – ad esempio la proteomica, la trascrittomica, la genomica ecc.- L’obiettivo a lungo termine è quello di capire come il corpo reagisce agli alimenti utilizzando un approccio integrato denominato ‘biologia dei sistemi’; il vantaggio di questo approccio è che esamina le persone – sia popolazioni che singoli individui – lo stadio della loro vita, lo stile di vita, il cibo e le sue abitudini senza preconcetti. Definizione data dall’Organizzazione Europea sulla Nutrigenomica 7 Raffaello Cortina, Una felicità paradossale, Milano, 2007 rassicurante e, nel contempo, liberamente assunto. Molte ragioni spiegano questo interesse per l’impatto del cibo sulla salute: da un lato, un ampliamento della concezione di salute che non si limita all’assenza di malattia, ma si allarga a comprendere stati di benessere complesso; dall’altro, l’idea che l’alimentazione rappresenti una componente essenziale del benessere. Si afferma una scienza, la nutrigenomica6, che studia le componenti bioattive del cibo. Si propongono persino alimenti che si dichiara agiscano sui geni, permettendo di prevenire l’insorgere di determinate malattie e si sviluppa la ricerca di cibi rivolti ad esigenze specifiche. Agire riflessivo, condotte responsabili e nuovi miti di benessere danno luogo ad una crescente medicalizzazione del corpo. I consumi, lontani dall’esprimere unicamente una dimensione ludica, si caricano di compiti crescenti che richiedono competenze ed apprendimenti. Soprattutto per il cibo vale quanto afferma Lipovestky: l’epoca felice e spensierata delle merci generiche è finita, arriva il tempo degli iper-prodotti medicalizzati, riflessivi e preventivi, investiti di preoccupazioni e di dubbi, che sempre più esigono un agire responsabile da parte dei protagonisti.7 13 Valore emozionale del cibo …oltre il sostentamento: riempire il tempo, riempirsi di cibo Con il cibo e l’alimentarsi hanno a che fare anche i cinque sensi attraverso i quali percepiamo il mondo stesso, ne gustiamo le sfumature, ne sentiamo gli aromi ed i sapori, e ne ammiriamo i colori. Si dà un significato alla relazione con il cibo, gli si attribuisce un valore simbolico, espressivo di noi stessi. Non considerare il cibo solo come mezzo di sostentamento porta ad indagare gli aspetti che riguardano la fisiologia dei sensi e considerare i fattori psicologici, sociali e culturali che li condizionano. L’impressione che si ha di un cibo, nel momento in cui lo si assaggia, è determinata da un insieme di stimoli che coinvolgono i diversi sensi: le papille sulla lingua rilevano la sensazione di sapore e la trasmettono al cervello; in contemporanea, le particelle volatili che si liberano dal cibo vanno a stimolare le cellule olfattive e la sensazione globale, legata al sapore e all’odore. Anche l’occhio vuole la sua parte: il colore, la forma e l’aspetto di un alimento possono influenzare la nostra percezione gustativa, come pure il rumore ed il tatto. L’emergere dell’individuo si accompagna ad una forte tendenza all’edonismo: l’etica del sacrificio e del rinvio è scomparsa. L’epoca delle piccole felicità non punta a obiettivi generali complessivi, ma considera la felicità come somma di esperienze gratificanti; la fatica quotidiana cerca strade di compensazione, spinge a cercare piccole felicità, piccole vie di fuga. Il cibo può essere considerato la strategia di autogratificazione e a tale proposito entra in questa strategia di micro felicità quotidiana. Il consumo di cose dolci e buone ci viene proposto dalla pubblicità con l’invito a volerci bene, a prenderci cura di noi, per trovare soddisfazioni che compensino la frustrazione, per riappropriarci di nicchie di piacere nell’esistenza privata. Si tratta di un consumo che ha spesso un valore consolatorio rispetto alle insoddisfazioni. Già la Nutella, negli anni ’80, era diventata la metafora della fuga rasserenante, da quando il film di Nanni Moretti Bianca contribuì a far entrare nella leggenda il famoso maxi-barattolo in cui il protagonista si tuffa a compensare le proprie frustrazioni. Il benessere si lega a immagini pubblicitarie dolci, si affermano le consistenze cremose, che nutrono anche la nostra attesa di morbidezza. Il successo della cioccolata, sottolineato da ricerche scientifiche, si deve al fatto che questo alimento influenza il nostro stato emozionale, soprattutto in particolari situazioni di stress, dato che facilita la produzione di endorfine, un gruppo di oppioidi prodotti naturalmente dal cervello che stimolano le sensazioni di euforia e attenuano il dolore. Inoltre, ci viene proposta anche una motivazione di tipo emozionale, che associa il cioccolato ad un’immagine di festa, di incontro, di ricorrenza ed ha di per sé una valenza ludica. Evoca le emozioni dell’infanzia, le cure materne e la gioia; allo stesso tempo, però, appartiene alla categoria dei peccati di gola, il cui consumo è desiderabile e ansiogeno allo stesso tempo. A differenza di ciò che si può pensare, il cioccolato non è prevalentemente un cibo per bambini, come dimostrano il fatto che il 45% del consumo riguarda il segmento dai 20 ai 29 anni e il 41% quello dai 30 ai 44; da ciò emerge con chiarezza il ruolo di cibo compensatorio del cioccolato. Noia, nervosismo, stress, delusione, infelicità, sono tutti stati d’animo che portano ad un consumo non regolare di cibi, soprattutto di quelli che esulano da un regime alimentare sano, dimostrando l’elevato valore emozionale che i cibi hanno all’interno della nostra vita quotidiana. 15 Foto 1. Immagine tratta dal film Bianca di Nanni Moretti 16 Cibo - piacere - salute Il rapporto piacere-salute, che l’immaginario contemporaneo tende spesso a percepire in termini conflittuali, nella cultura premoderna è stato pensato come un nesso inscindibile, all’interno del quale i due elementi – piacere e salute – si rafforzano a vicenda. L’idea che il piacere sia salutare, che ‘ciò che fa piacere fa bene’ è un’idea alla base della dietetica antica. E le ‘regole della salute’ sono anzitutto regole alimentari, intese non nel senso della restrizione, bensì dalla costruzione di una cultura gastronomica. L’importanza data alla gratificazione orale ha spinto alla ricerca di prodotti creati per portare benefici all’organismo e piacere. L’ossessione della salute si esprime in modo emblematico nella crescita dei prodotti biologici: le immagini di salubrità si fondano soprattutto sulla bassa manipolazione dei cibi: la qualità superiore giustifica agli occhi di chi consuma un prezzo più alto. I motivi d’interesse sottolineati da coloro che li consumano sono per lo più i seguenti: il biologico esclude l’uso di sostanze chimiche di sintesi; prevede solo l’utilizzo di concimi organici o minerali, e tecniche di lavorazione meno invasive; richiede controlli di organismi specializzati; non determina impatti negativi sull’ambiente a livello di inquinamento di acque, terreni e aria. La conoscenza della certificazione della qualità si rivela per lo più scarsa e prevale un atteggiamento di fiducia aprioristico. Tra le motivazioni di consumo di queste categorie di prodotti spiccano sia uno stile di vita sano sia un approccio eticamente corretto al mondo e all’ambiente. La bontà delle coltivazione o dei procedimenti viene equiparata all’effetto benefico degli alimenti sulla salute. L’ossessione per la salute, associata all’obiettivo di combattere l’invecchiamento, assume forti connotati di tipo etico. 17 Sicurezza alimentare Oggi che l’alimentazione da arte sta scadendo a schiava della tecnica, e che la chimica sta soppiantando la semplice igiene, il consumatore ha perso il senso delle quattro stagioni e dei frutti che la terra, in sapiente alternanza, gli offriva. Il surgelato ha infatti spezzato il ritmo delle stagioni e offre, in qualsiasi momento dell’anno, una porzione di natura all’istante, sottratta alle vecchie, millenarie leggi del sole e dei cicli stagionali. In seguito all’ampia diffusione delle industrie alimentari si è, e si sta tuttora sviluppando una controtendenza dei consumi. In risposta all’impersonale omogeneizzazione delle produzioni alimentari, il consumatore è oggi sempre maggiormente orientato verso la ricerca di cibi genuini e verso la produzione artigianale, anche a prezzo di una maggiore spesa economica e di una reperibilità più difficoltosa. Un insieme di fattori converge nel produrre un diffuso sentimento di responsabilità rispetto all’alimentazione. Si parla di aumento delle allergie, di piccoli e grandi avvelenamenti di sostanze cancerogene scoperte dopo anni che venivano assunte tranquillamente e senza limiti. Le domande sul cibo ‘buono’ si allargano a quelle sul cibo ‘giusto’: gli interrogativi su cosa e quanto produrre non investono più solo il piccolo segmento degli ambientalisti. Ne sono esempi la crescente attenzione alle implicazioni ecologiche della produzione della carne, la consapevolezza dell’impatto ecologico del trasporto di cibi, la crescita di attenzione dei governi attorno alla piaga dell’obesità. La preoccupazione del cittadino medio di oggi è dovuta agli scandali alimentari, e non alla carenza di cibo come 50 anni fa. Come testimonia il successo del libro di Pollan8, l’ansia sulla giusta alimentazione catalizza l’opinione pubblica e si correla con la preoccupazione che gli equilibri naturali siano definitivamente compromessi dall’affermarsi del cibo industriale. L’ansia è un derivato dell’abbondanza: quando si ha la possibilità di ottenere tutto ciò che la natura può offrire, lasciando all’individuo la scelta, inevitabilmente si genera uno stato di incertezza. Il benessere economico, l’abbondanza e la mancanza di una cultura del cibo coerente con il calendario stagionale hanno reso gli americani mangiatori disfunzionali, ossessionati dalla magrezza, mentre diventano sempre più obesi, oscillanti 8 Pollan, The Omnivore’s Dilemma: A Natural Hystory of Four Meals, The Penguin Press, New York, 2006 18 da un regime alimentare a un altro, da una informazione all’altra. Pollan, ritiene che il disordine alimentare derivi dalla perdita della vicinanza tra produzione e consumo. Il cibo assume un ruolo sempre maggiore, entrando a far parte anche del dibattito politico. Il tema della sicurezza alimentare è entrato nell’agenda dell’Unione Europea attraverso numerosi programmi e progetti, tra cui il Libro bianco sulla sicurezza alimentare. Con sicurezza alimentare si intendono tutte le leggi, i controlli ed i dispositivi di monitoraggio e sorveglianza per garantire al consumatore tutte le condizioni che gli consentano di nutrirsi senza preoccupazioni o ansie, intervenendo sulla filiera agro-alimentare, ad esempio attraverso la cosiddetta tracciabilità del prodotto.9 9 http://europa.eu.int/com/food/index_it.html Per la lettura dei capisaldi si veda http://europa.eu.int /comm /dgs/ health_consumer/ library/pub / pub06_it.pdf Consumo etico Il consumatore, nell’affrontare le ansie legate al cibo, soprattutto in seguito a scandali alimentari di rilevanza mondiale chiede al produttore una maggior trasparenza dei processi di produzione e lavorazione, sulla provenienza delle materie prime, ecc. Dal punto di vita sociale tutto ciò esprime un diffuso e forte desiderio di rinascita, la speranza di un presente continuamente rinnovato, di uno stato di giovinezza protratta e resuscitata all’infinito di cui il cibo diviene il principale artefice. La ricerca di prodotti per l’eterna giovinezza si sposa con il mito del ritorno alle origini. Questo mito di un mondo originario incontaminato si traduce in un orientamento verso il locale, in grado di salvaguardare il sapere e le tradizioni, e di contrastare i rischi di omologazione connessi al cibo industriale. Il carattere ‘etico’ dei rapporti diretti tra produttori e consumatori non è un dato comune a tutte le esperienze. Questa dimensione etica è più diffusa nei contesti europei, dove è più forte la vicinanza culturale tra il dibattito e le sperimentazioni di filiere agro-alimentari locali e il mondo delle economie solidali, e nelle quali il tema della relazione e della responsabilità sociale e ambientale sono esplicitamente poste al centro dell’azione economica. I contesti dove è più evidente la dimensione etica sono quelli dei Paesi latini, soprattutto Italia e Francia. Oggi il dialogo diretto tra produttori e consumatori si instaura perché questi ultimi sono alla ricerca soprattutto di prodotti sani, con qualità organolettiche particolari o coltivati con metodi organici, siano essi certificati o meno. I consumatori si accordano con i produttori per acquistare merci con queste qualità, che vengono spiegate dall’agricoltore durante incontri di discussione e garantite con patti impliciti. Oltre al prezzo, alla quantità ed alle qualità intrinseche dei prodotti in molti casi anche gli aspetti sociali e ambientali connessi con il prodotto agricolo stesso sono oggetto specifico di dialogo: le condizioni di lavoro, eventuali impatti sull’ambiente nei diversi passaggi della filiera, ecc. Il rapporto tra consumatore e produttore spesso è legato a specifiche politiche degli enti locali; dal 2005, ad esempio, la Regione Toscana, l’istituzione regionale più attiva in Italia su questi temi, nelle proprie politiche agricole, con fondi europei e propri, supporta in modo sistematico iniziative comunali, mercati dei produttori, spazi dedicati ai prodotti regionali, e iniziative legate al cibo locale, oltre a quello biologico. Da anni nel Regno Unito si è avviata una discussione sui food miles, cioè sui chilometri percorsi dal cibo prima di arrivare sui banchi di vendita. Il cibo che viaggia è produttore di costi occulti e inquinamento, derivanti dai processi di distribuzione. Comincia ad affermarsi l’idea 19 che il cibo non possa essere giudicato solo per attributi come qualità, aspetto e prezzo, ma anche in base ai chilometri percorsi per arrivare in un determinato punto vendita. Anche il biologico, che dovrebbe per natura privilegiare la filiera corta, è spesso trasportato in aereo, mezzo dal considerevole impatto ambientale. L’inglese Soil Association10, l’associazione britannica del biologico, ha proposto di negare il marchio a prodotti imputati di provocare un impatto per le loro modalità di trasporto, anche se provenienti da agricoltura biologica, con la motivazione che solo la filiera corta rappresenta la base di una produzione ecologicamente sostenibile. La sensibilità all’impatto ambientale del trasporto del cibo ha dato impulso a progetti di ricerca volti a quantificare i costi dei metodi di produzione e delle miglia del cibo a seconda del tipo di trasporto, delle sue emissioni e delle quantità trasportate. L’approccio al cibo sostenibile si traduce nella promozione delle produzioni locali, con il duplice obiettivo d’incrementare la trasparenza della filiera e la percezione della sicurezza alimentare del consumatore. 10 11 Il movimento Slow Food interpreta queste tensioni verso ciò che è noto e riconoscibile come fonte di bontà e rassicurazione. L’irreversibilità dei processi innovativi fa sì che anche la tradizione debba essere reinventata, magari per vie tecnologiche. Ciò che conta è che sia evocata l’immagine dell’autenticità originaria, della ripresa degli antichi saperi e sapori, dei prodotti naturali. La Soil Association è stata fondata nel 1947 da un gruppo di agricoltori, scienziati e nutrizionisti convinti della stretta relazione tra l’agricoltura, l’allevamento e la salute degli uomini e dell’ambiente http://www.soilassociation.org 11 Slow Food è un’associazione noprofit fondata da Carlo Petrini nel 1986, conta 100.000 iscritti, volontari e sostenitori in 150 paesi. Opera per promuovere l’interesse legato al cibo come portatore di piacere, cultura, tradizioni, identità, e uno stile di vita, oltre che alimentare, rispettoso dei territori e delle tradizioni locali. Il motto è buono, pulito e giusto. CASO STUDIO EATaly Italia, Usa e Giappone dal 2007 [... la cucina non è solo materia prima di chef: non si arriva da nessuna parte senza contadino, senza studio e ricerca... ] 2. Foto in alto. Evento educativo dedicato alle scuole svoltosi nel 2010 presso la sede di Torino, il cui tema erano le risorse ittiche dell’Italia Eataly nasce a Torino, con l’intento di smentire l’assunto secondo il quale i prodotti di qualità possono essere a disposizione solo di una ristretta cerchia di privilegiati, poiché spesso cari o difficilmente reperibili. Il marchio riunisce un gruppo di piccole aziende che operano nei diversi comparti del settore enogastronomico. Propone il meglio delle produzioni artigianali a prezzi assolutamente avvicinabili, riducendo all’osso la catena distributiva e creando un rapporto di contatto diretto tra il produttore e il distributore finale, saltando i vari anelli intermedi della catena. L’obiettivo è quello di incrementare la percentuale di coloro i quali si alimentano con consapevolezza, scegliendo prodotti di prima qualità e dedicando particolare attenzione alla provenienza e alla lavorazione delle materie prime. La filosofia adottata è duplice: da un lato si trova l’offerta dei prodotti, sia sotto forma di distribuzione che sotto forma di opportunità di ristorazione, mentre dall’altro esiste un discorso impostato sulla didattica e articolato in corsi di cucina, degustazioni, corsi sulla conservazione corretta dei cibi, didattica per i bambini. Quest’ultimo aspetto riassume la vera originalità di Eataly nel panorama del retail alimentare italiano e costituisce il punto di partenza per instillare nel consumatore una corretta percezione della qualità, in grado di muovere le sane leve del gusto e del godimento che rendono l’essere umano più appagato e felice, nella convinzione che mangiare bene aiuti a vivere meglio. Slow Food svolge il ruolo di consulente strategico, con il compito di controllare e verificare che la qualità dei prodotti proposti sia sempre all’altezza delle promesse e che i produttori non compromettano la qualità della loro produzione per soddisfare una domanda crescente. La concezione di qualità per Slow Food possiede tre precetti sostanziali, dai quali è impossibile prescindere: un alimento deve essere organoletticamente buono, sostenibile dal punto di vista ecologico e giusto dal punto di vista sociale, all’insegna della ricerca di un piacere alimentare responsabile. La massima aspirazione nella promozione di un simile concetto di qualità è che, tanto al consumo quanto alla produzione, queste caratteristiche vengano rispettate e condivise. 21 3. Foto in alto. Banco di vendita del pane. 4. Foto in basso. Eataly a New York 23 Il cibo come attivatore sociale Compagno dal latino medievale cum-panis, colui con cui si spezza insieme il pane - calco dal greco σύντροϕος ‘cresciuto con’, ‘convivente con’, ‘che collabora’. Rimanda, per analogia, anche alla ritualità cristiana e all’eucarestia. Convivio dal latino cum vivere, vivere insieme. Nel modo più semplice e immediato la parola propone un’identita tra l’atto del mangiare e quello del vivere; poiché il cibo è la sostanza della vita, ciò che la rende materialmente possibile, esso si presta più di ogni altra cosa ad essere assunto come metafora dell’esistenza. I due livelli, quello materiale del cibo e quello metaforico della vita, si confondono l’uno con l’altro. 24 [... noi non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme... ] 12 12 13 Plutarco, Dispute Conviviali Gianfranco Marrone, La narrazione del gusto in Brillat-Savarin, in “Nouveaux Actes Sémiotiques”, 1998 L’uomo non mangia solo per soddisfare il senso di fame, ma anche per appagare altre esigenze come le proprie emozioni. Fin dall’antichità, il cibo si è accompagnato a situazioni e stati d’animo diversi: si mangia per festeggiare, per consolarsi, per stare in compagnia. Il cibo è infatti considerato un catalizzatore sociale, e la consumazione del pasto è un momento privilegiato per comunicare. La scelta è uno degli aspetti fondamentali dei comportamenti alimentari, anzi forse il più importante. I meccanismi attraverso i quali avviene la scelta sono diversi: agli antipodi troviamo la fame e l’abbondanza, che difficilmente portano alle stesse scelte. Le scelte alimentari non sempre corrispondono al reale gusto degli individui; infatti una cosa è mangiare del cibo, un’altra è apprezzarlo. Il gusto rinvia dalla regione della sensibilità a quella della socialità, dal corpo che si nutre al corpo che parla; la narrazione del gusto comporta quella procedura di riconoscimento del valore dell’oggetto di gusto, riconoscimento che ha una doppia natura: estetica e cognitiva. Ogni valorizzazione estetica è una valorizzazione cognitiva legata alla socializzazione dei piaceri del gusto. 13 La ricerca del benessere è il lungo fil rouge che collega il mondo antico ai giorni nostri, in cui il convivio cerca di riaffermarsi come rito che contribuisce a farci godere della vita, condividendo il cibo e comunicando con chi ci è caro. 25 Mangiare in casa Il rito della famiglia Un aspetto tipico della specie umana è quello di mangiare insieme. A ciò si legano una serie di comportamenti e di rituali che tendono ad uscire dalla sfera propriamente funzionale per assumere invece un valore fortemente comunicativo. La tendenza alla convivialità dell’uomo si traduce nell’attribuzione di un senso ai gesti che si fanno insieme, mangiando. La tavola si configura come espressione della vita insieme ad altri; la parola stessa convivio suggerisce l’idea di vivere insieme, e anche quindi del mangiare insieme. Questa pratica non è riservata a pochi eletti, anche la famiglia contadina si riunisce attorno al tavolo ed esprime la propria identità familiare: vivere a uno pane e a uno vino, cioè condividere il cibo è un modo per significare che si fa parte della stessa famiglia. Ancora oggi, in varie espressioni dialettali, la casa si identifica con il cibo che consente alla comunità domestica di vivervi insieme. A tutti i livelli sociali, la partecipazione alla mensa comune è il primo segno di appartenenza al gruppo, famiglia o comunità più ampia. Quindi non si può proprio trascurare il significato del cibo come simbolo di fratellanza e unione; la convivialità è sempre stata condivisione, partecipazione, amicizia, rituale pacificatore, armonia, e espressione dell’essere sociale dell’uomo. Il mangiare e bere in comune non è condivisione di solo cibo ma soprattutto dei momenti significativi della vita, a tavola si discute e si parla di amore. Le preferenze alimentari si assimilano in famiglia, dove si impara a mangiare, si festeggiano i compleanni con torte, ci si sposa offrendo agli ospiti un banchetto. Per ciascuno di noi vi sono cibi della memoria, che attraverso il sapore hanno il potere di fare emergere emozioni, esperienze, affetti familiari. Nella ricerca del sapore antico si nasconde, quindi, la ricerca di uno stato di grazia da ricreare, la ricerca del tempo perduto. Commozione e nostalgia accompagnano queste incursioni nei cibi dell’infanzia: il ricordo del sapore è sempre il ricordo di situazioni, si associa ad un’atmosfera di dolcezza e di perdita. L’attrazione per la tradizione alimentare è in gran parte sostenuta da sentimenti di nostalgia per una fase della propria vita irrimediabilmente perduta. I ricordi di cibi sono ricordi personali di feste, di riti familiari, di relazioni affettive. Fuori di casa, nessun cuoco né cucina né ha mai cucinato come le nostre nonne.15 [... ogni famiglia possiede un tavolo attorno al quale essa può riunirsi nelle ore dei pasti... ]14 14 15 La cucina era uno spazio abitativo che si Adolf Loos Barbery M, Estasi culinarie, Edizioni e/o, Roma, 2008 26 16 Giovanni Ballarini, La creazione della cucina. Orme biologiche nell’esperienza gastronomica, Accademia della Cucina Italiana, Roma, 2005 17 Roland Barthes, L’alimentazione contemporanea, in “Scritti. Società, testo e comunicazioni”, Einaudi, Torino, 1998 identificava con la casa, emanava calore. Si trattava di un calore ben più che simbolico: attorno al fuoco si svolgeva la vita quotidiana per molti mesi dell’anno. La cucina è stata più tardi sostituita dal soggiorno, luogo senza odori di cibo. I procedimenti del cucinare si sono accorciati, soprattutto per una questione di minore tempo libero, e gli alimenti si sono depurati da sapori ed odori forti. Anche il fuoco diventa progressivamente invisibile: dalla fiamma viva del camino, il fuoco si nasconde nella cucina a legna, si riduce in fiammella nella cucina a gas, e sparisce nella piastra delle cucine elettriche.16 La perdita dei sapori della tradizione ha a che fare con molti aspetti: la qualità degli ingredienti, i saperi, la disponibilità di tempo, ma anche l’ampliarsi dei mercati di produzione e consumo. La tradizione, così tanto evocata, in gran parte corrisponde a un lavoro di invenzione in cui il richiamo a motivi antichi si innesta su procedure e componenti inevitabilmente mutanti; surgelati e precotti entrano ormai nella preparazione di ricette tradizionali. Motivazioni sociali spiegano l’attuale forte interesse per la tradizione. La velocità del mutamento enfatizza la nostalgia per tutto ciò che riguarda il passato. Nel tempo veloce il cibo mantiene una funzione commemorativa, permette all’uomo di inserirsi ogni giorno in un passato comune. Non a caso la pubblicità esalta la riscoperta di segreti perduti: il cibo è incaricato di rappresentare la gustosa sopravvivenza di un’antica società rurale: mantiene il ricordo delle origini fin nella vita moderna.17 Per i giovani consumare il cibo da soli è il segno di un processo di affrancamento da un controllo familiare, quand’anche qualche mamma resistesse nell’impegno della preparazione del pasto, i figli cercherebbero spazi di libertà dalle regole del cibo sano, dal rito della conversazione, dall’amorevole e incombente attenzione della cura materna. L’individualizzazione dei pasti corrisponde, quindi, all’individualizzazione delle scelte di vita e alla pluralità degli spazi fisici e sociali in cui ognuno si muove. 27 Il ruolo della comunicazione: Dove c‘è Barilla c’è casa Mangiare è anche un atto che unisce l’uomo alla natura, al reale. Il cibo industrializzato solleva domande che possono ben presto trasformarsi in fonti di ansia. Da dove viene? Che trasformazione moderna società. Il mito della Natura buona, ha origini lontane ed è rappresentato ancora oggi in molte campagne pubblicitarie attraverso precise caratterizzazioni. Viene enfatizzata la lentezza dei tempi di lavorazione e la ha subito? Da chi è stato manipolato? Sociologi e qualità delle materie prime, [... Chi sceglie di vivere in modo sano, come la nel caso specialmente dei pubblicitari sono allora famiglia del Mulino, certamente si nutre in modo prodotti coltivati, raccolti chiamati in causa per cercare di arginare il sano. L’immagine ideologica del Mulino Bianco si dalla terra e lavorati in modo artigianale. fenomeno. Le risposte, le è trasferita sui prodotti, ritenuti quindi semplici, ancora Negli spot pubblicitari, il rassicurazioni passano il prodotto-cibo concentra più delle volte attraverso genuini, salutari, leggere ma buoni. Merende su di sé l’attenzione dei un radicamento affettivo, senza conservanti, rigorosa selezione delle personaggi all’interno rurale o culturale del materie prime, un grande impegno e sforzo alla della scena: si intravede prodotto, le cucine locali tradizionali sono ancora ricerca dell’eccellenza produttiva. Così ogni giorno spesso parte di un interno domestico familiare, i vissute in maniera positiva di più, l’area di collocazione del Mulino Bianco è prodotti sono allestiti dai consumatori. La Natura elegantemente in gustose è il primo riferimento contenuta nel rapporto natura-salute... ] 18 ricette, pronti per essere forte al quale si richiama portati a tavola e condivisi. Il modificarsi dei la pubblicità. È il potente referente simbolico 18 Barilla: cento anni di pubblicità ritmi di vita e di lavoro hanno tolto sempre più utilizzato per comunicare genuinità, qualità, e comunicazione, a cura di Albino bontà dei prodotti pubblicizzati. Una sorta di Ivardi Ganapini e Giancarlo Gonizzi, spazio al rito dell’alimentazione: difficilmente ci neotradizionalismo, un rassicurante rifugiarsi A. Pizzi S.p.A., Cinisello Balsamo – si riunisce intorno alla tavola imbandita, in molti casi i pasti si consumano frettolosamente, magari nel passato causato dal disorientamento della Milano-,1994 pagina 5. Foto in alto. Immagine rappresentativa del progetto Mulino Bianco Colazione all’italiana, 2012 www.mulinobianco.it 6. Foto in basso. Pubblicità su carta stampata: il mito del ritorno alle origini, come fonte di prodotti sani riproposto nello slogan e nelle immagini davanti alla televisione accesa, mangiare in famiglia tutti insieme e con calma avviene quasi solo per le ricorrenze importanti . L’acquisto ed il consumo di quel particolare prodotto pubblicizzato viene identificato come possibile fonte di gratificazione di un’intensa gamma di bisogni psicologici ed emotivi. Ad esempio lo spot di Casa Buitoni punta con i suoi prodotti alla soddisfazione del lavoro in cucina, con lo slogan ‘noi impastiamo, tu crei’; oppure Casa Barilla che rinnova sempre il piacere di stare insieme a tavola mangiando sano. La famiglia serena che abita nel Mulino mette in scena l’idealizzazione del weekend, prolungato a tutti i giorni dell’anno. Il mito collettivo su cui si innesta la promessa di naturalità diviene ora il sogno italiano del benessere: benessere come aspirazione collettiva alla seconda casa -luogo delle vacanze e del tempo libero-come tempo ritrovato dell’aggregazione familiare -reinterpretazione postmoderna della famiglia allargata. Il sistema di comunicazione di Mulino Bianco viene costruito partendo dai bisogni latenti degli italiani negli anni Settanta che manifestavano un crescente interesse per il ritorno al verde, alla campagna; gli ingredienti naturali e genuini; la forma familiare di un biscotto come quello della nonna; la ricerca di un mondo vero, rassicurante, sano e ricco di buoni sentimenti. Formato da tre componenti, il marchio svolge una funzione molto importante nell’identificazione dei valori della tradizione e delle cose buone di una volta: le spighe e i fiori, elementi espressivi della naturalità; la figura del piccolo mulino, evocatore della tradizione; il nome Mulino Bianco, sintesi dei valori di natura e tradizione nei due concetti di genuinità e salute. Scaturisce così uno stile rustico, ma di un Paese influenzato da una cultura cittadina capace di richiamare alla memoria profumi e fragranze di momenti felici mitizzati. Il mulino rappresenta un luogo della memoria, quasi una vecchia marca di fabbrica, ripresa per dare prestigio, per certificare l’anzianità della Casa. Il nostalgico e rassicurante ritorno al passato è decisamente riscontrabile nella narrazione pubblicitaria di molti altri prodotti, in cui da un lato il prodotto con il relativo marchio è associato ad immagini di famiglia unita e felice, e dall’altro emerge il tentativo di spiegare il valore originario del prodotto, le sue caratteristiche, le sue qualità intrinseche, la sua originalità, al fine di nasconderne sempre di più la sua origine industriale e far prevalere il mondo coerente di sentimenti legati al marchio. pagina Mamma Isab 0RPHQWLGLSDQH,OSUDQ]RLQIDPLJOLD ,QVLHPHDWDYROD Nonni, genitori e figli: tre generazioni all’appuntamento di mezzogiorno “ Nei fine settimana, la tavola del pranzo è apparecchiata con tanti colori, intorno al cesto di pane ” “ mo ci se da 30 La tradizione italiana del cibo [... cosa c’è di più bello di una riunione di amici veri intorno a una buona tavola? È il miele della vita... ] 19 19 Tahar Ben Jalloun, L’amicizia, Einaudi, Torino, 1996 20 Bill Buford, Calore. Le avventure di un dilettante come sguattero, cuoco di partita, pastaio, apprendista di un macellaio toscano che recita Dante, Fandango Libri, Roma, 2007 21 Questo è quanto emerso da un’indagine Coldiretti-Swg presentata nel corso del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Cernobbio, all’interno dell’iniziativa per celebrare i 150 anni dell’Unità di Italia dal titolo La tavola dei piatti che hanno unito l’Italia, in collaborazione con Casa Artusi. 