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C 2-1 GLI DEI E I MORTALI. SCENE DI CULTO E MANIFESTAZIONI

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C 2-1 GLI DEI E I MORTALI. SCENE DI CULTO E MANIFESTAZIONI
C 2-1
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DELLA TOSCANA
SEZIONE DIDATTICA
GLI DEI E I MORTALI. SCENE DI CULTO E MANIFESTAZIONI SPORTIVE
CONNESSE CON FESTE RELIGIOSE
Il sacrificio
Il sacrificio cruento rappresenta un momento di notevole importanza all’interno di una comunità
greca; vi erano implicate l’uccisione e la consumazione di un animale domestico in onore di una
divinità e vi si combinavano elementi di macelleria, di rito, di cucina.
L’animale sacrificale era condotto all’altare in processione, all’apparenza senza esservi costretto; prima dell’uccisione vera e propria, era prescritto che se n’ottenesse un cenno d’assenso, espresso
con un movimento del capo. (Un’interessante quanto rara eccezione sembra offerta da una coppa nel
Museo Archeologico di Firenze, inv. 81600, non esposta [fig. 1], su cui cinque giovani tentano di
bloccare i movimenti di un toro. Il contesto sacrificale viene suggerito dal giovane che chiude la
composizione a sin., che a differenza dei compagni ha una stoffa drappeggiata intorno ai fianchi e reca
una màchaira in ciascuna mano. Secondo alcuni studiosi questa scena potrebbe spiegarsi pensando a
un uso connesso con i culti eleusini: durante la festa dei Misteri di Eleusi, infatti, gli efebi dovevano
sollevare un bue destinato al sacrificio). Il capo della vittima veniva poi spruzzato con acqua, e chicchi
d’orzo erano gettati sull’animale, sull’altare e sulla terra. L’abbattimento era eseguito per mezzo di
una scure, lo sgozzamento con il coltello
sacrificale (per animali di taglia piccola,
cfr. fig.2, ci si serviva solo di una
màchaira); il sangue non doveva colare a
terra, ma era raccolto in un recipiente e
spruzzato sopra l’altare. Seguivano lo
scuoiamento e la macellazione. Le prime
parti dell’animale a essere cucinate erano
gli splànchna -i visceri (il cuore, il fegato,
la milza, i reni, i polmoni)- arrostiti per la
cerchia più ristretta dei partecipanti. Dalla parola splànchna deriva il termine
splanchnòptes, che designa il personaggio
incaricato dell’operazione.
L’interno di una coppa fiorentina ri- Fig. 1 - Coppa a figure rosse. Firenze, Mus. Arch.; inv. n. 81600.
510-500 a.C. Giovani conducono un toro al sacrificio.
salente allo scorcio del VI secolo
(inv.3930, sala 4, vetr. 6 in a. a d.) (Dia 1)
mostra un giovane, nudo salvo per un indumento che gli copre le reni, in atto di arrostire sopra la
fiamma di un altare gli splànchna, gli organi interni di una vittima sacrificale, infilati in uno spiedo.
Un particolare degno di nota di quest’immagine è un oggetto allungato e ricurvo a contatto con la
lastra dell’altare: esso raffigura la porzione riservata agli dèi, che ritorna in molte rappresentazioni del
tema in questione ma non trova concorde la critica riguardo alla sua interpretazione. Si è pensato che
raffiguri per esempio la lingua della vittima, o un corno di capra, o una sorta di griglia; la lettura più
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convincente è che s’identifichi con ciò che la documentazione scritta chiama osphys: un termine
che presenta varie sfumature di significato, ma che
nel contesto sacrificale designa la coda e l’osso
sacro della vittima. Come sembra suggerire un
passo della “Pace” di Aristofane, vv. 1053-1055,
la frequente rappresentazione di questa porzione
piuttosto che di altre, nella pittura vascolare, potrebbe giustificarsi in base al fatto che, dall’osservazione della cottura della porzione in questione,
potevano desumersi segni atti a rivelare se il sacrificio fosse gradito agli dèi.
L’episodio più celebre in merito alla distribuzione delle porzioni fra gli dèi e gli uomini nel sacrificio è quello di Zeus e Prometeo, narrato nella
“Teogonìa” di Esiodo, vv. 535 ss.: in occasione di
un sacrificio il padre degli dèi ebbe, naturalmente,
il diritto di scegliere per primo la parte che gli spetFig. 2 - Coppa a figure rosse. Parigi, Louvre G 112. Pittotava; la sua scelta cadde sulle ossa della vittima,
re di Epìdromos. Fine del VI sec. a.C. Sacrificio (da R.
