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METODOLOGIE DI PROGETTAZIONE A FATICA DI GETTI IN
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ANALISI DELLE SOLLECITAZIONI XXXIV CONVEGNO NAZIONALE — 14–17 SETTEMBRE 2005, POLITECNICO DI MILANO METODOLOGIE DI PROGETTAZIONE A FATICA DI GETTI IN GHISA GRIGIA E. Rivaa, P. Baicchia, L. Collini a* a Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università di Parma, Parco Area delle Scienze 181/A, 43100 Parma Sommario La presenza di discontinuità geometriche come intagli, fori e raccordi che concentrano localmente lo stato di sforzo, complica la progettazione a fatica di componenti sottoposti a carichi ciclici. In questo lavoro viene proposta una metodologia di verifica a fatica di getti in ghisa grigia intagliati. Richiamando concetti di meccanica della frattura, essa si basa sul presupposto che una tensione ciclica sufficientemente alta per provocare localmente l’innesco di una fessura, non necessariamente porta alla completa rottura del pezzo. La metodologia, che impiega l’approccio della distanza critica [1], necessita la determinazione dell’andamento della tensione principale a partire dal punto di concentrazione e la conoscenza di alcune proprietà meccaniche del materiale. I risultati della verifica trovano un soddisfacente accordo con test di laboratorio al banco. La metodologia, ancora in fase di validazione, può presentare una utilità a livello industriale. Abstract Fatigue failures of machine components remain a topic of relevant importance in the industrial world. They usually occur from geometrical features such as holes, notches, corners and grooves, whose actual influence is not well estimated in the design phase. Cast parts are a typical example of parts that are difficult to design in fatigue because they are simultaneously characterized by complex geometries and complex microstructures. In this contribute the issue is discussed starting from the failure analysis of a cyclically pressurized hydraulic component. After a fatigue characterization of the material using specimens extracted from cast parts, the stress gradient obtained by FE method at a inner sharp notch is used for the prediction of the fatigue life according to the critical distance method. The implication is that cracks can develop at sharp notches in gray cast iron during the first load cycles and that for a correct prediction the fatigue design should adopt fracture mechanics arguments. Parole chiave: fatica in presenza di intagli, ghisa grigia, metodo della distanza critica 1. INTRODUZIONE È ampiamente dimostrato che le rotture per fenomeni di fatica rappresentano la maggior parte delle cause di cedimento dei componenti meccanici. Esse hanno origine generalmente da zone geometricamente sfavorevoli, come fori, intagli e raccordi. La finitura superficiale e le condizioni ambientali rivestono altresì un importante ruolo sul processo di innesco di fessure per fatica. Secondo i classici approcci della progettazione a fatica, le tensioni o le deformazioni massime calcolate nei punti critici rappresentano i valori di riferimento da confrontare con la resistenza del materiale, [2]. Durante il disegno di un prodotto, data la variabilità dei fattori in gioco, non è * Corresponding author: Tel.: +39 0521 905892 ; Fax.: +39 0521 905705 ; E-mail: [email protected] XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 immediato riconoscere o prevedere zone potenzialmente pericolose per l’origine di cricche di fatica. Lo schema di Fig. 1 illustra i fattori che vanno determinati per garantire il funzionamento di un prodotto: il processo tecnologico, le proprietà del materiale, i carichi agenti e le condizioni ambientali e il disegno. Il costo abbraccia e in qualche modo controlla tutti questi fattori. Carichi Disegno Materiale Tecnologia Costo Figura 1: fattori che partecipano a definire il servizio di un componente meccanico Componenti meccanici ricavati da getti di fusione sono un tipico esempio in cui è richiesto un accurato controllo di