22 Massimo Montanari, L’identità italiana in cucina, Laterza, 2010 La gente deve pensare che nel retro ci siano delle nonne ai fornelli, così raccomanda il cuoco/ imprenditore Mario Batali al giornalista/cuoco Bill Buford.20 La cucina italiana all’estero è soprattutto uno status symbol. Tutte le trasmissioni mattutine e pomeridiane hanno spazi di cucina, ma proliferano anche programmi totalmente dedicati alle ricette. L’Italian Style nel cibo manifesta una straordinaria forza attrattiva. Si diffonde la moda di aperitivi a base di vino italiano accompagnato da prodotti made in Italy. Una tendenza che diffonde la cultura del buon bere e del cibo di alta qualità anche nel mondo della notte e dell’aperitivo, da sempre territorio assoluto di superalcolici e cibo spazzatura. L’elemento più rappresentativo dell’identità nazionale? Per quasi un italiano su due (46%) sono la cucina e i piatti della tradizione del nostro paese.21 L’Italia non va quindi confusa con gli italiani. La prima è una costruzione recente, i secondi esistono da molto tempo, almeno dai secoli centrali del Medioevo, quando all’interno dell’Europa, cominciarono a definirsi diverse culture, lingue, ‘nazioni’. Fra di esse l’Italia, la cui identità si affermò non tanto in base ad un’appartenenza territoriale, quanto per l’esistenza di un comune sentire, di una cultura e di modi di vita condivisi. La cucina fu, sin dall’inizio, uno degli elementi costitutivi di quell’identità. Nel libro di Massimo Montanari L’identità italiana in cucina22, si affronta il tema della cucina nazionale. La tesi è che la cucina italiana non ha mai avuto una carta costituzionale che ne certificasse esistenza e regole; per assurdo, quindi, si potrebbe dire che non è mai esistita. Però la realtà dimostra come, senza l’investitura ufficiale dell’Unità del Paese, la ‘cucina italiana’ è sempre esistita, come insieme di conoscenze, esperienze, invenzioni e variazioni. In altre parole si è risalito dalla parte al tutto: i maccheroni, ad esempio, da specialità napoletana sono diventati un tratto distintivo del nostro paese, a tal punto che all’estero gli italiani sono stati soprannominati mangiamaccheroni, senza specificazioni regionali. L’emigrazione ha poi fatto creare l’unità gastronomica, grazie ai ristoranti italiani all’estero in cui vengono serviti piatti locali e regionali. Ma il Made in Italy a tavola è anche l’emblema nel mondo della dieta mediterranea, modello nutrizionale ormai universalmente riconosciuto cruciale ai fini del mantenimento di una buona salute e che si fonda su una alimentazione basata su prodotti locali, stagionali, freschi, di cui l’Italia è particolarmente ricca. L’Italia delle cento città e dei mille campanili è anche l’Italia delle cento cucine e delle mille ricette. Il rapporto città e campagna, e ancor più, tra ceti sociali diversi è raffigurato nei piatti dell’arte culinaria. Spesso sono proprio le ‘cento’ città che vengono identificate con alcuni cibi, ma, in realtà, è dalla campagna che arrivano le specialità. Probabilmente perché i cuochi provenivano dai ceti più umili e servivano nelle case dei ricchi, portando con sé una tradizione alimentare essenziale su cui avevano la possibilità di innestare l’abbondanza degli alimenti che erano finalmente largamente disponibili. 8. Foto. Nota immagine che ritrae Totò intento a mangiare un piatto di spaghetti. Da qui l’appellativo agli italiani in generale di mangiamaccheroni pagina 32 23 Jean-Louis Flandrin, Massimo Montanari, Storia dell’alimentazione, Editori Laterza, Roma-Bari, 1995 24 Claude Fischler, L’onnivoro: il piacere di mangiare nella storia e nella scienza, Mondadori, Milano, 1990 Mangiare fuori casa Le origini del ristorante sono antichissime: questo tipo di commercio nasce con i mercanti e le fiere che obbligavano contadini e artigiani a lasciare la loro casa per uno o più giorni e a nutrirsi mentre stringevano o mantenevano relazioni sociali, d’amicizia o d’affari. In tutto il mondo le cucine di strada23 si affermano come il principale commercio di ristorazione: per una somma molto modesta, vi si servono quasi sul momento un piatto unico o un piccolo assortimento di cibi precucinati. Contrariamente a quanto emerge dai luoghi comuni, il modello alimentare veloce non ha avuto origine negli Stati Uniti, per poi diffondersi nel mondo: il fast food americano non è altro che un’articolazione di un modo di mangiare che nasce nelle strade ed è riscontrabile nei più disparati contesti storici e geografici. Lo street food è un fenomeno con peculiarità molto diverse rispetto alla ristorazione rapida moderna: il primo, infatti, si caratterizza per l’essere un prodotto artigianale, mentre l’offerta delle grandi catene di fast food è costituita da prodotti industriali. Già sul finire del XIX secolo, diversi imprenditori fiutarono le prospettive di crescita della ristorazione veloce nelle metropoli europee e nordamericane, facendo da precursori all’impressionante espansione che sarebbe iniziata a partire da metà Novecento. Quest’ultima riguardò in particolar modo la nascita e la diffusione dei moderni gruppi di fast food gestiti tramite franchising. Il dilagare di ristoranti veloci di stampo statunitense in tutto il mondo si inscrive perfettamente nel processo definito da Fischler come ‘planetarizzazione del settore alimentare’: in altre parole la globalizzazione del cibo24. Negli ultimi trent’anni in Italia si è attuata una profonda trasformazione: il grande sviluppo degli anni ’60, l’industrializzazione e l’urbanizzazione hanno cambiato radicalmente la società. I ritmi collettivi di massa hanno subito variazioni, con il risultato di una maggiore flessibilità e personalizzazione degli orari. Anche la struttura familiare è cambiata, e dalle numerose famiglie patriarcali che caratterizzavano la prima metà del secolo si è passati alle famiglie mononucleari. Questi cambiamenti hanno conseguentemente modificato il settore alimentare. La centralità del pasto in casa, il ruolo della tavola, da sempre al centro dei rapporti sociali e familiari, è entrato in crisi. L’uomo attuale appartiene alla società delle 24 ore25, e di conseguenza anche l’atto del mangiare ha perso l’importanza che aveva in passato. Ma perché i ristoranti hanno raggiunto una tale densità nel panorama urbano e una così alta visibilità nello spazio mediatico? Come già detto, oltre alle esigenze funzionali ed alla maggiore mobilità della popolazione, la spiegazione è da ricondurre al fatto che mangiare insieme costituisce da sempre un potente strumento di socialità, un rito per celebrare eventi e rafforzare i legami. Inoltre, al giorno d’oggi vi è la diffusa aspirazione alla festa e la ricerca di uno spazio per l’emozione. Il cibo ha assunto una funzione che va oltre lo stesso piacere gustativo e che interseca l’esplosione di forme di socialità e di divertimento. La pratica del ‘mangiare fuori’ è cresciuta per una serie di fattori: la crescita dei livelli di benessere, l’incremento delle spese per il tempo libero e per le vacanze e la diminuita capacità, e disponibilità ad organizzare eventi in casa. I luoghi in cui si consuma cibo sono prima di tutto spazi della socialità, in cui intratteniamo le relazioni nelle diverse cerchie concentriche delle nostre frequentazioni. Lì prendono forma i comportamenti di consumo, si creano i tratti distintivi di determinati gruppi, si condividono, appunto, gusti e pratiche. Il cibo acquista un carattere sociale, coincide in gran misura con il ritrovarsi in luoghi pubblici – in quanto scelti per l’incontro – per segnalare una presenza sulla scena. Si tratta di luoghi investiti di emozioni, spazi in cui s’incide la propria presenza, consolidati da appartenenze a mode e a mondi. 33 Le aggregazioni danno vita ad abitudini, come quelle dell’aperitivo, dell’happy hour; i locali diventano punti di riferimento e di incontro di movimenti ludici, di consumo del tempo sotto il segno dell’edonismo. Il luogo diventa lo spazio di costruzione dei legami. La frequentazione degli stessi luoghi crea comuni appartenenze e forme di reciproco riconoscimento. In questi luoghi si produce una sorta di misteriosa alchimia della socialità e si consolida un qualche tipo di cemento culturale e spirituale, attraverso la condivisione delle emozioni. Pratiche ludiche, gesti dell’erranza che caratterizzano la società contemporanea, laboratori dell’arte del quotidiano, occasioni di un radicamento dinamico che ci consente di appartenere ad un dato luogo, ma mai in modo definitivo. Il sentimento di appartenenza è rafforzato dalla condivisione di qualcosa di comune. Diversi fattori spiegano la popolarità del mangiare fuori. Una prima spiegazione si riferisce al cambiamento di modelli di famiglia: ora che i suoi membri sono assenti da casa gran parte del giorno, consumare i pasti fuori casa corrisponde ad esigenze funzionali. Inoltre, incide il cambiamento nella struttura professionale: molte professioni odierne appartengono al settore terziario e propongono una diffusa flessibilità di orari; ciò favorisce il proliferare di momenti differenti di consumo, connotati da situazioni di condivisione breve, ma soprattutto, mobile ed occasionale. Il pasto diurno si consuma nelle mense dei luoghi di lavoro e delle scuole: luoghi pubblici in cui si ritrova gran parte della popolazione i cui orari sono scanditi e organizzati in funzione di un regime dietetico veloce. Quando le attività terziarie iniziano a dominare 25 Everardo Minardi, La società delle 24 ore: cambia l’uso del tempo, cambiano l’entertainment e il loisir, http:// www.racine.ra.it/bibzucchini/riflessioni1/r26_la_societa_delle_24_ore. htm 34 26 Finkelstein, Andare a pranzo fuori. Sociologia delle buone maniere, Il Mulino, Bologna, 1992 27 Barthes, Roland, 1961 la scena, i momenti collettivi perdono peso: la crescente flessibilità dei tempi di lavoro fa compiere un ulteriore passo in avanti nello smantellamento del rito collettivo del pasto. Ma il cibo non per questo torna ad essere un’esperienza privata: sia per i ritmi del traffico urbano, sia per i tempi stretti della pausa pranzo, sia per la minore disponibilità al lavoro domestico, ma ancor di più, per un processo di liberalizzazione del tempo. Ben al di là delle ragioni funzionali, il pranzare fuori è diventata una caratteristica della società moderna entrata a far parte del repertorio individuale dei modi di occupare il tempo libero. Le persone traggono piacere dal consumare cibi in luoghi pubblici. Mangiando fuori casa, l’atto del nutrirsi si trasforma in un’attività più complessa e significativa sul piano sociale: un fatto di routine in un evento sociale arricchito da una scenografia.26 I caffè e i ristoranti sono luoghi sociali in cui l’interazione tra sconosciuti accomunati dal consumo del cibo sposta in una sfera pubblica un’attività che per gran parte della storia dell’uomo è appartenuta alla sfera privata, ancorché conviviale. La condivisione del pasto è scelta, non è dettata da vincoli familiari e lavorativi e la decisione avviene sulla base della reciprocità. La libertà è uno dei tratti distintivi del mangiar fuori. Inoltre, ognuno trae piacere da una situazione in cui è trasformato in oggetto di interesse per gli altri commensali e per il personale che si prodiga ad esaudire le sue richieste. La gratificazione che si ricava dal mangiar fuori si fonda su un particolare tipo di condivisione che si riferisce al gusto, all’essere alla moda e deriva anche dal racconto dell’esperienza. Spesso il consumo di determinati cibi non risponde più a esigenze ben precise, i prodotti perdono il loro significato alimentare, tant’è che eccitanti quali caffè, te, o cioccolato, vengono offerti in momenti socializzanti di distensione e di riposo.27 35 … mangiare fuori, restando dentro casa Il rapporto tra spazio e socialità produce il fenomeno del sentire e provare in comune. Ma talvolta si va “fuori” restando dentro casa, a cena da amici. È quest’ultima pratica che denota l’importanza della socialità legata al cibo e sembra riprendere piede dopo una fase in cui l’approdo al ristorante aveva sancito l’accesso ad una condizione privilegiata. La convivialità cerca strade di conciliazione con le condizioni della vita attuale. In primo luogo vale per coloro che entrano sul mercato con modelli di successo e debbono conciliare il desiderio di una vita socialmente densa con la preoccupazione di essere in forma per le gli impegni del giorno seguente. Così si impone il rentring, la nuova moda delle uscite non uscite: tutti a casa da qualcuno a mangiare, bere, giocare, guardare un film dalle 19 alle 23, per non interferire con il lavoro facendo tardi. Si delinea così un’area a metà tra il consumo domestico tradizionale e quello extradomestico della ristorazione. Si tratta di un’area che configura nuove tipologie di cibi e che incentiva i consumi alimentari di lusso. I menu a domicilio si articolano su esigenze sempre più variegate, la cucina a domicilio ha intercettato bisogni diversi, dall’intrattenimento alla dieta, alle intolleranze alimentari. Il risparmio di tempo, la buona qualità e la possibilità di restare in un ambiente rilassato convergono tra le ragioni che danno impulso a questa modalità di ristorazione. Mentre lo stare in casa si associa per molti a un contenimento delle spese di fronte alla crescita dei costi della ristorazione, il lusso investe anche la dimensione del consumo conviviale domestico. pagina CASO STUDIO Peopleskitchen Elmo Vermijs Amsterdam, 2006 NoteUdam dellaborum nos dolorep udaepti aecearit, cus ium id quaectas aboremquiate nis coriaecatius quidi odi occae. Nem. Et fugiae dolorro quae. Solendit lamenis quasperum int dusani ium liquas eos esequam resciam, qui cuptatestion nossin eum laborepro et est quas maiore sed mil eat. Tem ex et utecerferrum quibus aut plite sitate cus. Facest explige ndandio tet eum autem sa et qui seque laborestis ex ex eostrum ute pro mossequae liciatis milluptus invendandem derepeliqui voluptatur sequodis comnim voloreiciur, ipsus. Usa que nonsediam quia sandaes di que prorepra dis natem hic totaquisquis erio consequo coriorature pro quatiae quossimagnis eiumquas dic tem facerem quid ut voluptae inverum voluptat eum fuga. Mintet lat. Sim audanditia andande volupta temporiatem iume rem fugitese ma sum volore doluptati odi ut ut volorrum eati ideliquo officie nissitempor acit earum niscipsum sandebitin commoditate voluptias doluptur? Olorisimi, volorem nobit quae corpos perspediam, vent lacerchil earum [... l’atto di cucinare come esperienza di condivisione, il pasto come momento di scambio e di partecipazione collettiva... ] 9. Foto. Sperimentando nuove ricette L’atto di cucinare come esperienza di condivisione, il pranzo come momento di scambio e di partecipazione collettiva. Questa l’essenza del progetto di cucina portatile, pensato per cucinare e mangiare in contesti urbani non convenzionalmente adibiti a queste funzioni. L’installazione viene realizzata assemblando vecchie cassette di frutta di legno, che assolvono ad una triplice funzione: stoccaggio degli alimenti, basi di appoggio per le fasi di preparazione e cottura del cibo, sistema di tavoli e sedute per il pranzo vero e proprio. I partecipanti, oltre a consumare il pasto, sono invitati a prepararlo. Peopleskitchen si propone come elemento di riqualificazione urbana e sociale: cantieri in costruzione, edifici abbandonati e aree dismesse che si trasformano in luoghi di incontro temporanei, punti di aggregazione spontanea, eventi gastronomici informali. Zone temporaneamente autonome e spazialmente circoscritte, che elevano luoghi comunemente inaccessibili a spazi di pubblica attività, evidenziando il contrasto tra il carattere grezzo delle location scelte e la valenza sociale del mangiare insieme, nel pieno rispetto dei principi della sostenibilità ambientale. 37 10. Foto in alto a sinistra. Iniziano i lavori di montaggio della cucina temporanea collettiva, con l’utilizzo di cassette di frutta dismesse. 11. Foto in alto a destra. Lezione di cucina, sperimentado assieme ad uno chef. 12. Foto in basso. Convivialità: condivisione tra sconosciuti - non più ormai, dopo aver trascorso assieme i momenti della preparazione - di un pasto in un inusuale luogo di consumo del cibo: un ex-magazzino abbandonato della capitale olandese. Mia Market Arabeschi di Latte Roma, 2008 Il fruttivendolo in salotto è il motto che ben sintetizza questo foodstore, collettivo crativogastronomico impegnato da anni nelle ideazioni e realizzazioni di eventi gastronomici, dove il cibo assume il ruolo di attivatore di situazioni e relazioni. Seguendo queste logiche progettuali, si propone una riflessione sul tema del cibo lontana dagli schemi tradizionali; è infatti un luogo dove fare la spesa si trasforma in un’esperienza lontana dalle logiche contemporanee del commercio delle realtà urbane. Vi si possono comprare solo prodotti rigorosamente stagionali e provenienti da produttori locali, attenti alla coltivazione biologica e sostenibile, e si possono consumare in loco, grazie alla presenza di spazi intimi, dal sapore domestico. Fare la spesa acquista un sapore – in tutti i sensi – e una dimensione diversa, dove il ritmo delle stagioni si impone e prende il sopravvento, dove il tempo si dilata e acquistare o consumare il cibo può diventare anche un pretesto per stare insieme e condividere esperienze. Viene data la possibilità, non solo di acquistare gli alimenti, ma anche di scoprirli, conoscerli, assaggiarli. Quindi si può interagire con i prodotti 39 in vendita: acquistare un’arancia e trasformarla subito in spremuta. Valori come la convivialità e la condivisione, caratteristici del mangiare insieme, vengono ulteriormente amplificati grazie ad un programma di cooking studio, workshop gastronomici in cui lo spazio si trasforma in una cucina collettiva. [... il fruttivendolo in salotto: un luogo dove non solo è possibile acquistare prodotti, ma anche consumarli direttamente grazie ad uno spazio intimo, dal sapore domestico, in cui si ha la sensazione di trovarsi a casa.... ] 13. Foto nell’altra pagina. Poster di uno dei cooking studio: Polpettine di verdure, marzo 2010. 13. 14. Foto. Momento di condivisione: I pesti al Mia Market CASO STUDIO Mealing Martì Guixè 2009 [... da sempre sinonimo di incontro e scambio, relazione, il momento del pasto si trasforma in puro evento relazionale, dove la partecipazione attiva è d’obbligo. Nelle mani una tazza contenente un drink, il cibo appiccicato all’esterno insieme alle istruzioni per l’uso: muoversi, camminare, incontrare gente, bere, mangiare...... ] 41 15. Foto pagina accanto, sinistra. Allestimento della Performa n 9 16. Foto pagina accanto, destra. Dettaglio dello strumento chiave dell’evento: una tazza con il cibo appiccicato 17. Foto in alto. Sketch progettuali del designer 18. Foto. Evento Performa Hub, New York 43 Il cibo come fatto culturale ‘Ciò che chiamiamo cultura si colloca al punto di intersezione tra tradizione e innovazione. È tradizione in quanto costituita da saperi, da tecniche, da valori che ci vengono tramandati. È innovazione in quanto quei saperi, quelle tecniche e quei valori modificano la posizione dell’uomo nel contesto ambientale, rendendolo capace di sperimentare realtà nuove. Innovazione ben riuscita: così potremmo definire la tradizione. La cultura è l’interfaccia tra le due diverse prospettive.’ 28 28 Massimo Montanari, Cibo come cultura, Laterza, 2004 44 29 Carlo Petrini, Buono, pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Einaudi, Torino, 2006 Il cibo è cultura. Una cultura che, oltre a parlarci della storia dell’essere umano, ci racconta dei suoi desideri, della sua creatività, dei suoi rituali, dei suoi gusti e dei suoi dis-gusti, della sua ricchezza e della sua miseria, della sua capacità di esprimersi attraverso peculiari codici organizzati non attorno alla parola, bensì ad altri tipi di segni comunicativi. Il cibo è il principale fattore di definizione dell’identità umana, poiché ciò che mangiamo è sempre un prodotto culturale. Se accettiamo una contrapposizione concettuale tra Natura e Cultura - come tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale- il cibo è la risultante di una serie di processi culturali, nel senso che introducono elementi artificiali nella naturalità delle cose- che trasformano da base completamente naturale -la materia prima- a prodotto di una cultura -ciò che si mangia.29 Nell’esperienza umana i valori portanti del sistema alimentare si definiscono come esito e rappresentazione di processi culturali che prevedono l’addomesticamento, la trasformazione, la reinterpretazione della natura. Il cibo è culturale quando si produce, perché l’uomo non utilizza solo ciò che trova in natura - come fanno tutte le specie animali - ma ambisce anche a creare il proprio cibo. Il cibo è cultura quando si prepara, perché una volta acquistati i prodotti base della sua alimentazione, l’uomo li trasforma mediante l’uso del fuoco e di un’elaborata tecnologia che si esprime nelle pratiche di cucina. L’uomo trasforma i prodotti perché diventino commestibili, conservabili, trasportabili, il più piacevoli possibile. Il cibo è cultura quando si consuma, perché l’uomo, pur potendo mangiare di tutto, in realtà non mangia di tutto bensì sceglie il proprio cibo, con criteri legati sia alla dimensione economica e nutrizionale del gesto, sia a valori simbolici di cui il cibo stesso è investito. Attraverso tali percorsi il cibo si configura come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per comunicarla. 45 Il gusto, realtà soggettiva e collettiva Il cibo non è ‘buono’ o ‘cattivo’ in assoluto: qualcuno ci ha insegnato a riconoscerlo come tale. L’organo del gusto non è la lingua, ma il cervello, un organo culturalmente determinato, attraverso il quale si imparano e si trasmettono i criteri di valutazione. Ma il gusto è anche sapere, è valutazione sensoriale di ciò che è buono o cattivo, piace o dispiace: questa valutazione viene dal cervello prima che dalla lingua. Da questo punto di vista il gusto non è affatto una realtà soggettiva e incomunicabile, bensì collettiva e comunicata. È un’esperienza di cultura che ci viene trasmessa fin dalla nascita, assieme alle altre variabili che concorrono a definire i valori di una società. Per sottolineare il carattere collettivo e condiviso di tale esperienza, Jean-Louis Flandrin ha coniato l’espressione strutture del gusto.30 Il gusto è il termine più comune a cui ognuno di noi fa riferimento per connotare le preferenze in fatto di cibo. In questo termine è già contenuta tutta la complessità del rapporto tra dimensione soggettiva e dimensione culturale, tra corpo individuale e corpo sociale, tra percezione e conoscenza. La parola evoca, infatti, una pluralità di significati: designa nel contempo il giudizio su un cibo, la capacità di giudicare, e le proprietà dell’oggetto che permettono l’espressione di tale giudizio.31 Il gusto è, quindi, un prodotto culturale la cui definizione varia nello spazio e nel tempo. Inteso come sapore, è un’esperienza per definizione soggettiva, inteso come sapere è un’esperienza culturale e, perciò, comunicabile. Il gusto è frutto di un insieme di preferenze, di tradizioni e di abitudini di consumo trasmesse all’interno di una società; esso è quindi, prima di tutto, un’esperienza sociale condivisa. Come è noto, le identità alimentari si modificano incessantemente e sono solo parzialmente riconducibili a situazioni ambientali e geografiche: ne è un esempio la dieta mediterranea che si compone di prodotti che derivano da scambi con molte altre regioni del mondo. Ogni tradizione è frutto dinamico della storia, generato da complessi fenomeni di scambio, di incrocio, di contaminazione e si forma attraverso processi materiali e sociali. Come la lingua parlata, il sistema alimentare contiene e trasporta la cultura di chi lo pratica, è depositario delle tradizioni e dell’identità di gruppo.32 Per questo la contrapposizione tra tradizione e innovazione è in larga parte priva 30 Jean-Louis FLandrin, Massimo Montanari, Storia dell’alimentazione, Laterza, Roma-Bari, 1997 31 32 Gianfranco Marrone, 1998 Massimo Montanari, Il cibo come cultura, Laterza, Roma-Bari,2006 46 Religione vs cultura alimentare? di senso, in quanto la tradizione sedimenta una serie continua di innovazioni. In questo processo la tradizione viene risemantizzata, vale a dire trasferita in un differente contesto di significati. L’antropologo Marvin Harris, sostenitore di un materialismo rigidamente utilitario, ritiene che le scelte alimentari dei popoli e degli individui siano sempre determinate da un calcolo, più o meno consapevole, dei vantaggi e degli svantaggi conseguenti. Secondo la sua tesi i sistemi alimentari adottati da certi gruppi a determinate latitudini, tenendo conto del bilancio tra costi e benefici, sarebbero i più pratici, economici e storicamente possibili in specifiche condizioni. Ecco allora svelato il mistero della mucca sacra per gli Indù, il tabù alimentare della carne di maiale per ebrei e musulmani, e l’avversione per la carne di cavallo per gli americani. Il buono da mangiare, ossia ciò che conviene mangiare, storicamente diventa secondo Harris, il buono da pensare, il valore culturale positivo, ovvero se è utile e conveniente. Il cibo insomma come una questione di testa e di corpo, che non soddisfa soltanto la fame o l’appetito, ma presuppone e mette in moto anche comportamenti e risposte. Come si intreccia la norma religiosa con la costruzione della tradizione alimentare? E quest’ultima viene ibridata nel passaggio a contesti culturali diversi? Per le religioni monoteiste del Mediterraneo, i precetti alimentari rappresentano una serie di obblighi e divieti di diversa natura: possono riguardare la quotidianità, come il divieto permanente per i musulmani di consumare carne di maiale, essere ciclici, come la Pasqua ortodossa, o commemorativi, come le feste della tradizione ebraica. Per alcune religioni orientali, come l’induismo e il buddhismo, si tratta di comportamenti che hanno lo scopo di liberare l’animo umano e separarlo dalla prigione del corpo. 47 sotto il controllo rabbinico e non solo sotto quello sanitario. Questo caso dimostra come una pratica tipica di una data tradizione alimentare, legata a delle credenze religiose, abbia assunto nella società contemporanea valenze più ampie, e sia stata decontestualizzata ed applicata ad altri contesti estranei a quello originario. La cucina ebraica costituisce un esempio interessante del rapporto dinamico che si determina tra norme - prescrizioni religiose riti - i cibi si associano alle ricorrenze religiose - e adattamento - le cucine si diversificano in relazione ai paesi di approdo. La cucina ebraica, infatti, indica come l’esistenza di una norma religiosa incida nella creazione di una tradizione alimentare, ma non impedisca alla stessa di subire forti contaminazioni e inglobare creatività nelle soluzioni alimentari. Si mangia solo quello che è permesso mangiare, ma un ricco repertorio scandisce i riti che intersecano la vita della comunità. Il termine Kosher33 si riferisce al cibo conforme alle norme secondo la religione ebraica; il termine è divenuto sinonimo di cibo sicuro e campeggia su una gran parte di prodotti venduti negli Stati Uniti. Anche in Italia si afferma il fenomeno Kosher: i prodotti improntati a norme religiose ispirano fiducia e le aziendaeche hanno deciso di farsi certificare Kosher sono in crescita. A Roma è sorto il Mk Kosher, il fast food ‘conforme alle norme’ più grande d’Europa: il 70% dei frequentatori non è di religione ebraica ma si sente rassicurato dal fatto che i cibi passino 33 http://www.italykosher.com 48 Cibo e valore simbolico 34 Marino Niola, Si fa presto a dire cotto, Il Mulino, 2009 ‘Il rapporto degli uomini con l’alimentazione è analogo, per molti versi, al rapporto che essi hanno con il linguaggio’. E’ una delle prime frasi del libro Si fa presto a dire cotto34 di Niola, antropologo, divulgatore e docente. Niola dimostra che la cucina è costituita da una stratificazione di simboli e pratiche fondamentali nella storia di un popolo. Come il linguaggio, la cucina, infatti, possiede vocaboli - i prodotti, gli ingredienti che si organizzano secondo regole grammaticali - le ricette, che danno senso agli ingredienti, trasformandoli in vivande - sintattiche - i menù, ossia l’ordine delle vivande - e retoriche - i comportamenti conviviali. E’ significativo a questo punto notare come effettivamente gli errori di grammatica possono danneggiare o annullare il significato, tanto quanto gli errori di ‘grammatica culinaria’ possono determinare delle improprietà inquietanti per chi mangia. e la particolarità delle pietanze, normalmente non cucinate durante il resto dell’anno, sono gli elementi che più caratterizzano una certa festività. Inoltre, il consumo alimentare è circondato da una serie di rituali: la spesa si fa in luoghi particolari, comporta acquisti parzialmente determinati dalla stagione, parzialmente dall’abitudine. Il pasto è una cerimonia, i piatti sono preparati in maniera tale che spesso la presentazione diventi più importante del contenuto, il posto dei commensali, il servizio, l’ordine delle pietanze, il modo di mangiare sono predeterminati e cambiano difficilmente. Ogni evento importante, che sia privato o pubblico, è segnato da un banchetto: i capi di stato non hanno trovato luogo migliore per ostentare le loro alleanze, e anche gli uomini d’affari si occupano di trattative importanti durante pranzi o cene, diventate ‘di lavoro’. In tutti i gruppi sociali, da quelli tribali a quelli moderni, le diverse fasi della vita, dalla nascita alla morte, sono accompagnate da riti e cerimonie e quasi sempre coincidono con il consumo di cibi dal preciso valore simbolico. L’abbondanza Nelle diverse società il cibo assume diversi significati in relazione ad alcuni aspetti: Aspetto ideologico: il codice culturale sotteso alle norme alimentari, è basato su tabù che nascono nel momento in cui si attribuisce un significato particolare ad alcuni cibi, quando esistono cioè regole mentali, morali e sociali per cui un alimento non deve essere consumato in un particolare periodo o da alcune persone. I tabù alimentari non rispecchiano una civiltà arretrata ma i limiti che ogni civiltà stabilisce. Aspetto tecnico - economico: la dicitura civiltà agricole o civiltà pastorali attestano la centralità dei processi produttivi degli alimenti base. La tipologia dei cibi assunti, le modalità di consumo del pasto e l’ideale di bellezza correlato all’aspetto fisico determinato dal peso corporeo variano in relazione all’assetto storico-culturale. Il cibo e la convivialità dell’atto alimentare hanno assunto nelle diverse culture valore economico, sociale, oggetto di prestito, condivisione e commercio. Alcuni cibi sono diventati manifestazione di un dato status simbol. Aspetto sociologico: in ogni società il cibo assume una forma di ‘dono’ al fine di stabilire e rinforzare i legami fra i diversi membri. Possesso, controllo, capacità e conoscenze necessarie per procurare il cibo sono sempre stati simbolo di prestigio o sottomissione. Esiste anche una simbolica suddivisione fra cibi maschili e cibi femminili35; ad esempio il cibo piccante ha valore maschile mentre i cibi ‘più delicati’ sono prettamente femminili, al banco di un bar il caffè corretto è più maschile di quello semplice che però risulta più maschile del cappuccino e così via. I cibi hanno infine valore simbolico in relazione al luogo e al tempo in cui vengono consumati. I riti compongono e rafforzano l’identità. Questa però nasce sempre dallo scambio e dal confronto 49 con culture diverse. La cucina etnica diventa una realtà cosciente di se stessa quando i confini etnici vengono sorpassati. Le cucine nazionali sono state storicamente un importante strumento di identità. Come sostiene Camporesi36 il ricettario dell’Artusi ha svolto una funzione non secondaria nella sintesi della cultura alimentare del nostro paese, tanto che la Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene ha fatto di più per l’unificazione nazionale di quanto abbia fatto il Manzoni con I promessi sposi. 