...

ESSERE MANAGER NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

by user

on
Category: Documents
27

views

Report

Comments

Transcript

ESSERE MANAGER NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Studi
a cura di
Alessandra Scaglioni
ESSERE MANAGER
NELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
Esperienze di dirigenti
in Regione Lombardia
1995-2013
Indice
Nota introduttiva .................................................................................. pag. VII
Prefazione
QUANDO IL MANAGEMENT FA LA DIFFERENZA ........................ »
Capitolo 1
L’IMPRESA LOMBARDA:
AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO ................................
1.1. Il sostegno alle imprese .............................................................
1.2. L’Accordo di Programma tra Regione
e Camere di Commercio............................................................
1.3. Il credito alle imprese, Finlombarda e Federfidi....................
1.4. I Programmi Integrati di Sviluppo Locale ...............................
1.5. L’attrattività del territorio e il programma ASTER ................
1.6. Il Piano di Sviluppo Rurale
e l’informatizzazione delle aziende agricole ...........................
1.7. Una nuova governance regionale per il commercio ..............
Capitolo 2
LA GESTIONE DEL TERRITORIO .....................................................
2.1. La nuova impostazione legislativa ...........................................
2.2. La difesa del suolo .....................................................................
2.3. Il consumo di suolo....................................................................
2.4. Il Piano Territoriale Regionale d’Area dei Navigli..................
IX
»
»
1
1
»
»
»
»
3
6
9
11
»
»
12
15
»
»
»
»
»
21
21
24
27
32
IV
Essere manager nella pubblica amministrazione
Capitolo 3
IL SISTEMA SANITARIO E L’APPROCCIO SOCIO-SANITARIO ...
3.1. La sanità in Lombardia ..............................................................
3.2. La separazione tra ASL e AO ....................................................
3.3. La Rete Oncologica Lombarda e le altre eccellenze ..............
3.4. Il CREG........................................................................................
3.5. L’ADI e il nuovo approccio al welfare socio-sanitario ...........
3.6. Essere manager nella sanità pubblica .....................................
pag.
»
»
»
»
»
»
37
37
44
45
48
52
53
Capitolo 4
IL WELFARE PER LA FAMIGLIA .......................................................
4.1. I principi e le politiche...............................................................
4.2. Gli interventi per le dipendenze ...............................................
4.3. Le politiche in favore delle persone con disabilità ................
4.4. Il Fondo Nasko ...........................................................................
4.5. La conciliazione famiglia-lavoro ..............................................
»
»
»
»
»
»
57
57
60
63
67
69
Capitolo 5
LE POLITICHE PER LA MOBILITÀ E LE INFRASTRUTTURE......
5.1. La situazione dei trasporti prima delle leggi Bassanini .........
5.2. Le nuove infrastrutture..............................................................
5.3. Un lavoro per tecnici .................................................................
5.4. La Pedemontana .........................................................................
5.5. L’operazione Trenord .................................................................
5.6. Le merci su rotaia.......................................................................
5.7. La mobilità dolce ........................................................................
»
»
»
»
»
»
»
»
73
73
75
78
84
86
88
89
»
»
»
93
93
98
»
»
»
»
»
100
103
105
108
110
Capitolo 6
L’ISTRUZIONE, LA FORMAZIONE E IL LAVORO ............................
6.1 Le riforme, le necessità, le risorse ...........................................
6.2. La formazione professionale, una sfida alla crisi ...................
6.3. Il sistema dote per il finanziamento
della formazione professionale ................................................
6.4. Gli Istituti Tecnici Superiori .....................................................
6.5. Generazione Web Lombardia....................................................
6.6. Lombardia EccellEnte ...............................................................
6.7. Gli interventi per il lavoro .........................................................
Sommario
Capitolo 7
L’AMBIENTE E LA SOSTENIBILITÀ..................................................
7.1 Logiche di intervento e fonti normative ...................................
7.2. Il Patto per l’Acqua.....................................................................
7.3. I rifiuti, tra normativa e gestione sul territorio.......................
7.4. Il Piano aria .................................................................................
7.5. Il Sistema Informativo Integrato del Sottosuolo ....................
7.6. La certificazione energetica degli edifici .................................
Capitolo 8
IL LEGAME INSCINDIBILE TRA RICERCA E INNOVAZIONE .....
8.1. Un sistema complesso ...............................................................
8.2. Il sistema QuESTIO....................................................................
8.3. Voucher R&I e contributi per i processi di brevettazione.....
8.4. Le piattaforme per l’innovazione .............................................
8.5. Il Public procurement ................................................................
Capitolo 9
SEDI E PATRIMONIO ..........................................................................
9.1. Gli strumenti di gestione
e la valorizzazione del patrimonio ...........................................
