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le portatrici - Comelico Cultura
LE PORTATRICI
di Addolorata Martini Barzolai
Il reclutamento delle cosiddette
"portatrici" avvenne nel 1915, all'inizio della
guerra. Le autorità militari si trovarono nella
necessità di impiegare i civili per il trasporto in
prima linea di granate e filo spinato per
preparare le linee di difesa del nostro esercito,
dato che il Comelico era di fatto zona di prima
linea nella guerra dichiarata tra Italia e Austria.
Dato che buona parte degli uomini era
stata chiamata alle armi, i responsabili militari
si videro obbligati a ricorrere alla
collaborazione di donne e ragazze. Io allora
avevo 12 anni e mi fu chiesto di partecipare,
previa domanda, a questo lavoro. Ero la più
giovane di tutte, ma il desiderio di poter
aiutare in qualche modo la mia famiglia, che
era nel bisogno, era grande e così quelle
poche lire di compenso, per un così duro
lavoro, erano un buon aiuto. C'erano anche
ragazzi che non avevano l'età per fare il
militare, ma in maggioranza eravamo donne e
ragazze.
I militari avevano posto il deposito delle
granate nelle scuole elementari di
Casamazzagno e da lì partivamo per le
località da essi decise, che nel nostro caso era
Pian Seri, sotto la Spina.
Il trasporto avveniva così: le granate
erano custodite in una cassa di legno con ai
lati delle maniglie di corda grossa e attraverso
queste venivano infilate due stanghe di legno a
mo' di portantina. Se la granata pesava 25
chili le portatrici erano due, una davanti e
l'altra di dietro; se invece pesavano 50 o più
chili, eravamo due davanti e due dietro.
Facevamo anche due viaggi al giorno.
Certamente avere sulle spalle quel peso, ma
soprattutto quel tipo di merce, non era una
situazione tanto allegra e quindi il trasporto
doveva essere fatto con cura per prevenire
tragici incidenti...
La fatica era grande, soprattutto per
quelle di dietro perché, data la forte salita, il
peso si scaricava in prevalenza su di loro. In
genere mettevano le più alte di dietro e le più
piccole davanti, per equilibrare in qualche
modo il peso.
Qualcuna, più fortunata, aveva le
scarpe o gli scarpetti, le altre erano a piedi
scalzi. Che delizia "su par al Tortoi pien d'
peri" a piedi nudi! Non mi ricordo se
mettevamo qualche cosa sulle spalle per
attutire il peso e il male provocato dalle
stanghe.
Ogni tanto, durante il tragitto, facevamo
qualche sosta per riprendere fiato e forze e
poi su, fino a Pian Seri. Non mi ricordo per
quanto tempo durò questo lavoro; ad un certo
momento gli austriaci iniziarono a bombardare
con i cannoni la zona per impedire il
rafforzamento delle linee di difesa dei nostri
soldati e allora per noi la cosa diventava molto
pericolosa e così le autorità militari sospesero
questo tipo di trasporto e fummo sostituite dai
militari della "Milizia Territoriale", costituita in
prevalenza da meridionali.
Trascinavano tutto il materiale bellico su
delle trattrici di ferro, non a motore, con
attorno una squadra di questi soldati che
tiravano e spingevano su per il Tortoi. Ci
faceva pena vederli per lo sforzo e la fatica
che dovevano fare, e di questo mi ricordo
molto bene perché passavano proprio davanti
a casa mia.
In seguito fummo destinate al trasporto
dei rotoli di filo spinato ("reticulati"). Il
deposito era a Campitello e attraverso il
bosco dovevamo portarli fino ai piani di
Danta. Sentiero stretto e ripido quello che
dovevamo percorrere. Il rotolo lo portavamo
in due, una davanti e una di dietro, con una
stanga di legno che lo attraversava e nella
quale erano infissi dei chiodi per impedire al
rotolo di scivolare in faccia a quella che era di
dietro. Non era certamente agevole il
trasporto: alla ripidità del sentiero si
aggiungeva il dondolio del peso che
accentuava la nostra fatica. Se non ricordo
male, facevamo un solo viaggio al giorno.
All'arrivo, a scaricare e sistemare i
rotoli di filo spinato, c'erano giovani e uomini
dei nostri che, non essendo abili al servizio
militare, venivano militarizzati e facevano
questi ed altri servizi dietro le prime linee.