35 Vedesi articolo tratto pubblicato sul sito dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Centro Nazionale Ricerche, h t t p : // w w w . s t a m p a . c n r . i t / documenti/agenzie/2005/Lug/7_ lug_05_4.htm 36 Piero Camporesi, La terra e la luna. Alimentazione, folclore, società, Garzanti, Milano, 1989 50 37 Domenico Secondulfo, Dimmi come mangi e ti dirò con chi sei, in Foodscapes. Stili, mode e culture del cibo oggi, a cura di Alessandra Guigoni, Polimetrica, 2004 I rituali del cibo La combinazione tra tipi di cibi e rituali di condivisione, crea un sistema di relazioni e comunicazione capace di regolare tutte le situazioni di fusione sociale. Nella nostra cultura, ad esempio, colazioni, pranzi, aperitivi, cene, inviti, scandiscono la giornata e pesano socialmente in ogni incontro e situazione. I rituali del cibo, come si è detto, combinano tempi, spazi ed azioni; come metafore di fusione sociale diventano uno degli snodi essenziali del vivere associato. Non c’è evento in cui legami sociali vadano costruiti o riconfermati, che non avvenga attorno o attraverso un rituale di condivisione del cibo, dal pranzo familiare quotidiano, alla cena d’affari, ai pranzi matrimoniali o funebri. Alla luce di ciò, i rituali del cibo vanno considerati come preziosi cristalli di cultura che, sacri o profani, elementari o complessi, formano una trama costante che regola gli aspetti costitutivi e ricostitutivi della vita di relazione di una società, esprimendone il suo senso nel mondo. Ciascun rituale è unico, caratteristico della cultura e del gruppo che lo ha prodotto, legato ad una precisa gestione del tempo e dello spazio. I rituali sono forse tra i mattoni più importanti con cui sono costruite le società, ed i rituali che ruotano attorno al cibo ne regolano uno degli aspetti centrali: i modi ed i livelli di costruzione e mantenimento dei gruppi e delle relazioni tra di essi. Nei rituali legati al cibo, quindi, si trova la sintesi simbolica ma concreta, di quei significati che fanno unica ciascuna cultura, e questa unicità delle culture che stratifica nel tempo una sorta di sistema di dialetti alimentari, radicati nelle caratteristiche uniche e peculiari del gruppo sociale che li usa.37 La complessità dei rituali, nelle loro rigide regole grammaticali di combinazioni di alimenti, sapori, preparazioni e sequenze – dal salato al dolce, dal caldo al freddo, dal solido al liquido, ecc. - rappresentano un complesso linguaggio attraverso il quale ogni gruppo esprime la sua individualità ed unicità. Non è quindi strano che la ricchezza di significati celata nei rituali alimentari, che si sono storicamente sedimentati in ogni gruppo e area del mondo, sia così molteplice, diversa e perfino talvolta contraddittoria, così come molteplici, diversi e contraddittori sono i gruppi umani ed i loro costumi. Naturalmente il rito cambia a seconda della città in cui ci si trova. Prendiamo ad esempio l’aperitivo, il momento di ritrovo dopo il lavoro nei locali che vanno di moda, in cui ci si racconta la giornata, si scherza e si tira tardi, saltando anche la cena. Se nel sud Italia questa tradizione è meno diffusa, le maggiori città del nord hanno reso l’aperitivo un vero e proprio rito serale. L’appuntamento è nei locali più in voga della città per quello che viene chiamato happy hour, una tradizione anglosassone debitamente modificata secondo le abitudini italiane. Se in origine indicava l’ora felice, in cui gli alcolici costavano la metà, oggi può durare ben più di un’ora ed è accompagnata da pietanze di ogni tipo. La moda dell’aperitivo assume declinazioni locali: nel nord-est è lo spritz la bevanda alcolica di rito, che rimanda al periodo della dominazione asburgica. La merenda sinoira piemontese,38 di antiche origini contadine, è una sorta di spuntino serale a base di formaggi, salumi e vino che un tempo sostituiva la cena. Oggi dalla tavola dei poveri è passata nei locali del centro di Torino, dove la si può gustare comodamente seduti. 51 Cibo e calendario Un aspetto tradizionalmente forte della cultura alimentare, che oggi sembra essersi in gran parte perduto, è il valore del cibo rispetto alla scorrere del tempo. Il calendario ha sempre misurato il tempo separando i giorni lavorativi da quelli festivi. Domeniche, solennità religiose e civili, celebrazioni a carattere individuale e familiare, nella società rurale erano spesso coincidenti con i momenti chiave degli avvenimenti stagionali. Si solennizzava l’arrivo della primavera, la semina e la battitura, la raccolta dell’uva, la svinatura, e l’uccisione del maiale. Fra queste ritualità, due in particolare davano il tono della festività: le liturgie religiose e le abbondanti e gustose mangiate. La festa si santificava attraverso un vitto dal significato sacrale, con il quale interagivano motivazioni psicologiche quali il bisogno di partecipare, d’esternare abbondanza, di comunicare con i propri simili. Nella comunità si creava un vincolo particolare, perché si riteneva che coloro che assumevano lo stesso alimento passavano le proprie qualità al gruppo. La tavola, e quella festiva in particolare, era 38 http://www.merendasinoira.it/ 52 momento di aggregazione, e condividere il cibo era tributo d’amicizia e riguardo. La scelta dei cibi era correlata all’importanza della festa, per la quale era fondamentale la creazione di ricette speciali, ed è per questo che gli alimenti legati alle feste sono entrati nel patrimonio popolare e folkloristico delle regioni italiane. Oggi, la sovrabbondante disponibilità alimentare, l’onnipresenza dell’offerta, il livellamento delle classi socioeconomiche, hanno pressoché annullato le antiche attese e le dipendenze tra festa e cibo. 53 Cibo, arte e sperimentazione La Gastronomia Molecolare Il binomio arte-cibo trova una sua corrispondenza: cucinare è un’arte e alcuni cibi o bevande possono avere il potere di suscitare emozioni, che nascono dalla creatività artistica. Emozione ed intrattenimento sono importanti quanto il cibo offerto. Ultima creazione i lab, aperitivi a strati multicolori serviti assieme a una polverina in provetta che, una volta aggiunta al bicchiere, scatena una reazione chimica che trasforma il cocktail in un caleidoscopio di aromi e colori. Gli aperitivi stimolano la creatività tanto in luoghi pubblici quanto in casa.39 Anche la natura si adatta al bisogno di sorprendere. Gli chef assumono il ruolo di artefici-artisti di una nuova arte: l’arte culinaria. I loro visi e le loro divise bianche sono entrati nella National Portrait Gallery40 di Londra, accanto a quelli dei reali e degli scrittori di fama. Mai, prima di Ferran Adrià, un cuoco aveva ricevuto un riconoscimento come il Lucky Strike Designer Award41 e l’invito a partecipare a Documenta,42 una delle più importante esposizioni di arte contemporanea. Ormai da qualche anno molti grandi chef giocano con le consistenze degli alimenti più che con il gusto, stupendo i loro clienti con piatti che hanno texture molto diverse da quelle originarie del prodotto. Uova crude con la consistenza della ricotta, gelati al gusto di sigaro, cocktail solidi, sono solo alcune delle proposte. Quest’innovazione è stata possibile grazie all’applicazione di teorie e tecnologie fino a quel momento utilizzate solo nei laboratori di fisica e chimica. La cucina molecolare è quella disciplina scientifica che insegna a comprendere i meccanismi che stanno alla base delle trasformazioni che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione. L’inventore della gastronomia molecolare è Pierre Gilles De Gennes: a partire dal 1992, egli ha riunito chimici, biologi e cuochi con lo scopo di realizzare esperimenti scientifici in cucina per arrivare ad elaborare una ‘teoria della pietanza’. La cucina molecolare, intesa come semplice moda, ha tuttavia esaurito quasi subito il suo potenziale di attrazione nella gente. Sono pochi, infatti, i ristoranti che propongono menù interamente ‘molecolari’, poiché è possibile stupire il consumatore anche senza utilizzare in 39 www.worldwidefred.com 40 http://www.npg.org.uk 41 Lucky Strike Designer Award del 2006 http://www.raymondloewyfoundation.com/ 42 www.documenta12.de pagina 55 19. Foto. John Reardon, Chefs’ Last Dinner, National Portrait Gallery, Londra, 2006 56 43 http://www.foodpairing.be/ http://blog.foodpairing.com/ tutti i piatti consistenze strane e accostamenti arditi, che invece trovano una giusta collocazione in qualche piatto di un menù di degustazione. Quasi tutti gli chef di alta cucina, da qualche anno hanno però iniziato ad utilizzare tecniche e strumenti che nascono proprio con la cucina molecolare, come sifoni, cotture sotto vuoto, gelatine, mousse, e hanno inserito nei loro menù piatti preparati utilizzando queste tecniche. Ecco allora che è possibile trovare la vera dimensione della cucina molecolare intesa come scienza applicata in cucina, non per inventare un nuovo modo di cucinare, ma per comprendere meglio i fenomeni fisico-chimici che avvengono durante la preparazione dei piatti, di spiegarli scientificamente e di sfruttare queste conoscenze per migliorare la qualità delle preparazioni. In parole povere, la gastronomia molecolare ha fatto diventare la cucina da una disciplina prettamente empirica a una vera e propria scienza. I vantaggi di quest’approccio sono ovviamente notevoli. La cucina molecolare stupisce soprattutto per le consistenze inusuali, ottenute sfruttando la comprensione profonda dei fenomeni di interazione tra le particelle di carboidrati, proteine e grassi contenute nei cibi. Il vero scopo di questo tipo di cucina è quello di fornire le nozioni di fisica e di chimica necessarie per comprendere i fenomeni che stanno alla base delle preparazioni culinarie. Il rischio di ogni disciplina che non dimostra scientificamente ciò che afferma, è quello di prendere delle cantonate colossali e perdere di oggettività. Se ci pensiamo bene, la cucina è piena di dicerie, segreti, trucchi indimostrati, quasi fosse una disciplina alchemica. La gastronomia molecolare ha dato serietà e scientificità alla cucina, ha modernizzato una disciplina fondata su luoghi comuni e su ‘consigli della nonna’ spesso infondati. Food Pairing Evoluzione della cucina molecolare, il Food Pairing43 è lo studio scientifico dell’abbinamento dei sapori in base alla loro composizione molecolare. Si basa sul principio che gli alimenti si combinano bene tra di loro quando hanno in comune componenti aromatiche importanti. Il processo inizia con un’analisi aromatica di un prodotto che deve essere abbinato. L’analisi in pratica separa e identifica i vari componenti del sapore, i quali, una volta analizzati, vengono confrontati con un database di diverse centinaia di prodotti, sia cibi che bevande. Quelli che risultano avere componenti di sapore in comune con il prodotto in analisi verranno poi presentati in un grafico ad albero dal quale emergeranno tutte le combinazioni possibili. 57 Food Design - il cibo è materia, il cibo è linguaggio Negli ultimi anni oltre a studi legati al cibo ed alle sue trasformazioni, si è sviluppata una disciplina che analizza il cibo in senso più ampio. Il Food Design44, teorizzato nel 2002 da Paolo Barichella, è la progettazione degli atti alimentari – food facts – elaborando i processi più efficaci per rendere più agevole e contestualizzata l’azione di assumere una sostanza commestibile in un preciso ambiente e circostanze di consumo, in rapporto con un ambito di analisi sociologica, antropologica, economica, culturale e sensoriale. Prende in analisi i motivi per i quali viene compiuto un atto alimentare, in particolare per comprendere come progettarlo. Significa proporre soluzioni alimentari efficaci in un contesto dove il prodotto sia funzionale al tipo di ambiente di consumo, e soprattutto all’esigenza dell’utente in diversi momenti e situazioni di consumo. Riassumendo si può dire che è la progettazione consapevole di contesti, interfacce e strumenti funzionali, complementari all’atto di alimentarsi, che può arrivare a consistere nell’alimento stesso.45 Il manifesto redatto nel 2006 recita: ‘Ergonomia, porzionabilità, contestualizzazione, funzionalità, problem solving, praticità, tecnologia, innovazione, progresso, ricerca, economie di scala, corretto rapporto qualità/prezzo, customer satisfaction… Queste sono alcune tra le più importanti parole chiave e parametri che vengono analizzati durante un processo di Food Design e ne formano la base di ricerca. […]’ 46 Esistono tre tipi di approccio al food design: 1. Progettare luoghi o strumenti per la produzione e/o il consumo del cibo - ammesso solo se il prodotto è il punto di partenza nella progettazione di un concept store; 2. La progettazione alimentare – progettare alimenti fatti con materia edibile; 3. La progettazione di portata – progettare in modo contestualizzato alimenti e/o strumenti complementari e inscindibili tra loro. In tutti e tre i casi si può parlare di food design solo se si conosce l’esatta distinzione che intercorre nei momenti legati al consumo: nutrimento, socializzazione, piacere. Fare del Food Design significa risolvere problematiche di servizio legate a momenti di consumo del cibo in questi tre contesti principali. Inoltre, si prevede la conoscenza del processo che porta all’identificazione della forma come ultima fase del progetto. 44 http://www.fooddesign.it/ 45 http://www.fooddesign.it/ 46 http://www.scribd.com/ fullscreen /77654064?access_ key=key-27egv4pg4np60fex3gbo CASO STUDIO Finger Food Un nuovo approccio al cibo Il termine era nato inizialmente per indicare un’idea gastronomica collocabile a inizio pasto e costituita da pasticceria salata mignon o aperitivi da gustare in punta di dita. L’espressione si è poi estesa per comprendere in modo generale tutto il cibo mangiato con le mani, cioè pre-porzionato da uno chef, che per 20. Foto. Small entities, progettate da Marco Maggioni essere ingerito non prevede l’utilizzo di utensili. L’evoluzione delle abitudini sociali riguardo a eventi, lunch, party in piedi, e happy hour ha favorito lo slancio progettuale verso questo tipo di formato di food design, sviluppando nuovi strumenti, formati e intervacce per assolvere a questo particolare approccio al cibo. CASO STUDIO Fooda Happening Food in The City Milano Il progetto nasce da una riflessione sulla natura delle implicazioni sociali del convivio e dalla volontà di sperimentare nuove forme conviviali estese portandole nelle città come risposta materiale alla diffusione dei social network. Un esperimento e un primo passo che FOODA47 muove nella ricerca progettuale del linguaggio degli Atti Alimentari - o food design. Il linguaggio degli Atti Alimentari è un complesso sistema di segni e simboli dove gli atti conviviali, il cum vivere, contribuiscono a costruirne la manifestazione estetica. Più che in ogni altro luogo della casa è infatti a tavola che le relazioni e le strutture gerarchiche, i rapporti e le problematiche vengono manifestate e regolarizzate sul piano del rapporti sociali. È nei riti che circondano la tavola che l’uomo manifesta la propria natura sociale. Celebrando in un rituale collettivo la propria rigenerazione quotidiana, egli impiega il gesto della comunione alimentare come veicolo di comunicazione. La mensa e la tavola hanno infatti, un forte valore simbolico, che ci permette di manifestare la nostra identità, quella del sistema sociale cui aderiamo e il nostro modo di intendere la vita. Sin dall’antichità, dall’agorà greca, dal foro romano e, ancor prima fino agli spazi delle piattaforme virtuali di socializzazione la piazza ha mantenuto, pur mutando modelli e sistemi differenti, la sua caratteristica principale di luogo di forti concentrazioni culturali e sociali. La piazza è dunque, prima di ogni altra cosa, scena della vita collettiva, mezzo per la celebrazione di riti e per questo scelta da FOODA come scenario ‘naturale’ in cui realizzare un evento di socia(bi)lità, con cui rendere evidente il rapporto indivisibile che esiste tra il linguaggio – nelle sue forme e soprattutto in quella culinaria – e la creazione dei rapporti sociali. 47 www.fooda.org 21. Foto. Una delle iniziative Fooda CASO STUDIO Jeux Cusine Charlotte Brocard dal 2007 [... pasto come attivatore di relazioni, momento di condivisione, scambio, interazione, ambito privilegiato per l’indagine sociale... ] 48 www.onnejouepasatable.com 22. Foto a destra. Sequenza del gioco On ne se moque pas des autres à table: tutti i commensali hanno un insieme di oggetti diversi; devono mangiare con questi utensili nel modo più appropriato possibile, cercando di sporcare il tovagliolo il minimo indispensabile. Il pasto come attivatore di relazioni, momento di condivisione, scambio, interazione, ambito privilegiato per l’indagine sociale. Queste le premesse della designer francese che, attraverso il suo lavoro, invita a riflettere sulle caratteristiche e sul significato del pranzo contemporaneo. I nuovi ritmi e stili di vita hanno progressivamente allontanato il momento del pasto dall’essere momento di scambio e interazione sociale. Per questo, con ironia e leggerezza, mette in scena e filma pranzi unici, durante i quali gli ospiti devono giocare per mangiare, e viceversa. Una serie di giochi da tavola sono alla base di questi insoliti pranzi, in cui il cibo diventa strumento per creare connessioni, obbligando i commensali a interagire e relazionarsi tra loro. I giochi progettati alterano volutamente le abituali e più consolidate regole dello stare a tavola, rendendo il pasto un momento diverso, di svago, di puro divertimento. I giochi, gli oggetti e le regole imposte, incoraggiano i partecipanti a comunicare tra loro e a riscoprire il piacere di stare a tavola e condividere l’esperienza del pasto. Buone e cattive maniere sono abolite: sono le nuove regole del gioco le uniche guide di comportamento da seguire. 48 61 23. Foto in alto a sinistra. Gioco: On n’utilise pas les même couvert que son voisin; i commensali due o quattro - hanno tre minuti per mangiare con una posata comune tutto il contenuto dei loro piatti. 24. Foto in altro a destra. Logo del progetto Jeux Cuisine. 25. Foto in basso. Gioco: On ne gene pas son voisin de table; i commensali hanno i polsi uniti da un elemento rigido in legno. Devono collaborare per riuscire a finire il loro piatto e risultare la coppia più organizzata ed efficace. Funera & Sharing Dinner Marije Vogelzang Ama definirsi eating designer perché l’atto del mangiare rappresenta il punto di partenza del suo lavoro. È durante gli anni di formazione che la designer focalizza la sua attenzione sul cibo e sulle sue ancora poco esplorate valenza progettuali. Nel 1999, ancora studentessa, progetta Funeral Dinner: il colore bianco, in molte culture è associato alla morte, viene indagato, analizzato e progettato. Il risultato è una performance totale, in cui cibo, partecipanti e contesto interagiscono in perfetta sincronia cromatica. Il cibo, rigorosamente bianco, è l’elemento centrale attorno al quali si sviluppa l’esperienza nella sua complessità. I semplici abiti bianchi dei commensali e l’ambiente assolutamente neutro contribuiscono a restituire un’immagine di armonia assoluta, in cui i rituali connessi al cibo sembrano trasformarsi in veri e propri atti consolatori. L’idea del cibo come esperienza totale viene ulteriormente indagata nel 2005, quando Droog Design le commissiona l’organizzazione della tradizione natalizia. Tralasciando gli aspetti puramente religiosi, la designer decide di esplorare il significato dello stare insieme che sta alla base dell’evento, ideando una Sharing Dinner, esperienza estrema di condivisione del cibo e dello stare insieme a tavola. Una tovaglia particolare, ancorata al soffitto, crea lo spazio virtuale della cena a cui i partecipanti accedono infilando testa e mani in apposite aperture. Ogni elemento è pensato per stimolare l’incontro e lo scambio: i commensali sono costretti a scambiarsi accessori, condividere stoviglie e pietanze, in un continuo interagire gli uni con gli altri, fino all’atto finale in cui si liberano tagliando la tovaglia grazie alle forbici fornite insieme alle posate. 49 [... nuove valenze progettuali del cibo... come esperienza totalizzante... ] 49 www.marijevogelzang.nl 26. 27. Foto. Immagini di una delle sue performance in cui il colore bianco del cibo è il tema di analisi pagina 65 I luoghi del cibo “Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purchè sia cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. (…) Anche le cucine incredibilmente sporche mi piacciono da morire. Mi piacciono col pavimento disseminato di pezzettini di verdura, così sporche che la suola delle pantofole diventa subito nera (…). E se per caso alzo gli occhi dal fornello schizzato di grasso o dai coltelli un po’ arrugginiti, fuori le stelle che splendono tristi. Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola… Nei momenti in cui sono molto stanca, mi succede spesso di fantasticare. Penso che quando verrà il momento di morire, vorrei che fosse in cucina. (…) Magari fosse in cucina!”50 50 Banana Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, Milano, 1991 66 Come detto nei capitoli precedenti il cibo ha un valore sociale e culturale. Da ciò deriva l’importanza dei luoghi in cui questo viene consumato ed il loro significato. Quando si parla della relazione tra esperienza e cibo ognuno di noi apre e dischiude le porte della sua esperienza personale, intima, e lascia andare la mente alla sua storia personale; a quella delle persone, dei luoghi, dei sapori, delle situazioni che quel particolare alimento trascina con sé. È uno degli elementi attorno a cui si costruiscono riferimenti delle nostre storie. Dalle righe di Banana si evince il legame che ci lega al cibo, al modo con cui viene preparato, ai luoghi in cui viene consumato. Quello che non dice è che il nostro immaginario sul cibo non è solo legato alla cucina ma a tutti i luoghi ed esperienze in cui il cibo fa parte della nostra vita, del nostro paesaggio quotidiano. Mangiare in casa ha una valenza familiare, è legato ad immagini di intimità e a legami affettivi. Ma all’interno del medesimo contesto vi sono luoghi che hanno valenze diverse rispetto alle pratiche alimentari: ritrovarsi in cucina è un atto legato alla quotidianità, alla routine, a pasti veloci ed informali. Se invece si pensa ai pasti consumati in sala da pranzo,sono generalmente legati a momenti di celebrazione, in cui i tempi sono dilatati. I trend attuali in molti casi stravolgono questi comportamenti, secondo due modelli opposti: nel primo caso gli spazi si riducono e viene meno la possibilità di mangiare in cucina, dato che questa ha dimensioni molto ridotte o addirittura perde la sua autonomia come ambiente a sé, diventando un angolo cottura all’interno della zona giorno delle abitazioni. Il secondo caso, invece, vede il dilatarsi degli spazi: la cucina, assume così maggiore importanza, non è più uno spazio di servizio, da nascondere, da vivere solo in famiglia; si apre ad amici ed ospiti, diviene luogo conviviale per eccellenza della casa, riassume il significato che nell’antichità aveva il focolare domestico, come perno di tutta la casa. Questa nobilitazione della cucina si può riscontrare non solo nell’ambiente domestico, ma anche nell’ambito della ristorazione. Sono sempre più i ristoranti che aprono le porte delle loro cucine: questi spazi non vengono più nascosti, anzi, sono sempre più esposti allo sguardo e all’attenzione dei consumatori. Questo fenomeno può essere spiegato anche dal fatto che mostrare ciò che viene cucinato è uno strumento per assicurare la qualità delle pietanze servite. Ne sono un chiaro esempio i numerosi sushibar che affollano la scena ristorativa delle maggiori città. Punto focale del luogo diviene il sushiman che sotto gli occhi di tutta la clientela mostra le sue abilità. 67 L’ibridazione del cibo Per quanto riguarda i luoghi del cibo fuori casa, il ristorante si configura come lo spazio di consumo dei pasti per eccellenza. Per quanto detto in precedenza, non si presenta solamente come luogo in cui viene svolta un’attività primaria per l’esistenza umana – il soddisfare il senso di fame – bensì è un luogo di socializzazione e di affermazione della propria identità. In molte realtà contemporanee gli spazi del consumo del cibo si mescolano con i luoghi della vendita, in cui vengono anche erogati altri servizi. La nuova tendenza della ristorazione, infatti, ha sposato l’ibridazione e nei locali la possibilità di consumare un piatto caldo si incrocia con quella di fare un acquisto o di usufruire di un servizio; gli esempi sono molti, il momento del pasto viene inserito in contesti sempre più imprevedibili: a Milano il Fioraio Bianchi51 ha fatto posto a sedie e tavolini per dare luogo ad una caffetteria raffinata, da Gattò52 è possibile mangiare, acquistare vestiti e magari assistere alla presentazione di libri. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati in tutto il mondo anche i luoghi di ristorazione che propongono altre forme di intrattenimento o di servizio; ristoranti che svolgono attività culturali, che propongono attività legate ai viaggi, altri con punti vendita di moda, o che organizzano mostre o proiezioni cinematografiche. In America sono ormai popolari i cosiddetti Knit Cafè o Knitting Group, incontri per lavorare in gruppo, organizzati dai bar a cui partecipano uomini e donne stressati dalla routine quotidiana; ad esempio le clienti possono stare per il breve tempo di un cappuccino oppure si siedono per farsi un pullover di lana, vi trovano giornali pieni di articoli per avere gli spunti giusti e, accanto alle sessioni giornaliere di maglia, anche una vasta scelta di lezioni ed eventi. Esempio di Knit Cafè a Milano è il Coffee Design53 oppure il Bistrot Bovisa54. La cucina non vive più da sola, ma si inserisce di volta in volta in discoteche, luoghi di incontro eclettici. Il ristorante diventa showfood, propone spettacoli non convenzionali e tenta un coinvolgimento totale del cliente, in quella tendenza definita eatainment: coniugare nello stesso luogo ristorazione e intrattenimento. Ristoranti, osterie, pizzerie, pub, bar sviluppano in vario modo la tendenza allo spettacolo. Si diffondono le cucine a vista, i piatti che privilegiano l’aspetto scenografico, le gare ai fornelli, gli spazi sono sottoposti al restyling 51 http://www.fioraiobianchicaffe.it/ storia/ 52 http://www.gattomilano.com 53 www.triennale.it 54 www.triennale bovisa.it pagina di architetti; il tutto è finalizzato alla ricerca di esperienze uniche e memorabili. L’ibridazione tra cibo e arte dà luogo a locali che si propongono come luoghi di ristorazione e come esposizioni artistiche. Questa commistione raggiunge l’apoteosi con il ristorante del museo d’arte Mac/Val di Vitry-sur-Seine a Parigi, in cui ogni mostra si traduce in quadri commestibili proposti da famosi chef.55 Comune a queste esperienze è l’attenzione all’aspetto visivo, pittorico e scultoreo della composizione a tavola: ogni vivanda ha un’architettura originale che dà la sensazione di mangiare un’opera d’arte. 55 www.restaurant-trasversal.com 28. Foto. Vetrina di Gatò - Robe & Cucina 29. Foto pagina accanto. Interno del fioraio Bianchi 69 70 Cucina del territorio o cucina tradizionale? Sorgono i musei del gusto, che sono parte di azioni di marketing territoriale o di strategie di valorizzazione di prodotti con una forte connotazione locale, ma che rispondono anche all’esigenza di salvaguardare la memoria del cibo e dei procedimenti di produzione. Il Food Museum56 iniziativa newyorkese con obiettivi educativi, ha lanciato nel 2005 The Global Food Heritage Project, a salvaguardia della memoria del cibo; missione del progetto è l’identificazione e la conservazione di musei dedicati al cibo, aree di origine e provenienza di particolari alimenti, fattorie, fabbriche, ristoranti e hotel storici, luoghi associati a ricette e prodotti alimentari. Anche per questa via i consumi alimentari intrecciano rilevanza economica e, al tempo stesso, sociale. Così la riscoperta delle tipicità e del gusto che connota le comunità locali non ha un valore solo in ambito commerciale e turistico, ma è parte delle azioni dotate di senso rivolte a cercare e preservare elementi di identità individuale e collettiva. 56 www.foodmuseum.com Mangiare prodotti tipici di un determinato luogo e quindi conoscere attraverso prodotti, ricette e cucina una data cultura in modo consapevole è un fenomeno abbastanza giovane, che occupa il dibattito sulla cultura alimentare in seguito alla dicotomia tra cucina del territorio e cucina internazionale, ovvero tra un modello ‘locale’ e uno ‘globale’. Prima di tutto bisogna distinguere tra prodotti e piatti, e quindi tra cucina del territorio e cucina tradizionale; la prima infatti fa riferimento alle materie prime utilizzate, mentre la seconda è più legata alle ricette, alle tecniche, al ‘know how’ ed alle regole tramandati di generazione in generazione. L’elogio della diversità, che accompagna la promozione della cultura gastronomica, non è nostalgia del passato, bensì riguarda presente e soprattutto futuro. Oggi il territorio costituisce un valore di riferimento assoluto nelle scelte alimentari, non c’è ristorante che non ostenti la proposta di una cucina legata al territorio; la cucina di territorio, quindi, è un’invenzione moderna, di tendenza. 71 Il cibo come attrazione turistica Come già detto, tra gli elementi di cultura materiale, un ruolo centrale è ricoperto dal cibo: nella sua produzione e raccolta, nonché nel suo tempo di consumo in relazione ai luoghi, si associano aspetti di conoscenza materiale e non materiale tali da permettere di iniziare l’esame dei contenuti di una specifica cultura. Inoltre, il cibo, la cucina e l’alimentazione appaiono come i terreni sui quali si gioca il conflitto più generale tra la dimensione globale e quella locale. Se è vero da un lato che la società basata sul consumo e sulla globalizzazione avrà nel turismo di massa una delle sue industrie più floride, la dialettica tra globale e locale innesta un altro tipo di turismo, maggiormente individualizzato, orientato a valorizzare le particolarità e le differenze dei vari luoghi, e tra questa peculiarità un forte peso è rappresentato dai cibi e dai rituali ad esso collegati. Dopo una prima fase in cui puntualmente i cibi locali vengono sacrificati o profondamente modificati per far posto al supposto gusto internazionale dei turisti, più recentemente molti operatori del settore si sono impegnati in operazioni di restiling simbolico, difendendo la particolarità dei propri prodotti, rivolgendosi ad un pubblico medio alto, ma non per questo di nicchia. Dal superamento del concetto del cibo, o meglio del sistema cibo, inteso come soddisfacimento della gola e del gusto, il cibo assume la funzione di medium in grado non solo di comunicare cultura materiale, tradizione, emozioni, sapori, profumi, ma anche di generare valore nel territorio. Insomma, il cibo viene visto come un grande faro in grado di attirare l’interesse dei viaggiatori e dei media distribuendo nuova e inaspettata ricchezza nel territorio. Nel secolo dell’insicurezza alimentare, nell’era degli alimenti transgenici, nell’epoca della globalizzazione, il cibo non omologato diventa protagonista economico e mediatico. La risposta più efficace alla globalizzazione è una controriforma che dia voce e forma a quei prodotti che sono da sempre in minoranza per la dimensione economica dei loro produttoriartigiani e per la difficoltà di arrivare ai mercati e quindi di essere conosciuti. Il giacimentomedium può illuminare un territorio, rendendolo visibile e visitabile al gastronauta57 o al foodtrotter,58 sviluppando ricchezza nel luogo d’origine. Nel nuovo scenario emergente 57 gastronauta: esperto capace di vedere la bellezza di un luogo grazie a molteplici competenze, che vanno dal marketing alla cultura dei sapori e dei prodotti locali. Termine coniato da Davide Paolini. Vedi dibattito ‘Il Gastronauta può essere un mestriere? Analisi di una nuova professione per lo sviluppo della cultura materiale dei territori’, Milano, dicembre 2006 58 foodtrotter: il turista per il quale assume una rilevanza centrale l’aspetto enogastronomico; è attirato dal prodotto tipico lavorato a mano, unico e di un certo territorio; è sensibile al territorio e alle sue caratteristiche, attribuisce la stessa rilevanza alle risorse enogastronomiche e ai servizi turistici del luogo 72 il cibo ormai trascende la gola ed il palato. La riscoperta delle radici, l’interesse per la zona di provenienza, la sensibilità per gli aspetti antropologici, il desiderio di conoscere la storia, la dimensione estetico-sensoriale si sommano e vanno ad interferire con la gratificazione orale nell’apprezzamento di molti prodotti o di diversi piatti. Il cibo diventa protagonista di una rivoluzione copernicana; è lui il centro dell’attenzione, perché autentico, originale. Migliaia di turisti percorrono chilometri per assaggiare vini, visitare cantine, degustare prosciutti e salami: questo è il nuovo fenomeno del cibus turismo. Dal dopoguerra in poi, in Italia abbiamo assistito a un graduale processo di ristrutturazione sociale che, a seguito dell’abbandono delle campagne e dell’attività agricola, ha avuto nell’urbanizzazione il suo fenomeno più importante. Per trasformarsi in polo d’attrazione per un turismo gastronomico, le specialità devono innanzitutto avere la prerogativa di non essere prodotte in larga quantità. Per questa tipologia di consumatore il prodotto alimentare viene considerato una specialities, e pertanto per il suo processo d’acquisto è considerato del tutto normale lo spostamento fisico verso il luogo di produzione. Nonostante il prodotto sia reperibile vicino a casa, questo tipo di consumatore preferisce il consumo e l’acquisto in loco: chi ama i grandi vini trova piacere nel parlare direttamente con i produttori, vedere le vigne e le cantine, degustarli prima di fare l’acquisto. Questo bisogno intrinseco che accompagna i consumatori di tali prodotti rappresenta da solo una potenziale fonte di turismo, che però, non deve essere annullato da una produzione facilmente acquistabile ovunque, anche nel negozio sotto casa. 73 30. Foto. Immagini degli artisti che fanno parte della Vegetable Orchestra: gruppo musiale che utilizza solo elementi vegetali per relizzare i propri strumenti CASO STUDIO Unser Land Germania dal 1994 31. Foto. Logo dell’associazione Non è la birra l’unico prodotto tipico della Baviera; ma anche per gli abitanti di alcune città e paesi dell’area di Monaco capire cosa significasse ‘prodotto tipico’ ha richiesto un po’ di tempo e tante discussioni. Tutto cominciò nel 1994, quando i membri di una parrocchia di un piccolo villaggio nel distretto di Fürstenfeldbruck decisero di produrre e commercializzare direttamente il pane della tradizione del loro territorio, prodotto con farine locali. Alla fine di quell’anno tutte le 29 panetterie nel distretto vendevano pane tradizionale; nel 2004, dieci anni dopo l’avvio del progetto, 180 agricoltori – di cui il 10% convertiti al biologico – producevano 40 prodotti locali sostenibili venduti in 200 panetterie, 8 macellerie, 530 supermercati e negozi, e 21 ristoranti. Il tutto prodotto e venduto in un raggio di circa 100 km; non un progetto circoscritto ai piccoli villaggi, i prodotti venivano infatti venduti anche nelle maggiori catene di supermercati della grande Monaco. L’evento di avvio del progetto è stata la presentazione del pane tipico locale alla popolazione; contestualmente è stata fondata l’associazione “Comunità solidale Bruker Land”, con forte richiamo alle tradizioni del luogo. L’iniziativa legata alla filiera del pane si basava fin dall’inizio su una serie di motivazioni e di obiettivi molto articolati. I promotori, che volevano ‘fare qualcosa per la conservazione del creato’, erano consapevoli che la sopravvivenza di piccoli agricoltori e artigiani in un contesto come quello bavarese fosse legata, da un lato, all’introduzione di standard qualitativi alti in grado di distinguere i loro prodotti e, dall’altro, alla necessità di rendere i consumatori consapevoli dei costi e compartecipi dei problemi legati alla produzione. Il tutto unito all’intenzione di contribuire in qualche modo alla conservazione ed al miglioramento delle qualità del territorio circostante. In questa direzione il progetto ha reso possibile la conservazione di una particolare tipologia di terreno coltivato a prato, chiamata hill meadows, abbandonata perché la normativa sugli aiuti di Stato non ne rendeva più redditizia la gestione. L’associazione, su questi campi, ora coltiva fieno per gli animali e lo vende indicando sull’imballaggio che l’acquisto di questo prodotto aiuta la Baviera a mantenere questi prati, che costituiscono una preziosa risorsa paesaggistica che fa parte delle caratteristiche tipiche di queste zone. Nel ’98 venne adottato il marchio registrato ‘Brucker Land’ per facilitare l’identificazione dei prodotti, ma anche per fornire informazioni utili ai consumatori: su ogni confezione di prodotti con il marchio viene spiegata la differenza tra i metodi di produzione comunemente diffusi e quelli dei prodotti marchiati. 