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Identità femminile e conflittualità nella relazione madre

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Identità femminile e conflittualità nella relazione madre
Carla Carotenuto
Identità femminile e conflittualità
nella relazione madre-figlia
Sondaggi nella letteratura italiana contemporanea:
Duranti, Sanvitale, Sereni
metauro
Indice
Premessa
9
Capitolo primo
Aspetti teorici e metodologici
I.1 La dimensione dell’affettività
I.1.1 La femminilità e la relazione madre-figlia
I.2 Verso un’identità: la scrittura a firma femminile
Capitolo secondo
Il microcosmo affettivo nella narrativa di Francesca Duranti
II.1 Profilo bio-bibliografico
II.2 Il rapporto madre-figlia e l’identità femminile
17
24
54
71
85
Capitolo terzo
Tra scrittura e biografia. L’opera di Francesca Sanvitale
III.1 Il percorso letterario
III.2 Femminilità a confronto. Simbiosi e devastazione
tra madre e figlia
117
130
Capitolo quarto
La ‘lingua perduta delle donne’ e l’esperienza della diversità
in Clara Sereni
IV.1 Il ‘privilegio’ della scrittura
IV.2 La costellazione femminile. Processi identitari
e conflittuali nel rapporto madre-figlia
Conclusioni
Bibliografia e sitografia
Bibliografie – autrici
Indice dei nomi
149
161
179
183
195
211
24
I.1.1 La femminilità e la relazione madre-figlia
Ne Le aberrazioni sessuali, incluso nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), si rinviene una delle prime testimonianze di Freud
sulla difficoltà riscontrata nello studio della sessualità femminile.
L’importanza del momento della sopravvalutazione sessuale si
può studiare assai meglio nell’uomo, la cui vita amorosa soltanto
è divenuta accessibile alla ricerca, mentre quella della donna – da
una parte in conseguenza dell’atrofizzazione culturale, dall’altra a
causa del silenzio e della insincerità convenzionale delle donne – è
ancora avvolta da una oscurità impenetrabile15.
Tale considerazione viene ribadita ne L’organizzazione genitale
infantile (1923): «Purtroppo possiamo descrivere questo stato di
cose solo per quanto riguarda il bambino maschio; ci manca una
piena conoscenza dei corrispondenti processi che hanno luogo nella
bambina»16.
Freud si occupa della questione femminile in rapporto con lo
sviluppo maschile già prima della pubblicazione dei saggi monoparsi apertamente di questo legame (nonostante i numerosi studi e le posizioni
affermatesi negli anni), la cultura greca gli ha riservato una particolare attenzione,
«collocandolo al centro della rete dei suoi significanti, cioè al centro degli intrecci
del rito e del mito» (il primo riferimento è al mito di Demetra e Core). Cfr. I.
Chirassi Colombo, Il paradigma patetico, in G. Buzzatti – A. Salvo (a cura di),
Corpo a corpo. Madre e figlia nella psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp.
47-48. Il mito di Demetra e Core viene studiato a fondo da Jung, nell’Aspetto psicologico della figura di Core (1941; in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1980,
vol. 9 - tomo I), e da Erich Neumann che lo propone quale exemplum dell’unità
madre-figlia caratterizzante l’Archetipo del Femminile (cfr. pp. sgg. del presente
capitolo; E. Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni
femminili dell’inconscio (1956), Astrolabio, Roma 1981, pp. 147, 199, 303-306).
Anche Luce Irigaray si richiama al suddetto mito, ma per denunciare la separazione della figlia dalla madre (formanti una coppia divina) come uno dei delitti più
esecrabili della società patriarcale: cfr. L. Irigaray, L’universale come mediazione
(conferenza a Zurigo, 25 marzo 1986) e Una possibilità di vivere. Limiti al concetto di neutro e di universale nelle scienze e nei saperi (conferenza a Tirrenia, 22
luglio 1986), in Ead., Sessi e genealogie (1987), La Tartaruga, Milano 1989, pp.
151 e sgg., 212-215.
15 S. Freud, Le aberrazioni sessuali - Tre saggi sulla teoria sessuale (1905),
in Opere, cit., vol. 4, p. 465.
16 Id., L’organizzazione genitale infantile (1923), in Op. cit., vol. 9, p. 564.
25
grafici sulla femminilità. Ne Le trasformazioni della pubertà,
terzo scritto dei Tre saggi sulla teoria sessuale, lo psicoanalista
dedica un paragrafo alla differenziazione del maschio e della femmina.
È noto che la netta separazione delle caratteristiche maschili e femminili si produce solo con la pubertà, un contrasto che poi influirà
come nessun altro sul modo in cui si strutturerà la vita umana.
Certo fin dall’età infantile sono ben riconoscibili sia la disposizione maschile che quella femminile: lo sviluppo delle inibizioni
della sessualità (pudore, disgusto, compassione e così via) avviene
prima nella femmina e incontra minor resistenza che nel maschio
[…]. Anzi, se si sapesse dare ai concetti “maschile e femminile”
un contenuto più determinato, si potrebbe anche sostenere la tesi
che la libido è, come regola e come legge, di natura maschile, sia
che si presenti nell’uomo o nella donna e a prescindere dal suo
oggetto, sia quest’ultimo uomo o donna.
[…] senza tener conto della bisessualità, si potrà difficilmente
giungere a comprendere le manifestazioni sessuali effettivamente
osservabili nell’uomo e nella donna. […] La zona erogena direttiva è posta anche nella bambina sulla clitoride, che è omologa alla
zona genitale maschile del glande. […]
Se si vuole intendere il divenir donna della bimba, bisogna seguire le vicende successive di questa eccitabilità della clitoride. La
pubertà, che porta al ragazzo quel grande assalto della libido, è
contrassegnata per la ragazza da una rinnovata ondata di rimozione che colpisce appunto la sessualità clitoridea. Ciò che qui
cade sotto la rimozione è un pezzo di vita sessuale maschile. Il
rafforzamento delle inibizioni sessuali determinato nella donna da
questa rimozione puberale costituisce poi uno stimolo per la libido
dell’uomo […]. La clitoride, una volta che essa sia eccitata dall’atto sessuale finalmente permesso, conserva poi la funzione di estendere l’eccitamento alle parti femminili vicine […]. Spesso, finché
questa traslazione sia compiuta, occorre un certo tempo, durante il
quale la giovane donna è anestetica. […]
Quando la traslazione dell’eccitabilità erogena dalla clitoride
all’ingresso della vagina si è compiuta, la donna ha cambiato la
zona direttiva per la successiva attività sessuale, mentre l’uomo
ha conservato sempre quella dell’infanzia. In questo cambiamento
della zona direttiva erogena, come anche nel sopravvento puberale
della rimozione che per così dire elimina la mascolinità infantile,
26
si trovano le condizioni principali del fatto che la donna vada particolarmente soggetta alla nevrosi, in particolare all’isteria. Queste
condizioni dunque sono intimamente connesse con l’essenza della
femminilità17.
Al maschile e al femminile Freud associa i concetti rispettivamente
di attività e passività.
Solo quando, nella pubertà, lo sviluppo sessuale è concluso, la
polarità tra i sessi si identificherà col maschile da una parte e il
femminile dall’altra. La mascolinità riunisce in sé le caratteristiche
del soggetto, dell’attività e del possesso del pene, la femminilità si
assume quelle dell’oggetto e della passività. La vagina è ora vista
come la dimora del pene, e diventa l’erede del ventre materno18.
Questa concezione del femminile come passività è stata duramente contestata dalla critica femminista che ha rivendicato il ruolo
di autonomia e di attività della donna anche nella sfera sessuale.
Proseguendo l’analisi della teoria freudiana si perviene ad una più
matura interpretazione della sessualità femminile. Freud, infatti, ne
La femminilità, modifica la propria posizione, attribuendo anche
alla donna un ruolo attivo.
Persino nel campo della vita sessuale umana vi accorgerete ben
presto quanto sia inadeguato far coincidere il comportamento
maschile con l’attività e quello femminile con la passività. La
madre è attiva in ogni senso nei riguardi del suo bambino; l’atto
stesso dell’allattamento si può indifferentemente concepire tanto in modo attivo come allattare quanto in modo passivo come
lasciarsi succhiare il latte. Quanto più vi allontanate poi dallo
stretto campo sessuale, tanto più chiaro diventa questo “errore di
sovrapposizione”. Le donne possono esplicare una grande attività
in diverse direzioni, gli uomini non possono convivere con i loro
simili se non sviluppano un alto grado di passiva arrendevolezza.
[…]
Si potrebbe pensare di caratterizzare psicologicamente la femminilità con la preferenza per mete passive, il che, naturalmente, non
17 Id., Le trasformazioni della pubertà – Tre saggi sulla teoria sessuale
(1905), in Op. cit., vol. 4, pp. 525-527.
18 Id., L’organizzazione genitale infantile, cit., p. 567.
27
è la stessa cosa della passività; per realizzare una meta passiva
può essere necessaria una grande dose di attività. Forse succede
che nella donna una predilezione per il comportamento passivo e
per aspirazioni passive, derivante dal ruolo che le è riservato nella
funzione sessuale, si protenda nella vita più o meno ampiamente,
secondo i limiti, circoscritti o estesi, in cui la vita sessuale funge da
modello. Dobbiamo però stare attenti a non sottovalutare l’influsso
degli ordinamenti sociali, che parimenti sospingono la donna in
situazioni passive. Tutto ciò è ancora molto oscuro. […]
Avrete ormai capito che neppure la psicologia è in grado di sciogliere l’enigma della femminilità19.
