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IL NUOVO CHE AVANZA La rivoluzione sileziosa di Jim Hall di Walter Pignotti presentazione di Rodolfo Dini 2 Tesina per il corso di Storia del Jazz La rivoluzione silenziosa di Jim Hall di Walter Pignotti Conservatorio “G.B. Pergolesi” prof. Nicola Verzina 3 Sommario Presentazione 7 Prefazione 11 Introduzione 13 BIOGRAFIA 15 Chico Hamilton 19 Jimmy Giuffre trio 21 Sonny Rollins “The Bridge” 23 Jim Hall’s Three 25 Bibliografia 27 Discografia selezionata 28 5 Jim Hall e Michel Petrucciani 6 Presentazione di Rodolfo Dini Con questo ciclo abbiamo pensato di introdurre, nel nostro piccolo, una novità che spero prosegua anche se non sarà promossa dall’Audioteca: valorizzare, nelle forme più diverse le competenze che maturano nel Conservatorio a partire, appunto, dalla presentazione della tesi, della sintesi di un percorso di studi, discutendone i contenuti, sia pure in una dimensione molto sintetica e raccolta. In questi giorni ho iniziato a leggere un’ormai celebre intervista a Luciano Gallino sull'impresa responsabile di Adriano Olivetti. Quando gli domandano come aveva fatto l'ingegnere a costruire un’azienda tra le più avanzate del mondo e che produceva benessere, sicurezza e bellezza per chi vi lavorava, Gallino risponde: “Vi era riuscito applicando a vasto raggio il suo solito metodo di ricerca e sollecitazione dei talenti. Selezionando giovani promettenti, mobilitandone le doti creative con l'offerta della più completa libertà di ricerca e possibilità illimitate di crescita professionale”. Anche per questa ragione ho pensato di lavorare alla pubblicazione di questi lavori a partire dall’eBook così da far circolare sul web questi interessanti testi. Nel caso specifico, l’idea ha preso corpo innanzitutto perché i laureati, nella loro ricerca, hanno trovato materiali vari e informazioni utili nell'antro qui accanto, dove ho messo a disposizione il mio patrimonio documentario. L'occasione si è dimostrata particolarmente stimolante per il fascino dei temi e dei personaggi affrontati: tre grandi della storia 7 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall del jazz, tre figure che nonostante la loro originale creatività, anzi proprio per la loro singolarità vivono ancora in una sorte di cono d'ombra, troppo appartato, troppo lontano dalle mode. E proprio per questo meritano di essere valorizzati, conosciuti, apprezzati. Come abbiamo verificato dai video proiettati, stile e contesto del percorso musicale e culturale di Jim Hall in buona parte coincidono con quelli di Jimmy Giuffre. E non a caso i due hanno avuto molte occasioni di collaborare assieme. C’è però un elemento su cui vale la pena attirare l’attenzione: lo strumento. Quello più utilizzato da Giuffre, il sax, già nei primi anni Venti aveva conquistato una marcata identità e un ruolo di solista al pari di tromba, trombone, clarino. Si pensi, per fare un esempio, a Coleman Hawkins nell’orchestra di Fletcher Henderson. La chitarra, pur avendo compiuto tutte le tappe dell’evoluzione del jazz, dai cantanti di blues all’ingresso nei gruppi e nelle prime orchestre, svolgeva un compito prevalente di accompagnamento, salvo qualche eccezione come quella di Eddie Lang, ovvero Salvatore Massaro, che già negli anni Venti aveva realizzato memorabili duetti con il violinista Joe Venuti. Poi però, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, riesce ad emanciparsi soprattutto per l’apporto di Charlie Christian. C’è un episodio che ha fatto storia. Inserito giovanissimo nel sestetto di Benny Goodman, durante un'esibizione al ristorante “Victor Hugo”, viene invitato a cimentarsi in assolo su Rose Room, un brano poco conosciuto. Christian esplose in un’improvvisazione mozzafiato che era andata avanti per 48 minuti, durante i quali Charlie aveva indiscutibilmente dimostrato che, nelle sue mani, la chitarra era diventata uno strumento solista in grado di competere con qualsiasi altro fiato. È partendo da qui che il “poeta del jazz” compie la “rivoluzione silenziosa” e sulla scena del jazz si affermano via via una marea di chitarristi. Lo