Anche da Sega Digon facemmo lo
stesso trasporto di filo spinato e lo portavamo
a "li Pradeti", attraverso una mulattiera che era
stata costruita appositamente per questi servizi
militari. In un fienile o baita, sopra Sega
Digon, c'era una specie di osteria, funzionante
per l'occasione, dove vendevano vino ecc. e
qualche volta, se in tasca (per caso) avevamo
qualche soldo, ci bevevamo un bicchiere di
marsala, per farci forza e anche coraggio!
Non mi ricordo con quanti denari
venivamo compensate per questi lavori;
certamente non corrisponde-vano al duro
lavoro a cui eravamo sottoposte.
TRIBUNALE MILITARE DI GUERRA1
T.F., di Zebbia, anni 26, soldato
nel 91° fanteria, prigioniero degli
austriaci; condannato in contumacia a
15 anni di reclusione militare per
tradimento. Tribunale militare di guerra
del I corpo d'armata. Pieve di Cadore,
22 dicembre 1915.
"Il 1° ottobre 1915 la "Innsbrucker
Nachricten" riportava dalla "Tiroler
Soldaten Zeitung" un lungo articolo dal
titolo "Il diario di un prigioniero italiano del
91° regg. fant." a fine, come il detto
giornale scriveva, di gettare uno sguardo
interessante sulle condizioni e sullo spirito
dell'esercito italiano.
In detto diario infatti si narravano
pretesi scioperi generali scoppiati in alcune
città d'Italia nel maggio scorso contro il governo che voleva la guerra, aggiungendo
che la partenza dei soldati per il fronte era
avvenuta in mezzo all'indifferenza e alla
tristezza di tutti, il che dimostrava che la
guerra non era popolare. E, parlando delle
condizioni delle truppe, l'anonimo autore
del diario aggiungeva che, durante una
marcia, la metà dei soldati si era buttata
per terra, impossibilitata a proseguire, sia
per la stanchezza che per il cibo cattivo ed
assolutamente insufficiente che quotidianamente veniva distribuito ai militari.
Si accennava altresì ad un assalto
che gli abitanti del Cadore avrebbero
tentato di fare contro un accampamento di
1
nostri soldati per sfogare l'odio che
nutrono contro gli italiani, aggiungendo
notizie circa movimenti di truppe e cambi
di reggimenti che sarebbero avvenuti in alcune delle nostre posizioni più avanzate.
Infine si diceva ancora che il nostro
esercito non poteva avere che un compito
difensivo, giacché anzitutto l'artiglieria
mancava assolutamente, mentre quella
avversaria sparava senza tregua e con effetti veramente disastrosi per noi, ed in
secondo luogo i soldati erano senza scarpe
e male equipaggiati e nutriti, tanto che ogni
giorno si presentavano alla visita medica in
numero rilevantissimo e parecchi dovevano
andare all'ospedale.
Parlando poi delle operazioni
guerresche vere e proprie, l'autore del
diario accennava, in data 21 luglio e 4
agosto ad una avanzata sul Quaternà che
avrebbe avuto esito disastroso per noi,
causandoci
perdite
gravissime
e
convertendosi alcune volte in fughe
disastrose.
In seguito alle indagini compiute dal
comando del reggimento, in relazione ai
dati forniti dal predetto diario si poté accertare che autore ne era il soldato T.F., il
quale veniva in data 14 novembre denunciato a questo Tribunale.
Dagli atti risultano elementi non
dubbi per affermare che il T. fosse l'autore
del diario in questione. Oltre infatti ai risul-
- Enzo Forcella-Alberto Monticone, Plotone d'esecuzione, i processi della prima guerra mondiale, Editore
Laterza, Bari 1968, pagg. 24,26.
tati sopra ricordati dell'inchiesta fatta dal
comando del reggimento e che portarono
all'attuale denuncia, è a notare la ricercatezza della forma con la quale giornalmente
venivano raccolte le impressioni dell'autore
del diario, dimostrano che questi doveva
possedere una cultura molto superiore a
quella comune tra i soldati, e facile invero a
riscontrarsi in un impiegato quale era il T.
