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Il cinque maggio
Alessandro Manzoni Il cinque maggio L’ode fu composta da Manzoni in soli tre giorni, dopo aver ricevuto la notizia della morte di Napoleone, avvenuta nell’isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821. Di Napoleone vengono ripercorse le tappe salienti della vicenda umana, ma soprattutto viene ricordata la conclusione della sua esistenza. Di fronte alla sconfitta e alla morte imminente è la fede a soccorrere il grande condottiero e a trionfare accanto a lui. La gloria terrena si conferma effimera di fronte all’eternità e alla potenza del disegno provvidenziale divino. 5 10 15 Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di pie’ mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sònito mista la sua non ha: vergin di servo encomio PARAFRASI 1-12. Napoleone è morto. Come il suo corpo, ormai privo di ricordi (immemore), dopo aver esalato l’ultimo respiro, rimane immobile abbandonato da uno spirito così grande (orba di tanto spiro), allo stesso modo la terra tutta rimane immobile, colpita (attonita) dall’annuncio della sua morte, pensando all’ultima ora dell’uomo del destino (fatale); e non sa quando il passo di un uomo (piè mortale) altrettanto grande tornerà a calpestare la sua polvere sporca di sangue (cruenta). 13-24. Il mio spirito di poeta (il mio genio) lo vide trionfante sul trono imperiale (in solio) e tacque; quando con alterne vicende (vece assidua) si risollevò e fu di nuovo sconfitto, [il mio ingegno] non ha unito la sua voce al frastuono di altre mille voci: il mio spirito poetico non contaminato né da lodi servili (servo encomio), 20 25 30 35 40 45 50 55 60 e di codardo oltraggio, sorge or commosso al súbito sparir di tanto raggio; e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà. Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar. La procellosa e trepida gioia d’un gran disegno, l’ansia d’un cor che indocile serve, pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar, tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar. Ei si nomò: due secoli, l’un contro l’altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe’ silenzio, ed arbitro s’assise in mezzo a lor. E sparve, e i dí nell’ozio chiuse in sí breve sponda, segno d’immensa invidia e di pietà profonda, d’inestinguibil odio e d’indomato amor. Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, né da vili insulti, ora si innalza commosso per l’improvvisa scomparsa di un personaggio così importante (tanto raggio); e rivolge alla tomba un canto che forse resterà eterno. 25-36. Dalla campagna d’Italia (Alpi) alla spedizione d’Egitto (Piramidi), dalla Spagna [il Manzanarre è il fiume spagnolo che bagna Madrid] alla Germania (Reno), l’azione fulminea (fulmine) di quell’uomo sicuro di sé, seguiva immediatamente ogni suo progetto (baleno); così quel fulmine di Napoleone scoppiò dall’estrema punta dell’Italia (Scilla) al fiume Don (Tanai), da un mare all’altro. Fu vera gloria? [per Manzoni l’unica vera gloria è quella conquistata con le battaglie spirituali] Ai posteri l’ardua sentenza. noi ci inchiniamo umilmente davanti a Dio (al Massimo Fattor) che volle imprimere (stampar) in lui un segno del suo spirito creatore. 37-48. La tempestosa (procellosa) e trepidante gioia di un grandioso progetto, l’insofferenza di un animo ribelle che accetta di obbedire pensando al potere (al regno); e lo (il) raggiunge e ottiene un premio [l’Impero] che sarebbe stato una follia sperare; tutto ciò egli provò: la gloria, tanto più grande dopo il pericolo (periglio), la fuga e la vittoria; il potere e l’esilio umiliante: due volte sconfitto (nella polvere), due volte vincitore (sull’altar). [Napoleone subì due gravi disfatte, a Lipsia e a Waterloo, e due volte fu circondato di gloria, durante l’Impero e durante i “Cento giorni”] 49-60. Egli pronunciò il suo nome (si nomò): due epoche storiche (secoli) tra loro opposte [il Settecento e l’Ottocento] si rivolsero a lui docili, come aspettando il loro destino (fato); egli fece silenzio e si sedette tra loro come arbitro. E scomparve e fu costretto a trascorrere i suoi giorni nell’ozio di un’isola così piccola (breve sponda: l’isola di Sant’Elena), oggetto (segno) di immensa invidia e di profonda pietà, di odio inestinguibile e di amore invincibile (indomato). 61-72. Come sul capo del naufrago si abbatte e grava (s’avvolve e pesa) l’onda su cui poco prima (dianzi) lo sguardo del misero scorreva alto e proteso scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese. Oh quante volte ai posteri 70 narrar se stesso imprese, e sull’eterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d’un giorno inerte, 75 chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dí che furono l’assalse il sovvenir! E ripensò le mobili 80 tende, e i percossi valli, e il lampo de’ manipoli, e l’onda dei cavalli, e il concitato imperio e il celere ubbidir. 85 Ahi! forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo, e in più spirabil aere 90 pietosa il trasportò; e l’avvïò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, 95 dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò. Bella Immortal! benefica Fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; 100 ché più superba altezza al disonor del Gòlgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: 105 il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò. 65 ad avvistare inutilmente terre lontane (scernere prode remote invan), così il cumulo dei ricordi scese sull’anima (alma) di Napoleone. Oh quante volte cominciò a raccontare ai posteri le sue memorie, e su quelle pagine, destinate a ricordarlo per l’eternità, cadde la sua mano stanca! 73-84. Oh quante volte al silenzioso tramontare di una giornata oziosa (inerte), abbassati gli occhi lampeggianti (rai fulminei) rimase immobile con le braccia conserte e fu assalito dai ricordi dei giorni passati! E ripensò agli accampamenti mobili, alle trincee battute dal fuoco dell’artiglieria (percossi valli), allo scintillare delle armi dei soldati (lampo dei manipoli), all’avanzare della cavalleria, agli ordini (imperio) decisi e alla loro rapida esecuzione. 85-96. Ahi, forse di fronte a tanto dolore (strazio) il suo spirito affranto si smarrì (cadde) e si disperò; ma una mano salda [l’aiuto di Dio] scese dal cielo e, pietosa, lo trasportò in un’aria più serena (spirabil aere); e lo guidò attraverso i fioriti sentieri della speranza verso la beatitudine eterna (campi eterni), verso il premio che supera ogni desiderio umano, dove la gloria terrena non ha più alcun valore. 97-108. Bella, immortale, benefica Fede, abituata (avvezza) ai trionfi, registra anche questo, rallegrati; perché mai un uomo così grande (più superba altezza) si inchinò davanti alla croce (al disonor del Golgota: il Golgota è il colle su cui fu crocifisso Gesù). Tu, o Fede, allontana (sperdi) dagli stanchi resti mortali (ceneri) di quest’uomo ogni parola malvagia (ria): il Dio che ha il potere di abbattere gli uomini e di consolarli, si è posato accanto a lui, sul solitario letto di morte. da A. Manzoni, Antologia della Letteratura Italiana, a cura di M. Pazzaglia, Zanichelli, Bologna 1968