Il Risarcimento per infortunio mortale 1. Il risarcimento ai superstiti
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Il Risarcimento per infortunio mortale 1. Il risarcimento ai superstiti
Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it Il Risarcimento per infortunio mortale di Giulio Prosperetti∗ 1. Il risarcimento ai superstiti da parte dell’Inail Con la riforma del 2000 ( d.lgs. n. 38/2000) il legislatore ha dato avvio, in via sperimentale, ad una nuova concezione del danno risarcibile dall’Inail: non più soltanto il risarcimento del danno patrimoniale, derivato dalla diminuzione della capacità di lavoro, ma una nuova causale di risarcimento incentrata sul danno biologico. L’attuale sistema prevede che in caso di infortunio causativo di un’invalidità permanente si abbia, prima della guarigione, la corresponsione di un’indennità giornaliera pari al 60% della retribuzione e successivamente un risarcimento in capitale (per invalidità non superiori al 16 %) ovvero in rendita, che tengano conto sia della diminuzione della capacità lavorativa specifica, calcolata secondo apposite tabelle, sia del danno biologico, calcolato secondo tabelle che stabiliscono la percentuale di invalidità senza alcun riferimento alla retribuzione. Insomma l’assicurazione Inail, nata storicamente per risarcire il lavoratore che in ragione della propria invalidità aveva perso la propria capacità lavorativa, si è evoluta ricomprendendo anche il risarcimento per danni indipendenti dalla capacità di guadagno: si pensi ad esempio ad un lavoratore che anche privato di un arto, ovvero anche solo vittima di un danno estetico, ben può continuare ad esercitare le proprie mansioni di carattere intellettuale o manuale. Danno patrimoniale e danno biologico pertanto concorrono entrambi a determinare l’importo del risarcimento indennitario corrisposto dall’Inail a seguito di infortunio sul lavoro. In caso di infortunio mortale però il legislatore del 2000 non ha previsto il risarcimento del danno biologico, né con riferimento al danno subito dai superstiti (moglie e figli) né con riferimento al danno subito dallo stesso lavoratore per la perdita della propria vita. ∗ Professore ordinario di diritto della sicurezza sociale nell’Università Tor Vergata di Roma. Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it Invero l’attuale formulazione dell’art. 85 del T.U. risale al 1982 e non è stato modificato dal d.lgs. n.38 del 2000. Tale norma prevede per i superstiti una rendita commisurata alla retribuzione del lavoratore defunto ( 50% alla moglie ed il 20% a ciascun figlio); si tratta di un risarcimento puramente economico, che non tiene conto del danno alla salute subito dai congiunti per la perdita del loro parente. I superstiti sono insomma considerati dalla norma solo nella prospettiva dell’art. 36 Cost. (laddove è stabilito il principio del diritto ad un reddito sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore ed alla propria famiglia), e non del risarcimento del danno in concreto sofferto. Se l’incidente accade senza che vi sia responsabilità penale del datore di lavoro, l’assicurazione Inail esonera completamente l’imprenditore da ogni responsabilità civile, mentre invece qualora vi sia responsabilità del datore, ad esempio per avere contravvenuto ai doveri inerenti l’obbligo di sicurezza sul lavoro, l’Inail in base al principio di automaticità della prestazione erogherà comunque le prestazioni previdenziali in favore del lavoratore infortunato, ma eserciterà il regresso nei confronti del datore di lavoro responsabile. 2. Il danno differenziale a carico del datore di lavoro. Ai sensi dell’art. 10 del T.U. la responsabilità civile del datore di lavoro permane in capo al datore di lavoro quando la sentenza penale (ovvero, come ha stabilito la Corte Costituzionale, anche la sentenza civile) stabilisca che l’infortunio sia imputabile al datore di lavoro stesso o ai suoi incaricati; pertanto in tali ipotesi il lavoratore potrà agire nei confronti del datore responsabile innanzi al Giudice del lavoro chiedendo quel di più che normalmente i giudici civili riconoscono rispetto a quanto invece è erogato dall’Inail in base ai propri criteri tabellari. Il suddetto danno c.d. differenziale riguarda tutto ciò che può essere richiesto a titolo di danno secondo le regole civilistiche, per le stesse causali di cui all’assicurazione Inail, mentre per, il risarcimento dei danni non coperti dall’assicurazione Inail, si fa riferimento al c.d. danno complementare. Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it Insomma, l’assicurazione Inail esonera il datore di lavoro da quelle responsabilità civili e quindi da quei risarcimenti connessi a responsabilità datoriali, come ad esempio il difettoso approntamento delle misure di sicurezza, che non superino la soglia della responsabilità penale. Se pertanto, come si è detto, l’infortunio è causato da una grave mancanza dell’imprenditore, tale da configurare un reato, l’Inail sarà comunque tenuto all’automaticità della prestazione, ma avrà il diritto di regresso nei confronti del datore di lavoro responsabile. Ora, in questa situazione, il lavoratore infortunato, oltre a ricevere dall’Inail l’indennizzo in capitale o in rendita secondo la percentuale di invalidità, potrà agire nei confronti del datore di lavoro per il danno differenziale. In caso di morte del lavoratore per infortunio sul lavoro si verificano le seguenti ipotesi: a) La morte del lavoratore non è correlata ad un reato del datore, pertanto i superstiti avranno diritto alla sola rendita Inail; b) La morte del lavoratore è in dipendenza del reato del datore, pertanto i superstiti oltre alla rendita Inail potranno agire nei confronti del datore di lavoro per il danno differenziale calcolato sull’intero reddito perso dalla famiglia; inoltre i superstiti avranno diritto al danno morale e biologico come loro danno complementare, giacché per loro, l’assicurazione prevede soltanto il risarcimento del danno economico; c) Qualora la morte del lavoratore, a seguito di reato dell’imprenditore, non sia istantanea ma vi sia stato un rilevante lasso di tempo, che la giurisprudenza variamente considera (da poche ore a più di una settimana), nel quale il lavoratore abbia realmente sofferto prima di morire, il danno biologico maturato in capo al de cuius può essere richiesto dagli eredi (potenzialmente diversi dai superstiti) al datore di lavoro penalmente responsabile. 3. Il problema della configurabilità e della trasmissibilità agli eredi del danno da perdita della vita. Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it Il problema che residua e sul quale ferve un ricco dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza riguarda la risarcibilità del danno morale (esistenziale-biologico) consistente nell’evento morte; danno questo che nasce in capo al lavoratore morente e che dunque viene trasmesso jure hereditatis. Se pertanto da un lato si discute sulla durata dell’agonia e sul dover essere o meno cosciente il lavoratore morente ai fini dell’apprezzamento della penosità della sua situazione e sulla correlativa maturazione del diritto al risarcimento da trasmettere agli eredi, dall’altro si pone il problema della configurabilità sul piano teorico di una risarcibilità della morte istantanea sul presupposto logico che la capacità giuridica viene meno con la morte ed essendo questa assunta come evento istantaneo, nel momento in cui si verifica il soggetto non è più tale e pertanto incapace di maturare un diritto trasmissibile agli eredi. Va peraltro chiarito che il problema non si pone solo nel nostro ordinamento, giacché non vi sono sistemi giuridici nell’ambito dei quali la legge o la giurisprudenza riconoscano il danno da morte. Va dato pertanto atto alla giurisprudenza italiana di aver cercato delle strade capaci di superare quella che appare un’incongruenza del sistema, per cui se il lavoratore resta menomato potrà, in caso di responsabilità penale del datore, ricevere un lauto risarcimento, mentre in caso di propria morte, il datore di lavoro non sarà tenuto a corrispondere agli eredi alcun risarcimento biologico differenziale ma solo il danno morale e/o biologico direttamente sofferto dai superstiti per la perdita del congiunto. Una grave invalidità che si protrae per tutta la vita, può arrivare a costituire un danno differenziale altissimo, mentre la morte per un reato colposo può non comportare alcun risarcimento agli eredi! L’avvertita necessità di superare l’incongruenza sopra descritta ha convinto una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza della necessità della ricostruzione, sul piano logico-giuridico, del diritto al risarcimento del danno derivante dalla perdita della vita. Tale ricostruzione, che intende il danno da morte come massimo grado del danno biologico, si fonda su tre essenziali elementi. Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it Anzitutto la configurazione del danno biologico come danno - evento, ossia come danno primario, sempre autonomamente risarcibile indipendentemente dalle conseguenze patrimoniali prodotte, poiché consistente nella sola compromissione del diritto costituzionalmente garantito alla salute. Tale concezione del danno biologico, delineata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 184/1986 (ma successivamente rivista dalla stessa Consulta nella sentenza n.372/1994 e dalla Corte di Cassazione nella sentenza 9470/97), ha avuto senza dubbio il merito di aver riconosciuto la risarcibilità del danno biologico anche in quei casi in cui la vittima non abbia perduto la propria attitudine a svolgere un’attività produttiva di reddito ed è stata utilizzata come argomento logico per sostenere la necessaria risarcibilità del danno da perdita della vita (se è risarcibile la lesione in quanto tale lo sarà anche la lesione mortale). In secondo luogo la considerazione che la salute e la vita non sono beni giuridici distinti, come ritenuto dalla Corte Costituzionale, ma sono invece, secondo la tesi sostenuta Tribunale di Venezia (sentenza del 15/03/0/2004), inscindibilmente collegati, poiché l’uno il presupposto dell’altro (se è risarcibile la salute a fortiori lo è la vita che “necessariamente comprende e presuppone il primo bene”). Infine l’impossibilità di una coincidenza temporale assoluta fra il momento della lesione dell’integrità psico-fisica e quello