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Percorso intratestuale del «Romanzo di Ferrara» di Giorgio Bassani

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Percorso intratestuale del «Romanzo di Ferrara» di Giorgio Bassani
Percorso intratestuale del «Romanzo di Ferrara» di Giorgio Bassani
di
MIQUEL
Eoo (Barcelona)
Elementi di ricezione
Se diamo un'occhiata globale a quella che possiamo ormai chiamare
la storia della critica bassanlana, dalle contrapposte e appassíonate rea­
zionl che l' apparizíone dei romanzi píu celebri suscito negli annl Ses­
santa agli apporti dei tempi piu vicinl a noi (non necessariamente mi­
gliori per la loro maggiore sistematicita e distanza storica, diciamolo
pure), ci risultera facile scorgere tutta una serie di critici i quali si sono
affrettati a negare un ipotetíco carattere regionalista o documentarista
delle opere dello scrittore ferrarese 1. Non e che questi critici intendes­
sero, neanche all'inlzio, tenuto conto che marxÍsti e neoavanguardísti
perlopiu non puntavano su un bersaglio di localismo contenutistico,
ribattere gli attacchi che Bassanl riceveva da quei settori. Piuttosto
semplicemente mettevano in guardia illettore contro l'iterativita e quasi
esdusivita, ovvia nei suoi testi, del mondo ebraico e ferrarese e del
periodo che va dall'anteguerra al dopoguerra ultimí. E, di conseguenza,
molti di loro erano portati ad attribuire alla referenzialita spazio-tempo­
rale e sociologica un valore strettamente contestuale, a relegare esplicita­
mente in secondo piano la componente memorialistica e testimoniale di
quella narrativa e a leggere in essa problematiche relative alla configura­
zione di una psicologia, o meglio un'antropologia, dell'uomo contempo­
raneo, alla quale egli, Bassanl, avrebbe contrihuito non meno di altri
grandi nomi del panorama letterario novecentesco che hanno invece
optato per una determinazione esterna del narrato molto piu scialba 2.
1 Mario Fusco, Brian Moloney, Libero Bigiarettí. Adríano Bon, Alberto Limentani.
André Sempoux, Vera Passeri Pignoni, ecc. ecc. Rinunciamo a dare tutti í nomí, cosi
come í riferimenti bíbliografici, alcuni dei quali indicheremo, del resto, in altri punti del
presente saggio.
2 Bassani, che privilegia invece l'impegno storicista, vede se stesso in tutt'altro
modo: cfr. le interviste che aprono Gíorgio Varanini, Giorgio Bassani, Firenze, La Nuova
Italia, 1975 3 , pp. 1-17; vd. pp. 11 ss.
LlNGUA ESTILE / a. XXVIII, n. 1, marzo 1993
115
Bisogna ammettere che quest' orientamento critico a volte e caduto
in qualche eccesso. Forse Mario Fusco, per esempio, ci puo sembrare
un po' arbitrario quando, a proposito di Una notte del '43, fa prevalere
la storia del farmacista paralitico sulla cronaca política della fucilazione
deglí undici civili in mano agli squadristi di Salo J. E tuttavia, e vero che
nell'avvicendamento, intersezione ed osmosi tra storia pubblica e storia
privata, tra dimensione memorialistica e dimensione psico-antropolo­
gíca, che si produce di continuo nei racconti e romanzi bassaniani, ad
avere il sopravvento, tranne in Una notte del '43 e forse in Una lapide in
via Ma:a:ini, e sempre la seconda, il privato, l'individuale, il caratteriolo­
gíco.
Se facciamo nostro tale punto di vista, ecco che allora prende forza
la funzione strutturale della sfera storico-politica, a scapito del suo
rilievo come materia di analisi e di racconto. Le leggi del '38, la depor­
tazione del '43, rientrano, si, nella memoria addolorata ed ossessiva
della tragedia che coinvolse la comunita ebraica ferrarese, ma piu che
altro, soprattutto quando vengono nominate, come succede spesso, fug­
gevolmente, di passata, un po' fuori mano \ rappresentano soltanto
questo: delle allusioni, dei punti di riferimento, che ricompaiono qua e
la, vanno da un testo all'altro, legando il tessuto di quel che, infatti, e
finito per costituirsi come un corpus unitario, JI romanzo di Ferrara
(Mondadori, 1980) 5. La persecuzione antisemita, la situazione política
contingente, e l' evento di portata secolare, il grande evento, il piu straor­
dinario e sconvolgente della vita dei personaggí, della vita della Fenara
di Bassani. Si tratta di un fenomeno storico, conosciuto, preciso, con
delle date, con dei nominativi: dei punti di riferimento, dunque, da una
parte attraenti per il lettore (qui va presa in considerazione l'aureola
mitica in cui la nostra cultura ha avvolto l' epoca fascista e l' olocausto
ebraico), e, dall'altra, cerri, univoci, concreti. Sono Ji, in un passato non
molto lontano, nello stesso modo che sono Ji, ancor oggí, corso Gio­
vecca, viale Cavour, il Castello Estense, via Montebello, e potrebbero
benissimo esserci dei prodotti dell'irnmagínazione poetica come il parco
dei Finzi-Contini.
Meno chiara ed univoca ci appare Micol col suo gíoco alterno di
3 Mario Fusco, Le monde jigé de Giorgio &.ssani, in «Critique», XIX, n. 197, ottobre
1963, pp. 857-867; vd. pp. 865-866.
4 Cfr. il frammento della Passeggiata prima di cena riportato quí a p. 120.
5 Salvo diversa indicazione, le citazioni da Bassani sono tratte da questo volume. Il
romanzo di Ferrara, ricordiamo, si compone di sei Libri: Dentro le mura (raceolta di cinque
racconti: Lida Mantovani, La passeggiata prima di cena, Una lapide in vía Mazzjni, Gli
ultimi anni di Clelia Trotti, Una notle del '43) (prima edizione completa 1956, sotto il
titolo Cinque storie je"aresi); GN occhiali d'oro (romanzo) (prima edizione 1958); JI giar­
dino dei Finzi-Contini (romanzo) (prima edizione 1962); Dietro la porta (romanzo) (prima
edizione 1964); L'airone (romanzo) (prima edizione 1968); L'OIÚire del filmo (raccolta di
una dozzina di racconti brevi) (prima edizione completa 1972).
116
(= MI cívetteria ed indifferenza nei confronti del narratore-protagonista; o il
dottor Fadigati, nel suo dibattersi tra un acutissirno zelo socíale e l'a­
more per il giovanotto vitellone Deliliers; o Edgardo Lirnentani, che
s'irnmerge in un vortice di sensazioni e travaglio psichico sempre piu
straziante ed infernale. Meno trasparenti e concreti cí raffiguriamo gli
sguardi del dottor Elia Corcos (<<Certo un'espressione ben strana [... ]
quella dei suoi occhi in quel momento! Neanche se lui, a partire dal
mattino successivo alla sera che aveva promesso a sua sorella di
sposarla [il focalizzatore e la cognata], cose e persone le avesse sempre
guardate proprio cosi: dall'alto, e in qualche modo da fuori del tempo»,
p. 66), quelli pieni di un'irnpertinenza e di un'allegria irnmotivate del
farmacísta colpito dalla paralisi, Pino Barilari (Una notte del '43, vd. p.
139), quelli di Lida Mantovani... Instabilita, ambivalenza, vaghezza,
interrogativita, contradittorieta, enigmaticíta: tutto il contrario, in­
somma, della precísíone, della fisicíta, della carica denotativa che carat­
terizzano la determinazione sociale, storico-cronologica e spaziale (la
dove non si sofferma su di essa, beninteso, l'esame critico del narra­
tore).
Proprio «enigmaticí» definiva i personaggi bassaniani Brian Mo­
loney 6, e di questa enigmaticíta tematica, scolpita su rapporti di incom­
prensione e incomprensibilita, su una generalizzata propensione alla
solitudine e ad uno scarso volontarismo, l'opponeva al «cumulo d'infor­
mazioni archeologiche» 7 che d sono fornite dal narratore, vale a dire
marche di automobili e di orologi, nomí di cinema e ristoranti, di
strade, di personalita dell'epoca, ecc.: «Tutto questo, infatti, e crudale
per il suo scopo; ha bisogno di ammassare fatti, luoghi, nomi, date,
figure, per poter contrastare con que sto cumulo di certezze 'quel poco
che il cuore ha saputo ricordare'. Contro questo sfondo di elementi
concreti, 10 scrittore puo sviluppare i suoi temí princípali, quelli dell'iso­
lamento e dell'incomprensione del proprio passato» 8. Moloney si ar­
resta qui e non si addentra nelle possibili irnplicazioni della questione al
di la dell'autonomia del testo, nell'attuazione della sua Bnalita comuni­
cativa, cíoe nella sua ricezione. 19nazio Baldelli invece, parlando del
Giardino dei Finzi-Contini, accenna brevemente al problema: «Siamo
davanti a un elemento che il Bassani ha certo assunto, come si diceva,
dalla moda neorealistica dominante, ma che e diventato un mezzo
stilistíco a legare fortemente illettore alla sua storia, a chiamarlo ad una
6 Brian Moloney, Tematica e tealica nei romanzi di Giorgio Bassani, in «Convivium»,
XXXIV, n. 5, 1966, pp. 484-495; vd. pp. 489 ss. TI concetto e stato attinto allo stesso
Bassani (Una lapide in vía Mazzini, p. 96), e, molto utilizzato dalla critica, e diventato
quasi un luogo comune degli studi bassaniani.
7 Brian Moloney, op. cit., p. 486.
8 ¡bid., p. 488.
117
intima partecipazione: l'elemento forse piu accattivante della prosa di
Bassani» 9.