stile di Jim Hall deriva direttamente da quello di 8 Presentazione Charlie Christian, ma si tratta di uno stile decisamente personale, messo in risalto da un’ottima tecnica, da un contenuto estetico e culturale sempre di gran pregio e dalla straordinaria capacità di inserimento nel collettivo, come si dimostra nella tesina. Egli ha l’abilità di non sovrapporsi ai partners e di inserirsi senza sforzo nelle più diverse atmosfere – da Giuffre a Chico Hamilton a Sonny Rollins a Bill Evans a Lee Konitz a Michel Petrucciani etc., etc. – che arricchisce con le sue ‘delicate’ improvvisazioni. Si staglia, dunque, una personalità al tempo stesso consapevole e schiva, tesa ad utilizzare ogni stimolo artistico per definire un mondo espressivo di estrema raffinatezza. Fin quando, pur essendo emerso tardi come leader, ha cambiato la storia dei gruppi chitarristici e dello strumento, cimentandosi anche in completa solitudine. Per questo, ancora oggi, è considerato il precursore di tutti i nuovi talenti. Buon lettura. 9 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall 10 Prefazione Il chitarrista Jim Hall ha indubbiamente influenzato schiere di musicisti provenienti da differenti generi musicali e dai più svariati strumenti. Il contributo che ha dato alla storia del jazz potrebbe essere analizzato sotto molteplici aspetti. Potremmo parlare di come abbia contribuito a creare la cosiddetta scena della West Coast, potremmo approfondire la sua visione della chitarra e dell'improvvisazione, oppure ci potremmo concentrare sulle decine di collaborazioni che ha avuto ed in questo modo potremmo andare avanti ancora per molto. Quindi quale strada percorrere tra queste? Ho scelto di puntare la mia attenzione sul ruolo fondamentale che Jim Hall ha avuto nell'emancipare la chitarra da strumento per così dire “secondario” del jazz a quello di protagonista, andando a ricoprire ruoli che in precedenza si pensava fosse possibile affidare solo al pianoforte. Basti pensare che un altro gigante della chitarra come Wes Montgomery abbia raramente suonato senza il supporto di un pianoforte o di un organo Hammond. Nei primi decenni del novecento la chitarra nel jazz aveva un ruolo ben definito: o si accompagnava con la maestria di un Freddy Green o si improvvisavano linee solistiche alla Charlie Christian. Solo dalla fine degli anni '50, grazie a Jim Hall, le peculiarità armoniche e ritmiche della chitarra si faranno avanti. Chi aveva immaginato che, con il solo supporto di basso e batteria, la chitarra potesse suonare intervalli, accordi e frasi tutto nella stessa performance? Per approfondire questo aspetto ho voluto circoscrivere il mio 11 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall lavoro a quattro uscite discografiche che, oltre ad indicare dei momenti significativi della carriera del chitarrista, rappresentano molto bene la sua rivoluzione silenziosa. 12 Introduzioone Dopo una breve biografia del chitarrista andrò ad analizzare quattro incisioni discografiche selezionate in base a dei momenti decisivi della carriera di Jim Hall ed in base al ruolo che la chitarra riveste in queste registrazioni. In questi dischi infatti la prima cosa che salta all'occhio è il tipo di formazione che, sempre in relazione al periodo di uscita, potremmo di sicuro definire atipica. Chi si stupirebbe oggi di un trio formato da clarinetto, chitarra e trombone? Forse nessuno, ma nel 1957 un ensemble “da camera” di questo tipo era di sicuro una novità. Quindi concentrerò la mia attenzione sulle scelte di Jim Hall che, nonostante sia considerato un musicista schivo ed intellettuale, ha dimostrato durante tutta la sua carriera grande audacia e spregiudicatezza. 