9.2. Infrastrutture Lombarde Spa ....................................................
9.3. Il nuovo ospedale di Garbagnate Milanese
e la rete ospedaliera ...................................................................
9.4. Le sedi regionali .........................................................................
9.5. La Villa Reale di Monza .............................................................
Capitolo 10
ORGANIZZAZIONE E METODO
DI LAVORO DELLA DIRIGENZA........................................................
10.1. Il ruolo del dirigente e lo strumento della legge ..................
10.2. Distinzione dei ruoli tra politica e dirigenza.........................
10.3. L’organizzazione per obiettivi,
la premialità e la collegialità ...................................................
10.4. I cambiamenti organizzativi ....................................................
10.5. Metodo di lavoro e ruolo del Segretariato ............................
10.6. Sussidiarietà e rapporto con il territorio ..............................
10.7. I sistemi di valutazione e le politiche del personale ............
V
pag.115
» 115
» 119
» 122
» 125
» 127
» 129
»
»
»
»
»
»
133
133
137
139
141
142
» 145
» 145
» 148
» 151
» 153
» 154
» 157
» 157
» 159
»
»
»
»
»
161
164
166
169
170
VI
Essere manager nella pubblica amministrazione
10.8. Il riassetto istituzionale ........................................................... pag.172
10.9. Il valore pubblico ..................................................................... » 173
APPENDICE
Dirigenti di Regione Lombardia 1995-2013........................................ » 175
I capitoli sono stati curati da Paolo Piacenza (industria e agricoltura),
Laura Bettini (gestione del territorio), Maria Chiara Grandis (welfare),
Maurizio Melis (mobilità e infrastrutture), Giovanni Savarese (ambiente e sostenibilità), Sara Bovio (ricerca e innovazione) e Valeria De Rosa
(sedi e patrimonio).
Un ringraziamento particolare per il prezioso coordinamento editoriale
a Sabrina Bandera.
Nota introduttiva
Alessandra Scaglioni
In che cosa consiste il lavoro del dirigente nella pubblica amministrazione? La domanda sembra banale ma la risposta è complessa: a seconda
delle situazioni cambiano i compiti, le competenze e le responsabilità. In
questo libro proviamo a focalizzare l’obiettivo e a raccontare come hanno
lavorato i dirigenti della Regione Lombardia negli ultimi 18 anni, nel periodo che va dalla VI alla IX Legislatura.
Lo abbiamo fatto raccogliendo le loro testimonianze e raccontando
le loro esperienze concrete, in tutto una quarantina, che rappresentano
altrettante case history, vicende esemplificative per i loro protagonisti e il
contesto del tipo di ruolo e del tipo di attività messe in atto.
I dirigenti della Regione Lombardia non ci sono tutti; troverete invece
tutti i loro nomi citati al termine del libro: il lavoro che hanno svolto è
egualmente importante ma era indispensabile fare una scelta. Sono stati
identificati, infatti, proprio parlando con i dirigenti, alcuni settori e alcune
vicende rappresentative, che per comodità espositive sono state raccolte
in capitoli a seconda del contesto tematico.
Allo stesso modo non si tratta, neppure lontanamente, di un resoconto
complessivo del lavoro svolto in questo periodo; e neppure di una valutazione sulle scelte della politica, che rappresentano invece il contesto di
obiettivi e di norme in cui i dirigenti si sono trovati a operare.
Definito quello che questo lavoro non vuole essere, vediamo quello che
invece troverete: ci sono le voci dei dirigenti, le loro impressioni, la loro
impostazione del lavoro, nella maggior parte dei casi mediati dagli autori, qualche volta in prima persona attraverso testimonianze dirette. Sono
registri e modalità di racconto diversi, perché ciascuno restituisce la sua
percezione, le sue idee e il suo approccio personale. I tratti comuni, invece,
VIII Essere manager nella pubblica amministrazione
che rappresentano il metodo di lavoro, sono raccolti nell’ultimo capitolo.
Tutto contribuisce comunque a rispondere alla domanda iniziale: qual
è il lavoro del dirigente pubblico? Realizzare le indicazioni che vengono
dalla politica, renderle concrete, è la prima risposta. Assumersi responsabilità, non tanto della decisione iniziale, ma nel modo in cui viene portata avanti e realizzata: responsabilità degli strumenti, delle scelte, della
gestione, dei controlli. La dirigenza ha il compito di organizzare, gestire,
motivare le persone che fanno parte della struttura pubblica, compito fondamentale nel segnare il passaggio tra il lavoro di un burocrate e quello
di un manager. La dirigenza porta avanti le relazioni con il territorio, gli
enti, le imprese, le associazioni, i cittadini e ricopre un ruolo sempre più
importante nel coordinamento tra le realtà locali. Identifica gli strumenti
da utilizzare di volta in volta e contribuisce a trasformarli in leggi. Ha le
competenze per fornire alla politica un ventaglio di soluzioni possibili alle
esigenze date. Ha un ruolo a volte delicato, spesso complesso, come emerge dalle testimonianze raccolte.