Del resto è altresì a ricordare che
quest'ultimo, prese effettivamente parte,
con altri militari, ad una ricognizione
notturna delle strade d'accesso di Cima
Frugnoni, ricognizione che poi descrisse
minutamente nel proprio diario, il quale a
questo punto si chiude. Or, se si pensa che
dei militari componenti la pattuglia, solo 3
ritornarono indietro e presero forse parte
all'azione di combattimento del 6 ottobre a
Cima Frugnoni, durante la quale il T. fu
fatto prigioniero, si comprende subito
come quest'ultimo sia stato effettivamente
l'autore del diario pubblicato poi con
pomposi titoli dai giornali austriaci per
denigrare il nostro esercito e le nostre
operazioni militari.
Invero non può certo porsi in dubbio
che, nella normalità dei casi, il fatto del
cader prigioniero del nemico è
assolutamente indipendente dalla volontà
del soldato, dato che questi, dopo aver
adoperati onorevolmente tutti i mezzi di
difesa, debba cedere al numero e alla forza
prevalente dell'avversario. Però, è
parimenti evidente che, se l'esser fatti
prigioniero è in sé stesso un fatto
accidentale, non è perciò un fatto
assolutamente imprevedibile: al contrario,
dati i moderni sistemi di combattimento, il
militare il quale sa di dover prendere parte
ad una azione può e deve prevedere,
perché rientra nell'ordine normale delle
cose, che egli possa cadere sul campo o
essere fatto prigioniero dal nemico.
Pertanto se il militare, nel partecipare ad
una azione di combattimento, porta
indosso, senza giustificato motivo, delle
carte e documenti riflettenti la situazione
politica o militare della Stato, e se tali carte
vengono, a causa della prigionia, in potere
del nemico, il quale se ne serve per i suoi
particolari scopi, deve il militare rispondere
di violazione all'art. 74 del Codice penale
per l'esercito, per avere fornito al nemico,
con la propria deplorevole imprudenza,
notizie dannose per lo Stato".
RICORDI DI GUERRA
dal diario di Festini Cucco Giovanna
3 novembre 1985
Ho finito di leggere il libro di Antonio
Berti "1915-17 guerra in Comelico dalla
Croda Rossa al Peralba".
Avevo 14 anni allora e leggendo ho
rivissuto, come fosse ora, i drammatici episodi
di guerra, iniziata quassù sui nostri monti
senza una preparazione adeguata, lasciando
in mano al nemico i punti strategici quali: il
Passo della Sentinella, il monte Cavallino,
Cima Vallona, Cima Palombino. Il monte
Quaternà fu tenuto dagli alpini.
Di questo si parlava con apprensione, in
ogni casa, essendo noi paese di confine che
ebbe a subire in passato le orde devastatrici
austriache.
Dopo questa breve premessa mi accingo
a scrivere queste note su episodi realmente
accaduti.
La conquista di Cima Vallona
Nel giugno 1915 ci siamo trovati sul
"Sautu" sopra Piangallina a far legna. Questa
località, in linea d'aria, è proprio di fronte a Cima
Vallona, dove ferveva accanita battaglia per
riconquistarla.
Vicino a noi lavorava zio Apollonio Vena
che aveva con sé un potente cannocchiale e ce lo
passavamo a turno. Ad un certo punto si sentì
anche il grido: "Avanti Savoia" tra il crepitìo delle
armi.
Mia madre suggerì: "Preghiamo per quelli
che combattono, preghiamo per quelli che sono
morti". E tutti insieme abbiamo pregato e pianto.
Dopo tanti anni ricordo questo episodio nei
minimi particolari.
Alpini in famiglia
Passato un certo periodo, vennero in paese
per un periodo di riposo gli alpini del Battaglione
Finestrelle - 28° e 29° Compagnia. Vennero
anche in casa nostra e li abbiamo accolti come
fossero di famiglia.
Ricordo il caporal maggiore Calvi
Giovanni, poi Giustetti Giuseppe, Zucca Luigi,
Gilli Pietro, tutti piemontesi. Dalla loro viva voce
abbiamo appreso i particolari per la riconquista di
Cima Vallona e Cima Palombino. Il babbo si
compiaceva con loro, li elogiava.
La mamma disse a Calvi: "Siete stati
bravissimi, adesso vi aspetta la riconquista del
Cavallino, lassù su di un grande masso troverete
scolpito un cavallo rampante". Calvi sospirò e rispose: "Arrivarci?!?!"
Ma nessuno, nonostante i ripetuti tentativi,
ci è mai riuscito, salvo ad insanguinare le pendici
del monte, tante e tante sono state le perdite del
fior fiore dei nostri soldati, mandati su in massa,
come branchi di pecore al macello.