Nello studio della condizione femminile si assiste ad un’evoluzione
del pensiero freudiano che da un parallelismo, o simmetria, instaurato tra l’uomo e la donna sin dall’età infantile, arriva alla formulazione di una differenziazione dello sviluppo femminile rispetto a
quello maschile. Anche per quanto concerne il complesso di Edipo,
e per i conseguenti rapporti stabiliti tra bambino-a e genitori, Freud
19 Id., La femminilità – Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni)
(1933), in Opere, cit., vol. 11, pp. 222-223. In altri testi si possono rintracciare
espressioni simili a quelle utilizzate in questo passo dallo psicoanalista, allorché
egli definisce lo studio della femminilità come «molto oscuro» oppure parla di
«enigma della femminilità» (ad esempio «oscurità impenetrabile» ne Le aberrazioni sessuali - Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905). Freud, ammettendo la sua
difficoltà in questo tipo di analisi, riconosce l’attenzione riservata in tale ambito
dalle studiose: «Pare in verità che le donne analiste, come Jeanne Lampl-de Groot
e Helene Deutsch, abbiano avuto modo di accorgersi di queste realtà più facilmente
e perspicuamente, perché venne loro in aiuto, nelle persone di cui avevano intrapreso il trattamento, la traslazione su un confacente sostituto della madre. Per parte
mia, non sono riuscito a penetrare perfettamente neppure un caso» (Id., Sessualità
femminile (1931), in Opere, cit., vol. 11, p. 65). Il contributo offerto dalle donne è
rimarcato nel successivo saggio del 1933 («Poiché il tema è la donna, mi permetto
in questa occasione di citare per nome alcune donne alle quali questa indagine
deve importanti contributi»), in cui ricompaiono i nomi di Jeanne Lampl-de Groot,
Helene Deutsch, ai quali si aggiunge quello di Ruth Mack Brunswick (cfr. Id., La
femminilità - Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), cit., p. 236).
Una guida utile per ripercorrere le principali teorie elaborate in psicoanalisi dalle
donne, soprattutto sul tema della maternità, è il libro Psicoanalisi al femminile
(a cura di Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1992) dove, accanto ai profili
di psicoanaliste, quali Anna Freud, Melanie Klein, Lou Andreas-Salomé, Helene
Deutsch, Karen Horneylle, sono presentate posizioni più recenti, tra cui quella di
Luce Irigaray. Per approfondimenti cfr. inoltre G. Buzzatti – A. Salvo (a cura di),
Corpo a corpo. Madre e figlia nella psicoanalisi, cit.
28
parte da una semplificazione o schematizzazione di relazioni (il/la
bambino-a prova un desiderio sessuale verso il genitore di sesso
opposto e un desiderio di morte per quello dello stesso sesso: stadio
noto comunemente come forma semplice e positiva del complesso
di Edipo) che si rivelano, ad un’analisi più approfondita, più complicate e ambigue (compresenza di desideri opposti, amore e odio,
verso entrambi i genitori: forma completa del complesso di Edipo).
Già ne Il tramonto del complesso edipico (1924) viene indicata la
differenza fra il bambino e la bambina, operando così una frattura rispetto alla precedente posizione e rimarcando una diversità tra
maschile e femminile che caratterizzerà la vita adulta degli individui. Successivamente Freud riconosce l’importanza della fase preedipica per la bambina, fino ad allora trascurata nei suoi studi.
Donne con un forte attaccamento al padre sono notoriamente molto frequenti […]. Su di esse ho compiuto le osservazioni che qui
riferirò e che mi hanno condotto a una certa concezione della sessualità femminile. Mi hanno soprattutto colpito due fatti. Il primo
era questo: dove esisteva un attaccamento al padre particolarmente
intenso, là vi era stata, in base ai risultati dell’analisi, una fase precedente di esclusivo attaccamento alla madre, della stessa intensità
e passionalità; la seconda fase, se si esclude la permuta dell’oggetto, non aveva aggiunto quasi nulla alla vita amorosa; la relazione
primaria con la madre era stata assai ricca e si era sviluppata in
varie direzioni. Il secondo fatto dimostrava che si era molto sottovalutata anche la durata nel tempo di questo attaccamento alla
madre, il quale si prolungava in parecchi casi fino al quarto anno
di età, in un caso fino al quinto, comprendendo dunque la parte di
gran lunga più estesa della fioritura piccolo - infantile della vita
sessuale. […]
Con ciò la fase preedipica della donna acquista un significato che
finora non le avevamo attribuito20.
20 S. Freud, Sessualità femminile, cit., pp. 63-64. Già qualche anno prima
Freud ha rilevato l’importanza della fase pre-edipica per lo sviluppo femminile.
«Il complesso edipico delle bimbe pone un problema in più rispetto a quello dei
maschi. Per entrambi la madre è stata all’inizio il primo oggetto, e non ci siamo stupiti che il maschio lo conservi nel complesso edipico; come mai invece la
bambina vi rinuncia, per assumere il padre come oggetto? Nell’affrontare questa
questione ho avuto modo di fare alcune scoperte che possono chiarire immediatamente la preistoria della impostazione edipica delle bambine. […] il complesso
29
Nello stadio pre-edipico la bambina è attratta verso la madre (genitore dello stesso sesso) che rappresenta, come per il bambino, il primo oggetto d’amore. Il passaggio da questo stadio alla fase edipica
comporta per la bambina una mutazione dell’oggetto d’amore: dalla
madre al padre. Nel bambino, invece, non si attua un cambiamento
oggettuale: l’oggetto d’amore rimane inalterato, continua ad essere
la madre (la fase pre-edipica maschile non è chiara21, ma comunque
è caratterizzata da una tenerezza verso il genitore dello stesso sesso). Freud individua la causa principale che determina nella bimba
il superamento della fase pre-edipica e il conseguente inizio dello
stadio edipico nel complesso di evirazione. Tale complesso costituisce una tappa essenziale anche per lo sviluppo maschile, ma nel
bambino esso ricopre una funzione diversa (un’altra differenziazione maschio/femmina)22. Il complesso di evirazione si carica nella
femmina di risentimento nei confronti della madre che l’ha generata
senza attributo virile, provocando appunto il distacco della bambina
dalla madre23 (fase pre-edipica à fase edipica). Nel maschio esso
edipico ha una lunga preistoria ed è in un certo senso una formazione secondaria»
(Id., Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi (1925),
in Opere, cit., vol. 10, p. 210). Tali considerazioni vengono ribadite nel saggio
posteriore dedicato alla femminilità: «Sapevamo, naturalmente, che vi era stato
uno stadio preliminare di attaccamento alla madre, ma non sapevamo che potesse
essere così ricco di contenuto, perdurare così a lungo, lasciarsi dietro tanti spunti
per fissazioni e disposizioni successive. […] Quasi tutto quello che più tardi troviamo nel rapporto con il padre era già presente in tale attaccamento ed è stato
successivamente trasferito sul padre. Ci formiamo, in breve, la convinzione che
non si possa comprendere la donna se non si valuta adeguatamente questa fase
dell’attaccamento preedipico alla madre» (Id., La femminilità – Introduzione alla
psicoanalisi (nuova serie di lezioni), cit., p. 226).
21 «Sulla preistoria del complesso edipico nei maschi siamo ancora ben
lontani dall’aver raggiunto la chiarezza assoluta. Conosciamo di essa un periodo
d’identificazione col padre di natura affettuosa, a cui manca il senso della rivalità
a causa della madre» e ancora: «Ci siamo fatti un’idea della preistoria del complesso edipico nella bambina. Il corrispettivo nel maschietto è ancora in parte
ignorato» (Id., Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, cit., pp. 209 e 215).
22 «Per quanto riguarda il rapporto tra i complessi edipico e di evirazione,
esiste un contrasto fondamentale tra i due sessi. Mentre il complesso edipico del
bambino crolla a causa del complesso di evirazione, il complesso edipico della
bambina è reso possibile e introdotto dal complesso di evirazione» (Ivi, p. 215).
23 «Il distacco dalla madre è un passo importantissimo nello sviluppo della
30
sorge dall’osservare la madre priva di pene e costituisce la causa del
superamento del complesso edipico (allontanamento dalla madre:
fase edipica à periodo di latenza). In sintesi, dunque, il complesso
di evirazione determina nella bambina l’entrata nella fase edipica
e nel bambino il superamento della stessa. Aggiungendo a tali considerazioni il diverso sviluppo erogeno descritto precedentemente
(per cui all’inversione della zona erogena osservata nella femmina
corrisponde la stabilità inalterata di quella del maschio), si comprende meglio la complessità dello sviluppo femminile (lo stesso
complesso edipico è il risultato finale di un’evoluzione più lunga).
Freud, sebbene modifichi la teoria iniziale elaborata sulla crescita
femminile (comunque lacunosa rispetto a ricerche psicoanalitiche
contemporanee e successive), riconosce, al termine de La femminilità, l’incompletezza della propria indagine.
Questo è tutto quanto avevo da dirvi sulla femminilità. È certo
incompleto e frammentario e non sempre suona gentile. […] Se
volete saperne di più sulla femminilità, interrogate la vostra esperienza, o rivolgetevi ai poeti, oppure attendete che la scienza possa
darvi ragguagli meglio approfonditi e più coerenti24.
La teoria freudiana sullo sviluppo del/della bambino-a è ripresa e
rielaborata differentemente da Melanie Klein e Jacques Lacan.
Secondo la Klein, il complesso di Edipo è in atto sin dai primi stadi dell’evoluzione individuale. Nello sviluppo psichico del
bambino fondamentale è la relazione con la madre e con gli oggetti
parziali e totali connessi a tale figura, nello specifico il seno materno, oggetto di gratitudine o invidia a seconda che soddisfi o meno i
bisogni del neonato. Come spiega Brusa, il contributo della psicoanalista «non aggiunge nulla alle domande sollevate da Freud sulla
femminilità», ma è fondamentale per lo studio dell’ «invidia»:
bambina, è più di un semplice cambiamento dell’oggetto» (S. Freud, Sessualità
femminile, cit., p. 76). «Il distacco dalla madre avviene all’insegna dell’ostilità, l’attaccamento alla madre finisce in odio. Un odio che può diventare molto
evidente e durare tutta la vita, pur essendo più tardi accuratamente sovraccompensato; di regola, quest’odio in parte viene superato e in parte persiste» (Id., La
femminilità – Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), cit., p. 228).
24 Id., La femminilità - Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), cit., pp. 240-241.
31
Melanie Klein non enuncia un problema simbolico per la bambina.
Considera che l’identificazione alla madre sia il viatico per una
assunzione della propria posizione sessuata, senza distinguere tra
identità femminile e identità materna.
