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La plastica tesori e opere da salvare

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La plastica tesori e opere da salvare
“La plastica: tesori e opere da salvare
Progettazione di un allestimento manutentivo per le
opere polimeriche”.
di
Michele Colucci
Estratto dalla tesi di laurea
in
Conservazione e restauro delle opere d’arte moderne e contemporanee
Accademia di Belle Arti di Napoli
2013
1
Alla mia famiglia
mio padre, mia madre e mio fratello
2
“E` corsa contro il tempo
Un tempo si pensava fosse eterna”
3
Indice
INTRODUZIONE
Pag.7
1. IL MATERIALE CHE HA RIVOLUZIONATO IL MONDO
1.0.1.
1.0.2.
1.0.3.
1.0.4.
1.0.5.
1.0.6.
1.0.7.
4
CHE COS’È LA PLASTICA
STORIA DELLA PLASTICA
IL DESIGN
L’ARTE CONTEMPORANEA
IL COLLEZIONISMO E LA NASCITA DEI MUSEI DELLA PLASTICA
I POLIMERI. CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE
MATERIALI NATURALI, SEMI-SINTETICI e SINTETICI
Pag.9
Pag.16
Pag.29
Pag.53
Pag.100
Pag.104
Pag.122
1.0.8. MATERIALI E TECNICHE DI PRODUZIONE
Pag.124
2. LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO
2.0.1. DEGRADO E ALTERAZIONE
2.0.2. METODI DI DIAGNOSTICA
2.0.3. ALCUNI ESEMPI DI DEGRADO DELLA PLASTICA
2.0.4. ALCUNI ESEMPI DI RESTAURO
2.0.5. LA CONSERVAZIONE
Pag.156
Pag.175
Pag.207
Pag.325
Pag.359
3. LA PROPOSTA ALTERNATIVA PER LA CONSERVAZIONE
3.0.1. VETRINE
3.0.2. AMBIENTI
3.0.3. ESEMPI DI APPLICAZIONE DEL SISTEMA MANUTENTIVO
Pag.380
Pag.383
Pag.401
4. CONCLUSIONI
Pag.461
5. BIBLIOGRAFIA
Pag.464
6. SCHEDE TECNICHE DEI PRINCIPALI MATERIALI POLIMERICI
Pag.470
5
INTRODUZIONE
IL MATERIALE CHE HA RIVOLUZIONATO IL MONDO
Questa tesi nasce dall’interesse rivolto ad un materiale che ha rivoluzionato la storia, la
vita e il modo di pensare dell’uomo: la plastica.
COS’È LA PLASTICA
La tesi affronta lo studio delle opere d’arte e degli oggetti di design realizzati in materiali
plastici, che sono ormai presenti in molti musei e considerati, alla stregua delle opere
d’arte ‘tradizionali’, quale patrimonio culturale dell’umanità.
Nel lavoro si sono affrontate problematiche relative agli allestimenti e alla conservazione
manutentiva sia delle opere d’arte che degli oggetti di plastica.
Esso si concentra, in modo particolare, sulla valorizzazione, la conservazione e la
limitazione del restauro (senza sottovalutare che spesso non è possibile ottenere una
buona conservazione senza un buon restauro).
La prima parte è stata dedicata alla definizione della plastica, fornendo informazioni
generali indispensabili per la conoscenza della materia, successivamente è presentata
una ricerca storica che parte dall’Ottocento per arrivare fino ai giorni nostri.
Si è cercato di costruire la storia dei vari materiali e del design inerente ai polimeri,
sottolineando l’importanza dei primi oggetti di produzione industriale italiani, che hanno
costituito un modello per il design mondiale.
Sono stati elencati artisti e movimenti che nel mondo dell’arte hanno usato in modo
pionieristico il nuovo materiale, dall’inizio del Novecento fino ad oggi, sottolineando
l’importanza del collezionismo e la nascita di veri e propri musei dedicati alla plastica.
Nei capitoli successivi vengono descritte le caratteristiche chimico-fisiche di questi
materiali, i processi di produzione, la classificazione e le principali tecnologie impiegate
per la loro lavorazione.
La seconda parte inizia con la descrizione della conservazione e del restauro di tali
materiali, illustrando alcuni processi di degrado riguardanti il loro stato fisico, chimico e
biologico e approfondendo i metodi di diagnostica e le problematiche della conservazione
grazie alla realizzazione di una documentazione fotografica dettagliata dei vari stati di
degrado.
Successivamente è stata approfondita la conoscenza della materia analizzando i fenomeni
di degrado al fine di comprendere il metodo di conservazione ideale.
Nella terza parte viene presentata la proposta di un sistema di conservazione manutentivo,
al fine di far durare il più possibile delle importanti testimonianze della nostra storia recente
che altrimenti sarebbero destinate all’autodistruzione.
La plastica, nel corso del tempo, ha raggiunto uno sviluppo eccezionale: le materie
plastiche si prestano davvero a mille usi. Il loro successo è dovuto a una combinazione
di proprietà che raramente si riscontrano in altri materiali: la plastica può essere rigida
o flessibile, leggera o pesante, trasparente o opaca e possiede anche proprietà isolanti.
Questi notevoli pregi uniti ai suoi bassi costi di produzione l’hanno portata a sostituire
rapidamente altri materiali.
La ragione della preferenza data ai materiali plastici sta soprattutto nella loro relativa
economicità, dovuta alla facilità di produzione attraverso metodi diversi ma sempre
industriali, e alla duttilità di applicazione, che ne ha consentito I’ uso nei più disparati aspetti
della vita contemporanea. Quasi tutti i momenti della vita quotidiana sono caratterizzati
dall’uso di plastica (es. telefoni, fax, computer, cd rom, film, aeroplani, automobili, oggetti
da sport, pitture, superfici di rivestimento, vestiti, utensili medici e protesi per la chirurgia
più avanzata).
Le plastiche sono costituite da polimeri, ossia grandi molecole composte da molte piccole
molecole definite monomeri, ciascuna attaccata alle altre con la stessa catena chimica.
Questi aggregati possono derivare da un processo artificiale, detto polimerizzazione, ma
esistono anche in natura, nella cellulosa, nelle proteine, nelle resine naturali, ad esempio,
che sono polimeri naturali.
I polimeri artificiali sono il prodotto ideale per una civiltà industriale standardizzata, perché
possono garantire la costanza di qualità nella produzione di un oggetto ed eliminano
l’intervento artigianale manuale. Essi possono essere confezionati su misura con
specifiche formule, azioni chimiche e configurazioni strutturali delle molecole per speciali
esigenze di produzione. I polimeri moderni sono tutti sintetici, derivati dagli idrocarburi
estratti dal petrolio, ma la situazione era molto diversa solo pochi decenni fa, quando
la produzione era orientata ai prodotti semisintetici a base di cotone, gomma naturale,
caseina, amido, zucchero di canna. Il nome dei polimeri deriva dalla sostanza da cui
sono derivati, ad esempio se derivano dall’etilene sono i polietileni, se dal propene sono
i prolipropilenici.1
1 Plart, Comunicare la cultura, servizi educativi del Plart, scheda di approfondimento N° 2, pp. 1-2.
6
7
IL TERMINE PLASTICA
I materiali polimerici sintetici e semisintetici, nell’accezione comune, vengono denominati
come “plastiche”, “materie plastiche” o “materiali plastici”, termini non propriamente idonei
da un punto di vista scientifico ma che indicano l’innegabile polimorfismo e la malleabilità
che li caratterizza.
“Il termine Plastica, infatti, che compare nella lingua italiana solo alla fine del Cinquecento,2
deriva dal latino plastĭca, che, a sua volta, deriva dal greco πλαστική τέχνη, che significa
appunto ‘plasmare, modellare, formare e figurare’ ed era utilizzato per indicare in senso
generale l’arte di modellare materie malleabili quali la creta o la cera.
È quindi chiaro come nel linguaggio corrente il termine di plastica, e successivamente
quello di materie plastiche e materiali plastici”3, sia stato scelto immediatamente per
della polimerizzazione di una quantità di molecole base (monomeri) per formare catene
anche molto lunghe. Si parla di omopolimeri se il monomero è unico, copolimeri se
il polimero è ottenuto da due o più monomeri diversi, e di leghe polimeriche se il
materiale è il risultato della miscelazione di due monomeri che polimerizzano senza
combinarsi chimicamente.
Un materiale plastico è in genere composto da molecole polimeriche di diversa lunghezza,
per cui è necessario conoscere la distribuzione dei pesi molecolari per determinare le
proprietà chimico-fisiche del materiale plastico in esame.
indicare questa nascente tipologia di materiali che permettevano di poter essere plasmati
in qualsiasi forma e spessore.
Quindi sono dette materie plastiche quei materiali artificiali con struttura
macromolecolare che in determinate condizioni di temperatura e pressione subiscono
variazioni permanenti di forma.
Si dividono in termoplastici, termoindurenti ed elastomeri. Le gomme, pur avendo
chimicamente e tecnologicamente molti aspetti in comune con le materie plastiche, non
sono normalmente considerate tali.
Termoplastiche: sono dette termoplastiche quelle materie plastiche che acquistano
malleabilità, cioè rammolliscono, sotto l’azione del calore.