Va citato inoltre il grande tema che è sullo sfondo di tutte le storie
raccolte nel libro: il lavoro dell’amministrazione pubblica, la sua efficienza e la sua efficacia. Anche su questo emergono alcune proposte, alcune
soluzioni possibili, alcune esperienze.
E per chiudere questa nota torniamo ancora una volta alla nostra domanda: in che cosa consiste il lavoro dei dirigenti della pubblica amministrazione? In effetti le loro attività sono nella stragrande maggioranza dei
casi poco note. Balzano raramente agli onori della cronaca, di solito quando
nasce qualche problema o c’è qualche inchiesta che li lambisce. Raramente
vengono raccontate le modalità e il valore del loro lavoro quotidiano. Ed è
esattamente questo l’obiettivo delle pagine che andrete a leggere.
Prefazione
Quando il management fa la differenza
Giovanni Valotti
Professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni
pubbliche e Prorettore per i Rapporti istituzionali, Università Bocconi
Un cambiamento lento ma continuo
In un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera, Ferruccio De
Bortoli (2012), affermava: “È grave che nel nostro Paese abbia perso di
significato - non del tutto per fortuna - il concetto di una classe dirigente
responsabile, preoccupata anche dell’interesse generale, in grado di esprimere un indirizzo, un’idea di società, come quella che nel Dopoguerra rese
possibile il miracolo economico. Insomma fiera di dirigere, non sfacciata
nell’esigere. Dedita per prima a dare il buon esempio.
I più recenti studi sulla composizione delle élite italiane ci dicono che la
struttura è ancora quasi essenzialmente maschile. Nove su dieci sono uomini.
Sette su dieci in Francia, sei nel Regno Unito. L’età media delle persone di
potere cresce e ormai ha superato i 60 anni; le élite italiane sono forti nel consenso e deboli in competenze; viaggiano meno e sono più provinciali di quelle estere; conoscono poco le lingue; sono centro-nordiste e metropolitane,
pressoché assenti al Sud, il ricambio avviene ancora troppo per cooptazione.
Insomma, una classe dirigente a sesso unico, provinciale e autoreferenziale.
Chi teme i poteri forti può stare tranquillo. Chi ha a cuore il futuro del
Paese, la formazione di una classe dirigente di qualità, le riforme e il ritorno alla crescita, ha molto di che preoccuparsi”.
Ho trovato questo passaggio illuminante, capace di sintetizzare con
grande efficacia una delle questioni fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese: la formazione e la selezione di una classe dirigente di qualità.
X
Essere manager nella pubblica amministrazione
Il settore pubblico non fa eccezione, anzi, rappresenta probabilmente il
luogo in cui questo problema si è manifestato ai suoi massimi livelli. Tante
sono le spiegazioni alla difficoltà di trasformare organizzazioni che hanno
visto mutare profondamente il proprio ambiente di riferimento e le proprie
funzioni, ma non c’è dubbio che, nel bene e nel male, una grande parte di
responsabilità sia riconducibile al management.
E la qualità del management spiega anche molte delle differenze tra le
diverse amministrazioni pubbliche, ed è sempre alla base sia dei percorsi
di eccellenza che, in negativo, delle situazioni di grande arretratezza.
Il tema non è la presenza di persone di valore, quelle ci sono sempre
state e sempre ci saranno, ma la capacità di esprimere un gruppo dirigente
nel suo insieme fortemente identificato nelle istituzioni, coeso, responsabile, fortemente orientato a rispondere, davvero, dei risultati.
Difficile esprimere un giudizio sullo stato dell’arte, proprio a causa
della grande eterogeneità. Certo è che il profondo mutamento delle condizioni di contesto, la tensione crescente sui risultati da produrre, i vincoli
sempre più stringenti sul piano delle risorse disponibili, hanno determinato un profondo cambiamento culturale.
Trent’anni di riforme ci consegnano un settore pubblico ancora con tanti problemi, ma sicuramente più moderno ed evoluto. E i dirigenti cresciuti
in questi anni sono profondamente differenti dai loro predecessori. Lasciata
ormai definitivamente alle spalle l’idea che la responsabilità dirigenziale
possa limitarsi al garantire il rispetto delle regole e dei procedimenti, prevale ormai una concezione del ruolo fortemente legata al tema del buon uso
e della valorizzazione delle risorse, finanziarie e non solo. Ciò non significa
l’affermarsi di una visione economicistica che possa allontanare le amministrazioni pubbliche dalle loro finalità, in primis quella di creare valore per
i cittadini. Al contrario, finalmente, fa emergere una concezione correttamente intesa della natura strumentale della buona gestione per il perseguimento degli interessi pubblici.
