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Berlusconi fa bene a non mollare? Anche se è evidente l

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Berlusconi fa bene a non mollare? Anche se è evidente l
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Martedì 20 Settembre 2011
PRIMO PIANO
In politica, come si sa, non basta avere ragione. Occorre anche riuscire a farsela dare
Berlusconi fa bene a non mollare?
Anche se è evidente l’accanimento unilaterale delle procure
DI
GIULIANO CAZZOLA*
È
il momento di dare
un signifi cato preciso
agli eventi che stiamo
vivendo in un periodo
gravido di rischi per la tenuta
del paese, a partire dalle istituzioni civili e democratiche
fino agli assetti economici e
sociali.
Da una parte c’è un anziano
signore (abbiamo compreso di
chi si parla) che, come tanti
della sua età, ha bisogno di
conferme, soffre di un’ossessione per l’altrui sesso (aveva
ragione l’ex moglie a parlare
di «malattia»), quasi di una
dipendenza, al punto di circondarsi di lenoni, prosseneti
che, al pari di veri e propri pusher, gli procurano le compagnie di cui ha bisogno (senza
alcuna difficoltà, perché tante
sono le volontarie disponibili),
allo scopo di ricevere, in cambio, benemerenze e vantaggi
economici, in considerazione
del potere politico e della ricchezza di cui l’anziano signore
dispone.
Questa persona non è né il
solo, né il primo e non sarà
l’ultimo «potente» a cui si
possono riferire siffatti stili
di vita. Personalità che sono
icone della democrazia e del
socialismo, padri della Patria,
protagonisti della Storia, capitani d’industria, grandi artisti, insigni prelati, sovrani
ed imperatori hanno condotto
vite del tutto conformi a quelle
che si intravvedono (o si immaginano) dal buco della serratura della villa di Arcore o
di Palazzo Grazioli.
Basterebbe citare il celebre
pensiero di Blaise Pascal a
proposito del naso di Cleopatra e della sua influenza sulla storia del mondo. Ebbene,
questi comportamenti discutibili, relativi alla vita privata,
sono sempre rimasti protetti,
in passato, dalla riservatezza,
anche quando di essi si parlava con insistenza. Poi, più recentemente, la libera stampa
ha svolto una benemerita funzione di indagine e di denuncia
spesso rovinando promettenti
carriere. Ed è un bene che esista un giornalismo di inchiesta che non guarda in faccia a
nessuno. E che sia imparziale. Dallo scandalo Watergate
in poi, anche se pochi sono gli
imitatori, questa è diventata
la regola.
Nel nostro caso, però, la realtà è ben diversa. E qui sta
l’altro corno della questione- Italia. È ammissibile che
talune Procure si pongano
(pregiudizialmente e a tavolino) un assillo: come possiamo
rovesciare Silvio Berlusconi e il suo governo? E, pur di
adempiere a questa missione,
abusano del potere loro conferito dalla legge, intercettandone le conversazioni e spiandone ogni momento della vita
privata, con impiego massiccio
di mezzi e di risorse, come se
si trattasse di neutralizzare
l’erede di Al Capone.
Centinaia, migliaia di intercettazioni telefoniche vengono trascritte, anche se non
riguardano indagini in corso,
perché l’obiettivo non è quello di perseguire dei reati, ma
di «sputtanare» (costi quel
che costi) il «tiranno», ingigantendone i vizi agli occhi
dell’opinione pubblica, grazie
al contributo di una stampa
a cui non è richiesta neppure
la fatica di andarsi a cercare
le notizie attraverso le inchieste, perché riceve nelle redazioni pacchi di documenti che
raccolgono ogni parola, ogni
frase di quelle che, dette al
telefono, metterebbero in difficoltà chiunque.
Nelle intercettazioni, pubblicate su pagine e pagine
dei quotidiani, i colloqui non
solo non prefigurano ipotesi
di reato, ma spesso non sono
neppure censurabili sul piano
dell’opportunità, del bon ton
(pensiamo ad una telefonata
tra Berlusconi e l’Arcuri).
Oppure sono evidentemente
delle battute goliardiche, forse
discutibili ma nulla di più.
C’è davvero qualcuno disposto a credere che Berlusconi parlasse sul serio quando
raccontava che undici donne
si erano messe in fila davanti
alla sua camera da letto ma lui
era riuscito ad accontentarne
solo otto perché quella sera
era stanco?
Questa è la sostanza: siamo
in presenza di un tentativo
reiterato di golpe istituzionale da parte di talune Procure
ma la Spectre mediatico-giudiziaria è riuscita a far credere che il problema del paese
siano le scappatelle di Silvio
Berlusconi.
Il premier si è sicuramente
ed imprudentemente infi lato
(al cospetto dell’opinione pubblica mondiale) in situazioni
imbarazzanti, ha dato confi denza a personaggi che non
la meritavano (che paese è
quello in cui un alto ufficiale
della GdF affida a Valter Lavitola una raccomandazione
per ottenere una promozione!),
usa al telefono un fraseggio
spesso imbarazzante, è raggiungibile ovunque da signorine disinvolte e disinibite, ma
ben consapevoli di un destino
liberamente scelto (quando
ero bambino ricordo che una
lavorante di mia madre, sarta,
aveva un’amica che lavorava
in una compagnia di varietà:
parlando di lei diceva sempre
che per fare quel mestiere
occorreva «passare arraverso
delle mani»).