Nemmeno il cambiamento di zona erogena costituisce un problema, la bambina anzi, appare […] avvantaggiata […]. La frustrazione che marca il rapporto del lattante con il seno e la reazione ad
essa descrive i termini della devastazione kleiniana, degli effetti
devastanti del rapporto con la madre25.
È la frustrazione orale, l’impossibilità di possedere completamente
il seno materno, a spingere il soggetto di entrambi i sessi nell’Edipo, in cui prevale l’immagine combinata dei genitori26.
Per Lacan sia lo stadio dello specchio che la categoria del simbolico sono definiti dal rapporto del bambino con la madre, sulla
quale si basano i processi di riconoscimento-identificazione e la
trama relazionale giocata sull’assenza-presenza della madre. Fin
dall’inizio, sul piano simbolico, il soggetto è inserito in un sistema
a tre elementi, in cui è centrale il desiderio materno. Riprendendo la
teoria dell’Edipo di Freud, Lacan elabora la metafora dei genitori:
La Metafora Paterna riscrive il mito di Edipo in una formula linguistica, attraverso lo strumento della metafora secondo Jakobson.
Con questo l’Edipo si trasforma, non è più un complesso, tra gli
altri, ma diventa una macchina simbolica che trasforma gli elementi che vi entrano, un processo che provoca la messa in questione del sesso del soggetto da parte del complesso di castrazione. Il
perno di questo processo è il fallo27.
La posizione femminile è fabbricata secondo il percorso edipico,
seguendo un cammino inverso rispetto a quello maschile: la donna
da soggetto desiderante diventa oggetto di scambio (soggetto à
oggetto)28.
25 L. Brusa, Mi vedevo riflessa nel suo specchio. Psicoanalisi del rapporto
tra madre e figlia, cit., pp. 20-21.
26 Cfr. M. Klein, Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino 2006 (presentazione di Ernest Jones); Ead., Invidia e gratitudine (1957), Giunti, Firenze 2012.
27 L. Brusa, Op. cit., pp. 40-41.
28 Cfr. J. Lacan, Scritti (1966), a cura di Giacomo B. Contri, Einaudi, Torino
2002, 2 voll.
32
In contrapposizione alla teoria psicoanalitica freudiana sulla
sessualità femminile, si pone, come già sottolineato, la critica femminista29, che trova in Simone de Beauvoir e Luce Irigaray30 due
delle voci più autorevoli.
De Beauvoir, nella sua opera esemplare Il secondo sesso (1949),
si interroga sulla femminilità, opponendosi alla teoria freudiana e
scardinando i capisaldi della cultura patriarcale, che hanno ridotto
la donna a identità sessuale e ad alterità del maschile. La donna,
secondo la studiosa, è sempre stata definita ‘altra’ rispetto all’uomo: «La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo,
non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è il Soggetto, l’Assoluto: lei è l’Altro»31. In un’ottica
esistenzialista, de Beauvoir interpreta tale subordinazione anche
come risultato di un atteggiamento passivo del soggetto femminile che ha accettato, senza opporsi, la situazione. Per superare la
condizione di inferiorità la donna deve raggiungere l’indipendenza
economica e impegnarsi nella lotta politica.
Fondamentale è la teoria filosofica di Irigaray, la quale sottopone
a un’aspra analisi gli scritti di Freud, denunciandone l’atteggiamento maschilista e retrogrado. In Speculum. L’altra donna (1974), che
segna la rottura con Lacan, ella accusa Freud di aver descritto la
donna in termini maschili, negandole un’identità femminile propria.
Il femminile diventa ciò che si decifra come inter-detto: nei segni
o tra di essi, tra significati realizzati, tra le righe…, ed in funzione
delle esigenze di (ri)produzione d’una moneta che passa per fallica
e di cui si può subito inferire che, mancandole il concorso di un(a)
altro(-a), avrà bisogno del suo altro: sorta d’alter ego all’inverso,
un negativo – anche qui: fotografico, “nero” dunque. Inverso, con29 Un panorama della critica femminista, della nascita e dello sviluppo dei
gender studies è tracciato da Teresa de Lauretis nei saggi scritti tra il 1987 e il
1998 e raccolti nel volume Soggetti eccentrici, Feltrinelli, Milano 1999. Cfr.
anche T. De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, Feltrinelli, Milano
1996 (per la critica freudiana cfr. in particolare il saggio Desiderio e narrazione
(1984), pp. 36-98).
30 La Irigaray rifiuta l’appartenenza al movimento femminista, pur partecipando alla lotta delle donne e riconoscendo nel movimento lo spazio privilegiato
per costruire la differenza sessuale.
31 S. De Beauvoir, Il secondo sesso (1949), il Saggiatore, Milano 1984, p. 16.
33
trario, contraddittorio perfino, di cui c’è bisogno per rilanciare o
dare il cambio ad un processo di specula(rizza)zione del soggetto
maschile. C’è bisogno che intervengano questi effetti di negativo
conseguenti a, e attivabili dopo, una censura esercitata sul femminile la cui riapparizione viene ammessa, anzi richiesta, in forme
come queste: essere/divenire, avere/non avere sesso, fallico/non
fallico – pene/clitoride ma anche pene/vagina – più/meno, chiaramente rappresentabile/continente nero, logos/silenzio o chiacchiere inconsistenti, desiderio della madre/desiderio d’essere madre,
ecc. Sono tutte modalità d’interpretazione della funzione di donna
rigorosamente postulate dal proseguimento d’una partita in cui la
donna si trova sempre iscritta senza mai aver cominciato a giocare.
Posta tra – almeno- due o due mezzi uomini. Cerniera che si adatta
ai loro scambi. Riserva (di) negatività su cui si sostiene l’articolazione del loro passo in un progresso, in parte fasullo, verso il
controllo del potere. Del sapere. Nei quali lei non ha parte. Fuori
scena, fuori rappresentazione, fuori gioco, fuori io32.
La filosofa contesta le definizioni o le allusioni suggerite da Freud,
il quale descrive la bambina come un «ometto» (quando la bambina si trova nella cosiddetta fase fallica), destinato ad un’evoluzione
più complicata per diventare una donna ‘normale’. «Perché Freud
chiama maschile la fase nella quale la bambina ama, desidera la
madre? Non è forse un modo per eludere la singolarità della relazione tra la bambina e sua madre, così come altrove si fa cieco
davanti l’originalità d’un desiderio tra donne?»33. Proseguendo
nella sua disamina, la psicoanalista si oppone anche all’interpretazione fornita da Freud riguardo al successivo rapporto tra l’uomo
e la donna adulti e ai possibili rimandi e connessioni instaurabili
con l’originario legame materno. Secondo la teoria freudiana la
scelta oggettuale dell’uomo è condizionata dal modello materno,
che a sua volta determina nella donna il desiderio di maternità. In
tal senso nel rapporto sessuale uomo/donna trovano soddisfazione entrambe le tendenze: l’uomo, unendosi alla donna, opera una
32 L. Irigaray, Speculum. L’altra donna (1974), Feltrinelli, Milano 19983,
p.17. La psicoanalista approfondisce la critica alla teoria freudiana nelle opere
successive, soprattutto in Questo sesso che non è un sesso. Sulla condizione sessuale, sociale e culturale delle donne (1977), Feltrinelli, Milano 19803.
33 Ead., Speculum. L’altra donna, cit., p. 27.
34
sorta di regressione nell’utero materno, la donna ottiene, tramite il
rapporto con il maschio, il bambino a lungo desiderato (soprattutto
il figlio di sesso maschile) recuperando la relazione con la madre
con la quale ora condivide l’esperienza della maternità34.
Sotto l’influenza della propria maternità, può riaccendersi nella
donna un’identificazione con la propria madre […]. Che l’antico influsso della mancanza del pene non abbia ancora perduto la
sua forza, appare evidente nella diversa reazione della madre alla
nascita di un figlio o di una figlia. Solo il rapporto con il figlio dà
alla madre una soddisfazione illimitata; di tutte le relazioni umane
è questa in genere la più perfetta, la più esente da ambivalenza.
[…] È in questa identificazione, inoltre, che la donna acquista le
sue attrattive al cospetto dell’uomo, il cui attaccamento edipico
alla madre divampa in una nuova passione35.
Irigaray, commentando la posizione di Freud, afferma:
La concezione e la nascita del figlio ripropongono la questione
del principio. Questione del rapporto della donna – e dell’uomo,
in forma diversa – con il proprio principio e con la posizione di
un’economia dell’originario. Esse consentono, eventualmente, di
34 «Le donne, insomma cercano di ricostruire, di resuscitare, di riplasmare,
di reimmaginare una relazione emotiva con la propria madre; le donne fantasticano e esperiscono inconsciamente la madre interna e reale nel momento stesso
in cui stringono un rapporto con un uomo. Una parte del «modo di amare delle
donne» riguarda dunque, per ciascuna donna particolare, la risoluzione (mai assoluta ma soggetta a continui aggiustamenti) di questo desiderio per la madre» (N.
Chodorow, Femminile maschile sessuale. Sigmund Freud e oltre, cit., p. 125). Il
desiderio di maternità può essere anche interpretato come mezzo di competizione figlia/madre. «Un aspetto particolare della competizione nelle figlie era ed è
tutt’ora rappresentato dal desiderio di diventare madri: molte “scelte” di maternità possono essere lette come espressione del desiderio da parte delle figlie di
essere “come” le madri, donne adulte e soprattutto potenti, in quanto in grado di
generare figli» (L. Grasso, Identità femminile e immagine materna nel rapporto
madre-figlia e tra donne; dai giochi di specchi alla ricerca di autonomia, in Centro Culturale delle Donne “Mara Meoni”, Madri e figlie: incontri e racconti,
cit., p. 84). Cfr. anche L. Grasso, Madre amore donna. Per un’analisi del rapporto madre-figlia, Guaraldi, Rimini-Firenze 19782, pp. 117-124 e A. N. Cesàro,
L’amore per le donne, l’amore delle donne, cit., pp. 75-76.
35 S. Freud, La femminilità – Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di
lezioni), cit., pp. 239-240.