13 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall 14 Biografia James Stanley Hall nasce a Buffalo il 4 dicembre del 1930, in una famiglia dove la madre, il nonno e lo zio suonano uno strumento, e a dieci anni comincia studiare privatamente la chitarra. A tredici è già attivo professionalmente nell'Ohio, dove si era trasferito da tempo, e suona con gruppi locali diretti da musicisti come Bob Hardaway, Ken Hanna, Dave Pell. Come ricorda dalle sue stesse parole: “Suonavamo qualsiasi cosa: polke, canzonette. Il clarinettista adorava Benny Goodman e mi fece scoprire Charlie Christian, che suonava su Solo Flight di Benny. Allora andai in un negozio di dischi e comprai una raccolta di tre 78 giri del sestetto di Goodman. Dovevo portarla a casa di amici, perché non avevo il giradischi. L'assolo di Grand Slam mi fece davvero impressione”. Hall continuò a studiare con Fred Sharp che ricorda come “un bravo insegnante davvero, che aveva suonato con Adrian Rollini. Mi fece conoscere Django Reinhardt. Poi sentii qualche disco di George Barnes alla radio. A Cleveland ascoltai Willie Lewis, un chitarrista che aveva suonato con Benny Carter. Arrivò anche Bill De Arango, proveniente da New York, dove aveva suonato nella 52esima strada con Dizzy e Ben Webster. Ascoltai parecchio anche il trombettista Benny Bailey e il batterista Fats Heard”. Tra il 1946 e il 1955 il giovane Jim lavorò in molti club, come 15 L rivoluzione silenziosa di Jim Hall contrabbassista oltre che come chitarrista, ma si concentrò sempre più su questo strumento suonandolo in formazioni diverse. Dal 1948 al '50 fece parte di un trio con piano e basso diretto dal pianista Joe Howard; tra il 1947 e il '49 era membro di un gruppo chiamato The Spectacles. “Avevamo tutti gli occhiali”, dice. “Era un quartetto con sax tenore, chitarra, piano e basso; io stavo finendo il liceo. “C'era un circolo di jazzisti, in cui si riunivano tutti i musicisti locali. Ci ho fatto delle jam con il padre di Joe Lovano. Ascoltavamo anche i dischi; il nonetto di Miles Davis mi fece una grande impressione. Sentii tutti i sassofonisti tenori e Johnny Hodges. Al Tiajuana Club ascoltai Bird, ma Tatum per me era ancora più sbalorditivo di lui. Più tardi, anche Bill Evans e Ornette Coleman mi aprirono le orecchie”. “Al Cleveland Institute of Music mi diplomai in teoria musicale, e cominciai a considerare tutta la musica in modo unitario. Suonavo la chitarra nei fine settimana, ma in quel periodo mi interessavo meno al jazz. Ritenevo che sarei diventato un compositore accademico e che avrei insegnato. Poi, a metà del mio semestre di mastering, mi resi conto che dovevo diventare un chitarrista, altrimenti me lo sarei rimproverato per tutta la vita.” Nel 1955, si trasferisce a Los Angeles ed entra a far parte del quintetto di Chico Hamilton. E' questa una delle formazioni più interessanti della West Coast: in essa timbriche cameristiche (per esempio quelle del violoncello) si uniscono a un concetto di gruppo che tende a scardinare la rigidità dei ruoli pur senza perdere la pronuncia e l'intensità del jazz. Come dice lo stesso Hall, questo per lui era un lavoro perfetto, perché gli permetteva di esprimersi come compositore. In quello stesso periodo entra anche a far parte del trio di Jimmi Giuffrè, con il quale esplorerà i confini tra jazz e musica eurocolta. Alla fine degli anni' 50 Jim Hall si trasferirà a New York, dove per lui inizierà una nuova fortunata stagione. 16 Biografia Infatti nel 1961 il sassofonista Sonny Rollins, dopo un periodo di ritiro che si era imposto, chiederà ad Hall ad unirsi a lui per un nuovo quartetto. Questo evento avrà grande risonanza nella comunità del jazz, sia per l'attesissimo ritorno sulle scene di Rollins, sia per la scelta di un ensemble senza pianoforte. Questo sodalizio darà vita a due incisioni memorabili nella storia del jazz, “The Bridge” e “What's new?”, ancora oggi considerati come pietre miliari della musica. Da qui in poi la carriera di Hall sarà in continua ascesa alternando una fitta discografia come leader a importanti collaborazioni: una su tutte quella con il pianista Bill Evans immortalata in due splendidi dischi di cui “Undercurrent” rimane un punto di riferimento per la discografia jazz di tutti i tempi. Jim Hall si spegne a New York, nella sua casa sulla dodicesima strada, dove viveva fin da i primi anni Sessanta il 10 dicembre del 2013. 