Hagg-N. Marinatos-G.C. Nordquist, edd., Early Greek
pur essendosi reso conto dell’inganno di PromeCult Practice, Stoccolma 1988, p. 55, fig. 7).
teo, che vi aveva avvolto intorno del grasso per
renderle più attraenti. Da quel giorno, i mortali ricevettero le porzioni migliori. Resta tuttavia da tener presente che, almeno in qualche caso, si riteneva
andasse agli dèi anche il sangue della vittima, e che si riservavano loro porzioni destinate a non essere
bruciate, per solito sopra una tavola speciale.
Due coppe fiorentine ci trasmettono qualche riflesso di ulteriori operazioni successive alla
morte della vittima sacrificale. Nella prima, parzialmente integrata da frammenti conservati a Heidelberg
e in Vaticano (inv.151589, sala 4, vetr. 6 al c.) (fig.3, Dia 2), vediamo sulla sinistra un celebrante
(barbato, con una veste cerimoniale priva di cintura: frammento conservato a Heidelberg) che, servendosi di un kàntharos, compie una libagione sopra un altare coronato da volute. Alle sue spalle due
giovani assistenti trasportano una skàphe, ossia un canestro lungo e basso contenente oggetti d’incerta
lettura, e un canestro reso schematicamente come se avesse tre punte, del tipo detto kanoùn, normalmente impiegato per trasportare, nella processione precedente il sacrificio, i grani d’orzo, una ghirlanda, il coltello sacrificale e il sale. Seguono ancora due giovani, che hanno caricato su una spalla le
zampe di un animale di grossa taglia, verosimilmente un bue, tenendole per il garretto; i cosci pendono
inerti, essendo evidentemente già disossati. Fra i due giovani restano tracce di un elemento squadrato
e di altri arrotondati, probabilmente un blocco con pezzi di carne destinati al pasto sacrificale. A
destra, infine, la parte superiore di un altro giovane, che stringe un oggetto (un coltello?) nella destra
sollevata. Tre dei giovani suddetti indossano un gonnellino, uno è interamente nudo.
La nudità della parte superiore del corpo caratterizza anche il personaggio barbato nel medaglione interno della seconda coppa (inv.4224, sala 8, vetr. 2 in b. a sin.) (Dia 3), che impugna una
pesante màchaira davanti a un pezzo di carne appoggiato sopra un blocco. Il soggetto della figurazione
è la divisione in pezzi della vittima. Che non ci troviamo di fronte a una situazione di vita quotidiana,
ma a un contesto sacrificale e forse a un màgeiros (figura menzionata dalle fonti scritte, in cui si
combinano le qualità del sacrificatore, del macellaio e del cuoco) sembra confermato dalla stoffa
ricamata, drappeggiata intorno ai fianchi dell’uomo, che indossa anche calzature.
E’ probabile che la semplicità dell’abbigliamento delle figure connesse con l’uccisione e la
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Fig. 3 - Coppa inv. n. 151589. Pittore di Epèleios. 510-500 a.C. Disegno ricostruttivo.
manipolazione delle carni, rappresentate nelle due coppe appena considerate, rispondesse in parte a
prescrizioni rituali, in parte a ragioni di praticità.
Nel corso del sacrificio erano bruciate vivande sopra la fiamma dell’altare e su questa il celebrante versava del vino, cioè compiva una libagione. Quando il fuoco si era estinto e i visceri consumati, aveva luogo la parte della cerimonia contraddistinta dal carattere più “profano”, la preparazione
del pasto carneo per la comunità dei partecipanti. Di norma, la porzione attribuita a ciascun convitato
doveva essere consumata nel luogo stesso del sacrificio.
La libagione
La libagione, l’atto di versare liquidi (in greco spondé), è una delle azioni sacrali più ricorrenti
fino da tempi antichissimi. A parte la libagione nell’ambito del sacrificio cruento, in cui il vino estingue la fiamma dell’altare (cfr. fig. 3), altre occorrenze sono per esempio quelle in cui latte, o acqua, o
vino, ma anche miele o olio, sono versati sopra la terra per i morti o per gli dèi che vivono sottoterra.