In questa fase possono essere modellate o formate in oggetti finiti e quindi per
raffreddamento tornano ad essere rigide. Questo processo, teoricamente, può essere
ripetuto più volte in base alle qualità delle diverse materie plastiche.
Termoindurenti: sono un gruppo di materie plastiche che, dopo una fase iniziale
di rammollimento dovute al riscaldamento, induriscono per effetto di reticolazione
tridimensionale; nella fase di rammollimento per effetto combinato di calore e pressione
risultano formabili. Se questi materiali vengono riscaldati dopo l’indurimento non ritornano
più a rammollire, ma si decompongono carbonizzandosi.
Elastomeri: la loro caratteristica principale è una grande deformabilità ed elasticità;
possono essere sia termoplastici che termoindurenti.
Nella chimica, le materie plastiche sono generalmente il risultato
2 Morello, Castelli Ferrieri,1984.
3 Volli, 2003, pp. 105-111.
12
13
STORIA DELLA PLASTICA
I primi nuovi materiali apparsi dopo la scoperta dei metalli sono le materie plastiche
(polimeri). I primi polimeri artificiali sono stati prodotti tra la fine del XIX secolo e l’inizio
del XX secolo, trattando chimicamente i polimeri naturali per modificare le loro proprietà,
con lo scopo di produrre dei prodotti fisicamente stabili e modellabili.
Come sappiamo, i polimeri naturali sono stati usati per migliaia di anni, basti pensare alle
fibre di lana, di seta, di cotone e di lino.
La storia delle materie plastiche risale a poco meno di due secoli fa, al 1839, con la gomma
vulcanizzata. Il primo polimero naturale che l’uomo cercò di alterare chimicamente fu la
gomma. Inizialmente il lattice di gomma naturale era difficile da usare, nel 1820 Thomas
Hancock, in Inghilterra, scoprì che se la gomma veniva lasciata macerare, riscaldandola
e mescolandola con vari colori, poteva essere modellata secondo una grande varietà
di prodotti impermeabili, come tubi e segmenti, ma tali articoli non risultavano molto
resistenti. Nel 1839 l’americano Charles Goodyear, combinando il lattice (gomma naturale
estratta dalla corteccia di alcune piante) con diverse percentuali di zolfo, scoprì la gomma
vulcanizzata. Il risultato di questa mescola fu un materiale resistente ed elastico che,
a differenza della gomma naturale, non diventava appiccicoso con il caldo e duro con
il freddo. Goodyear, nonostante le difficoltà economiche, dedicò la sua vita allo studio
della “gomma elastica”. Dopo anni di tentativi ebbe l’intuizione di miscelare gomma e
polvere di zolfo, di riscaldarli e poi raffreddarli velocemente; la sostanza derivata si mostrò
elastica, impermeabile all’acqua, facilmente lavorabile e resistente. Thomas Hancock, un
inglese anche lui alla ricerca di questo nuovo materiale, vide un campione della gomma
di Goodyear, notò la presenza di tracce di zolfo, ripetette l’esperimento e lo brevettò nel
1843 appropriandosi della scoperta.4
Nel 1835 H. Regnault ottenne la prima sostanza basata sul principio della polimerizzazione,
il PVC.
Nel 1939 Charles Goodyear vulcanizzò la gomma scoprendo l’ebanite e si accorse che
aumentando la percentuale di zolfo nel lattice del 25-50% e sottoponendo la mescola ad
una prolungata vulcanizzazione si otteneva un materiale più rigido, scuro, lucente, molto
simile all’ebano, da cui prese il nome. Colorata di rosa fu usata per le prime dentiere;
Waterman la scelse per le penne stilografiche, fu utilizzata anche per le pipe in sostituzione
del legno e come materiale isolante.5
Nel 1844 F.Walton produsse il linoleum.
Successivamente, nel 1845/46, lo svizzero Frederick Schoenbein isolò il primo polimero
artificiale, il nitrato di cellulosa, da una miscela di cotone, acido solforico e acido nitrico. Il
suo aspetto era simile all’ambra.
Nel 1862 due industriali americani misero in palio 10.000 dollari per chi riuscisse a trovare
un sostituto dell’avorio per la fabbricazione di palle da biliardo, allora molto costose e
4 Plart, Comunicare la cultura, servizi educativi del plart, scheda di approfondimento N° 3, p.1.
5 Ibidem.
16
non sempre perfettamente sferiche. Li vinse Alexander Parkes6
(figura 01) che in Inghilterra sintetizzò il primo polimero
naturale, modificato utilizzando fibra di cellulosa estratta dal
legno e trattandola con acido nitrico, oli vegetali e nafta; questo
polimero, simile all’avorio, a cui diede il nome di parkesina,
poteva essere usato allo stato solido plastico o fluido, si
presentava rigido come l’avorio, flessibile, resistente all’acqua,
colorabile, opaco, lavorabile sia per stampaggio che per
compressione.
Nel 1869 analoghe sollecitazioni per la ricerca di nuovi
materiali spinsero negli Stati Uniti un giovane tipografo di
Starkey, John Hyatt7 (figura 02), a seguire le orme di Parkes
che, mischiando il polimero ottenuto da Parkes con la canfora,
ottenne un prodotto trasparente, flessibile e facile da modellare
che chiamò celluloide e che divenne presto la base delle prime
pellicole cinematografiche; tuttavia, però, la celluloide, aveva
l’inconveniente di essere estremamente infiammabile.
Attualmente l’unico prodotto in celluloide sono le palline da
ping-pong.
01. Alexander Parkes, inventore della
Parkesina (1862).
6
18391862 Alexander Parkes, nato a Birmingham nel 1831, fu cresciuto nel culto dell’ideologia
dell’invenzione, pur senza aver una formazione scolastica specifica nel campo della chimica e della fisica.
Era una condizione abbastanza comune a quel tempo. Parkes si occupò per qualche tempo della lavorazione
della gomma naturale, in un momento in cui in questo campo si facevano grandi passi avanti con la scoperta
della vulcanizzazione e delle prime macchine di lavorazione. Di qui il suo interesse per altre sostanze che
potessero dare risultati simili a quelli della gomma in alcuni impieghi sempre più richiesti dalle industrie.
Studiando il nitrato di cellulosa, ottenuto nel 1845 a Basilea da C.F. Schoenbein, Parkes ottenne un nuovo
materiale che poteva essere “usato allo stato solido, plastico o fluido, che si presentava di volta in volta rigido
come l’avorio, opaco, flessibile, resistente all’acqua, colorabile e si poteva lavorare all’utensile come i metalli,
stampare per compressione, laminare”. Con queste parole l’inventore descriveva la Parkesina, cioè un tipo
di celluloide brevettata nel 1861 in un foglietto pubblicitario diffuso nel 1862, in occasione dell’Esposizione
Internazionale di Londra dove furono esposti i primi campioni di quella che possiamo considerare, a buon
diritto, la materia plastica primigenia, capostipite di una grande famiglia di polimeri che oggi conta alcune
centinaia di componenti.
7 18701880 John Wesley Hyatt, così si chiamava, aveva letto a Albany, nello stato di New York, un bando di
concorso promosso dalla ditta Phelan and Collander, produttrice di palle da biliardo, nel quale si prometteva
un premio di diecimila dollari a chi avesse sviluppato un materiale capace di sostituire l’avorio nella
fabbricazione delle palle per biliardo, in quanto la materia prima naturale stava scarseggiando. A partire dal
1863 quindi Hyatt si buttò a capofitto nella ricerca dell’ “avorio artificiale” o comunque di un qualsiasi nuovo
materiale capace di soddisfare le richieste delle industrie. Ebbe successo intorno al 1869 con un composto
a base, appunto, di nitrato di cellulosa, proprio come era accaduto a Parkes poco tempo prima. Nasceva
così la Celluloide con un brevetto depositato il 12 luglio 1870. La prima fabbrica della nuova materia plastica
artificiale si chiamò Albany Dental Plate Company e fu fondata nel 1870. Il suo nome si spiega col fatto che
uno dei primissimi impieghi della Celluloide fu sperimentato dai dentisti, felici di sostituire con essa la gomma
vulcanizzata, allora molto costosa, usata per ottenere le impronte dentarie. Due anni più tardi la Dental Plate
Company si trasformò in Celluloid Manufacturing Company con uno stabilimento a Newark, nel New Jersey.
É questa la prima volta 1872 che compare il termine Celluloide (derivato chiaramente da cellulosa), marchio
depositato destinato ad avere molta fortuna negli anni successivi così da diventare un nome comune per
designare, in generale, le materie plastiche a base di cellulosa e non soltanto quelle.