Dei su citati alpini, li abbiamo avuti cari
ospiti tutte le volte che venivano in paese "a
riposo" fino alla rotta di Caporetto.
La statua della Madonna
Sempre in riferimento agli alpini del
Finestrelle mi piace ricordare, come dopo la
conquista del Passo della Sentinella per loro
iniziativa, con il residuo di un cannone tolto al
nemico fu fusa una statua della Madonna. Sotto il
titolo "Virgo Vigilantes" Vergine vigilante veglia su
di noi.
Detta statua, benedetta nella chiesa di
Candide alla presenza d'una gran folla: gente dei
paesi e militari, fu posta su un piccolo trono
ornato di fiori, poi quattro alpini la portarono sul
sagrato dove un camion militare ornato di frasche
l'attendeva per essere portata lassù al Passo e
sistemata in una nicchia scavata nella roccia.
Durante l'anno dell'invasione 1917-1918 la
statua sparì (anche la Madonna profuga). Finita
la guerra fu ritrovata in una casa di Moso o Sesto
e fu riportata nella nicchia, meta di pellegrinaggi
ed escursioni.
Da lassù, tra cielo e terra, continuerà la sua
vigilanza e la sua protezione su tutti gli alpini che
lassù l'hanno voluta e amata e anche su tutta la
gente del Comelico.
"Al 69 dli marmiti"
Un altro episodio che la cronistoria non
riporta riguarda il 69° battaglione di fanteria.
Tutti toscani che operavano nella zona
adiacente al Seikofel (Monte Covolo), monte
boscoso a nord del passo di Monte Croce
appena al di là del vecchio confine.
Le sentinelle avanzate abbandonarono il
loro posto. Il nemico si accorse, scese di
sorpresa, senza colpo ferire, s'impadronì delle
marmitte piene di pasta e le portarono nelle loro
trincee.
Le sentinelle che disertarono furono fucilate
nelle paludi vicino al km. 24, per il resto della
truppa restò sempre l'appellativo "al 69 dli
marmiti".
Venne anche per loro il momento di
cimentarsi nei vari combattimenti per espropriare
il Seikofel, con ingenti perdite ma senza alcun
risultato. Ma non si può attribuire a loro la causa
degli insuccessi né misconoscere il loro valore.
Riporto testualmente la conclusione fatta dal
generale austriaco al comando del Seikofel.
"Gli italiani furono abbattuti a righe come la
messe matura sotto la falce" (Guerra in Comelico,
pag.48).
E arrivarono anche a casa nostra quelli "del
69" per un meritato riposo. Alloggiavano nelle
baracche a Sega Digon, ma preferivano passare
le serate presso le famiglie sempre ospitali. Noi
abbiamo ospitato Campolmi, Stella, Corsini,
Franceschini. Costui, già sposato, ci mostrava
con orgoglio la foto della moglie: "Povera topina
mia, chissà quando ti rivedrò".
Si dimostrarono sempre gentili, educati,
alle volte allegri e spensierati perché vivi e lontani
dal fronte. Una sera, parodiando i tanti insuccessi
del Seikofel, cantarono, accompagnati dal suono
di una mandola, la seguente canzone:
"Povero 69
se ne andava
su pian piano
per prendere Seikofel
invece lo prese in ano
Giunto al reticolato
va all'assalto alla baionetta
grida "Avanti Savoia"
vuol giungere
proprio in vetta.
..................
ma il cecchino
tac-punf
tac-punf
te lo stendeva
.............."
Questo comportamento dispiaceva a mio
padre che non tollerava questa impropria
allegoria ma intervenne la mamma più
comprensiva: "Lasciateli cantare! Quelli che son
rimasti lassù non possono più cantare".
Tolti questi momenti di euforia gli
argomenti erano sempre di guerra con tanti morti,
tante distruzioni, la grande incognita di portare a
casa la pelle e una grande nostalgia delle loro
famiglie e delle loro case.
Il "69" fu poi mandato sul Carso, si dice
per punizione. Di loro non si seppe più nulla.
"Non dimentichiamo i tanti soldati che si
sono sacrificati sui nostri monti".
Anche le donne al lavoro
Modestamente penso di aver dato anch'io
il mio contributo alla Patria perché, ingaggiata
insieme ad altre ragazze, avevamo il compito di
portare i rotoli di filo spinato molto pesante per la
costruzione della terza linea difensiva ai piani di
Danta. Si partiva di buon mattino per Campitello,
si impalava il rotolo in un bastone e a due a due
su per uno stretto sentiero fino alla Forcella, da lì
al deposito. Si ritornava per "Ciarafegn" e da
Sopalù per l'erta fino a casa. Così col bello e
cattivo tempo, poco vestite, camminando anche
scalze per risparmiare scarpe o scarpetti.
