Comments
Description
Transcript
MA IL TEOLOGO SI OCCUPI PIÙ DI POESIA
21 Mercoledì 15 Luglio 2015 anzitutto Scienza e letteratura: CULTURA, RELIGIONI, TEMPO LIBERO, SPETTACOLI, SPORT oggi il premio Merck a giuria del premio letterario Merck annuncia i due vincitori della tredicesima edizione: David Quammen con Spillover (Adelphi) e Maylis De Kerangal (nella foto) con Riparare i viventi (Feltrinelli. La giuria ha inoltre assegnato L L A un Premio speciale a Nicola Piovani per la suite orchestrale Epta. La cerimonia di premiazione si terrà oggi alle ore 19 a Roma, a Villa Miani. Il premio letterario Merck è assegnato a quegli autori che sono riusciti a costruire un ponte tra scienza e letteratura. P R O V O C A Z I O N E MA IL TEOLOGO SI OCCUPI PIÙ DI POESIA ANDREA MONDA el 1955 il gesuita Karl Rahner scrive un’introduzione al libro di poesie del confratello Jorge Blajot in cui afferma: «Al poeta è affidata la parola. Purtroppo non esiste ancora una teologia della parola ed è davvero un peccato che nessuno finora si sia data la pena, come già fece Ezechiele, di raccogliere tutte le membra sparse nei campi della filosofia e della teologia per pronunciare su di esse la parola dello spirito e farle così risorgere in un corpo vivente!». A partire da quegli anni lo stesso Rahner si dedicò a questa "teologia della parola" e quella introduzione andò a con- N TEOLOGO. Rubem Alves Due saggi di Rubem Alves su parola, pedagogia e bellezza rilanciano le tesi di Karl Rahner che invitava i confratelli studiosi a dedicare più spazio alla «teologia della parola» o «teologia narrativa» fluire in una più ampia raccolta di saggi intitolata Sacerdote e poeta, a conclusione della quale si chiedeva ironicamente se la teologia: «È divenuta più sublime perché oggi i teologi scrivono in prosa?». C’è una venatura di nostalgia per «i bei tempi nei quali i grandi teologi erano anche poeti e componevano inni» con tanto di nomi, da Ignazio di Antiochia a Metodio d’Olimpo, da Adamo di San Vittore a Bonaventura a san Tommaso d’Aquino. A questa lista di teologi-poeti si possono aggiungere anche i nomi di qualche moderno (basterebbe quello di Newman) ma anche di qualche contemporaneo e tra questi quello del teologo protestante Rubem Alves, scomparso solo un anno fa, il 19 luglio 2014. Alves ha preso sul serio l’esortazione di Rahner, essendo stato nella sua vita sia sacerdote che poeta e non è un caso che nei suoi testi spesso ritorna la stessa immagine del profeta Ezechiele e delle ossa sparse: «Il problema non è solo aiutare la gente, ma risuscitare corpi morti. E a risuscitare i corpi morti è il potere della bellezza». E altrove: «...credo che i poemi risuscitino le ossa secche sparse nel deserto. Le visioni di ossa secche non possono dare vita alle ossa secche. Ho immaginato una politica che nascesse dalla bellezza: lottano meglio coloro che hanno bei sogni». Dopo anni di silenzio la figura di Alves ritorna oggi in Italia grazie anche alla pubblicazione di due saggi, Pedagogia del desiderio. Bellezza ed eresia nell’esperienza educativa (Edizioni Dehoniane Bologna, pp.160, euro 14) e Fuori dalla bellezza non c’è salvezza. Raccolta di racconti attorno alla vita e alla religione (Pazzini Editore, pp.172, euro 12) che già nei titoli indicano qualcosa del genio poliedrico dell’autore per il quale una lunga lista di possibili "definizioni" non renderebbe giustizia (del resto Alves non amava le definizioni, su questo era d’accordo con Borges: «Si può definire un poligono, ma non si può definire un mal di denti», a sottolineare la sua opzione per la poesia, che ha a che fare con la vita concreta): si è detto del suo essere sacerdote e poeta, ma anche