Pur tuttavia, nonostante i passi avanti compiuti, lo sforzo straordinario
di modernizzazione che è richiesto al nostro Paese richiede una classe dirigente ancor più qualificata e legittimata.
È proprio nelle amministrazioni pubbliche che dovremmo trovare i
migliori talenti, le competenze di eccellenza, i buoni esempi di professionalità, efficienza ed integrità, un forte senso di appartenenza e l’orgoglio
di servire il Paese e i cittadini.
Questo, in tutta onestà, ancora oggi non sempre avviene. Il cambiamento c’è stato, è innegabile, ma forse non con l’intensità e la velocità
davvero necessaria.
Prefazione XI
L’ondata di riforme, le trasformazioni socio-economiche, le riorganizzazioni interne alle amministrazioni, non sono bastate a trasformare nel
profondo la classe dirigente nel suo insieme.
È necessario quindi continuare nel cammino intrapreso, ponendo al
centro dei processi di trasformazione i temi della competenza, della responsabilità e del merito.
La trasformazione da burocrati a manager non è del tutto compiuta e,
forse, come meglio motiverò nel proseguo di questa prefazione, non è più
neppure sufficiente.
Modelli di governance e ruolo del management
Difficile innanzitutto pensare a una ulteriore trasformazione della qualità
e delle responsabilità del management in assenza di un profondo ripensamento dei modelli di governance delle amministrazioni pubbliche.
In effetti, più in generale e soprattutto a seguito della crisi, molti Paesi
industrializzati hanno evidenziato rilevanti problemi sia nel governo delle
imprese, laddove si sono manifestati diversi casi di comportamenti speculativi e opportunistici che hanno condotto a clamorosi crack finanziari, sia nel
governo delle istituzioni, laddove altrettanto numerosi e rilevanti sono stati
i problemi connessi a scandali ed inefficienze che hanno profondamente
minato la legittimazione del settore pubblico.
È quindi opinione condivisa (Ocse, 2008) che una condotta di imprese
e istituzioni rispettosa degli interessi degli stakeholder, trasparente e responsabile, sia una condizione necessaria per ridare slancio e credibilità ai
sistemi economici capitalistici.
Storicamente il tema della governance, e specificamente della corporate governance, origina nel settore privato con lo sviluppo delle public
company, ovvero delle imprese ad azionariato diffuso, laddove si realizza
una separazione tra il ruolo della proprietà (dell’azionista) e quello del management. Tipicamente nel settore privato la questione si pone in termini
di necessità di assicurare all’azionista l’esercizio delle proprie prerogative
e la tutela dei propri interessi, non mettendo in discussione l’autonomia
e promuovendo la responsabilità del management, ma, al tempo stesso,
contrastandone possibili comportamenti opportunistici e non rispettosi
degli interessi degli stakeholder. In altri termini, la corporate governance
può essere definita come il “processo di supervisione e controllo finalizzato
ad assicurare che il management agisca in accordo con gli interessi della
proprietà” (Parkinson, 1994) o, più semplicemente, “il sistema attraverso
il quale le imprese sono dirette e controllate” (The Cadbury Report, 1994).
Nel settore pubblico il tema della government governance muove le
XII Essere manager nella pubblica amministrazione
mosse dalle medesime esigenze di fondo, ovvero dalla necessità di garantire una condotta delle istituzioni efficiente e rispettosa dell’interesse
pubblico. In particolare, l’Ocse raccomanda che i Governi nazionali e locali agiscano come “informed, accountable and active owners”. A differenza del settore privato, tuttavia, gli sforzi di riforma della governance
negli ultimi anni sono stati fondamentalmente concentrati sull’esigenza di
meglio definire i confini delle responsabilità di indirizzo, proprie della politica, e di quelle di gestione, proprie del management. Tutta l’evoluzione
normativa più recente, non solo nel nostro Paese, ha in particolare inteso
rafforzare l’autonomia e la responsabilità del management, in questo contrastando i rischi di eccessiva “politicizzazione”, ovvero di ingerenza della
politica nella gestione delle amministrazioni pubbliche.
È tuttavia evidente che la separazione di poteri e responsabilità non presuppone il venir meno di inevitabili aspetti di collegamento e confronto tra
politica e management, così come appare chiaro che al riconoscimento di
maggiore autonomia di quest’ultimo necessariamente si deve accompagnare una qualificazione della funzione di indirizzo e controllo, capace davvero
di esaltare il ruolo della politica modernamente inteso.
