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le portatrici - Comelico Cultura
LE PORTATRICI di Addolorata Martini Barzolai Il reclutamento delle cosiddette "portatrici" avvenne nel 1915, all'inizio della guerra. Le autorità militari si trovarono nella necessità di impiegare i civili per il trasporto in prima linea di granate e filo spinato per preparare le linee di difesa del nostro esercito, dato che il Comelico era di fatto zona di prima linea nella guerra dichiarata tra Italia e Austria. Dato che buona parte degli uomini era stata chiamata alle armi, i responsabili militari si videro obbligati a ricorrere alla collaborazione di donne e ragazze. Io allora avevo 12 anni e mi fu chiesto di partecipare, previa domanda, a questo lavoro. Ero la più giovane di tutte, ma il desiderio di poter aiutare in qualche modo la mia famiglia, che era nel bisogno, era grande e così quelle poche lire di compenso, per un così duro lavoro, erano un buon aiuto. C'erano anche ragazzi che non avevano l'età per fare il militare, ma in maggioranza eravamo donne e ragazze. I militari avevano posto il deposito delle granate nelle scuole elementari di Casamazzagno e da lì partivamo per le località da essi decise, che nel nostro caso era Pian Seri, sotto la Spina. Il trasporto avveniva così: le granate erano custodite in una cassa di legno con ai lati delle maniglie di corda grossa e attraverso queste venivano infilate due stanghe di legno a mo' di portantina. Se la granata pesava 25 chili le portatrici erano due, una davanti e l'altra di dietro; se invece pesavano 50 o più chili, eravamo due davanti e due dietro. Facevamo anche due viaggi al giorno. Certamente avere sulle spalle quel peso, ma soprattutto quel tipo di merce, non era una situazione tanto allegra e quindi il trasporto doveva essere fatto con cura per prevenire tragici incidenti... La fatica era grande, soprattutto per quelle di dietro perché, data la forte salita, il peso si scaricava in prevalenza su di loro. In genere mettevano le più alte di dietro e le più piccole davanti, per equilibrare in qualche modo il peso. Qualcuna, più fortunata, aveva le scarpe o gli scarpetti, le altre erano a piedi scalzi. Che delizia "su par al Tortoi pien d' peri" a piedi nudi! Non mi ricordo se mettevamo qualche cosa sulle spalle per attutire il peso e il male provocato dalle stanghe. Ogni tanto, durante il tragitto, facevamo qualche sosta per riprendere fiato e forze e poi su, fino a Pian Seri. Non mi ricordo per quanto tempo durò questo lavoro; ad un certo momento gli austriaci iniziarono a bombardare con i cannoni la zona per impedire il rafforzamento delle linee di difesa dei nostri soldati e allora per noi la cosa diventava molto pericolosa e così le autorità militari sospesero questo tipo di trasporto e fummo sostituite dai militari della "Milizia Territoriale", costituita in prevalenza da meridionali. Trascinavano tutto il materiale bellico su delle trattrici di ferro, non a motore, con attorno una squadra di questi soldati che tiravano e spingevano su per il Tortoi. Ci faceva pena vederli per lo sforzo e la fatica che dovevano fare, e di questo mi ricordo molto bene perché passavano proprio davanti a casa mia. In seguito fummo destinate al trasporto dei rotoli di filo spinato ("reticulati"). Il deposito era a Campitello e attraverso il bosco dovevamo portarli fino ai piani di Danta. Sentiero stretto e ripido quello che dovevamo percorrere. Il rotolo lo portavamo in due, una davanti e una di dietro, con una stanga di legno che lo attraversava e nella quale erano infissi dei chiodi per impedire al rotolo di scivolare in faccia a quella che era di dietro. Non era certamente agevole il trasporto: alla ripidità del sentiero si aggiungeva il dondolio del peso che accentuava la nostra fatica. Se non ricordo male, facevamo un solo viaggio al giorno. All'arrivo, a scaricare e sistemare i rotoli di filo spinato, c'erano giovani e uomini dei nostri che, non