35
regolare i problemi d’identificazione della donna con la madre, suo
“primario” oggetto d’amore, inserendola in una specifica economia genealogica ed anche speculare. La donna diventando madre
sarebbe la Madre, totalmente identificata con la maternità, in una
sorta di uccisione di sua madre e di annullamento del rapporto
della donna con la maternità, per cui lei resterebbe, nel presente, a
rappresentare l’origine: terra-madre fallica. Oppure si troverebbe
iscritta, si iscriverebbe lei stessa in un processo genealogico infinito, nell’enumerazione aperta in cui si fa il conto dell’ “origine”
[…]. Lei sarebbe sua madre e non lo sarebbe, né sua figlia in quanto madre, così che il circolo o la spirale dell’identificazione non
sarebbero mai chiusi. Al contrario, si avvolgerebbero all’infinito
attorno allo speculum d’un luogo originario36.
Polemico e ironico è l’atteggiamento di Irigaray allorché sintetizza il ‘ruolo’ della donna: «La donna dopo essere stata variamente
verniciata a fini spettacolari, avvolta in metafore, sepolta sotto una
massa di figure stilistiche, innalzata a livelli ideali, adesso potrebbe
diventare l’“oggetto” da indagare, al quale dare attenzione esplicita, e da immettere, a questo titolo, nella teoria»37. Seguendo il percorso tracciato dal sistema filosofico antico costruito sulla potenza
maschile, ella rileva fin dai tempi remoti l’assenza della donna in
quanto soggetto, in quanto ‘altro’, relegata nella zona del silenzio.
E così la donna non ha ancora avuto (un) luogo. Un “non ancora”
che corrisponde indubbiamente ad una fantasmatica isterica ma/e
che rende conto d’una condizione storica. La donna è ancora il
luogo, il luogo come un tutto, in cui lei non può sapersi e possedersi in quanto tale. […]
La donna resta questo niente di niente, tutto l’ancora niente dove
ciascuno viene a cercare altro cibo per nutrire la somiglianza a sé
(come) medesimo38.
La critica alla teoria freudiana e la rivendicazione della necessità
di uno studio fondato sulla sessualità femminile, concepita come
diversa da quella maschile, sono ribadite dalla psicoanalista in una
sua intervista del 1979:
36 L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, cit., pp. 70-71.
37 Ivi, p. 140.
38 Ivi, p. 210.
36
Effettivamente penso che la sessualità femminile, così come è
determinata dal discorso freudiano, sia conforme alla sessualità
maschile, là dove si tratta invece di prendere in considerazione,
da un lato, l’ambivalenza fondamentale del rapporto con la madre,
dall’altra il rapporto con le pulsioni e soprattutto con la pulsione di
morte; ciò che si può senz’altro dire, è che nell’ordine sociale esistente le donne sono state spossessate sia del loro rapporto con la
vita, sia del loro rapporto con la morte. Va chiarito che Freud, nel
momento dell’elaborazione di una teoria della sessualità, è ancora
nel piano della ricerca […]. Dunque è una teoria che malgrado
tutto resta aperta. La teoria lacaniana non fa alcuna scoperta, si
limita a fare l’analisi del discorso […]. Di fatto, la sua teoria è
in un certo senso, rispetto al discorso freudiano, una metateoria,
che finisce poi col mettere la donna come sintomo del discorso
dell’uomo o al tempo stesso con il porre il luogo della donna in
questo discorso […]39.
Altrettanto significativo è il volume della Irigaray Sessi e genealogie (1987), che raccoglie conferenze sulla femminilità40. Ne Il
corpo a corpo con la madre è postulata l’esistenza di una genealogia di donne, comprendente la madre, la nonna, le bisnonne, le
figlie. L’appartenenza a tale genealogia rende possibile la conquista
dell’identità femminile, sia in senso storico che in senso sessuale.
39 L. Irigaray, Desiderio femminile e pratica analitica, intervista a cura di
Nadia Bassanese e Gabriella Buzzatti, in «aut-aut», nn. 175-176, gennaio-aprile
1980, pp. 93-94. L’intervista è stata registrata nel marzo 1979 ed è stata presentata, come si avverte in nota a p. 87, «in una stesura non corretta da Luce Irigaray e
in forma talvolta abbreviata».
40 A questo stesso tema, affrontato però da un diverso punto di vista, è dedicato il libro Il respiro delle donne, in cui sono letti e interpretati testi e protagoniste del passato distintesi per la loro spiritualità: cfr. Ead. (a cura di), Il respiro
delle donne. Luce Irigaray presenta i credo al femminile (1996), il Saggiatore,
Milano 1997. Nella sua disamina della cultura patriarcale e nel tentativo di recuperare la «divinità» delle donne, la studiosa delinea la separazione della figlia
dalla madre come un dramma fondamentale: «Il maggior crimine della cultura
patriarcale consiste nell’aver separato la figlia dalla madre. Le tracce del dramma
di questa separazione tra figli e madri sono iscritte nei miti. Così, per assicurare il
suo impero celeste, Giove negozia sua figlia. Egli rapisce la figlia alla madre, e la
«vende» al dio degli inferi. La colpa del patriarcato si trova qui in modo esemplare; essa è ripetuta da Freud, e ripetuta da noi se non vi prestiamo attenzione. Infatti
ci mancano rappresentazioni culturali per sostenere le relazioni tra madri e figlie»
(Ivi, p. 165).
37
Non dimentichiamo nemmeno che abbiamo già una storia, che
certe donne, anche se era culturalmente difficile hanno segnato la
storia, e che troppo spesso noi non ne abbiamo conoscenza.
Attraverso tutto questo, la cosa che dobbiamo fare […] è scoprire
la nostra identità sessuale, la singolarità dei nostri desideri, del
nostro autoerotismo, del nostro narcisismo, della nostra eterosessualità, della nostra omosessualità. A questo proposito, è importante ricordare che le donne, essendo il primo corpo con cui hanno
a che fare un corpo di donna, il primo amore che si scambiano
quello materno, sono sempre in un rapporto arcaico e primario con
ciò che sia chiama omosessualità. Gli uomini, per parte loro, sono
sempre in una relazione arcaica con l’eterosessualità, essendo una
donna il loro primo oggetto d’amore e di desiderio.
Quando la teoria analitica dice che la bambina deve rinunciare
all’amore della e per la madre, al desiderio della e per la madre,
così da entrare nel desiderio del padre, essa sottomette la donna
ad una eterosessualità normativa, corrente nelle nostre società, ma
completamente patogena e patologica. Né la bambina né la donna
hanno da rinunciare all’amore per la madre. Una cosa simile le
sradica dalla loro identità, dalla loro soggettività41.
Nel più recente Condividere il mondo, la studiosa torna a riflettere
sull’assimilazione della donna al mondo materno, da cui l’uomo è
ancora dipendente. Ribadisce l’importanza dell’affermazione della
differenza della donna in quanto tale, anche nell’ottica di emancipazione del soggetto maschile e costruzione di una società «più
adulta», multiculturale, fondata sull’incontro con l’altro (dato che
la differenza uomo/donna è la prima differenza). Recuperare la
componente relazionale, l’originaria dipendenza dall’altro instaurata nella dimensione materno-filiale, significa gettare le basi di un
dialogo tra voci e mondi diversi42.
41 L. Irigaray, Il corpo a corpo con la madre (conferenza a Montreal, 31
maggio 1980), in Ead., Sessi e genealogie, cit., p. 30. In questo testo l’autrice
definisce il rapporto con la madre come «desiderio folle, perché è il «continente
nero» per eccellenza. Resta nell’ombra della nostra cultura, è la sua notte e i suoi
inferi» (Ivi, p. 20). Sul tema delle genealogie femminili sviluppato da Irigaray cfr.
L. Muraro, Il concetto di genealogia femminile, Centro Culturale Virginia Woolf,
Roma 1988; Ead., Le genealogie femminili, www.ishtarvr.org/Documento2.pdf
(25 luglio 2012; il saggio, scritto nel 1990, è stato pubblicato in inglese nel 1994
e sul sito di Diotima – «Per amore del mondo», n. 3 il 13 gennaio 2008).
42 Cfr. L. Irigaray, Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
38
Mettere al centro l’elemento della relazione e della dipendenza;
mettere al centro ciò che sulla e della dipendenza, del suo rifiuto e
della sua accettazione, ne sanno le donne, è la scommessa filosofica e politica di Luce Irigaray. Per inventare una logica sconosciuta
e dis-conosciuta dalla tradizione occidentale: quella a due soggetti.
Che sappia custodire le differenze, che lasci spazio all’accoglienza
e al silenzio. Ecco allora che il flusso del divenire si ri-apre, che il
tempo e lo spazio si mantengono in un processo dialettico, che le
parole ritrovano un senso. Dai monologhi alla polifonia43.
Altra tappa fondamentale nel percorso di affermazione dell’identità
femminile e definizione del nuovo ruolo della donna, pure in qualità di madre, è rappresentata dal noto e controverso libro Nato di
donna (1976) di Adrienne Rich. L’autrice, distinguendo tra l’istituto della maternità e la maternità in senso proprio, rivendica la libertà della donna e del suo corpo che, in virtù della facoltà generatrice,
è stato a lungo oggetto di sfruttamento nel sistema patriarcale. Le
donne devono riappropriarsi della condizione materna, sottratta loro
per rafforzare il potere dei padri. Ogni donna, secondo la Rich, deve
essere «il genio tutelare del suo corpo», creando liberamente nuova
vita (figli, visioni, pensiero) e gettando le basi per un nuovo rapporto
con l’universo. In questo modo la maternità assume un nuovo significato, con un’incidenza sul piano sociale44.
Sul ruolo materno e sul legame simbiotico madre-figlia45 si concentra la successiva analisi di Nancy Chodorow ne La funzione
materna (1978). Punto di partenza è, anche in tal caso, la critica
Cfr. M. Piacente, ‘Condividere il mondo’. Intervista a Luce Irigaray, in «Pedagogika.it», nn. 2-3, anno XIII, http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/
Pedag3_09.htm (2 luglio 2012); S. Maruzzella, Luce Irigaray, ‘Condividere il
mondo’, 13 maggio 2011, www.giornaledifilosofia.net. Sui temi dell’incontro
e dell’alterità cfr. anche L. Villa, Pensare l’amore (a partire dall’ultimo libro di
Luce Irigaray, J’aime à toi), in «Nuova corrente», n. 110, luglio-dicembre, Anno
XXXIX (1992), pp. 383-408.