questi fattori, poiché essi presentano talvolta indeterminatezze e approssimazioni tali da pregiudicare l’affidabilità in servizio. La progettazione a fatica è resa maggiormente impegnativa ed incerta nei casi in cui il componente mostri una geometria ed una microstruttura del materiale complesse. In questo lavoro è presentata una metodologia per la progettazione a fatica di getti in ghisa grigia, applicata alla verifica della durata in servizio di un distributore oleodinamico soggetto a pressione interna pulsante. Il distributore, mostrato in Fig. 2, trova impiego nei circuiti idraulici che comandano escavatori, piattaforme e scarrabili. Il componente è colato in sabbia con anima interna per la costruzione dei canali interni di distribuzione dell’olio. Per verificare la validità del metodo si è fatto riferimento a prove di fatica idraulica su banco condotte dall’azienda produttrice. (a) (b) Figura 2: (a) un gruppo distributore oleodinamico modulare ad alta pressione (b) esempio di applicazione del distributore su un sollevatore XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 Durante lo sviluppo del componente si è verificato un cambiamento nella scelta di materiale, passando da una ghisa vermiculare ad una lamellare con inferiori caratteristiche meccaniche, e contemporaneamente il disegno dell’anima è stato modificato per aumentare i raggi di raccordo interni. Ciononostante test al banco con pressione fluttuante da 1 a 35 MPa hanno portato a rottura il distributore dopo poche migliaia di cicli, rivelando critica l’affidabilità in servizio del componente. 1 P 2 P H 3 H 1 (a) (b) Figura 3: (a) indagine ai liquidi penetranti in un distributore soggetto a rottura precoce, (b) dettaglio delle fessurazioni nella zona del cassetto Un’analisi con liquidi penetranti è stata condotta per individuare le zone di origine della rottura. Lo spaccato di Fig. 3 evidenzia zone da cui marcate cricche di fatica hanno avuto origine: in riferimento a Fig. 3(a) ed al dettaglio di Fig. 3(b), una cricca indicata con la freccia 1 ha avuto origine nel canale verticale “P”. Sotto l’azione della pressione pulsante essa si è velocemente estesa fino al cassetto orizzontale “H” mettendo i due canali in comunicazione tra loro. Un’altra fessurazione nel canale “P” è indicata dalla freccia 2; questa che non sembra aver pregiudicato la funzionalità del pezzo. Dall’analisi appare anche una lunga fessurazione indicata dalla freccia 3, sorta in corrispondenza del piano di divisione dell’anima interna, il quale costituisce esso stesso un intaglio acuto. 2. ANALISI STRUTTURALE Data la complessità geometrica del componente, e la mancanza di un riferimento preciso per la stima dei coefficienti di intaglio, lo studio dello stato di sforzo nella fiancata del distributore è stato condotto con l’ausilio di un modello tridimensionale ad elementi finiti. L’analisi, di tipo lineare elastico, è mirata alla determinazione dei picchi di sollecitazione nel componente in zone critiche, come intagli interni, cambi di sezione e maschiature per l’alloggiamento dei condotti di mandata e aspirazione dell’olio. Figura 4: l’analisi lineare elastica del distributore soggetto al carico di esercizio identifica un picco tensionali, che supera abbondantemente la resistenza statica del materiale, nell’intaglio più acuto del condotto verticale XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 Il solido geometrico è stato costruito con un modellatore tridimensionale e discretizzato in 157444 nodi e 102861 elementi tetraedrici con funzioni di firma paraboliche. La discretizzazione è stata particolarmente curata nelle zone ove si richiede un buon dettaglio dello stato tensionale, ovvero in corrispondenza dei due smussi interni del canale “P” di Fig. 3. Lo smusso indicato dalla freccia 1 possiede raggio di raccordo pari a 0.2 mm, il secondo smusso indicato dalla freccia 2 ha un raggio di raccordo più elevato pari 0.5 mm. Una pressione di 350bar è stata uniformemente distribuita sulle superfici interne del componente. Fig. 4 mostra