59 59 www.unserland.info [email protected] CASO STUDIO 60 Fraich’attitude www.fraichattitude.com 32. Foto. Gli spazi di Fraich’attitude, molto colorati e vivaci, quasi pop 33. Foto pagina accanto. Calendario dei frutti e dei legumi Parigi, 2004 Il progetto è promosso da Interfel, associazione francese che riunisce le organizzazioni produttive e distributive del settore ortofrutticolo. Da sempre impegnata nella sensibilizzazione del consumatore sull’importanza di una corretta alimentazione attraverso il consumo di frutta e verdura, è nota per le sue campagne informative che promuovono la conoscenza e la riscoperta dei valori e delle proprietà dei prodotti freschi. Una cucina collettiva al centro di Parigi: un luogo dove cucinare insieme, ma soprattutto uno spazio dove sperimentare, imparare, riscoprire il valore di frutta e verdura e il piacere di cucinarli. È possibile partecipare a workshop di cucina – a base di frutta e verdura di stagione – curati da chef, dietologi, autori di cucina e foodblogger. Lo spazio, ideato da Matali Crasset, è piacevole, fluido, funzionale, facilmente accessibile: colori, materiali, forme danno l’idea di domesticità diffusa. Al bancone centrale a Y per le lezioni pratiche, si affianca una zona più intima e raccolta, dove consultare libri, scambiare ricette ed assistere a lezioni teoriche. Sono inoltre presenti una biblioteca tematica ed uno spazio espositivo che propone un ampio calendario di eventi e mostre sul tema.60 pagina NoteUdam dellaborum nos dolorep udaepti aecearit, cus ium id quaectas aboremquiate nis coriaecatius quidi odi occae. Nem. Et fugiae dolorro quae. Solendit lamenis quasperum int dusani ium liquas eos esequam resciam, qui cuptatestion nossin eum laborepro et est quas maiore sed mil eat. Tem ex et utecerferrum quibus aut plite sitate cus. Facest explige ndandio tet eum autem sa et qui seque laborestis ex ex eostrum ute pro mossequae liciatis milluptus invendandem derepeliqui voluptatur sequodis comnim voloreiciur, ipsus. Usa que nonsediam quia sandaes di que prorepra dis natem hic totaquisquis erio consequo coriorature pro quatiae quossimagnis eiumquas dic tem facerem quid ut voluptae inverum voluptat eum fuga. Mintet lat. Sim audanditia andande volupta temporiatem iume rem fugitese ma sum volore doluptati odi ut ut volorrum eati ideliquo officie nissitempor acit earum niscipsum sandebitin commoditate voluptias doluptur? Olorisimi, volorem nobit quae corpos perspediam, vent lacerchil earum CASO STUDIO Guerrilla Cuisine Oakland, San Francisco 2007 […an experiment in collaborative dining... ] 61 61 www.guerrillacuisine.com 34. Foto in alto. Manifesto 35. Foto in basso. Immagine di uno promossi degli eventi Ricetta? Mettere insieme cuochi di tendenza, produttori e agricoltori locali, artisti cool e istituti di beneficenza (a cui donare l’incasso) per proporre ai partecipanti un’esperienza di degustazione culinaria unica. Nato come movimento per la liberazione del gusto, partendo dall’idea della cena underground, il gruppo ha saputo evolvere indagando limiti e potenzialità dando vita a inediti eventi culinari, a cavallo tra iniziativa sociale, serata gastronomica e performance artistica. Jeremy Townsend, uno degli ideatori, la definisce una sorta di anti-ristorazione, capace di rendere il momento della cena fuori casa un’esperienza unica e stimolante. Non è sedersi ad un tavolo e scegliere il proprio piatto preferito, bensì vivere un’esperienza in totale condivisione con gli altri partecipanti. Spesso l’evento è organizzato in location insolite – gallerie d’arte, circoli letterali, magazzini commerciali, cortili privati… - e si intreccia con performance musicali, happening letterari o spettacoli danzanti. Ma non ci si limita all’evento: Guerrilla Cuisine vuole promuovere un consumo critico e consapevole nei confronti del cibo. Il simbolo ne sottolinea la filosofia di fondo: attento ai luoghi di provenienza degli alimenti utilizzati, sostiene il consumo di alimenti di origine locale provenienti dal live power (dall’impiego esclusivo di forza umana e da animali da tiro): Alle cene organizzate si accede tramite il passa parola, e solo se si viene introdotti da qualcuno già interno al movimento. pagina 81 Conclusioni Come si è avuto modo di analizzare all’interno di questo capitolo il ruolo fondamentale che il cibo ha mantenuto dall’antichità ad oggi è quello di avere il potere di riunire persone diverse attorno ad una stessa tavola e di farle dialogare, sia che si tratti di un veloce lunch di lavoro sia che si tratti di banchetti luculliani organizzati per celebrare delle ricorrenze. propria forma fisica, attenzione che si manifesta non soltanto attraverso l’allenamento fisico ma anche attraverso la ricerca di uno stile di vita più sano a 360° che comprende quindi anche un’attenta analisi del cibo che si assume. La conta delle calorie presenti nei cibi non è più soltanto una cosa da fanatici della forma ma sta accomunando un po’ tutti. Il cibo accomuna persone che si conoscono da una vita così come perfetti estranei. Tutti abbiamo bisogno di nutrirci perché è il nostro stesso organismo a richiedercelo. Spesso non si mangia solo per nutrirsi ma per trarne piacere. Questa nuova ottica del mangiare per piacere si è andata diffondendo dal secondo dopoguerra ad oggi. L’abbondanza e il boom economico degli anni ‘70 hanno portato con loro anche diverse piaghe sociali che hanno avuto serie ripercussioni sulla società. Una tra queste è l’obesità. Mentre prima l’avere qualche chilo in più veniva considerato emblema del benessere ora l’obesità è diventata solo il simbolo di consumi smodati di sostanze sbagliate, che invece di nutrire il nostro organismo lo intossicano. Per prevenire e combattere questo fantasma i giovani sono sempre più attenti alla Tutti gli scandali che hanno riguardato cibi geneticamente modificati, OGM la sigla che li identifica, sono stati un forte campanello d’allarme che ha spinto ad una sempre maggior attenzione circa l’origine e la freschezza di cosa si consuma. Consumare cibo buono e sano, ecco quello che si ricerca oggi, e se è possibile farlo in compagnia ancora meglio! CAPITOLO 2 Gli orti comunitari 85 Forse in risposta al senso di estraniamento che deriva dal vivere nelle moderne metropoli, il cittadino cerca di avere un ruolo il più possibile attivo nella società. Alla base di ciò, oltre alla voglia di conoscere gente nuova e di migliorare l’aspetto delle proprie città, sta la consapevolezza che solo dandosi da fare si possono raggiungere i risultati sperati. La ricerca del bello non si limita alla forma fisica, l’individuo moderno vuole essere bello e circondarsi di cose belle, ed è in questa ottica che s’inscrive la ricerca del bello anche all’interno delle città, con la creazione di spazi curati fin nei minimi dettagli; spazi funzionali dal punto di vista pratico ma anche spazi belli dal punto di vista estetico. Il concetto di orto urbano si sviluppa quindi in questo contesto di spasmodica attenzione alla forma. Si vanno ad utilizzare spazi dismessi per poterli trasformare in giardini piacevoli da osservare ma anche generatori di primizie da gustare. Cibo per gli occhi e per il corpo. Data la preziosità del tempo libero in un’epoca in cui sembra che nessuno abbia più neanche il tempo per mangiare si cerca di ottimizzarlo. Gli uomini vogliono impiegarlo per fare qualcosa di piacevole ma anche di utile. L’orto comunitario gli da la possibilità di trascorrere del tempo all’aria aperta riappropriandosi di spazi che non è abituato a vivere ma anche venendo esposto a tecniche e pratiche a lui sconosciute. Il giardinaggio e la coltivazione sono pratiche di svago ma che al contempo permettono l’espressione della creatività umana. Ecco dunque che il coltivare si trasforma da espressione della creatività e momento di svago in possibilità di entrare in contatto con nuove persone e con nuove culture, andando ad ampliare così il proprio network di relazioni e le proprie competenze. Progetti collaborati e innovazione sociale 87 88 61 Young Foundation, 2006 L’espressione social innovation si riferisce a cambiamenti apportati da individui o da comunità per risolvere un problema o generare nuove opportunità. Queste innovazioni sono guidate più da cambiamenti nel comportamento che da cambiamenti nelle tecnologie o nei mercati, ed in genere emergono dal basso piuttosto che essere imposte dall’alto.61 Possiamo dire che l’innovazione sociale è un modo adeguato per realizzare la transazione verso l’implementazione di sistemi sostenibili. Ogni volta che una comunità si muove per risolvere un problema e sfruttare opportunità in modo nuovo e creativo, si ha un atto di innovazione sociale. Questa forma di creatività diffusa ha trovato il modo di far convergere attività collaborative, procedure quotidiane eseguite da singoli individui all’interno di un sistema che permette una maggiore collaborazione tra di loro. Quest’immagine dà anche un’idea su come la diffusione di forme organizzative basate sullo scambio, la condivisione e la partecipazione su scala rionale può rigenerare il tessuto sociale, ripristinando relazioni di prossimità e creando legami significativi tra gli individui. Chiari esempi di ciò sono tra gli altri, le realtà di co- housing, il movimento internazionale Slow Food, asili autogestiti e banche del tempo. Analizzando questi casi studio, si può osservare come si tratti di cambiamenti radicali su scala locale; sono nuovi approcci per raggiungere uno stile di vita più sostenibile. Gli individui all’interno di sistemi come questi sono spinti ad avere un ruolo attivo nel soddisfacimento dei loro bisogni, in contrasto con la passività diffusa nella società occidentale odierna. Un esempio interessante, che conferma questa tesi, lo si può ritrovare nella nuova generazione di mercati dei produttori, casi di recupero della qualità dei prodotti sani e biologici in aree in cui è normale consumare prodotti imposti dalle regole di mercato, senza distinzione e coscienza su ciò che si assume. Un positivo effetto collaterale di questo nuovo tipo di organizzazione è che, mentre si mettono in pratica nuove e più sostenibili idee di benessere, si rafforza simultaneamente il tessuto sociale. Il raggiungimento di un benessere in questa direzione è coerente con le principali linee guida anche in vista di una sostenibilità ambientale: atteggiamenti positivi nel condividere spazi e 89 prodotti, la preferenza di prodotti biologici, locali e stagionali; una tendenza verso la rigenerazione di connessioni, e reti locali.62 Comunità creative Tre sono le caratteristiche principali di questo tipo di servizi. Primo e più importante: dietro ad ogni caso di creatività diffusa espressa sotto forma di servizio collaborativo, c’è un gruppo di persone che hanno tratti fondamentali in comune. Insieme si inventa, si migliora e si gestiscono soluzioni innovative in vista di nuovi modi di vivere, ricombinando ciò che già esiste senza aspettarsi un cambiamento radicale del sistema. Non si aspetta il cambiamento, ma, si contribuisce mettendolo in atto. La capacità di reinventare e riorganizzare elementi esistenti in nuove e significative combinazioni è alla base della motivazione per cui questi gruppi di persone possono essere definiti comunità creative. Si tratta di persone che cooperano per inventare, migliorare ed organizzare soluzioni innovative per nuovi modi di vivere.63 Il secondo tratto distintivo è la capacità di superare i problemi posti dalla vita quotidiana contemporanea. Le comunità creative mettono al servizio la loro creatività per riuscire a rompere con i modelli tradizionali di pensare e di fare. Così facendo, consciamente o inconsciamente, si generano delle discontinuità locali, modi di vivere nuovi, diversi e sostenibili. 62 Jegou, Manzini, 2008 63 Meroni, 2007 90 La terza peculiarità è che le comunità creative derivano da un’originale combinazione di esigenze ed opportunità. Le esigenze nascono dai problemi della vita quotidiana contemporanea, mentre le opportunità si sviluppano da differenti combinazioni di tre elementi fondamentali: le tradizioni, l’uso di un insieme esistente di prodotti e l’esistenza di condizioni sociali e politiche favorevoli. La presenza della tradizione tra gli elementi chiave spinge alcuni osservatori a dire che, dopo tutto, non si tratta di nulla di nuovo, ma si tratta semplicemente di sentimenti nostalgici nei confronti di un qualcosa a cui non si può più tornare. È un patrimonio di conoscenze, modelli di comportamento e forme organizzative che, viste alla luce delle condizioni e dei problemi attuali, possono costituire preziosi materiali per il futuro.64 Inoltre, l’attuale serie di prodotti tecnologici disponibili combinati in un nuovo modo ecologicamente efficiente creano la possibilità per l’innovazione sostenibile. Infine, tali comunità, hanno più probabilità di prosperare quando si sviluppano nel giusto ambiente: le comunità creative tendono ad emergere nei contesti in cui l’economia delle conoscenze è più sviluppata. 64 Strandbakken, 2008; Vadovics, 2008 65 66 Landry, 2006; Leadbeater, 2006 Jegou, Manzini, 2008 Contesti favorevoli per la nascita di comunità creative I contesti in cui le comunità creative ed i servizi collaborativi si sviluppano sono sistemi socio-tecnici molto complessi. Queste realtà non riproducono una data situazione sociale, culturale ed economica, bensì condividono la capacità di attivare un gran numero di cittadini potenzialmente innovativi e di farli muovere nella stessa direzione.65 Un’altra caratteristica è che si sviluppano in ambienti dalle larghe vedute, con un alto livello di tolleranza. Promuovere le comunità creative significa anche accettare qualcosa che probabilmente non seguirà le norme ed i regolamenti già esistenti. Inoltre, questi ambienti sono governati in maniera orizzontale, flessibile, aperta e partecipativa; questo facilita la rigenerazione delle tradizioni specifiche, favorendo un’adeguata infrastruttura tecnologica per generare un contesto sociale, politico ed amministrativo favorevole. In conclusione si può dire che si tratta di una questione di velocità di cambiamento: in tutti i luoghi in cui i cambiamenti sono veloci e profondi, le comunità creative si sviluppano, e una volta generate, si muovono e si stabiliscono in altri contesti. È un movimento di idee e di esperienze che può andare in tutte le direzioni.66 91 Applicazione a diverse scale di un servizi collaborativo Sono già stati citati i vantaggi sociali ed economici dei servizi collaborativi, ma il beneficio più interessante è la possibilità di applicabilità di questi a scale diverse, supportando stili di vita sostenibili per numeri sempre maggiori di persone. Hanno il potenziale di diventare la corrente principale in modo da riorientare i cambiamenti sociali ed economici in corso verso una direzione sostenibile. Ciò è possibile perché sono soluzioni concrete, implementate per rispondere a problemi urgenti ed effettivi – nel campo delle abitazioni, della mobilità, dell’assistenza all’infanzia o agli anziani, della rigenerazione urbana ed, ultimo ma non meno importante, dell’alimentazione.67 L’implementazione su scale maggiori di questi servizi richiede lo sviluppo di sistemi caratterizzati da un’alta qualità delle relazioni. La qualità è migliore quanto più è diretto il rapporto tra gli attori coinvolti, e quando le organizzazioni che li amministrano sono comprensibili ai più e gestibili da pochi, quindi non devono essere troppo complesse e troppo grandi.68 Si può dire, che per la replicabilità su scala maggiore delle comunità creative, è necessario mantenere le loro qualità sociali originarie, che sono in gran parte legate alla specificità della piccola scala di ogni singola iniziativa. Ma è semplice replicare i casi di successo? Quando si parla di ingrandire, si può pianificare come generare le condizioni per rendere l’implementazione delle idee di servizio promettenti un successo. Come è stato detto, è necessario aumentare l’impatto sociale ed economico dei servizi collaborativi senza aumentarne le dimensioni. Ciò è realizzabile se si pensa all’aumento sotto forma di una rete di n servizi collegati tra di loro. Sono note tre strategia per questo compito: Toolkit: è un insieme di strumenti materiali ed immateriali ideati in modo che ogni compito specifico sia facile da realizzare. I diversi strumenti possono essere interpretati ed applicati in modi diversi per fini differenti. Grazie a questa versatilità è uno strumento compatibile con la natura delle comunità creative ed i corrispondenti servizi collaborativi. Format: è l’idea di un programma applicabile in contesti diversi. Il risultato è una molteplicità che è al tempo stesso globale – perché proposta in tutto il mondo – e locale – ogni contesto è 67 Jegou, Manzini, 2008 68 Jegou, 2008 92 specializzato.69 Franchising: un programma che permette di avere molteplici organizzazioni di piccole dimensioni, sotto una società madre, ognuna delle quali deve seguire le regole stabilite dall’organo principale. Il nuovo secolo ha portato con sé uno strumento che visualizza un panorama del tutto nuovo di diverse strategie. Oggi internet ha convertito il mondo in un villaggio globale, in cui l’impatto di un evento non è necessariamente solo legato alla sua dimensione fisica e locale, ma è determinato dalla quantità e della qualità dei collegamenti che gli organizzatori hanno stabilito. Le reti sociali sono un fenomeno in grado di catalizzare un gran numero di persone interessate, organizzate in modo orizzontale con una visione comune.70 Quest’opportunità può e deve essere sfruttata nel processo di ingrandimento su scala globale di un’idea di servizio collaborativo. È altamente probabile che questi sistemi ugualitari si rafforzino a vicenda: la comunità creativa apporta la ricchezza delle varie persone attivamente coinvolte in problemi reali e quotidiani, i social network portano nuove opportunità sfruttabili grazie all’apertura verso nuove forme di organizzazione. Infine, lo sviluppo dei sistemi distributivi fornisce l’infrastruttura tecnica per una nuova società di distribuzione sostenibile.71 69 Jegou, Manzini, 2008 70 Weber, 2004; Tapscott, Williams, 2007 71 Manzini, 2007; Warnke, Cagnin, 2008 Design per l’innovazione sociale Operando in questo contesto i progettisti devono pensare con e per gli attori coinvolti attivamente nella creazione di questo tipo di innovazione. In questa relazione il progettista si presenta come uno specialista del design, mentre gli attori come dei principianti. L’interazione si verifica come la combinazione di due modalità: la progettazione di e per una comunità creativa. Progettare in questo tipo di comunità significa che i progettisti devono lavorare gomito a gomito con i destinatari del progetto, attraverso processi di co-design. In questo modo i designer si devono porre come facilitatori e mediatori tra le parti in modo da giungere a idee condivise e soluzioni applicabili. È necessaria a monte una ricerca qualitativa, un’osservazione da vicino dell’organizzazione: le sue necessità per arrivare ad una soluzione avanzata dall’effettiva accessibilità ed efficacia, oltre che per una sua eventuale replicabilità. Nell’ambito della progettazione degli spazi l’innovazione sociale e l’azione delle comunità creative si possono vedere in tutte quelle manifestazioni di riappropriazione dello spazio pubblico dal basso. Nelle città contemporanee, dove ancora oggi il metodo di urbanizzazione è essenzialmente basato su logiche verticali e gerarchiche, i cittadini e gli utenti vengono coinvolti solo in tempi e spazi molto limitati. Come progettisti, cambiando approccio, ci si può inserire nella struttura verticale attraverso la creazione di una rete flessibile di interazioni sociali, aperta e basata su incontri e dibattiti. In questo modo emergono spontaneamente le problematiche che bisognerebbe affrontare, e si amalgamano le diverse parti coinvolte nel processo creativo. Non si parla di meri atti dimostrativi riferiti a realità molto specifiche, bensì azioni di questo tipo vanno a toccare questioni sociali, politiche ed urbanistiche. Il progettista, come già detto, con le sue competenze è in grado di affrontarle dal punto di vista tecnico, ma con l’aiuto e l’interazione con le persone locali, può giungere a soluzioni applicabili che gli utenti non recepiscono come un’imposizione dall’alto; così facendo si generano nuovi processi e soprattutto nuovi comportamenti. Nel panorama internazionale, sono nati spontaneamente diversi gruppi che si sono occupati di innovazione sociale nell’ambito dello spazio pubblico. Spesso, sono stati affrontati problemi molto sentiti in modo temporaneo. Questo modo di agire non si pone, però come palliativo ai bisogni espressi dalle comunità, ma è un modo per iniziare un ragionamento, una discussione sul tema, ponendo la prima pietra di un processo in evoluzione, il cui obiettivo è quello di sviluppare un metodo progettuale per affrontare determinate situazioni. Le problematiche che spesso emergono in fase di ricerca collaborativa sono molto complesse e necessitano di processi ampi ed articolati, in cui vengono coinvolti moltissimi attori. 93 sempre fatto da ponte tra la società destinataria e le tecnologie a disposizione. Finora, però, hanno rivolto il loro sguardo solamente verso le nuove tecnologie e le opportunità che queste offrivano ed hanno sviluppato artefatti di una qualche utilità per la società. Ora, però, questo ponte deve essere portato anche verso altre direzioni: è importante che si rivolga l’attenzione verso l’innovazione sociale, che si identifichino i casi promettenti, che si utilizzi una maggiore sensibilità di progettazione, capacità e competenze per progettare nuovi artefatti e tracciare nuove linee guida per l’innovazione tecnologica. Per questo, i designers, devono ripensare il loro ruolo ed il loro modo di operare.72 72 In conclusione, si può dire che i designers hanno Margolin, 2001; Thackara, 2005; Manzini, 2007 94 Nuove soluzioni all’orizzonte 73 74 75 Hilary Cottam, Charles Leadbeater, 2004 C’è domanda di nuovi servizi e nuovi approcci, soluzioni e prodotti al passo con le strutture economiche e sociali, bisogni e pratiche che prevalgono sempre di più. Lo sviluppo di soluzioni collaborative richiede creatività sociale, l’attivazione di una rete di conoscenze, risorse e fantasia nella società destinataria e non solo tra le figure professionali e le istituzioni.73 D’ora in avanti vi è l’esigenza di una nuova strada da percorrere; non solo un’innovazione incrementale, bensì una radicale trasformazione dell’approccio: servizi co-creati. Questa tipologia di servizi è completamente nuova, e non solo una diversa combinazione di offerte già esistenti; mobilitazione delle risorse, knowhow, competenze distribuite tra la comunità piuttosto che il mero utilizzo delle competenze professionali del personale specializzato. Le risorse diffuse sono più efficaci se possono essere usate in modo collaborativo, attraverso la condivisione di idee, l’assistenza reciproca e dando voce alle esigenze dei reali utenti nelle diverse circostanze particolari. Tutte queste risorse, se raccolte e sfruttare, possono avere un forte impatto. Per far si che ciò avvenga c’è bisogno di interazione, partecipazione e sviluppo di soluzioni congiunte tra utenti, operai e professionisti. Ma, perchè sono necessarie soluzioni diffuse e condivise? Innanzitutto, i servizi collaborativi contribuiscono a ristabilire e a rafforzare il tessuto sociale. Il sostegno della comunità ed un diffuso senso di appartenenza ad una rete sociale, sono parte vitale per il successo di qualsiasi innovazione si voglia introdurre. Coloro che fanno parte di una rete e non si sentono isolati sono più ricettivi e disposti al cambiamento, dato che hanno una maggiore autostima e fiducia, risultanti dal senso di appartenenza ad un gruppo.74 Inoltre, la collaborazione è lo strumento principale per la condivisione e la diffusione di idee e know-how. In una comunità, le idee si diffondono e crescono. Le persone che cercano soluzioni personalizzate ed esclusive sono tagliate fuori da questo flusso ed è difficile che riescano a attecchire. Le soluzioni individualizzate sono accessibili solo da pochi, lasciando fuori le masse, che però hanno anche loro la necessità di risolvere determinati problemi - assistenza agli anziani, la disponibilità di prodotti sani, ecc. È necessario trovare soluzioni che possano aiutare anche gli svantaggiati, coloro che in genere non possono accedere a determinati servizi. I benestanti, che hanno un alto livello di istruzione, sono in grado di cambiare autonomamente e più facilmente il loro stile di vita. Nelle fasce basse, con un minore potere economico, servizi di tipo collaborativo possono consentire un facile accesso a stili di vita sani e sostenibili, cosa che in altro modo sarebbe molto difficile. I servizi collaborativi devono essere co-creati: l’accesso a servizi collaborativi è più semplice se basati su processi di co-creazione. Al centro di questo approccio vi è il nuovo ruolo degli utenti, che non sono più solamente i destinatari del servizio; infatti sono di fondamentale importanza sia nella fase di progettazione che in quella di fornitura del servizio, grazie alla collaborazione con professionisti in grado di elaborare soluzioni efficaci. Gli utenti sono coloro che possono dare un contributo importante nell’individuazione delle esigenze, nel proporre le soluzioni, nel testarle ed infine nell’attuarle. La co-creazione non è né un evento una tantum, come può essere un referendum nel quale la comunità decide cosa dev’essere fatto - lo sviluppo di servizi funzionali richiede più temponé si tratta di una consultazione formale durante la quale i professionisti danno agli utenti la possibilità di dire la loro su un numero limitato di alternative. Si tratta di un processo più creativo e interattivo che mette in gioco le visioni di tutte le parti coinvolte e tenta di combinare esperienze professionali e locali in maniere del tutto nuove.75 In questo scenario il designer, indipendentemente dal suo settore di appartenenza, ha un ruolo chiave: fare da ponte tra le diverse parti, mettere al servizio le proprie conoscenze e le innovazioni tecnologiche e creare una rete orizzontale ed aperta di idee condivise e soluzioni applicabili. 95 36. Foto. Sketch di come vivere uno spazio in modo partecipato CASO STUDIO Collectif Etc Strasburgo 2009 Nato a Strasburgo nel settembre 2009, Collectif Etc ha lo scopo di raccogliere le proprie energie intorno ad un interrogativo comune: le dinamiche dello spazio urbano. Attraverso diversi mezzi e competenze, si pone come strumento a supporto della sperimentazione. Lo scopo ed il valore di queste sperimentazioni urbane non sta solo nel risultato finale, ma soprattutto nel processo, nel contesto e nei nuovi comportamenti che genera. Il Collectif Etc è un’associazione d’interesse pubblico, fondata nel 2011. I membri fondatori sono studenti o neo-laureati in architettura, provenienti dall’Institut National del Sciences Appliquées di Strasburgo. 37. Foto. Immagini del progetto Détournez, Strasburgo Dall’ottobre successivo il collettivo si è impegnato ad organizzare una serie di congressi in giro per la Francia, il cui tema è “fabrique citoyenne de la ville” – rendere cittadini della città-. Hanno trascorso un anno in giro per la Francia in bicicletta, andando incontro ai diversi attori che hanno partecipato a “fabrique citoyenne de la ville” e lavorando con loro. Gli obiettivi sono due: censire ed analizzare tutte le pratiche di creazione partecipata esistenti e metterle in relazione grazie ad una piattaforma internet e ad una pubblicazione; collaborare con gli attori locali, realizzando degli spazi pubblici adatti, organizzando eventi che favorissero l’incontro, e impostare insediamenti spontanei nei diversi luoghi. Ha inoltre collaborato ad una ricerca per MEDDTL, all’interno della facoltà di paesaggismo e sviluppo sostenibile, nel dipartimento di sviluppo sostenibile del territorio mediterraneo, presso l’Universitè d’Aix Marseille. La ricerca si intitolava “Paesaggio e sviluppo sostenibile: alla ricerca di partecipazione creativa”, seguendo due linee guida di lavoro: una valutazione delle esperienze di partecipazione nell’ambito del paesaggio ed una riflessione sull’emergere della partecipazione creativa – durante la quale si è cercato di sollecitare l’immaginario dei cittadini al fine di trovare delle soluzioni – come nuova forma di partecipazione con lo scopo di attuare su scala territoriale la Convenzione Europea del Paesaggio. Lo scopo è quello di arrivare a soluzioni più efficaci, mettendo al servizio le conoscenze tecniche del gruppo, tenendo conto dei desideri e delle opinioni delle persone che vi abitano, lasciando spazio a tutte le idee innovatrici che un contesto di questo genere può far emergere.76 76 www.collectifetc.com 38. Foto. Immagini del progetto Détournez, Strasburgo 39. Foto. Muro conviviale, Détournez, Strasburgo pagina CASO STUDIO Prostorož Ljubljana, Slovenia 2004 77 prostoroz.org 40. Foto. city garden’, parte del progetto ‘atriums’, 2004 41. Foto pagina accando, sinistra. ‘passage flower’, parte del progetto ‘atriums’, 2004 42. Foto pagina accanto, destra. ‘green landscape’, parte del progetto ‘atriums’, 2004 È un’associazione nata spontaneamente nel 2004, per rispondere al desiderio di esplorare e capire gli spazi aperti urbani. È un progetto in continua evoluzione, che coltiva lo spazio pubblico, il cui obiettivo è sviluppare un metodo per riappropriarsi e riqualificare aree urbane degradate. Nel fare questo, unisce esperti con diversi background culturali, provenienti da aree professionali differenti – architetti, paesaggisti, urbanisti, ambientalisti, lavoratori nel campo del turismo e della conservazione dei beni culturali, ecc. Tutte i loro interventi, però, non sono frutto del lavoro di soli esperti del settore, bensì vertono soprattutto su momenti di dialogo e discussione aperti a tutti. ProstoRož esplora, analizza e apre nuove possibilità di utilizzo di spazi pubblici in funzione delle esigenze dei suoi abitanti; vuole dimostrare come con mezzi minimi e con interventi di piccole dimensioni sia possibile presentare la città come nuova, con spazi piacevoli per stare all’aperto. I loro interventi non sono semplici installazioni artistiche in spazi pubblici, ma un’approfondita ricerca per la progettazione di una nuova città, con innovative soluzioni nell’utilizzo dello spazio. La convinzione retrostante è che l’applicazione di un nuovo metodo di pianificazione dello spazio più appropriato ai contenuti può ridurre sostanzialmente diverse forme di vandalismo urbano. Come giovani architetti e designer, uno degli obiettivi è richiamare l’attenzione su determinate aree delle città moderne, spesso non prese in considerazione nei processi creativi. Per questo motivo,con i loro interventi vogliono contribuire alla creazione di spazi pubblici funzionali, inspirando anche coloro che dovrebbero prendersene cura e gestirli. 