43 G. Siviero, Irigarary. ‘Condividere il mondo’, l’ultimo lavoro della filosofa francese. Le nuove sfide della differenza, in «Alias», supplemento de «Il
Manifesto», 23 maggio 2009, www.ecostampa.it.
44 Cfr. A. Rich, Nato di donna (1976), Garzanti, Milano 2000.
45 Considerando questo rapporto simbiotico madre-figlia, tipico dello stadio
pre-edipico, si può dire che la figlia attraversa la fase della bambina lesbica preedipica.
39
al sistema freudiano, dal quale prende avvio una rilettura della tradizionale teoria psicoanalitica dello sviluppo femminile e maschile. La Chodorow accusa Freud di aver riservato scarsa attenzione
alla crescita femminile, pur riconoscendo un’evoluzione del suo
pensiero. Ammette il progresso fatto da Freud, in merito all’importanza attribuita in un secondo tempo al rapporto madre-figlia
nella fase pre-edipica, ma non ritiene soddisfacente la spiegazione
addotta per giustificare il passaggio nella bambina dallo stadio preedipico a quello edipico. Secondo l’interpretazione freudiana si
tratterebbe di uno scivolamento dell’amore provato dalla bambina
per la madre sulla figura paterna. Per la studiosa tale processo non
è così semplice, né automatico. Il vincolo che la bimba instaura con
la madre nella fase pre-edipica si caratterizza come forte ed esclusivo ed è destinato a proseguire anche durante lo stadio edipico.
Il complesso edipico femminile non è semplicemente un trasferimento dell’affetto dalla madre sul padre con conseguente rinuncia
alla madre. Al contrario, la ricerca psicoanalitica dimostra la perdurante importanza, anche nella fase edipica, della relazione esterna e interna della bambina con la madre, alla quale ora si aggiunge
la relazione con il padre. Tale processo comporta, nella definizione di sé e nella personalità della bambina, una complessità che
non si riscontra in quella maschile. Le capacità relazionali, che
nel maschietto vengono decurtate a causa del complesso edipico
maschile, nella bambina vengono invece portate avanti46.
La fase pre-edipica femminile ha una durata maggiore («simbiosi
prolungata») rispetto a quella maschile e il vincolo con la madre è
più intenso («sovraidentificazione narcisistica») di quello stabilito
dal bambino47. Al maschio è riconosciuto in modo chiaro un rapporto con la madre anche nello stadio pre-edipico, laddove Freud si
pronunciava in maniera ambigua. Per la Chodorow, dunque, il rap46 N. Chodorow, La funzione materna. Psicoanalisi e sociologia del ruolo
materno, cit., pp. 127-128.
47 Infatti «la bambina entra nella situazione edipica triangolare più tardivamente del maschietto, e in un contesto relazionale diverso. Peraltro, come indica
la continuità dei temi preedipici nella vita delle donne, essa non lo fa rinunciando
del tutto al rapporto preedipico, ma semmai costruisce su tale base preedipica
tutto quello che avverrà in seguito» (Ivi, pp. 155-156).
40
porto figlio-a/madre accompagna tutta la crescita infantile, assumendo connotazioni e sviluppo temporale differenti nei due sessi.
La diversa durata e qualità del periodo preedipico nei maschietti e
nelle bambine ha le sue radici nel fatto che l’accudimento materno
è fornito da una donna, più specificamente nel fatto che la madre è
dello stesso genere della figlia e di genere diverso dal figlio. Questo
la porta a vivere e a trattare l’uno e l’altra in modo diverso. […]
D’altro canto, il fatto di essere una donna adulta e una madre significa anche essere stata la figlia di una madre, il che influisce sul modo
di essere ora, e sulle qualità dell’accudimento materno fornito48.
Nel maschio la fase pre-edipica ha una durata minore, caricandosi
di sovradeterminazioni sessuali che inducono all’entrata precoce
nella successiva fase edipica. Nella femmina la maturazione è certamente più complessa, presupponendo un passaggio dall’amore
materno a quello paterno e conservando allo stesso tempo sempre
traccia dell’affetto primigenio.
Tutti gli esempi clinici e antropologici presi in esame puntano uniformemente alla conclusione che le esperienze preedipiche delle
bambine e dei maschietti sono diverse. Nelle bambine, l’amore
materno preedipico e la concentrazione su temi preedipici si protraggono nel tempo, come non avviene invece per i maschietti.
[…]
In quanto appartengono allo stesso genere e sono state a loro volta
bambine, le madri tendono a vivere le proprie figlie lattanti come
individui meno separati che non i figli maschi. Nei confronti degli
uni come delle altre, la madre sperimenta un senso di unità e continuità con la propria creatura; tuttavia esso è più intenso e si protrae
più a lungo nel caso delle figlie femmine. Anche l’identificazione
primaria e la simbiosi tendono a essere più intense con una figlia,
e l’investimento libidico nei suoi confronti tende più frequentemente a conservare e a enfatizzare le componenti narcisistiche;
in altri termini, a basarsi su un’esperienza della figlia come estensione o doppio della madre stessa, mentre l’investimento libidico
sulla figlia intesa come altro sessuato rimane di solito un tema più
sfuocato, meno importante.
Anche altri casi descritti nella letteratura sembrano indicare come
48 Ivi, p. 134.
41
le madri di norma si identifichino maggiormente con le figlie e
tendano a viverle come individui meno separati. […]
Invece, poiché appartengono a un genere diverso, le madri sperimentano i figli maschi come il proprio opposto maschile. L’investimento libidico sul figlio tende più frequentemente a essere fin
dalla primissima infanzia, in aggiunta forse alle componenti narcisistiche, un investimento oggettuale su un altro sessuato. I figli
tendono ad essere vissuti come differenziati dalla madre […]49.
Concludendo la sua analisi, la Chodorow definisce il processo evolutivo femminile come un passaggio da un «mondo diadico, interno ed esterno, formato dalla coppia madre-lattante» a uno «triadico». La bambina conserva per l’intero periodo edipico entrambi i
genitori come «oggetti d’amore» e come «rivali».
Per la bambina, tuttavia, non esiste un’unica modalità, né una
rapida risoluzione del complesso edipico, così come non si dà un
“cambiamento d’oggetto” totale e assoluto. […] La bambina dà
luogo invece a un importante attaccamento di tipo edipico nei confronti della madre oltre che del padre50.
La contestazione del sistema freudiano costituisce per molte studiose il punto di partenza per l’indagine teorica sul rapporto
madre-figlia. Nell’ambito della vasta produzione critica-letteraria
sviluppatasi su tali problematiche, altrettanto significativi sono i
contributi di Laura Grasso e Luisa Muraro.
La prima analizza la conflittualità e l’ambiguità della relazione
filiale, in particolare femminile. Indagando le cause che sono alla
base del conflitto madre-figlia, tradizionalmente ascritto alla contesa dell’uomo amato, la Grasso ipotizza che il motivo più profondo
di tale rivalità sia da ricercare nell’omosessualità latente che unisce
le due donne.
49 Ivi, pp. 147-149. E ancora: «Tutte sostengono che per la bambina la situazione edipica è un problema che riguarda il rapporto con la madre almeno tanto
quanto il rapporto con il padre. […] la bambina, mentre costruisce il rapporto
con il padre, mantiene per così dire lo sguardo fisso sulla madre […]. Il ricorso al padre è insomma, contemporaneamente, un attacco sferrato alla madre e
un’espressione dell’amore per lei» (Ivi, pp. 168-169).
50 Ivi, p. 170.
42
Alla base di questa dinamica ‘triangolare’, in cui due donne si
combattono per contendersi un uomo, esiste però anche un altro
aspetto più profondo che a mio parere è la causa prima della rivalità madre-figlia, ed è l’omosessualità latente che unisce le due
donne ma che non viene mai esplicitata né riconosciuta. Dobbiamo rivolgerci al rapporto che ogni donna ha avuto con la propria
madre perché è il primo rapporto nella vita che una donna ha con
un’altra donna, ed è un rapporto come abbiamo visto, pieno di conflitti e di contraddizioni in cui la figura maschile, da sempre considerata al centro dell’interesse della donna, è in realtà un fantoccio
che attira su di sé e ‘dirotta’ quei desideri e quei bisogni indirizzati
e orientati originariamente da una donna a un’altra donna.
Ecco allora che la gelosia di una madre verso la figlia e viceversa
non è solo gelosia nei confronti di una possibile rivale che mette
in pericolo il rapporto con l’uomo: è, più profondamente, gelosia
verso la donna che si allontana dall’amore di un’altra donna; è
gelosia verso la figlia che preferendo l’uomo sposta il suo punto di
riferimento affettivo e si allontana dalla madre, ed è gelosia verso
la madre che censurando i propri desideri si nega alla figlia, si
allontana da lei e rientra nell’orbita maschile […]51.
L’ambivalenza, peculiare di ogni legame affettivo, diventa lacerante per la femmina, chiamata a fronteggiare una crisi di identità:
[…] l’ambivalenza cui l’uomo viene sottoposto nel rapporto con
la madre è meno conflittuale e meno lacerante di quella che vive
la femmina. Il maschio non viene mai rifiutato dalla madre come
amante nel modo in cui viene rifiutata la femmina; caso mai il
pericolo per lui è di essere troppo amato dalla madre e reso incapace di staccarsene (figlio edipico) ma quand’anche questo succeda, a meno che non si tratti di casi particolarmente complessi,
il maschio ha una scappatoia attraverso la quale mantenere il rapporto d’amore con la madre: può avere una moglie o comunque
una compagna alla quale richiedere le stesse cose che ha avuto
dalla propria madre. La donna no, la donna viene desiderata/rifiutata dalla madre ed è costretta ad una grossa crisi di identità con se
stessa e col sesso di appartenenza perché il riconoscimento di se
stessa passa attraverso il riconoscimento e l’identificazione con la
prima donna con la quale si confronta, la madre; quella donna che
51 L. Grasso, Madre amore donna. Per un’analisi del rapporto madre-figlia,
cit., p. 90.