17
CRONOLOGIA E STORIA DEI MATERIALI PLASTICI
Cronologia
1835
1839
1845
1845
1861
1865
1868
Henri Victor Regnault scopre casualmente il polivinil cloruro
Charles Goodyear vulcanizza la gomma naturale
J.Byth e A. Hoffman dimostrano il processo di polimerizzazione del
polistirene
C.F. Shöenbein ottiene il nitrato di cellulosa
Parker brevetta la Parkesina
Schtzenberger acetila la cellulosa
Hyatt ottiene la celluloide ( nitrato di cellulosa e canfora )
1872
E. Baumann dimostra la polimerizzazione del cloruro di vinile
1897
A. Spitteler e W. Kirsche Brevettano la Galalite ( caseina formaldeide )
1898
Scoperta del policarbonato
1901-2
Otto Rohm polimerizza il metilmetacrilato
1904
Miles ottiene il diacetato di cellulosa
1907
Leo Baekeland scopre la Bakelite (fenol formaldeide)
1910
Viene creata la General Bakelite Company
1912
Ivanovic Ostrominslensky produce il primo composto vinilico plasticizzato
1919
Arthur Eichengnum inventa il primo stampo ad inezione
1920
Hans John ottiene l’urea formaldeide
1922
Iniziano gli studi di H. Staudinger sulla struttura delle macromolecole
1924
Edmund Rossiter scopre l’urea-tiourea formaldeide
1928
La Röhm and Haas produce il polimetilmetacrilato in forma di resina
1929
Produzione del polistirene
1931
La ditta americana B. F. Goodrich Company produce la prima plastica vinilica plasticizzata
Scoperta del polietilene a bassa densità
1933
1934
1935
Rowland Hill e John Crawford scoprono il polimetilmetacrilato in forma
rigida
Henckel ottiene le resine melaminiche
1936
Inizia la produzione del polimetilmetacrilato in forma di laste (Perspex)
1937
Otto Bayer scopre il processo di polimerizzazione dei poliuretani
1938
Wallace Hume Carothers scopre le poliammidi (Nylon)
1938
Produzione commerciale del Nylon
1939
Inizia la produzione polietilene
1940
Produzione del PVC
1941
Inizia la produzione dei poliuretani
1941
J.R. Whinfield e J. D. Dickson scoprono il polietilentereftalato
1942
Produzione nel Regno Unito del polivinilcloruro
1943
Produzione commerciale del polietilene in America
1953
Karl Ziegler ottiene il polietilene d alta densità
1954
G. Natta ottiene il polipropilene
1955
Produzione dei poliuretani espansi
1957
La ditta Montecatine produce il polipropilene
1959
Inizia la produzione del policarbonato
1963
Natta riceve il Nobel per la chimica
1970
Si ha la scoperta del polimetilpentene o TPX
La cronologia è tratta dalla tesi di laurea di Anna Laganà 2005.
Dagli anni Settanta ai giorni nostri sono stati creati svariati prodotti polimerici addizionando
quelli già scoperti con altre materie e realizzando materiali compositi.
Negli ultimi anni sono state scoperte le bioplastiche “MATER-BI®”.
Mater-Bi® è la prima famiglia di biopolimeri che utilizza componenti vegetali, come l’amido
di mais, preservandone la struttura chimica generata dalla fotosintesi clorofilliana.
L’uso di materie prime da fonte rinnovabile al posto di quelle di origine fossile nell’industria
chimica e della plastica può contribuire al controllo dei gas a effetto serra, in quanto questi
materiali sfruttano la CO2 atmosferica assorbita dalle piante attraverso la fotosintesi.1
Le ricerche e lo sviluppo di nuovi polimeri, hanno fatto sì che oggi è possibile contare più
di settecento tipi di plastiche.
11 Plart. Comunicare la cultura, servizi educativi del Plart, scheda di approfondimento N° 6.
26
27
IL DESIGN
08. Rene Lalique, Cerises Box bakelite, 1923, bassorilievo a
ciliegie, museo Plart Napoli, foto dal catalogo “In plastica”.
30
31
10. Braccialetto, 1880, gomma indurita ebanite,
Museo Cannon Sandretto.
11. Barchetta, 1880, acetato/nitrato di cellulosa,
Museo Cannon Sandretto.
I primi oggetti realizzati con resine naturali e
Negli anni ’30 l’incremento del petrolio come
sintetiche
materia prima nell’industria chimica, al posto del
Verso la fine dell’Ottocento si assiste all’apparizione
carbone, provocò la caduta del prezzo dei prodotti
delle materie plastiche per imitare vari materiali tra
stampati e diede impulso allo sviluppo di nuovi
cui il legno (bois durci figura 09), l’avorio e il guscio
polimeri. In questo periodo si perfezionarono
di tartaruga (celluloide figura 11). Le industrie
le macchine per lo stampaggio a iniezione e ciò
nascenti, con l’ampliamento dei mercati e l’utilizzo
stimolò molto il design degli oggetti. Verso la fine
della produzione in serie, tagliarono fuori gli artigiani.
degli anni ‘30 la plastica non riuscì a conservare la
Contemporaneamente cresceva la domanda del
sua immagine di materiale pregiato, come scrive
nuovo materiale, mentre si andavano esaurendo le
la rivista Plastics, che cominciò a deprezzare il
materie prime naturali.
materiale scrivendo “polveri da stampaggio di
I primi produttori di plastica duplicarono gli stili
scarso prezzo e di scarsa qualità, oggetti di disegno
ornamentali Vittoriani ed Edoardiani che dominarono
scadente e tecniche di stampaggio inadeguate”. In
la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, utilizzando
questo periodo le materie plastiche cominciarono
le tecniche proprie dei materiali naturali,
ad essere associate all’idea di scarso
come l’intaglio e la tornitura. Le loro buone
valore e di forme sgradevoli. Gli industriali
imitazioni vendevano bene particolarmente
della plastica cercano di contrastare
nelle forme dei vanity set che riportavano
queste opinioni avverse: la British Plastics
nomi eleganti come Sheraton, DuBarry
Federation tentò di istituire un marchio di
e Wedgwood e dei gioielli. Poichè,
qualità ma in quello stesso anno scoppiò
inizialmente, la plastica fu vista come un
la guerra e tutta la polemica decadde. Ma
sostituto, il suo design fu replicato piuttosto
nello stesso periodo la plastica divenne
che creato, specialmente nella gioielleria.lo
una risorsa vitale e nuovi e rivoluzionari
stile moderno, chiamato Art Deco in Europa,
materiali giunsero alla produzione di
debutta a Parigi nel 1925, con gioielli e
massa. In questo clima, alcuni designers
novità realizzate con colori brillanti, forme
cominciarono a vedere la celluloide e la
semplificate, motivi esotici, astrattismo
bakelite come materiali appropriati per i
09. Oggetto realizzato in Bois Durci (segatura di palissandro,
stilizzato e forme geometriche derivate sangue animale e acqua) diametro 11,4 cm museo Bowes. decori di alta qualità. La bakelite fu la prima
dall’arte cubista e da quella primitiva. Forme
architettoniche e motivi decorativi erano ripresi dalle
culture maya, aztecha e egiziana. Elementi floreali
stilizzati derivano dai dipinti e dai tessuti giapponesi
e anche dal movimento della Wiener Werkstätte del
tardo XIX secolo. Zig zag, frecce luminose, serbatoi
stilizzati e sprazzi di sole alludevano all’atmosfera
elettrizzante dell’era moderna. Questi oggetti si
proponevano di essere espressione dell’era delle
macchine, ma erano, di fatto, rimanipolazioni di
oggetti precedenti e interamente fatti a mano con
rari e preziosi materiali.
12.
34
Occhiali pieghevoli, 1990, celluloide, Museo
Cannon Sandretto.
materia plastica a ispirare una nuova,
caratteristica serie di forme, e diede ai fabbricanti
l’opportunità di fare crescere artificialmente la
richiesta di tali beni in quanto il nuovo materiale,
meno costoso, metteva il consumatore nella
condizione di potere sostituire un articolo una volta
venuto a noia, anzi li stimolava a farlo. In questo
senso la bakelite è anche indissolubilmente legata
all’avvento della società dei consumi. Questa
materia, chiamata resina fenolica, aveva una
gamma cromatica limitata e il colore divenne a tutti
gli effetti un carattere distintivo del design.
13. Portagomitolo, 1910, celluloide, Museo
Cannon Sandretto.
14. Portacipria, 1920, caseina formaldeide, Erinoid,
Museo Cannon Sandretto.
15. Portatovagliolo a forma di elefantino, 1930,
caseina formaldeide, Museo Cannon Sandretto.
35
IL DESIGN ITALIANO
19. Anna Castelli Ferrieri, Modular Units 4979, 1967, ABS, per Kartell.
42
43
20. Ernesto Gismondi, Lampada, 1965, Artemide.
21. Gino Colombini, Spremiagrumi, 1958, Kartell.
La plastica inizia a trovare impieghi originali in Europa e negli Stati Uniti fin dagli anni
‘30 per la produzione di apparecchi radio, automobili e casalinghi, che assumono nuove
fisionomie grazie al materiale innovativo, soprattutto per i colori e per le possibilità formali
infinite, già adottate in Italia prima della guerra. Un esempio è dato dai fratelli Achille e
Pier Giacomo Castiglioni, che conducono una sperimentazione d’avanguardia sull’uso
della bakelite per la realizzazione di alcuni radio ricevitori, ma solo alla fine degli anni ‘40
inizia per la plastica l’età dell’oro.
Davvero rivoluzionario è l’approccio di alcuni produttori per l’arredamento, che intuiscono
le straordinarie possibilità di applicazioni dei materiali in un mercato tutto da inventare.