E qui la chíave del successo editoriale dell'autore ferrarese, della
fortuna che hanno riscosso le sue opere presso notevoli, non piccole
masse di lettori, a tal punto da consentire tirature da best-seller per
alcuni dei suoi romanzi e da farli entrare negli elenchi di letture scola­
stiche. Prescindendo dalla generale perdita di predominio del canale
letterario nella veicolazione della cultura nella nostra epoca, vien fatto
di notare che il testo artistico novecentesco, nella sua doppia intenzio­
nalita di attrarre ed inquietare - non meno inquietare che attrarre il
lettore, nel suo trasferlmento della bellezza su categorie di crisi perma­
nente come il simultaneismo, il meccanismo di autocoscienza e ricerca a
tutti i livelli o il decentramento dell'io nei riguardi dell'altro, della realta
e/o della lingua, ha oltrepassato spesso la soglia della incomunicabilita
oppure si e fatto oggetto di un tempestivo rifiuto, essendo giudicato un
mero generatore di angoscia, o di noia, in termini piu comuni. La
narrativa bassaniana in linea di massima si regoIa anche secondo questi
parametri. Non li assume tutti, forse, o non li porta oItre certe barriere:
e chiaro che l'accessibilita, tluidita e squisitezza stilistiche, la non rot­
tura con la tradizione romanzesca e l' assenza di sperimentalismo antilin­
guistico o antirealista contribuiscono a eludere quella diffidenza o squa­
lífica con cui il grande pubblico accoglie altri testi, anche piu significa­
tivi, del nostro secolo. Ma non solo: il fatto e che aí criteri di poetica
standard novecentesca che sopra abbiamo moIto semplíficatamente sin­
tetizzato, Bassani ne affianca poi aItri che hanno la loro parte nell'allar­
gamento dell' orizzonte di attesa, che insieme alla scelta linguistica
hanno anche cine a che fare con la capacita della sua narrativa di
guadagnarsi quel grande pubblico. Sarebbero qui da mettere a fuoco
l' appello che essa fa alla stilizzata estetica del sentimento e del pes­
simismo e la creazione occasionale di atmosfere o situazioni di suspense,
ma ci riferiamo soprattutto, e qui torniamo al nostro argomento, al suo
saper giocare con una moneta a due facce, sicché la concretezza di
questa Ferrara materiale, immediata, immutevole, della quale finiamo
per riconoscere tutti gli angoli, che il narratore ci fa sentire come
nostra, ed inoltre le date e, in fin dei conti, buona parte della specificita
temporale e del lavoro rievocativo, ci rassicurano, noi riceventi, nei
confronti della molteplicita di soggettí e intrecci che popolano il Ro­
manzo, ma ancor di piu, cio che e piu importante, nei confronti della
9 Ignazio Baldelli, Varianti di prosatori contemporanei (Palo:a.eschi, Ceccht; Bossani,
Cossola, TestorO. Firenze. Le Monníer. 1965, p, 67, Sia il Baldelli sia il Moloney sono
citati da Adriano Bon nelle pagine della sua monografia che dedica a que sto gusto di
Bassaní per la precisazione storica di ordine toponímico ed onomastico (Come leggere n
giardino dei Finzi-Continí di Giorgio Bossani, Milano, Mursia, 1979, pp. 58 ss,),
118
plurivocita e indefinízione caratteriali di ogni individuo, della scia di
metafisica desolazione ed inconsistenza che lasciano queste figure, la
cui intrinseca fragilita, non meno abilmente disegnata dalla penna del­
l'autore, ci trasmette viceversa la stessa movenza interrogativa ed estra­
niata che esse sí sollecitano l'un l'altra.
TI fatto e che non destano, gli uomini e le donne di Bassani, nelloro
comportamento, un' ammirazione vicina al sublime; forse piuttosto una
commiserazione di tipo catartico, ma nemmeno tanta, al di fuori della
loro tragicita, parziale e a volte sussidiaria, in qualita di vittime della
storía (piu avanti comunque torneremo su questo problema e vedremo
che sublimazione e catarsí vengono anche da un'altra parte). L'orrore
degli avvenimentí epocali, la loro spettacolaríta, la loro patina mítica, la
loro verificabilita storica e puntualita cronologica, fungono dunque da
sostegno e rinforzo dell'interesse e del coinvolgimento del lettore, al
quale offrono una logicita ed una causalita esteme, sempre gradite,
della trama. L'equilibrio proprio tra motivazione estema e motivazione
intema, tra certezza ed incertezza, tra determinatezza ed indetermina­
tezza, conta non poco a fare di Bassani un contemporaneo piacevole
alla lettura. Accavallando strategicamente queste istanze contrarie, il
nostro scrittore, consapevolmente o no, corre ai ripari degli eventuali
pericoli che comporta la tensione fascino-irrequietudine (attrazione-re­
pulsione, se vogliamo), procurata dal piano dell'indeterminato, dell'inte­
riore, dell'incerto. Evita cosl un eccesso della suddetta tensione, o una
pressíone dominante della sua carica di ansía, di angoscia, servendosí
dell' antídoto piu efficace, l' altro piano, piu unilateralmente referenziale,
come abbiamo visto, del visíbile e del noto, fonte dí píacere quando
viene ritrovato, ricordiamo Freud (e in effetti, in Bassani questo piano
tende a rítomare sempre senza farsi ingombrante: si pensi alla sporadi­
cita con cuí man mano e recuperato il motivo della deportazíone) 10. 1
fattorí dí motivazíone estema e di certezza, anche se meno moderni per
la sensibilita letteraría, potenziano di piu, diversamente dagli altrí, illato
dell'attrazione. Per que sto, tra le altre cose, un romanzo di Bassani
riuscira sempre piu seducente, a livello anche relativamente popolare, e
piu leggero, delle opere di altri autori meno fortunati della sua stessa
linea analitico-proustiana.
Pero, ultima precisazione importante, l'estemo e il definíto non
sono soltanto il luogo e il tempo. L' effetto perturbatore e dispersivo
prodotto dall' ambiguita e dall' autolesionismo esistenziale dei Limentani
Finzi-Contini Fadigati Mantovani ecc. viene attenuato ancora di piu
10
Cfr. nota n. 25.
119
dalla «geometria composItiva impeccabile» 11 dei testi, daí giochi di
simmetrie e dissimmetrie che la loro robusta architettura esibisce. La
compattezza ed esteticita della costruzione artística intervengono, non
meno decisamente degli elementi di aggancio extra-linguistici, a contro­
bilanciare l'essenza di incompiutezza e di sCÍssione interna che scatu­
risce dalle vÍcende umane narrate.
Una topologia binaria
Nello stesso modo che la storia pubblica, collettiva, poggia su
luoghi, date ed eventi precisi, le storie dei personaggi (Bassani e stato
spesso de finito uno «scrittore di 'storie'» 12), si articolano anche intorno
a dei punti di inflessione, non altri che i momenti esteriormente piu
identificanti e signifícativi del ciclo vitale: nascita, morte, matrimonio...
La trama di solito si concentra solamente su un periodo o periodi, a
volte piu brevi, a volte piu dilatati, dell'arco della loro vita. Non sempre
comprende la loro morte. Eppure, in tali casi, il narratore non si dimen­
tica di farci sapere, pur approfittando, per inserire la notizia, di qualsiasi
spazio d'interruzione o comunque marginale alla sintassi del racconto,
come, quando e dove e andato a finire i suoi giorni quell'uomo, quella
donna, quel bambino. E quel che fa nel seguente brano della Passeg­
giata prima di cena, in cui apprendiamo la morte dei protagonisti mentre
si sta parlando del ricordo che la cognata di Elia ha sempre conservato
del vecchio Salomone, il padre del medico, e del suo caratteristico
odore d'incenso:
Di esso, ripostí in una credenza del cosíddetto salotto buono [ ... ], i libretti
pasquali avevano impregnato nel corso degli anní, oltre che íl mobíle, tutto
quanto l'ambiente. Al punto che Id, Ausilia, ogni qualvolta andava a chiudersi
la dentro, restandoci poi, seduta nel buio, a pensare per conto proprio magari
per delle ore (a servirsi del salotto buono come di un nascondiglio aveva
continuato anche dopo la morte di Gemma, quando, nel '26, era venuta a
convivere con Elia e con Jacopo in qualita di governante di casa, e pertino dopo
la deportazione di entrambi in Germanía, nell'autunno del '43 ... ), tornava pun­
tualmente a provare la sensazione che il povero signor Salomone ci fosse anche
luí fra quelle quattro mura, presente in carne e ossa (p. 64).
Ma questo, come dico, non e l'unico esempio possibile: un tratta­
mento non dissimile, riceve la morte di Oreste in LiJa Mantovani (si
veda p. 40), e pensiamo poi all'Epilogo del Giardino. Introducendo la
11 Attilio Bertolucci, Una geometria compoSItiva impeccabile, in «TI Giorno», 24
maggio 1972, p. 8. Nonostante l'intestazione, l'articolo, che tra l'altro recensiva illibro
meno vistosamente strutturato di Bassani, L'odore del fieno, non e molto illuminante su
questo aspetto della narrativa bassaruana.
12 Giorgio Varanini, op. cit., p. 53.
120
notizia della loro morte, si conferisce alla storia dí tutti questi indívidui
un finale, la si completa. lndícandone il punto terminale, chiudendola,
si delimita il percorso delJa parabola che essi descrivono. NelJ'elasticiz­
zarla, si fa diventare la vicenda narrata una storia intera, una storia vera
e propria, una struttura.
Un ulteriore sviluppo di questo procedimento stilistico sono i para­
grafi dí presentazione in cuí praticamente ci viene dato un elenco dei
dati anagrafici del personaggio in questione. Cosi in capo alJe poche
pagine della Passeggiata prima dí cena dedícate a Salomone Corcos (p.