99 CASO STUDIO Raumlabor [... C’era una volta una società che credeva che il futuro avrebbe portato migliori condizioni di vita per tutti. C’erano persone, pensatori utopici, che ragionavano sulle grandi questioni delle città. Oggi sono rimaste solo delle tracce di questi pensieri, a metà tra melanconia e reminescenze, di quegli architetti che volevano vivere in una società migliore e che avevano il sogno di luoghi migliori. Quell’erà è finita. Da qui parte il nostro lavoro... ] 78 Raumlabor è un network che raggruppa otto architetti che hanno in comune un metodo di lavoro dall’approccio collaborativo. Si pongono nell’interstizio tra architettura, urbanismo, arte e paesaggismo, il loro lavoro è orientato al rinnovamento urbano, visto come un processo continuo. Sono attratti dalle location urbane difficili: luoghi abbandonati, che spesso hanno in sé tracce di un precedente processo di trasformazione urbana; cercano il loro potenziale per attivarlo in modo da aprire nuove prospettive verso modalità d’uso alternative, basate su idee collettive, pur mantenendo le specificità urbane. Per i loro progetti formano dei gruppi di lavoro interdisciplinari, sia esperti in materia che abitanti locali, poiché credono che i cittadini siano quelli che conoscono al meglio la realtà, convivendoci giorno dopo giorno; spesso è attraverso gli abitanti che vengono scoperte nuove possibili aree di azione e sperimentazione. Raumlabor, inoltre, cerca di mettere in comunicazione due mondi distinti, creando una specie di alleanza tra le due parti, in modo da poter testare ed esaminare soluzioni, invece che applicarle dall’alto. Definiscono il loro lavoro “design basato sulla 78 www.raumlabor.net ricerca”. Si relazionano con posti in scala 1:1, scoprono ed utilizzano ciò che trovano in loco. Sono sostenitori del processo del “fare”, in cui si impara di più attraverso la progettazione attiva sul sito di indagine, trovando così nuovi metodi di appropriazione e di riattualizzare l’esistente. Non si pongono come risolutori dei problemi, piuttosto attivano un processo che dà agli attori l’opportunità di conoscere, capire e usare la città, le sue dinamiche, e le sue opportunità. Un’architettura in cui è possibile unire lo spazio all’esperienza individuale, per scoprire nuove qualità e possibilità, delineando una nuova immagine della città creata dagli utenti stessi. Nuove opzioni e possibilità appaiono nell’orizzonte dei luoghi e degli edifici, dove prima nulla sembrava possibile dato che apparivano predefiniti, in stato di abbandono o semplicemente dimenticati. Esempio di questo approccio è il progetto “Eichbaumoper”, una trasformazione temporanea di una stazione del treno, trasformata in un teatro dell’opera. La fermata scelta era un crocevia tra varie città, in un paesaggio urbano sezionato da autostrade e da metropolitane, perennemente oggetto di atti vandalici, cosa che ha da sempre dato agli utenti un senso di insicurezza e paura. La provocazione aveva due scopi: dare una speranza e far capire come un luogo in determinate condizioni poteva essere il punto di partenza per il dibattito sulla nuova opera. La nuova costruzione, nella piazza che prima accoglieva un piccolo mercato, si distingue come simbolo di riattivazione e trasformazione, offrendo spazi per conferenze, workshop, luoghi d’incontro, di lettura, per la musica, ecc. Il teatro dell’opera è il luogo dei suoni, e ingloba anche quelli locali, il rumore della strada, il ritmo della metropolitana.. spazi teatrali e spazi urbani non sono più separati. Il gruppo lavora nell’ambito degli interventi urbani, trasformando gli spazi urbani in qualcosa di completamente differente, molto lontano dalle aspettative. Agiscono creando nuove atmosfere, dando un nuovo senso alle cose. Grazie alla partecipazione attiva degli abitanti vengono percorse strade innovative, proiettate verso il futuro. L’architettura è vista come un laboratorio sperimentale, collegato alle pratiche di lavoro partecipato nelle aree urbane. L’architettura non è concepita come un oggetto, ma come una storia, come una pagina della storia di un posto. Come architetti, progettisti, artisti, bisogna essere anche attivisti, operare non solo per la città, ma con la città; l’architettura è uno strumento per cercare le nuove possibilità per il domani. 43. Foto. Spazio recuperato dal gruppo e trasformato nel Emma Community Garden. pagina CASO STUDIO Esterni Milano 1995 [... Cammin facendo, ci siamo confrontati con obiettivi sempre diversi, abbiamo incrociato la strada con tante persone in tutto il mondo, affrontato e superato sfide ogni volta più complesse. E abbiamo imparato così molto. Ora questo saper fare è a disposizione di chi ne ha bisogno... ] 79 79 www.esterni.com 44. 45. Foto. Immagine della riqualifica del Parco della Resistenza, realizzata in collaborazione con il progettista Patrick Hubmann Un gruppo di studenti decide di creare un’impresa culturale, per provare a cambiare le abitudini dei milanesi, sempre più chiusi nelle loro case e nelle loro macchine. Individuano negli spazi pubblici il cuore di una società ideale e decidono di diventare esperti in ‘cardiologia urbana’. Secondo questa filosofia si dedica all’analisi del contemporaneo, alla formulazione di soluzioni creative che favoriscano la partecipazione allargata, la mescolanza sociale e un pensiero libero. Progetta spazi pubblici, disegna servizi per piccole e grandi comunità, promuove e realizza eventi di aggregazione, sviluppa campagne di comunicazione necessaria e partecipata; il tutto per uno sviluppo sostenibile che garantisca e preservi il patrimonio ambientale, sociale e culturale che è di tutti. Lavora con enti pubblici e privati in Italia e all’estero, condividendo competenze, progetti e risorse. Ogni progetto nasce da una ricerca costante ed approfondita a livello internazionale, da numerose collaborazioni sempre attive, dalla capacità di mettersi in discussione. Il metodo di lavoro si basa su team progettuali, sul confronto e lo scambio costanti dei singoli che apportano le specifiche competenze necessarie. Le aree di interesse sono cinque: spazi, comunicazione, servizi, eventi e formazione. Lo slogan del settore ‘spazi’ è riassumibile nella frase in public space we trust – crediamo nello spazio pubblico . Il gruppo si pone l’obiettivo di ripensare e riprogettare spazi di ogni tipo, interpretando le loro potenzialità e dando loro nuovi significati, coinvolgendo soprattutto le persone che li vivono. Luoghi di qualsiasi tipologia, da piazze a interi quartieri, che vengono visti sempre come generatori di socialità e occasione di crescita comune. Numerosi sono gli interventi che sono stati realizzati, tra cui la riqualificazione del Parco della Resistenza, dove il problema era di rifunzionalizzare un’area lasciata al degrado per creare nuove occasioni d’uso. La soluzione adottata è stata quella di realizzare degli arredi non convenzionali che si modellano in forme diverse invitando a molteplici utilizzi e comportamenti: chaise-long, pedana, tavolo, palco, seduta; un arredo scultura che dà allo spazio una forte identità visiva. Una comunicazione ironica applicata direttamente sulle strutture suggerisce i possibili utilizzi dello spazio. pagina 105 Orti comunitari “Fin dall’inizio della mia detenzione a Robben Island avevo chiesto alla direzione il permesso di coltivare un piccolo orto, ma per anni me l’aveva rifiutato. Alla fine, però, la direzione cedette e ci permise di coltivare un pezzetto di terra. L’orto era una delle poche cose che in carcere era possibile controllare. Piantare un seme, vederlo crescere e raccoglierne i frutti era una cosa che dava una soddisfazione semplice ma durevole. La sensazione di essere il custode di quel piccolo pezzo di terra mi dava un lieve sentore di libertà.”80 80 Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia, Feltrinelli, 1997 106 A Parigi, New York, Londra o Berlino, ma anche in molte città italiane, avere un orto o un balcone con pomodori, insalate, cipolle è sempre stato principalmente un passatempo, ma ad oggi il numero di coloro che si convertono per svariati motivi all’agricoltura urbana è un fenomeno in deciso aumento. E il motore è principalmente la crisi. Economica, come quella che ha investito pesantemente le città industriali americane; di un modello alimentare che coinvolge tutti coloro che vogliono mangiare meglio o consumare più consapevolmente. Ambientale, che spinge sempre più persone ad agire concretamente per la salute e il futuro della terra. Sociale, che induce le persone a ricostruire relazioni cancellate dai ritmi del supermercato e delle metropoli. I progetti sono molti e diversi, ma quasi ovunque si tratta di esperimenti avviati dal basso: famiglie votate all’autosufficienza, gruppi attivi nel campo della giustizia alimentare, scuole, associazioni che lottano contro il degrado sociale, giovani preoccupati per l’ambiente, in cerca di un futuro migliore. Persone che vogliono cambiare il loro rapporto con il cibo e incidere sulle scelte della comunità. Le amministrazioni cittadine stanno cercando di capire quanto importante e duraturo sia questo fenomeno, come regolamentarlo e sostenerlo. Alcune hanno fatto enormi passi aventi e approvato norme che facilitano l’agricoltura urbana, e la riconversione di spazi in disuso e aree dismesse in orti e fattorie. Altre hanno ingaggiato un braccio di ferro con i contadini urbani sull’elasticità delle regole, oppure hanno semplicemente scelto di ignorare la questione. In generale, possiamo dire che alla base di un community garden vi è un gruppo di cittadini che si riunisce e si organizza, talvolta sotto la spinta di qualche personaggio illuminato, di qualche associazione o organizzazione culturale, andando a creare una comunità creativa, un insieme di persone che partecipa attivamente alla realizzazione di un qualcosa di cui sentono il bisogno. Da quando il mondo contadino è scomparso quasi del tutto nei paesi sviluppati, sostituito da un’industria agricola pervasiva che ha lasciato solo qualche residuo dei vecchi ambienti agricoli e delle vecchie usanze, sembra spetti alla città, paradossalmente, attrarre a sé qualcosa di quel mondo. L’orizzonte paesaggistico in cui si muove questa nota stimola delle considerazioni particolari sul ruolo dell’agricoltura urbana nel dare risposta a un bisogno che sarebbe stato trascurato dai programmi di landscaping portati avanti dai paesaggisti negli ultimi decenni. Il cosiddetto orto urbano si configura come un’esperienza agricola proveniente dal basso, consistente, soprattutto nella sua fase inziale, in un appezzamento di qualche centinaia di metri quadri; ad ordinamento policulturale è coltivato da un insieme di persone interessate, ed i prodotti sono destinati soprattutto all’autoconsumo. Gli orti metropolitani sono comunemente costituiti non solo dalle superfici coltivabili, ma anche da elementi di servizio, sia quelli necessari per l’agricoltura sia quelli destinati alla socializzazione. Tramite l’orto si viene a creare un nuovo rapporto con la natura, in quanto ciò che viene prodotto è controllato dagli individui che vi partecipano attivamente. Queste realtà vanno incontro alle storture del sistema consumistico contemporaneo, rappresentando delle esperienze che vogliono porsi in opposizione a ciò che viene proposto dal mercato, portando avanti pratiche ambientali sostenibili e rispondendo all’esigenza di “fare comunità”. Oltre ad essere un’alternativa su piccola scala all’agricoltura intensiva, basata su ritmi di coltivazioni innaturali, l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, e di tutti quegli strumenti volti ad ottenere la maggior produzione possibile, dal punto di vista ambientale, spesso sono occasioni di recupero di aree degradate o abbandonate delle città contemporanee. 107 108 Orto urbano ≠ orto comunitario ORTO URBANO (definizione generale) si intende un appezzamento di terreno destinato alla produzione di ortaggi, frutta e fiori per i bisogni dell’assegnatario o della sua famiglia ORTO URBANO (definizione urbanistica) si intendono dei piccoli appezzamenti di terra per la coltivazione ad uso domestico, eventualmente aggregati in colonie organizzate unitariamente. In Italia, nelle aree destinate a questo uso, l’indice di utilizzazione fondiaria previsto per la realizzazione di tutte le opere edilizie è di 0.5, comprensivo degli edifici esistenti 81 81 da Regolamento Urbanistico Edilizio Comune di Bologna, Art. 40 http://sit.comune.bologna.it/sit/normeRUE/Parte2-Titolo1.htm Bologna, ad oggi, è una delle città più impegnate su questo fronte, vi si contano 2.700 orti comunali, aggregati in una ventina di aree 82 da American Community Garden Association ORTO COMUNITARIO si intende un appezzamento di terra coltivato collettivamente da un gruppo di persone; è un’attività capace di migliorare la qualità della vita di chi vi partecipa e di produrre benefici per l’intera comunità.82 Dalle definizioni di orto urbano e orto comunitario emergono i caratteri principali della pratica dell’agricoltura urbana: sono degli appezzamenti di terra di dimensioni limitate, situati in aree urbane, in cui gli abitanti sono coinvolti nella coltivazione di ortaggi, frutti e fiori destinati all’autoconsumo. Però bisogna distinguere i cosiddetti orti urbani da quelli definiti orti comunitari; nel primo caso gli appezzamenti di terra sono suddivisi in lotti, assegnati a coloro che ne fanno richiesta, ed ognuno si prende cura dei metri quadri di cui è responsabile e consuma ciò che coltiva. I secondi, invece, sono coltivati collettivamente da un gruppo di persone che insieme si prendono cura degli spazi, non solo quelli prettamente agricoli; infatti comprendono anche aree conviviali, dove poter trascorrere il proprio tempo libero in compagnia. Le attività si svolgono collettivamente, i gruppi si autogestiscono e si organizzano in modo da riuscire nella manutenzione degli spazi. I tratti distintivi che si rilevano facendo un viaggio alla scoperta dei giardini comunitari europei sono l’organizzazione delle persone, l’apertura e la disponibilità all’accoglienza, la considerazione che tutti sono uguali e pari e nello stesso tempo per fortuna diversi, la capacità di ritenere ogni diversità, a partire dalla biodiversità, un patrimonio importante.82 Gli orti comunitari possono essere paragonati ad un ecosistema, un’unità che include gli organismi, rappresentati dalle persone che lo animano, ma anche da animali e piante che vi si trovano dentro. La gente interagisce con l’ambiente fisico – giardino come a Toronto e Barcellona, oppure quelli nati all’interno di spazi sociali, come Torchiera a Milano. Il quarto fattore è la modalità di occupazione delle aree. In alcuni casi vengono stipulati dei contratti d’uso con le municipalità - come a Parigi, Londra e Berlino - oppure sono inseriti all’interno di scuole – come i Giardini del Sole del Parco Trotter di Milano - oppure contano sull’indifferenza delle istituzioni - come l’Hort Be di Barcellona. Un carattere che non diversifica ma accomuna è il divieto di utilizzo di sostanze chimiche per la coltivazione. Ciò che cambiano poi sono le regole precise e le tecniche di coltivazione, che vanno tutte in direzione del rispetto dell’uomo e della natura. Essendo orti urbani, in molti casi ci si trova in presenza di terreni non propriamente adatti alla coltivazione, alle volte perfino inquinati, dato che sono ex-aree industriali. Di volta in volta sono state applicate delle soluzioni differenti per risolvere il problema: le colture in cassoni – Potager 8 mq a Parigi – la realizzazione di bancali rialzati – Craetbos a Bruxelles - o altri stratagemmi sempre diversi. L’ultimo fattore è l’economia: alcuni orti vivono proprio senza soldi, grazie agli sforzi ed ai contributi dei volontari, altri cercano sponsorizzazioni di ogni tipo, alcuni si appoggiano a enti caritatevoli, altri per autofinanziarsi organizzano seguitissimi corsi a pagamento. Gli orti comunitari sono di recente manifestazione, hanno avuto origine da quando gruppi di cittadini – comunità creative – si sono organizzati per impegnarsi collettivamente per il benessere della comunità; la loro spiccata sensibilità ambientale e la volontà di uno stile di vita sostenibile li porta ad esprimere la necessità di spazi comunitari ad uso agricolo e si attivano in prima persona in tutto il processo che genera l’orto conviviale e nel suo mantenimento ed evoluzione. L’orto non è più, quindi, una sfida individuale, ma una conquista collettiva, l’orto è 109 82 Mariella Bussolati, L’orto diffuso. Dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola, Orme Editore, Roma, 2012 percepito come spazio di condivisione. Non è uno spazio sporco e trasandato, il cui unico fine era la qualità del prodotto, ma è diventato un giardino a tutti gli effetti, tanto che in alcuni casi sono stati introdotti dipinti, sculture, oppure perfino opere di land art. Gli orti urbani, invece, hanno origini più lontane e bisogna tornare all’epoca pre-industriale, periodo in cui ad ogni fase di espansione urbana si accompagnava una proporzionata crescita del patrimonio verde. Gli orti erano piuttosto comuni in tutte le grandi città, in Italia il minimo storico della coltivazione amatoriale è stato raggiunto negli anni ’60-’70, periodo in cui l’orto in città divenne simbolo di una condizione sociale ed economica inferiore, un elemento di degrado paesaggistico. I picchi minimi di orti urbani sono collocabili nel ventennio del boom economico, nel secondo dopoguerra, mentre la rinascita dell’interesse per la coltivazione coincide con la crisi economica che ha colpito l’Europa a partire degli anni Ottanta. Con l’andare avanti degli anni sono sempre più gli orti nati dal desiderio di ‘sapere cosa si mangia’; l’articolazione delle città contemporanee porta alla rinascita di ‘orti senza casa’, cioè allocati all’interno del tessuto urbano, che non appartiene a chi li coltiva, ma sono spazi pubblici, in alcuni casi occupati in modo abusivo. L’Italia, a differenze di altri paesi, a parte durante il periodo fascista – durante il quale veniva promossa l’iniziativa dell’orticello nel quadro della politica autarchica promossa dal regime - non ha una storia associativa riguardo agli orti urbani. Negli anni ’80 il fenomeno degli orti – seppur a condizione ‘abusiva e clandestina ‘interessa città come Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma, impegnando coltivatori, soprattutto operai, pensionati, impiegati e studenti, dieci ore a settimana circa, e coprono superfici variabili tra i 10 e i 100 mq ognuno, raggiungendo dimensioni complessive molto rilevanti in relazione al tessuto urbano, come gli oltre 800 ettari della città di Milano.83 La portata del fenomeno fa emergere la necessità di un regolamento. Le amministrazioni però, hanno in mente modelli urbani avvenieristici, utili esclusivamente a interessi economici, e si trovano impreparate e non riescono a contenere l’abusivismo spontaneo. Il primo regolamento italiano di orti sociali comunali viene stipulato a Modena, nel 1980. Questo, però, non sta a significare che le varie amministrazioni locali intendano riconoscere l’orto come bisogno di cittadini, ma sono spinti a dettare normative solo per limitare le richieste di usufrutto di spazi in disuso. La forma mentis con cui agiscono è quella di diffondere l’idea che l’orto sia un interesse solo di pensionati o di persone a basso reddito; tale approccio si denota dal tipo di bando di assegnazione degli appezzamenti comunali, a cui possono accedere persone che hanno superati i sessant’anni e con redditi inferiori a una soglia minima; i contratti sono di breve durata, impediscono ai familiari di aiutare, se non saltuariamente e vengono effettuati controlli molto rigidi. Con il passare degli anni, però, i criteri cambiano, gli enti pubblici iniziano a vedere le potenzialità di questa pratica. Grazie al supporto di iniziative promosse da associazioni culturali ed enti sociali, iniziano a distinguersi sempre più realtà di orticoltura urbana. Gli orti vengono immediatamente popolati, si creano lunghe liste d’attesa. È però solo negli ultimi anni che si assiste ad una vera e propria esplosione: l’orto diviene espressione di modernità, al punto che oltre a quelli nei giardini e sui terrazzi, nascono orti appesi a pali della luce, a inferiate, orti di 111 maglia, orti di artisti, orti in bottiglie di plastica. C’è una forte domanda di spazi da dedicare all’orticoltura, soprattutto nei comuni del centro nord. Secondo uno studio di Coldiretti, su dati ISTAT, quasi quattro italiani, uomini e donne allo stesso modo su dieci dedicano parte del loro tempo libero al giardinaggio ed alla cura dell’orto dove raccogliere frutta, ortaggi e piante aromatiche da portare in tavola, sia come misura antistress, che per passione o per gratificazione personale. Piace anche ai giovani, considerato che tra chi lo pratica più di uno su quattro ha un’età compresa tra i venticinque e i trentaquattro anni, anche se l’interesse aumenta con l’età e la metà sono ultrasessantenni. Pare infatti, che zappare faccia bene: secondo uno studio dell’Università di Uppsala in Svezia, pubblicato sul British Medical Journal, chi fa giardinaggio guadagna circa un anno di vita rispetto a chi rimane inattivo. Oltre al benessere fisico, la coltivazione – anche in piccoli spazi – da parte di persone che hanno tutt’altre occupazioni, porta un primo vantaggio di natura psicologica, e oltre che come via di fuga, permette di spostare la sfida quotidiana verso qualcosa che si realizza davvero e ha un risultato molto positivo: il raccolto. Inoltre, anche se richiede un minimo di organizzazione, permette una buona dose di creatività ed invenzione. Piantare verdure ha un valore estetico e ambientale: si migliorano così i propri dintorni, si ha quindi un altro effetto concreto e misurabile, che produce piacere. 83 Italia Nostra, 1982 46. Foto. Manifesto dell’evento organizzato per festeggiare il primo anniversario dell’Hort Bè, Bacellona. 112 L’orto comunitario come progetto collaborativo, come espressione di una comunità creativa 84 Graziano Valera, animatore dell’orto Papaveri Rossi, nato a Milano nell’ottobre 2011. Testo tratto dalla prima pubblicazione sul blog dell’orto h t t p : //p a p a v e r i r o s s i p r e c o t t o . blogspot.it/ 47. Foto. Tutti insieme per realizzare l’orto. Giardino degli Aromi [...‘L’orto-giardino comunitario rappresenta il tentativo inedito e originale di prendere il testimone dalle mani di quei cittadini che in questi anni hanno visto la città trasformarsi e che hanno fortemente voluto, con la propria partecipazione e il proprio presidio democratico associativo, che il quartiere mantenesse una forte e chiara riconoscibilità e identità. (…) L’identità di un posto è data dalla capacità di interagire in modo fecondo con le altre identità, poggiando su una base sicura che non è data dalla mortifera assenza di relazioni di scambio ma dalla sicurezza di sé, della propria storia e del coraggio di intraprendere strade nuove. Ma soprattutto la volontà di rivisitare i luoghi vivi del territorio per ri-conoscersi. Un altro punto importante del nostro percorso è l’intenzione di essere cittadini che tornano ad avere un rapporto attivo con le istituzioni: veniamo da una fase molto lunga di distacco tra il Comune e i cittadini, il primo distante da ogni forma di confronto, i secondi in una posizione di passività e pretesa. Oggi siamo qui a proporre un modello di progettazione e gestione partecipata di un bene comune, una via nuova che vogliamo osare. Stiamo parlando di un processo, non già di un prodotto. Pensare all’orto o al giardino rimanda subito ai prodotti dell’orto: le domande spesso riguardano chi raccoglierà l’insala, quale effetto avrà un’aiuola piuttosto che una siepe… il nostro sguardo si sposta invece sul processo. Un processo di cura: lavorare insieme la terra, ma soprattutto partecipare alle assemblee di gestione, confrontarsi, decidere cose e come coltivare, in cui l’importante è generare e far circolare benessere sociale curando i legami comunitari.’...]84 Queste righe, tratte dal blog dell’orto Papaveri Rossi di Milano, sono dimostrazione dell’affermazione delle cosiddette comunità creative di cui si parlava nel capitolo precedente. L’orto urbano, infatti, è la manifestazione di nuovi comportamenti che si stanno diffondendo tra i cittadini contemporanei, che vogliono abbandonare le modalità finora consolidatesi, e vogliono creare un nuovo sistema di riferimento, sfidando i vicinati sospetti. Non vogliono porsi come grandi rivoluzionari, ma dimostrare che con piccoli atti quotidiani è possibile riprendere in mano le città in cui viviamo, ormai troppo passivamente, renderle più vivibili e a misura d’uomo. È un gruppo di persone che ha capito che per fare cose giuste per il bene comune non è necessario chiedere il permesso o fare molto clamore. 113 CASO STUDIO Orti di via Chiodi Milano 2011 Un privato, l’architetto Claudio Cristofani, proprietario di un terreno in pieno territorio urbano destina a parco, in attesa che l’area verde venga sistemata e per sfruttare le potenzialità commerciali crea un’area di orti attrezzati, che mette a disposizione degli interessati dietro un piccolo compenso economico. Nell’aprile 2001, inizia l’esercizio sul campo, sia l’attività architettonica che quella agricola, 85 docenti: Alessandro Altini, Maria Feller, Luisa Giovenzana, Lorenzo Consalez, Mauro Giuliani, Stefano Laffi, Alessandro Rocca, Camilla Vecchi 48. Foto. Vista degli orti 49. Foto pagina accanto. Gli studenti all’opera guidata da un agronomo, e si trasforma l’iniziativa in un qualcosa di didattico: uno dei laboratori didattici del corso di laurea di Architettura Ambientale del Politecnico di Milano85 lascia le aule e si trasferisce in via Chiodi, gli studenti prendono parte attivamente alla costruzione dell’orto prendendo in mano zappe e vanghe. 117 L’orto comunitario: un catalizzatore sociale 118 1. C’è una forte domanda, ed è in costante aumento: ormai i modi di fare orticoltura si sono evoluti e con essi il desiderio da parte dei cittadini di condividere il proprio tempo con altre persone per ritrovare le proprie radici, avere un’alimentazione più sana, instaurare nuove relazioni sociali. di ricchezza diretta per il beneficiario di un appezzamento di terreno non è una favola, specialmente se si tratta di nuclei familiari modesti. Alcuni ricercatori hanno calcolato che il reddito complementare derivato dall’autoproduzione equivale, per alcuni, ad una tredicesima. Tale economia non ha certamente impatto sul PIL, sebbene essa è fra quelle che donano valore e grandezza ai gesti di numerose persone, che gli indicatori di crescita economica non tengono in considerazione. 2. Un luogo dove riscoprire le relazioni sociali e civili: in numerosi gruppi di orticultura, la terra diviene occasione per scambiarsi dei doni, imparare reciprocamente, aiutare gli altri nei lavori, che consolidano in prima battuta la sfera familiare. Gli orticoltori sono così stimolati a riconoscersi quali membri di una stessa comunità. In seguito tale relazione si evolve verso una sociabilità allargata tra etnie e tra generazioni differenti. I giovani sperimentano in prima persona il valore del lavoro, il senso di responsabilità riguadagna terreno, dai recinti degli orti fino al cuore dei quartieri. 3. Una ‘tredicesima’ dell’orto: la creazione 4. Una partecipazione economica al miglioramento dell’ambiente urbano: Bruxelles, Strasburgo o Lille, gli spazi orticoli sono parte integrante del verde pubblico, contribuendo ad abbassare i costi di manutenzione: abbattimento dei costi di potatura e taglio dell’erba, razionalizzazione del consumo d’acqua (contrariamente all’irrigazione estensiva). Nelle città medio-piccole, gli orti contribuiscono a riqualificare dei luoghi abbandonati evitando alcune problematiche ad essi connessi (discariche abusive, mancanza di sicurezza etc...). Si teme forse il fenomeno delle ‘bidonvilles verdi’, ma l’esperienza insegna che utilizzando un processo Il manifesto de Les jardin dans tous ses etats, la rete degli orti comunitari francesi (1997), si apre con le 7 buone ragioni per promuovere l’orticoltura urbana: partecipativo e definendo delle regole condivise, potranno essere suscitati il buonsenso e la responsabilità degli orticoltori. 5. tra i 7 e i 22 €/mq, un buon rapporto qualitàprezzo!: i tecnici hanno stimato che i costi di organizzazione di uno spazio verde convenzionale variano dai 15 ai 70 €/mq; la creazione di lotti individuali raggruppati in giardini familiari costa tra i 10 ed i 28 €/mq; la nuova generazione di orti comunitari di prossimità o inseriti in uno spazio verde urbanocostano tra i 7 e i 22€/ mq. La maggior parte degli attrezzi e delle piante da coltivare vengono portate dagli orticoltori; le spese di progettazione sono minime. Meno costosi quindi, ma più ricchi di funzioni sociali ed ecologiche, i giardini condivisi si iscrivono nella moderna idea di una ‘migliore efficienza economica globale’ degli investimenti pubblici. 6. il vostro regalo per le generazioni future: ecco un’idea semplice, ‘terra terra’, lasciare nelle nuove generazioni un ricordo degli anni migliori! Chi non si ricorda degli odori, delle carezze o delle piante nei giardini di papà, mamma o dei nonni? Un risveglio di sensi e di curiosità che permetterà ai bambini di conoscere direttamente il mondo vivente. Le giovani generazioni hanno il diritto di sperimentarlo. 