In Italia già si conosceva la celluloide, grazie alle stilografiche di Tibaldi, infatti essa fu
la prima plastica prodotta in Italia, in produzione dal 1924 a Castiglione Olona Varese,
sotto il nome della società Celluloide, che molti anni dopo diventò la SIC-Mazzucchelli,
e la bakelite, usata nei ricevitori Phonola disegnati nel 1939 da Luigi Caccia Dominioni.
Altri produttori di plastica furono la Società Italiana Resine di Sesto San Giovanni, la
Monti & Martini di Melegnano. La Società Nazionale Chimica a Castellanza, che divenne
successivamente la Montecatini, produceva le nuove resine sintetiche fenoliche e ureiche
negli anni ‘30.
Nel 1949 nasce la Kartell, prima industria italiana che si concentra esclusivamente
sull’impiego di materie plastiche per la produzione di oggetti d’uso. Tra i suoi design più
prolifici ricordiamo Gino Colombini (figura 21), a cui si affiancano in seguito Achille, Pier
Giacomo Castiglioni, Anna Castelli Ferrieri (figura 19), Marco Zanuso e Giò Colombo.
Quest’ultimo è stato il primo ad ideare per la Kartell una sedia interamente in materiale
plastico di modello universale (figura 22).21 Altre industrie che si dedicano all’uso della
plastica per la produzione di oggetti semplici e lineari sono la ditta Danesi, nata nel 1955
e l’industria Artemide del 1959. La prima sviluppa una ricerca con Enzo Mari e Bruno
Munari, mentre la seconda collabora con Giugliano Gramigna, Sergio Mazza e Vico
Magistretti. Di fronte all’espansione, quasi incontrollata, delle materie plastiche, utilizzate
21 Il modello di sedia “K4999”, fu la prima interamente in polietilene diventando il simbolo della sperimentazione di quel periodo.
44
22. Gio Colombo, sedia, 1965, polietilene, Kartell.
23. Zanotta, sedia blow, 1977.
soprattutto per il loro basso costo, le aziende italiane rappresentano, dagli anni ‘60, una
sorta di sofisticato laboratorio di sperimentazione che contribuisce a fare della plastica una
forma dallo stile estremamente dinamico e aggiornato di continuo da nuove forme, colori
e possibilità di applicazioni, rinnovate costantemente dalla scoperta di nuove formule.
Giulio Castelli, fondatore della Kartell, è stato il primo a utilizzare il design per la produzione
industriale.
Anche l’industriale Ernesto Gismondi, ingegnere missilistico e produttore di mobili e
lampade (ditta Artemide figura 20), dichiara che per la realizzazione di missili veniva
usato un materiale plastico soprattutto per la costruzione delle consolle di comando. Da
qui nasce l’idea di farne un uso diverso, come creare mobili e lampade.
In questi anni si affermò il movimento dell’ “anti-design” proposto da un numero di giovani
architetti italiani come alternativa agli oggetti lussureggianti e formali che caratterizzano
il design italiano nei tardi anni ‘50, utilizzando il PVC per realizzare mobili gonfiabili. Il
primo esempio in Italia fu la sedia “blow” disegnata nel 1977 da Paolo Lomazzo, Donato
D’urbino e Jonathan De Pas e prodotta da Zanotta (figura 23). Successivamente
apparvero in Inghilterra una serie di sedie “blow-up” tra cui una disegnata da Roger Dean
per la Hill Company, ricoperta da pelo rosso sintetico, a dimostrazione dell’influenza che
il design italiano esercitava nel settore. Il gruppo italiano anti-design realizza un letto
divano organicamente formato, chiamato “Superonda”.
La ditta Artemide realizza dei mobili di plastica molto semplici e lineari, inizialmente
usando resina poliestere e fibra di vetro. “Questo nuovo materiale crea una superficie
molto liscia, colorata, lucida, con ottima sensibilità al tatto e non viscida come le altre
materie plastiche” afferma Gismondi.
Un altro progresso è stato raggiunto dall’architetto design Gaetano Pesce (figura 25) che
ritiene moderni e coerenti i materiali plastici, più del marmo, del legno, del vetro e del
ferro, poichè la plastica esprime l’epoca in cui viviamo, epoca che per essere raccontata
necessita, secondo Pesce, di una verità storica legata all’ultima parte del XX secolo. Per
lui i materiali tradizionali non possiedono determinate qualità che ha la plastica.
Pesce disegna una serie di poltrone per C&B Italia e nello stesso anno Piero Gatti, Cesare
Paolini e Franco Teodora realizzano la poltrona “Sacco” per Zanatta.
45
L’ARTE CONTEMPORANEA
“La follia è utile perché insegna a essere più ragionevoli”. Naum Gabo
30. Naum Gabo, modello per ‘Costruzione lineare N. 3 con Red’, 1952, plastica e filo di
nylon, 9,5 x 5,7 x 6 cm, ricostruzione 1977.
52
53
Ormai è impossibile immaginare un mondo contemporaneo senza plastica. In questo,
l’arte contemporanea non fa eccezione, a giudicare dalla massiccia presenza di questa
materia in ogni sua forma, compresi i colori acrilici e le resine. La plastica è una vera e
propria icona del Novecento, della società dei consumi e dei suoi valori intrinseci; è bella,
scintillante, colorata, allegra, giocosa, facile e immediata, ma allo stesso tempo è finta,
temporanea, instabile, poco resistente, destinata a rovinarsi e a deperire in fretta. Nel
corso dei decenni sono stati numerosi gli artisti che si sono dedicati ad essa, materia
adatta ad essere trasformata in qualsiasi forma immaginabile o, al contrario, ad essere
lasciata amorfa, fino a poterla bruciare per creare effetti del tutto inaspettati.
Nel Novecento si ha una trasformazione del concetto di arte (tutto è arte e niente è
arte) che cambia completamente il mondo e il modo di fare arte23. Tutto questo porta alla
sperimentazione e all’utilizzo di nuovi materiali, tra cui la plastica.
Fu il costruttivista Naum Gabo24 , pseudonimo di Naum Borisovic Pevsner, a intuire per
primo le possibilità estetiche che la plastica offriva all’arte, poiché era un materiale facile
da lavorare, trasparente e leggero, che consentiva di indagare quegli effetti di luce, di
trasparenza e di leggerezza tanto amati dagli avanguardisti, che si schieravano contro la
pesantezza e la matericità dei prodotti tradizionali. Tra gli anni Dieci e Venti del Novecento,
Gabo e il fratello Anton Pevsner sperimentarono la celluloide, ritagliata e modellata col
calore, in alcune “costruzioni spaziali”, come Testa di donna (1917-20, New York, MoMA
figura 31) e Modello per colonna (1920-21, Londra, Tate Modern), che erano caratterizzate
dalla struttura per piani, la quale consentiva di aprire i volumi e includere il vuoto, basando
31. Naum Gabo, Testa di donna, 1917, fogli di celluloide, ricostruzione, New York MoMA.
23 es: Marchel Duchamp, Ruota di bicicletta. 1913 (originale disperso)
24 Naum Gabo è stato un esponente di punta del costruttivismo , che considerava lo spazio come
un continuum piuttosto che un volume. Nato in Russia col nome di Наум Габо, pseudonimo di Naum
Neemia Pevsner, fratello minore dell’ artista Anton Pevsner, aveva inizialmente studiato per essere un
ingegnere.Nel 1920, cinque anni dopo aver creato e firmato la sua prima costruzione come “Gabo”, lui e
Anton pubblicano a Mosca il “manifesto Realisticheskii” (“Manifesto realista”), che articola le loro teorie sul
costruttivismo e conferma il ruolo di Gabo come pioniere di scultura moderna.
Gabo considera Colonna (ca. 1923), di cui esistono diverse versioni, molto significativo per la sua
formazione artistica. Per lui, il lavoro ha rappresentato il culmine della sua “ricerca di un’immagine che
fonde l’elemento scultoreo con l’elemento architettonico in una sola unità”. Originariamente inteso come
una maquette per un monumento che non fu mai costruito, è stato creato dopo che Gabo era immigrato in
Germania.Invece di intagliare un unico blocco, Gabo ha costruitocolonna nello spazio con un vocabolario
geometrico e razionale, il, risultato è una scultura praticamente simmetrica composta di piani verticali
trasparenti ed intersecante.
Costruzione lineare nello spazio n ° 1(ca. 1945-46) sottolinea inoltre la predilezione Gabo per materiali da
costruzione moderni, a differenza di quelli tradizionali come marmo, argilla, o di bronzo.Il telaio rigido di
Perspex con filamenti di nylon allungato, un design che caratterizza anche le opere di Gabo sferiche, crea
ancora una volta l’illusione della profondità continua. Questo lavoro esiste in varie ricostruzioni eseguite
dopo il modello iniziale, come la versione ora al Museo Guggenheim.
Rifiutando l’arte del passato e liberato dalla imitazione della natura, egli credeva che le sue sculture
avessero contribuito a costruire “la vita perfetta, sociale e spirituale.” Le sue sculture di plastica non sono
solo letteralmente trasparenti in termini di qualità della superficie, hanno anche lo scopo di fornire un
condotto ad una “nuova realtà”, una realtà universale. Fortemente influenzato da un altro artista, Vasily
Kandinsky , che ha promosso la natura spirituale del fare arte, Gabo mira a produrre oggetti che “si
appellano di più alle nostre menti e ai nostri sentimenti che ai nostri sensi fisici”.