62), dove il narratore ci fa sapere quante volte si e sposato, quanti figli
ha avuto, dove ha abitato, quando e morto; o nelJe prime battute degli
Occhíali d'oro, questa che sembra quasi una tessera di riconoscimento:
TI tempo ha cominciato a dicadarli, eppure non si puo ancora dice che siano
pochi, aFerrara, quelli che ricordano il dottor Fadigati (Athos Fadigati, sícuro
rievocano -, l'otorinolaringoiatra che aveva studio e casa in vía Gorgadello, a
due passi da piazza delle Erbe, e che e finito cosi male, poveruomo, cosi
tragicamente, proprio lui che da giovane, quando venne a stabilirsi nella nostra
citta dalla nativa Venezia, era parso destinato alla piu regolare, piu tranquilla, e
per cio stesso piu invidiabile delle carriere ... ) (p. 167).
(notiamo di nuovo la posizione parentetica, che, facendolo apparire
aleatorio ed aggiuntivo, isola e fa spiccare l' elemento informativo e
fortemente funzionale). TI ricevente del messaggio linguistico-Ietterario
e munito di una serie dí informazioni che lo sorreggono, gli servono da
guida, da lucí dí pista per l' atterraggio nella lettura del díscorso che
segue, che gli permettono di farsi subito un quadro del personaggio e
della situazione. Al soddisfacimento del piacere delJa schematicita, del­
l'orientamento, della strada sicura, si unisce quello delJa curiosita, quasi
del pettegolezzo, e deDa convenzionalita: sono dad esterni, ripetiamo,
dad sígnificanti, i prirni che tutti noi chiedíamo a qualcuno che abbiamo
appena conosciuto.
Se passiamo poi a osservare i criteri di organizzazione deDa struttura
letteraria di ogni racconto o romanzo, osserviamo che gli strumend, i
materiali con cuí viene maggiormente elaborata la solida impalcatura
compositiva del testo coincidono con quelli, o almeno con uno dí
quelli, che circoscrivono marcatamente le storie che il testo racconta: la
morte, o la nascita e la morte.
Negli Occhíalí d'oro, dopo la parentesi iniziale, non si parla piu delJa
tragica fine dí Fadígati fino alJa chiusura del romanzo, quando, nelJ'ul­
tima pagina, l'io narrante legge sul giornale il suo suicidio. TI Giardíno
comincia con due scene dí cimitero, e non mancano, nel procedere
deDa narrazione, piu fittamente che negli Occhíalí, elementi dialogico­
díscorsivi o descrittivo-metaforici dí premonizione, dí timore o, sempli­
cemente, di un sottile e acuto senso deDa morte, che emana soprattutto
121
dalla famiglia protagonista; eppure anche quí la loro morte, dei prota­
gonisti, e nominata soltanto nel Prologo e nell'Epilogo. Negli Ultimi
anni Ji Clelia Trotti il topos delimita ugualmente, fa da cornice al rac­
conto, che si apre e si chiude con due nuove scene cimiteriali, di un
parallelismo meticolosissimo. E infine, un po' diverso, meno evidente,
ma tutt'altro che meno accurato, si dimostra il gioco di corrispondenze
tra i due estremi di LiJa Mantovani: si comincia dal parto del figlio di
Lida, dal ricordo di quel parto, quindi da una nasdta, e si finisce con
una riflessione, sempre di Lida, sulla morte del marito, Oreste. In
questo primo racconto del Romanzo, dunque, invece di morte-morre,
abbiamo nascita-morte. Diciamo meglio che il racconto va da una nascita
a una morte, e quindi che e spedalmente in questo caso che testo e
storía s'identificano. Indipendentemente dal fatto che la nascita dell'i­
nizio e la morte finale non riguardino lo stesso personaggio, il testo si
dispone nella sua struttura formale come una storía, prende la forma di
una vita.
In ogni caso, e evidente che nell'insieme degli spazi d'inquadratura
dei racconti e romanzi, nelle posizioni rilevanti dell'inizio e della fine,
c' e tra i termini nasata e morte un notevole squilibrio in favore del
secondo. Addirittura in LiJa Mantovani un' analisí piu attenta ci porte­
rebbe alla stessa conclusíone, poiché sia il personaggio che nasce all'i­
nizio sia quello che muore alla fine, sia il figlio dí Lída che Oreste, si
vincolano ad una non-esistenza, ricevendo il primo il nome di un fratello
morto della madre di Lida del quale quest'ultima «non aveva mai
saputo l'esistenza» (p. 11) e prevenendo la morte di Oreste, sempre
alla luce dei pensieri di Lida, «l'insorgere in luí di qualsiasi principio di
disperazione» (p. 43) per non avere avuto da leí un figlio proprio, di
nuovo per un parto dunque, ma questa volta mancato, per un non­
parto. Lo sbilanciamento pero non riguarda soltanto le colonne di de­
marcazione dei testi. Puo essere anch' esso una guida alla loro lettura,
funzionare cioe come chlave interpretativa dei movimenti dei perso­
naggi nel tessuto delle diverse trame, operando nella sua semanticita, e
con il corrispondente giudizio di valore, tra le due posizioni di apertura
e chlusura. Come fa notare Lorenzo Catania per Il giarJino Jei Finzi­
Contini, ma possiamo estendere l'affermazione anche alle altre «storie»,
la «concordanza tra l'inizio e la fine appare infatti come una prova di
coerenza nella costruzione del racconto, ed anche come uno strumento
privilegiato che permette al romanziere dí esprimere la sua concezíone
del mondo» B. La morte degli estremí coinvolge visceralmente i perso­
naggi, le loro esistenze possono essere perfettamente qualificate, preci­
u Lorenzo Catania, Condizione borghese e storfa ne! Giardino dei Finzi-Continí, in
«Otto-Novecento,>, V, n. 2, marzo·aprile 1981, pp. 129-17Ó; vd. pp. 143-147 (citazione p.
145).
122
samente in senso qualltatívo ed esistenziale, come non-esistenze, come
vite mancate, come casi di vita-morte, alla stregua dello sllttamento
strutturale dalla prima alla seconda che si puo osservare nel primo
testo, in Lida Mantovani.
Proprio se prendiamo Lida Mantovani, quel che ci troviamo a leg­
gere e una serie di vite mancate, fallite, di amori dati e non ricambiati,
di sogni a fondo perduto e non meno indefettibili ricordi di sogni, di
desideri frustrad e delusioni non combattute, di scelte attraversate d'in­
soddisfazione, di debolezze congenite o acquisite, di fatalismi dalla
cicllcita generazionale ... E nelle altre trame del Romanzo (anche quando
la strutturazione del testo non risponde, almeno direttamente, al mo­
dello delle cornici di morte o di nascita-morte), il panorama non cambia
sostanzialmente. Le storie di Fadigati, di Limentani, di Geo Josz, dei
Finzi·Contini, senza mai uscire da un quadro di relazioni negate e
negative, possono tutte definirsi, in termini generall, come inesorabili
progressioni verso la morte, condotte, da un lato, da un' azione di
emarginazione ad opera di gruppi, figure e fattori di tipo diverso del
mondo circostante (societa, avvefiÍmentí storici, famiglia, malattie, ecc.),
e, dall' altro, da un impulso di autoemarginazione del personaggio nei
confronti di se stesso (in definitiva, le nostre gia indicate motivazione
esterna e motívazione interna). Con un peso maggiore o minore del·
l'una o del1'altra in ogni caso o momento, si sommano comunque
sempre tutte e due a canalizzare una curva discendente di annienta­
mento. Non credo che sia necessario soffermarsi su questo aspetto, gia
ampiamente notato e studiato dalla critica 14.
Tuttavia non e detto, e ora ci accingiamo a cambiare radicalmente
direzione, che il binomio vita-morte, per quanto preminente, sia suf­
ficiente a comprendere dentro di sé tutto Il romanzo di Ferrara. Subisce,
questo topos, una trasformazione nel corso del1'opera, nel corso del1a
narrativa bassaniana, un sovvertimento, la cuí prima manifestazione si·
gnificativa arriva gia nel1a penultima storia del Libro primo, Gli ultimi
anni di Clelia Trotti. L'inquadramento di morte del racconto, lo spazio
cirniteriale in cuí inizia e finisce, la Certosa di Ferrara, non offre assolu­
tamente l'immagine lugubre, di vita finita, venuta a mancare, che ci
potremmo aspettare: ben al contrario, «da sempre, inutile negarlo,
un'impressione lleta, quasi di festa» (p. 97). Le due pagine di descrizio­
14
Lo stesso Bassani piu dí una volta ha definito le sue creature come dei «vivi, che
in realtií sono mortí» e ha riconosciuto la rilevanza nei suoi scritti dí un forte «senso
dell'opposizione tra la vita e la morte»: Intervista a Giorgio &ssani, a cura dí Davide De
Camilli, in «Italianistica», IX, n. 3, settembre-dícembre 1980, pp. 505-508 (vd. p. 505);
Watter Mauro interroga Gíorgio Bassani, in AA.W., Giorgio &ssani. 1..0 serittore e í suoi
testí, Roma, La Nuova Italia Scienti6ca, 1987, pp. 61-72 (vd. pp. 64 ss.); «Meritare» il
tempo (lntervísta a Gíorgio &ssal1i), in Anna Dolfi, Le forme det sentímento. Prosa e poesía
in Giorgio BaSSt1ni, Padova, Liviana, 1981, pp. 79-91 (vd. p. 87).
123
[= g
ne girano intorno aquesto paradosso. GIi assíduí «frequentatori del
luogo - in prevalenza balie, bambiní [il polo nascita], e coppie di inna­
morati -» (p. 99) non hanno niente a che vedere con una concezione
nichilistica del mondo. Tanto meno le due coppie di adolescenti che
sono portate in primo piano e che addirittura sfidano sfacciatamente la
cerimoniosita del funerale della Trotti. Tutto il tono e cambiato. 1
terminí si sono invertiti: non e la morte che invade o qualifica la vita,
bensi la vita che subentra alla morte, la quale viene invece ignorata,
dimenticata, negata. Non phI vita-morte, bensl marte-vi/a.