Una coppa attribuita al P. di Bologna 417 (inv.3950, sala 8 vetr.3 in a.) presenta all’interno una menade
che serve del vino al dio Dioniso seduto, e all’esterno una scena di sacrificio, in cui sono donne che
svolgono il ruolo di protagoniste. Il fulcro della rappresentazione consiste nella metà d. di un lato del
vaso (Dia 4), in cui tre figure femminili in lungo chitone e mantello stanno presso un altare, al di là del
quale è una donna in peplo con lunghi capelli ricadenti sulle spalle, che stringe due fiaccole nelle mani
sollevate. La donna che apre la fila compie una libagione per mezzo di uno skyphos, la seconda reca un
canestro sacrificale e un’oinochòe, la terza protende una phiàle. Nella metà sinistra della scena, di
lettura più problematica, vediamo un personaggio barbato nudo, che incede a passo di danza e reca un
bastone nella destra e una clamide sospesa al braccio, nonché una figura femminile di bassa statura
avvolta nel mantello, raffigurata fra due giovani auleti, il primo dei quali è nudo tranne per una clamide
panneggiata sulle spalle ed è rappresentato in atto di suonare, mentre il secondo, ammantato, tiene gli
aulòi nelle mani protese.
Libagioni erano altresì compiute nel simposio, con riferimento a determinate divinità secondo
regole precise, e sanzionavano la fine di situazioni di belligeranza fra stati. Nell’Iliade (XVI, 220 ss.)
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Achille prende la propria coppa e la riempie
di vino, poi prima di bere versa una parte del
liquido come offerta primiziale, pregando gli
dèi di concedere la vittoria e un felice ritorno
all’amico Patroclo, che si accinge a partire per
la battaglia (fig.4).
Danze connesse con il culto
I Greci conoscevano una molteplicità di
danze di gruppo, che potevano essere eseguite
da ragazzi, da ragazze non maritate, da donne;
tanto il gruppo che il luogo della danza avevano nome choròs. Danze specifiche si svolgevano nei santuari: si pensi per es. alla danza Fig. 4 - Frammento di hydrìa a figure rosse. Firenze, Museo
della gru (gèranos; pron.: ghèranos), eseguita Archeologico, 151235. Pittore di Nikòxenos. Verso il 500. Scenel santuario apollineo di Delo da Tèseo in- na di armamento e di libagione.
sieme ai giovani Ateniesi scampati al Labirinto (fig.5). Nella località di Karyài, in Laconia, le ragazze danzavano per Artemide, e anche la dea
prendeva parte alle danze delle sue ninfe. Omero (Iliade XVI 182 s.) riporta che il dio Hermés generò
un figlio con una fanciulla che aveva visto partecipare al canto e alla danza in un coro in onore di
Artemide. S’intende che la danza era inseparabile dalla musica, sotto la forma del canto o suonata
sugli aulòi e su strumenti a corde, come la cetra e la lira. Come componente del culto, la musica
accompagnava i sacrifici e le processioni - ricordiamo, per Atene, quelle delle Panatenee, delle Grandi
Dionisie, delle Oscofòrie -, nel corso delle quali potevano avvenire soste, che offrivano l’occasione di
eseguire canti e danze. Contributi notevoli al genere di lirica corale connessa con tali processioni
furono offerti da poeti famosi, come Pìndaro e Bacchìlide.
Raffigurazioni di iniziati ai culti eleusini
Un cratere fiorentino della tarda produzione attica a figure rosse (inv.4051, sala 10 vetr.4 a d.)
(Dia 5) ci pone di fronte a una rappresentazione connessa con un culto che attrasse fedeli da tutta la
Grecia e più tardi da tutto l’impero romano, quello di Demetra a Eleusi. Due giovani appiedati, nudi
tranne per un mantello drappeggiato su una spalla, seguono verso d. due cavalieri imberbi vestiti di
una clamide, uno dei quali monta un cavallo bianco. Le figure sono accomunate da un oggetto tenuto
nella mano d., che costituisce la chiave di lettura della scena. Si tratta di fasci fioriti, serrati a intervalli
Fig. 5 - Cratere a volute a figure nere, firmato da Ergòtimos e Kleitìas (Vaso François). Firenze, Museo Archeologico 4209.
Verso il 570 a.C. Teseo e i giovani Ateniesi.
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Fig. 6 - Cratere a campana a figure rosse (Vaso Pourtalès). Londra, Brit. Mus. F 68. Pittore Pourtalès. Verso il 370 a.C.
Eleusi: Demetra, Persèfone, Trittòlemo; iniziazione di Eracle, di uno dei Diòscuri e di un altro personaggio (da G.E.