educatore, teologo, sociologo, cultore di cucina, scrittore di racconti per bambini, psicanalista... Ne consegue una prolificità impressionante: più di cento le sue pubblicazioni, solo molto poche giunte in Italia (ricordiamo in particolare il saggio del 1998 pubblicato da Qiqajon Parole da mangiare), per cui questi due titoli appena pubblicati cominciano solo a colmare un vuoto, grazie anche al lavoro di Marco Dal Corso curatore di entrambi i saggi e alla preziosa introduzione di Mauro Castagnaro a Pedagogia del desiderio che si sofferma sulla biografia di questa vitale e curiosa figura di teologo così diffidente per una certa idea di teologia (o se vogliamo di una teologia ridotta a idea). Per lui, come per il gesuita Rahner, è ora che la parola teologica ri-diventi parola poetica, rispondendo così alla tentazione della tristezza che dilaga nella contemporaneità, altrimenti, e qui si intuisce il consenso con un altro gesuita, anche lui sudamericano, ci si arrende a quel modo di pensare occidentale che, scrive Alves: «È definito dalla filosofia strumentale. Per questo nella nostra cultura i vecchi vivono con orrore l’inutilità; vogliono continuare a essere scope, pinze, utilità. Perché non hanno scoperto l’obiettivo della vita. L’obiettivo della vita è arrivare all’inutilità, alla pura delizia, alla pura contemplazione, al puro piacere». © RIPRODUZIONE RISERVATA PREMIO NOBEL Un’immagine di Heinrich Böll, lo scrittore tedesco morto il 16 luglio del 1985. Vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1972. Letteratura. Trent’anni fa moriva il grande scrittore tedesco, che s’interrogò sui grandi drammi del Novecento ed espresse nella sua opera un afflato religioso Dov’è tuo fratello? La domanda di GOFFREDO FOFI e si riprende in mano il secondo volume delle opere di Heinrich Böll nei Meridiani Mondadori, il grande scrittore tedesco morto nel luglio di 30 anni fa, si resta sorpresi dalla passione che anima ugualmente i suoi romanzi (l’ultimo capolavoro, Foto di gruppo con signora, continua e continuerà a essere di una vitalità formidabile, con i suoi personaggi di irregolari guidati dal sentimento della giustizia e della solidarietà, e che bensì questo sentimento prima di dichiararlo lo praticano) e i suoi scritti "politici", una scelta significativa e coinvolgente. Nella Lettera a un giovane cattolico del ’58, Böll rivendica il diritto alla gioia e si lamenta dei «teologi (che) ci rifiutano l’altra cosa di cui si vive, la parola, e del resto rimane sempre da chiedersi se domani avremo ancora pane». Ecco una sintesi perfetta del suo pensiero, che cresce dai bisogni veri dell’uomo, il pane e il verbo, ma rivendicando con essi il diritto alla gioia, a vivere pienamente nel tempo e nella storia, assumendosi tutte le imposizioni e le sventure che vengono dall’essere vivi e dunque dentro la storia, però insieme ad altri, in comunione con altri e godendo con altri della meraviglia del mondo e del dono di esistere. Nella Lettera ai miei figli o delle quattro biciclette e in La paura che hanno e la paura che fanno i tedeschi (1976), tornano altri temi che hanno dominato la sua riflessione e le sue narrazioni: il nazismo e la guerra, la Germania e la sua identità culturale, le sue colpe e i suoi doveri. Altrove, mescolati ai suoi "elogi" degli scrittori dalla cui opera si è sentito coinvolto (Ingeborg Bachmann, Singer e Solzenicyn, la Seghers e la Wolf e tanti altri di tante nazioni, compresa la nostra Morante quando uscì La Storia e Böll la difese con l’adesione che meritava), ci sono quelli sui grandi temi del Novecento, sulle terribili impasse del secolo: la persecuzione degli ebrei, il "socia- S lismo reale" e cioè la dittatura