7. L’orto, un buon modo di contribuire allo sviluppo sostenibile: pedagogici, terapeutici, agrobiologici, artistici, comunitari o d’inserimento, i giardini che oggi cercano posto nelle nostre città possono essere apprezzati per la trasversalità delle loro funzioni sociali. Essi donano il gusto di una vita migliore che vogliamo garantirci per il futuro. I primi due enunciati esprimono il forte carattere sociale degli orti comunitari. Infatti, alla base dello sviluppo degli orti comunitari, si colloca il riconoscimento da parte di studiosi ma anche delle istituzioni, del valore della pratica ortiva per le sue potenzialità sociali e ricreative. I benefici dal punto di vista sociale sono dovuti al fatto che un orto implica un uso attivo del territorio urbano da parte della popolazione. La presenza di orti urbani in un quartiere crea situazioni d’interazione tra le persone, portando alla nascita di reti informali di scambio e di aiuto. L’orto è un motore importante, impegna le persone, richiede lavoro e collaborazione. Per questo facilita la creazione di una comunità, aggregando persone che fino a quel momento non sapevano neppure di essere vicine di casa, persone che pensavano di non avere nulla in comune. La vita ormai scorre all’interno del proprio nucleo familiare, o della stretta cerchia di amici, e si basa su un incessante ritmo casa-lavoro che raramente è alterato. Gli orti comunitari raramente hanno un leader, come raramente hanno personale pagato: sono gruppi spontanei, che mettono in atto concretamente una democrazia degli spazi, del bello, delle relazioni sociali, dando vita ad un interessante laboratorio, che potrebbe essere il modello trainante per una città diversa: un processo più ampio, che va oltre le persone che coltivano, coinvolgendo migliaia di persone che passano dal guardare al fare. L’attività del coltivare diventa occasione e stimolo per uno scambio di consigli e informazioni, oltre che prodotti. Curare una porzione di terra crea un maggiore senso di appartenenza al territorio, che si riflette in una maggiore attenzione all’ambiente urbano allargato. La presenza di orti comunitari si traduce spesso in un orgoglio per il proprio quartiere.86 In un orto comunitario ciascun 119 86 A. Viljoen, K. Bohn e J. Howe, Continuous Productive Urban Landscapes: Designing urban agricolture for sustainable cities, Architectural Press, Burlington, 2005 120 87 Mariella Bussolati, L’orto diffuso. Dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola, Orme Editore, Roma, 2012 88 M. Bailkey, J. Wilbers e R. Van Veenhuizen, Building Communities through Urban Agricolture, UA Magazine, n 18, 2007 89 F. Kuo, W. Sullivan, Environment and Crime in the Inner City: Does Vegetation Reduce Crime?, Environment and Behavior, 33, 2001 individuo può contribuire con la propria azione ad un progetto che non ha confini; si incontra così una tipologia molto vasta di persone: anziani che vogliono coltivare un pezzetto di orto, amanti del giardinaggio che creano aiuole fiorite, ma anche artisti che realizzano opere murali, mamme e bambini che cercano uno spazio all’aperto, gruppi di acquisto solidale che organizzano rinfreschi con i prodotti dell’orto, docenti di tecniche agricole che insegnano a coltivare il balcone di casa, musicisti che trovano uno spazio libero dove fare le loro performance, ecc. Diventa uno spazio per fare poesia con i fiori e la letteratura, ma anche per realizzare opere concrete.87 La forza che permette a tutte queste realtà di incontrarsi e di lavorare insieme in modo sinergico è proprio l’assenza di una struttura definita, lo scambio alla pari tra le persone, la responsabilità assunta dal singolo e non da un ente generico. Il risultato è una ricchezza di progettualità che riguarda ogni aspetto, dalla scelta delle piante, alle decorazioni, alle attività culturali, creando un’integrazione altrimenti non possibile. La coltivazione di orti-giardino, dunque, coinvolge tutti gli strati sociali di una comunità, soprattutto le categorie svantaggiate, anziani, bambini e minoranze etniche.88 Tramite la coltivazione urbana persone disagiate e minoranze possono trovare un ruolo che aiuti la loro integrazione all’interno della società. Attraverso il lavoro e l’impegno queste persone riescono a dimostrare il contributo che possono dare alla comunità. Un esempio è il Prinzessinnengarten, uno dei community garden nato a Berlino, ad opera di due imprenditori illuminati che dopo una vacanza a Cuba in cui sono entrati in contatto con queste realtà, decidono di riproporla nella loro città per riqualificare un appezzamento di terra in disuso. Nel 2009 i due fondatori, Marco Clausen e Robert Shaw si avvalgono dell’aiuto di una comunità di donne del quartiere provenienti dalla Russia e dalla Turchia, esperte orticoltrici e fornitrici delle nozioni base per la coltivazione e la realizzazione dell’orto. Molti giardini comunitari sono stati aperti proprio perché potevano unire gruppi di persone precedentemente in conflitto tra loro. Per esempio dove c’è una forte immigrazione, o dove si assiste a spaccio e illegalità diffusa, i giardini comunitari sono esperimenti sociali che hanno dimostrato di saper trasformare aree pericolose e invivibili in luoghi piacevoli sotto molti punti di vista. Non a caso, in quartieri come quello del Bronx di New York, dopo la realizzazione degli orti, i prezzi delle case sono aumentati. Uno studio di Kuo e Sullivan sulla città di Chicago, ha rilevato una riduzione del tasso di criminalità nelle aree prossime ai community garden. Gli autori spiegano il fenomeno con il fatto che il verde urbano aumenta la vigilanza sul territorio, incentivando gli abitanti a vivere più tempo negli spazi pubblici.89 121 Una rete che sostiene Il piacere dello stare insieme con l’avvento di internet e soprattutto dei social network, si è un po’ arrestato, o forse viene rilegato ad altri contesti, che non sono propriamente quello dello stare insieme all’aria aperta. Lo stereotipo comune vede gli appassionati di orto come persone che passano tutto il loro tempo tra fiori e verdure e appena possibile prendono la zappa in mano, leggono libri di botanica, consultano cataloghi di vivaisti e guardano con orrore chiunque usi lo smartphone o twitti. Non può essere più lontano da verità: gli appassionati di orto amano mettersi in rete, proprio perché ne riconoscono l’importanza per la creazione di una comunità. Per questo sono nate contemporaneamente migliaia di comunità virtuali, siti, blog, mappe interattive, gruppi, pagine e profili sui social network, che permettono di mettere in relazione realtà simili sparse in tutto il mondo. Si scambiano così iniziative, si copiano eventi di successo, si affrontano problemi e si trovano soluzioni comuni. In molte città si sono create reti, talvolta anche a livello nazionale, per aiutarsi e scambiare informazioni, ma soprattutto per promuovere altri esempi simili, facendo in modo che in ogni quartiere potesse crescere un giardino comunitario. A Bologna, ad esempio, opera Trame Urbane (trameurbane.noblogs.org), un collettivo composto da un gruppo misto di persone con varie competenze. Dopo aver sperimentato negli anni passati una serie di esperienze di guerrilla gardening, stanno ora mettendo a punto progetti di riappropriazione degli spazi e creazione di orti urbani, con una serie di pratiche di verde partecipato che coinvolgono tutta la cittadinanza. Nell’ottobre 2011 hanno organizzato CortivareRappOrti, uno dei primi appuntamenti in cui si sono incontrati molti giardini comunitari italiani, durante il quale è stato anche dato il via al processo di risistemazione dell’area della Bolognina, retrostante il centro sociale Xm24, dove sarebbe previsto un parco urbano. Da questi incontri è nata la rete nazionale Orti e giardini condivisi, per fare in modo che questo fermento potesse riconoscere se stesso e per farsi conoscere meglio all’esterno. CASO STUDIO Libere Rape Metropolitane Milano 2010 90 http://rape.noblogs.org 50. Foto. Logo del network degli orti comunitari milanesi 51. Foto pagina accanto. Articolo di giornale, tratto da Repubblica, 4 febbraio 2011 Nasce dall’incontro fortunato tra una serie di soggetti e di gruppi coinvolti in vario modo, nella promozione del verde urbano condiviso. Dai community garden agli orti scolastici, passando per gli spazi liberati dal cemento e le azioni di guerrilla gardening: esperienze che guardano al verde urbano non tanto come ad un elemento d’arredo da valorizzare, quanto come ad una preziosa risorsa comune, e ad uno strumento per tessere e per coltivare relazioni. Gli obiettivi sono quelli di fare rete, promuovere la conoscenza, l’incontro e il coordinamento tra progetti esistenti, creare occasioni di discussione, di incontro e conoscenza per la valorizzazione reciproca; infine, ma non ultima per importanza, facilitare la nascita di nuove esperienze e difendere quelle in difficoltà, tramite azioni di cooperazione, mutuo-aiuto, e ‘manovalanza on demand’. I partecipanti non sono tutti esperti del settore, anzi, ma hanno tutti una spiccata sensibilità sul tema. Uno dei grandi successi della rete è l’aver fatto sì che il Comune di Milano, così com’è successo a New York, Parigi e altre città, abbia riconosciuto l’alto valore sociale ed ambientale degli orti comunitari, approvando un accordo con i giardini 123 125 L’orto comunitario: un veicolo culturale 126 La presenza di nuovi orti urbani, nelle più svariate forme, è oggi da interpretare come vera opportunità e come strumento per l’incremento e la diffusione di valori sociali, culturali ed ambientali. Da sempre, nella storia, si è cercato di veicolare i processi educativi attraverso attività pratiche, in modo da avere un’esperienza diretta delle cose. È proprio per questo che nasce l’orto botanico, come forma didattica della pratica agricola, per poter attuare processi di sperimentazione, osservazione ed analisi diretta dei fenomeni naturali. Con il passare del tempo, poi, questa realtà passa dall’essere luogo di sola sperimentazione per specialisti a luogo aperto al pubblico, per la diffusione d’informazioni botaniche. La società contemporanea, figlia del boom industriale, sta andando incontro ad un processo di analfabetismo rispetto alle questioni legate al mondo della natura in ogni suo aspetto. Più della metà della popolazione vive ormai nelle città. Il numero delle persone che nel mondo vivono nelle aree urbane ha una crescita inarrestabile; secondo le previsioni, entro il 2030 le persone che vivranno in città saranno il 60% della popolazione mondiale. Questa crescita si deve da un lato al naturale incremento della popolazione, dall’altro alla continua migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, diventate sempre più vitali, soprattutto per i popolosi paesi del sud del mondo. La città, però, non può più essere considerata come un nucleo isolato dal resto, com’è accaduto finora. Città, campagna e natura selvatica non possono essere considerati tre elementi separati, hanno strette connessioni, scambiano tra loro flussi di materia e informazioni, e dipendono l’una dall’altra. Il cittadino urbano, appare sempre più estraneo alla consapevolezza del paesaggio e del territorio in cui vive, come anche alle logiche produttive del mondo naturale. Se il rapporto tra il cittadino urbano e il mondo della produzione, connesso all’agricoltura, nel passato è sempre stato chiaro e necessario, oggi questo legame appare sempre più debole. Come detto nel capitolo precedente, il rapporto produttore-consumatore è andato via via disgregandosi, si è persa la consapevolezza di ciò che la natura produce, come e secondo quali ritmi. L’orto urbano è l’espressione di un nuovo concepire la metropoli, di una nuova sensibilità, un nuovo modo di sentire il verde in città: i cittadini non considerano più aiuole e parchi come qualcosa di cui fruire passivamente, ma di cui bisogna farsi carico, con la voglia di sporcarsi le mani. I cittadini stanno attuando un cambiamento importante: il riconoscimento dell’esistenza di un ecosistema urbano, costituito dai parchi, dai giardini, ma anche dagli orti e dalla natura selvatica, che si insedia negli spazi vuoti e comunica con gli ecosistemi esterni. La storia ci racconta che l’orto ha accompagnato l’uomo per migliaia di anni, e ha contribuito al sostegno di intere comunità. Il valore dell’orto è condiviso in tutte le aree del pianeta e in tutte le culture. Lo spuntare di orti su balconi, terrazzi o fazzoletti di terra abbandonati conferma il bisogno di sentirsi biologicamente umani, di continuare a mantenere un legame con la terra, cercando di non disperdere i saperi. Non si parla, però, di mero giardinaggio, i valori educativi veicolati attraverso gli orti urbani sono molto più complessi, sono culturali, ambientali, vanno verso la diffusione di un nuovo stile di vita. L’efficacia di questo strumento è legato al fatto che l’orto comunitario si presenta come una realtà dinamica, interattiva: è proprio il fatto di essere attivi che svolge un ruolo chiave nella sensibilizzazione del cittadino verso una nuova consapevolezza ambientale, alimentare, produttiva, e sociale. Una persona che partecipa attivamente alla coltivazione e al mantenimento di un orto urbano sarà probabilmente più attenta e attiva nel riciclo dei rifiuti, cercherà prodotti di stagione e dalla provenienza certa, cucinerà con più attenzione e consapevolezza, tutti gesti fondamentali per uno stile di vita sostenibile. Uno degli obiettivi principali per creare una società stabile e sana è migliorarne l’alimentazione. L’alimentazione in molte realtà è diventato un problema di grande portata, tanto che molte istituzioni hanno dovuto affrontare l’argomento. Negli Stati Uniti, dove la piaga dell’obesità è dilagante, la first lady Michelle Obama ha voluto lanciare un messaggio positivo impegnandosi in prima persona: ha realizzato un orto nel giardino della casa bianca, per garantire frutta e verdura locali alla dieta della famiglia. Questo gesto simbolico vuole essere un incoraggiamento alle persone affinché queste abbraccino un nuovo approccio al cibo e alla coltivazione. Molte municipalità americane hanno imitato l’esempio di Michelle, impiantando orti nei giardini dei propri municipi, dimostrando che un movimento partito dal basso può trovare appoggio nelle istituzioni. La Usda, il dipartimento dell’agricoltura americana, ha calcolato che il 15% circa del cibo mondiale viene coltivato nelle aree urbane. Le città stanno insomma producendo una quantità rilevante di cibo necessario a sfamare la popolazione. Secondo la Fao,91 il cibo a buon mercato è di cattiva qualità, e responsabile dell’accresciuto livello di obesità e di malattie croniche. Coltivare nelle aree urbane incrementa la disponibilità di prodotti freschi e nutrienti e migliora l’accesso al cibo degli strati più poveri della popolazione. L’orto urbano è stato introdotto nei più recenti progetti di aiuto alle popolazioni in difficoltà: un programma di orticoltura urbana è stato realizzato dalla Fao nelle cinque città principali della Repubblica Democratica del Congo, e ha avuto un grosso impatto sui livelli di malnutrizione cronica delle città. Il risultato è notevole: sono stati prodotti 28,6 chili di ortaggi per abitante, destinati soprattutto a bambini 127 91 Fao, Growing Greener cities, Roma, 2010 128 e donne. Oltre al cibo, il programma è riuscito a fornire occupazione diretta a circa 50mila persone, se si considera l’intera filiera. Un altro esempio di notevole portata, è il progetto rivolto alla creazione di orti casalinghi, esportabile anche nelle città europee, promosso dalla Ong Live in Slums, in collaborazione con il Politecnico di Milano, nella Città dei Morti del Cairo. Si tratta del più vecchio cimitero funzionante del mondo, ma è anche un’area molto viva: è abitata da 800mila persone, e rappresenta una delle più grandi bidonville del mondo. I locali hanno risistemato le tombe inutilizzate, imparando a convivere e a rispettare le aree sacre. Il terreno non poteva però essere utilizzato: sono stati così realizzati dei contenitori sospesi fatti con materiali di recupero provenienti dalle discariche locali. Il successo degli orti è strettamente legato ad attività promozionali che hanno messo il cibo al centro di riflessioni più ampie. Una di queste è il ‘KM 0, ovvero la riduzione dei trasporti legati alla produzione, concetto nato all’interno delle reti dei Gas – gruppi di acquisto solidale – in cui gruppi di cittadini hanno creato delle reti alternative di distribuzione. Il tema del rapporto ‘cibo-ambiente-relazioni personali’ è stato accolto anche dagli Occupy, i movimenti diffusi prima negli Usa e poi in Europa, per contestare pacificamente gli abusi del capitalismo. Da New York a Toronto, da Barcellona a Roma, i siti di Occupy – oltre ad ospitare incontri su modelli di economia alternativa – hanno organizzato scambi di semi e workshop di orticoltura e di cucina naturale. Sono stati creati degli orti, come simbolo di economia diretta decisa dal cittadino. A Barcellona, in una delle piazze centrali della città, nel corso di una manifestazione sono stati piantati ortaggi nelle aiuole: atto simbolico, ma che ha attirato l’attenzione e la curiosità di molti. 129 Orti scolastici, orti universitari È negli Stati Uniti dove nella prima metà degli anni ’90 iniziano a nascere gli orti all’interno delle strutture scolastiche, improntati su precisi programmi educativi, lezioni, e sulla pratica quotidiana della coltivazione come mezzo per l’eduzione e l’apprendimento. Harvard, Yale, Stanford sono solo alcuni esempi. Partendo da piccoli appezzamenti di terra all’interno dei campus man mano si sono sviluppate realtà sempre più significative. In alcuni casi hanno raggiunto le dimensioni di un’azienda agricola, comprendendo non solo coltivazioni di ortaggi, ma anche piante, frutteti, erbe aromatiche ed officinali. Grazie al supporto delle istituzioni e alla creazione di dipartimenti appositi gli studenti, coordinati da docenti e personale universitario, hanno realizzato gli orti. In genere sono mantenuti da studenti volontari, sia da coloro che sono iscritti a corsi di laurea in materia, che da altri spinti dalla curiosità e dalla passione. Sono occasioni di apprendimento sul campo, grazie anche all’organizzazione di brevi lezioni tenute da esperti, per altri rappresentano invece la possibilità di fare uno stage o di lavorare per l’università e guadagnare crediti extra. I prodotti, nella maggior parte dei casi, sono destinati all’autoconsumo, ovvero servono per rifornire di prodotti freschi le mense, e i bar. In questo modo vengono abbattuti i costi dei generi alimentari, si viene a creare un ciclo sostenibile: gli scarti organici dei punti di ristoro vengono portati negli orti, i quali li utilizzano per produrre compost che servirà come fertilizzante naturale. Questi comportamenti denotano il carattere delle coltivazioni, tutte biologiche, senza l’utilizzo di sostanze chimiche, con lo scopo di ridurre l’inquinamento in tutti i sensi: quello prodotto dai rifiuti, quello derivante dall’utilizzo di prodotti industriali per l’agricoltura, e quello dovuto al trasporto dei prodotti. In molti casi vengono organizzate giornate aperte alla comunità, sia per promuovere uno stile di vita sostenibile, sia per raccogliere fondi derivanti dalla vendita dei prodotti. Gli eventi organizzati vengono comunicati con il supporto delle tecnologie: quasi tutti gli orti universitari hanno un blog, che permette sia agli studenti di comunicare, sia di mantenere un contatto diretto con le comunità locali. Nelle nostre città, negli ultimi anni, sono molte le associazioni che hanno lanciato vere 130 92 http://edibleschoolyard.org/ 52. Foto. Logo del progetto Orto in Condotta e proprie campagne per diffondere la cultura dell’orto. Italia Nostra, Anci – Associazione comuni italiani - Coldiretti e Campagna Amica hanno dato vita ad un progetto, Orti Urbani, per valorizzare la pratica del coltivare in città. Vengono seguite delle regole etiche inserite in un protocollo di intesa, elaborato dalla facoltà di Agraria dell’Università di Perugia: l’orto viene inteso come parco culturale. Anche Legambiente ha sposato la causa degli orti. 1000 orti per la Campania è un progetto che prevede l’assegnazione gratuita degli orti di città ai cittadini pensionati della regione, che li devono coltivare insieme agli studenti delle scuole. All’appello non manca Slow Food, l’associazione che promuove la cultura e la produzione di cibo su piccola scala, sostenibile e di qualità; ritiene che sia fondamentale educare adulti e bambini ad una corretta alimentazione e al gusto, per cercare di avvicinare in maniera consapevole il maggior numero di persone a questi principi. I bambini sono i primi destinatari di quest’approccio, in quanto sono loro a rischiare di perdere il contatto con la realtà del mondo agroalimentare. Il progetto Orto in Condotta è stato ideato per educare proprio i più piccoli a mangiare sano in maniera gustosa nel rispetto dell’ambiente. Riproposto in Italia nel 2003, su un modello già attuato negli Stati Uniti, The Edible Schoolyard,92 ha avuto un gran successo. Il numero degli orti scolastici è cresciuto esponenzialmente, arrivando a contarne 421. Sono diffusi a livello nazionale, ma spesso dipendono dall’impegno delle singole scuole e dei docenti. A Sesto San Giovanni, Milano, è partito tre anni fa un interessante progetto didattico rivolto ai bambini delle scuole materne, elementari e medie. Giardini Preziosi, di Zucche Vuote (http://www. zucchevuote.it/), è un programma di educazione ambientale sostenuto dall’amministrazione locale, che parte dalla riscoperta dell’agricoltura e del suo ruolo primario nella società. I laboratori di orticoltura e giardinaggio diventano uno strumento per affrontare, fin dai primi anni di scuola, il tema di un corretto rapporto con l’ambiente e con il cibo, in modo che una volta diventati adulti, i bambini possano compiere scelte responsabili e informate per il futuro di tutti. 131 Battery Park Farm New York 2010 Un orto di circa 0.4 ettari a Battery Park, nel cuore della down town newyorkese, a ridosso della trafficata State Street, sopra il tunnel della nuova South Ferry Subway Station. È stato affidato agli studenti – 52 classi, 870 ragazzi e 50 insegnanti - della vicina Millennium High School, i quali hanno convertito i terreni alla coltivazione di circa 80 specie di vegetali, distribuiti in novantacinque lotti con una media di tre raccolti l’anno. L’orto non è strettamente didattica, alle attività possono partecipare gli abitanti della zona ed i proprietari dei ristoranti locali. Singolare è la storia della recinzione: come in molti casi sono stati utilizzati materiali di recupero, ma in questo caso sono canne di bamboo provenienti da una maestosa installazione realizzata sul tetto del Metropolitan Museum nell’estate del 2010. I più di 5000 pali sono stati assemblati componendo una recinzione essenziale, che permette il dialogo tra l’orto ed il parco circostante. 93 133 93 http://www.thebattery.org/projects/battery-urban-farm/ 53. Foto pagina accanto. Bambino partecpa ad attivitá educative 54. Foto. Vista dello spazio CASO STUDIO Farm Atelier Palazzo delle Stelline, Milano 2012 94 http://www.naba.it/site/home/ news-ed-eventi /salone-del-mobile-2012/farm-atelier.html 55. Foto. Progetto di un orto in una delle Slum africane. Nel 2015 Milano ospiterà l’Esposizione Universale dal titolo ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita’. Partendo da questo spunto, durante la settimana del design, è stata realizzata un’installazione da parte di coloro che si occupano del progetto di riqualificazione urbana Liveinslums, con la collaborazione della Naba, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, che si è occupata dello sviluppo degli allestimenti. È stata avviata una settimana di workshop, dibattiti e conferenze legate all’ambiente e all’alimentazione, con l’obiettivo di regalare alla città un luogo rinnovato, da vivere, coltivare e rispettare, e per produrre un esempio concreto d’impegno della comunità in vista del prossimo Expo. L’installazione prevedeva la realizzazione di uno spazio agricolo, su modello di quelli realizzati dall’associazione nei paesi africani, ovvero l’agricoltura in sacchi.94 135 Brookwood Triangle Londra 2007 Fondato nel 2007, è un orto comunitario che ha la fortuna di essere stabile; proprio per questo vi è stata installata perfino una cucina, per portare avanti uno degli obiettivi della Bankside Open Space Trust, che oltre a sottrarre all’abbandono aree urbane e destinarle a spazi verdi per i cittadini, è impegnata in prima linea nella promozione di un’alimentazione sana e naturale, proveniente soprattutto da produttori locali. Grazie ai proventi di uno speciale fondo della lotteria inglese, attraverso l’orto viene promosso il cibo a chilometri zero, attraverso manifestazioni, giornate comunitarie ed eventi.95 95 http://www.bost.org.uk/open-places/sign-up/about-edible-bankside/ 56. Foto. Bambine all’opera, pomeriggio all’orto passando il L’orto comunitario: strumento di riqualificazione urbana 137 138 95 Abraham Maslow, Motivazioni e personalità, Armando Editore, Roma, 1992 57. Foto pagina accanto. Articolo tratto da Repubblica, 3 dicembre 2011 Le teorie dei bisogni fondamentali dell’uomo, come quella dello psicologo statunitense Abraham Maslow,95 individuano la necessità di poter contare su protezione, affetto o stima, partecipazione, autorealizzazione o creazione, identità o appartenenza, e sul soddisfacimento dei bisogni fisiologici. Sono valori interdipendenti, dalla stessa importanza; sono universali e non sono mai cambiati nel corso della storia, sono solo cambiati gli strumenti per soddisfarli. Se lo spazio pubblico dovesse accogliere i bisogni fondamentali all’interno dei suoi confini, andrebbe riprogettato il concetto stesso di spazio pubblico. Il territorio, il quartiere, le strade e gli spazi intimi andrebbero riordinati secondo altre relazioni che comprendono soprattutto i rapporti tra le persone, cosa che attualmente non viene presa in considerazione, se non in base a regole di produzione e commercio. Ciò che emerge dalla recente diffusione degli orti negli spazi pubblici è il desiderio di modellare il tessuto urbano a misura dei propri bisogni e delle proprie prospettive di vita, in modo da renderlo il più possibile vicino al proprio modo di essere. Il tentativo è quello di inventare un nuovo paesaggio urbano, che comprende e non esclude gli individui e le reti che creano tra di loro. In una città ci sono spazi pubblici e privati, interni ed esterni. Nello spazio urbano ci sono e ci devono essere pieni e vuoti. Una crepa urbana si manifesta come una pianta spontanea che rompe l’asfalto, ma anche lo spazio abbandonato dalla pianificazione, che viene fatto rivivere invece da un gruppo di cittadini. Riappropriarsi in forma diversa degli spazi verdi vuol dire spronare le amministrazioni ad intervenire in favore di politiche sociali e ambientali in maniera concreta. Le istituzioni, che in tempo di guerra o di forte criticità hanno visto negli orti una soluzione a problemi sociali ed economici, dovrebbero incentivarli anche in epoche di pace. È importante considerare gli orti urbani come possibile strumento strategico per lo sviluppo della città, uno sviluppo sostenibile a misura di cittadino. Generalmente, il concetto di città sostenibile fa riferimento più spesso a restrizioni e divieti su grande scala, piuttosto che a pratiche di vita quotidiana promosse ed inserite dalle autorità pubbliche nei loro programmi. Per questo, mentre da un lato vengono applicate leggi severe da parte delle istituzioni, dall’altro vengono percorse strade che cambiano i comportamenti quotidiani di ciascuno. Le istituzioni non sono arrivate ad incentivare i cittadini come autori del rinnovamento del paesaggio urbano, in genere sono gruppi di cittadini dalla spiccata sensibilità ambientale che mettono in atto la rigenerazione del tessuto urbano attraverso piccole azioni i cui risvolti, però, sono incisivi. Nel passato, insediamenti agricoli urbani si affiancavano ad aree di verde istituzionale oppure erano considerate realtà di seconda categoria, ritagli urbani, in molti casi estranei al contesto circostante, contrari ai regolamenti urbani. Negli anni ’70, con i movimenti hippy ed ambientalisti, soprattutto negli Stati Uniti si diffondono fenomeni di riappropriazione e riqualifica volontaria da parte di gruppi cittadini, dei terreni abbandonati e degradati. È l’espressione di una protesta tacita ma attiva, contro l’incuria e il disinteresse delle pubbliche amministrazioni rispetto al problema. Si sviluppa una nuova sensibilità ambientale di gestione dello spazio pubblico, che coinvolge direttamente il singolo cittadino, in termini di cura e manutenzione. La riqualificazione avviene attraverso azioni puntuali e specifiche, che arricchisce con nuove forme di verde le città contemporanee. Il fatto che l’appropriazione sia collettiva denota il valore che ha lo spazio pubblico, dal punto di vista sociale. Uno dei benefici che viene dall’implementazione di un orto urbano come strumento di riqualifica è certamente quello economico. Le amministrazioni che permettono ad un gruppo di persone attive di intraprendere un processo di questo genere, non dovranno affrontare spese di manutenzione dello spazio pubblico; è risaputo che attraverso queste pratiche i cittadini sono spinti ad un agire più consapevole e più responsabile nei confronti degli spazi pubblici. 140 Benefici ecologici 96 Michael Hough, In Cities and natural process, 1995 Michael Hough96 ci invita a guardare il paesaggio urbano, soprattutto quello verde in una prospettiva un po’ diversa dal solito. La comune sensibilità e i valori diffusi a cui solitamente si fa riferimento inducono ad apprezzare maggiormente uno spazio verde ben curato, un giardino strutturato; questi spazi, però, presentano una scarsa diversità floro-faunistica e richiedono una costante spesa per la manutenzione. L’agricoltura urbana si colloca a metà tra i giardini progettati e le zone verdi spontanee, e costituisce un’ulteriore ecosistema all’interno della città. Pur essendo uno spazio curato e modificato dall’intervento dell’uomo, allo stesso tempo rende produttivi i suoli, apporta nuove piante nel contesto urbano e crea un riparo per insetti ed uccelli. L’agricoltura, infatti, dal punto di vista ecologico porta una serie di benefici: può contribuire a migliorare il microclima urbano, a ridurre la produzione di rifiuti urbani e a migliorare il riciclo delle sostanze nutrienti, a migliorare la gestione delle biodiversità, il bilancio ossigeno-anidride carbonica ed infine, ma non ultimo come importanza, a sviluppare una coscienza ambientale negli abitanti. I vantaggi ecologici possono essere compresi se si considera il processo produttivo che, a partire dalle risorse, crea prodotti e rifiuti: da modello lineare, tipico della vita cittadina, torna ad essere ciclico, grazie al fatto che i rifiuti possono essere utilizzati come risorse. Un riciclo degli elementi nutritivi che, attraverso pratiche come il compostaggio, servono per mantenere la fertilità del suolo. Il riciclo, però, non è riferito solo alle materie organiche, dato che spesso gli spazi e le strutture vengono realizzati con materiali di scarto o dismessi, ed infine si riduce notevolmente la necessità di materiali di confezionamento e packaging dei prodotti, dato che si tagliano i passaggi che portano i prodotti dal luogo di produzione a quelli del consumo. Gli orti urbani hanno anche effetti positivi dal punto di vista del ciclo idrico in città: l’aumento degli spazi verdi contribuisce a diminuire il carico dei sistemi di smaltimento delle acque piovane, sia per la permeabilità dei terreni, sia perché in molti casi queste vengono riutilizzate come fonte per l’irrigazione. Infine, bisogna sottolineare come l’esistenza di luoghi di produzione orto-frutticola nelle città, riduce la distanza tra produttore e consumatore, riducendo drasticamente l’utilizzo di energia per il trasporto, diminuendo la componente di inquinamento derivante da ciò. 141 58. Foto. Spartitraffico utilizzato per coltivare zucchine. Atto provocatorio affettuato da un abitante di zona Paolo Sarpi, Milano 59. 60. 61. Foto pagine successive. Immagine del cambiamento urbano che ha portato la realizzazione del Prinzessinnengarten a Berlino. pagina pagina 144 Place au changement Saint-Ètienne, Francia 2011 97 http://www.collectifetc.com/placeau-changement-chantier/ 62. Foto. Ricreazione di uno spazio domestico in una piazza pubblica 63. Foto pagina accanto. Vista dello spazio riqualificato. Esempio di luogo urbano autogestito, trasformato in orto giardino per volontà delle comunità locali. Il progetto nasce da un’iniziale sollecitazione pubblica e da gruppi che si occupano di promuovere l’uso e la gestione da parte dei cittadini di spazi urbani in disuso. È stato originato da un concorso pubblico indetto da l’Ètablissement Public d’Aménagement della città, ed ha coinvolto i cittadini locali accrescendo la loro consapevolezza dei cambiamenti urbani e abituandoli progressivamente alla cura di un nuovo spazio pubblico. Lo spazio abbandonato è situato all’intersezione tra due strade, sulle pareti degli edifici limitrofi e lungo il perimetro sono stati disegnati gli elementi di un possibile edificio a corte. Nello spazio in cui ci sarebbe ipoteticamente stato uno spazio aperto è stato realizzato un orto giardino, con arredi costruiti ad hoc, riutilizzando degli elementi urbani. Il progetto si è concretizzato in un laboratorio diurno aperto al pubblico ogni giorno durante il mese, dividendo le attività in tre fasi: uno di falegnameria per la costruzione delle strutture, uno di grafica ed uno di giardinaggio, che si è occupato di costruire l’orto vero e proprio. Durante i lavori lo spazio è stato teatro di eventi, attività organizzate dalle associazioni locali, diventando così un’importante spazio di aggregazione per il vicinato. Gli arredi non sono mai stati danneggiati ed il luogo è ben mantenuto, in quanto gli abitanti se ne prendono cura con regolarità.97 pagina pagina pagina 149 Conclusioni 151 Come si è avuto modo di vedere dai casi studio all’interno del capitolo, numerosi sono gli esempi di successo di realizzazione di community garden all’interno di realtà di diverso genere. I community garden si configurano solitamente come un insieme di piccoli appezzamenti collocati in un lotto recintato ma aperto all’accesso pubblico. Sono gestiti in maniera comunitaria dagli utenti, che si danno delle regole su come organizzare lo spazio, sui metodi di coltivazione, e sui prodotti da coltivare. Si tratta di un’innovazione sociale nella città che scardina la natura degli elementi tipici delle aree urbane – cemento, metallo, plastica – proponendo un’invasione di elementi naturali. Trasforma spazi inospitali in luoghi accoglienti e piacevoli, e favorisce azioni collettive con un fine comune. Nel giardino le diverse generazioni, ma anche comunità, etnie, culture, collaborano, facendo diventare un patrimonio sia l’esperienza che le tradizioni. Gli orti comunitari, essendo luoghi di aggregazione sociale spontanea, sono un ottimo strumento per la diffusione di un nuovo stile di vita, basato sul rispetto della natura, dell’ambiente, degli altri, e sull’alimentazione sana e sostenibile. Rappresentano un mezzo perfetto per mettere in contatto persone che frequentano realtà diverse, per trovare un momento di dialogo in situazioni critiche fino a giungere nei casi di maggior successo addirittura alla convergenza degli interessi di parti precedentemente in conflitto. CAPITOLO 3 Coltivando Orto conviviale al Politecnico di Milano “Ho letto molto, e trovato soltanto incertezza, menzogna e fanatismo. Delle cose essenziali so poco più di quanto non sapessi quando ero lattante. Io preferisco piantare, seminare ed essere libero.” ~Voltaire ~ 155 Contesto 156 Lo spazio pubblico “spazio pubblico: campo plurale di utilizzi in cui avviene il contatto tra il corpo dell’individuo che potrebbe agire – come singolo e/o in gruppo – e il corpo città. Campo di pratiche, di attori, cittadini che con le loro azioni danno vita allo spazio stesso. La pratica sociale dunque è tutt’altro che aspaziale.” 