54
il tutto sulla smaterializzazione dei volumi stessi. Il problema di questo materiale era però
la scarsa stabilità e la tendenza alla deteriorabilità, tanto che la maggior parte delle opere
di questo periodo sono andate distrutte, oppure sono state rifatte successivamente, a
volte dallo stesso artista, con materie plastiche più stabili e durature. Del resto ciò che
contava era la ricerca di nuovi prodotti e il progetto che stava dietro a questa ricerca. Più
o meno nello stesso periodo anche Lazlo Moholy-Nagy, professore di origine ungherese
della scuola di architettura e arti applicate del Bauhaus, nel 1919 inizia a sperimentare i
primi materiali plastici come supporto pittorico, creando giochi di luce e ombre, determinati
dalla trasparenza dei nuovi materiali e dall’opacità della superficie pittorica.
Ma la vera svolta nella sperimentazione dei polimeri sintetici avvenne negli anni Trenta,
quando venne introdotto sul mercato il plexiglas (polimetilmetacrilato), che aveva
caratteristiche fisiche e ottiche migliori della celluloide. Pioniere nell’uso del plexiglas fu
nuovamente Gabo, che lo usò sul finire degli anni Venti (conosceva infatti un chimico
impiegato nelle industrie chimiche inglesi) in opere come Torsion (1928-36, Tate Liverpool)
e Construction in space with cristalline centre (1938-40, Londra, Tate Gallery), dove
costruisce un solido con piani trasparenti, che mettono in risalto la leggerezza del nuovo
materiale.
55
68. Nathan Sawaya, Brick-by-Brick, 2010, sculture Lego® (ABS), Agora Gallery New York.
92
69. Jan Vormann, Walls 1, 2008, riparazioni Lego® (ABS), villaggio di Bocchignano, Italia.
93
IL COLLEZIONISMO E LA NASCITA DEI MUSEI DELLA PLASTICA
71. Foto dal catalogo “In plastica”.
98
99
“Nel collezionismo ci si riferisce più alle plastiche della penuria che a quelle dell’opulenza
e mentre le plastiche di ieri sono considerate appartenenti alla storia quelle di oggi alla
cronaca”.64
Generalmente si collezionano cose più belle di quelle che produciamo oggi. Per gli
oggetti di plastica è l’opposto. Il collezionismo predilige quegli esemplari a volte gonfi e
a volte patetici nel loro tentativo di fingere per la sua caratteristica mimetica che genera
ammirazione per l’oggetto.
Inoltre le “Plastics Antiques” sono un visto della nascente tecnologia industriale e dello
spirito più intimamente artigianale. Tale mescolanza pose i primi collezionisti come
simpatizzanti per il nuovo e per il progresso e al tempo stesso nostalgici per il passato
del costume e del gusto. A causa del loro basso costo e della loro riproducibilità, molti
oggetti usati e danneggiati venivano gettati via, anziché essere ripararti ed è per questo
che oggi sono sempre più rari da trovare. Le plastiche storiche non si producono più se
non ad un livello assai scadente e questo gli dà valore di cose fuori uso, di ciò che non
si ripete, che è raro trovare. Siamo in presenza di una legittima rivalutazione storica
e di un ripensamento critico, di un’opportuna opera di conservazione, tutela e magari
restauro di un patrimonio che rischia di andare perduto. Nel caso della plastica, in quanto
frutto di produzione di massa, la rarità è una contraddizione evidente. Occorrerà, quindi,
cercare quegli oggetti prodotti per uso e disponibilità breve come alcuni dei primi rasoi
“usa e getta”, le biro della BIC, oppure oggetti creati in edizioni limitate come il veicolo
Sinclair C5, la sedia Riccardo III disegnata da Philippe Starck, o gli orologi della Swatch.
I souvenirs spesso hanno automaticamente un valore di rarità. Sono rari anche quegli
oggetti in plastica riprodotti in una versione più nuova come calcolatori (il Sinclair ZX80
interamente in plastica fu il primo PC “di significato”), macchine da scrivere, giochi per
il computer, i primi giochi elettronici e ogni forma di musica prodotta per brevi periodi o
dischi rari.
Il design è il secondo termine cui riferirsi. Si potrebbe guardare alla forma scultorea e un
distintivo uso del colore o a certe eleganze tecniche che indicano precisione esecutiva.
“L’uomo fattore, di grande rilievo, riguarda lo stato di conservazione dell’oggetto, il quale,
ovviamente, deve essere il migliore possibile”65. È importante ricordare che le confezioni
e gli imballaggi originali hanno gran valore.
Per questo, oltre a essere entrate a far parte dei materiali usati dagli artisti, sono anche
diventate articoli da collezione a sé stanti66 , e su di esse sono stati fondati nuovi tipi di
musei contemporanei: musei della plastica, per esempio, derivanti magari da tradizioni di
lavorazioni storiche, come quello di Oyonnax in Francia67 , o dall’evoluzione delle forme
e dei materiali indotta dalle tecnologie di produzione e di trasformazione, come il Museo
64
65
66
67
100
Bassotti, 2006, p.49.
Ibidem p.50.
Beerkens, 1999
Musée du Peigne et de la Plasturgie, Centre Culturel Aragon. Oyonnax in Francia
della Plastica Sandretto a Pont Canavese in provincia di Torino)68 Più recentemente
ancora, sono sorti musei dedicati al design - disciplina che deve i suoi sviluppi più
innovativi alla versatilità delle materie plastiche - dove si sono spesso incrociati e
intrecciati interessi tra arte e tecnica, con scambi e influenze reciproche, fino ad arrivare
a vere e proprie fondazioni come la Fondazione PLART di Napoli. Il problema della
conservazione delle materie plastiche che costituiscono gli oggetti di design si è quindi
recentemente fatto avanti con una sua urgenza, avanzando problematiche e sollecitando
soluzioni che sono pertinenti a molta arte contemporanea69 , Discussione su questi temi,
attività di formazione degli addetti ai lavori e convegni sulla conservazione delle materie
plastiche sono promossi dal Vitra Design Museum di Weil sul Reno, presso Basilea70, che
ha anche iniziato a sviluppare gli aspetti pratici della conservazione degli oggetti della
propria collezione e partecipa a uno studio per la conservazione di manufatti in poliestere
rinforzato con fibre di vetro.71 il Museo della Plastica Cannon-Sandretto di Milano, primo
museo italiano delle materie plastiche, e uno dei primi del genere a livello mondiale,
ospita una collezione di oggetti, realizzati in varie materie plastiche, iniziata nel 1985 e
che da allora si è via via arricchita, fino a contare oggi oltre 2.500 pezzi. Il Museo della
Plastica è oggi di proprietà del Gruppo Cannon, un gruppo industriale italiano leader nel
settore delle tecnologie per la plastica, per Energia & Ecologia, per la pressofusione di
Alluminio e nell’Elettronica Industriale. Un altro importante museo per la plastica è la
Fondazione Plart di Napoli. Essa si occupa della diffusione della conoscenza scientifica
e artistica legata ai materiali polimerici, conservando, studiando e promuovendo un
patrimonio culturale che racconta la nostra modernità e si proietta con grande energia
innovativa sulla contemporaneità. Un lavoro impegnativo per un progetto ambizioso
che coinvolge nel suo farsi un gruppo eterogeneo di professionisti: architetti, designer,
restauratori e conservatori, storici dell’arte, giornalisti, chimici che quotidianamente danno
vita alle molteplici attività. Questo museo è organizzato come una dinamica fucina che
ospita all’interno dei suoi spazi: collezione permanente, sezione multimediale, laboratorio
di caratterizzazione dei materiali, bookshop/biblioteca, area formazione per le scuole,
coffee corner. La fondazione, non è solo un luogo di conservazione ed esposizione del
suo patrimonio, riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali come unico Giacimento del
design del Centro/Sud, ma anche un centro di sperimentazione e innovazione culturale
attraverso un costante lavoro di studio, ricerca e produzione di contenuti estetici e
scientifici.
68
69
70
71
Marchelli, 1996
Botzer. pp. 145-152.
www.design-museum.de
Kessler, van Oosten, 2004, pp. 86-90.
101
I POLIMERI. CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE
Il termine polimero
I polimeri inorganici più importanti sono a base di silicio (silice colloidale, siliconi,
polisilani).75 76 77
Un polimero (dal greco “che ha molte parti” 72) è una macromolecola, ovvero una molecola
I materiali polimerici sono sostanze plasmabili, ovvero modificano il loro aspetto e
consistenza se sottoposte a determinate variazioni di temperatura: si rammolliscono
con il calore e induriscono in una forma definitiva al cessare della presenza del calore.
Alcune di queste sostanze sono naturali, altre semisintetiche, ovvero sostanze naturali
sottoposte ad azioni chimiche, altre ancora sono sintetiche, derivate dal petrolio e dal
carbone, quindi di origine fossile. Si basano sulla chimica del carbonio, il quale ha la
capacità di formare catene legate in forme diverse. Quando induriscono, le molecole di
cui sono costituite le materie plastiche “i monomeri” si uniscono in catene, formando i
dall’elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di gruppi molecolari (detti
unità ripetitive) uguali o diversi (nei copolimeri), uniti “a catena” mediante la ripetizione
dello stesso tipo di legame (covalente).