sovietica che, oltre al resto, divideva in due la Germania, le infinite storture di un capitalismo dominatore e distruttivo, quelle di una cultura che le accetta e di un giornalismo che se ne nutre (L’onore perduto di Katharina Blum, un romanzo-pamphlet, critica le ciniche mistificazioni del giornalismo degli anni settanta del Novecento, ma sa anche prevedere lucidamente la decadenza e il servilismo del sistema mediatico a cui accettiamo oggi di sottostare), il culto della violenza e i suoi esiti terroristici. E quando scrive del «secolo dei profughi» parla ancora una volta del suo Dopo la morte di Albert Camus fu un punto di riferimento teorico e un modello letterario di cui in Italia solo la Morante e la Ortese riuscirono a darci un equivalente. Mancò agli altri nostri maestri che praticavano letteratura e "politica" (Calvino e Pasolini, Silone e Chiaromonte, Sciascia) la ricerca e la tensione verso le verità prime e ultime presente, del nostro oggi e del nostro domani. Dovessimo dire in poche parole cosa ha distinto la sua opera da quella degli altri grandi dello scorso secolo, diremo che in lui tutto, in definitiva, prende le mosse dalla più radicale e inquietante delle domande che l’uomo si è sentito porre ab initio: «Dov’è tuo fratello?». Abbiamo amato di Heinrich Böll la sua coerenza ma anche la sua disponibilità a ricredersi, una volta viste le cose in faccia, con un atteggiamento da san Tommaso nel bisogno della verifica, di andare al sodo di una questione senza accontentarsi di risposte ideologiche transitorie, superficiali. Della sua opera abbiamo amato anche le imperfezioni, una certa fretta di dire che BÖLL ci sembrò sempre assolutamente onesta, e che in qualche modo seppe anteporre all’estetica l’etica. Non fu uno stilista e molti glielo rimproverarono, anche tra i suoi estimatori - ma le Opinioni di un clown, i Racconti umoristici e satirici (tra i quali l’assoluto gioiello La bilancia dei Balek, più chiaro di qualsiasi testo di Brecht nell’andare al fondo della questione sociale - i rapporti di proprietà - ma a partire dal limpido sguardo di un bambino, cosa che mai è riuscito a Brecht di fare) e quelli del Nano e la bambola sono di una perfezione essenziale che dà loro una intensità degna dei classici (dei Kleist e dei Fontane, dei Mann e dei Musil). Diciamo, in definitiva, che dopo la morte di Albert Camus (1960) molti di noi trovarono in Heinrich Böll il nutrimento di cui avevano bisogno, un punto di riferimento teorico e un modello letterario di cui in Italia solo la Morante e la Ortese riuscirono a darci un equivalente, talora addirittura più profonde di loro. Mancò agli altri nostri maestri che praticavano letteratura e "politica" (Calvino e Pasolini, Silone e Chiaromonte, Sciascia) quell’afflato religioso, quella ricerca e quella tensione verso le verità prime e ultime, a cui Böll non esitava a richiamarsi. Anche Böll è rimasto, per questo, per il confronto costante tra storia e religione, tra corpo e spirito, un "non riconciliato" con la società (Non riconciliati si chiamò il film che Jean-Marie Straub trasse dal suo romanzo Biliardo alle nove e mezzo): un cristiano che è riuscito spesso a sconcertare, per il suo radicalismo, sia i cattolici che i protestanti e sia i laici che i socialisti. Non è il contrasto tra il narratore e il politico quello che egli ha vissuto e rappresentato, bensì quello tra il religioso e il politico. La narrazione stava nel mezzo, era il luogo della contraddizione da abitare, la chiave per il dialogo con dei lettori considerati non come gli utenti parassitari di fantasie altrui, ma come, semplicemente, un "prossimo" appena meno prossimo dei più vicini. © RIPRODUZIONE RISERVATA