Mylonàs, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Princeton 1961, fig. 81).
da larghe bende, identificabili con i cosiddetti bàkchoi, mazzi di mirto trattenuti da fasce di lana,
caratteristici del culto eleusino.
Fasci siffatti erano portati dagl’iniziati ai Misteri, i culti segreti, che implicavano appunto
un’iniziazione individuale, nel grande corteo autunnale che il 19 del mese di Boedromione si snodava
da Atene verso Eleusi, per accompagnarvi solennemente gli oggetti di culto. I bàkchoi compaiono
frequentemente in rappresentazioni eleusine; a solo titolo di esempio citiamo qui un cratere a campana
conservato nel British Museum di Londra, detto “Cratere Pourtalès” dal nome del primo proprietario
(fig.6), per far notare i bàkchoi portati da iniziati di rango speciale ai culti di Eleusi: l’eroe panellenico
Eracle, riconoscibile per la clava, e uno dei Dioscuri, identificato da una stella. Come simbolo di
Eleusi, le bende che trattenevano i fasci di mirto comparivano anche su monete ellenistiche di quella
stessa città e di Atene, come pure su tessere in bronzo e in piombo.
Attivita’ sportive connesse con eventi religiosi. Le competizioni in occasione della
festa delle panatenee
Le Panatenee rappresentavano la festa religiosa più importante di Atene, che aveva luogo alla
fine di luglio, nel mese chiamato Ecatombeone; il momento culminante era rappresentato da una
processione e da un sacrificio offerto dai demi della città, nel giorno che si riteneva corrispondere al
compleanno di Athèna. Il corteo prendeva avvio presso la porta cittadina del Dìpylon; in esso era
trasportato un peplo ricamato con scene della gigantomachia, destinato alla statua della dea sull’Acropoli.
Esistevano due edizioni della festa: le piccole Panatenee, celebrate annualmente, e le grandi Panatenee,
che si svolgevano ogni quattro anni, nel terzo di ciascuna olimpiade.
Viene convenzionalmente datata al 566, durante il governo di Pisìstrato e sotto l’arcontato di
Hippoklèides, che anzi Ferecide poneva in primo piano come fondatore delle Panatenee, una sostanziale riorganizzazione della festa, il cui programma si estese a competizioni sportive e artistiche; in
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realtà, l’esatta natura e la data di tale riorganizzazione restano incerte. Un aggancio sul piano archeologico per la
datazione al 566 c’è fornito dalla più antica anfora
panatenaica nota fino adesso, conservata nel Museo Britannico, inquadrabile in base a criteri stilistici intorno a quegli
anni (fig.7). Anfore come questa, di un tipo speciale e dette
appunto ‘panatenaiche’, erano i premi assegnati ai vincitori
delle competizioni ai giochi panatenaici, in numero variabile secondo le discipline e le classi d’età (le gare atletiche
infatti, come altri avvenimenti, erano aperte a tre categorie:
ragazzi, giovani e adulti) e recavano su uno dei due lati la
rappresentazione di una gara. Il loro contenuto era olio di
proprietà statale, estratto dagli olivi sacri dell’Attica.
Nel Museo Archeologico è esposta un’anfora panatenaica
attribuita al ceramografo Lydòs (inv.97779, sala 1, vetr.6 in
a. a sin.), che si distingue dalla maggior parte dei vasi della
medesima categoria per almeno due aspetti: essa reca infatti
sul retro (Dia 7), anziché sul lato principale come accade di
consueto, l’iscrizione indicante la sua funzione: ton
Fig. 7 - Anfora panatenaica (Anfora 'Burgon'). Athènethen àthlon, ‘[premio] delle gare di Atene’. Sul lato
Londra, Brit. Mus. B 130. Verso il 560 a.C. principale (Dia 6) è inoltre raffigurato un personaggio nudo,
Atena (da J.D. Beazley, The Development of con ogni probabilità il vincitore della gara richiamata nella
Attic Black-Figure, New York 1986, tav. 89).
figurazione opposta, che regge una benda davanti alla dea; è
il solo caso in cui su un’anfora panatenaica compare un fedele al cospetto della figura di Athèna, di regola rappresentata sola, fra due colonne coronate da galli
che simboleggiano lo spirito di competizione.
La gara (Dia 7) è quella della corsa dei carri tirati da quattro cavalli. Un auriga barbato, vestito
del caratteristico chitone lungo e di una pelle di animale, stringe saldamente una frusta e le redini dei
cavalli, lanciati verso destra.