essendo abili al servizio militare, venivano militarizzati e facevano questi ed altri servizi dietro le prime linee. Anche da Sega Digon facemmo lo stesso trasporto di filo spinato e lo portavamo a "li Pradeti", attraverso una mulattiera che era stata costruita appositamente per questi servizi militari. In un fienile o baita, sopra Sega Digon, c'era una specie di osteria, funzionante per l'occasione, dove vendevano vino ecc. e qualche volta, se in tasca (per caso) avevamo qualche soldo, ci bevevamo un bicchiere di marsala, per farci forza e anche coraggio! Non mi ricordo con quanti denari venivamo compensate per questi lavori; certamente non corrisponde-vano al duro lavoro a cui eravamo sottoposte. TRIBUNALE MILITARE DI GUERRA1 T.F., di Zebbia, anni 26, soldato nel 91° fanteria, prigioniero degli austriaci; condannato in contumacia a 15 anni di reclusione militare per tradimento. Tribunale militare di guerra del I corpo d'armata. Pieve di Cadore, 22 dicembre 1915. "Il 1° ottobre 1915 la "Innsbrucker Nachricten" riportava dalla "Tiroler Soldaten Zeitung" un lungo articolo dal titolo "Il diario di un prigioniero italiano del 91° regg. fant." a fine, come il detto giornale scriveva, di gettare uno sguardo interessante sulle condizioni e sullo spirito dell'esercito italiano. In detto diario infatti si narravano pretesi scioperi generali scoppiati in alcune città d'Italia nel maggio scorso contro il governo che voleva la guerra, aggiungendo che la partenza dei soldati per il fronte era avvenuta in mezzo all'indifferenza e alla tristezza di tutti, il che dimostrava che la guerra non era popolare. E, parlando delle condizioni delle truppe, l'anonimo autore del diario aggiungeva che, durante una marcia, la metà dei soldati si era buttata per terra, impossibilitata a proseguire, sia per la stanchezza che per il cibo cattivo ed assolutamente insufficiente che quotidianamente veniva distribuito ai militari. Si accennava altresì ad un assalto che gli abitanti del Cadore avrebbero tentato di fare contro un accampamento di 1 nostri soldati per sfogare l'odio che nutrono contro gli italiani, aggiungendo notizie circa movimenti di truppe e cambi di reggimenti che sarebbero avvenuti in alcune delle nostre posizioni più avanzate. Infine si diceva ancora che il nostro esercito non poteva avere che un compito difensivo, giacché anzitutto l'artiglieria mancava assolutamente, mentre quella avversaria sparava senza tregua e con effetti veramente disastrosi per noi, ed in secondo luogo i soldati erano senza scarpe e male equipaggiati e nutriti, tanto che ogni giorno si presentavano alla visita medica in numero rilevantissimo e parecchi dovevano andare all'ospedale. Parlando poi delle operazioni guerresche vere e proprie, l'autore del diario accennava, in data 21 luglio e 4 agosto ad una avanzata sul Quaternà che avrebbe avuto esito disastroso per noi, causandoci perdite gravissime e convertendosi alcune volte in fughe disastrose. In seguito alle indagini compiute dal comando del reggimento, in relazione ai dati forniti dal predetto diario si poté accertare che autore ne era il soldato T.F., il quale veniva in data 14 novembre denunciato a questo Tribunale. Dagli atti risultano elementi non dubbi per affermare che il T. fosse l'autore del diario in questione. Oltre infatti ai risul- - Enzo Forcella-Alberto Monticone, Plotone d'esecuzione, i processi della prima guerra mondiale, Editore Laterza, Bari 1968, pagg. 24,26. tati sopra ricordati dell'inchiesta fatta dal comando del reggimento e che portarono all'attuale denuncia, è a notare la ricercatezza della forma con la quale giornalmente venivano raccolte le impressioni dell'autore del diario, dimostrano che questi doveva possedere una cultura molto superiore a quella comune tra i soldati, e facile invero a riscontrarsi in un impiegato quale era il T. Del resto è altresì a ricordare che quest'ultimo, prese effettivamente parte, con altri militari, ad una ricognizione