Nell'inverno eccezionale del 1916 si
andava a spalar neve fino al Km. 24, che si trova
sulla strada nazionale per Monte Croce, oppure
a portare le cassette di munizioni fino al monte
Spina sotto il tiro nemico di cui avevamo imparato a distinguere il micidiale "tac-punf".
La ricompensa per questi lavori era di Lire
5 (cinque) al giorno ed era una paga forte rispetto
allo stipendio di mio padre, guardia campestre
che, oltre al normale servizio, era impegnato per
la distribuzione in tutto il Comune dei generi
tesserati. Percepiva "una lira" al giorno, dico una
lira.
E questa paga l'ha sempre percepita fino al
1923, quando liquidata l'amministrazione
comunale, venne il Commissario prefettizio
Brovedani che elevò lo stipendio a lire 10 (dieci)
al giorno.
Maccheroni al pomodoro"
Una sera di settembre del 1915,
ritornavamo stanchi dopo una giornata di lavoro
di fienagione passata alle Casere. A casa c'erano
i nostri amici militari intenti a preparare il cibo.
"Abbiamo pensato a voi che sareste
ritornati stanchi e con appetito ... quasi fame".
Posero sul tavolo una grande zuppiera di
terracotta (ciadin) colma di ... maccheroni al
pomodoro. Chi li aveva mai visti e gustati? Ci sedemmo a tavola con loro e che squisitezza!...
Allora l'appetito era il miglior companatico ...
Ricordo con commozione questa tavolata
che univa la riservatezza montanara all'esuberanza
meridionale.
Vita di paese durante la 1° guerra mondiale
dagli appunti di suor Maria Agnese Zanderigo Rosolo
"Nella primavera del 1915 c'era un gran movimento di soldati, cannoni... Passavano e andavano in montagna. Mio padre chiedeva notizie ai soldati. "E' la guerra, signore".
Piansi a questa notizia e chiedemmo con grande fervore aiuto a Maria.
Da quel giorno il paese si riempì di soldati, muli e carriaggi.
Una sera io e mia madre
ritornavamo dalla campagna.
Un sergente ci chiese le chiavi
di casa, l'aprì
dicendo:
"Togliete il denaro e le cose
preziose" e la casa si riempì
di soldati. Arrivò mio padre e,
vedendo la casa occupata,
parlò con il tenente ed ottenne
che la cucina e tre camere
fossero libere per noi. Essi si
sistemarono nel fienile di
mezzo, in quello di sopra, nella
grande soffitta e nella stalla i
muli.
Così successe in tutte le case.
Allora ogni casa aveva il fienile,
la soffitta e la stalla. Lì si sistemarono soldati e animali. Il
comando militare era a
Candide nel palazzo dei nobil
Gera.
C'era un via vai giorno e notte. Salivano sui monti e ritornavano per il cambio di
guardia. Anche i giovani e le ragazze del paese lavoravano per l'esercito a portare
materiale lassù sui monti o a spalar neve ed erano pagate bene.
Tutti gli uomini validi erano richiamati a combattevano sul Cristallo, sulle Tofane,
sul Monte Piana e sul Carso. In paese rimasero donne, vecchi e bambini che dovevano
lavorare in campagna, nelle stalle e nel bosco.
In vari punti del paese erano sistemate le cucine da campo. Ricordo quella vicina
alla casa dei "Marchiò" dove ora c'è la legnaia, quella sopra la latteria e al "Curtà".
Attorno alle cucine c'erano sempre i bambini e per loro c'era sempre qualcosa da
portare a casa nel "candal" 1: minestra, pastasciutta poi "gallette", cioccolata, carrube.
A ogni famiglia veniva distribuita la carta annonaria, "la tessera". A ogni bollino
corrispondeva una quantità di cibo. Nei giorni prestabiliti, due funzionari del Comune
distribuivano: zucchero, farina, riso...
La gente consumava i prodotti della terra: patate, segala, orzo, avena, fave, cavoli.
Poi c'era tanto bestiame. Tra la buona gente e i soldati anche i poveri avevano da
sfamarsi.