La complessa organizzazione della processione e dei giochi panatenaici era compito di un’apposita commissione; documenti epigrafici d’epoca arcaica, riferibili a quanto sembra alle Panatenee,
parlano di hieropoiòi, affiancati o sostituiti nel V secolo da athlothètai, scelti a sorte uno per tribù
quattro anni prima delle grandi Panatenee; d’altra parte, nuovi incarichi potevano essere introdotti o
aboliti in concomitanza con revisioni o modifiche del programma della festa. I costi organizzativi
erano sostenuti dai fondi pubblici e da cittadini ateniesi che si assumevano l’onere di finanziare determinati eventi, i choregòi. La fonte per noi più importante per quanto concerne la preparazione delle
gare è la “Costituzione degli Ateniesi” di Aristotele. Documenti del II secolo parlano altresì di competizioni riservate ai cittadini ateniesi, più legate alle tradizioni locali, come l’anthippasìa (una battaglia
simulata di cavalleria), l’apobàtes (in cui un armato doveva scendere da un carro in movimento,
corrergli accanto per un tratto, infine risalirvi), l’éphippos stochastikòs akontismós (lancio del giavellotto contro un bersaglio, effettuato stando a cavallo) e di altre aperte a tutti (facevano parte di questa
categoria le gare atletiche e le gare equestri canoniche, quelle cioè che si svolgevano anche ad Olimpia);
ignoriamo però se tale distinzione valesse anche per il programma anteriore all’età ellenistica.
Le manifestazioni equestri avevano luogo nell’ippodromo, fuori della città e vicino al Falero;
quelle atletiche, a partire dall’avanzato IV secolo, nello stadio panatenaico. Prima di allora, un ruolo
importante per lo svolgimento delle competizioni è probabile fosse svolto dall’Agorà, centro religioso
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e civico della città, e in particolare da un tratto della via
delle Panatenee, su cui sono stati ritrovati elementi che
hanno suggerito agli scavatori l’esistenza di blocchi di partenza per la corsa e di tribune destinate agli spettatori. La
medesima area ha restituito anche monumenti che commemorano vittorie equestri, e le iscrizioni attestano che la gara
dell’apobàtes vi si svolgeva almeno fino al II secolo.
La corsa con i carri alle panatenee
Fig. 8 - Anfora panatenaica (Anfora Burgon).
Londra, Brit. Mus. B 130. Verso il 560 a.C.
Corsa di cavalli (synorìs) (da J.D. Beazley, The
Development of Attic Black-Figure, New York
1986, tav. 90).
Le gare equestri erano considerate quelle che risalivano più indietro nel tempo nel programma della festa. Vi
erano corse per carri tirati da quattro cavalli (tèthrippon)
(Dia 7) o da due (synorìs); i cavalli potevano essere sia
puledri che adulti. Il carro era un veicolo leggero e di dimensioni contenute costruito in legno e in vimini, adatto a
trasportare il solo auriga, che impugnava le redini e una
lunga frusta stando in piedi. Ad Atene esisteva una varietà
della synorìs, rappresentata per es. anche sulla più antica
anfora panatenaica, conservata a Londra (fig.8), su cui il
guidatore sedeva su un carro con ruote del tipo usato normalmente nei carri d’uso agricolo, tenendo i piedi appoggiati sopra un’assicella sospesa al timone. Nella maggior
parte dei casi l’auriga e il proprietario non erano la stessa
persona; in caso di successo andavano tuttavia a quest’ultimo il prestigio e la corona della vittoria.
La lampadedromía
La corsa con le torce (lampadedromìa) (fig.9) era una manifestazione a carattere cultuale, prima
che sportivo, nota in varie città della Grecia; il suo significato rituale consisteva nel trasporto del
fuoco sacro da un altare a un altro. La corsa non impegnava concorrenti singoli, ma si svolgeva come
una gara a staffetta, nella quale risultava vincitrice la squadra che perveniva al traguardo, - cioé all’altare - con la propria fiaccola accesa. Ad Atene aveva luogo anzitutto alle Panatenee in occasione della
pannychìs, la festa che si svolgeva la notte precedente la processione; vi prendevano parte squadre
delle phylài e i premi consistevano in un bue,
destinato alla staffetta vittoriosa, nonché in una
hydrìa, forse di lamina bronzea, riservata al
corridore che aveva coperto l’ultima frazione.