La traduzione semantica alla storia narrata del binomio capovolto si
verifica soprattutto su uno dei protagonisti, Bruno Lattes, il piu positivo
e trionfatore dei personaggi bassaniani, scamp~to alla deportazione
perché e fuggito poco prima negli Stati Uniti, dove sta riuscendo a farsi
una posizione nel mondo dell'insegnamento universitario. Sicuramente
e meno valida, la morte-vita, per Clelia Trotti e per il padre di Bruno, lei
spentasi nel carcere di Codigoro, luí nei campi di concentramento, e
durante il tempo di azione del racconto tutti e due vecchi, «finiti e
prossimi alla morte» (p. 121), dediti alle loro «fantasticherie solitarie»,
ai loro «poveri, miserabili deliri da ergastolani onanisti» (p. 12~), quindi
in questo senso, che e quello dominante, piuttosto assimilabili alIa vita­
morte, ma a pensarci bene non tanto, se intravediamo in questa loro
condotta una trasposizione delI'idea, contenuta nelIa descrizione intro­
duttiva delIa Certosa, delIa perseveranza delIa vita che deve finire ma
finché dura non si arrende, e nei loro sogni, riposti in Bruno, nelIa
fiducia che luí prosegua la loro opera e sia migliore di loro, una pratica
volta ad assicurare una continuita e perfezionamento delIa vita.
D'altronde, per quanto riguarda la Trotti, assistiamo al compimento
del suo desíderio di essere seppellita fuori del recinto del cimitero, nel
prato antistante, nelIa zona destinata ai non credenti o non cattolici,
desiderio che leí credeva inattuabile e che aveva commentato a Bruno,
nel paragrafo del racconto in cuí l' elemento morte-vita víene suggerito
ancora soltanto suggerito - piu nitidamente in rapporto ad un perso­
naggio importante e alIa sua storia: «'[...] Ci crede? A me píacerebbe
che mí seppellissero proprio qua fuori, in questo bel prato, con tutto
attorno questo continuo rumore di vita, anche se cio dovesse costarmi
la scomunica perpetua'» (p. 129).
Nelle opere successive il nuovo topos si arricchísce sempre di piu.
Ne abbiamo una derivazione non trascurabile, non marte-vira, ma di­
clamo malattia-vita, negli effetti positivi che accompagnano la sifilide e
la conseguente paralisi in Pino Barilari, in Una notte del '43. Luí e come
se alIora comincíasse a vivere dawero, come se fosse stata quella di­
sgrazia «a trasformare la sua scialba vita in qualcosa di chíaro, di com­
prensibile a luí stesso, insomma di esistente. Ormai si sentiva forte, lo si
vedeva bene, addirittura rinato» (p. 139).
124
Ma e piu esattamente nel Prologo del Giardino dove il tema viene
ripreso e approfondito, raggiungendo una quota di centralita narrativa e
di sistematicita nell' esposizione molto superiore a quelle che aveva negli
Ultimi anni. Tutto il Prologo, la visita del narratore-protagornsta in­
sieme ad un gruppo di arnici alla necropoli etrusca di Cerveteri, gravita
sulla confutazione della negativita della morte, lungo un passaggio gra­
duale dalla nota estetica alla rivalutazione sentimentale e a11a predispo­
5ÍZione riflessiva, per approdare infine alla definizione, alla vista del1e
tombe decorate come «una seconda casa» (p. 252), della vita nella
morte, che entra e continua nell'eterrnta intramontabile della morte,
pensiero consolatorio, si abbandona a immaginare il narratore, degli
etruschi dell' epoca della dominazione romana, nel periodo ormai di
declino della loro civilta 15.
Si scopre cosi una certa discontinuíta non gia temporale, ma proprio
di modulazione topologica e tonale, e di sfumature nell'indole dei per­
sonaggi, tra il Prologo e il resto del romanzo, tra i visitatori o gli
etruschi fantasticati dal narratore e i Finzi-Contini, piu netta, anche
tipograficamente (Prologo), di quanto non apparisse la sconnessione
delle vicende della Trotti e del padre di Bruno rispetto alle connota­
ziorn della Certosa. Presentendo l'imminenza della tragedia, i Finzi­
Contini adottano programmaticamente una strategia consistente nella
sua ornissione e nel1'accentuazione dell' attivita e del sentimento del
vivere. Non dimostrano paura, non ricorrono alla lamentela. Loro pre­
feriscono far finta di non vedere, pure di fronte a11a malattia di Alberto;
anzi agiscono come se davanti ci fosse un lungo esplendido avvenire.
Questo loro quasi parossistico investimento vitale puo essere lecita­
mente letto in termini di morte-vtta, di una morte che per effetto reat­
tivo enfatizza la vita e si fa portatrice di conseguenze positive, addirit­
tura degli stessi valori di eterrnta (progettazione di un futuro impos­
sibile) e di piu alta fruizione dell'esistere, che vengono esposti nel
Prologo. Solo che nei Finzi-Contini (tranne in Micol) , questi valori,
collocati non dopo ma al di qua della morte, sono falsi e nascondono,
travestendolo, l' altro binomio, la vita-morte, la debolezza, la vulnerabi­
lita, il patetismo, una vita intima infranta, e, piu che una decadenza,
storica o personale, un decadentismo non esente da coloriture mor­
hose, visibili nei diversi momenti in cuí esteriorizzano quella loro ten­
sione mortuaria.
L' autore riesce a saldare il dislivello che separa Prologo e Giardino
nellibro seguente, nell'Airone, che segna il culmine nell'attuazione del­
l'insieme di procedimenti che mette in moto il Il romanzo di Ferrara, il
15 TI capovolgimento morte-vito non comporta, né qui né in nessun momento del
Romanzo, una proiezione religiosa, trascendente (1:: ben saputo che Bassani ha sempre
aderito a posizioni filosofiche crociane).
125
rlYJ che vuol díre il massimo dell' elaborazione e soprattutto della tra­
sparenza delle strutture e proprio la formulazione piu sistematica dei
leitmotiv dell'íntera opera, lo sviluppo fino alle loro estreme conse­
guenze delle problematiche fondamentali dell'individuo bassaruano.
Durante la passeggíata per Codigoro, al rítorno dalla valle dove e an­
dato a caccia, ormaí in una sítuazione limite di insofferenza, disgusto e
abbattimento esasperatí, il protagorusta s'imbatte nella vetrina di una
bottega d'imbalsamatore, e 11 Edgardo Limentaru della vÍla-morte sí
trasforma nel giro di pochí minuti in un Edgardo Limentaru della morte­
vita, nella famosa pagina della sua «conversíone alla morte» 16:
Di la dal vetro il silenzio, l'immobilita assoluta, la pace.
Guardava ad una ad una le bestie imbalsamate, magnifiche tutte nella loro
morte, piu vive che se fossero vive (p. 650).
La volte esíbísce «una salute prepotente, quasi insolente, sottratta
per incanto a qualsíasí possibile offesa di oggi e di domaru». Le irídi
degli scoiattoli brillano «gioiose, febbrili, demoruache di consapevolezza
e di irorua». E anche e soprattutto gli uccelli sono viví, vivi
di una vita che non correva piu nessun nschio di deteriorarsí, tirati a lucido, ma
soprattutto diventati di gran lunga piu beIli di quando respiravano e il sangue
correva ve10ce nelle loro vene (pp. 650-651).
Dopo questo completo accertamento ed enunciazione delle qualita
che conformano il paradigma di positivita della morte, sopraggíunge a
Limentaní l'idea del suicidio, e il pensiero della propria morte lo con­
vince. L'uomo amareggíato che avevamo seguito fino a quel punto
svanisce e passa a muoversi, nei tre capitoli rimanenti, all'insegna di una
euforia quasi diabolica. La morte-vita sostituisce totalmente l'equazione
contraria, impossessandosi di tutto lo spazio narrativo, che prima occu­
pava l'altra.
Inoltre, si congiunge a Limentaru, nelle ultime pagine, la madre
ottantenne, dipinta secondo gli stessi canoni degli animali imbalsamati.
Nell'Odore del fieno, ultimo libro del Romanw, il primo racconto
della sezione Due fiabe e poi il primo di Altre notizie su Bruno Lattes
condudono la traiettoria del topos positivo.
bambino che mette al
mondo Egle Levi-Minzi, físicamente (e anche dal nome) identico al
padre e al nonno, deporta ti e morti in Germarua, riafferma, quasí in
forma di resurrezione míracolosa, la tesi della continuita o ripresa della
vita, della sua eterruta, della negazione o assenza della morte, anche su
un piano storico-collettivo. primo capitolo-racconto di Altre notizie su
Bruno Lattes ci presenta Bruno in due funerali al cimitero di Ferrara,
n
n
16 Maruyn Schneider, A Conversion to Death: Giorgio Barrani'r L'airone, in «Cana­
dian Journal of Italian Studíes», 1, n. 2, inverno 1978, pp. 121-134.