Nei baraccamenti di Sega Digon c'erano i depositi di viveri per i militari.
I soldati si lavavano alle fontane del paese. Le donne lavavano la loro biancheria e
li facevano asciugare accanto al fuoco quando ritornavano bagnati fradici dalla
montagna.
Sopra il portone di casa nostra c'è l'affresco della Madonna con il Bambino,
quando i soldati passavano diretti al fronte, la guardavano, si toglievano l'elmetto e
pregavano in cuor loro "Aiutaci a ritornare".
In cucina avevamo un quadro della Madonna del Perpetuo Soccorso con questa
dedica: " In questa casa non si bestemmia, si santifica la festa, non si parla disonesto.
Sia lodato Gesù e Maria". I soldati che erano a casa nostra furono sempre molto rispettosi.
La guerra si faceva sentire con le cannonate, il tac-pum dei fucili e lo sgranare
delle mitragliatrici. Tiravano dalla Croda Rossa per colpire la chiesetta di Santa Elisabetta, a Sacco, che era piena di munizioni o da Cima Vallona verso la chiesetta di S.
Antonio Abate pure deposito di munizioni. Non riuscirono mai a colpire. Quante volte,
mentre andavamo ai nostri fienili, si sentiva il fischio delle cannonate! Ci si buttava per
terra dicendo: "Gesù mio, misericordia!"
C'era il coprifuoco. Si doveva stare al buio se no passavano le guardie e, se vedevano la luce, ci prendevano e ci internavano. La notte poi da Croda Rossa la luce del
riflettore austriaco perlustrava col suo fascio di luce tutta la valle per vedere se c'era
movimento di truppa.
Passava spesso la Croce Rossa, portava i feriti raccolti al fronte nell'ospedale da
campo di via Piena (ora scuole medie) o giù a Lacuna, casa Vettori. Quanta gioventù
ha lasciato la vita per niente!
Ricordo il funerale di Fedele Mina, morto cadendo da Cima Undici, mentre portava un messaggio cifrato al Comando del Popera. Giunse poi la notizia della morte del
maestro Arturo Festini Cucco caduto sul Cauriol.
La gente del paese e i soldati riempivano le chiese alle funzioni religiose. Arrivò
anche padre Pacifico, cappellano militare; andava su al fronte a celebrare la messa per
i soldati ma aiutava anche Don Pio De Martin, nostro pievano. Era amico di tutti e
veniva spesso a casa nostra. Ricordo quando benedisse la statua della Virgo Vigilans
1
- Vaso di alluminio per il latte
che i soldati portarono lassù al Passo della Sentinella come segno di devozione e di
protezione.
Ricordo anche quando venne Padre Gemelli 2, ospite del comando militare. Parlò
ai soldati dal pulpito della chiesa di Candide, piena all'inverosimile.
Le cannonate arrivavano sempre vicino a Padola. Nella chiesa era esposta la
statua della Madonna del Carmine, attorno tante candele. Un giorno, non so come,
prese fuoco il vestito, bruciò tutto, ma la statua di legno rimase intatta. La gente del
paese con il mansionario fecero voto "per 10 anni, non più feste da ballo, il 16 luglio festa della Madonna del Carmine". La chiesa rimase illesa, le cannonate cadevano
attorno. Una cadde vicino alla canonica e morì la perpetua.
Molti soldati del paese
scrivevano al babbo che
era un uomo buono, di
grande fede e aveva
assunto
incarichi
importanti nella vita del
paese e del Comune. Lui
aveva per tutti parole di
incoraggiamento. Quando
venivano
in
licenza,
passavano a salutare
"Checu
di
Rodi"
(Francesco Zanderigo Rosolo) e noi intorno a sentire
raccontare. La scuola
funzionava regolarmente
nel paese e nei paesi. Su
alla scuola sopra la chiesa
insegnavano la maestra
Isabella,
la
maestra
Filomena e i maestri
chiamati alle armi erano
sostituiti da maestre di
prima nomina che venivano da Viadena - Mantova.
Il 13 giugno del 1916 anche mio fratello Lorenzo venne chiamato alle armi con la
classe del '99. Aveva solo 17 anni.
Intanto sui fronti la situazione si aggravava. Babbo chiedeva ai tenenti, ai capitani
cosa stava succedendo. "Pasticci! Pasticci !" rispondevano.
2
- Padre Agostino Gemelli, fondatore nel 1921 della Università del Sacro Cuore
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