Lampadedromìai facevano parte altresì del
programma delle feste in onore del dio Efesto
e di Prometeo (la gara in occasione dei
Promètheia era anzi, con probabilità, la più
antica di Atene) ed erano corse in onore di Pan,
in ringraziamento dell’aiuto prestato dal dio
agli Ateniesi nella battaglia di Maratona.
Aristotele (“Costituzione degli Ateniesi” Fig. 9 - Cratere a volute attico a figure rosse. Ferrara, Museo
Archeologico T 127. Poliòn. Verso il 420. Lampadedromìa (da
57,3) c’informa che dell’allestimento della cor- Archeologia Classica 3, 1951, tav. 33, 1).
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sa con le fiaccole era incaricato l’arconte re. Secondo Pausania (I 30,2) la partenza avveniva sempre
presso l’altare di Promèteo; solo per la gara delle Panatenee essa fu in un determinato momento trasferita all’altare di Èros, posto all’ingresso dell’Accademia. Il traguardo delle gare è ignoto, tranne per le
Panatenee, in cui è verosimile che si trattasse dell’altare di Atena sull’Acropoli.
E’ importante notare che, a parte le circostanze religiose, la corsa con le torce veniva praticata
anche nell’ambito della palestra, come disciplina prettamente sportiva.
Un cratere a campana fiorentino dello scorcio del V secolo (inv.151520, sala 10, vetr.3 in a. a
sin.) (Dia 8) illustra non già la competizione in atto, ma la premiazione del rappresentante della tribù
vittoriosa. Un giovane nudo (l’iscrizione che lo designa non è leggibile con sicurezza), la fronte adorna di una tenia in cui sono inseriti raggi o piume, sta in piedi presso un altare reggendo una fiaccola
nella mano sinistra. Da destra accorre verso di lui una Nìke (il nome è scritto accanto), che reca una
tenia. Inquadrano la scena a sin. un giovane con chiome fluenti ([L]ykon), a d. un personaggio barbato,
entrambi con un mantello panneggiato intorno alla parte inferiore del corpo e appoggiati a un bastone.
GLOSSARIO
Arconte - Nome dato ai titolari di una carica in uno Stato. Ad Atene gli arconti furono in origine tre, poi nove; la carica
divenne annuale già nel 683. L’arconte re (árchon basiléus) aveva mansioni religiose e presiedeva il Consiglio e tribunale
che prendeva nome dall’Areopago, una bassa collina a occidente dell’Acropoli.
Aristofane - Il più grande poeta della Commedia attica Antica; nacque intorno alla metà del V secolo e morì verso il 385.
Oltre a una nutrita serie di titoli e a un migliaio di frammenti, ci restano di lui undici commedie (a titolo di esempio,
ricordiamo qui Gli Acarnesi, I Cavalieri, Le Vespe, Gli Uccelli, Lisistrata, Le Rane). La Pace (421) celebra la conclusione
della pace fra Atene e Sparta. Il protagonista, Trigeo, si reca in cielo per supplicare Zeus di porre fine alla guerra; ma gli
dèi, adirati per le continue liti dei Greci, si sono trasferiti in altre regioni e Pòlemos, la guerra, spadroneggia dopo avere
rinchiuso in un antro Eirène, la Pace. Trigeo chiama a raccolta i Greci per liberare la Pace; con l’aiuto determinante dei
contadini, questa può uscire dalla grotta insieme a Opòra (l’abbondanza dei frutti autunnali) e a Teorìa (la gioia delle feste
pacifiche). Nella seconda parte della commedia vengono rappresentati il ritorno di Trigeo a casa, gli onori che gli vengono
tributati e le nozze con Opòra, durante i cui preparativi compie un sacrificio di ringraziamento agli dèi. La commedia
termina con il corteo che accompagna a casa gli sposi, al canto dell’imeneo.
Battaglia di Maratona - La pianura di Maratona, sulla costa orientale dell’Attica, fu teatro nel 490 di uno sbarco dei
Persiani al comando del generale Datis. Con l’aiuto dei rinforzi inviati da Platea, gli Ateniesi guidati da Milziade li affrontarono e li volsero in fuga prima che costoro marciassero su Atene; essi conseguirono così la prima vittoria dei Greci contro
i Persiani. Sul luogo della battaglia venne eretta una tomba per i 192 ateniesi caduti nello scontro, i cui nomi erano
registrati, secondo le tribù, su lastre di pietra; il sepolcro è normalmente identificato con un tumulo emergente sulla
pianura, del diametro di circa 180 metri e alto circa 10 metri.
