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Giuseppe Crea
Agio e disagio nel servizio pastorale
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COLLANA
Persona e psiche
Giovanna Bartholini, La terapia centrata sul rapporto
Giovanna Bartholini, Il consulente di coppia
Xavier Lacroix, Il corpo di carne
Domenico Cravero, Se tuo figlio in discoteca...
Domenico Cravero, Fascino della notte e paura del giorno
Raffaello Rossi, Piccoli genitori, grandi figli
Domenico Cravero, Un io senza Dio?
Raffaello Rossi, L’ascolto costruttivo
Iride Conficoni, Caratteri fra le righe
Domenico Cravero, Padri e madri insieme
Rinaldo Paganelli, Formare i formatori dei catechisti
Giancarla Barbon, Nuovi processi formativi nella catechesi
Antonio Ventre, Il segreto della felicità
Rocco Quaglia, La scatola nera
Patrizia Santovecchi, I culti distruttivi e la manipolazione mentale
Gioia Viola, L’alchimia delle relazioni
Giuseppe Crea – Fabrizio Mastrofini, Animare i gruppi
e costruire la comunità
Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, La depressione
Rocco Quaglia, La Sindone letta da uno psicologo
Antonio Ventre, La relazione d’aiuto
Antonio Loperfido – Rosèlia Irti, La metamorfosi della sofferenza
Giuseppe Crea, Gli altri e la formazione di sé
Paolo Ciotti – Massimo Diana, Psicologia e religione
Xavier Lacroix, Passatori di vita
Elio Meloni, Accompagnare la formazione
Domenico Cravero, Corpi allo specchio
Ferdinando Montuschi – Augusto Palmonari, Nuovi adolescenti:
dalla conoscenza all’incontro
Yvon Saint-Arnaud, Il piacere che guarisce
Massimo Diana, Le forme della religiosità
Margherita Biavati, La relazione che cura
Giuseppe Crea, Patologia e speranza nella Vita Consacrata
Gioia Viola, La sessualità innamorata
Giulio Cirignano – Ferdinando Montuschi, «Come te stesso»:
la misura dell’amore
Kathryn James Hermes, Uscire dalla depressione
Antonio Ventre, Vivere e interpretare la relazione
Giuseppe Crea, Vivere la comunione nelle comunità multietniche
Daniele Mugnaini – Stefano Lassi, Metapsicologia cattolica
Giuseppe Crea, Agio e disagio nel servizio pastorale
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Giuseppe Crea
Agio e disagio
nel servizio pastorale
Riconoscere e curare il burnout
nella dedizione agli altri
Presentazione di
mons. Bruno Forte
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
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©
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2010 Centro editoriale dehoniano
via Nosadella, 6 – 40123 Bologna
EDB®
ISBN 978-88-10-80934-1
Stampa: GENESI Gruppo Editoriale S.r.l.,
Città di Castello (PG) 2010
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Introduzione
Parlare oggi di stress è un’impresa ardua per l’abbondante letteratura e la diversità delle interpretazioni con
cui tale argomento è stato affrontato. Molto spesso la parola è stata adoperata per indicare la presenza di uno stimolo nocivo a cui conseguono comportamenti disadattivi.
Questo fenomeno può investire anche il contesto dell’attività pastorale. Anche nella pastorale, infatti, l’operatore è soggetto a rischio di esaurimento per le condizioni
stressanti del suo lavoro, soprattutto quando mette a rischio il suo equilibrio psicofisico.
Generalmente si pensa al prete come a colui che si
prende cura degli altri e non ha bisogno di curare se stesso. Eppure da più parti arriva la richiesta di considerare
le condizioni reali in cui egli svolge il suo ministero, ponendo in risalto l’urgenza di una vita che sia modellata secondo l’esempio di Cristo buon Pastore, che invita a servire attraverso il ministero sacerdotale, anche quando è più
difficile e faticoso.
Riflettere sullo stile di vita del sacerdote e sul suo modo di amare la gente vuol dire guardare alla carità pastorale come espressione del dono totale di sé nelle condizioni reali in cui si viene a trovare. Il servizio disinteressato
alle persone che sono affidate alla sua cura pastorale lo
porta ad essere sempre disponibile, fino a farsi assorbire
dalle attività che svolge, al punto da correre il rischio di
non riuscire a pensare più a se stesso.