43
invece di aprirsi a lei con un rapporto di comunicazione diretto e
chiaro, instaura una comunicazione a doppio senso piena di contraddittorietà e di opposti52.
In questa complessa trama relazionale, è possibile rilevare la tendenza all’identificazione fra i due soggetti femminili.
È infatti un problema molto importante soprattutto se puntiamo
il discorso sulla distruttività messa in atto dalla madre sulla figlia
femmina, importante perché tutte le donne passano attraverso
questo rapporto e tutte le figlie lo riproducono una volta divenute
madri. Lo riproducono anche rispetto ai figli maschi, ma i meccanismi che si attuano tra madre e figlia sono molto più complessi
e più sottili, sono meccanismi che condizionano a un certo tipo di
rapporto donna a donna, e che le donne riproducono fra loro anche
quando non si incontrano solo come madri o come figlie, legate
quindi da un rapporto di consanguineità53.
E ancora:
La madre tende ad identificarsi nella figlia, a viverla come una
riedizione di sé, a proiettare su di lei fantasie, progetti, desideri,
originariamente rivolti a se stessa.
La figlia verrà dunque necessariamente vissuta come una copia
della madre, ed è su questo processo di stretta identificazione che
possono sorgere le conflittualità più profonde nel rapporto fra le
due donne.
Il campo della sessualità, e della sessualità nella figlia adolescente
in particolare, esprime in modo evidente l’esistenza del conflitto54.
La Muraro focalizza invece l’attenzione sulla necessità della figlia
di recuperare il legame materno. Ne L’ordine simbolico della
madre (1991) l’autrice rivendica l’importanza del «saper amare la
madre». Ogni donna deve riconoscere la potenza della forza crea52 Ivi, p. 140.
53 Ivi, p. 10.
54 L. Grasso, Identità femminile e immagine materna nel rapporto madrefiglia e tra donne; dai giochi di specchi alla ricerca di autonomia, cit., p. 79. Sul
nodo problematico identificazione-identità cfr. anche Ead., Madri e figlie. Specchio contro specchio: l’identificazione obbligata fra madri e figlie impedisce la
vera singola identità, Nuova Guaraldi, Firenze 1979.
44
trice materna, dispensatrice della vita e della parola, e deve saper
rivivere l’esperienza autentica dei primi anni infantili.
Riconoscere l’autorità materna significa entrare nell’ordine simbolico della madre e quindi nel suo regno generazionale e ritrovare
la sua lingua. […]
L’allontanamento dal regno materno significa adattamento e adeguamento ad un linguaggio culturale «improprio», lontano dalla
lingua materna, legato ad un codice che produce parole convenzionali e ripetitive perché prive di pensiero originale; significa adesione alla società patriarcale55.
Occorre dare traduzione sociale alla potenza materna per impedire alla sintesi sociale di chiudersi e tenerla invece aperta ad ogni
voler dire, per quanto distante o abnorme56.
La relazione con la madre rappresenta la struttura simbolica primaria necessaria alle donne per trovare un luogo di radicamento
nel mondo e affermare la propria libertà. Ciò che unisce il rapporto
con la madre e la configurazione dell’ordine simbolico è la parola,
«dono della madre». Dato che il rapporto con la madre appartiene
all’ordine simbolico, e non a quello morale, esso può stabilirsi pure
quando il sentimento verso la propria mamma non è d’amore ma
di odio e indifferenza. L’amore femminile della madre è dunque
«una pratica politica», affermazione che viene spiegata dalla Muraro anche in un suo saggio del 1990, pubblicato successivamente:
Per me il cuore della politica resta la relazione genealogica così
come Irigaray ce la presenta nella pagina de Il genere femminile in
cui ella parla dell’azione efficace. Io penso che noi siamo testimo55 M. De Angelis, Saper amare la madre (recensione a L’ordine simbolico
della madre di Luisa Muraro), in «Leggere donna», nuova serie, n. 35, novembredicembre 1991, p. 6.
56 L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991,
p. 104. La posizione della Muraro è oggetto di studio da parte di María Milagros
Rivera Garretas nel volume Nominare il mondo al femminile. Pensiero delle donne e teoria femminista (1994), Editori Riuniti, Roma 1998. La studiosa elabora
un’analisi critica dell’interpretazione di Luce Irigaray sul rapporto madre-figlia.
Cfr. anche F. Collin, Il pensiero della differenza. Nota su Luisa Muraro, 2004,
siba-ese.unisalento.it/index.php/segnicompr/article/download/…/4014 (5 luglio
2012).
45
ni e protagoniste di un cambiamento che riguarda la relazione della donna con la figura della madre e, di conseguenza, il significato
della differenza sessuale. Il nostro saper amare la madre è il fondamento della nostra libertà. Quello che a livello superficiale conosciamo come il femminismo, è la manifestazione, secondo me, di
un cambiamento che si situa a livello di struttura della nostra civiltà, il livello che lo storico Braudel indica come la storia di lunga
durata […]. Mi riferisco non al femminismo delle rivendicazioni
e della parità con l’uomo, ma al movimento che ci ha portate a
scegliere di stare tra donne, a regolarci di preferenza sul giudizio
delle nostre simili, ad accettare l’autorità di donne, a cercare per la
nostra mente il nutrimento di un pensiero femminile57.
***
Nell’esame delle differenti tesi sviluppatesi sul femminile e sulla
figura materna, è indispensabile menzionare la teoria psicoanalitica
junghiana, che si distacca dalla posizione freudiana anche per l’importanza attribuita alla madre, soprattutto nell’ambito dello sviluppo collettivo della specie umana58.
La prima elaborazione del concetto junghiano risale al 1912
in Trasformazioni e simboli della libido, studio che trova la sua
definitiva stesura con il titolo Simboli della trasformazione (1952).
In quell’opera Jung postula l’esistenza di una dimensione inconscia transpersonale, anteriore alla vicenda biografica individuale,
57 L. Muraro, Le genealogie femminili, cit.
58 Jung, infatti, accanto all’inconscio personale, teorizzato da Freud, postula l’esistenza dell’inconscio collettivo, più profondo di quello individuale: «Per
Freud l’inconscio, benché almeno metaforicamente compaia già come soggetto
attivo, in sostanza non è altro che il punto ove convergono questi contenuti rimossi e dimenticati […] secondo questo modo di vedere, esso è esclusivamente di
natura personale […]. Un certo strato per così dire superficiale dell’inconscio è
senza dubbio personale: noi lo chiamiamo “inconscio personale”. Esso poggia
però sopra uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni
personali, ma è innato. Questo strato più profondo è il cosiddetto “inconscio collettivo”. […] questo inconscio non è di natura individuale, ma universale e cioè,
al contrario della psiche personale, ha contenuti e comportamenti che (cum grano
salis) sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. In altre parole, è identico
in tutti gli uomini e costituisce un sostrato psichico comune, di natura soprapersonale, presente in ciascuno» (C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo
(1934-1954), in Opere, cit., 1980, vol. 9 – tomo I, pp. 3-4).
46
instaurando analogie e parallelismi tra il percorso psichico soggettivo e le descrizioni mitologiche, religiose, letterarie. L’immagine
della madre, definita dallo psicoanalista come uno degli archetipi
fondamentali dell’inconscio collettivo, non è pertanto solo parte
integrante del vissuto familiare del soggetto, ma è connessa alla
filogenesi della specie umana. L’archetipo della madre è correlato
con la nozione di Anima59, intesa come personificazione femminile presente nell’inconscio dell’uomo (corrispondente all’Animus,
personificazione maschile nell’inconscio della donna). Nell’immagine della madre si condensano una miriade di simboli60: la città,
la cassa o il cofanetto, simbolo dell’utero materno, la sorgente, la
caverna, la chiesa, l’acqua61, il legno e l’albero di vita (il motivo
dell’avviluppamento degli alberi è un simbolo materno)… All’archetipo della madre Jung dedica Gli aspetti psicologici dell’archetipo della Madre (1938-1954), in cui definisce i caratteri dell’immagine materna, riconoscendone l’ambivalenza: la madre è divisa
in amorosa - madre di vita - e terrificante - madre di morte -.
Come ogni archetipo, anche quello della madre possiede una
quantità pressoché infinita di aspetti […] la madre e la nonna personali, la matrigna e la suocera, qualsiasi donna con cui esista un
59 Cfr. Id., Simboli della trasformazione (1912-1952), in Opere, cit., 1970,
vol. 5, p. 280. Per la definizione di Anima cfr.: Id., Tipi psicologici (1921), in
Opere, cit., 1969, vol. 6; L’io e l’inconscio (1928), in Opere, cit., 1983, vol. 7;
Sull’archetipo, con particolare riguardo al concetto di Anima (1936-1954), in
Opere, cit., 1980, vol. 9 – tomo I.
60 Per la condensazione simbolica che investe l’archetipo della madre cfr.
Id., Simboli della trasformazione, cit. Un altro archetipo materno è il motivo della
«doppia madre» che si ricollega ai temi della doppia nascita e della doppia discendenza (cfr. Ivi, pp. 301-383 e C. G. Jung, Il concetto d’inconscio collettivo (1936),
in Opere, cit., 1980, vol. 9 – tomo I, pp. 44-49).
61 «Il significato materno dell’acqua […] è una delle interpretazioni simboliche più chiare della mitologia. Gli antichi Greci dicevano: “Il mare è il simbolo
della nascita”. Dall’acqua viene la vita, e quindi anche i due dèi che ci interessano
di più: Cristo e Mithra. Quest’ultimo, secondo le interpretazioni che ne abbiamo,
nacque nei pressi di un fiume; Cristo ricevette la “rinascita” nel Giordano […].
L’aspetto materno dell’acqua coincide con la natura dell’inconscio, in quanto
quest’ultimo (specialmente nell’uomo) può essere considerato madre o matrice
della coscienza. In tal modo l’inconscio, quando interpretato in riferimento al soggetto, ha al pari dell’acqua significato materno» (Id., Simboli della trasformazione, cit., pp. 218-219).
47
rapporto - la nutrice o la bambinaia, l’antenata e la Donna Bianca.