Boedromione - Mese autunnale, il cui nome deriva da quello di una festa in onore del dio Apollo; in origine il terzo mese
del calendario ateniese che diventò in seguito il primo.
Clàmide - Corto mantello appuntato sopra una spalla, caratteristico in particolare di guerrieri e viaggiatori.
Culti eleusini - Cfr. Misteri.
Demi - Ad Atene le più piccole divisioni politiche, che con la riforma di Clìstene (circa 507) furono prese a base dell’ordinamento della cittadinanza in dieci phylài (vedi oltre), trenta trittyes (divisioni territoriali delle phylài, che ne comprendevano tre per ciascuna) e almeno centocinquanta demi. Dopo l’iscrizione originaria sotto Clìstene l’appartenenza a essi
divenne ereditaria e indipendente dalla residenza. Al compimento del diciottesimo anno d’età, ogni Ateniese veniva iscritto al demo della propria famiglia; l’elenco dei cittadini dei demi costituiva la base dell’elenco dei cittadini dello stato attico
nella sua interezza. Le dimensioni dei demi variavano e tale differenza era rispecchiata nel Consiglio dei Cinquecento, in
cui erano rappresentati in base alla loro popolazione.
Ègida - Attributo di Zeus e di Atena, rappresentato generalmente come una pelle di capra. Come attributo di Atena, nelle
manifestazioni figurative ha sovente l’aspetto di un mantelletto bordato da serpenti.
Falèro - Porto di Atene fino all’inizio del V secolo; era situato in una rada aperta nel punto della costa più vicino alla città,
a sud-ovest di essa.
Ferècide - Autore ateniese della prima metà del V secolo, scrisse dieci libri di Storie (se ne conservano frammenti) di
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carattere mitologico e genealogico. A quanto risulta, egli faceva iniziare le sue genealogie con eroi che discendevano da
divinità e le faceva giungere fin quasi ai suoi tempi.
Màchaira - Grande coltello con lama ricurva, ad un solo taglio.
Misteri - Culti segreti, che promettevano ai fedeli purificazione e una vita felice nel mondo dei morti. Gli iniziati ai
misteri, chiamati mystai, erano tenuti al silenzio riguardo ai riti svolti in tali culti. I culti misterici più famosi della Grecia
erano quelli di Demetra (la dea che regnava sui frutti della terra, in particolare sul grano) a Eleusi (ma non erano questi i
soli misteri di Demetra).
Pausania - Viaggiatore e geografo greco, visse nel II secolo d.C. (ma le date precise della sua vita, come pure la sua patria,
ci sono ignote). Compose una Descrizione della Grecia in dieci libri; in quest’opera egli trattava la storia e la situazione
geografica delle città più importanti e dei relativi dintorni, interessandosi ai loro culti, alla mitologia e descrivendo con
cura i monumenti artistici, come confermano anche scoperte archeologiche.
Peplo - Indumento femminile privo di maniche, ottenuto da un rettangolo di stoffa, che poteva essere indossato con o
senza cintura. Fissato sulle spalle da spille o fermagli, era formato da una gonna, talora aperta su un lato, e da una ricaduta
liscia che terminava all’altezza della vita.
Phiàle - Coppa per bere e per offerte sacrificali, bassa e priva di piede, per lo più fornita di un ombelico, che permetteva di
inserirvi il dito medio per tenere meglio il vaso.
Phylài - In origine tribù in cui erano suddivise le stirpi della Grecia, fondate su vincoli di sangue. Ad Atene le quattro tribù
originarie (Argadèi, Egicorèi, Geleonti e Opleti) furono sostituite attraverso la riforma di Clìstene (verso il 507) da dieci
tribù territoriali, con nomi che derivavano da quelli di eroi attici, salvo uno (Aiace) di Salamina: Erettèide, Egèide, Pandiònide,
Leòntide, Acamàntide, Enèide, Cecròpide, Ippotoòntide, Aiàntide, Antiòchide. Le phylài erano corporazioni con diritto
ereditario di appartenenza, con magistrati e sacerdoti propri; rappresentavano inoltre il fondamento dell’amministrazione
dello Stato, in quanto la maggior parte delle magistrature e vari comitati erano composti da collegi di dieci membri, per i
quali in vari casi è documentata la nomina in ragione di uno per tribù. In epoca ellenistica e romana il numero delle phylái
cambiò, con la creazione o l’abolizione di tribù via via nominate in onore di qualche sovrano.