98 Passando in rassegna testi e saggi di autori che si sono interrogati sullo spazio pubblico ci si accorge come questa nozione sia cambiata molto nel tempo, non solo nel suo significato intrinseco, ma anche e per causa-effetto del contesto, dell’intorno: la città non è fatta solo di spazi ma anche di persone, vite, stili di vita, necessità, sempre in movimento. Attualmente non si sente parlare in termini assoluti di spazio pubblico, ma si incontrano termini e argomenti più ampli; ad esempio ‘riappropriazione dello spazio pubblico’, ‘usi dello spazio pubblico’, ‘politiche nella differenziazione degli spazi pubblici’, ‘inclusione, esclusione, isolamento’, ‘conflitti sociali’, ‘pratiche d’uso dello spazio pubblico’, ecc. Non si tratta più di un solo problema urbanistico ed architettonico, ma di un tema trasversale, fisico, sociale, antropologico, politico… Non è più un perimetro circoscritto al cui interno vengono imposti a priori degli usi, detti ‘pubblici’, dato che ogni giorno emergono nuove situazioni che lo caratterizzano. 98 Gabriele Pasqui, Progetto, governo, società. Ripensare le politiche territoriali, Franco Angeli Editore, 2005 99 Richard Sennett, Il declino dell’uomo pubblico, Bompiani, 1982 Già negli anni ’80, Sennett99, sociologo statunitense si è occupato della teoria della socialità e del lavoro, dei legami sociali nei contesti urbani, degli effetti sull’individuo della convivenza con altri nel mondo moderno urbanizzato; definisce lo spazio pubblico con il termine ‘comunità’, intesa come insieme di pratiche d’uso di individui diversi che per sopravvivere devono stare insieme. La comunità è fatta di relazioni sociali che nascono attraverso incontri diretti o indiretti, dove gli individui si confrontano con le differenze che hanno intorno. Ne segue che lo spazio pubblico è ‘lo spazio del cittadino’, mutevole e diversificato, e l’uso di questo spazio è dettato dalle azioni della comunità stessa. Sennett inoltre, parla di disordine e di ‘uso del disordine’: lo spazio pubblico, e più in generale la città, come comunità libera di creare le sue strutture del vivere; un luogo vitale dove gli individui, diversi per caratteristiche, interessi e azioni si scontrano su un piano sociale, cercando di fare qualcosa in comune affinchè il conflitto diventi sopportabile. Nel disordine l’individuo deve sentirsi obbligato a trovare una soluzione per convivere con le differenze delle altre persone. Ciò che ne deriva è quindi una città, una comunità, uno spazio pubblico nel quale le ostilità sono mediate ed il sentimento di curiosità e rispetto verso l’altro risvegliato. In tale disordine, Sennett precisa l’assenza di una forma di controllo centralizzata; così gli individui assumono una maggior centralità di controllo autonomo, diventando più consapevoli della propria presenza e degli altri nello spazio. La definizione che il sociologo americano dà di spazio pubblico è un ‘bene comune della società, un luogo dove diverse funzioni si sovrappongono e dove l’esperienza quotidiana si complica’. Controllare la molteplicità di funzioni significherebbe non riconoscere il carattere mutabile dello spazio e prescindere dagli utenti. Leonie Sandercok, in ‘Verso Cosmopolis’100 propone un modello di città, senza però riuscire a dare una definizione univoca di spazio pubblico, senza trattare in modo trasversale di cultura, cultura civica, progetto sociale, l’Io e l’Altro, capacità individuali e collettive, movimenti sociali, politiche e istituzioni. Lo spazio pubblico viene definito tramite due caratteri: come luogo di produzione della conoscenza, come luogo politico – in cui si incontrano domande di attori sociali diversi e differenze esigenze di sistema, luogo aperto al confronto ed alla negoziazione di interessi. Stefano Boeri101, riflette sul termine ‘spazio pubblico’, oggi usato per indicare una varietà di luoghi che hanno ben poco in comune con l’immagine tradizionale dei luoghi ad uso ‘pubblico’, segnati dalla continuità e dalla coesione degli spazi aperti collettivi. I luoghi assumono il loro carattere in base ai differenti modi con i quali la mobilità delle pratiche si addensa intorno ad essi, e non solo per la loro estensione o conformazione fisica. Nelle società aperte, è difficile stabilire delle corrispondenze tra forme e significati in modo immutabile. Da qui si ha il fenomeno del continuo ridefinirsi degli spazi collettivi e del loro significato pubblico, condiviso. Boeri riflette anche sugli spazi pubblici che abbandonati dalla maggioranza diventano il luogo delle minoranze, in cui emergono esperienze di socializzazione da parte di nuove comunità urbane che hanno introdotto costumi abitativi inusuali e nuovi modi di ‘segnare’ il suolo pubblico, tipico di culture diverse da quella occidentale. In tutti i casi, ciò che viene sottolineato è come ai giorni d’oggi lo spazio urbano viene usato spesso per usi impropri, un mix di pratiche che hanno come obiettivo il rendere pubblico uno spazio semplicemente in relazione ai desideri ed alle possibilità. 157 100 Leonie Sandercork, Verso cosmopolis. Città multiculturali e pianificazione urbana, Dedalo, 2004 101 Stefano Boeri, John Palmesino, Giovanni La Varra, Gli spazi pubblici sono delle fiamme. Note per una interpretazione propensionale dei territori della città contemporanea, in Paesaggio Urbano, n° 3, 199 pagina 159 Orti comunitari a Milano Diverse esperienze a confronto Milano è una città dove gli orti sono sempre esistiti. Abusivi o comunali, hanno sempre avuto un aspetto disordinato. Spesso riservati agli anziani non benestanti, creati in spazi marginali e spesso a rischio inquinamento, sono sempre stati considerati dall’opinione dominante una bruttura della città. Qualcosa però, ad un certo punto, è cambiato: prima all’interno dell’ex ospedale Paolo Pini, poi al Parco Trotter, negli spazi sociali frequentati dai giovani, in angoli di quartiere nelle scuole o nei giardini condominiali, gruppi di persone hanno dato vita a realtà molto interessanti: Giardino degli Aromi, Giardini del Sole, Papaveri Rossi di Precotto, Giardino Primo Moroni, Piano Terra, Un giardino per Via Montello sono solo alcuni esempi di verde partecipato. Milano forse può vantare il primato di avere l’unico orto italiano posizionato proprio in centro città. L’Orto della Fede si trova nel cortile della chiesa evangelica luterana, in via De Marchi, a due passi da via Montenapoleone, dal quadriatero della moda. Chi se ne prende cura è la comunità di fedeli e i ragazzi della Scuola Germanica e Svizzera. Il gruppo di ortisti si ritrova nell’orto tutti i mercoledì pomeriggio, occasione per la quale la chiesa è aperta, chiaro invito a coniugare vita del fedele e lavoro all’aperto. Il Giardino degli Aromi nasce per caso, quando un gruppo di adolescenti inizia per gioco a costruire un orticello in uno spazio abbandonato della proviancia. Poi un gruppo di volontari dell’ospedale e degli abitanti del quartiere hanno aiutato a ripulire l’area e a disegnare le prime aiuole. Sono state create delle parcelle individuali assegnate a chi ne fa richiesta tramite bando, all’interno di un progetto comunitario di lavoro collettivo, scambio e di relazione. Nel 2005 nasce Libero Orto, un ‘orto comunitario urbano e di integrazione’: aiuta le persone che provengono dal disagio sociale, grazie ad un rapporto alla pari con gli altri, stare in mezzo agli altri aiuta a dimenticare i propri problemi. Orti nei parchi, oltre a quelli comunali, e 300 si trovano nell’area compresa tra il Bosco in Città ed il Parco delle Cave. Quasi 400 sono invece quelli che si trovano al Parco Nord; sono aperti solo ai pensionati, anche se con possibili abbinamenti tra più persone. 67. Foto. Ai piedi della Torre Galfa, dove nel maggio 2012 si era insediato il collettivo Macao, la comunità che rivendiva l’arte come esperimento sociale, era stato iniziato un progetto di orto coomunitario. Il giorno prima dello sgombero erano stati piantati pomodori, zucchine, melanzane, piante ornamentali e aromatiche, grazie alla collaborazione di abitanti del quartiere o di giardinieri che hanno donato piante e tuttoi gli attrezzi necessari per le attività di giardinaggio. 160 102 Libere Rape Metropolitane http://rape.noblogs.org 68. Foto. Piccoli giardinieri crescono all’orto comunitario del Parco Trotter. 69. Foto. Manifesto del gruppo gardening, MACAO Alla fine del 2009 nasce il giardino comunitario del Parco Trotter, area verde che ospita quella che un tempo era una delle scuole modello della città, la Casa del Sole: una scuola-fattoria dove i bambini più gracili potevano vivere all’aperto, giocare con gli animali e coltivare l’orto. La scuola esiste ancora ma con un approccio tradizionale all’educazione. Il parco, però è diventato punto di riferimento per un quartiere ad alto tasso di immigrazione, e un’attivissima associazione protegge il parco organizzando eventi, momenti educativi, laboratori ed un orto comunitario. Il giardino si trovano cose non comuni: una vasca d’acqua circondata da bambu per momenti di relax, arbusti ornamentali, fiori che fanno da sfondo alle coltivazioni vere e proprie. Le realtà di orti e spazi verdi partecipato sono ben più di una ventina e per aiutarsi, scambiare informazioni e tecniche si sono messe in rete. è stato creato così il network Libere Rape Metropolitane102, presentato nel dicembre 2010. Un’altra rete è Orto diffuso: l’obiettivo è quello di mappare online giardini e spazi comunali degradati o abbandonati e che potrebbero essere usati per realizzare degli orti. Le mappe sono interattive, continuamente modificabili, cosa che permette di avere una panoramica costante della situazione 161 CASO STUDIO Papaveri Rossi di Precotto 2011 103 Testo tratto dal manifesto pubblicato sul blog dell’orto comunitario Precotto h t t p : //p a p a v e r i r o s s i p r e c o t t o . blogspot.it 70. Foto in alto. Vista dello spazio in inverno, dopo la costruzione dei primi cassoni per le coltivazioni 71. Foto in basso. I lavori riprendono: giornata di impegno condiviso, ma anche svago L’idea nasce dal desiderio di alcuni cittadini del quartiere di usare parte del proprio tempo ed energie per migliorare la vita quotidiana della zona, attraverso un intervento attivo sul paesaggio, sulla sua stessa struttura. Precotto, come molti quartieri della città, ha subìto processi di trasformazione profondi negli ultimi decenni: la progressiva scomparsa dei distretti industriali, sostituiti da complessi residenziali non sempre forniti di servizi adeguati, ha portato un grande numero di nuovi abitanti ma ha visto lentamente allentarsi quei legami sociali -la cosiddetta ‘comunità’- che hanno sempre fatto la vera ‘ricchezza’ della zona. Motore della sfida è promuovere una serie di attività che permettano alle persone che vivono a Precotto di incontrarsi, lavorare una terra comune, scambiarsi esperienze e punti di vista. E di godere anche dei frutti di un impegno condiviso. Per questo è importante che lo spazio ed il tempo dell’orto giardino siano pubblici. I promotori credono che sia importante che il primo passo avvenga su quella porzione di terreno abbandonata da anni che sta fra via Bigiogera e via Tremelloni, quella che in primavera fiorisce di papaveri spontanei; l’amminstrazione comunale ha dei progetti su quel terreno, ma forse è proprio questo il motivo che ci fa scegliere: ‘occupare’ simbolicamente quella porzione di terreno senza chiedere il permesso perché così è più evidente la loro azione, dopo anni di incuria e abbandono. Un’azione che non ha un tono rivendicativo -non pretendono, propongono! - né un carattere di ‘presa di possesso’ -la provvisorietà è data dal fatto che non si pianterà direttamente nulla nel terreno, verranno usati dei cassoni in legno con la terra che il giorno dopo potrebbero essere rimossi... Ma non per questo non si afferma con decisione il loro desiderio. La prima e più importante garanzia di questo processo è la partecipazione libera dei cittadini. La domenica di ottobre, quando sono iniziati i lavori di sistemazione dello spazio, sono accorsi in numerosi con tanta voglia di fare, di interessarsi, di lasciare tracce significative. Insieme, ecco la parola chiave che permette di accedere all’orto-giardinocomunitario... 103 163 CASO STUDIO Cascina Cuccagna Recupero di un luogo storico, recupero di una nuova relazione con la natura “Spesso di antica origine e di architettura degna di nota, malridotte e sottoutilizzate, di scarso interesse economico, le nostre cascine vanno verso l’abbandono, come tante altre cose vecchie. Ma un patrimonio di 50 complessi, distribuiti dentro e intorno ad una città metropolitana, sono un bene culturale unico, che occorre non solo preservare, ma anche rendere disponibile alla collettività” 104 104 Delibera di indirizzo della Giunta Comunale 14 gennaio 2003 da http://www.cuccagna.org 105 www.cuccagna.org 72. Foto. Vista dall’alto della cascina e degli spazi verdi attigui Si presenta oggi come un’anomalia urbanistica interpretabile come fastidiosa diversità o come ricchezza di ruoli e di messaggi possibili e insieme un raro esempio di spazio cittadino disponibile a sperimentare nuove relazioni con la natura e con il mondo agricolo. Il Progetto Cuccagna, infatti, si propone di costruire un ponte culturale tra città e campagna, e di creare nuovi collegamenti - negli stili di vita e nelle pratiche quotidiane - tra cibo e agricoltura, qualità e sostenibilità, modernità globale e tradizione locale, consumo sostenibile e risorse territoriali. Cascina Cuccagna si presta dunque ad essere avamposto, ponte di superamento dei confini mentali e fisici che separano la città dalla campagna. Il suo recupero costituisce un primo ed importante gesto concreto di valorizzazione del patrimonio storico, ambientale e paesaggistico di questo territorio, che presuppone lo sviluppo di uno specifico sistema culturale. Le attività sono distinte in diverse aree progettuali, in particolare quello ‘ambiente e alimentazione’ prevede: un’agenzia per il turismo agricolo e ambientale, un mercato periodico di prodotti del Parco Agricolo Sud di Milano e delle campagne lombarde, una bottega permanente della filiera corta, punti ristoro, laboratori artigianali di riciclo e restauro, e orti, frutteto e serra didattici. Spazi attrezzati creativi nello spazio verde della cascina e altri spazi del territorio in grado di veicolare, all’interno di un progetto di orticultura biologica ed educazione ambientale, una conoscenza diretta e manuale del mondo naturale attraverso l’attività esemplare di orticultura e giardinaggio rivolta in particolare agli alunni delle scuole e ai cittadini anziani della zona. 105 165 Isola Pepe Verde Verde partecipato negli interstizi urbani ‘Per un verde da usare e non solo da guardare’ questo è lo slogan del gruppo di abitanti del quartiere Isola che si sono uniti in associazione. Da alcuni mesi stanno riflettendo sulla ipotesi di trasformare l’area adiacente a Via Pepe, Via Borsieri, cavalcavia Bussa in un’area a Parco. Quest’area di proprietà comunale, è in buona parte recintata, comprende una piccola area già coperta da manto erboso, e un parcheggio. Il quartiere soffre in maniera grave della mancanza di spazi verdi, la situazione è diventata drammatica con la chiusura nel 2007 dei Giardini di Via Confalonieri. L’area prescelta, per la centralità rispetto al quartiere, e per la vicinanza con le scuole materna, elementare e media, è ideale per rispondere all’emergenza dovuta alla mancanza di verde di prossimità di cui tutto il quartiere e un’intera generazione di bambini stà soffrendo. L’area può essere trasformata in Parco e resa disponibile in pochi mesi, grazie alla partecipazione attiva di tutti. Il gruppo si propone per seguire la realizzazione e la gestione del nuovo spazio verde, di promuoverlo nel quartiere e farlo diventare un momento di partecipazione e socialità. 167 “Per un verde da usare e non solo da guardare! Il gruppo di abitanti del quartiere Isola organizza una giornata di festa tra banchetti informativi, progettazione collettiva del nuovo giardino, area giochi bimbi piccoli, partite di basket, calcetto e badminton, workshop, il secondo raduno dei cani dell’Isola, musica dal vivo, cibo e bevande bio e molto altro...” 106 106 dhttps://isolapepeverde.wordpress. com 73. Foto pagina accanto. Poster per promuovere l’iniziativa 74. Foto in alto. Vista dall’alto dell’area prescelta 75. Foto in basso. Abitanti all’opera pagina Contesto urbano “Il ruolo del Politecnico è un ruolo decisivo; lo è stato in passato e lo è tuttora. È una presenza importante per una serie di motivi: perchè fisicamente si è sostituito a quello che c’era prima, per i flussi che si porta dietro e per la capacità progettuale che lo caratterizza. Tuttavia il ruolo che andrà ad assumere, o a consolidare, dipende molto da quanto il Politecnico vuole appropriarsi di Bovisa in maniera illuminata. Il rischio è che diventi una presenza egemone estranea al quartiere. Io spero che invece agisca ripensando le numerose aree libere esistenti per riqualificare il quartiere, recuperando sentimenti antichi in un’ottica moderna. Il Politecnico dovrebbe sfruttare queste aree, che sono risorse importante, per fare cose belle, curando gli spazi pubblici aperti, ed in particolare il verde. Una cosa che mi spaventa, infatti, è che mai nessuno qui in Bovisa parli di creare spazi verdi.” ~ A. Manzoni, libreria “Il Libraccio”, ex- abitante. ~ 169 76. Foto. Vista dall’alto dell’ovale, lo spazio verde all’aperto per eccellenza del Campus Durando del Politecnico di Milano, dove ci si ritrova per pranzare, svagarsi e trascorrere un po’ di tempo libero. 170 Quartiere Bovisa Storia di un’area in sospeso tra passato e futuro La Bovisa è situata nella zona nord di Milano, circondata per buona parte dai binari della ferrovia. Il toponimo deriva dalla termine boves, dato che l’area era adibita al pascolo dei buoi, per la fecondità dei terreni. All’inizio del ‘900 iniziarono ad insediarsi grandi fabbriche -Montecatini, Ceretti e Tanfani, l’Officina del Gas - facendo nascere un quartiere operaio, inglobato dalla città nel 1932. Il polo industriale si confronta con il quartiere storico, un tessuto denso e prevalentemente residenziale. Le tappe successive sono: ricostruzione post-bellica, miracolo economico negli anni ‘50-’60 e dismissione delle fabbriche nel decennio successivo, evento che fa perdere al quartiere la propria identità operaia e il contatto con la vita sociale e culturale della città, facendo sì che i giovani lascino il quartiere ormai privo del “pull factor” di avere il lavoro sotto casa. A partire dal 1989, inizia una fase di neourbanizzazione, in atto ancora ai giorni d’oggi; si tratta di una fase sorretta dalla volontà di conferire a Milano una struttura policentrica, con funzioni decentrate, innervata da una rete diffusa di servizi idonea a promuovere la riqualificazione delle periferie. Il processo di mutamento urbano prende la strada 171 BOVISA 77. Foto pagina accanto. Immagine storica del quartiere: l’officina del gas, inizio ‘900 1. Schema grafico. Localizzazione della Bovisa nell’area di Milano 78. Foto in basso. La nuova edilizia nel quartiere del recupero: le ex-sedi industriali sono viste non come avanzi da rimuovere ma come edifici da riportare a nuova vita. Tale progetto inizia quando la facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano comincia ad utilizzare un capannone dell’ex Fbm Costruzioni Meccaniche, e continua nel ‘94, quando la Facoltà di Architettura si insedia nello stabilimento ristrutturato dell’ex Cerretti & Tanfani. Oggi la Bovisa si colloca in una posizione periferica, ma al centro di alcune spinte che stanno rivedendo la geografia della città: la vicinanza dei progetti strategici di Malpensa, la nuova sede della Fiera di Rho-Pero e di grandi progetti residenziali come il Portello, la riportano al centro della città. Oltre che con il centro di Milano, quest’area ha sviluppato una fitta rete di connessioni anche con la regione metropolitana circostante, grazie alla realizzazione di infrastrutture, ferrovie e sistemi di tangenziali. La Bovisa rimane un quartiere ancora molto attivo, con tante opportunità da sfruttare. Comprede infatti sia vaste aree dismesse che piccoli punti all’interno del tessuto storico, apparentemente invisibili, ma che contribuiscono all’ammodernamento e al ringiovanimento della zona. 172 Gli abitanti della Bovisa Generazioni, mondi e culture diverse a contatto La Bovisa appare oggi come un territorio dinamico, in cui diverse popolazioni vivono, abitano, attraversano il quartiere, un’area urbana che, da tradizionale periferia industriale, si allarga a relazioni più ampie verso Milano e l’area metropolitana. Per indagare i diversi gruppi sociali e le loro abitudini, è interessante analizzarne le caratteristiche, i modi di vita, gli orari di presenza nel quartiere e soprattutto le loro geografie d’uso, ovvero i loro modi di fruire il quartiere. Dividendo la popolazione in componenti sociale è possibile distinguere due macro categorie: la prima definita come “gli stanziali”, che raggruppa coloro che sono radicati al territorio dall’abitare e dalle relazioni sociali di prossimità, mentre l’altra è quella definita da Martinotti dei “city users”, ovvero quelle persone che si spostano quotidianamente all’interno della città oppure provengono dall’esterno, per utilizzare servizi, caratterizzandosi così come consumatori temporanei. Del primo gruppo fanno parte gli abitanti, gli immigrati ed i commercianti. All’interno del secondo individuiamo invece, gli studenti universitari, i professionisti per lo più in ambiti creativi, ed i lavoratori. Gli abitanti occupano ovviamente le aree residenziali ed usufruiscono dei negozi di vicinato e degli spazi pubblici quali giardini, scuole… Le loro centralità sono quelle storiche delle piazza. Questa popolazione è quella che conserva la memoria storica e porta avanti la tradizione, allargandosi però a nuove componenti provenienti dall’esterno e che esprimono nuove e differenti esigenze. Molti di essi sono anche i commercianti o artigiani che lavorano all’interno del quartiere. Le zone dove più si concentrano diventano dei poli catalizzatori della dimensione locale, ancora organizzata con servizi di vicinato, dov’è possibile instaurare rapporti di conoscenza personale tra negoziante e clienti. Gli immigrati si collocano principalmente nella parte marginale, puntando sul commercio, soprattutto sulla ristorazione; le loro attività diventano i veri e propri centri di aggregazione per le comunità immigrate. La loro presenza è molto visibile, ad esempio attraverso i cartelli multilingue appesi alle entrate delle scuole di quartiere. Essi sembrano utilizzare in modo intensivo e preponderante gli spazi pubblici del quartiere, andando a sostituire i fruitori tradizionali o affiancandosi ad essi. Gli studenti sono per la maggior parte pendolari, che frequentano il quartiere solo di giorno, e senza utilizzarlo interamente; arrivano per lo più con il treno e si recano lungo percorsi quasi obbligati verso il Campus. La minoranza che invece decide di stabilirsi in zona, è spinta verso questa scelta per la vicinanza con il Campus e per i prezzi più contenuti delle abitazioni. Per gli studenti in generale, si sono sviluppate lungo le vie che conducono al Campus, tutta una serie di servizi complementari allo studio, dalle copisterie alla ristorazione take away. I professionisti sono stati richiamati dalla Bovisa dal basso prezzo degli immobili industriali, convertiti in atelier e loft, e dalla presenza di importanti istituzioni culturali, come il Politecnico e la Triennale Bovisa. Gli studi sono sparsi all’interno del tessuto storico residenziale, ma non sono visibili; gli stessi abitanti non conoscono molte delle realtà esistenti, forse perché queste non sono integrate con il quartiere. L’unica occasione di incontro e di dialogo reciproco è rappresentata dall’evento del Fuorisalone Bovisa che apre gli spazi creativi e crea percorsi interni al quartiere, attirando anche molti visitatori esterni. I lavoratori, infine, sono una categoria in rapida espansione, poco legati al quartiere, se non durante la pausa pranzo. Le aree che frequentano sono spesso marginali, se non addirittura isolate, come il triangolo a nord della stazione Bovisa. 173 79. Foto. Uscita del Politecnico, gli studenti vanno e vengono dalla stazione. La loro creatività si è espressa nel modificare l’attraversamento pedonale, secondo le loro esigenze. 174 Campus Durando Polo catalizzatore di un nuovo quartiere Nel 1989 il Politecnico di Milano, che allora aveva sede soltanto in piazza L. da Vinci, decise di insediare un reparto della facoltà di Ingegneria nel capannone dell’ex Fbm Costruzioni Meccaniche in Via Lambruschini. Negli anni successivi decise di occuparsi della totale ristrutturazione dello stabilimento dell’ex Ceretti&Tanfani (azienda specializzata nella costruzione di meccanismi di sollevamento e trasporto di merci e persone) in Via Durando, per farne la sede della facoltà di Architettura. Sin dai primi anni, circa 3000 ragazzi - i giovani tornano in quartiere! - occupano ogni giorno il deserto delle rovine industriali, nel quale l’antico grigiore è stato in parte sostituito sia dal rosso-giallo-blu degli edifici universitari, sia da spazi verdi. Vecchie opere metalliche arredano il Campus, come fossero sculture di oggi, tracce di una modernità che si evolve. Una nuova realtà, in cui nella modernità si ingloba e fissa la memoria. Il Campus di Via Durando ospita, oltre alla facoltà di Architettura, anche quella del Design e di Ingegneria: laboratori, dipartimenti, aule, biblioteche per un totale di 12.000 persone ed un indotto di piccole attività di servizio all’università, sviluppatosi a ridosso del tessuto abitativo limitrofo. Durante tutto il processo di insediamento si sono ottimizzate le forme di integrazione territoriale, in modo che il quartiere prendesse coscienza del suo nuovo ruolo di area destinata ai giovani, alla creatività ed alla ricerca. 175 L’area di progetto Un campus per tutti L’area di progetto si trova all’interno del campus del Politecnico; un grande terreno, per anni inaccessibile, che da pochi mesi è stato restituito agli studenti e agli abitanti della Bovisa. Il progetto prevede la realizzazione di un orto urbano e di un area sportiva, con l’intento di coinvolgere non solo gli studenti, ma anche la comunità del quartiere che fino ad ora non ha avuto la possibilità di usufruire del grande spazio via Du rando 10 i vi a An dre ol v ia C a n d ia n i pubblico del Campus Bovisa. Il terreno ha un estensione di circa 10.000 mq, ed è caratterizzato dalla presenza di riufiuti inerti derivati dai lavori di riqualifica degli edifiici del campus. Si è riscontrato inoltre un inquinamento da metalli pesanti, eredità della precedente fabbrica Ceretti&Tanfani. Per questi motivi nell’area dedicata all’orto urbano si prevedono interventi di bonifica e l’utilizzo di terreno di riporto. 2. Schema grafico pagina accanto. Focus sulla Bovisa e sull’ubicazione del Campus Durando rispetto al quartiere 3. Schema grafico in alto. Localizzazione dell’area di progetto rispetto all’intero Campus. Sono segnate anche le altre aree verdi presenti. 80. Immagine. Visualizzazione dell’intervento. dello spazio Gli elementi progettuali del prossimo capitolo sono stati realizzati con la collaborazione del team di progetto di Coltivando-orto conviviale: Alessandro Sachero Gustavo Primavera 177 Processo e sviluppo “Many things grow in the garden that were never sown there.” ~Thomas Fuller, 1732 ~ 178 Obiettivi Spazio aperto a tutti per coltivare e condividere SPAZIO PUBBLICO APRIRE IL CAMPUS QUARTIERE BOVISA ponte tra due realtà 4. Schema grafico. Obiettivi del progetto ColtivandoOrto conviviale al Politecnico 5. Schema grafico pagina accanto. Metodologia di siluppo del progetto Coltivando-Orto conviviale al Politecnico COLTIVARE IMPARARE INSEGNARE CONDIVIDERE orto collettivo workshop workshop aree comuni 179 Metodologia Passi necessari per la realizzazione del progetto FORMAZIONE COMUNITÀ progettazione partecipata realizzazione orto manutenzione orto TEAM PROJECT RICERCA E ANALISI CO-DESIGN WORKSHOP coordinamento e sviluppo del progetto analisi casi studio confronto interno con il Politecnico coinvolgimento attori incontro di progettazione aperto PROGETTAZIONE “SISTEMA ORTO” applicabile ripetibile autogestibile modificabile ampliabile 180 Creazione della comunità Comunità interna e comunità esterna a comfronto La comunità dell’orto comunitario sarà costituita sia dai membri interni alla realtà accademica che dagli abitanti della Bovisa o altre persone interessate al progetto. Dato il tipo di progetto, si è deciso di coinvolgere fin dalle prime tappe di sviluppo tutti i potenziali giardinieri. Sono state organizzati dei momenti di condivisione e dibattito del progetto, aperti a tutti gli interessati. La prima giornata è stata dedicata alla comunità interna, soprattutto ai docenti e a tutti i ricercatori del Politecnico coinvolti in progetti legati a tematiche di sostenibilità. Si voleva condividere il percorso fatto fino a quel momento, cercare in loro un supporto, analizzare insieme problematiche e criticità grazie all’eterogeneità di conoscenze possedute dai partecipanti. 81. Foto. Workshop con i possibili giardinieri al Politecnico di Milano, giugno 2012 Nei mesi successivi sono state organizzate delle giornate di co-progettazione aperte proprio a tutti: abitanti della Bovisa, studenti, docenti, responsabili di altri orti urbani milanesi, rappresentanti delle amministrazioni locali. Durante le ore trascorse insieme, oltre alla presentazione dello stato del progetto, sono state proposte delle attività di co-progettazione, in cui si invitavano tutti ad esprimere le proprie idee, perplessità, dubbi sull’iniziativa, sia a livello di sistema sia in relazione alla vera e propria costruzione dell’orto. Il riscontro avuto è stato positivo, hanno partecipato potenziali giardinieri di tutti i tipi, sia esperti, sia principianti, bambini, adulti e anziani. L’interesse e l’entusiasmo non mancano, la gente è pronta a darsi da fare. Si pensa nel futuro di realizzare un’altra giornata, in modo da tirare le fila del progetto con i partecipanti in modo da poter arrivare a creare una vera e propria comunità. pagina 182 Brand Concept Il nome scelto per il progetto ´è COLTIVANDO - ORTO CONVIVIALE al Politecnico di Milano. Per il nome del progetto si voleva un solo termine, che fosse immediato e coniugasse i valori insiti al progetto; dopo una fase di brainstorming si è giunti a scegliere ‘Coltivando’, perchè: COLTIVARE 107: 1. Riferito a un terreno o piante, render fruttifero on particolari cure (lavoro, concimazione, ecc.): c. l’orto, c. su vasta scala. 2. Fig. Praticare, seguire con particolare impegno (ma non esclusivamente): c. la caccia, la musica; anche: c. l’amicizia, il senso del dovere; c. una persona, circuirla di premure e d’attenzioni per cattiversene la simpatia. 