72. Singole catene polimeriche visualizzate al
microscopio a forza atomica.
I termini “unità ripetitiva” e “monomero” non sono sinonimi, infatti un’unità ripetitiva è una
parte di una molecola o macromolecola, mentre un monomero è una molecola composta
da un’unica unità ripetitiva. Nel seguito, quando si parla di “monomeri”, s’intendono
dunque i reagenti da cui si forma il polimero attraverso la reazione di polimerizzazione,
mentre con il termine “unità ripetitive” s’intendono i gruppi molecolari che costituiscono il
polimero (che è il prodotto della reazione di polimerizzazione).73
Per definire un polimero bisogna conoscere:
la natura dell’unità ripetente; la natura dei gruppi terminali; la presenza di ramificazioni
e/o di reticolazioni; gli eventuali difetti nella sequenza strutturale che possono alterare le
caratteristiche meccaniche del polimero.
Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi viventi (proteine, acidi
nucleici, polisaccaridi) siano polimeri, nel campo della chimica industriale, col termine
“polimeri” s’intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie
plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon), ma anche polimeri sintetici
biocompatibili largamente usati nelle industrie farmaceutiche, cosmetiche ed alimentari,
tra cui i polietilenglicoli74 (PEG), i poliacrilati ed i poliamminoacidi sintetici.
72 Treccani, Enciclopedia online http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/polimero/
73 Gedde, 1995, p. 1,
74 Il glicole polietilenico (PEG) o ossido di polietilene (PEO) o poliossietilene (POE) è un polimero
preparato per polimerizzazione dell’ossido di etilene; è il polietere che riveste la maggiore importanza
104
73. Possibili disposizioni nello spazio delle macromolecole che costituiscono un polimero termoplastico. Polimeri lineari, ramificati
e reticolati.
polimeri. Tali macromolecole sono costituite dalla successione di un gruppo di molecole
relativamente piccolo che si ripete. Le macromolecole si ottengono attraverso reazioni
chimiche di polimerizzazione, che portano all’unione dei monomeri con legami chimici
forti.
Le proprietà di un polimero dipendono dal tipo di monomero con cui è stato ottenuto, dalla
lunghezza delle macromolecole, dalla loro struttura e dal modo con cui si dispongono
nello spazio. I materiali amorfi hanno macromolecole disposte in modo disordinato, quelli
cristallini presentano configurazioni spaziali ordinate.
commerciale per volumi di produzione e applicazioni. Con il termine polimerizzazione si intende la reazione
chimica che porta alla formazione di una catena polimerica, ovvero di una molecola costituita da molte parti
uguali (detti “monomeri” o “unità ripetitive”) che si ripetono in sequenza.
75 Polimeri inorganici http://pslc.ws/italian/inorg.htm 1995/96 pubblicazione on line Department of Polymer
Science|University of Southern Mississippi.
76 http://chimica-cannizzaro.it/files/le_frontiere_del_silicio.
77 Brisi,1997, pp. 457-458.
105
ALCUNI ESEMPI DI DEGRADO DELLA PLASTICA
“La plastica, la materia dei sogni”. Angela Vettese
Foto a cura di
Michele Colucci
Serena Ferone
La seguente documentazione fotografica è stata resa possibile grazie alla disponibilità
del museo Plart di Napoli.
206
207
208
86. Piero Gilardi, orto, 1970, poliuretano espanso, Ø: 50, h 10 cm, museo Plart Napoli.
209
88. Macro. Particolare della pesca con residui di fissativo, applicato
probabilmente dall’artista, e presenza di attacco biologico.
ATTACCO BIOLOGICO
Per attacco biologico si intende la presenza
di funghi (basidimoniceti, ascamiceti), muffe
(aspergillus niger), batteri (attinomiceti). Può
manifestarsi con la perdita delle proprietà
meccaniche, l’erosione superficiale e perdita
di peso con infragilimento, restringimento
e formazioni di macchie. alcuni di questi
microrganismi si nutrono del polimero stesso.
212
213
89. Macro. Particolare del ciuffo d’erba con residui di
collante utilizzato da Gilardi, che col tempo ha subito una
variazione cromatica e di coesione.
214
215
90. Macro. Particolare della base con presenza di fessurazioni e craquelure
evidenziate dalla luce radente.
216
217
94. Serie di borse, anni ‘40, U.S.A., museo Plart Napoli, foto dal catalogo “In plastica”.
220
221
95. Borsa, nitrato di cellulosa, 16 x 8 h 13,5, U.S.A.
222
96. Foto a luce U.V., si evidenzia la presenza di ossidazione all’attaco dei manici e di plasticizzate su tutta la superficie.
Sulla parte superiore è possibile notare la presenza di cellulosa, inglobata nel plasticizzante, dovuta all’errato imballaggio.
223
98. Spettroscopia FTIR.
99. Deformazioni e separazioni della parte interna.
97. Deformazioni e separazioni.
DEFORMAZIONE
Le deformazioni sono dovute alla perdida di plasticizzante, alla rottura delle catene
polimeriche, alle condizioni microclimatiche non idonee (perdita o assorbimento di umidità)
e stress meccanici.
Nel caso di film o fogli questo fenomeno si presenta sotto forma di ondulazioni della materia.
224
225
100. Macro. Particolare interno con presenza di ossido di ferro unito al
plasticizzante migrato in superficie. Il tutto ha sviluppato un’impasto colloso.
226
101. Macro. Particolare della giunzione laterale destra con presenza di
separazione e deformazioni.
227
102. Macro. Particolare con presenza di essudazione
superficiale e ossidazione della parte metallica.
ESSUDAZIONE
Con
questo
termine
medico
intendiamo la fuoriuscita di materiale
liquido (essudato) sotto la formazione
di gocce, viscose e oleose sulla
superficie. Si tratta del plasticizzante
che tende a migrare in superficie
(di solito Ftalati). La sostanza può
essere colorata se i composti acidi
corrodono dei componenti metallici.
228
229
230
103. Particolare della parte superiore con presenza di
plasticizzante e depositi superficiali di varia natura.
231
104. Macro. Particolare della parte
superiore con presenza di craquelure e
depositi superficiali di varia natura.
105. Macro. Particolare della parte superiore con
presenza di particellato atmosferico, inglobato nel
plasticizzante.
CRAQUELURE
Questo fenomeno consiste nella formazione di una rete regolare o casuale, di
microscopiche fessurazioni sia superficiali che interne. Si ha per causa di stress interni al
materiale dovuti dalla perdita di plasticizzante o di stress esterni dovuti da sollecitazioni
meccaniche.
232
233
106. Macro. Particolare della parte superiore in cui si percepisce una
notevole presenza di particellato atmaosferico e fibre di varia natura,
accentuate dalla luce radente.
234
235
107. Macro. Particolare della parte superiore con presenza di fibre inglobate nel plasticizzante e
graffi dovuti ad eventuali danni d’usura.
236
237
122. Macro. Particolare con ossidazione delle parti metalliche.
124. Particolare con percolazioni di plasticizzante
naturale.
e parti metalliche ossidate, foto a luce
123. Particolare a luce U.V.,
che evidenzia la corrosione e le
percolazioni del plasticizzante.
CORROSIONE
Con questo fenomeno si
intende il rilascito di prodotti
acidi, innescati dal degrado
chimico, che può causare la
corrosione delle componenti
metalliche a contatto con la
plastica. Si può manifestare
con la colorazione verde
della superficie.
250
251
Giocattoli, foto dal catalogo “In plastica”
146. Macchina rossa, anni ‘40, gomma
naturale, lunghezza 18,5 cm, Italia.
274
147. Macchina celeste, anni ‘50, polistirene,
lunghezza 14,8 cm, Italia.
148. Macchina blu, anni ‘30, resina fenolica
verniciata, lunghezza 13 cm, Inghilterra.
275
156. Particolare della parte laterale a luce naturale.
154. Macro. Particolare con presenza di fessurazioni, ristringimenti e
colonizzazione biologica.
155. Particolare della parte laterale a luce U.V., è possibile notare la
presenza di un attacco biologico, depositi superficiali e fessurazioni. Le
fessurazioni molto fluorescenti sono state causate di recente.
280
281
157. Particolare della ruota con presenza di colonizzazione biologica, foto
a luce naturale.
158. Particolare della ruota con presenza di attacco biologico, foto a luce U.V.
282
283
159. Giocattolo Mickey Mouse , 1940, h 21 cm gomma naturale, Walt Disney Inghilterra,
foto dal catalogo “In plastica”.
284
285
161. Spettroscopia FTIR.
160. Dalla foto è possibile notare deformazioni, fessurazioni, lacerazioni e perdita del film pittorico, tramite
un ristringimento della materia dovuto alla cattiva conservazione e successivo schiacciamento frontale.
286
287
163. Macro. Particolare
lacerazione interna .
164. Macro. Particolare
superficie esterna.
162. Macro. Particolare con presenza di craquelure e fessurazioni, foto a luce radente.
288
289
167. Particolare del retro con
presenza del marchio di fabbrica.
165. In alto a sinistra Macro del retro.
166. Macro. Particolare del piede destro, è
possibile notare la presenza di deformazione della
materia.