parzialmente il risultato dell’analisi, in uno spaccato del getto. La distribuzione della tensione equivalente secondo Von Mises identifica la concentrazione più alta in una zona estremamente ridotta, in prossimità della congiunzione tra il canale verticale “P” e la sede di alloggiamento del cilindro di comando, dove il raggio di raccordo dello smusso è 0.2mm. La zona di interesse è ingrandita nel dettaglio di destra. La massima tensione è superficiale e vale 670MPa. L’analisi strutturale agli elementi finiti mostra un risultato interessante e singolare; benché condotta in campo elastico, trascurando cioè eventuali plasticizzazioni del materiale ove questo raggiunge il carico di snervamento, essa evidenzia un picco tensionale ampiamente maggiore del carico di rottura della ghisa. Questo aspetto lascerebbe presupporre una rottura pressochè immediata del componente, fatto che in realtà non avviene. L’analisi strutturale identifica le zone maggiormente sollecitate, le quali in verità trovano buona corrispondenza con le osservazioni ai liquidi penetranti su getti fratturati; i valori di picco che restituisce, presi come riferimento assoluto, non costituiscono però un’informazione sufficiente per la verifica a fatica del getto, in quanto la durata verrebbe notevolmente sottostimata. 3. CARATTERIZZAZIONE DEL MATERIALE 3.1 Proprietà meccaniche La caratterizzazione delle proprietà meccaniche del materiale è avvenuta secondo prove standard di trazione e prove di fatica a flessione rotante su un numero ridotto di campioni. I campioni per la sperimentazione di laboratorio sono stati estratti direttamente da corpi di distributori nelle condizioni di grezzo di fonderia, in modo da non trascurare gli effetti del processo di fusione e della dimensione del getto sulle caratteristiche del materiale. I dati ricavati dalle prove sono confrontati con quanto indicato nella normativa UNI-EN 1561 sulla ghisa grigia. La curva di trazione monotona della ghisa grigia, ottenuta con classici provini a clessidra di diametro 8mm, è riportata in Fig. 4(a) in scala bi-logaritmica: essa evidenzia il comportamento fragile del materiale. 160 140 100 σa (MPa) σ (MPa) 1000 120 100 80 10 Sw = 75MPa 60 1 0.001 40 0.01 0.1 a) ε (%) 1 3 4 5 6 7 8 Log(Nf) b) Figura 5: Proprietà meccaniche della ghisa grigia GJL 300: (a) Curva di trazione, (b) curva di fatica S/N (Sw = limite di fatica a 107 cicli) XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 Il carico ultimo risulta inferiore a quello nominale, ma ciò è comunque contemplato dalla UNI-EN 1561, in maniera proporzionale allo spessore di parete, quando il campione è estratto da un grezzo. I risultati della prova (modulo elastico, carico di snervamento, carico ultimo ed allungamento a rottura) sono riassunti in Tab. 1. La resistenza a fatica della ghisa GJL300 è stata valutata con prove di flessione rotante (R=-1) su campioni lisci con diametro 6mm e finitura superficiale industriale. Nella macchina di prova utilizzata il montaggio dei campioni avviene secondo lo schema di trave a sbalzo, e la frequenza di lavoro è di 50Hz. Le prove con esito di non-rottura sono state interrotte a 10 milioni di cicli. La metodologia di prova adottata, indicata nella “JSME S002 - Standard Method of Statistical Fatigue Testing”, presuppone la generazione della curva di fatica S/N con un numero limitato di campioni (nominalmente14, 8 per il tratto inclinato o a vita finita, 6 per la determinazione del limite di fatica con metodo dello stair-case), ed ipotizza il 50% di probabilità di sopravvivenza. Eventuali correzioni sulla curva ottenuta, dato che è calcolabile la deviazione standard sul livello di tensione, possono essere apportate per determinare curve S/N con diverse probabilità di sopravvivenza (90%, 95%, 99%…). La curva di fatica S/N della GJL300 è illustrata in Fig. 4(b); i punti trovati nel tratto di vita a termine della curva non mostrano eccessiva dispersione, pur avendo il materiale una microstruttura complessa; essi si possono interpolare con buona approssimazione