del decesso, per cui fra i due eventi vi sarebbe sempre una successione di momenti diversi, per quanto ravvicinati essi possano essere, che consente la configurazione del danno in capo al soggetto morente (la perdita della vita comporta necessariamente in un momento anteriore, sia pure infinitesimale, la lesione della salute). In ogni caso, indipendentemente dal lasso di tempo che possa intercorrere fra la lesione ed il decesso, tale ricostruzione chiarisce che in caso di evento lesivo mortale, ciò che viene trasmesso iure hereditatis non è certo il diritto personalissimo alla vita, che come tutti sanno è intrasmissibile, ma è invece quello patrimoniale derivante dalla lesione di quel diritto. Nonostante gli essenziali chiarimenti apportati da tale teoria al fenomeno della morte conseguente a lesione mortale e al relativo diritto al risarcimento del danno più corretta Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it appare la ricostruzione che qualifica il danno in questione come danno autonomo anziché come massima lesione del diritto alla salute. Tale ricostruzione, infatti, ha il merito di ricollegare il danno biologico esclusivamente alle lesioni della salute valutabili al termine della malattia, separandolo concettualmente dal risarcimento in caso di morte che deriverebbe dunque al soggetto (e dunque ai suoi aventi diritto jure successionis) esclusivamente dalla perdita del bene giuridico di massimo valore: la vita. Così facendo si supererebbe definitivamente quell’incongruenza nel complesso sistema del risarcimento del danno per il quale il diritto alla vita, pur riconosciuto e tutelato ai massimi livelli dell’ordinamento interno ed internazionale (si pensi all’art.2 della Costituzione Italiana; alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948; alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950) non viene ancora direttamente risarcito nei casi di illegittima lesione. Tale problema, a mio parere, affonda le proprie radici nella staticità del diritto privato; si deve a Giugni la suggestiva espressione per cui il diritto è fermo ad Aristotele e non è arrivato ad Hegel. In realtà la concezione del danno limitata alla funzione meramente risarcitoria corrisponde ad una logica sillogistica e cronologica per cui realizzatosi l’evento dannoso e le sue conseguenze, l’ordinamento riconoscerà anche ricorrendo all’equità del giudice la misura monetaria del risarcimento. Ora tutto ciò può a ben vedere essere apprezzato anche in una concezione dinamica, nel senso che la deterrenza nei confronti di chi potrebbe provocare un danno è svolta proprio dal timore del risarcimento conseguente. Tutto l’ordinamento esercita la sua funzione nel condizionare i comportamenti sociali in ragione delle aspettative ovvero delle inibizioni che a vario titolo concorrono a determinare le scelte dei comportamenti umani. Insomma se la vita di un uomo costituisce un valore incommensurabile e come tale non è quantificabile, nemmeno in via equitativa, in un valore capace di generare un risarcimento, l’effetto pratico potrebbe essere quello di una valutazione cinica e pragmatica per cui tra il costoso adeguamento delle strutture di sicurezza di un’azienda Studio Legale Prof. Avv. Giulio Prosperetti e Associati www.studioprosperetti.it ed il rischio della perdita della vita degli operai si potrebbe, con aberrante decisione, scegliere la seconda ipotesi. Come noto nell’ordinamento statunitense vige l’istituto dei danni punitivi (punitive damages), una sorta di pena privata dove il danno non genera un risarcimento parametrato a quanto sofferto dal danneggiato ma viene a colpire il danneggiante in misura tale da incidere in maniera rilevante sulle proprie finanze; è per questo che tanto più è ricca ed importante la multinazionale che ha creato il danno, tanto più questo sarà commisurato alla potenza economica di tale società. Per questo nel sistema statunitense anche modesti danni sono risarciti con cifre stratosferiche in ragione dell’odiosità del danno prodotto da una grossa società. In conclusione periodicamente si affacciano in giurisprudenza prese di posizione da parte dei giudici di merito tendenti a risolvere l’incongruenza di un gravoso risarcimento per una procurata invalidità permanente e l’assenza di ogni risarcimento in capo al de cuius in caso di sua morte istantanea. Il problema potrebbe formare oggetto di un intervento legislativo anche di natura interpretativa in ordine al contenuto del danno biologico così da superare la concezione che nel vedere la distinzione fra salute e vita, riduce il danno biologico al solo danno alla salute. Altra strada può essere quella di conservare la suddetta distinzione, dando però al bene vita un valore convenzionale fissato per legge, rendendolo così trasmissibile agli eredi. In conclusione il cammino giurisprudenziale diretto al riconoscimento di una danno da perdita della vita sembra essere compromesso dalle ricordate sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, pertanto l’esigenza di colpire, anche sul piano patrimoniale, chi procura la morte del lavoratore, dovrà necessariamente diventare un tema di dibattito politico per trovare soddisfacente soluzione.