290
291
195. Macro, presenza di
sfarinamento e separazione,
foto a luce naturale.
196. Macro, presenza di
sfarinamento e separazione,
messa in rilievo dalla foto a
luce UV.
322
323
ESEMPI DI APPLICAZIONI DEL SISTEMA VETRINE
402
403
198. Particolare mensola, maschera maestro yoda.
199. Spettroscopia FTIR la linea black operatore Michele Colucci 14/03/2013, la linea Blue operatore
Thea van Oosten 19-02-2013.
197. Nella pagina precedente Haim Steinbach, Mensole, 2009, legno - maschere guerriero
yoda (lattice naturale vulcanizzato)-stereo a cassetta, misure base 205 x 40 cm, museo Plart
Napoli.
404
200. Nella pagina successiva Haim Steinbach, Mensole, 2009, legno - lampada anni ‘70
(acrilico e alluminio), scultura anni ‘30 (resine amminiche), radio anni ‘50, (resina fenolica )
misure base 158 x 54 cm, museo Plart Napoli .
405
406
407
201. Lampada in acrilico e metallo, 41x 32 h 46 cm, anni ‘70.
202. Particolari lampada.
408
409
OPERE DELLA METROPOLITANA DI NAPOLI
209. SOL LEWITT (Hartford, Connecticut, Stati Uniti, 1928 – New York, Stati Uniti,
Splotch, Non geometric form #8, 2002, vetroresina, corridoio piano banchina stazione
Materdei – Linea 1. Quest’opera fa parte della serie degli Splotches, sculture realizzate
attraverso l’uso del software, sulla base di un set di istruzioni fornito dall’artista.
416
41
416
417
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211. Particolare con presenza di depositi superficiali.
212. Macro. Particolare con presenza di craquelure, accentuata dai depositi superficiali.
210. Gli aculei policromi sono protetti da una teca in plexiglass che si è dimostrata una vana barriera per il particellato atmosferico.
È possibile notare la spessa coltre nera depositata sull’opera d’arte.
420
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213. Macro. Particolare con presenza di condensa nel sistema vetrina attuale.
214. Macro. Particolare base con presenza di cumuli di deposito superficiale.
422
215. Macro. Presenza di particellato atmosferico depositato sulla base interna del sistema vetrina, a sinistra i depositi , a destra le
tessere musive semipulite.
216. Particolare del sistema filtraggio aria, attuale.
423
Diagnostica dei depositi superficiali nelle Stazioni dell’Arte
Le seguente relazione è stata realizzata dal prof. Donato Inverso.
La diagnostica scientifica condotta nei cantieri didattici del corso di restauro dei manufatti
di interesse storico artistici moderni e contemporanei dell’Accademia delle Belle Arti di
Napoli, in particolare all’interno delle stazioni dell’arte della metropolitana ha iniziato un
percorso analitico senza precedenti.
Lo stato attuale delle conoscenze diagnostiche, coadiuvato da un’alta tecnologia dei
sistemi di misura, di fatto ha potuto attingere nei circa cinquant’anni di ricerca scientifica
nell’arte. Questo appoggio operativo oggi non è possibile per gli studi di opere di autori
contemporanei ospitate in un ambiente che sfugge completamente dai parametri dove
normalmente si aggira la diagnostica artistica.
Pertanto la scelta di un approfondimento scientifico a favore di un altro oppure una misura
continua o discontinua all’interno di un progetto analitico che come finalità ha sicuramente
il miglioramento dei dati scientifici acquisiti in campagna analitiche pregresse qui non è
possibile attuare.
Di fatto è un inizio esplorativo di misure fisico-chimiche e biologiche su manufatti con
materiali talvolta in via di assestamento ed equilibrio con l’ambiente e un ambiente-museo
confinato ma soggiogato da venti e correnti elettromagnetiche tipiche di una stazione di
treni metropolitani.
Il cantiere didattico non ha influenzato il normale decorso dei treni, tantomeno il flusso
di viaggiatori. Pertanto le misure analitiche sono state finalizzate all’operatività oggettiva
del cantiere e dei ponteggi che per forza di cosa non possono influire più di tanto sul
contesto delle stazioni d’arte.
Pertanto la diagnostica nelle stazioni dell’arte s’inserisce come controlle degli inquinanti
presenti nelle stazioni – museo metropolitane e , di fatto, il monumento diventa indicatore
della qualità dell’aria e substrato della raccolta del particellato atmosferico. I processi fisici
di rimozione di specie gassose o di aereosol nell’aria sono caratteristici delle particelle
che li caratterizzano. Se la disposizione Browniana è tipica per particelle molto piccole,
quelle di dimensioni maggiori sono catturate dalle superfici con un sistema inerziale.
Nell’ambiente della metropolitana delle stazioni dell’arte c’è la sovrapposizione e la
coesistenza di entrambi i processi di trasporto delle particelle. Il primo fattore di degrado
di difficile identificazione è la sorgente degli inquinanti. La coesistenza di venti generati
dalle aperture con l’esterno e il movimento dei treni rende oltremodo difficile chiarire la
direzione e il verso dei venti; l’attrito delle ruote sui binari e le frenate sono altre sorgenti d’
inquinanti che interagiscono con gli inquinanti dispersi nell’ambiente esterno caratterizzate
per lo più dal traffico auto- veicolare. Il livello di aggressività degli inquinanti non solo
dipende dalla concentrazione della specie chimica nell’aria ma anche dai meccanismi che
ne convergono il trasporto e il deposito sulle superfici. Fenomeni termoforetici a proposito
delle particelle che si muovono per sollecitazione da urti più energetici da parti di molecole
d’aria più calda vengono trasportate in direzione del decremento di temperatura. Quindi
il fenomeno termoforetico si verifica quando c’è un gradiente di temperatura fra l’aria e la
superficie dei manufatti. Un gradiente di temperatura determina un flusso d’aria dalla zona
a temperatura minore e con una densità maggiore a quella con temperatura più elevata,
controbilanciato da un flusso in senso contrario e conseguente trasporto di particelle
verso la zona fredda. Particelle di piccole dimensioni sono interessate da movimenti di tipo
stocastico, in sovrapposizione ad un movimento ordinato proprio per gli effetti foretici. Le
particelle immerse in un fluido turbolento, con accellerazione e decellerazioni, hanno una
quantità di moto tale, che per inerzia, proseguono la loro traiettoria d’inpatto. Le correnti
d’aria nell’ambire la superficie innescano un degrado tale da modificare il comportamento
termico della superficie, influenzando i processi evaporativi e di condenza e accellerando
il deposito di inquinanti gassosi e particellari. Questa descrizione sintetica dei moti, dei
424
meccanismi di deposito del particellato, e della temperatura superficiale in continua
oscillazione con i fenomeni di degrado conseguenziali.
La superficie dei manufatti esposti nella stazione museo di Materdei presenta una
differenza media di circa 5 ° in meno rispetto alla temperatura dell’aria indipendentemente
dalle condizioni climatiche all’esterno della metropolitana. Le analisi in HPLC evidenziano
la presenza di specie anioniche deliquescenti come i cloruri, capaci di trattenere acqua,
innescando fenomeni di condenza superficiale. Per tanto la superficie di Splotch è
interessata dai fenomeni di diffuoforesi. Tutte le particelle vengono catturate , per la
presenza di acqua di condensa. Dalle foto si nota che l’opera è protetta da una teca in
plexiglass che protegge le materie del manufatto da venti metropolitani. Aspergillus niger
e Aspergillus fumigatus sono le specie facilmente riscontrate sulle colture microbiologiche
allestite con le polveri prelevate da Splotch. Sono attualmente in fase di studio ed
identificazione altre colonie di microorganismi.
Tabella sinottica del procedimento analitico seguito negli studi
•
MICROCLIMA
•
MISURE TERMOIGROMETRICHE
•
CAMPIONATURA DEI DEPOSITI SUPERFICIALI
•
MICROSCOPIA OTTICA
•
MICROSCOPIA ELETTRONICA – SEM – EDS
•
ANALISI BIOLOGICHE
•
CONTROLLO ED ELEBORAZIONE DEI DATI
•
DIAGNOSI
Polveri raccolte dall’ opera Splotch di Sol LeWitt prelievi selettivi, le polveri osservate al microscopio ottico mostrano la presenza di
sostanze molto eterogenee tra loro, pollini, fibre vegetali, spore, elementi metallici.
425
TABELLA SINOTTICA DEL PROCEDIMENTO ANALITICO SEGUITO NEGLI STUDI
MISURE DELL’UMIDITÀ RELATIVA E DELLA TEMPERATURA DELLA STAZIONE MATERDEI
ESTERNO METROPOLITANA CIELO SERENO
T 26 °C
UR 65 %
OPERA D’ARTE
INTERNO METROPOLITANA SUI BINARI DIREZIONE PISCINOLA
T 30 °C
UR 75 %
MICROCLIMA
CAMPIONATURA DEI DEPOSITI
SUPERFICIALI
PRIMA RAMPA SCALA MOSAICO
T 32 °C
MISURE
TERMOIGROMETRICHE
UR 80 %
MICROSCOPIA OTTICA
MISURE DELL’UMIDITÀ RELATIVA E DELLA TEMPERATURA
MICROSCIPIA ELETTRONICASEM- EDS
ESTERNO METROPOLITANA CIELO VELATO
T 32 °C
UR 75 %
ANALISI BIOLOGICHE
INTERNO METROPOLITANA SUI BINARI DIREZIONE PISCINOLA
T 33 °C
UR 80 %
CONTROLLO ED
ELABORAZIONE DEI DATI
PRIMA RAMPA SCALA MOSAICO
T 32 °C
UR 80 %
DIAGNOSI
426
427
OSSERVAZIONE DELLE POLVERI AL MICROSCOPIO OTTICO (M.O.)