mediante un’equazione esponenziale (legge di Basquin), [2]: σa = σ f ( N f ) n (1) dove σa è l’ampiezza di tensione e Nf il numero di cicli a rottura. Il coefficiente σf, l’esponente n di eq. (1) e il limite di fatica a 107 cicli con il 50% di probabilità sono riportati in tabella 1. Il limite di fatica e il rapporto di fatica Sw/Rm risultano ridotti se paragonati a dati di letteratura e riferimenti da normativa. Vi è da aggiungere che la finitura superficiale in un getto potrebbe essere significativamente inferiore a quella dei campioni lavorati alla macchina utensile, e la convenzionale caratterizzazione a fatica può sovrastimare la resistenza del materiale. Tabella 1: Proprietà meccaniche a trazione e a fatica della ghisa EN-GJL 300 E [GPa] 104 Rs [MPa] 174 Rm [MPa] 235 Af [%] 0.9 σf [MPa] 1020 n -0.21 Sw [MPa] 75 ∆Kth [MPa√m] 6.8 Sw/Rm 0.32 3.2 Caratterizzazione microstrutturale L’analisi metallografica della ghisa grigia GJL300 rivela una microstruttura di una certa complessità, si veda Fig. 5(a). La matrice è interamente perlitica, sebbene vi siano delle tracce di ferrite attorno alle lamelle di grafite. (a) (b) Figura 6: (a) Microstruttura della ghisa EN-GJL 300. Attacco Nital 3 %, magn. 25x; (b) dettaglio (circa 1000x) di una inclusione di steatite che intrappola una porosità e un’altra inclusione di Ti(CN). Attacco Nital 3 % XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 Le lamelle hanno forma regolare una distribuzione casuale piuttosto che in raggruppamenti a rosetta, lunghezza variabile tra 120 e 250µm, e non evidenziano delle particolari segregazioni interdendritiche. La formazione di fosfuro di ferro eutettico (steatite) è documentata dalle macchie bianche in Fig. 5(a); un dettaglio ad elevato ingrandimento di una inclusione di steatite è illustrato in Fig. 5(b), in cui è chiaramente visibile anche una porosità di elevate dimensioni ed una sottoinclusione di titanio cianato Ti(CN). La steatite, se non accompagna micro-porosità causate da ritiri differenziati, è responsabile di un lieve incremento della resistenza a fatica della ghisa, in quanto incrementa la durezza superficiale, e di un degrado della resistenza a trazione del materiale. 4. PROGETTAZIONE A FATICA IN PRESENZA DI INTAGLI 4.1 Cricche non propaganti a partire da intagli Le analisi di resistenza preliminari hanno dimostrato che nel getto sono presenti dei forti gradienti localizzati di tensione. Gli sforzi alla radice di un intaglio superano di gran lunga il carico di rottura del materiale (670MPa per l’analisi agli elementi finiti di Fig. 4 contro i 235MPa riportati in Tab. 1). Ragionando in termini di progettazione classica a fatica il materiale dovrebbe giungere a rottura al primo ciclo di carico, tuttavia prove su banco sperimentali hanno dimostrato che il componente giunge a rottura dopo circa 50000 cicli. Inoltre il comportamento tendenzialmente fragile della ghisa in questione (che presenta un allungamento percentuale a rottura inferiore a 1%) lascia pensare che plasticizzazioni localizzate all’apice dell’intaglio abbiano un’influenza limitata. In quest’ottica è necessario considerare la possibilità che sotto l’azione del carico ciclico cricche di fatica si generino quasi immediatamente nel getto a partire dai punti dove è superata la resistenza del materiale, ma che possano coesistere condizioni per cui esse, data la geometria del componente, si arrestino. Disegnare il componente in modo da ricadere entro questa ultima possibilità è naturalmente l’interesse del progettista. Per predire l’effetto di un intaglio sulla resistenza a fatica, Peterson e Neuber [3, 4] derivarono relazioni analitiche in cui compare il coefficiente di riduzione di resistenza Kf, basato sulla geometria dell’intaglio e su una costante del materiale. L’idea alla base della teoria è che per causare la rottura per fatica il livello tensionale deve essere abbastanza elevato (superiore al limite di fatica per un provino liscio) non solo alla radice dell’intaglio, ma anche in una zona di materiale adiacente (la “process