126
[­
g
uno celebrato nel '38 (luí ha ventitré anni) e il secondo nel '24 (a
nove), col movimento analettíco da una scena posteriore ad un'altra di
anni prima tipico del1a temporalita bassaníana (Gli ultimi anni, il Giar­
dino). Nel primo funerale, la vita penetra nel10 spazio e nel1a cerimonía
dí morte tramite l'odore del1'erba appena falciata (<<Non appena il carro
funebre ebbe varcato la soglia del grande cancel10 d'ingresso, [... ] un
odore acuto di fieno tagliato sopraggiunse a rianímare il corteo op­
presso dal caldo. Che sollievo. E che pace», p. 678) e mediante una
melodía d' amore che non lontano qualcuno canterel1a (inutile il rí­
chiamo agli Ultimi anni). La meditazione di Bruno, spostata metoními­
camente dall'atto funebre al cancro, secondo suo padre la malattia
mortale del1a farniglia, ci porta sotto gli occhi l'ennesima proposta dí
come affrontare il momento e il fatto del1a morte, qui considerata nel1a
distanza di un remoto possibile, solo ravvicinata dal decesso del10 zio,
ma, e questo che ci interessa, totalmente sdrammatizzata, scaricata di
nuovo del1a sua negatívita tragica, svalutata, rimpicciolita ad eveníenza
non meritevole di altro atteggiamento che quel10 del1a naturalita e
del1'indifferenza, essendo questa senza dubbio la posizione piu vigorosa
e salda che abbiamo trovato nel Romanzo. Poi, prolungando la tensione
anti-elegiaca del primo, la monel1eria di Bruno bambino al secondo
funerale, sottraendosí alla compunta parentela e mettendosi a inseguire
zanzare per il campo del cirnitero, sbocca níentemeno che nel1a secca
dichiarazione del1a morte positiva, del1a morte-vita, riassuntiva del piglio
generale del racconto: «'Solo i morti stanno bene'» (p. 681).
Prime conclusioni. L'evoluzione dei topoí
Tirando le somme di questo nostro percorso del1e realizzazioni del1e
unita vita e morte, ribadiamo dunque la loro diramazione in due díre­
zíoní diverse e antitetiche, una negativa ed una positiva, a grandi tratti
coincidenti con le due combinazioní binaríe che abbiamo stabilito, e
cioe interpretabili come l'invasione di un termine da parte del1'altro e
viceversa, vale a dire come il ribaltamento recíproco dei due elementi, il
quale ribaltamento si articola poi in una serie di dinamiche, fondamen­
talmente quattro, che possiamo definíre cosi: a) il degrado progressivo;
b) l'attesa di una morte sentita o presentita; c) la rinascita o continua­
zione del1a vita; e d) l'immediatezza positiva del1a morte.
E chiaro che queste quattro linee, cosi come í due binomi, non
vanno presi in maniera incondizionata, come categorie assolute o indi­
pendenti, ma non e detto neanche che fissandole pecchiamo di arbitra­
rieta, o di un eccessivo ríduzionismo. Spieghiamocí meglio.
Molti personaggi non possono essere unicamente ascritti ad una
sola dinamica, perché cambiano, prima si aggírano all'interno del1'una,
127
[-' lYJ dopo aderiscono ad un' altra. Limentani salta dal degrado a quella che
abbiamo chiamato ímmedíatez:za della positivitil della morte, alla cogni­
zione o rivelazione diretta di questa positivita, e prima ancora ammette
di essere compreso nel gruppo dei rinati, assime al Geo Josz di Una
lapide in via Maz:dni (<<unico superstite dei centottantatré membri della
Comuruta israelitica che i tedeschi avevano deportato in Germania nel­
l'autunno del '43», p. 67) e a Bruno, giacché se non avesse passato in
Svizzera l'ultima parte della guerra sarebbe stato anche lui inghiottito
dai forni crematori nazisti. Inoltre, l'ultima parte della sua giornata, del
suo romanzo, quella positiva, dalla scena della vetrina al suicidio, puo
anche dirsi, ovviamente, che invece di arrestare il degrado, o arrestan­
dolo, lo fa collirnare con la massima felicita; qui la questione e quasi
soltanto terminologica. Altre volte, anche senza grandi trasformazioni,
si troyano, i personaggi, a cavallo tra due categorie, oscillando in mag­
gior o minor grado in qua e in la, anche a seconda del momento, della
circostanza o della lettura che scegliamo di fare. Pensiamo ancora una
volta ai due strati, quello apparente e quello nascosto, dei Finzi-Con­
tini, o all' avvicinamento dei sogni della Trotti e del padre di Bruno alla
continuitil della vita nei discendenti.
Le linee dunque, i topoi si contaminano, s'incrociano, interagiscono
tra di loro in mille modi. Se guardiamo ancora un po' la continuazione o
rinascita della vita, ecco che diventa una componente del paradigma
positivo della morte, della sua immediate:a.a positiva, ma d'altra parte si
diversifica al suo stesso interno, innanzi tutto in continuazione e rina­
sata, e anche perché ben diverse sono le rinascite dei Rotstein, di Geo
Josz, di Bruno Lattes, di Edgardo Limentani e di Pino Barilari, come
non meno varie le attese della morte vicina, che tracciano un arco di
centottanta gradi da un estremo vicino al degrado (la famiglia dell'io
narratore-personaggio nella cena di Pasqua del Giardino, vd. pp. 373­
375) all'altro estremo che tocca l'immediatez:za positiva della morte (la
madre di Limentani).
E tuttavia, sia che si alternino, si susseguano, si sovrappongano,
s'intersechino, si sfiorino, riconfluiscano o si stacchino, sia che preval­
gano di pÍlI di meno le une sulle altre, sia l'istanza narrativa su cui
sono rappresentate un ambiente o un essere umano, un pensiero
un'azione, sia la loro rappresentazione diretta indiretta, piu esplicita o
piu elusiva, di ordine materiale o mentale, concreto o figurato, sia che
riesca piu agevole o no riportarle al polo della positivita aquello della
negativita, al senso della vita o al senso della morte, in ogni caso il fatto
e che le linee di andamento, come le polarita e i topoi, in definitiva le
nostre categorie convenzionali, ci sono, nel testo, e non bisogna scavare
molto per trovarle. TI narratore (e dietro l'autore implicito) ce le da
abbastanza limpidamente e, sebbene di solito le frontiere siano piu
sfumate della scena spartiacque di Limentani davanti agli animali impa­
°
°
°
°
128
[=' g
gliati, e altrettanto evidente che tutti i racconti e romanzi tendono alla
struttura cmusa e schematíca dell'Airone. Le nostre caselle dassifica­
torie sono le costanti, gli enti predeterminati del calcolo combinatorio,
con i quali si confeziona un reticolo complesso e mutevole di varianti e
modellature infinite, di molteplici sfumature, dalle quali si puo pero
risalire (e íl narratore, o l'autore implicito, ci fa risalire) alle prime, alle
costanti, a quelle che sono le carte in gioco, poche e perfettamente
individuabili, e topologi:a.abtli, nelIa loro iterativita e fisionorrua all'in­
temo dei nicconti e deí romanzi e da un racconto o romanzo all' altro
(spesso sano contrassegnate anche da stigmi linguistici) 17.
Ma andiamo adesso a vedere con piu calma l' evoluzione dei due
binorru principali, vita-morte e morte-vita. Questo d conferrnera piu di
ogni altra cosa sull' estrema coerenza oggettiva e oggettuale - che
Bassani imprime al discorso e al testo letterario.
In una prospettiva logico-diacronica, prima di tutto bisogna notare,
tralasciando le considerazioni che potrebbero essere pertinenti in un' os­
servazione dettagliata anche di ogni singolo caso, che nella poetica
bassaniana del ribaltamento, la morte-vita succede alla vita-morte e ne
costituisce íl superamento. Prima viene rovesciata la vita, la vita non e
vita, e l' aspettativa inappagata, íl rapporto con l'altro non soddisfacente,
l'assunzione di un ruolo di segregazione, 1'0mbra del tragico. Poi, in un
secondo momento, accade la scoperta della morte come luogo di adem­
pimento di quello che la vita prometteva e non ha dato, rovesciamento
della morte. Emblematica, in questo senso, ripetiamo, la vicenda di
Edgardo Limentani, ma si rifanno a quest' ordine logico-temporale
quasi tutti gli esponenti (personaggi o scene) della morte-vita, ed e
egualmente percepibíle, nel complesso del Romanzo di Ferrara, dell'o­
17 Quest'ingranaggío strutturale o semantico-strutturale, lucidamente rilevato, e gíu­
dicato negativamente, dai critici awersi a Bassaru (si veda per esempio Alberto Asor
Rosa, Storia della letteratura italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1988 3 , p. 643, e Gian
Carlo Ferretti, vd. nota n. 35), sta dunque alla base, o e uno degli elementi che stanno
alla base delle contrastate opinioni e dei eadicali scrueramenti della critica pro e contro la
sua opera, cosi come non puo essere del tutto dimenticato quando affrontiamo quei
fenomeni di piu largo raggío, di carattete piu ampiamente culturale o politico-culturale, in
cuí íl nome di Bassaru e stato messo in causa o e figurato tra quelli dei protagonisti: la sua
controversa vicenda feltrinelliana, lo scontro con íl gruppo '63, íl maggior o minor ruolo
che ha gíocato soprattutto íl Giardino nel cosiddetto «boom» dell'industria del romanzo
awenutosi tra gli ultimi anni Cinquanta e i primi Sessanta, tutte questioni sulle quali non
e stata detta l'ultima parola e che ancora oggí destano scalpore. Noi, lasciando da parte la
sua opinabilita, stÍaIDo provando a precisarlo, quell'ingranaggío, a proposito di due soli
oggetti narrativi, vita e morte (questo si, molto presenti ed operanti nel RDman:l.O), ma
bisogna dire che altre tematiche funzionano in base agli stessi o a simili meccanisrni.