notturna delle strade d'accesso di Cima Frugnoni, ricognizione che poi descrisse minutamente nel proprio diario, il quale a questo punto si chiude. Or, se si pensa che dei militari componenti la pattuglia, solo 3 ritornarono indietro e presero forse parte all'azione di combattimento del 6 ottobre a Cima Frugnoni, durante la quale il T. fu fatto prigioniero, si comprende subito come quest'ultimo sia stato effettivamente l'autore del diario pubblicato poi con pomposi titoli dai giornali austriaci per denigrare il nostro esercito e le nostre operazioni militari. Invero non può certo porsi in dubbio che, nella normalità dei casi, il fatto del cader prigioniero del nemico è assolutamente indipendente dalla volontà del soldato, dato che questi, dopo aver adoperati onorevolmente tutti i mezzi di difesa, debba cedere al numero e alla forza prevalente dell'avversario. Però, è parimenti evidente che, se l'esser fatti prigioniero è in sé stesso un fatto accidentale, non è perciò un fatto assolutamente imprevedibile: al contrario, dati i moderni sistemi di combattimento, il militare il quale sa di dover prendere parte ad una azione può e deve prevedere, perché rientra nell'ordine normale delle cose, che egli possa cadere sul campo o essere fatto prigioniero dal nemico. Pertanto se il militare, nel partecipare ad una azione di combattimento, porta indosso, senza giustificato motivo, delle carte e documenti riflettenti la situazione politica o militare della Stato, e se tali carte vengono, a causa della prigionia, in potere del nemico, il quale se ne serve per i suoi particolari scopi, deve il militare rispondere di violazione all'art. 74 del Codice penale per l'esercito, per avere fornito al nemico, con la propria deplorevole imprudenza, notizie dannose per lo Stato". RICORDI DI GUERRA dal diario di Festini Cucco Giovanna 3 novembre 1985 Ho finito di leggere il libro di Antonio Berti "1915-17 guerra in Comelico dalla Croda Rossa al Peralba". Avevo 14 anni allora e leggendo ho rivissuto, come fosse ora, i drammatici episodi di guerra, iniziata quassù sui nostri monti senza una preparazione adeguata, lasciando in mano al nemico i punti strategici quali: il Passo della Sentinella, il monte Cavallino, Cima Vallona, Cima Palombino. Il monte Quaternà fu tenuto dagli alpini. Di questo si parlava con apprensione, in ogni casa, essendo noi paese di confine che ebbe a subire in passato le orde devastatrici austriache. Dopo questa breve premessa mi accingo a scrivere queste note su episodi realmente accaduti. La conquista di Cima Vallona Nel giugno 1915 ci siamo trovati sul "Sautu" sopra Piangallina a far legna. Questa località, in linea d'aria, è proprio di fronte a Cima Vallona, dove ferveva accanita battaglia per riconquistarla. Vicino a noi lavorava zio Apollonio Vena che aveva con sé un potente cannocchiale e ce lo passavamo a turno. Ad un certo punto si sentì anche il grido: "Avanti Savoia" tra il crepitìo delle armi. Mia madre suggerì: "Preghiamo per quelli che combattono, preghiamo per quelli che sono morti". E tutti insieme abbiamo pregato e pianto. Dopo tanti anni ricordo questo episodio nei minimi particolari. Alpini in famiglia Passato un certo periodo, vennero in paese per un periodo di riposo gli alpini del Battaglione Finestrelle - 28° e 29° Compagnia. Vennero anche in casa nostra e li abbiamo accolti come fossero di famiglia. Ricordo il caporal maggiore Calvi Giovanni, poi Giustetti Giuseppe, Zucca Luigi, Gilli Pietro, tutti piemontesi. Dalla loro viva voce abbiamo appreso i particolari per la riconquista di Cima Vallona e Cima Palombino. Il babbo si compiaceva con loro, li elogiava. La mamma disse a Calvi: "Siete stati bravissimi, adesso vi aspetta la riconquista del Cavallino, lassù su di un grande masso troverete scolpito un cavallo rampante". Calvi sospirò e rispose: "Arrivarci?!?!" Ma nessuno, nonostante i ripetuti tentativi, ci è mai riuscito, salvo ad insanguinare le pendici del