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5. uomo di fatica
5. UOMO DI FATICA PREGHIAMO Ricordati, Signore, di Davide, di tutte le sue fatiche, quando giurò al Signore, al Potente di Giacobbe fece voto: “Non entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò sul letto del mio riposo, non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non avrò trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe”. Sorgi, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua potenza. I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia ed esultino i tuoi fedeli. Per amore di Davide, tuo servo, non respingere il volto del tuo consacrato. Sì, il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua residenza: “Questo sarà il luogo del mio riposo per sempre: qui risiederò, perché l’ho voluto. (Sal 132) (Lc 9,57-62) Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. 58E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. 59A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. 60Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. 61Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. 62Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”. 57 ATTUALIZZIAMO IL MESSAGGIO Gesù diventa con la sua umanità modello anche “dell’uomo di fatica”. Sono, infatti, diverse le forme non buone con cui noi ci disponiamo ad affrontare le nostre fatiche di ogni giorno. Un primo modo sbagliato di affrontare la fatica è quella di scansarla il più possibile. In un modello di vita improntato al piacere e al godimento, la fatica è un elemento estraneo, disturbatore, da eliminare. Il principio guida è: “Minimo sforzo, massimo rendimento”. Basta scendere nella metropolitana di Milano per accorgersene confrontando il numero di chi sceglie la scala mobile piuttosto che salire i gradini. Nella vita però le cose belle e importanti si possono raggiungere solo se si è disposti alla fatica e al sacrificio. Senza questa disponibilità gli obiettivi veri diventano improponibili, finendo per accontentarsi di una vita superficiale, schiava del piacere, che non sa più pensare in grande, programmare a lunga scadenza, impegnarsi a fondo per perseguire un sogno, per realizzare un progetto, per non rischiare di vivere una vita a vuoto. A questa fatica necessaria ci si deve educare, preparare, allenare ogni giorno. Bisogna insegnare fin da piccoli che non tutto è pronto e che alcune cose vanno conquistate, meritate e che la gioia che ne viene, così come dai risultati che si ottengono, ripagano grandemente di ogni fatica occorsa. Un altro modo sbagliato di vivere la fatica è quello di “sopportarla” semplice mente. Non sempre, infatti, è possibile scansarla. Quando non è possibile dunque fare altrimenti, non resta che sopportarla. Una fatica sopportata è però una fatica non accettata, non capita. E’ una fatica logorante, una fatica che non porta a nessuna soddisfazione. Due conseguenze di questo modo sbagliato di vivere la fatica sono il lamento ossessivo e l’estraneazione. Questa fatica mal sopportata si manifesta in un sentimento di rabbia, di insoddisfazione e nel lamento e nell’ostentazione rispetto alla fatica stessa. Tutto ciò rende per sé e per gli altri tutto ancor più faticoso. Ma c’è anche il rischio di vivere buona parte della vita come se si fosse in “apnea”, nel senso di accettare spazi di fatica solo per poter poi avere spazi di divertimento. Quante persone rischiano di vivere questo rapporto estraniante con il proprio lavoro ad esempio. E’ come se sacrificassero cinque giorni della settimana per tornare a “vivere” nei due che rimangono. Un ultimo modo di vivere in modo sbagliato la fatica è quello di farsi schiacciare da essa. E’ giusto affrontare la fatica, ma non siamo “animali da soma”. C’è chi non si concede un attimo di riposo, di tregua. Il buon Dio ha posto sapientemente nel ritmo del tempo, sia il lavoro, come il riposo. C’è il rischio che qualcuno per sentirsi vivo, per sentirsi utile deve per forza fare qualcosa. La mentalità efficientistica dei nostri giorni acuisce ancor di più questa impressione: chi si ferma è perduto! Il pigro non è certo da stimare, ma anche chi non è capace di star fermo, di darsi il giusto spazio per riposare, ricrearsi, ricaricare le energie fisiche e spirituali, necessarie per non soccombere e per vivere con piena consapevolezza e libertà il proprio impegno. Coltivare il mondo è un’operazione che chiede energia, uno sforzo. A causa del peccato tutto ciò ha assunto il sapore della “fatica”. Gesù ha assunto, ha fatta sua la fatica dell’umano in tutte le forme in cui essa si presenta e ci ha mostrato la via per affrontarla ogni giorno con dignità, senza farci schiacciare da essa. Non si tratta di sfuggirla o di sopportarla in senso passivo e degradante, ma di trasformarla intenzionalmente in una forma di espiazione e riscatto. La fatica portata con Gesù e come Gesù e quindi con mitezza e umiltà di cuore, diventa un giogo soave e leggero. Ancora una volta la gratitudine verso Dio che ci chiama a coltivare e custodire il mondo, cooperando alla creazione; l’invito ad unire i nostri patimenti a quelli di Cristo per la redenzione dell’umanità; l’amore che chiede sacrificio; sono le motivazioni più vere che sostengono la nostra fatica d’ogni giorno, togliendole quel sapore acre che a volte la rende insopportabile. Un ultimo spunto di attualizzazione riguarda la fatica del discepolo. Insieme alla “fatica” che condivide con tutti gli uomini e che è chiamato a vivere seguendo l’esempio di Gesù, deve affrontare anche la fatica della propria conversione personale e della testimonianza. Oggi parlare di “ascesi” non è certo più di moda, neppure negli ambienti più vicini nelle nostre comunità. Eppure il lavoro che siamo chiamati a compiere su noi stessi per avvicinarci a Dio, per abbandonare il peccato e tendere alla perfezione, richiede una fatica che si deve essere disposti a fare. Senza di essa non riscontreremo nessun progresso e a nulla servirà appellarsi al primato della Grazia e allo Spirito Santo, perché l’opera di Dio è efficace in noi se vi è una corrispondenza della nostra libertà e quindi del nostro fermo proposito e costante impegno. L’altra fatica specifica del discepolo è quella della testimonianza, dell’evangelizzazione. Se qualcuno pensasse di annunciare il Vangelo standosene seduto in poltrona non ha ancora compreso quell’invito ad uscire, ad andare per portare il Vangelo sino alle estremità della terra. Se vogliamo anche oggi condividere la passione missionaria di Gesù dobbiamo essere disposti a rinunciare alle nostre comodità, a misurare le nostre giornate non sulle nostre esigenze egoistiche, ma su quelle della nostra famiglia, della nostra comunità, degli altri, specie di chi ha bisogno della nostra assistenza. Senza la fatica di ascoltare, di capire, di conoscere, senza la disponibilità ad incontrare, a farci compagni di viaggio, senza lo sforzo di annunciare il Vangelo attraverso un linguaggio comprensibile, ma soprattutto attraverso la coerenza della nostra vita, ci illuderemo di poter condividere il dono prezioso della nostra fede. PER LA CONDIVISIONE • Che cosa è per noi la fatica e cosa rende le cose facciamo “faticose”? • Come ci si comporta abitualmente nei confronti della fatica e come Gesù ci invita ad affrontarla ogni giorno in modo differente? • Come riuscire a dare un senso positivo alla fatica? • Come la fatica può rendere più umana e autentica la nostra vita? • Che cosa possiamo intendere per “fatica apostolica”?