Anche estraneita e il fallimento della comunicazione tea i personaggi, ad esempio, si
cristallizza e geometrizza in strutture linguistiche semplici e piu o meno fisse «<che cosa
voleva?», «chi era?» ... ) che vengono applicate ai diversi personaggi e situazioru senza
essete diluíte o deformate dall' elaborazione e contesto narrativo particolari. E infatti
succede in qualche modo che in Bassani l' ambiguitil diventa riconoscibile e l'estraneitil
stessa smette di esserci estranea.
r
129
pera completa, un effettivo movimento dal topos negativo al topos posi­
tivo. n primo gode dí un peso globale maggíore e agísce da asse tema­
tico-antropologíco della maggíor parte delle storie. Ma, laddove esso
appare gía in tutta la sua pienezza in LiJa Mantovani e da II all'Airone
(o, per esempio, al Marco Giori di uno dei racconti dell'Odore del
fieno), piu che guadagnare terreno o essere approfondito, si mantiene
essenzialmente nei termini e nei livelli prefissati e quel che fa e pluraliz­
zarsi in persone e congíunture diverse, la morte-vita la vediamo invece
farsi, crescere, configurarsi lentamente da un testo all'altro, con una
progressione in crescendo, ma discontinua, e non lisda, finché non si
rassoda e assume una forma di completezza parí aquella della vtta­
morte soltanto nelle ultime opere.
Tornando sui passi del topos positivo, varra la pena andare a vedere
piu da vícino questa sua interessante evoluzione.
A guardar bene, la morte-vita si scorge gía, all'interno di LiJa Manto­
vani, in due indicazioni molto secondarie, chíaramente sopprimibili, due
unitil di accompagnamento dell'evento nucleare della morte della
madre, scatenante del matrimonio di Lida con Oreste, e ríferito con
profusione di particolari, tra i quali queste due catalisi, o satellitt' 18,
riportabili ad un topos di morte-vita, e assegnatarie allora di una fun­
zione, oltre che discorsiva, indiziale, solo se esaminate retrospettiva­
mente dall'ulteriore sviluppo del topos. Agonizzante, Maria Mantovani
costata di star perdendo l'udito:
Maria Mantovani non staccava gli occhi dalla finestra. Di la dai vetri, attra­
verso i quali la luce diurna stentava a filtrate, scorgeva la neve cadere fitta, a
vortice. Sforzava l'udito. Via Salinguerra risuonava fiocamente di grida allegre,
di passi precipitati. Cos'e che stava succedendo, fuori? si chiedeva La citta
sembrava in festa. Ma perché mai ogni voce, ogni suono, le giungevano da
tanto lontano?
«Non ci sento bene~~, si lagnó (p. 29).
Spazio di festa contiguo allo spazio di morte. E, poco piu avanti,
nella descrízione della morta: «Le palpebre socchíuse, il naso che appa­
riva d'un tratto piu grande, piu forte, le labbra accennanti a un vago,
assurdo sorriso felice~> (p. 30).
Facdamo poi un salto, anche qualitativo, da questi primi brevíssimi
accenni nel primo racconto alle due pagine dí descrízione ed argomen­
tazione sull' aspetto allegro e vívace di piazza della Certosa, la piazza del
18 Per il termine «satellite» si veda Seymour Chatman, Storia e discorso. La struttura
narrativa nel romanzo e nel film, Parma, Pratiche Editrice, 1981, pp. 52·54. Per il termine,
sinonirníco, «catalisi», e in generale per lo schema narratologico di classi e funzioni che
ímpieghiamo in seguito, Roland Barthes, Introduzione a//'analísi strutturale dei racconti, in
AAW., L'analisi del racconto, Milano, Bompiani, 19773 , pp. 5-46; vd. 15 ss. Occasional­
mente ci serviremo di concetti di altra origine, che rientrano sempre pero in que! bagaglio
di terminología strutturalista che dobbiarno considerare ormai acquisita e diventata di uso
comune nell'ambito della critica letteraria in generale.
130
[_\ g
«Camposanto Comunale di Ferrara» (p. 97), nell' esordio degli Ultimi
anni, quarto racconto, ricordiamo, del Libro primo. Aumenta notevol­
mente il grado dí nítídezza e dí conSÍstenza del topos, il quale, anche se,
in qualiti dí notazione ambientale, rientra ancora nella classe degli
indizi, e quindi delle estensioni (in contrapposízione ai nuclei), cio nono­
stante ha gia abbondantemente oltrepassato i ristretti confiní del satel­
lite e si e dilatato molto, palesando una forte tendenza a espandersi e a
prospettarsi sull'azione, seppure intanto ci riesca solamente ai marginí,
con l'intervento soprattutto della prima coppia di adolescenti, quella
che interrompe senza riguardo il funerale, e con l'espressione e il com­
pimento, entrambi tanto casuali, ci viene da pensare, del desiderio di
Clelia. TI sogno, pió elaborato e persistente, del padre di Bruno (<<l'av­
vocato Lattes sognava la 'brillante carriera' che attendeva di sicuro il
figliolo in America o in 'Erez'», p. 122), luí non lo vede realizzarsi, e
que sta realizzazione non appartiene, anzi si oppone, alla vicenda cen­
trale della storia, che riguarda un altro sogno, il pió importante, il sogno
politico di Clelia (e in parte, ma solo in parte, del primo Bruno) di
riattivare il socialismo italiano, questo pienamente ínfruttuoso, fallito.
Nell'azione del racconto predomina dunque ancora la dimensione cupa,
la realta, non casuale, ma sistematica, dell'isolamento (<<[Clelia] adesso,
di nuovo, aveva ripreso a parlare. Come tra sé. Come inseguendo un
suo sogno. Perduta come sempre nel suo solitario, eterno vaneggia­
mento da reclusa», p. 133) e dell'inutilita degli sforzi umaníj ma la
compresenza di sogní compiuti e incompiuti, anche se i primi si vedono
relegati alla pió sussidíaria scena prolettica del primo capitolo (quella
del funerale), e gia sintomatica di una pressione incipiente, pur se
titubante, della morte-vita sulla sequenza narrativa propriamente detta,
al di la della disinvoltura e capacita egemoníca raggiunte nello spazio
ambientale, sul piano sensoriale e suggestivo.
Nel racconto seguente, l'ultimo di Dentro le mura, dopo la paralisi
in Pino Barilarí si verifica oggettivamente una metamorfosi, quíndi su
un certo punto di uno dei due sintagmi dí azione principali (quello della
storia privata). D'altra parte, a causa della maggiore esplicitezza, per­
sino possiamo intravedere nella spiegazione della nuova condotta del
farmacista un primo schízzo dí quel che sara il paradigma di valenze o
caratteristiche della morte positiva. Da questo punto di vista, si con­
tinua con la spinta ascensíonale. Ma i risultati della malattia-vita, benché
a carattere permanente, nella catena di enunciati del racconto non
prendono molto pió di un paragrafo, e altre conseguenze della paralisi
si rivelano pió decisive per il proseguimento della trama. Da questo
lato, al contrario, dobbiamo parlare, rispetto aglí Ultimi anni, di un
passo indietro. Sia per le sue caratteristiche, sia per il suo spessore
strutturale, quella di Barilari rimane sempre una versione ridotta del
topos.
131
rg TI Gíardíno, Libro terzo, gIi consacra tutto un corpo testuale, il Pro­
logo, staccato, rícordiamo, non solo temporalmente, attraverso l'ana­
croma di 6liazione proustiana, e visivamente, dal momento che e una
sezione specifica alI'interno della divisione tipografica del romanzo, ma
anche per quanto riguarda la semanticita estetico-morale e la sensibilita
messe in gioco. La morte-víta pare essersi creata qui uno spazio a sé
stante, di una certa ampiezza e abbastanza autonomo. Non siamo piu
davanti ad una unita dal respiro solo preponderantemente indiziale;
diventa, la morte-vita, anche se ad un livello metadiegetico di opera­
zione immaginativa del narratore-personaggio, il fondamento fuosofico­
sentimentale di un popolo, e in quanto tale viene teorizzata secondo dei
principi ben determinati (quelli, qui gia molto piu chiari, della morte
positiva). E naturale dunque che anche la separazione temporale e
testuale siano maggiori di quelle degli Ultimi anní. Finché la sua canca
ideologica ed esistenziale si manteneva in stato latente, il topos trovava
un posto di secondo ordine nell'economía del racconto. Nel momento
in cui quelia carica viene agalla, nel momento in cui il topos acquista
una formulazione teorica e pertanto svela la sua potenzialita come
alternativa al codice e al modello di realta dominanti, viene isolato, gli
sí da uno spazio proprio, un ruolo episodico, quello del cosiddetto
racconto primario o racconto di comíce. Se cio cominciava a succedere
appunto nel primo capitolo degli Ultimí anní, si accentua pero soprat­
tutto qui, nel Prologo del Gíardino dei Finzi-Contini, il cui contenuto
non arriva al punto di costituire un'altra storía, un'altra narrazione, ma
ci tende.
La messa in atto della potenzialita ideologicamente sowersiva della
morte-vita, il suo adeguato innesto, a tutti gli effetti, nelia «consecutivita
e consequenzialita» 19 del discorso narrativo, del compattissimo díscorso
narrativo bassamano, spetta, come sappiamo, all'Airone (Libro quinto),
romanzo nel quale i due topoi, vita-morte e morte-vita, sono infatti
allineati sullo stesso tracciato vicissitudinale, sul tracciato principale, ne
sono anzi i motori, e il loro conflitto viene risolto. La morte-vita con­
quista la funzione massima, quella di nucleo: la contemplazione degli
animali imbalsamati segna la grande svolta (una delle poche vere e
proprie svolte del Romanzo, dobbiamo sottolineare, e non semplice­
mente un prevedibile scatenamento deí fatti) nella vicenda di Limen­
tam; la sua condizione psícologica cambia totalmente, e il nuovo bi­
nomio o equazióne, morte =vita, s'impadromsce di lui e dei suoi movi­
mentí, del presente del racconto, come abbiamo gia detto, presiedendo
da alIora in poi fino alia fine del romanzo tutto il dominio della realta
narrata, non piu allontanato né nel tempo, né nello spazio. Siamo
19
Roland Barthes, ibid., p. 20.
