Berlusconi fa bene a non mollare? Anche se è evidente l
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Berlusconi fa bene a non mollare? Anche se è evidente l
4 Martedì 20 Settembre 2011 PRIMO PIANO In politica, come si sa, non basta avere ragione. Occorre anche riuscire a farsela dare Berlusconi fa bene a non mollare? Anche se è evidente l’accanimento unilaterale delle procure DI GIULIANO CAZZOLA* È il momento di dare un signifi cato preciso agli eventi che stiamo vivendo in un periodo gravido di rischi per la tenuta del paese, a partire dalle istituzioni civili e democratiche fino agli assetti economici e sociali. Da una parte c’è un anziano signore (abbiamo compreso di chi si parla) che, come tanti della sua età, ha bisogno di conferme, soffre di un’ossessione per l’altrui sesso (aveva ragione l’ex moglie a parlare di «malattia»), quasi di una dipendenza, al punto di circondarsi di lenoni, prosseneti che, al pari di veri e propri pusher, gli procurano le compagnie di cui ha bisogno (senza alcuna difficoltà, perché tante sono le volontarie disponibili), allo scopo di ricevere, in cambio, benemerenze e vantaggi economici, in considerazione del potere politico e della ricchezza di cui l’anziano signore dispone. Questa persona non è né il solo, né il primo e non sarà l’ultimo «potente» a cui si possono riferire siffatti stili di vita. Personalità che sono icone della democrazia e del socialismo, padri della Patria, protagonisti della Storia, capitani d’industria, grandi artisti, insigni prelati, sovrani ed imperatori hanno condotto vite del tutto conformi a quelle che si intravvedono (o si immaginano) dal buco della serratura della villa di Arcore o di Palazzo Grazioli. Basterebbe citare il celebre pensiero di Blaise Pascal a proposito del naso di Cleopatra e della sua influenza sulla storia del mondo. Ebbene, questi comportamenti discutibili, relativi alla vita privata, sono sempre rimasti protetti, in passato, dalla riservatezza, anche quando di essi si parlava con insistenza. Poi, più recentemente, la libera stampa ha svolto una benemerita funzione di indagine e di denuncia spesso rovinando promettenti carriere. Ed è un bene che esista un giornalismo di inchiesta che non guarda in faccia a nessuno. E che sia imparziale. Dallo scandalo Watergate in poi, anche se pochi sono gli imitatori, questa è diventata la regola. Nel nostro caso, però, la realtà è ben diversa. E qui sta l’altro corno della questione- Italia. È ammissibile che talune Procure si pongano (pregiudizialmente e a tavolino) un assillo: come possiamo rovesciare Silvio Berlusconi e il suo governo? E, pur di adempiere a questa missione, abusano del potere loro conferito dalla legge, intercettandone le conversazioni e spiandone ogni momento della vita privata, con impiego massiccio di mezzi e di risorse, come se si trattasse di neutralizzare l’erede di Al Capone. Centinaia, migliaia di intercettazioni telefoniche vengono trascritte, anche se non riguardano indagini in corso, perché l’obiettivo non è quello di perseguire dei reati, ma di «sputtanare» (costi quel che costi) il «tiranno», ingigantendone i vizi agli occhi dell’opinione pubblica, grazie al contributo di una stampa a cui non è richiesta neppure la fatica di andarsi a cercare le notizie attraverso le inchieste, perché riceve nelle redazioni pacchi di documenti che raccolgono ogni parola, ogni frase di quelle che, dette al telefono, metterebbero in difficoltà chiunque. Nelle intercettazioni, pubblicate su pagine e pagine dei quotidiani, i colloqui non solo non prefigurano ipotesi di reato, ma spesso non sono neppure censurabili sul piano dell’opportunità, del bon ton (pensiamo ad una telefonata tra Berlusconi e l’Arcuri). Oppure sono evidentemente delle battute goliardiche, forse discutibili ma nulla di più. C’è davvero qualcuno disposto a credere che Berlusconi parlasse sul serio quando raccontava che undici donne si erano messe in fila davanti alla sua camera da letto ma lui era riuscito ad accontentarne solo otto perché quella sera era stanco? Questa è la sostanza: siamo in presenza di un tentativo reiterato di golpe istituzionale da parte di talune Procure ma la Spectre mediatico-giudiziaria è riuscita a far credere che il problema del paese siano le scappatelle di Silvio Berlusconi. Il premier si è sicuramente ed imprudentemente infi lato (al cospetto dell’opinione pubblica mondiale) in situazioni imbarazzanti, ha dato confi denza a personaggi che non la meritavano (che paese è quello in cui un alto ufficiale della GdF affida a Valter Lavitola una raccomandazione per ottenere una promozione!), usa al telefono un fraseggio spesso imbarazzante, è raggiungibile ovunque da signorine disinvolte e disinibite, ma ben consapevoli di un destino liberamente scelto (quando ero bambino ricordo che una lavorante di mia madre, sarta, aveva un’amica che lavorava in una compagnia di