Un’interpretazione troppo spesso parziale dei modelli di governance
ha reso difficile la gestione di questa relazione, alimentata da continue rivendicazioni di spazi di autonomia ed influenza da parte dei diversi attori
in gioco, non di rado degenerate in conflitti tra poteri. O, all’estremo opposto, situazioni di eccessiva connivenza tra politica e management, con
forti rischi di non chiara definizione delle responsabilità e, a volte, anche
di deviazione dai fini istituzionali.
Difficilmente la questione può trovare soluzione solo attraverso una
diversa e migliore allocazione delle funzioni tra i diversi soggetti, come dimostrano gli innumerevoli tentativi su questo fronte svolti dalla normativa
e dai regolamenti interni agli enti.
Ciò che è richiesto, in realtà, è un ripensamento organico del sistema
di governance delle istituzioni pubbliche, in tutte le sue componenti fondamentali e segnatamente:
– degli organi (quali organi, quale composizione, quali requisiti e modalità di nomina, quali incompatibilità, quale durata del mandato, quali
poteri e funzioni, quali regole decisionali e di funzionamento ecc.);
– del sistema dei controlli (ex ante, concomitanti ed ex post);
– della rendicontazione e della trasparenza (quali obblighi e con quali
modalità).
Al tempo stesso, fondamentale appare la definizione degli aspetti dinamici del sistema di governance adottato, ovvero, si potrebbe dire la gover-
Prefazione XIII
nance “in azione”. Questo significa delineare i procedimenti fondamentali
per l’assunzione delle decisioni ed in particolare il ruolo dei diversi soggetti e le relative modalità di interazione nell’ambito del ciclo generale di
pianificazione, programmazione, attuazione, controllo, valutazione e rendicontazione (in altri termini, il “ciclo di gestione della performance” così
come definito dal decreto legislativo 150/2009).
In sintesi, è possibile affermare che gli obiettivi di progettazione del sistema di governance delle istituzioni pubbliche possono essere ricondotti
al miglioramento:
– dell’efficacia dei processi decisionali, ovvero della capacità degli stessi di
assicurare la promozione e la tutela dell’interesse pubblico generale e delle
specifiche categorie di stakeholder;
– dell’efficienza degli stessi, ovvero della riduzione dei costi e dei tempi
collegati all’assunzione delle decisioni;
– del livello di responsabilizzazione, per tutti gli attori in gioco, rispetto
alle rispettive prerogative;
– del grado di trasparenza sull’uso delle risorse e sui risultati di conseguenza prodotti.
Il perseguimento di questi obiettivi richiede un approccio integrato,
orientato alla ricerca della coerenza tra tutte le diverse componenti del
sistema di governance sopra identificate. Solo nell’ambito di un sistema di
governance organico ed equilibrato, infatti, è pensabile lo sviluppo di una
funzione e di ruoli manageriali modernamente intesi.
Da burocrati, a manager, a leader
A lungo il dibattito sulla dirigenza è insistito sulla necessità di trasformare
i burocrati, responsabili della correttezza formale del funzionamento, in
manager, responsabili di un’efficiente gestione del rapporto tra le risorse
disponibili ed i risultati prodotti.
Un passaggio senza dubbio importante, che non dimentica l’esigenza di
assicurare in ogni caso un funzionamento delle istituzioni rispettoso delle
norme e delle regole, ma forse non più sufficiente.
La letteratura più recente in campo manageriale evidenzia infatti l’esigenza di meglio definire il ruolo della leadership all’interno delle organizzazioni e, negli ultimi anni, questo ha dato origine anche ad uno specifico filone di studio denominato della Public Sector Leadership (Van Wart, 2010).
Secondo questa prospettiva, nell’ambito dell’approccio della cosiddetta transformational leadership, è responsabilità primaria di chi guida le
organizzazioni:
XIV Essere manager nella pubblica amministrazione
– assicurare adeguati standard di performance sul piano tecnico (garantire la produzione di risultati, migliorando l’efficacia e l’efficienza
dell’azione);
– sviluppare i collaboratori (accrescere i livelli di competenza e di motivazione dei dipendenti, di modo che siano davvero capaci ed orientanti al
raggiungimento degli obiettivi);
– assicurare il continuo allineamento tra l’organizzazione e l’ambiente di
riferimento (promuovendo un costante e utile cambiamento).
Ne deriva che il ruolo di leader è più completo e sfidante di quello di
manager, come ben illustrato dalla tavola seguente (Van Wart, 2010):
MANAGEMENT
Produces Order & Consistency
LEADERSHIP
Produces Change & Movements
Planning and Budgeting
Establish directions
Establish agendas
Set timetables
Allocate resources
Create a vision
Clarify big pictures
Set strategies
Organizing and staffing
Aligning People
Provide structure
Make job placement
Establish rules and procedures
Communicate goals
Seek commitment
Build teams and coalitions
Controlling and problem solving
Motivating and Inspiring
Develop incentives
Generate creative solutions
Take corrective action
Inspire and energize
Empower subordinates
Satisfy unmet needs
Ciò pone alcune questioni rilevanti per il presente e il futuro della dirigenza pubblica.