DEPOSITI SUPERFICIALI
M.O. 120 X NICOL =
DEPOSITI SUPERFICIALI
M.O. 120 X NICOL +
ANALISI STRATIGRAFICHE
SEZIONE LUCIDA TRASVERSALE 120 X
CAMPO OSCURO
SEM
Presenza di fibre vegetali con elevata colori di interferenza
ANALISI STRATIGRAFICHE
CONCLUSIONI
SEZIONE LUCIDA TRASVERSALE 120 X
NICOL +
428
L’indice d’annerimento delle superfici è determinato da contaminazioni chimicobiologiche
•
I fattori fisici di temperatura, umidità relativa e le turbolenze d’aria permettono
al particellato la permanenza in sospensione e la deposizione sulle superfici dei
manufatti
•
Non potendo intervenire sulla fonte degli inquinanti è necessario progettare un
sistema di captazione e filtrazione dell’aria inquinata (condizionatore)
•
Il monumento è indicatore della qualità dell’aria permette lo studio degli inquinanti
senza che vengono metabolizzati e quindi modificati nella loro struttura chimica,
pertanto è un valido sistema di studio per le conoscenze epidemiologiche e le
relazioni genotossiche delle materie inquinanti.
SEM
ANALISI STRATIGRAFICHE
SEZIONE LUCIDA TRASVERSALE 120 X
NICOL +
•
MICROANALISI EDS
429
218. PERINO & VELE, Emiliano Perino (New York, Stati Uniti, 1973) Luca Vele (Rotondi, Avellino, 1975), A subway è chiù sicura,
2001 carrozzerie di quattro Fiat “500”, cartapesta, vetroresina, piano banchina stazione Salvator Rosa – Linea 1. Quattro gloriose Fiat
“Cinquecento” sono disposte in fila e riposano ricoperte da “trapunte” in vetroresina e cartapesta. Il titolo dell’installazione, A subway è
chiù sicura, ne chiarisce il messaggio poetico: meglio la metropolitana dell’automobile, è più sicura e più ecologica.
432
433
227. Calco dell’ Ercole Farnese, scultura in resina e polvere di marmo, 2000, ingresso principale stazione
Museo – Linea 1. Il calco realizzato dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, riproduce la celebre statua in marmo
degli inizi del III secolo d.C. conservata nel Museo Archeologico Nazionale. L’eroe si appoggia alla clava coperta
dalla pelle del leone di Nemea, ucciso nella prima delle dodici fatiche, mentre nella mano destra tiene i tre pomi
d’oro rubati dal giardino delle Esperidi.
450
451
452
228. Particolare prima dell’applicazione del sistema ad aria.
230. Particolare durante l’applicazione del sistema ad aria.
229. Particolare durante l’applicazione del sistema ad aria.
231. Particolare dopo il trattamento ad aria.
453
CONCLUSIONI
L’obiettivo della tesi è quello di studiare, analizzare e diffondere la cultura della plastica,
tramite ricerche sulla sua creazione, utilizzo e degradazione, valorizzandone la
conservazione sia artistica che storica tramite un allestimento adeguato.
Molti artisti e designer hanno utilizzato questo nuovo materiale semplicemente per il
fascino del nuovo, credendo che fosse immortale. Infatti, è opinione diffusa che la plastica
sia eterna e indistruttibile.
Quest’idea viene avvalorata dalla difficoltà che il suo smaltimento implica e dalle
conseguenti problematiche di tipo ecologico.
La plastica, dopo solo pochi anni dalla sua creazione, ha iniziato a dare problemi, ma
molti artisti e designer, ancora oggi, non ne conoscono i limiti, basti pensare che la
depolimerizzazione inizia appena il materiale viene prodotto.
Un esempio è quello del poliuretano espanso che, dopo pochi giorni, inizia ad ingiallire;
questo materiale può durare, al massimo, un decennio dopo di che inizia ad irrigidirsi e a
frantumarsi, depolimerizzandosi fino a trasformarsi in polvere.
Un altro esempio di degradazione è dato dalla gomma naturale, che dura pochissimo,
oppure dalla celluloide che, perdendo il plasticizzante, diventa rigida e delicata, in
condizioni microclimatiche non idonee si contrae, deformandosi in solo cinque mesi.
In questa tesi si è cercato di comprendere i fattori di degrado, partendo dalla formazione
della materia stessa fino ad arrivare ad un adeguato metodo di conservazione.
Dalla ricerca effettuata emerge che tutte le plastiche tendono a decomporsi, diminuendo
la loro durata che, in condizioni ottimali al massimo può arrivare al mezzo secolo di
vita. Anche la possibilità di restauro è limitata, ad esempio, una volta che l’oggetto si è
deformato, non può più essere riportato alla sua forma originale in quanto il plasticizzante
in esso contenuto, migrato in superficie, irrigidisce il materiale. I graffi, che aumentano la
degradazione sia per indebolimento della materia che per effetto di ossidazione interna,
non possono essere reintegrati. Realizzare una stuccatura su un materiale plastico,
soprattutto se è trasparente, è quasi impossibile. Un esempio sono le resine che inglobano
il particellato atmosferico, alterandone la giusta fruizione ecc.
periodica dei filtri.
Il sistema è stato progettato per vetrine espositive, ma si è visto che può essere applicato
anche ad intere sale, con delle piccole varianti tecniche, in modo da non interrompere
la fruizione del pubblico per la manutenzione quasi giornaliera che queste materie
richiedono.
Proprio in questo periodo si vedono in televisione messaggi pubblicitari che affermano
che la plastica è un materiale troppo prezioso per diventare un rifiuto (COREPLA). Questo
può essere un inizio per comprendere la sua cultura e quindi la sua conservazione e
manutenzione.
Infine, la plastica è stata definita “il materiale che la natura aveva dimenticato di creare”,
perciò dovremmo cercare di non dimenticare e di saper conservare il più a lungo possibile
capolavori della nostra cultura, ricordando che solo l’uomo è in grado di poterli salvare.
Visto che questi nuovi materiali hanno dato inizio una nuova storia, rivoluzionando e
modificando il nostro modo di pensare.
Oggi la maggior parte delle opere d’arte e degli oggetti di design in plastica è ormai a tutti
gli effetti parte del patrimonio culturale, fornendo testimonianze artistiche, tecnologiche e
culturali di più di un secolo di storia.
Dagli studi si evince, inoltre, che questi materiali non vengono conservati e trattati come
si dovrebbe (spesso anche le opere dei grandi artisti vengono esposte in condizioni
ambientali non idonee) per questo, molte plastiche oggi, dopo solo settant’anni dalla loro
comparsa, sono già sparite.
La tesi propone un sistema sperimentale per gli allestimenti delle materie plastiche.
Questo sistema si basa sulla climatizzazione e rimozione dei depositi superficiali tramite
un sistema azionato periodicamente, senza alterarne il microclima. In più è ideato un
sistema di filtraggio di particellato atmosferico e dei solventi, in modo da rispettare
l’aspetto, i luoghi espositivi e da avere la possibilità di studiarne il degrado tramite l’analisi
462
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RINGRAZIAMENTI
La realizzazione della ricerca è stata resa possibile grazie alla disponibilità e collaborazione
del relatore prof. Lucio Turchetta, architetto e docente presso l’Accademia di Belle Arti
di Napoli, della correlatrice prof.ssa Giovanna Cassese, Direttore e docente presso
l’Accademia di Belle Arti di Napoli; alla collaborazione della ditta Metronapoli S.p.A. in
modo particolare della dott.ssa Maria Corbi e della dott.ssa Luisa Lepre (responsabili
della tutela del patrimonio artistico), e del museo Plart, diretto dalla dott.ssa Maria Pia
Incutti e il suo personale: la dott.ssa Antonella Russo (sviluppo, conservazione e ricerca)
e la dott.ssa Alice Hansen (conservazione e ricerca); alla disponibilità dell’ISCR di Roma,
in modo particolare della bibliotecaria Giuseppina Baioccodi.
La dott.ssa Anna Laganà, la prof.ssa Francesca Secchi, restauratrice e docente presso
l’Accademia di Belle Arti di Napoli e l’ISCR di Roma, il prof. Donato Inverso, diagnostico per
il restauro e docente presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, il prof. Manlio Titomanlio,
restauratore e docente presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, l’ingegnere Raffaele
Nasta; la dott.ssa Maria Georgopoilou, la dott.ssa Serena Ferone per la collaborazione
alla campagna fotografica. Ringrazio inoltre gli artisti Perino & Vele.
Contatti Michele Colucci
mail: [email protected]
tel: 3336415203
web: www.michelecolucci.wix.com/home
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494
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