zone”). In seguito molti studi sono stati rivolti all’individuazione dell’estensione della process zone, che dipende dalla microstruttura del materiale. Lukas et al. [5] derivarono una semplice relazione analitica, verificata sperimentalmente per acciaio e rame, che individua la condizione di propagazione di un difetto che si origina a partire da un intaglio. Essa tiene conto della geometria dell’intaglio, del ∆K di soglia del materiale e del limite di fatica per provino liscio. Sperimentalmente si ha conferma del fatto che esiste una condizione oltre la quale difetti originatisi da intagli molto acuti non mostrano la tendenza a propagare. Il diagramma di Fig. 7, relativo ad un acciaio con limite di fatica Sw = 260MPa, individua tre campi di comportamento di un provino con intaglio centrale, in funzione del ciclo di tensione applicato e dell’acutezza dell’intaglio. Affinché non si abbia la comparsa di un difetto alla radice dell’intaglio, la sollecitazione ciclica deve rimanere al di sotto del limite di fatica riferito al campione intagliato; questa condizione individua la zona 1 di Fig. 7, confinata superiormente dal ramo di iperbole di equazione Sa = f(Kt) = Sw/Kt. Alcuni punti sperimentali (cerchietti vuoti) cadono in prossimità della curva, che indica sostanzialmente che il limite di fatica per un provino intagliato, riferito alla condizione di innesco, diminuisce all’aumentare dell’acutezza dell’intaglio. Se il limite di fatica viene inteso come limite di resistenza del provino (cricca che propaga sino a completa rottura), si trova che i punti sperimentali (cerchietti crociati) seguono l’andamento dell’iperbole fino ad un certo valore di Kt, indicato in figura come Kt*. Per valori di Kt superiori a Kt* si ha l’innesco, poiché localmente è superato il limite di fatica, ma non la propagazione della fessura, che incontra condizioni di arresto e porta il provino ha vita infinita (zona 3). Il limite che delimita superiormente la zona di innesco e non-propagazione dipende dalla profondità dell’intaglio e dal ∆K di soglia del materiale. In conclusione il picco XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 tensionale all’apice di un intaglio può costituire un’informazione non sufficiente a definire il comportamento a fatica di un componente. 200 2 Completa frattura Tensione (MPa) 150 Vita infinita 100 3 Cricche non-propaganti 50 Kt* 1 Non-innesco 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 Kt Limite di fatica riferito all'innesco di cricche per fatica Limite di fatica riferito alla completa rottura del campione Figura 7: diagramma di resistenza a fatica tensione ciclica – Kt per provino intagliato in acciaio, [6] Il metodo della distanza critica (CDM) proposto in [1, 7] rivisita questo concetto e lo estende alla previsione della resistenza a fatica di un componente in presenza di intagli. Nel CDM un generico intaglio acuto viene considerato alla stregua di una cricca [8]; ciò consente di calcolare un fattore di intensificazione degli sforzi K equivalente, e di inquadrare il problema con un approccio di meccanica della frattura. Tra le tante proposte, la distanza critica a0 può essere valutata usando l’equazione di El Haddad, [9]: a0 = 1 ∆K th π Sw 2 (2) Poiché nell’eq. (2) compaiono il fattore di intensificazione degli sforzi di soglia e il limite di fatica per provino liscio, la distanza critica così definita corrisponde alla massima lunghezza ammissibile del difetto equivalente per cui non si ha propagazione. Valori della distanza critica vanno da 50µm in alcuni acciai a 4 mm per la ghisa grigia, [7, 10]. 