17 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall 18 Chico Hamilton quintet Questa fu una delle prime formazioni importanti in cui Jim Hall venne coinvolto. Nel 1955, infatti, il batterista Chico Hamilton decide di creare un quintetto dalla formazione decisamente inusuale per il jazz. Questo gruppo infatti, oltre ad avere la classica sezione ritmica formata da contrabasso e batteria, comprendeva anche chitarra, violoncello ed un sassofonista che si adatterà anche al clarinetto ed al flauto. In verità Hamilton non era nuovo a combos atipici come questo, infatti egli fu il primo batterista del noto quartetto del sassofonista Gerry Mulligan, che per primo propose una formazione pianoless. Il quintetto di Hamilton fu definito con il termine di “chamber jazz”, cioè “jazz da camera”, per i toni delicati ed intellettuali del gruppo. Esso entra di sicuro a far parte di quella “Third stream music”, teorizzata da Gunther Schuller, in cui si tenta di unire la tradizione musicale eurocolta con quella improvvisativa del jazz. Jim Hall si unisce al gruppo nel 1955 e fin dall'inizio l'ensemble riscuote un notevole successo. A quel tempo per un jazzista uno degli appuntamenti più prestigiosi era rappresentato dal festival jazz di Newport, Rhode Island. Il quintetto di Chico Hamilton vi partecipò nel 1956 aprendo per il concerto di Duke Ellington e, come dice egli stesso, il pubblico dopo tre giorni di formazioni con trombe e sassofoni, rimase letteralmente folgorato dalla bellezza della loro musica. Jim Hall in questa musica si inserisce perfettamente eseguendo parti tematiche scritte, raffinati contrappunti ed assoli su tipiche progressioni jazz. 19 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall 20 Jimmy Giuffre trio Nel 1956 Jim Hall entra a far parte del trio di Jimmy Giuffre e, anche stavolta, la formazione è del tutto particolare comprendendo infatti sassofono, chitarra e contrabbasso. Molto intenso ciò che scrive lo stesso Giuffrè nelle note di copertina del disco “3”: “La strumentazione è il risultato dello sviluppo di un gruppo di lavoro permanente. Considero la scelta di particolari strumenti di secondaria importanza rispetto ad altri fattori, come ad esempio: 1. La nostra capacità di comunicare e vivere insieme personalmente e musicalmente. 2. Avere rispetto tra di noi personalmente e musicalmente. 3. Il fatto che tutti i membri desiderano suonare lo stesso tipo di materiale. Secondo me ogni tipo di combinazione strumentale può creare un' espressione musicale completa. Nessuno strumento è inutilizzabile. Ci sono stati molti gruppi senza sassofono, clarinetto, chitarra, etc., senza piano, senza basso, e alla fine, senza batteria. Questo può essere il primo gruppo ad usare un fiato, la chitarra e il basso senza batteria.” Anche in questo caso l'espressione “jazz da camera” è più che appropriata per questo trio. Anzi, il fatto che sia una formazione così ridotta e che il sound del disco sia completamente privo di riverberazione, rende ancora di più l'idea di “intimità”. Anche in questo caso Jim Hall si trova perfettamente a suo agio in questo contesto, là dove un altro chitarrista si sarebbe fatto prendere da horror vacui. Non solo, tutti i vuoti ed i silenzi nei brani vengono enfatizzati, in uno spendido discorso a tre in cui nessuno interrompe mai l'altro a sproposito. 21 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall 22 Sonny Rollins “The Bridge” “The Bridge”, cioè “il Ponte”. Mai un nome è stato così appropriato per un disco. Il ponte, poco distante da casa sua, sotto il quale si dice che Sonny Rollins abbia suonato durante i suoi due anni di ritiro dalle scene (dal 1959 al '61 circa); ma anche “il ponte” che fa collegamento tra un jazz che aveva raggiunto il suo massimo apice nel 1959, e una nuova direzione, di cui i musicisti newyorkesi andavano in cerca a quel tempo. Come dice lo stesso Hall: “Sonny mi lasciò un bigliettino attaccato alla porta, perché non avevo il telefono. C'era scritto semplicemente “Ti vorrei per registrare un disco; questo è il mio numero. Chiamami! Sonny Rollins”. Questo disco avrà una grandissima importanza per la carriera del chitarrista, che infatti dopo questa esperienza, sarà proiettato nel circuito dei nomi più importanti della scena