Ma che dire di Pier Luigi
Bersani che aveva uno stretto
collaboratore accusato di avere messo in piedi, da Sesto San
Giovanni, un giro di tangenti
così ampio e proficuo da trava-
licare, nei fatti, le dimensioni e
le potenzialità operative della
ex Stalingrado d’Italia
? Nulla. Per anni la
magistratura milanese ha affossato
l’inchiesta, poi riemersa ad iniziativa della Procura
di Monza.
Esistono forse un migliaio di
intercettazioni
dei colloqui
telefonici tra Bersani (o qualche altro esponente nazionale
del Pd) e Penati? No.
Proprio nelle stesse ore in cui si rimetteva in moto la
macchina del fango
contro il Cavaliere,
il gip di Milano ha
respinto la richiesta
di archiviazione nei
suoi confronti per la
telefonata tra Fassino e Consorte sul
caso Unipol-
Giuliano Cazzola
Bnl. E ne ha chiesto il rinvio
a giudizio.
Si badi bene: la pubblicazione del colloquio fu una carognata, perché Fassino è un
galantuomo e la conversazione era assolutamente normale (anche se è diventata una
prova evidente di come sia
possibile, attraverso le intercettazioni, distorcere la realtà
e il pensiero di chi conversa al
telefono). Ma almeno bisognerebbe che l’accanimento non
fosse tanto marcatamente di
parte da rasentare il ridicolo.
Tutto ciò premesso, che
fare? Berlusconi ha deciso di
non mollare. È questa la scelta
migliore per lui e per l’operazione politica che ha saputo
costruire da quando è sceso in
campo? Non ne siamo sicuri.
In politica non basta avere
ragione; occorre anche riuscire
a farsela dare.
Le battaglie si vincono e si
perdono. Da una battaglia persa (al centro destra la storia
di questi anni lo insegna) si
può uscire vincitori in un’altra
occasione.
Ma da una disfatta, al pari
di quella che si profila, non ci
si riprende più. Rimane soltanto la resa senza condizioni.
Ed è vicina.
* L’Occidentale
IL CARO LEADER LODA LA SUA PERSONALITÀ DI GRANDE PADANO
Facciamo contenti i coniugi Bossi
che vogliono far contento il Trota
DI
ISHMAEL
Facciamo contento Umberto Bossi, facciamo contenta la sua signora, che vogliono
fare contento il Trota: via dall’Italia, «l’Italia va a picco». Tutti sotto le bandiere della
Padania e delle pensioni, anzi delle sinecure, o meglio d’una sinecura sola, la sinecura
del Trota, il Dio Po gliela conservi.
Perché anche il Trota, sia chiaro, ha gli stessi diritti del suo babbo, a cominciare dal
diritto di vivere (e di vivere bene) fino alla
tarda età, con i piedi al calduccio, e senza
mai lavorare, nemmeno un giorno, salvo affiggere un manifesto elettorale ogni tanto.
O forse qualcuno, tra gli elettori del Nord,
ha la faccia tosta di pretendere che il poveretto, un giovane di talento, il figlio del
capotribù, si giochi la salute sudando alla
cassa d’un supermercato, oppure osservando
l’orario d’ufficio in una fabbrichetta o magari prendendo bei voti a scuola e insomma
facendo qualcosa di utile, tipo sbadilare nei
campi, quando al giovane Trota, giudicandolo dagli occhi a palla, dall’amore per lo
studio e dalle risposte intellettualmente
vivaci che riserva agl’intervistatori che gli
allungano ridacchiando un microfono, piace soprattutto bere aranciate, fischiare alle
ragazze, mangiare una pizza, tirare mattina con gli amici e star dietro ai ciclisti del
Giro di Padania? Lavorare? Ah, no, questo
mai! Piuttosto vada allo stadio, si beva una
birra!
Bossi, padre orgoglioso, statista col sigaro,
prende la parola al Pian del Re, su alle sor-
genti del Po, dove i leghisti si riuniscono
ogni anno felici di tavanare in compagnia,
per lodare il Trota, i suoi «nervi saldi», la
sua personalità di grande padano, la sua
«prudenza».
Uniamoci anche noi a queste lodi così meritate. Inneggiamo al Trota come Aldo
Cazzullo inneggia al Tricolore (e ai suoi
antenati, i Fratelli Cazzullo-Bandiera che
cantano a squarciagola Bella ciao mentre
vanno al patibolo)!
Non c’è più l’Italia, «l’Italia va a picco», Silvio Berlusconi è alla frutta, il centrosinistra mette in imbarazzo persino le mamme
dei suoi leader, non ci sono più zie suore e
quel che resta (il Terzo Polo, le leghe meridionaliste, Di Pietro, De Magistris, Pisapia)
è profondo sud, alla larga, vade retro.
Al riparo, padani! Uniamoci alla Sacra Famiglia: eccola lì, sorridente, raccolta intorno
al pentolone fumigante della polenta, pronta ad accoglierci!
Guardate le sue braccia aperte, e tutti quei
diti medi alzati in segno di benvenuto!
Diventiamo una sola famiglia con la famiglia Bossi! Col Senatur e la sua signora, col
Trota e i suoi fratelli.
Padani, ancora uno sforzo! Mano sul cuore
e, mentre «l’Italia va a picco» insieme agli
ultimi resti di Berlusconia, giuringiurettiamo sull’Ampolla del Dio Po (il Santo Graal
dei bergamaschi) che qui si fa la Padania
o si muore.
Abbasso V.E.R.D.I.! Viva il T.R.O.T.A. (Trota
Re O Tutti Apicco)!
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