132
f=
g
pervenuti cOSl al piu fermo radicamento e al completo dispiegarsi del
topos positivo.
Vincente, la morte-vita tiene gia il campo nei due racconti dell'Odore
del fieno (Libro sesto e ultimo) su cui ci siamo soffermati. TI fatto che
non ritroviamo piu, anche a causa della piu modesta entita dei testi,
della maggiore frammentarieta della raccolta, un segmento narrativo
dalla larghezza ed intensita dei quattro ultimi capitoli dell'Airone, né un
avvenimento-nucleo cOSl traumatico e travolgente come la conversione
di Limentani, non equivale tanto ad una regressione quanto ad un
consolidamento. Perché ormai sia i nuclei (la improvvisa decisione di
Egle di avere un figlio con Rotstein e la posteriore nascita di questo
figlio; la caduta da bambino che e all'origine dell'invariabile disagio di
Bruno ai funerali), sia gran parte delle estensioni (l'atmosfera di prede­
stinazione favolosa della storia di Egle, la canzonetta d'amore che
giunge dai bastioni nella «notizia» di Bruno, i suoi pensieri sul
cancro... ), quasi tutte le funzioni, insomma, esprimono il senso della
morte-vita, sulla quale e condotta, sia nel caso della «fiaba» che in
quello della «notizia», praticamente l'intera - pur se breve - narra­
zione. Tutta la «fiaba» si svolge in funzione della rinascita finale e le
due scene cimiteriali del racconto di Bruno non si compongono d'altro
che di un succedersi di elementi, dicevamo, anti-elegiaci.
In letteratura difficilmente si ottengono soluzioni assolute, che pe­
raltro noi non pretendiamo affatto di imporre. Come il topos avanza a
stento, si muove a volte nell'incertezza e solo con intermittenza e irre­
golarita riesce a farsi una strada, attraverso vuoti pur significativi (per
quanto concerne libri interi, non appare mai né nel secondo né nel
quarto, cioe né negli Occhiali, né in Dietro la porta 20), allo stesso modo
nella conclusione non e che assistiamo ad un suo coronamento non
contestato, per cOSl dire, ad una monopolizzazione senza fessure o
dissonanze. La seconda delle Altre notizie su Bruno Lattes, per esempio,
ripresenta la problematica dell' e sito negativo di un rapporto amoroso,
deB' estraneita, che conduce il personaggio a scoprire «che davvero vo­
lesse dire la parola 'sofferenza'» (p. 685); e nel primo racconto di Les
neiges d'antan siamo invitati a riflettere sul curioso caso del suddetto
Marco Giori, uno dei piu promettenti gigolo della Perrara dell'ante­
guerra, che sembrava dover spaccare il mondo e che invece l'io nar­
20 Dietro la porta, il Libro Quarto del Romanzo, e tutta una parentesi nell'evoluzione
dei nos tri topoi. E percio che non lo prendiamo mai in considerazione nel presente studio.
A dire il vero, saremmo proclivi a vederlo come un testo d'interesse minore che in buona
parte si stacca dal fIlo del Romanzo, in re alta anche di pi\¡ che non I'ultimo libro, L'odore
del fieno, sul quale invece ci soffermeremo a lungo. Dietro la porta, per le problematiche
che approfondisce e per il modo di trattarle, sarebbe forse, ci azzarderemmo a dire, ma
non insisteremo su questo punto, che richiederebbe tutta una serie di argomenti di
sostegno, la pi\¡ importante incrinatura nella coesione del corpus narrativo totale, quasi un
corpo estraneo nella voluta organicita dell'insieme.
133
r='
fY rante ritrova, anni dopo, trasandato e intriso dell' ambiente soporifero
del suo paese, divenuto una figura cOSI «grigia e spenta» (p. 701) come
la schopenhaueriana piazza del posto 21. D'altra parte, L'odore del/ieno,
il grosso della raccolta, porta con sé tutta una serie di proposte innova­
tive, dall'aneddoto autobiografico al testo metaletterario, che, almeno
in principio, sfuggono alla dialettica vita-morte-vita e alla linea ferrarese
generale del Romanzo.
E nondimeno, che la necessaria relativizzazione del nostro discorso
non tolga valore al punto di arrivo che rappresentano per la morte-vita
la prima «fiaba» e la prima «altra notizia» su Bruno e attestato dallo
stesso titolo della raccolta (nelI'edizione 1972 anche a capo, oltre che
dell'intera raccolta, della nostra «notizia» di Bruno), L'odore del/ieno,
che ovviamente fa riferimento a quelI'elemento ambientale-indiziale
proprio di morte-vita del cimitero ebraico.
In un libro come questo ultimo del corpus bassaniano, di una tale
eterogeneita per la natura ed anche, come vedremo, per la provenienza
del materiale, la scelta del titolo non va trascurata, in quanto punta su
una delle differenti direzioni in cui si irradiano i racconti. Oltre a ció,
l'intenzionalita dell'autore puó apparire piu chiara se pensiamo che il
primo volume del Romanzo di Ferrara uscira nel1973, un anno piu tardi
delI'Odore del fieno. In questo contesto di riscrittura ed unificazione
delle prose narrative a cuí stava lavorando Bassani, e gia probabilmente
in previsione della sua integrazione nelIa futura opera omnia, risultava
evidentemente piu adatto vincolare paratestualmente il píu possibile il
nuovo libro al resto del Romanzo, e quindi, d'accordo con la lunga
evoluzione del topos e con lo stato dí cose che aveva lasciato il romanzo
precedente, privilegiare la direzione morte-vita consolidata, piuttosto
che non le tracce rimanenti di vzta-morte o il nuovo indirizzo píu speri­
mentale. L'opzíone per il confortante odore del fieno tagliato del cimi­
tero ribadiva ancora una volta l'ineccepíbile coesione che Bassani ha
voluto dare, anche e soprattutto, alI'assetto definitivo della sua opera
narrativa.
TI libro, questo Libro sesto, mescola racconti nuovi con rifacimenti di
altri gia pubblicati in precedenza. Tra questi ultimi, la nostra prima
«notizia» e quello di Marco Giori riprendono due testi, 11 muro di cinta
e In esilio, rispettivamente, che avevano fatto parte delle Stone ferraresi
del 1960. TI resto di quelle Stone hanno costituito i due primi librí del
Romanzo male (Dentro le mura e Gli occhiali d'oro), mentre Il muro di
cinta e In esilio sono venuti a finire qui, nell ' ultimo. Se proviamo a
chiederci le cause di questo riordinamento, dovremo tener conto, certa­
mente, delIa dimensione delle narrazioni, e, per In esiliq, della localizza­
21 Ancora da studiare í punti di contatto dell'ideologia bassaruana con l'idealismo
negativo, e dunque con Schopenhauer.
134
rlY zione geografica dell' azione. Ma per Il muro di cinta forse non conta
meno il fatto che il racconto sí soffermi sul problema della qualita della
morte, ímpostando abbastanza perspicuamente (anche se la nega, ne
restringe la portata o le pone un punto interrogativo) !'idea di una sua
positivita, attorno alla diafana frase «Solo i morti stanno bene», e
affidandole inoltre una considerevole funzionalita all'interno della trama
o aneddoto, il che ci porta gía piuttosto avanti rispetto allo stadio
prímario, piu vago e periferico, di sviluppo della morte-vita in Dentro le
mura (LiJa Mantovani, Gli ulNmi anni, Una nolte del '43... ). Diciamo,
formulando le cose in un altro modo, che la recisa introduzíone della
frase e del problema fornivano un'occasione per, rielaborando conve­
nientemente il racconto, riaffermare alla fme del romanzo la morte-vÍla
che nel corso di esso si era man mano riempita di forza e di significato
e che era appena riuscÍta a ímporsi sulla main action nell'Airone.
Come vediamo, nella genesi dell'Odore del fieno non c'e solo una
volonta di mettere insieme una serie di racconti minori sparsi, uscití in
diverse riviste e volumí lungo un non breve arco di anni 22. L'operazione
del 1972, di raccolta, ma anche di rielaborazione e di aggíunta di testi
inediti, e da considerare piu profondamente legata alla globale revisione
e risistemazíone di tutto il corpus narrativo, allavoro di confezione del
Romanzo. Lo prova la selezione del titolo, e a confermarlo ci servÍra un
piccolo confronto ravvícinato del Muro di cinta e la «notizia» di Bruno.
Le due stesure del racconto dell'«odore del fieno»
Afferma la Giusi Oddo De Stefanis: «Gia il mutamento del titolo ci
da la chiave per la nuova interpretazíone. Scompare quello che si e
visto come il símbolo della alienata condizíone degli ebrei nel mondo
poetíco di Bassani: 'il muro di cinta', che si tramuta in un símbolo
positivo) nel caldo odore della terra fertile. [... ] Pertanto il símbolo di
morte si tramuta in simbolo di vita. Sara il titolo di questo racconto a
Ínnescare tutta la raccolta, diventando cosI espressione del nuovo mo­
mento psicologico dello scrittore» 2;. Com'e evidente, sono delle con­
22 Lo stesso M.uro di cinta data del 1946. Ignoriamo se dal 1946 al 1960 abbia
subito delle revisíoni e quali (noi avremo sempre presente il testo delle Stone ferraresi). In
ogni caso, e importante tener conto che stiamo tentando di spíegare come mai uno dei
prirnissimi testi bassaniani finisce, radicalmente rielaborato, tra gli ultími del Romanzo
finale.
23 Giusi Oddo De Stefanis, Bassani entro il cerchio delle sue mura, Ravenna, Longo,
1981, pp. 243·244 (il confronto tra 11 muro di cinta e il racconto dell'Odore del fieno in pp.