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Quando questa dedizione incondizionata è slegata dal
cammino di fede e dalle motivazioni che fondano l’identità
sacerdotale, facilmente produce una condizione di stanchezza e di tensione emotiva che lo logora dentro. Egli può continuare a correre dietro le tante cose da fare o le tante richieste pressanti della gente, ma senza più sapere il perché.
Infatti, una dedizione pastorale senza una permanente
docilità allo Spirito di Cristo consuma il presbitero nelle
sue motivazioni vocazionali e lo porta a esaurire le proprie
risorse, con un disagio che non è solo frutto di stanchezza
o di sovraccarico lavorativo, ma che, col tempo, rischia di
diventare una sorta di «malattia spirituale», che logora il
suo zelo e il senso stesso della sua dedizione.
Per sopperire a questo senso di vuoto interiore, egli comunque risponde con un sempre maggiore impegno ad essere «tutto a tutti», fino a non farcela più: perché le richieste sono troppe, perché la gente non lo capisce, perché
non era questo che si aspettava ecc.
In tal modo egli reagisce con le stesse manifestazioni
che caratterizzano tutte quelle attività che hanno come
obiettivo la dedizione alla gente, rivelando una particolare forma di adattamento allo stress definita come sindrome del burnout, in cui emergono i sintomi dell’insoddisfazione e del disagio provocato dalle eccessive richieste provenienti dalle persone alle quali presta la propria opera di
aiuto. Ma soprattutto emerge l’insoddisfazione di una vocazione che sembra privata della sua anima, quando si
inaridisce lo spirito profetico della chiamata.
In questa dinamica di logoramento i fattori individuali e quelli sociali sono determinanti per la situazione di
particolare disadattamento che si viene a creare a causa
del forte coinvolgimento dell’operatore, il quale, dando il
massimo di sé per essere a totale servizio della gente, si
espone a tutta una serie di agenti stressanti a cui reagisce
con alcuni stereotipi comportamentali. Il disagio che ne
consegue indica il costo del servizio agli altri in termini di
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esaurimento delle proprie energie, sia fisiche che emotive.
Un disagio che affonda le sue radici in uno stile di vita teso a «normalizzare» e a giustificare dei comportamenti disfunzionali che, invece, possono essere chiari segnali di
una nevrosi pastorale in agguato: la poca preghiera, la poca preparazione ai sacramenti, il poco tempo per se stessi,
il troppo lavoro, le eccessive disponibilità, le relazioni ambigue, l’isolamento dal resto del presbiterio.
Il disadattamento derivante da tali situazioni a volte
passa inosservato, perché nonostante tutto il presbitero
continua a rimanere al suo posto e a fare il proprio dovere, anche quando i sintomi cominciano ad essere pesanti.
Queste circostanze di maggiore difficoltà potrebbero invece essere delle vere «emergenze educative» di cui prendersi cura attraverso un’attenzione specifica e competente,
che non può essere relegata soltanto a degli interventi specialistici, quando il sacerdote non ce la fa più, ma deve diventare parte di uno stile di formazione permanente sia
per il singolo che per la sua comunità di appartenenza. Infatti, anche quando il prete sta male, il dono della vocazione continua ad essere frutto dell’azione di Dio da riscoprire e da rivitalizzare.
Ciò è possibile solo se la persona riscopre il giusto posto che ha nella sua vita la dimensione spirituale. Se riesce a cogliere il significato profetico della propria vocazione, sarà capace di vivere un’affettività integrata in uno stile dedicazionale che sia in sintonia con il senso evangelico
della sua esistenza.
Ogniqualvolta gli operatori pastorali realizzano questo
obiettivo, si aprono alla continuità del processo di maturazione umano e vocazionale, poiché colgono la permanenza della giovinezza dello spirito che li chiama a partecipare al progetto di salvezza di Dio, con il loro «modo specifico d’essere, di servire e d’amare» (VC 70: EV 15/647).
Tale visione libera l’individuo dal determinismo di
un’ottica patologizzante delle sue difficoltà psico-affettive
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e dal riduzionismo delle classificazioni psichiatriche, e lo
apre a un progetto di vita che esige un chiaro ri-orientamento e una vera adesione al progetto di Dio.
Solo così egli potrà assumersi la responsabilità dei suoi
comportamenti e recuperare la genuinità motivazionale
che caratterizza e accompagna la scelta vocazionale, per
poter discernere ciò che non va, in vista di scelte ulteriori
da fare.
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