monte, tante e tante sono state le perdite del fior fiore dei nostri soldati, mandati su in massa, come branchi di pecore al macello. Dei su citati alpini, li abbiamo avuti cari ospiti tutte le volte che venivano in paese "a riposo" fino alla rotta di Caporetto. La statua della Madonna Sempre in riferimento agli alpini del Finestrelle mi piace ricordare, come dopo la conquista del Passo della Sentinella per loro iniziativa, con il residuo di un cannone tolto al nemico fu fusa una statua della Madonna. Sotto il titolo "Virgo Vigilantes" Vergine vigilante veglia su di noi. Detta statua, benedetta nella chiesa di Candide alla presenza d'una gran folla: gente dei paesi e militari, fu posta su un piccolo trono ornato di fiori, poi quattro alpini la portarono sul sagrato dove un camion militare ornato di frasche l'attendeva per essere portata lassù al Passo e sistemata in una nicchia scavata nella roccia. Durante l'anno dell'invasione 1917-1918 la statua sparì (anche la Madonna profuga). Finita la guerra fu ritrovata in una casa di Moso o Sesto e fu riportata nella nicchia, meta di pellegrinaggi ed escursioni. Da lassù, tra cielo e terra, continuerà la sua vigilanza e la sua protezione su tutti gli alpini che lassù l'hanno voluta e amata e anche su tutta la gente del Comelico. "Al 69 dli marmiti" Un altro episodio che la cronistoria non riporta riguarda il 69° battaglione di fanteria. Tutti toscani che operavano nella zona adiacente al Seikofel (Monte Covolo), monte boscoso a nord del passo di Monte Croce appena al di là del vecchio confine. Le sentinelle avanzate abbandonarono il loro posto. Il nemico si accorse, scese di sorpresa, senza colpo ferire, s'impadronì delle marmitte piene di pasta e le portarono nelle loro trincee. Le sentinelle che disertarono furono fucilate nelle paludi vicino al km. 24, per il resto della truppa restò sempre l'appellativo "al 69 dli marmiti". Venne anche per loro il momento di cimentarsi nei vari combattimenti per espropriare il Seikofel, con ingenti perdite ma senza alcun risultato. Ma non si può attribuire a loro la causa degli insuccessi né misconoscere il loro valore. Riporto testualmente la conclusione fatta dal generale austriaco al comando del Seikofel. "Gli italiani furono abbattuti a righe come la messe matura sotto la falce" (Guerra in Comelico, pag.48). E arrivarono anche a casa nostra quelli "del 69" per un meritato riposo. Alloggiavano nelle baracche a Sega Digon, ma preferivano passare le serate presso le famiglie sempre ospitali. Noi abbiamo ospitato Campolmi, Stella, Corsini, Franceschini. Costui, già sposato, ci mostrava con orgoglio la foto della moglie: "Povera topina mia, chissà quando ti rivedrò". Si dimostrarono sempre gentili, educati, alle volte allegri e spensierati perché vivi e lontani dal fronte. Una sera, parodiando i tanti insuccessi del Seikofel, cantarono, accompagnati dal suono di una mandola, la seguente canzone: "Povero 69 se ne andava su pian piano per prendere Seikofel invece lo prese in ano Giunto al reticolato va all'assalto alla baionetta grida "Avanti Savoia" vuol giungere proprio in vetta. .................. ma il cecchino tac-punf tac-punf te lo stendeva .............." Questo comportamento dispiaceva a mio padre che non tollerava questa impropria allegoria ma intervenne la mamma più comprensiva: "Lasciateli cantare! Quelli che son rimasti lassù non possono più cantare". Tolti questi momenti di euforia gli argomenti erano sempre di guerra con tanti morti, tante distruzioni, la grande incognita di portare a casa la pelle e una grande nostalgia delle loro famiglie e delle loro case. Il "69" fu poi mandato sul Carso, si dice per punizione. Di loro non si seppe più nulla. "Non dimentichiamo i tanti soldati che si sono sacrificati sui nostri monti". Anche le donne al lavoro Modestamente penso di aver dato anch'io il mio contributo alla Patria perché, ingaggiata insieme ad altre ragazze, avevamo il compito di portare i