107 Definizione tratta dal dizionario della lingua italiana Oli Devoto dalla definizione di ‘coltivare’ emerge il valore contenutistico del termine: a partire dall’accezione botanica fino ad arrivare quelle figurate, vengono espresse le caratteristiche del Polimi Community Garden, e rimane aperto a nuovi input. un verbo esprime un’azione; coniugato al gerundio semplice ne sottolinea il valore attivo e lascia aperto il soggetto: la possibilità di un soggetto generico esprime un senso di inclusione e partecipazione (può essere un singolo, tanti, un gruppo...), mentre la forma attiva rappresenta il coinvolgimento in prima persona del soggetto; il gerundio, inoltre, ha in sé un’idea di contemporaneità e di azione in divenire. Coltivando viene poi definito dal sottotitolo Orto Conviviale al Politecnico di Milano , relazionandosi a diversi livelli con ogni parola: coltivare un orto: la parola orto definisce l’oggetto concreto del progetto, inglobando dentro di sè tutti quei concetti collaterali che distinguono lo spazio; non è solo uno spazio verde, all’aperto, ma un luogo di produzione in divenire, che ripropone uno stile di vita sano e sostenibile. coltivare relazioni: con il termine conviviale si manifesta l’idea di collettività, di un luogo in cui si ritrovano tutti coloro che vogliono condividere una passione, un’esperienza, un’idea... coltivare idee: l’università, in particolare la scuola di architettura e la scuola del design, si pongono come fucine di idee, di conoscenza. 183 Verde C 0 M 0 Verde Y K 0 100 Bianco C 0 M 0 C M 78 5 Y K 58 0.1 Bianco Y 0 K 0 C 0 M 0 Y 0 K 0 ORTO CONVIVIALE ORTO CONVIVIALE Politecnico di Milano Politecnico di Milano Schema in alto. Combinazione dei colori scelti per il logotipo. ORTO CONVIVIALE ORTO CONVIVIALE Politecnico di Milano Politecnico di Milano Schema in basso. Visualizzazione del logotipo, in versione bianco e nero e con l’utilizzo del colore scelto per il brand. Due sono le versioni: logotipo su sfondo bianco o su sfondo del colore prescelto. 184 Brand Logotipo coltivando Si è scelto di realizzare un logotipo - il trattamento tipografico applicato al nome dell’orto comunitario del Politecnico di Milano - e non da un marchio. Il logotipo è costituito dal nome vero e proprio ‘Coltivando’ ed un sottotitolo che esplicita il progetto ed i suoi valori. coltivando Unico elemento grafico è il puntino della ‘i’: è stato modificato fino a fargli assumere la forma di una foglia molto stilizzata. Il logotipo è stato disegnata a partire da uno dei font utilizzato per tutta la comunicazione: Aux Pro, a cui sono state determinate modifiche, come l’arrotondamento del bastone della n e l’eliminazione delle grazie di l, t, a, d. 185 Brand Specifiche del logo 50 5 10 5 30 Aux Pro modificato, ORTO CONVIVIALE Aux ProBold maiuscolo, 11.85 pt Aux ProMedium minuscolo, 9.25 pt 5 Politecnico di Milano Circonferenza Ø 4.2 mm Linea spessore 1.3 pt Aux ProMedium minuscolo, 11.85 pt 186 Brand Tipografia Schema grafico. Rappresentazione delle quattro declinazioni del font Aux Pro utilizzate per caratterizzare il brand. Questo font è usato, oltre che nel logotipo, anche il tutti i format di comunicazione per titoli o scritte che debbano essere immediate e di particolare rilevanza. Aux Pro Aux Pro Medium abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , .* / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ Aux Pro Bold Aux Pro Italic abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ 187 Brand Tipografia Sentinel Book Sentinel Medium abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ Sentinel Bold Sentinel light italic abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 0123456789 !? ; : , . * / \ ( ) [ ] -+#&%@$£ Schema grafico. Rappresentazione delle quattro declinazioni del font Sentinel utilizzate per caratterizzare il brand. Questo font è usato per il corpo dei testi, didascalie, note. 188 Gli elementi progettuali del prossimo capitolo sono stati realizzati con la collaborazione di Gustavo Primavera 189 Modello di servizio “Cibo sano e biologico, a costo zero, per soci che cooperano.” 190 Sistema e attori Relazione tra tutti i partecipanti al progetto Realizzare un orto comunitario è un processo complesso, che coinvolge molti attori. A partire dal team di progetto, ci si estende verso tutti coloro che all’interno del sistema universitario sono chiamati a parteciparvi: dipartimenti semsibili alla tematica, uffici di logistica e di amministrazione che sono soliti occuparsi dell’organizzazione del Politecnico e degli eventi o iniziative che si vogliono realizzare. Essendo un orto aperto alla comunità è fondamentale coinvolgere gli abitanti del quartiere e tutti coloro che sono interessati. Essi sono, infatti, coloro che usufruiranno del servizio, e lo manterranno in funzione partecipandovi attivamente. 6. Schema grafico. Rappresentazione di tutti coloro che sono coinvolti nel progetto, ralazionati a secondo del loro grado di coinvolgimento. Dato che il progetto verrà realizzato in uno spazio anche di proprietà del Comune di Milano, l’amministrazione locale avrà un ruolo nel sistema. In genere, chi si occupa di iniziative a livello di quartiere sono le circoscrizioni, in questo caso la numero 9, responsabile di Bovisa, Dergano e Affori. Sponsor, finanziatori, sono ben accetti, soprattutto nel caso in cui l’orto volesse espandersi. Anche in occasioni o eventi, di portata più ampia, sarebbe necessario l’appoggio di esterni: esperti, organizzatori di eventi, promotori... Nel momento in cui Coltivando - orto conviviale verrà realizzato sarebbe necessario che si relazionasse in modo costante con gli altri orti comunitari della città. Milano possiede una rete di orti molto attiva, che permette alle diverse realtà non uno scambio di sole informazioni, ma anche aiuti concreti in caso di necessità. COMUNITÀ LOCALE CIRCOSCRIZIONE DI ZONA 9 COMUNE MILANO MEMBRI COMUNITÀ ESTERNA COORDINATORE GENERALE FINANZIAMENTI NETWORK ORTI COMUNITARI MILANO SPONSORS COLTIVANDO MEMBRI COMUNITÀ INTERNA .......... .......... STUDENTI .......... .......... INDACO .......... NUTRIRE MILANO DIS DHOC .......... DESIS HUMAN CITIES GRUPPI RICERCA INTERNAZIONALI 192 System map Relazioni necessarie per l’implementazione e lo sviluppo dell’orto Come emerge nello schema della pagina precedente, sono molti gli attori coinvolti nel sistema. Tra ognuno di loro si instaurano delle relazioni di diverso tipo, in cui vi è uno scambio di elementi diversi: Informazioni: di qualsiasi genere; è fondamentale per lo sviluppo del progetto che la comunicazione sia costante ed efficiente. Mano d’opera: ore di lavoro effettivo; non esclusivamente nella costruzione dell’orto e nella coltivazione, ma ognuno può mettere a disposizione le sue capacità - amministrative, logistiche, di comunicazione, ecc. - al servizio della comunità. Economico-monetario: per il progetto, oltre ad un finanziamento iniziale saranno necessari dei fondi per lo sviluppo e la manutenzione. Materiale: tutto ciò che è necessario per la costruzione e per il mantenimento dell’orto. 7. Schema grafico. Rappresentazioni di tutte le connessioni che vi sono tra gli attori Educativo: essendo un orto universitario, vuole essere uno spazio educativo, a diversi livelli; si potrà imparare a coltivare, ma anche a costruire, trasformare, riciclare, e intraprendere così un percorso verso un nuovo stile di vita sostenibile. INFORMAZIONE MANO D’OPERA ECONOMICO EDUCATIVO MATERIALE SOCI COMUNITÀ SPONSORSHIP CONSIGLIO MANAGERIALE COORDINATORE MEMBRI INTERNI MEMBRI ESTERNI WEBSITE WORKSHOPS GRUPPI INTERNAZIONALI DI RECERCA DEL DESIGN FINANZIAMENTI CIRCOSCRIZIONE ZONA 9 194 System map Lavoro comune per il successo del sistema Il servizio proposto è un orto comunitario. Il sistema si configura come un insieme di soci chiunque può diventarlo - che interagiscono per creare un bene comune. Il promotore è il Politecnico di Milano, che patrocina il progetto, mettendo a disposizione uno spazio all’interno del Campus e nominando un coordinatore; tale figura è fondamentale, dato che si occuperà di gestire il sistema, coordinare tutte le attività e di mettere in comunicazione tutti gli attori coinvolti. L’orto, essendo comunitario, non prevede la presenza di lotti di terra ad uso individuale; il sistema prevede che tutti lavorino nell’orto dedicando alcune ore di lavoro settimanale per lo svolgimento delle attività previste nel momento in cui si è disponibili. Il coordinatore, in base alle attività specifiche da fare di volta in volta, organizzerà le persone disponibili in turni. 8. Schema grafico. Rappresentazione del sistema Ci sarà sempre un compenso per il lavoro svolto, anche se varierà a seconda del momento dell’anno; nei periodi di produzione, i prodotti disponibili verranno distribuiti tra i soci, i quali riceveranno una cassetta alla settimana. Nei periodi in cui non vi sarà produzione, i soci potranno partecipare ad attività, workshop educativi, oppure avere a disposizione gli spazi comuni per organizzare eventi personali, trascorrere il proprio tempo libero... Il sistema organizzativo è democratico; pertanto non sarà il coordinatore a prendere le decisioni indipendentemente dai soci, ma regolarmente questi si incontreranno in un consiglio: insieme si faranno le delibere, si affronteranno le problematiche che si presentano, si troverranno soluzioni, si organizzeranno le attività extra, ecc. 195 COLLABORATORE INTERNO PROMOTORE MEMBRO COORDINATORE COORDINATORE & REPRESENTANTI GESTIONE GENERALE CONSIGLIO MANAGERIALE 1h LAVORO SETTIMANALE COMUNITÀ COLTIVANDO BENEFICIO ATTIVITÀ FONDAMENTALI BASICHE E SPECIFICHE CASSETTA ORTAGGI SETTIMANALE A PERSONA 196 Ore di lavoro - compenso 20 SOCI 40 SOCI 9. Schema grafico. Schema di massima sul rapporto tra il numero di partecipanti, le ore di lavoro che ognuno dovrebbe mettere a disposizione e compenso individuale ricevuto. Dati forniti da Paolo Bolzacchini, Slow Food 80 SOCI 2,5h 2 kg di lavoro settimanale per persona cassetta piccola per persona 2h 3 kg di lavoro settimanale per persona cassetta media per persona 1h 4 kg di lavoro settimanale per persona cassetta grande per persona 197 Attività Cosa fare? Quando? Per il funzionamento dell’orto è stato tracciato un elenco delle attività di base che bisogna svolgere. Sono raggruppate per tipologia: Settimanali e mensili: attività da svolgere con una regolarità, che vanno programmate mese per mese. Gestionali: sono tutte quelle attività logistiche, di amministrazione, necessarie per corretto funzionamento del sistema. Stagionali: sono attività soprattutto di giardinaggio e manutenzione, necessarie affinchè gli spazi siano sempre in ordine. Giardinaggio: si intendono tutte le attività legale alla coltivazione. Manutenzione: sono le attività che servono per mantenere lo spazio in ordine e garantire un buon funzionamento del sistema. Netiworking: si intendono le attività per la comunicazione, sia tra i partecipanti, tra soci e Politecnico ma soprattutto con il mondo esterno. Le attività descritte sono quelle di partenza, con il procedere è possibile che ci si renda conto che ne sono necessarie delle altre, che qualcuna vada modificata - dal punto di vista della scadenza. La figura che si occuperà di tracciare un calendario e del controllo dello svolgimento delle attività sarà il coordinatore. Conosco gli orti comunali, mi piace ascoltare la gente e credo di essere un buon mediatore. Desidero un lavoro con possibilità di crescita professionale in un contesto accademico. Le attivitità sono poi suddivise secondo delle scadenze temporali: Quotidiane: sono le mansioni che vanno svolte giorno dopo giorno, che con i diversi turni i soci sovranno coprire. COORDINATORE 198 Regolamento La carta dell’ortista È stato stilato un regolamento, diviso in diverse sezioni: Sez I: Come diventare socio del programma? Chiunque può diventare socio, in accordo con il numero di persone che lo spazio può accogliere. Solo i soci attivi, ovvero coloro che si sono registrati e partecipano svolgendo le mansioni previste, possono usufruire dei benefici. Sez II: Cosa si intende per cooperazione? Il sistema per funzionare ha bisogno del contributo di tutti: ognuno deve rispettare il proprio turno, se vuole farne di extra è ben accetto. Una cooperativa è una associazione di persone che si uniscono volontariamente per raggiungere degli obiettivi economici, sociali, culturali secondo un sistema gestionale democratico 107 107 Joe Holtz, General Manager and Founding Memer of Park Slope Food Coop Sez IV: Come è si organizza il lavoro? Tutti faranno tutto, organizzati in squadre ognuna delle quali si prenderà cura di alcuni spazi, aiuole; essendo i gruppi eterogenei coloro che hanno più conoscenze dovranno aiutare i principianti, in modo che ci sia uno scambio di informazioni e capacità. Lavorando in gruppo si abbattono le barriere tra le persone, creando così una comunità di persone che si supportano a vicenda. In caso non si possa adempiere ai propri compiti bisogna avvisare il coordinatore e trovare qualcun altro che lo sostituisca oppure fare un turno di recupero in modo da poter usufruire dei benefici. Se non si avvisa, non si trova un sostituto o non viene recuperato il turno per due volte consecutive si verrà sospesi. Per venire riabilitati bisognerà fare dei cicli di turni senza alcun compenso. Sez V: Assenze prolungate In caso non si possa partecipare attivamente per più di quattro settimane è necessario avvisare il coordinatore, ed ovviamente in quel periodo non si potrà usufruire dei benefici. Nel momento del reintegro si tornerà a lavorare con la squadra di appartenenza ed il sistema continuerà come in precedenza. Per assenza prolungate, senza preavviso non si è più soci di Coltivando-orto conviviale. Sez. VI: Bambini a Coltivando I bambini sono i benvenuti, ma sempre accompagnati da un adulto che si occupi di loro per motivi di sicurezza. I ragazzi tra i 14 ed 18 anni possono lavorare con il permesso dei genitori. Sez. VII: Worshop ed eventi Nel momento in cui si diventa soci bisognerà frequentare un corso di formazione. Nel caso non siano in programma dei corsi nel mese successivo si affiancherà un socio esperto il quale provvederà ad illustrare le attività da eseguire e come. Stagionalmente saranno organizzati dei workshop per l’apprendimento delle mansioni specifiche. Dopo aver seguito i due corsi di formazione e lavorando attivamente nell’orto per una stagione si diventerà un socio esperto. A Coltivando si organizzeranno degli eventi a tema, coerenti con lo spirito ed i valori del progetto. Tutti i soci potranno partecipare ed anche potenziali nuovi membri. Sec VIII: Organi decisionali Coltivando è un sistema democratico. Perciò ogni mese, o in caso di necessità, sarà riunito il consiglio generale, l’organo decisionale, presieduto dal Coordinatore. È l’insieme dei rappresentanti –eletti dai soci - e dei responsabili delle squadre di lavoro. Il consiglio avrà potere decisionale in materia di coltivazione, organizzazione dei workshop e degli eventi straordinari, l’acquisto di materiali necessari, ecc. Sez IX: Distribuzione della produzione Il principale beneficio di ogni socio attivo è la cassetta di prodotti freschi, equamente distribuiti. con scadenze regolari queste verranno distribuite tra tutti. Per questo non è permesso coltivare o raccogliere prodotti individualmente. In caso di necessità particolari, allergie, intolleranze, problemi alimentari, si possono fare delle richieste al coordinatore in modo che la cassetta contenga prodotti ad hoc rispetto a specifiche esigenze. Sez X: La gazzetta dell’ortista È una pubblicazione che verrà distribuita a tutti i soci all’iscrizione e poi ogni due mesi per aggiornarli su avvenimenti, successi, novità, ecc. Chiunque voglia scrivere, mettere un’inserzione può farlo dato che è uno strumento di comunicazione tra tutti i soci. 199 200 LA CARTA DELL’ORTISTA 1 Chiunque può diventare socio di Coltivando, e solo i soci attivi possono percepire il compenso, una cassetta di prodotti coltivati nell’orto. 2 Ogni socio per essere attivo deve fare un turno a settimana – o ogni due settimane a seconda della quantità di iscritti attivi - al fine di beneficiare dei compensi. 3 Ogni membro attivo deve frequentare i corsi di formazione di base prima di poter svolgere in ogni tipo di attività. 4 Lo svolgimento di attività specifiche come la potatura, innesto e piantumazione richiede una formazione specifica. Si consiglia di frequentare i laboratori didattici stagionali per essere sempre aggiornati ed acquisire tutte le competenze necessarie per il giardinaggio! 5 Se sai che sarai assente è tua responsabilità trovare un altro membro che ti possa sostituire. Qualora non dovessi trovare un sostituto, informa il coordinatore e non riceverai la casella di quella settimana a meno che non si faccia un turo di recupero la settimana precedente o quella successiva. Con più di due assenze non segnalate si viene automaticamente sospesi. Per venire riabilitati, bisogna effettuare dei turni di lavoro senza compenso 6 Si prega di non raccogliere i prodotti per se stessi, dato che la cassetta verrà riempita con prodotti freschi equamente. 7 L’orto conviviale si basa sui principi dell’agricoltura biologica e di sostenibilità ambientale. Si invita ad utilizzare l’acqua in modo consapevole, ad evitare i pesticidi ed i diserbanti chimici. 8 È necessario rispettare il lavoro degli altri e assicurarsi che il giardino è sia ben accurato. Se si notano irregolarità bisogna segnalarle al coordinatore. 9 I bambini possono accedere all’orto conviviale, ma sempre sotto il controllo di un adulto. 10 Amiamo gli animali, ma per questioni di igiene non è possibile lasciarli liberi. La loro presenza non è proibita, ma bisogna tenerli sotto controllo. Il giardino è di tutti! 201 Progettazione di Coltivando 202 Layout Orto giardino e spazi collettivi rto Giardino convivia o i z le pa O Il progetto ha lo scopo di dare al quartiere ed agli studenti uno spazio sia per la coltivazione che per la socialità. Le due funzioni non saranno distribuite in modo separato, ma si susseguiranno andando a creare spazi di coltivazione collettiva e aree in cui trascorrere dei momenti all’aria aperta. L’area orto-giardino sarà più estesa, e comprenderà aree di coltivazione - sia di ortaggi e frutta, ma anche di piante aromatiche, fiori, erbacee per la fitodepurazine del terreno - ma anche aree laboratoriali e di servizio. L’area conviviale, invece, si configurerà sia per trascorrere il proprio tempo libero in uno spazio verde, ma potrà accogliere anche eventi di diverso tipo, sia organizzati da Coltivando che da singoli, come beneficio per il lavoro svolto per la comunità. S 203 Orto Giardino Coltivazioni Ortaggi to Giardino r O Frutti Aromatiche/officinali Fiori Fitodepurazione Spazi comuni Laboratori Capanno attrezzi Guardaroba/spogliatoio Compostaggio 204 Spazio conviviale Sdraio/amache Cucina Spazio Re la Spazio eventi toro Ris zio Sedute Sp a x a Labor torio Tavolo 205 Masterplan co-progettato Espressione delle idee progettuali della comunità Durante le giornate di coprogettazione con i potenzianli membri di Coltivando, è stata proposta un’attività per raccogliere informazioni su come i partecipanti vorrebbero l’orto; è stato chiesto ad ogni gruppo di disegnare il proprio spazio ideale, dislocando una serie di funzioni base che sono state segnalate dal gruppo di lavoro a cui si potevano aggiungerne altre in caso di necessità. È stato fornito uno schema che rappresentava un’area rettangolare di 600 mq, con raffigurate le caratteristiche principali dello spazio reale. In generale sono stati collocati due accessi all’area, uno su lato strada e un altro direttament e dall’università. Tutti i partecipanti hanno avuto l’idea di recintare lo spazio con l’utilizzo di elementi naturali, siepi, piante aromatiche, in modo da non dover introdurre barriere artificiali. Inoltre, dove la recinzione è già presente è stato espresso il desiderio di realizzare delle aiuole con siepi in modo da mascherarle dal lato del giardino e farsì che dall’esterno si veda uno spazio attrattivo. Gran parte delle coltivazioni sono state dislocate nella fascia a sud e lungo il perimetro orientale. Lungo la recinzione ad ovest, a ridosso a dei container esistenti sono state dislocati i servizi accessori al giardinaggio - capanno degli attrezzi, area compostaggio, spogliatoi, ecc. Tutti hanno espresso il desiderio di avere l’area conviviale al centro dello spazio, a nord rispetto al cumulo naturale con alberi, in modo che si crei uno spazio ombreggiato naturalmente. 206 Orto - giardino Orto Aromatiche Compostaggio Capanno attrezzi Spazio conviviale Spazio comune Tavoli collettivi Cucina Accesso 40 m 208 bib edi ingegneria Area di progetto L’area prescelta per la realizzazione dell’orto è collocata lungo il perimetro del Campus, in modo da facilitare l’accesso dal quartiere. Il progetto pilota prevede l’utilizzo di 600 mq coltivabili, con possibilità di espansione negli anni successivi all’implementazione, fino ad andare a coprire tutta la fascia sud-est. accesso carrabile dal quartiere accesso pedonale dal Campus 209 210 Schema grafico. Rappresentazione della dislocazione delle diverse funzioni nell’area di progetto Masterplan 211 Assonometria Area coperta-pergola Depostito - guardaroba Accesso dal Campus Capanno attrezzi Confine - sedute Raccolta acqua piovana Bancale 1m x 3m Ortaggi Cassone triangolare 2m x 2m Piante aromatiche Parete verticale Fiori Cassone 1m x 1m Alberi da frutto 213 Riferimenti 214 Bibliografia Il cibo Jean Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, Torino, 2002 Andrea Calori (a cura di), Coltivare la città – giro del mondo in dieci progetti di filiera corta, Terre di Mezzo Editore, Milano, 2009 Gabriela Cistino, Sara Furlani, Food Decoding. Il cibo dalla percezione al senso, Politecnico di Milano, Rel. Marco Maiocchi, a.a. 2009-10 Maura Franchi, Il cibo flessibile: nuovi comportamenti di consumo, Carrocci, Roma, 2009 Alessandra Guigoni (a cura di), Foodscapes – stili, mode e culture del cibo oggi, Polimetrica Robert Klaten, Delicate: new food culture, Gestalten, Berlino, 2011 Stefano Maffei, Barbara Parini, Food Mood, Electa, 2010 Massimo Montanari, Cibo come cultura, Laterza, 2004 Davide Paolini, I luoghi del gusto – cibo e territorio come risorsa di marketing, ed. Baldini & Castoldi, 2000 Raj Patel, I padroni del cibo, Feltrinelli, 2009 Franca Roiatti, La rivoluzione della lattuga. Si può riscrivere l’economia del cibo?, Egea, 2011 Eleonora Concetta Torrisi, Una magica alchimia, il cibo e la sua rappresentazione in Cinema, Tv e Design della Comunicazione, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Rel. Walter Mattana, a.a. 2009-10 Gli orti comunitari Maria Bussola, L’orto diffuso. Dai balconi ai giardini comunitari, come cambiare la città coltivandola, Orme Edizioni, Roma, 2012 Stefano Boeri, John Palmesino, Giovanni La Varra, Gli spazi pubblici sono delle fiamme. Note per una interpretazione propensionale dei territori della città contemporanea, in Paesaggio Urbano, n° 3, 1997 Silvia Cetorretta, Coltivare la città, il design nell’orto domestico, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Rel. Flaviano Celaschi, a.a. 2009-10 Silvia Cioli, Luca D’Eusebio, Andrea Mangoni, Come fare un orto o un giardino condiviso, Terre di Mezzo, Milano, 2012 EMUDE, Emerging User Demands for Sustainable Solutions, 6th Framework Programme (priority 3-NMP), European Community, internal document, 2006 Anna Meroni, Creative Communities. People Inventing Sustainable Ways of Living, Edizioni Polidesign, Milan, 2007 Cecilia Panerai, Nicole Personnettaz, Co-Working. Il verde edibile tra città e campagna, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Rel. Luigi Chiara, Correlatore Luca Salmoiraghi, a.a. 2009-10 Manzini, Vezzoli, Clark, Product-service Systems: Using an Existing Concept as a New Approach to Sustainability, in The Journal of Design Research, 2001. Pierluigi Nicolin, Lotus in the fields, in Lotus n° 149, Editoriale Lotus, 2012 Franca Roiatti, La Rivoluzione della lattuga, Egea, Milano, 2012 Sanders, Stappers, Co-creation and the new landscapes of design, 2008 Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012 Richard Sennett, Il declino dell’uomo pubblico, Bompiani, 1982 Josep M. Vallès, Urbi et Orti. L’orto urbano: manuale di coltivazione ecologica su balconi e terrazze, Nuovi Equilibri, Viterbo 2010 215 216 Riferimenti web Il cibo _ Articolo: ci sono cibi femminili e cibi maschili, luglio 2005 http://www.stampa.cnr.it/documenti/agenzie/2005/Lug/7_lug_05_4.htm _ Juan Mari Arzak, Feeding the sense http://www.design.philips.com /philips/sites/philipsdesign /about /design /designnews/ newvaluebydesign/february2010/feeding_the_senses.page www.tuttofood.it www.restaurant-trasversal.com www.mulinobianco.it/colazioneitaliana www.thefatduck.co.uk www.theghet.com www.worldwidefred.com 217 Gli orti comunitari http://www.designinnovation.ie/blog/index.php http://www.cityfarmer.info/category/city-farmer/ http://communitygarden.org/learn/ http://it.paesaggioix.wikia.com/wiki/Orti_urbani http://www.lens.polimi.it/ http://www.discoversocialinnovation.org _ Fermenti di Terra, Roma http://www.fermentiditerra.it _ Grow The Planet, social network dedicato agli orti urbani http://beta.growtheplanet.com/index.php/it _ Gruppi di acquisto solidale (Gas) http://www.retegas.org _ Horticity, promozione di orti urbani nel nord e nel sud del mondo http://www.horticity.it/wordpress _ Indagine Coldiretti sugli orti urbani http://www.ambienteterritorio.coldiretti.it/tematiche/Urbanistica-Territorio-Paesaggio/Pagine/ Ortiurbanieguerrillagardenind.aspx _ Orto diffuso, mappatura di orti e giardini comunitari di Milano http://ortodiffuso.noblogs.org _ Rete nazionale orti e giardini condivisi Cog http://www.facebook.com/groups/rete.ortiegiardinicondivisi _ Trame Urbane, Bologna http://trameurbane.noblogs.org/post/2011/08/11/coltivare-rapporti 218 Indice delle immagini Il Cibo 1. Immagine tratta da Bianca, film di Nanni Moretti, 1984 - pag. 14 2. Eataly, evento educativo per bambini, Torino, 2010 - pag. 20 3. Eataly, banco del pane, Torino, 2007 - pag. 21 4. Eataly, banco di frutta e verdura, New York - pag. 21 5. Mulino Bianco, campagna pubblicitaria ‘Colazione all’italiana’, 2012 - pag. 28 6. Mulino Bianco, campagna pubblicitaria ‘ Colazione all’italiana’ su carta stampata, 2012 - pag. 28 7. Mulino Bianco, valori aziendali, report annuale, 2012 - pag. 29 8. Immagine tipica dell’italianitá: Totó che mangia un piatto di spaghetti - pag. 31 9. Peopleskitchen, esperimento culinario, Amsterdam, 2006 - pag. 36 10. Peopleskitchen, allestimento dello spazio, Amsterdam, 2006 - pag. 37 11. Peopleskitchen, laboratorio di cucina, Amsterdam, 2006 - pag. 37 12. Peopleskitchen, momento conviviale, Amsterdam, 2006 - pag. 37 13. Mia Market, poster di un evento, Roma, 2010 - pag. 38 14. Mia Market, laboratorio di cucina, Roma, 2011 - pag. 39 15. Mealing, disposizione degli utensili dell’evento Performa n.9, New York, 2009 - pag. 40 16. Mealing, dettaglio dell’utensile dell’evento Performa n.9, New York, 2009 - pag. 40 17. Mealing, sketch dell’allestimento dello spazio per Performa n.9, New York, 2009 - pag. 41 18. Mealing, evento Performa n.9, New York, 2009 - pag. 41 19. Fotografia di John Reardon, Last Dinner, National portrait Gallery, Londra, 2006 - pag. 54-55 20. Small Entitiens, Marco Maggioni - pag. 58 21. Food for the Future- how food change our furute, manifestazione di Fooda - pag. 59 22. On ne se moque pas des autres á table, gioco sugli atti del mangiare, C. Brocard, 2007 - pag. 60 23. On n’utilise pas son voisin de tabledes autres á table, C. Brocard, 2007 - pag. 61 24. Jeux Cuisine, logo del progetto - pag. 61 25. On ne gene pas son voisin de table, gioco sugli atti alimentari, C. Brocard, 2007 - pag. 61 26.Funera Dinner, Marije Vogelzang - pag. 62 27. Funera Dinner, Marije Vogelzang - pag. 63 28. Gattò - robe & cucina, vetrina, Milano - pag. 68 29. Fioraio Bianchi, vista dell’interno, Milano - pag. 69 30. Vegetable Orchestra, il gruppo musicale intento a realizzare i propri strumenti musicali - pag. 72 31. Unser Land, logo, Germania, 1994 - pag. 75 32. Fraich’Attitude, sequenza di uno degli eventi, Parigi, 2004 - pag. 76 33. Fraich’Attitude, calendario dei frutti e degli ortaggi - pag. 77 34. Guerrilla Cuisine, manifesto - pag. 79 35. Guerrilla Cuisine, evento, Oakland, 2007 - pag. 79 219 220 Gli orti comunitari 36. Sketch sull’utilizzo dello spazio pubblico da parte di una comunità creativa - pag. 95 37. Collectif Etc, Détournez, Strasburgo - pag. 96 38. Collectif Etc, Détournez, momento educativo per bambini, Strasburgo - pag. 97 39. Collectif Etc, Détournez, muro conviviale - pag. 97 40. Prostoroz, City Garden, Ljubljana, 2004 - pag. 98 41. Prostoroz, Passage Flower, Ljubljana, 2004 - pag. 99 42. Prostoroz, Green Landscape, Ljubljana, 2004 - pag. 99 43. Raumlabor, Emma Community Garden - pag. 101 44. Esterni, Riqualifica Parco della Resistenza, Milano - pag. 103 45. Esterni, Riqualifica Parco della Resistenza, spazio conviviale, Milano - pag. 103 46. Hort Bé, manifesto dell’evento per il primo anniversario, Barcellona - pag. 110 47. Giardino degli Aromi, momento di costruzione collettiva, Milano - pag. 113 48. Orti di Via Chiodi, vista degli spazi, Milano, 2011 - pag. 114 49. Orti di Via Chiodi, studenti all’opera, Milano, 2011 - pag. 115 50. Libere Rape Metropolitane, logo, Milano, 2010 - pag. 122 51. Articolo ‘Sit-in negli orti per fermare le ruspe’, Repubblica, 4 febbraio 2011 - pag. 123 52. Orto in Condotta, logo, Milano - pag. 131 53. Battery Park Farm, attività per bambini, New York, 2010 - pag. 132 54. Battery Park Farm, vista dello spazio, New York, 2010 - pag. 133 55. Metodo di coltivazione utilizzato nelle slums africane, Liveinslums - pag. 134 56. Brookwood Triangle, bambini che coltivano l’orto, Londra, 2007 - pag. 135 57. Articolo ‘Adottiamo il verde abbandonato, Repubblica, 3 dicembre 2011 - pag. 139 58. Orto in uno spartitraffico, Milano - pag. 141 59. Prinzessinnengarten, vista dello spazio prima della riqualificazione, Berlino - pag. 142 60. Prinzessinnengarten, vista dello spazio dopo la riqualificazione, Berlino - pag. 143 61. Prinzessinnengarten, vista dell’orto, Berlino - pag. 143 62. Place au Changement, vista di uno degli spazi conviviali, Saint- Étienne, Francia, 2011 - pag. 144 63. Place au Changement, vista dall’alto dello spazio, Saint-Étienne, Francia, 2011 - pag. 145 64. Place au Changement, evento serale, Saint-Étienne, Francia, 2011 - pag. 146 65. Place au Changement, momento di progettazione condivisa, Saint-Étienne, Francia, 2011 - pag. 147 66. Place au Changement, Faittes vous une place, Saint-Étienne, Francia, 2011 - pag. 148 221 Coltivando - orto conviviale al Politecnico di Milano 67. MACAO, Milano, maggio 2012 - pag. 158 68. Parco Trotter, bambini all’orto, Milano - pag. 159 69. MACAO, manifesto gruppo gardening, 2012 - pag. 160 70. Papaveri Rossi Precotto, vista dello spazio in inverno, Milano, 2011 - pag. 163 71. Papaveri Rossi Precotto, ripresa dei lavori di coltivazione, Milano, 2012 - pag. 163 72. Cascina Cuccagna, vista panoramica della cascina e degli spazi verdi attigui, Milano - pag. 165 73. Isola Pepe Verde, Manifesto di una giornata di lavoro collettivo, Milano, 2012 - pag. 166 74. Isola Pepe Verde, vista panoramica dell’area d’azione, Milano, 2012 - pag. 167 75. Isola Pepe Verde, opere di riqualifica di spazi urbani di risulta, Milano, 2012 - pag. 167 76. Politecnico di Milano, Campus Durando, vista dell’ovale, area verde, Milano - pag. 168-169 77. Bovisa, immagine storica del quartiere, Milano - pag. 170 78. Bovisa, nuova edilizia, Milano, 2011 - pag. 171 79. Bovisa, nuove strisce pedonali come espressione creativa degli studenti del Politecnico, Milano, 2011 - pag. 173 80. Politecnico di Milano, Campus Durando, vista dello spazio - pag. 174-175 81. Campus Durando, workshop con la comunità di Coltivando, Milano, giugno 2012 - pag. 181 222 Indice dei grafici Coltivando - orto conviviale al Politecnico di Milano 1. Localizzazione della Bovisa rispetto alla città di Milano - pag. 170 2. Localizzazione del Campus Durando nel quartiere Bovisa - pag. 174 3. Localizzazione dell’area di progetto all’interno del Campus Durando - pag. 175 4. Obiettivi del progetto Coltivando-Orto conviviale al Politecnico - pag. 178 5. Metodologia di siluppo del progetto Coltivando-Orto conviviale al Politecnico - pag. 179 6. Mappa degli attori, realizzata da Gustavo Primavera - pag. 191 7. System map, realizzata da Gustavo Primavera - pag. 193 8. System map 2, realizzata da Gustavo Primavera - pag. 195 9. Schema di funzionamento, realizzato da Gustavo Primavera - pag. 196