Innanzitutto, guardando ai contenuti di attività, il ruolo attualmente
ricoperto dai dirigenti pubblici è in linea con un’idea moderna ed efficace
di esercizio della leadership all’interno delle organizzazioni?
In secondo luogo, il sistema di responsabilizzazione in essere, spinge i
dirigenti a farsi carico fino in fondo di elaborare e comunicare una visione,
produrre cambiamenti, motivare le persone?
Personalmente ritengo che se la fine degli anni Duemila è servita a
diffondere competenze e ruoli manageriali, la sfida per il nuovo millennio
sarà quella di far crescere, anche nelle istituzioni pubbliche, veri leader.
Al riguardo ci si potrebbe però chiedere se leader si nasce e o si diventa. Forse la leadership non può essere insegnata, ma è altrettanto vero che
può in qualche misura essere appresa. Esiste, in altri termini, una grande
Prefazione XV
responsabilità delle organizzazioni nel far crescere, incoraggiare e sostenere i leader. Ed alla fine, tutte le grandi storie di trasformazione delle
organizzazioni sono legate all’azione di leader attivi, illuminati e, non da
ultimo, riconosciuti.
Quando responsabilità significa rischio
Spesso nel settore pubblico il termine responsabilità assume un’accezione negativa. L’essere responsabili è stato a lungo associato alla ricerca
di colpe nel malfunzionamento o nella carenza di produzione di risultati.
Ciò ha altrettanto spesso generato un atteggiamento “difensivo” quasi
preoccupato di dimostrare di essere esenti da responsabilità, nel senso sopra richiamato, piuttosto che orientato a ricercare maggiori spazi di autonomia e responsabilizzazione per un appropriato esercizio del proprio ruolo.
Sullo sfondo l’idea dominante, figlia della tradizione burocratica, che sia
compito precipuo del dirigente eseguire al meglio i propri compiti, non rispondendo mai fino in fondo del risultato finale.
Ciò emerge con evidenzia, ad esempio, nell’ambito dei più diffusi sistemi di valutazione della dirigenza collegati al raggiungimento di obiettivi.
Da un lato, infatti, la definizione stessa di obiettivo si limita al rispondere
delle attività direttamente controllabili, rigettando ogni possibile coinvolgimento, e tanto meno responsabilità, collegati alla produzione di risultati
che non dipendano direttamente dall’azione del dirigente. Dall’altro sono
assai numerosi i casi nei quali, a fronte di obiettivi non conseguiti nella
sostanza, si evidenziano svariati fattori esogeni intervenuti durante la gestione, e quindi non dipendenti dalla volontà o dall’azione del dirigente,
per i quali lo stesso non sente di dover rispondere.
Personalmente credo che ci sia una differenza fondamentale tra un dirigente ed un impiegato. Ancor più tra un leader e un non leader. La differenza sta tutta nella disponibilità ad assumersi il rischio del risultato, da
chiunque lo stesso dipenda.
La qualità del management nelle organizzazioni, infatti, è alla fine testimoniata dalla capacità concreta di conseguire i risultati, tanto più quanto
le condizioni di contesto, esterno o interno, sono avverse o semplicemente sfavorevoli.
Troppo spesso, invece, vincoli normativi, di trasformazione dello scenario ambientale, di modifica dell’orientamento politico, di riduzione del
quadro delle risorse effettivamente disponibili sono evocati a giustificare
parziali o totali fallimenti.
Ma un dirigente che si giustifica non sarà mai un leader. Al contrario,
proprio la capacità di farsi carico dell’organizzazione nei momenti di mag-
XVI Essere manager nella pubblica amministrazione
giore difficoltà e di rispondere, in prima persona, del mancato raggiungimento dei risultati, costituiscono elementi fondamentali di giudizio in
merito ad una piena identificazione nel ruolo.
Laddove questo si verifica è naturale quindi un collegamento tra la
performance dell’organizzazione e quella dei dirigenti, superando situazioni paradossali nell’ambito delle quali chi guida le istituzioni viene premiato per l’esercizio della normale diligenza, mentre le organizzazioni
stesse perdono di legittimazione, solidità e capacità concreta di rispondere ai bisogni.
Solo un dirigente che, in qualche misura, rischia insieme alla propria
organizzazione, può sviluppare un reale senso di appartenenza, alimentare comportamenti positivi, risultare davvero credibile agli occhi dei propri
collaboratori.