rotoli di filo spinato molto pesante per la costruzione della terza linea difensiva ai piani di Danta. Si partiva di buon mattino per Campitello, si impalava il rotolo in un bastone e a due a due su per uno stretto sentiero fino alla Forcella, da lì al deposito. Si ritornava per "Ciarafegn" e da Sopalù per l'erta fino a casa. Così col bello e cattivo tempo, poco vestite, camminando anche scalze per risparmiare scarpe o scarpetti. Nell'inverno eccezionale del 1916 si andava a spalar neve fino al Km. 24, che si trova sulla strada nazionale per Monte Croce, oppure a portare le cassette di munizioni fino al monte Spina sotto il tiro nemico di cui avevamo imparato a distinguere il micidiale "tac-punf". La ricompensa per questi lavori era di Lire 5 (cinque) al giorno ed era una paga forte rispetto allo stipendio di mio padre, guardia campestre che, oltre al normale servizio, era impegnato per la distribuzione in tutto il Comune dei generi tesserati. Percepiva "una lira" al giorno, dico una lira. E questa paga l'ha sempre percepita fino al 1923, quando liquidata l'amministrazione comunale, venne il Commissario prefettizio Brovedani che elevò lo stipendio a lire 10 (dieci) al giorno. Maccheroni al pomodoro" Una sera di settembre del 1915, ritornavamo stanchi dopo una giornata di lavoro di fienagione passata alle Casere. A casa c'erano i nostri amici militari intenti a preparare il cibo. "Abbiamo pensato a voi che sareste ritornati stanchi e con appetito ... quasi fame". Posero sul tavolo una grande zuppiera di terracotta (ciadin) colma di ... maccheroni al pomodoro. Chi li aveva mai visti e gustati? Ci sedemmo a tavola con loro e che squisitezza!... Allora l'appetito era il miglior companatico ... Ricordo con commozione questa tavolata che univa la riservatezza montanara all'esuberanza meridionale. Vita di paese durante la 1° guerra mondiale dagli appunti di suor Maria Agnese Zanderigo Rosolo "Nella primavera del 1915 c'era un gran movimento di soldati, cannoni... Passavano e andavano in montagna. Mio padre chiedeva notizie ai soldati. "E' la guerra, signore". Piansi a questa notizia e chiedemmo con grande fervore aiuto a Maria. Da quel giorno il paese si riempì di soldati, muli e carriaggi. Una sera io e mia madre ritornavamo dalla campagna. Un sergente ci chiese le chiavi di casa, l'aprì dicendo: "Togliete il denaro e le cose preziose" e la casa si riempì di soldati. Arrivò mio padre e, vedendo la casa occupata, parlò con il tenente ed ottenne che la cucina e tre camere fossero libere per noi. Essi si sistemarono nel fienile di mezzo, in quello di sopra, nella grande soffitta e nella stalla i muli. Così successe in tutte le case. Allora ogni casa aveva il fienile, la soffitta e la stalla. Lì si sistemarono soldati e animali. Il comando militare era a Candide nel palazzo dei nobil Gera. C'era un via vai giorno e notte. Salivano sui monti e ritornavano per il cambio di guardia. Anche i giovani e le ragazze del paese lavoravano per l'esercito a portare materiale lassù sui monti o a spalar neve ed erano pagate bene. Tutti gli uomini validi erano richiamati a combattevano sul Cristallo, sulle Tofane, sul Monte Piana e sul Carso. In paese rimasero donne, vecchi e bambini che dovevano lavorare in campagna, nelle stalle e nel bosco. In vari punti del paese erano sistemate le cucine da campo. Ricordo quella vicina alla casa dei "Marchiò" dove ora c'è la legnaia, quella sopra la latteria e al "Curtà". Attorno alle cucine c'erano sempre i bambini e per loro c'era sempre qualcosa da portare a casa nel "candal" 1: minestra, pastasciutta poi "gallette", cioccolata, carrube. A ogni famiglia veniva distribuita la carta annonaria, "la tessera". A ogni bollino corrispondeva una quantità di cibo. Nei giorni prestabiliti, due funzionari del Comune distribuivano: zucchero, farina, riso... La gente consumava i prodotti della terra: patate, segala, orzo, avena, fave, cavoli. Poi c'era tanto bestiame. Tra la buona