Tenia - Nastro che si avvolgeva intorno al capo, con significato cultuale e festivo. Tenie erano portate da sacerdoti e da
vincitori, ma anche da animali sacrificali, e potevano cingere immagini di divinità o monumenti funerari.
Teogonia - Poema di Esìodo, uno dei più antichi poeti greci a noi noti, originario di Ascra in Beozia e vissuto intorno al
700. La parte principale dell’opera tratta l’origine e le genealogie degli dèi, nonché gli avvenimenti che condussero al
dominio di Zeus.
Tribù - Vedi Phylài.
BIBLIOGRAFIA
G.E. MYLONAS, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Princeton 1961
K. KERÉNYI, Eleusis, New York 1967
W. BURKERT, Griechische Religion der archaischen und klassischen Epoche, Stuttgart 1977
IDEM, Homo Necans, tr. it., Torino 1981
P. LÉVÊQUE, “Structures imaginaires et fonctionnement des mystères grecs” in Studi Storico Religiosi, VI, 1-2, 1982,
pp. 185-208
W.H. PARKE, Festivals of the Athenians, London 1977
E. SIMON, Festivals of Attica, Madison (Wisconsin) 1983
AA.VV., La città delle immagini. Religione e società nella Grecia antica, Mantova 1986
M. DETIENNE-J.-P. VERNANT, La cucina del sacrificio in terra greca, tr. it., Torino 1982
Ciclostilato a cura della Sezione Didattica della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana,
via della Pergola, 65 - Firenze
C 2-1
Scheda di verifica n. 1
IL SACRIFICIO
Coppa a figure rosse. Parigi, Louvre G 112. Pittore di
Epìdromos. Fine del VI sec. a.C.
1) Dopo l’uccisione dell’animale sacrificale, quali
parti si cucinavano per prime, e a chi erano destinate?
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2) Cosa avveniva della maggior parte della carne della vittima di un sacrificio?
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3) Stando al mito di Prometeo narrato nella “Teogonia”, quale fu la parte scelta da Zeus per gli dèi?
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4) Quali altre parti erano destinate agli dèi?
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Scheda di verifica n. 2
LA LIBAGIONE
Frammento di hydrìa attica a figure nere. Firenze,
Museo Archeologico 151235. Pittore di Nikòxenos.
Verso il 500 a.C.
1) Con quale atto si spegneva il fuoco sull’altare al termine di un sacrificio?
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2) Ricordate in quali altre circostanze poteva aver luogo la stessa azione sacrale?
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Scheda di verifica n. 3
LA DANZA
Cratere a volute attico a figure nere, firmato da Ergòtimos e Kleitìas (Vaso François). Firenze, Museo Archeologico 4209.
570 a.C.
1) Quali avvenimenti a carattere religioso potevano essere accompagnati dalla danza?
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2) A quale danza si riferisce l’immagine qui riprodotta?
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Scheda di verifica n. 4
GLI INIZIATI AI CULTI DI ELEUSI
Cratere a campana a figure rosse (Vaso Pourtalès). Londra,
Brit. Mus. F 68. Pittore
Pourtalès. Verso il 370 a.C.
1) Quali erano le divinità principali onorate a Eleusi?
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2) In cosa consistevano gli oggetti recati in processione dagli iniziati? (Cfr. figura in alto).
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Scheda di verifica n. 5
LE PANATENEE
Anfora panatenaica (Anfora Burgon). Londra, Brit. Mus. B 130. Verso il
560 a.C.
1) Cosa erano le Panatenee?
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2) In cosa consistevano i premi delle competizioni sportive?
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3) Oltre alle competizioni sportive ‘normali’ ne esistevano altre, riservate ai cittadini ateniesi e legate
alle tradizioni locali. Ne ricordate almeno una?
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4) Dove si svolgevano le gare?
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Scheda di verifica n. 6
LA CORSA CON I CARRI
Anfora panatenaica (Anfora Burgon). Londra, Brit. Mus. B 130.
Verso il 560 a.C.
1) Quali tipi di corse con carri si svolgevano durante le
Panatenee?
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2) I conduttori stavano in piedi o seduti?
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Scheda di verifica n. 7
LA LAMPADEDROMIA
Scena da un cratere attico a figure rosse.
Ferrara, Museo Archeologico T 127. Polion.
Verso il 420 a.C.
1) Quale era il senso rituale della corsa con le torce?
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2) Che tipo di gara era, e chi vi prendeva parte ad Atene?
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