Guidare con l’esempio
Non da ultimo, in un momento in cui il dibattito è fortemente concentrato
sugli aspetti dell’etica nella pubblica amministrazione, crescente rilievo
ha acquisito la questione della illegalità e della corruzione nella politica
e nel funzionamento delle istituzioni. Grande attenzione è posta quindi,
correttamente, sulle conseguenze negative che i comportamenti e le pratiche illegali provocano: delegittimazione della politica, perdita di fiducia
nelle istituzioni, aumento dei costi a carico dei cittadini. A partire da queste considerazioni, una recente ricerca sul comportamento dei dirigenti
pubblici italiani (Turrini-Valotti, 2012) ha fatto luce, in positivo, su quanto
sia importante un comportamento virtuoso ed onesto per aumentare la
motivazione dei dipendenti pubblici e la produttività delle pubbliche amministrazioni. Di seguito ne diamo breve conto.
La ricerca ha preso le mosse da uno studio americano (Fernandez,
Cho, Perry, 2010) secondo cui sono identificabili cinque diversi tipi di
comportamenti, o stili di leadership, attraverso i quali i dirigenti pubblici
possono motivare i propri collaboratori migliorandone la perfomance: ponendo molta enfasi sul raggiungimento degli obiettivi e la produzione di risultati (task oriented leadership), focalizzandosi sugli aspetti di miglioramento delle relazioni interpersonali e di crescita professionale (relations
oriented leadership), promuovendo l’innovazione e la creatività (change
oriented leadership), valorizzando le diversità e prestando particolare attenzione ai bisogni e alle aspettative di ogni singolo individuo (diversity
oriented leeadership), dando esempio di rigore, onestà e dimostrando
forte commitment e senso di appartenenza all’amministrazione (integrity
oriented leadership).
Prefazione XVII
A partire da questa classificazione, la ricerca ha condotto un esperimento su di un campione di 150 dipendenti pubblici, misurando il variare
del livello di motivazione, della propensione ad impegnarsi e quindi della
produttività, laddove esposti a situazioni di lavoro nell’ambito delle quali
il dirigente esercitasse il proprio ruolo secondo i cinque differenti stili di
leadership sopra identificati.
I risultati dello studio hanno evidenziato che lo stile di leadership di
gran lunga più efficace è rappresentato da quello orientato all’integrità.
In altri termini i dipendenti pubblici attribuiscono particolare importanza all’“esempio positivo” fornito dal proprio dirigente. Gli stessi trovano forti ragioni per un maggior impegno e soddisfazione nell’identificarsi
in un modello positivo di ruolo, capace di dimostrare nell’azione quotidiana un estremo rigore nel comportamento ed una sincera motivazione ad
impegnarsi per il perseguimento dei fini istituzionali, al tempo stesso risultando esigente e pretendendo la dimostrazione dello stesso atteggiamento
da parte dei collaboratori.
Il leader più efficace, quindi, sembra essere quello capace di risvegliare e valorizzare i valori positivi dell’essere dipendente pubblico, nel senso
più alto del termine, fortemente orientato al perseguimento dell’interesse
collettivo, rispettoso delle istituzioni ed orgoglioso di appartenervi.
In breve: il richiamo a quelli che sono i valori fondamentali e la ragione d’essere della pubblica amministrazione rimane ancora un elemento
importante (e su cui agire) nel lavoro quotidiano dei dipendenti pubblici,
proprio in Italia e in un momento in cui il tema della corruzione all’interno
del settore pubblico è tornato prepotentemente alla ribalta.
I risultati dello studio possono rappresentare una chiave di lettura innovativa capace di spiegare le difficoltà di modernizzazione del settore
pubblico, in assenza di credibilità delle istituzioni e di chi le rappresenta
ai massimi vertici.
Ciò riporta drammaticamente in primo piano il tema della qualità della
classe dirigente, politica e tecnica, del Paese. In assenza di vertici delle
amministrazioni che possano realmente rappresentare un modello di ruolo, per valori, impegno e competenza, è difficile pensare che l’ingegneria
organizzativa e gli strumenti di management possano, da soli, cambiare
davvero lo stato delle cose.
Conseguenze rilevanti, sul piano operativo, riguardano la necessità di
revisione dei criteri e delle modalità di selezione della dirigenza, di accesso agli incarichi più rilevanti e prestigiosi, di valutazione e rewarding delle
posizioni di alta responsabilità.
Una dirigenza credibile e integra, infatti, non può che risultare da logiche efficaci, trasparenti e meritocratiche di gestione del personale.