In un senso più elevato, figurato: la dea, in particolare la madre
di Dio, la vergine […], Sophia […]. In senso più lato: la Chiesa,
l’università, la città, la patria, il cielo, la terra, il bosco, il mare
e l’acqua stagnante, la materia, il mondo sotterraneo, la luna. In
senso più stretto: i luoghi di nascita o di procreazione – il campo,
il giardino, la roccia, la grotta, l’albero, la fonte, il pozzo profondo,
il fonte battesimale […].
[…] la mia concezione si differenzia fondamentalmente dalla
teoria psicoanalitica in quanto io attribuisco alla madre personale
un’importanza solo limitata. E cioè: a svolgere sulla psiche infantile tutti gli effetti descritti dalla letteratura non è tanto la madre
personale, quanto piuttosto l’archetipo su di lei proiettato, che le
conferisce uno sfondo mitologico e la investe di autorità e numinosità62.
L’archetipo della madre è alla base del complesso materno, in cui
si distinguono due aspetti: il complesso materno del figlio e quello
della figlia. Il primo è condizionato dalla differenza sessuale nei
confronti della madre, mentre il secondo si esplica nell’ambito
della femminilità della figlia. Il disagio complessuale del figlio si
esprime attraverso l’omosessualità, il dongiovannismo, l’impotenza e può portare all’acquisizione di caratteristiche femminili. Nella
figlia il complesso materno genera o un rafforzamento (ipertrofia)
degli istinti femminili o un loro indebolimento (atrofia). Nel caso
di ipertrofia gli istinti prevalenti nella figlia sono quello materno e
quello erotico. L’accentuazione dell’istinto materno si manifesta
mediante un eccessivo attaccamento e una dedizione esclusiva da
parte della figlia alla famiglia e ai propri figli; l’esagerato sviluppo
dell’Eros comporta una maggiore facilità e leggerezza nell’intrecciare relazioni, per lo più romantiche e poco durature, con uomini spesso sposati. Nel caso di atrofia del mondo istintuale (istinto
materno ed erotico), nella figlia si produce un’identificazione con
la madre (la figlia proietta la propria personalità sulla madre) che
si traduce in un attaccamento simbiotico e in una fedeltà morbosa dell’una nei confronti dell’altra (la figlia «conduce un’esisten62 Id., Gli aspetti psicologici dell’archetipo della Madre (1938-1954), in
Opere, cit., 1980, vol. 9 – tomo I, pp. 82 e 84.
48
za larvale»). Tra i vari tipi descritti, Jung individua numerosi casi
intermedi, tra cui il più importante è quello che consiste nella difesa dalla supremazia della madre. Si tratta del «complesso materno
negativo», basato sull’avversione a tutto ciò che la madre rappresenta. All’interno dell’archetipo della madre, è possibile distinguere la madre personale e la nonna definita come Grande Madre63.
Il concetto della Grande Madre viene sviluppato da Erich
Neumann, allievo di Jung. Riferimenti all’archetipo della Grande
Madre, cui può ricondursi anche l’immagine di Afrodite64, si rintracciano in Amore e Psiche. Un’interpretazione nella psicologia
del profondo (1952) e ne La psicologia del femminile (1953). In
quest’ultimo testo lo psicoanalista studia la psicologia della donna
a partire dal rapporto che ella instaura con la mamma, considerando le differenze rispetto al legame madre-figlio. Contrariamente
al bambino, che, giunto a una fase dello sviluppo, sperimenta la
madre come un «tu estraneo e diverso», la bambina concepisce la
madre come «tu proprio e non diverso» a causa dell’identità sessuale.
Poiché il maschile sperimenta come un non-Sé la situazione originaria, l’identità con la madre, con l’ ‘altro femminile’, l’autoidentifica63 «La nonna, in quanto madre della madre, è “più grande” di questa. È a
rigore la Grande Madre. Non di rado la nonna assume i tratti di donna saggia o
quelli di strega. Perché, quanto più l’archetipo si allontana dalla coscienza, tanto
più chiara questa diventa e tanto più quello assume una forma nettamente mitologica. Il passaggio dalla madre alla nonna significa per l’archetipo una sorta di
avanzamento. […] Man mano che cresce la distanza tra coscienza e inconscio, la
nonna, salendo di grado, si trasforma in Grande Madre e spesso si scindono anche
le opposizioni che in questa immagine sono racchiuse: vediamo così apparire da
un lato una buona fata e dall’altro una fata cattiva oppure una dea benevola, circonfusa di luce, e una dea pericolosa, con il carattere dell’oscurità» (Ivi, pp. 100101).
64 «Anche i miti e i misteri di Afrodite non sono greci, bensì appartengono
all’ambito culturale dell’Asia minore dominato dalla Grande Madre, della quale
tutte le dee greche rappresentano aspetti parziali. Il mitologema orientale della
Grande Madre con il suo giovane figlio, come ad esempio quello di Ishtar, sono
anch’essi matriarcali, e i miti gnostici, con il loro mondo archetipico spiritualeceleste, rivelano chiaramente la lotta di un’ascendente ideologia maschile-patriarcale contro l’antico dominio dell’archetipo della Grande Madre»(E. Neumann,
Amore e Psiche. Un’interpretazione nella psicologia del profondo (1952), Astrolabio, Roma 1989, p.121).
49
zione maschile, che è all’opposto del rapporto originario, può essere
raggiunta solo in una fase più tarda dello sviluppo. Il maschile giunge alla scoperta e al consolidamento di sé soltanto con il distacco dal
rapporto originario e con l’oggettivazione nei suoi confronti […].
Per il femminile il rapporto originario assume un significato e
un ruolo totalmente diversi. Quando il principio degli opposti
maschile-femminile arriva alla coscienza della bambina, qualsiasi
ne sia la forma, il rapporto originario con la madre è – come per
il maschile – il rapporto attivo; per la fanciulla però cadono tutte
le complicazioni che l’esperienza della diversità crea nel ragazzo.
L’identità con la madre nel rapporto originario può continuare a
esistere anche quando il femminile arriva a ‘sé’ come femminile, e
la sua autoidentificazione è primaria poiché può benissimo coincidere con il rapporto primario.
Questo significa che il femminile può restare all’interno del rapporto originario fiorendo e trovando se stesso, senza dover abbandonare il cerchio dell’uroboro65 materno e della Grande Madre.
[…] Questa situazione fondamentale del femminile, nella quale
autoidentificazione e rapporto originario coincidono, le dà il grande vantaggio di una totalità e completezza naturali estranee al
maschile.
[…] i rapporti naturali di identificazione del femminile derivano
dal legame di sangue della gravidanza e cioè dal rapporto originario con la madre […]. Perciò la nostalgia per il rapporto di identità
accompagna il femminile lungo tutta la sua vita e lo colma con la
tendenza a ristabilire una situazione simile66.
L’archetipo del Femminile trova una sistemazione teorica definitiva nel volume La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio (1956).
65 Con ‘uroboro’ si designa il serpente circolare che si morde la coda; è il
simbolo della situazione pschica originaria «in cui la coscienza e l’Io dell’uomo
sono ancora piccoli e non sviluppati. In quanto simbolo iniziale contenente gli
opposti, l’Uroboro è il ‘Grande Cerchio’, in cui sono fusi elementi positivi e negativi, maschili e femminili, appartenenti alla coscienza e ostili a essa, o inconsci.
[…] La totalità uroborica, che appare anche come simbolo dei genitori primordiali
uniti l’uno con l’altro, dai quali in seguito si distaccano le figure del Grande Padre
e della Grande Madre, è dunque l’esempio perfetto dell’archetipo primordiale
ancora indifferenziato» (Id., La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, cit., p. 29).
66 Id., La psicologia del femminile (1953), Astrolabio, Roma 1975, pp. 11-13.
50
La psicologia analitica, quando parla di ‘immagine primordiale’ o
di archetipo della ‘Grande Madre’, non si riferisce a un’entità concretamente esistente nello spazio e nel tempo, ma a un’immagine
interiore, che agisce nella psiche umana. L’espressione simbolica
di questo fenomeno psichico è costituita dalle raffigurazioni e dalle forme della grande dea femminile che l’umanità ha rappresentato nelle creazioni artistiche e nei miti67.
In accordo con la concezione junghiana, Neumann riconosce
nell’archetipo della Grande Madre la condensazione di simboli
e immagini innumerevoli. Egli specifica come la Grande Madre
costituisca l’aspetto centrale dell’Archetipo del Femminile (si
riscontra l’unità-duplicità di madre e figlia)68, che si configura
come una differenziazione, accanto all’Archetipo del Maschile,
dell’archetipo primordiale uroborico. Neumann elabora uno schema dettagliato per spiegare il processo di sviluppo che permette
il passaggio dalla situazione originale di confusione di tutti gli
elementi all’individuazione e specificazione degli archetipi fondamentali. Dall’archetipo primordiale scaturisce la forma della Grande Madre, la quale presenta una struttura tripartita, distinguendosi
in: Madre buona, terribile, buona e cattiva. La Madre Buona comprende gli elementi buoni maschili e femminili, la Madre Terribile
quelli negativi maschili e femminili, la terza forma, che è quella
della Grande Madre, consente l’unificazione di attributi positivi
e negativi. Queste tre entità costituiscono un «gruppo archetipico coerente». Le costellazioni archetipiche dell’inconscio possono
essere osservate ed esperite direttamente e indirettamente dall’Io
cosciente del soggetto umano. Caratteri propri del Femminile sono
il «carattere elementare» e il «carattere trasformatore». Il primo ha
un aspetto stabile, immutabile e rappresenta la tendenza conservatrice; il secondo tende al movimento, alla trasformazione, «pone
l’accento sull’elemento dinamico della psiche». I due caratteri si
compenetrano l’un l’altro e sono caratterizzati da un’ambiguità che
contraddistingue tra l’altro tutti gli archetipi (la Grande Madre, ad
esempio, è datrice di vita e di morte).
67 Id., La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili
dell’inconscio, cit., p. 15.
68 Cfr. nota 14.
51
L’ambivalenza del Femminile69, in particolare della Grande
Madre, è rilevata poi da Elena Pulcini che ribadisce l’associazione
di matrice junghiana Eros-luna-femminile. La luna è, junghianamente parlando, «il principio della psiche femminile» contrapposto
al sole, simbolo della psiche maschile.