jazz mondiale. Maurizio Franco descrive bene, su un articolo per la storica rivista italiana “Musica Jazz”, questo incontro: “«The Bridge» segnò il ritorno sulle scene del sassofonista. Anche qui siamo di fronte a un capolavoro, che si concretizza in brani come “Without a Song”, “John S.”, “The Bridge”, registrati tra gennaio e febbraio del 1962 insieme al contrabbasso di Bob Cranshaw e alla batteria di Ben Riley. Hall svolge un lavoro essenziale, lascia i giusti spazi al sassofonista, gli permette di muoversi senza il peso costante delle armonie alle spalle e, al tempo stesso, quando improvvisa pone in atto una serie di contrasti armonizzati assolutamente affascinanti, e subisce in parte anche l'influenza di Rollins, soprattutto nell'uso di apparenti divagazioni melodiche tra una frase e l'altra.” 23 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall 24 Jim Hall’s Three In questo disco Jim Hall suona in trio accompagnato da Steve La Spina al contrabbasso e da Akira Tana alla batteria. Uscì nel 1986 per la Concord records e, oltre a rappresentare una delle formazioni preferite del chitarrista, mostra già un artista completo e nel pieno della sua maturità. Jim Hall non deve dimostrare mai niente e questo gli permette di abbandonarsi, come in questo disco, ad arrangiamenti raffinati, ottime composizioni ed improvvisazioni mai prolisse e fuori luogo. Per fare un esempio, nell' esecuzione dello standard All the things you are, i chorus di assolo si susseguono senza essere mai ripetitivi: quando Hall suona per singol notes abbandona ogni forma di isoritmia stereotipata, le pause ed i respiri danno il tempo all'ascoltatore di godere di ogni frase; per passare poi ad una semplice nota ribattuta più volte che armonizza con estro e creatività; in altri casi suona accordi pieni con uno strumming ritmico e pieno di energia. Ho scelto proprio un disco in trio perché Jim Hall è stato uno dei pionieri di questa formazione con la chitarra che, come dicevamo all'inizio, al massimo fino agli anni '60, si poteva presentare con un organo Hammond al posto del contrabbasso. In un periodo in cui il pianista Bill Evans aveva sdoganato il trio come formazione nel jazz, il chitarrista di Buffalo fa la stessa 25 La rivoluzione silenziosa di Jim Hall operazione, più complicata forse, visto che la chitarra non aveva una grossa popolarità nel jazz, almeno prima degli anni '70. Nel disco poi, in completa solitudine, Hall interpreta un altro celebre standard della storia del jazz “Skylark”. Esegue il tema sfruttando gli armonici naturali della chitarra e mettendo gli accordi al servizio di un quadro impressionista dalle molteplici sfumature. Non abbiamo potuto fare a meno di notare come l'odierno chitarrista Bill Frisell abbia preso a piene mani (è proprio il caso di dirlo!) dal suo maestro queste tecniche, estremizzandole e rendendole personali. 26 Bibliografia Bibliografia - Gioia, Ted. Storia del Jazz, Edt, New York, 1997. - Franco, Maurizio. Jim Hall, Musica Jazz, n.3, 1994. - Gitler, Ira. Un suono unico ispirato a Christian e all'avanguardia, Musica Jazz, n.3, 1994. - Capua, Enzo. Jim Hall, invisibile come Billy Wilder, Musica Jazz, Febbraio 2014. - Paviglianiti, Roberto. Jim Hall, una leggenda della chitarra jazz, Jazzit news, Gennaio 2014. 27 Discografia selezionata Jimmy Giuffre, 3, 1957, Atlantic Records Jimmy Giuffre: clarinetto, sax tenore, sax baritono Ralph Pena: contrabbasso Jim Hall: chitarra Chico Hamilton quintet, Complete studio recordings, 1956, Pacific records Fred Katz: violoncello Jim Hall: chitarra Buddy Colette: clarinetto, sax alto Carson Smith: contrabbasso Chico Hamilton: batteria Sonny Rollins, The Bridge, 1962, Bluebird/RCA Sonny Rollins: sax tenore Jim Hall: chitarra Bob Cranshaw: contrabbasso Ben Riley: batteria Jim Hall trio, Three, 1986, Concord Jim Hall: chitarra Steve La Spina: contrabbasso Akira Tana: batteria 28 . Un sentito ringraziamento, per i preziosi consigli e per la raccolta del materiale, va a Rodolfo Dini ed alla sua audioteca multimediale presso il conservatorio "G. B. Pergolesi" di Fermo. Audioteca Provinciale Giugno 2015