XVIII Essere manager nella pubblica amministrazione
Molto si può fare, ad esempio, sul sistema dei concorsi. È impensabile
che la selezione di una nuova classe dirigente possa derivare da modalità
obsolete di accertamento delle conoscenze, tipicamente attraverso prove
di esame scritte di natura nozionistica, combinate con altrettanto anacronistici formalismi che accompagnano le prove orali. L’imparzialità, il
riconoscimento del merito e delle competenze, sono valori guida di tutti i
processi di selezione delle organizzazioni eccellenti e non sono in discussione. Ma l’efficacia dei processi di selezione, in queste organizzazioni, è
collegata alla ricerca del profilo che per caratteristiche, attitudini e motivazione, meglio si adatta a ricoprire la posizione vacante, ovviamente
descritta ex ante nei contenuti e nei risultati attesi. Abbandonare i formalismi per salvaguardare un’imparzialità di sostanza, fondata su metodi
evoluti di selezione ed affidata a specialisti della selezione, rappresenta
quindi una priorità non ulteriormente procrastinabile.
Non meno importanti sono, peraltro, le modalità per l’assegnazione
degli incarichi. Troppo si è scritto e troppo si è fatto in tema di “politicizzazione” delle nomine e delle carriere all’interno del settore pubblico. Anche
su questo piano una svolta radicale è necessaria: sistemi più trasparenti
di pubblicizzazione degli incarichi da affidare, esplicitazione a priori dei
requisiti necessari per ricoprire gli stessi, pubblicizzazione dei curricula
dei candidati, definizione di criteri trasparenti di scelta, nomina di advisor
indipendenti, rendicontazione via web delle fasi e dei risultati del processo, sono solo alcuni degli interventi possibili.
Infine, cruciale è il sistema di valutazione e rewarding dell’alta dirigenza. Ad oggi i dirigenti vengono di regola valutati su obiettivi individuali e
comportamenti organizzativi. Nella maggior parte dei casi raggiungono
tutti gli obiettivi e si comportano molto bene. Peccato che non sempre
le organizzazioni che dirigono producano altrettanti brillanti risultati. È
fondamentale allora una misurazione seria della performance organizzativa, degli output e degli outcome delle amministrazioni pubbliche. Sulla
base di questa, quindi, sarà finalmente possibile valutare le capacità dei
dirigenti “in azione”, per quanto gli stessi sono davvero capaci di migliorare l’efficacia e l’efficienza degli ambiti che dirigono, e non solo “sulla
carta”, ovvero per quanto diligentemente adempiono ai propri doveri. A
tutto questo, ovviamente, dovrebbero collegarsi i premi monetari, oggi
spesso distribuiti “a pioggia” o, nella migliore delle ipotesi, sulla base del
mantenimento della normale operatività.
Sono tutte cose che si possono fare senza bisogno di ulteriori riforme
e modifiche normative. Ciò che davvero serve è una definitiva presa di coscienza del fatto che una classe dirigente credibile e qualificata è condizione essenziale per la legittimazione delle istituzioni pubbliche, per il buon
Prefazione XIX
uso delle risorse e, alla fine, per la creazione di valore per il cittadino.
Del resto, proprio nelle organizzazioni pubbliche che hanno saputo
davvero investire negli ultimi anni su di un rinnovamento profondo della
propria classe dirigente è possibile riscontrare l’effettivo conseguimento
degli obiettivi enunciati da molti anni di riforme spesso disapplicate.
E non a caso proprio nelle amministrazioni pubbliche reputate più
virtuose ed efficienti spesso troviamo applicati molti dei concetti e delle
concrete ipotesi di lavoro delineate in questo scritto.
Qual è il lavoro del dirigente della pubblica amministrazione? E in che
modo può fare la differenza per l’efficienza e l’efficacia del sistema?
Sono le domande a cui questo libro prova a fornire alcune risposte,
raccontando il ruolo e l’apporto della dirigenza in un contesto preciso,
quello della Regione Lombardia degli ultimi anni.
Lo fa raccogliendo esperienze concrete, in tutto una quarantina, che
rappresentano altrettante case history. Vicende esemplificative delle
attività messe in atto in alcuni settori di intervento regionale: dalle
imprese alla sanità, dall’ambiente alla gestione del territorio, dal welfare
alle infrastrutture, e delineando, attraverso i racconti dei dirigenti, un
metodo di lavoro. Emergono alcune proposte, alcune soluzioni possibili, alcune esperienze utili anche a definire quel percorso di managerialità e di leadership pubblica di cui spesso si dibatte.
Alessandra Scaglioni è caporedattore di Radio 24, sin dalla sua fondazione nel
1999. Ha lavorato al progetto editoriale per la nascita della radio de Il Sole24 Ore
ed è stata vicedirettore dell’agenzia radiofonica AGR e del circuito CNR Radio.
Docente di comunicazione radiofonica ed autrice di diversi libri sul tema, oltre
che di comunicazione si occupa di storia e di organizzazione d’impresa.
Fly UP