varietà: parlando di lei diceva sempre che per fare quel mestiere occorreva «passare arraverso delle mani»). Ma che dire di Pier Luigi Bersani che aveva uno stretto collaboratore accusato di avere messo in piedi, da Sesto San Giovanni, un giro di tangenti così ampio e proficuo da trava- licare, nei fatti, le dimensioni e le potenzialità operative della ex Stalingrado d’Italia ? Nulla. Per anni la magistratura milanese ha affossato l’inchiesta, poi riemersa ad iniziativa della Procura di Monza. Esistono forse un migliaio di intercettazioni dei colloqui telefonici tra Bersani (o qualche altro esponente nazionale del Pd) e Penati? No. Proprio nelle stesse ore in cui si rimetteva in moto la macchina del fango contro il Cavaliere, il gip di Milano ha respinto la richiesta di archiviazione nei suoi confronti per la telefonata tra Fassino e Consorte sul caso Unipol- Giuliano Cazzola Bnl. E ne ha chiesto il rinvio a giudizio. Si badi bene: la pubblicazione del colloquio fu una carognata, perché Fassino è un galantuomo e la conversazione era assolutamente normale (anche se è diventata una prova evidente di come sia possibile, attraverso le intercettazioni, distorcere la realtà e il pensiero di chi conversa al telefono). Ma almeno bisognerebbe che l’accanimento non fosse tanto marcatamente di parte da rasentare il ridicolo. Tutto ciò premesso, che fare? Berlusconi ha deciso di non mollare. È questa la scelta migliore per lui e per l’operazione politica che ha saputo costruire da quando è sceso in campo? Non ne siamo sicuri. In politica non basta avere ragione; occorre anche riuscire a farsela dare. Le battaglie si vincono e si perdono. Da una battaglia persa (al centro destra la storia di questi anni lo insegna) si può uscire vincitori in un’altra occasione. Ma da una disfatta, al pari di quella che si profila, non ci si riprende più. Rimane soltanto la resa senza condizioni. Ed è vicina. * L’Occidentale IL CARO LEADER LODA LA SUA PERSONALITÀ DI GRANDE PADANO Facciamo contenti i coniugi Bossi che vogliono far contento il Trota DI ISHMAEL Facciamo contento Umberto Bossi, facciamo contenta la sua signora, che vogliono fare contento il Trota: via dall’Italia, «l’Italia va a picco». Tutti sotto le bandiere della Padania e delle pensioni, anzi delle sinecure, o meglio d’una sinecura sola, la sinecura del Trota, il Dio Po gliela conservi. Perché anche il Trota, sia chiaro, ha gli stessi diritti del suo babbo, a cominciare dal diritto di vivere (e di vivere bene) fino alla tarda età, con i piedi al calduccio, e senza mai lavorare, nemmeno un giorno, salvo affiggere un manifesto elettorale ogni tanto. O forse qualcuno, tra gli elettori del Nord, ha la faccia tosta di pretendere che il poveretto, un giovane di talento, il figlio del capotribù, si giochi la salute sudando alla cassa d’un supermercato, oppure osservando l’orario d’ufficio in una fabbrichetta o magari prendendo bei voti a scuola e insomma facendo qualcosa di utile, tipo sbadilare nei campi, quando al giovane Trota, giudicandolo dagli occhi a palla, dall’amore per lo studio e dalle risposte intellettualmente vivaci che riserva agl’intervistatori che gli allungano ridacchiando un microfono, piace soprattutto bere aranciate, fischiare alle ragazze, mangiare una pizza, tirare mattina con gli amici e star dietro ai ciclisti del Giro di Padania? Lavorare? Ah, no, questo mai! Piuttosto vada allo stadio, si beva una birra! Bossi, padre orgoglioso, statista col sigaro, prende la parola al Pian del Re, su alle sor- genti del Po, dove i leghisti si riuniscono ogni anno felici di tavanare in compagnia, per lodare il Trota, i suoi «nervi saldi», la sua personalità di grande padano, la sua «prudenza». Uniamoci anche noi a queste lodi così meritate. Inneggiamo al Trota come Aldo Cazzullo inneggia al Tricolore (e ai suoi antenati, i Fratelli Cazzullo-Bandiera che cantano a squarciagola Bella ciao mentre vanno al patibolo)! Non c’è più l’Italia, «l’Italia va a picco», Silvio Berlusconi è alla frutta, il centrosinistra mette in imbarazzo persino le mamme dei suoi leader, non ci sono più zie suore e quel che resta (il Terzo Polo, le leghe meridionaliste, Di Pietro, De Magistris, Pisapia) è profondo sud, alla larga, vade retro. Al riparo, padani! Uniamoci alla Sacra Famiglia: eccola lì, sorridente, raccolta intorno al pentolone fumigante della polenta, pronta ad accoglierci! Guardate le sue braccia aperte, e tutti quei diti medi alzati in segno di benvenuto! Diventiamo una sola famiglia con la famiglia Bossi! Col Senatur e la sua signora, col Trota e i suoi fratelli. Padani, ancora uno sforzo! Mano sul cuore e, mentre «l’Italia va a picco» insieme agli ultimi resti di Berlusconia, giuringiurettiamo sull’Ampolla del Dio Po (il Santo Graal dei bergamaschi) che qui si fa la Padania o si muore. Abbasso V.E.R.D.I.! Viva il T.R.O.T.A. (Trota Re O Tutti Apicco)! © Riproduzione riservata