4.2 Applicazione del metodo della distanza critica La valutazione della durata a fatica del distributore oleodinamico è stata valutata mediante il metodo della distanza critica. Partendo dai dati ricavati sperimentalmente per la ghisa GJL300 si calcola a0 = 2.6mm. Il diagramma di Fig. 8, noto come diagramma di Kitagawa-Takahashi, illustra la determinazione grafica della distanza critica come intersezione tra la retta individuata dal limite di fatica per provino liscio e la retta a ∆K di soglia costante. In Fig. 9 è diagrammato l’andamento della tensione principale massima a partire dall’apice dell’intaglio più acuto, ricavato dalla precedente analisi elastica agli elementi finiti. La verifica a fatica si articola quindi i) valutando la tensione presente ad una distanza pari ad a0 a partire dalla radice XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 dell’intaglio, ii) entrando con tale dato (eventualmente corretto) nella curva di resistenza a fatica del materiale. Rottura Sopravvivenza Figura 8: diagramma di Kitagawa-Takahashi che individua la distanza critica a0 per la ghisa grigia del distributore Tensione principale massima (MPa) La tensione principale massima a distanza di 2.6 mm dal fondo dell’intaglio risulta σ1 = 108MPa; dato che il ciclo di pressurizzazione nel componente è caratterizzato da un rapporto di carico R = 0, le componenti alternata e media del ciclo di fatica risultano σa = σm = 54MPa. Applicando la correzione secondo l’equazione di Morrow [2] per tenere conto della riduzione della resistenza a fatica dovuta alla presenza di una tensione media, ed introducendo il dato nell’equazione di Basquin della ghisa in questione, il metodo della distanza critica stima una durata a fatica di Nf = 34000 cicli. Il risultato è in ragionevole accordo con il test di laboratorio. 800 Tensione di picco (FEM) 700 600 500 Distanza critica a0 400 Carico di rottura Rm 300 200 100 0 0 1 2 3 4 5 6 7 Distanza da fondo intaglio (mm) Figura 9: Calcolo FEM dell’andamento della tensione principale massima a partire dall’intaglio. Sono evidenziati la tensione di picco a fondo intaglio (670 MPa), il carico di rottura della ghisa (235MPa) e la distanza critica a0. 5. CONCLUSIONI E' stata impiegata una metodologia che consente di prevedere la durata a fatica di un componente, partendo dalla caratterizzazione meccanica del materiale e analizzando, con il metodo degli elementi finiti, lo stato tensionale in corrispondenza degli intagli. La metodologia è stata applicata alla XXXIV CONVEGNO NAZIONALE AIAS – MILANO, 14-17 SETTEMBRE 2005 previsione della vita di un getto in ghisa grigia sollecitato a banco a fatica idraulica. Dal risultato ottenuto possono essere tratte le seguenti conclusioni: − forti gradienti che si sviluppano in corrispondenza di intagli generano picchi tensionali ben superiori alla resistenza statica del materiale; − nella verifica della resistenza a fatica può essere riduttivo considerare i massimi valori superficiali dello sforzo, ma è necessario introdurre concetti di meccanica della frattura; − una volta note le caratteristiche del materiale, l’applicazione del CDM risulta immediata e genera per la ghisa grigia risultati in accordo coi test sperimentali; − il CDM è un metodo di carattere semiempirico che mostra le potenzialità per essere un utile strumento in ambito industriale; − altri test al banco per la verifica del metodo sono attualmente in fase di realizzazione. Ringraziamenti Il lavoro è stato svolto nell’ambito di un contratto di ricerca con le aziende Walvoil S.p.A., Reggio Emilia, e Casappa S.p.A., Parma. Si desiderano ringraziare gli ingegneri A. Fornaciari e M. Guidetti per il vivo interesse nella ricerca e la cortese collaborazione mostrati. BIBLOGRAFIA [1] Taylor D., Eng Fail Analysis 3 (1996), 129-136 [1] [2] Dowling E.: Mechanical behavior of materials, Prentice Hall, 1999 [3] Peterson R.E.: Notch sensitivity, In: Metal fatigue, McGraw-Hill, New York, 1959 [4] Neuber H.: The theory of notch stresses, Springer, Berlin, 1958 [5] Lukas P., Kunz L., Weiss B., Stickler R., Fatigue Fract Mater Struct 9 (1986), 195-204 [6] Frost N.E., Marsh K.J., Pook L.P., Metal fatigue, Oxford University Press, London (1974) [7] Taylor D., Hughes M., Allen D., Int J Fatigue 18 (1996), 439-445 [8] Atzori B., Lazzarin P., Filippi S., Int J Fatigue 23 (2001), 355–362 [9] El Haddad M.H., et al.: Int J Fract 16 (1980), 15-24 [10] Atzori B., Meneghetti G., Susmel L., Fatigue Fract Engng Mater Struct 28 (2005), 83-97