gente e i soldati anche i poveri avevano da sfamarsi. Nei baraccamenti di Sega Digon c'erano i depositi di viveri per i militari. I soldati si lavavano alle fontane del paese. Le donne lavavano la loro biancheria e li facevano asciugare accanto al fuoco quando ritornavano bagnati fradici dalla montagna. Sopra il portone di casa nostra c'è l'affresco della Madonna con il Bambino, quando i soldati passavano diretti al fronte, la guardavano, si toglievano l'elmetto e pregavano in cuor loro "Aiutaci a ritornare". In cucina avevamo un quadro della Madonna del Perpetuo Soccorso con questa dedica: " In questa casa non si bestemmia, si santifica la festa, non si parla disonesto. Sia lodato Gesù e Maria". I soldati che erano a casa nostra furono sempre molto rispettosi. La guerra si faceva sentire con le cannonate, il tac-pum dei fucili e lo sgranare delle mitragliatrici. Tiravano dalla Croda Rossa per colpire la chiesetta di Santa Elisabetta, a Sacco, che era piena di munizioni o da Cima Vallona verso la chiesetta di S. Antonio Abate pure deposito di munizioni. Non riuscirono mai a colpire. Quante volte, mentre andavamo ai nostri fienili, si sentiva il fischio delle cannonate! Ci si buttava per terra dicendo: "Gesù mio, misericordia!" C'era il coprifuoco. Si doveva stare al buio se no passavano le guardie e, se vedevano la luce, ci prendevano e ci internavano. La notte poi da Croda Rossa la luce del riflettore austriaco perlustrava col suo fascio di luce tutta la valle per vedere se c'era movimento di truppa. Passava spesso la Croce Rossa, portava i feriti raccolti al fronte nell'ospedale da campo di via Piena (ora scuole medie) o giù a Lacuna, casa Vettori. Quanta gioventù ha lasciato la vita per niente! Ricordo il funerale di Fedele Mina, morto cadendo da Cima Undici, mentre portava un messaggio cifrato al Comando del Popera. Giunse poi la notizia della morte del maestro Arturo Festini Cucco caduto sul Cauriol. La gente del paese e i soldati riempivano le chiese alle funzioni religiose. Arrivò anche padre Pacifico, cappellano militare; andava su al fronte a celebrare la messa per i soldati ma aiutava anche Don Pio De Martin, nostro pievano. Era amico di tutti e veniva spesso a casa nostra. Ricordo quando benedisse la statua della Virgo Vigilans 1 - Vaso di alluminio per il latte che i soldati portarono lassù al Passo della Sentinella come segno di devozione e di protezione. Ricordo anche quando venne Padre Gemelli 2, ospite del comando militare. Parlò ai soldati dal pulpito della chiesa di Candide, piena all'inverosimile. Le cannonate arrivavano sempre vicino a Padola. Nella chiesa era esposta la statua della Madonna del Carmine, attorno tante candele. Un giorno, non so come, prese fuoco il vestito, bruciò tutto, ma la statua di legno rimase intatta. La gente del paese con il mansionario fecero voto "per 10 anni, non più feste da ballo, il 16 luglio festa della Madonna del Carmine". La chiesa rimase illesa, le cannonate cadevano attorno. Una cadde vicino alla canonica e morì la perpetua. Molti soldati del paese scrivevano al babbo che era un uomo buono, di grande fede e aveva assunto incarichi importanti nella vita del paese e del Comune. Lui aveva per tutti parole di incoraggiamento. Quando venivano in licenza, passavano a salutare "Checu di Rodi" (Francesco Zanderigo Rosolo) e noi intorno a sentire raccontare. La scuola funzionava regolarmente nel paese e nei paesi. Su alla scuola sopra la chiesa insegnavano la maestra Isabella, la maestra Filomena e i maestri chiamati alle armi erano sostituiti da maestre di prima nomina che venivano da Viadena - Mantova. Il 13 giugno del 1916 anche mio fratello Lorenzo venne chiamato alle armi con la classe del '99. Aveva solo 17 anni. Intanto sui fronti la situazione si aggravava. Babbo chiedeva ai tenenti, ai capitani cosa stava succedendo. "Pasticci! Pasticci !" rispondevano. 2 - Padre Agostino Gemelli, fondatore nel 1921 della Università del Sacro Cuore