In Jung, la connessione tra l’Eros e la “coscienza lunare” diventa
propriamente analogica. E fa capo al nesso tra l’Eros e la luna,
considerati entrambi, l’uno sul piano concettuale, l’altro simbolico
e archetipico, rappresentazioni della coscienza femminile.
[…] Come il simbolo lunare, punto luminoso circondato dall’oscurità della notte, la coscienza femminile, infatti rischiara senza
separare, illumina senza distinguere, unendo gli opposti in una
chiaroscurale indifferenziazione […].
Nella loro qualità ermafrodita ed androgina, che sta alla base di
una strutturale ambivalenza, Eros e luna convergono, per andare ad esprimere l’essenza più profonda ed autentica della natura
femminile.
Nelle immagini primordiali e nelle loro rappresentazioni si radica
tuttavia il segreto dell’ambivalenza. Se il nesso con l’Eros può fornire le coordinate tipologiche astratte di uno stile o ‘tipo’ di coscienza
‘altro’ rispetto a quella patriarcale, è solo nella elusiva complessità
del simbolo che si possono rintracciare le origini di quella ambivalenza del femminile che sta alla base della sua stessa rimozione.
69 Neumann trova conferma dell’ambiguità e dell’ambivalenza del Femminile in alcune immagini archetipiche: «La fascinazione ambigua – che dà vita e
morte – emanante dall’utero della Grande Madre sopravvive ancora in un’immagine molto più tarda, in cui Venere appare nuda, in una mandorla che simboleggia il genitale femminile, a una moltitudine di uomini di diversa età, noti come
grandi amanti. […] L’ambivalenza della totalità, che rappresenta simbolicamente il Femminile ora divenuto ambivalente, si manifesta negli strani geni che
accompagnano la dea» (E. Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle
configurazioni femminili dell’inconscio, cit., p. 149). Lo psicoanalista procede a
un’analisi della simbologia del Femminile (i cui simboli centrali sono il vaso –
donna=corpo=vaso=mondo – e la luna: per un approfondimento cfr. Ivi, pp. 48-70
ed E. Neumann, La luna e la coscienza matriarcale, ne La psicologia del femminile, cit., pp. 46-77), proponendo un’indagine psicologica della storia umana in
cui l’Archetipo della Grande Madre appare dominante nella fase iniziale. Si parla
per questo motivo di stadio matriarcale, al quale succede l’età patriarcale con il
dominio dell’Archetipo del Grande Padre o del Maschile.
52
Il simbolismo lunare, che rimanda miticamente al culto originario
della Grande Madre, riflette l’insieme indifferenziato di oscurità
e di luce, di fecondità creativa e potenza distruttiva, inerente al
principio femminile archetipico. La ciclicità della luna che, nelle
diverse fasi, governa, in un’alternanza incessante e costantemente
rinnovantesi, sia il sorgere della vita che l’irrompere della morte,
è il tratto comune delle diverse rappresentazioni della dea lunare,
dalla babilonese Ishtar, alla egiziana Iside, alla greca Demetra: la
Grande Dea che è la madre di tutte le cose viventi, signora della
fertilità e della generazione, ma anche, allo stesso tempo, colei che
distrugge la vita, preludendo alla successiva rinascita. […] Il mito
di Demetra e Core e il mito del femminile nella sua totalità tellurica e lunare, dove l’aspetto ‘Madre’ e l’aspetto ‘Anima’ si fondono, in una indistinzione di qualità benefiche, nutritive e vitali, ma
anche distruttive ed infere […]70.
In conformità con quanto affermato da Neumann, il femminile si
presenta originariamente dominante rispetto al maschile che irrompe nel cerchio uroborico come fattore di disturbo.
L’archetipo della Grande Madre contiene infatti il maschile come
pura emanazione di sé, come figlio-amante destinato alla fecondazione della madre-terra, che lo sacrifica, votandolo allo smembramento e alla castrazione, per nutrirsi del sangue necessario al
ciclo eterno della generazione. La natura androgina della dea,
che include il maschile in posizione inferiore e sottomessa, al
fine sacro e naturale della riproduzione della vita, è anche ciò che
la rende vergine, nel senso pre-patriarcale di “una-in-se-stessa”
[…]. Quest’aspetto terribile del femminile, che ingloba e divora, che uccide per nutrire ed esige sacrifici cruenti in nome del
flusso ininterrotto della vita, è pari, secondo Neumann alla forza
invischiante dell’inconscio che raccoglie gli opposti in un’oscura
indifferenziazione […]. Da esso il maschile progressivamente si
distacca per compiere, sia sul piano filogenetico che su quello
ontogenetico, lo sviluppo verso la coscienza, uscendo dalla situazione uroborica iniziale […] l’Io si oppone all’inerzia numinosa
dell’inconscio, svincolandosi dalla participation mystique con la
Grande Madre e liberandosi così della minaccia che il femminile
rappresenta per lui […]. Così facendo, esso spezza l’ambivalenza
70 E. Pulcini, L’eros e la coscienza lunare, in «aut-aut», nn. 229-230, gennaio-aprile 1989, pp. 176-178 e 180-181. Per il mito di Demetra e Core cfr. nota 14.
53
originaria e scinde l’archetipo in due polarità nettamente distinte
tra loro di cui permane a livello cosciente solo quella feconda e
benefica, mentre l’altra viene rimossa, confinata nelle zone remote dell’inconscio. Ciò coincide con la fine dell’epoca matriarcale
e l’inizio del patriarcato, il quale fonda la propria forza e solidità
sulla separazione del maschile dal femminile, della coscienza dai
suoi fondamenti istintuali, materiali, inconsci71.
L’ambivalenza è una peculiarità anche di Eros, al quale il femminile risulta associato72, in corrispondenza con il maschile che è correlato al Logos. Amore/odio-morte, presenza/assenza, attrazione/
repulsione costituiscono pertanto i tratti distintivi di ogni vincolo
affettivo, a partire dal legame madre/figlio-a che continua a essere
motivo di ispirazione artistica.
Alla nuova centralità attribuita sul piano filosofico e socio-culturale alla madre73 corrisponde, nella letteratura contemporanea,
una ripresa, da parte delle scrittrici, di tematiche riconducibili
alla dimensione affettiva-familiare, nello specifico alla relazione
madre-figlia. In questo modo esse affrontano problematiche attuali,
quali la ricerca di identità, la complessità dei rapporti interpersonali, la difficoltà di comunicazione, la conflittualità e l’ambiguità
sentimentale, e allo stesso tempo recuperano, come già osservato
dalla Zancan, frammenti della propria soggettività:
[…] i contenuti sentimentali e quotidiani che il tema d’amore tende a rappresentare nelle scritture di donna […] sono […] segmenti,
71 Ivi, p. 182.
72 «L’identificazione tra la coscienza femminile e l’Eros sembra perciò scaturire dall’inerenza ad entrambi del motivo dell’ambivalenza; ciò che risulta ancora più chiaro se si ripercorre, fin dalle sue rappresentazioni originarie, la mitologia
dell’Eros, dove la qualità coesiva e unificante non è mai disgiunta da un aspetto
oscurale e mortale» (Ivi, p. 178).
73 Élisabeth Badinter sottolinea polemicamente il pericolo insito nel nuovo
interesse sorto attorno alla figura materna e all’istinto materno: tendenza che, invece di affermare l’autonomia della donna, rappresenta un atteggiamento reazionario
finalizzato a ristabilire la società patriarcale. Cfr. É. Badinter, Le conflit. La femme et la mère, Flammarion, Paris 2010 e l’intervento della filosofa del 3 novembre 2011, a cura di Franco Marcoaldi: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/
archivio/repubblica/2011/11/03/elisabeth-badinter (5 giugno 2012).
54
frammenti di un narrare di sé nella storia che la soggettività femminile filtra attraverso la specificità del proprio immaginario: sono
la forma, lo stile che l’opera offre alla nostra interpretazione74.
Una soggettività femminile che, come ribadito da Anna Scacchi,
non può prescindere dal racconto del rapporto madre-figlia:
Ciò che importa non è il contenuto della storia, ma che la storia
venga raccontata, intricata, conflittuale, intensa di passioni come
è. Che la relazione madre-figlia non venga messa da parte come un
momento da superare per conquistare l’indipendenza, ma restituita
al suo posto legittimo di evento primario e strutturante della nostra
identità75.
I.2 Verso un’identità: la scrittura a firma femminile
Le problematiche sorte sullo studio della scrittura al femminile
sono alquanto complesse, a partire dalla legittimità di una catalogazione settoriale. La critica letteraria tende ancora a dividersi tra
due posizioni principali, interrogandosi sull’opportunità o meno di
costituire un ambito teorico specifico per la produzione delle donne, separato da un panorama sulla letteratura tout court.
Se da un lato parlare di scrittura al femminile è indice di una
sensibilizzazione alle difficoltà che le donne hanno dovuto affrontare anche in campo letterario nel tentativo di affermare la propria
identità76, dall’altro la stessa differenziazione può sottintendere il
74 M. Zancan, Il doppio itinerario della scrittura. La donna nella tradizione
letteraria italiana, Einaudi, Torino 1998, p. XXI.
75 A. Scacchi, Introduzione, in Ead. (a cura di), Lo specchio materno. Madri
e figlie tra biografia e letteratura, Luca Sossella, Roma 2005, p. 20. Per lo studio
del rapporto madre-figlia, per l’analisi teorica e narrativa cfr. inoltre M. Hirsch,
The Mother/Daughter plot. Narrative, Psychoanalysis, Feminism, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 1989.
76 Julia Kristeva, in un’intervista del 1975 apparsa su «Les Cahiers du
Grif», distingue due aspetti dell’«identità femminile»: «Mi sembra che ci siano
due modi di decifrare quel che si immagina sia un’«identità femminile». Da una
parte essa può essere compresa come una forma interna alla regolazione della
razionalità economica; voglio dire con questo che emancipando le donne si può
rendere disponibile una mano d’opera femminile necessaria all’economia, si può
controllare l’aumento della popolazione, si possono adattare le vecchie strutture
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