243-250). Per un'esplorazione delle varianti stilistiche, si vedano, oltre alla stessa Oddo
De Stefanis, Ignazio Baldelli, La riscritturil «totale» di un 'opera: da Le storie ferraresi a
Dentro le mura di Giorgio Bassani, in «Lettere italiane», XXVI, n. 2, aprile-gíugno 1974,
pp. 180-197 (vd. pp. 183 ss.), e Giorgio Varaníni, op. cit., pp. 83 ss.
135
dusioni molto vícine alle nostre. Aggiungiamo soltanto che, significati­
vamente, il titoJo del '60, non eccessivamente modi6cato, e stato
spostato alIe Cinque storie ferraresi deSnitive, Dentro le mura, cambiando
il referente fisico, ma non quello simbolico negativo 24.
NelIa sua analisi delIe due stesure, la Oddo De Stefanis mette in
rilievo, oltre al cambiamento di titolo, le dífferenze tra i due protago­
nistí, Girolamo Camaioli nel '60, Bruno Lattes nel '72: li trovíamo tutti
e due infastiditi al primo funerale, quelIo dello zío, ma, nella specie di
autoritratto che illoro monologo narrato include, il primo si dimostra
complessato, scontento del proprio aspetto fisico, del proprio carattere,
che coincidono con quelli delIa famiglia, laddove Bruno non rassomiglia
in assoluto ai suoi e ne prende marcatamente le distanze con orgoglio e
sdegno. Similmente, mentre la tetra ed assurda ossessione del padre
per la minaccia del cancro Girolamo la raccoglie con un misto di ap­
prensione e di velata polemica, Bruno la riSuta con un'aspra dichiara­
zione di principi frontalmente contrastante, e l' autore implicito gli da in
qualche modo ragione facendo morire lo zio che stanno seppelIendo,
nelIa stesura del 1972, non piu di cancro, come in quelIa del 1960, ma
«in seguito a un attacco di nefrite» (p. 679). L'incerto dissidio di
Girolamo, certamente inclusivo di un senso d'impotenza, tra da un lato
il «muro di cinta», il funerale, la famiglia, e dalI' altro l' «aria aperta»
(¡bid.) delIa canzone d' amore o delIa sentinelIa di guardia la fuori nelIa
garitta, i due elementi che attraggono il suo interesse durante la ceri­
monia, vale a dire tra la prigione caratteriale, tra le limitazioni di un' e­
redita biologico-razziale che non da margine alla speranza, e la voglia di
rompere quei limiti, di andare oltre il muro verso prospettive ed oriz­
zonti migliori, si piega chiaramente in favore della rottura e la libera­
zione in Bruno, che, mezzo cattolico, non impedito daH'handicap biolo­
gico, non percepisce né promuove nessun vincolo tra se stesso e il
corteo di parenti grigi, sgradevoli e piatti che ha davanti. Non le attua
aHora, quella rottura e quelIa liberazione che esprime nelIe sue rifles­
sioni, ma ricordiamo che Bruno si salvera dalI' eccidio e rinascera non
aHa morte, come Geo Josz o Limentani, ma alla vita, in America, al di la
del «muro di cinta». La matrice anti-tragica del fatterello di rívolta
infantile si rinnovera poi in nuove scelte o imprese molto piu deCÍsive.
In Girolamo il peso del sentimento di oppressione, delI'impossibilita
24 La metafora di una Ferrara carcere o tomba, di segno negativo, di vito-mor/e,
ritorna piu di una volta nell'insieme dell' opera, e proprio sulJa dialettica dentro/fuori,
prigíone/evasione, e i simboli corrispondenti, soprattutto spaziali e vittei, si fonda la
lettura della narrativa bassaniana di Anna Dolfi (I! diaframma specu/are della distanza, in
Id., Le forme del sentimento. Prosa e poesia in Giorgio Bassani, cit., pp. 3-52), equipara·
bile a grandi tratti alla nostra proposta di vito-morte/mor/e·vita, ma non senza importanti
divergenze, per quanto riguarda per esempio la concezione della morte (cfr. Anna Dolfi,
op. cit., pp. 40 ss.).
136
r- ' lY
della fuga, frena ancora il salto verso altre iniziative nucleari successive a
quella iniziale da bambino.
Osserviamo parallelamente che dalla seconda stesura scompare il
personaggio pirandelliano dello zio Giacomo, autore al funerale di una
drarnmatica e caricaturale scena di dolore e la cuí figura, nonostante il
salto sociale che ha comportato la sua conversione al cattolicesimo e la
costituzione di una famiglia cattolica, non sfugge per questo al fatalismo
e meschinita generali della famiglia e della «tribu» (p. 678). Lo rim­
piazza la madre non ebrea di Bruno, «sempre cosi allegra, leí, poverina,
sempre cosi semplice e naturale» (p. 679). Se Girolamo poteva trovare
nello zio Gíacomo un correlato non riuscito della sua stessa ansia di
svincolamento dalla propria condizione, l' ascendenza materna serve di
giustificazione genetica alla diversita di Bruno e alla sua disinibita ribel­
lione interiore contro quelli di dentro «il muro».
A questo punto non c'e nemmeno bisogno di far notare che Bassani
altera il racconto riducendo drasticamente quella parte che aveva di
non-vita, quella parte di esso che aderiva alla vita-morte, e facendolo
entrare al massimo nell'ambito della morte-vita, cosi come risulta non
meno evidente che la riabilitazione di Bruno, uno dei pochi tempera­
mentí forti e positívi del Romanzo, non ubbidisce soltanto ad un intento
di sintesi di personaggi, poiché laddove con Girolamo, o diciamo al­
meno col trattamento del Girolamo adulto, Il muro di cinta ci riporta
pressappoco all' opposizione irrisolta o parzialmente risolta degli Ultimi
anni tra inarcatura ambientale di morte-vita e storie di vita-morte, con
Bruno la scommessa va tutta per la prima, per gli indizi vitalistici (del
resto piu sviluppati nel 1972: notiamo il passaggio da «un odore acuto
di fieno rianirno il corteo oppresso dal caldo», Le storie ferraresi, Torino,
Einaudi, 1960, p. 8, a «un odore acuto di fieno tagliato sopraggiunse a
rianirnare il corte o oppresso dal caldo. Che sollievo. E che pace. Ci fu
subito un brusco, quasi allegro agitarsi simultaneo», Il romanzo di Fer­
rara, p. 678).
Ci resta ora da vedere la sconcertante frase di Girolamo-Bruno
bambino al secondo funerale, quello del nonno. Premettiamo di tro­
varci di fronte ad una pagina di psicologia infantile che non ignora gli
insegnamenti freudiani e che quindi permette una lettura sulla base di
quelle teorie. Attratto dalle zanzare e dalla vastita del cimitero appena
faleiato, Bruno «si era messo a giocare per conto proprio» (p. 681), si
stacca dalla comitiva che circonda la fossa e comincia a correre dietro
agli sciami, lasciandosi portare dal proprio impulso, ignaro di star in­
frangendo i canoni del comportamento sociale. Dopo che e caduto, la
madre accorre in suo aiuto e lo rimprovera: «'Se stessi un minutino
fermo! Non lo sai che il nonno Benedetto e morto?'» (ibzd.). Vuole
inculcargli un primo tabu, il valore sacro e tragico della morte; comincia
a fargli assumere una coscienza morale regolatrice. Ma illavoro pedago­
137
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gico-censorio richiede un certo tempo. La prima volta Bruno non ca­
pisce, e procede com'e solito procedere, col gioco. Con le parole ai
bambini piace proprio giocare come se fossero cose, associare le unita
linguistiche non tanto a seconda del loro significato o referente quanto
a seconda del significante, a seconda del suono. n piacere, traguardo
non auto-vietato di tutti gli atti infantili,deriva dal «risparmio di di­
spendio psichico» e dal «ritrovamento del gia noto», per dirla con lo
stesso padre della psicanalisi 25. E infatti l' automatismo del ricordo
quello che fa scattare in Bruno la curiosita e l'azione. Prima un ricordo
visivo: le zanzare gli riportano alla mente i caccia che ha visto anni
prima durante la guerra. Poi il ricordo acustico, fonico, suscitato dal
participio «morto» usato dalla madre: <<.Aveva tardato a rispondere.
Infine, ricordandosi di una frase che aveva sentito pronunciare dal papa
quella mattina stessa, a tavola, l' aveva ripetuta pari pari quasi senza
accorgersene: uguale identica» (p. 681). E la frase-chiave, «'Solo i
morti stanno bene'». Esercitando il pieno libero arbitrio della psiche
della prima infanzia, Bruno prescinde dal principio di contraddizione
(zanzare = caccia) e dalla logica semantica dellinguaggio (nella sua ri­
sposta non c'entrano né il significato né il bagaglio etico e culturale
della parola «morte»).
Nella versione del '72 non c'e piu, nella prima parte del racconto,
quella del primo funerale, il termine di rinvio della frase del bambino,
cioe il brano di contestualizzazione della frase del padre, che fa parte
della sua fissazione per il cancro:
Era il suo pensiero dominante; il pensiero dominante dell'intera famiglia.
Dopo il funerale - prevedeva Girolamo - suo padre avrebbe parlato della
malattia e della morte, che adesso come non mai avrebbe intuito imminente.
«Quante sofferenze, prima di chiudere gli occhi, povero Celio!», avrebbe detto.
«Ma dopo la morte non c' e piu nulla. Solo i morti stanno bene. Come vorrei
gia essere sottoterra con loro». Solo i morti stanno bene: era la sua frase
preferita. Doveva ayer fatto scrivere qualcosa di simile anche sulla lapide del
nonno Benedetto (Le storie ferraresi, cit., p. 9).
La morte che ci sgrava dal dolore della vita. Si tratta di una conce­
zione da affiancare, que sta volta, aquella degli etruschi del Prologo del
Giardino, anche se e vista, con gli occhi di Girolamo, meno positiva­
mente, ed e resa piu pregnante ma, quantunque ossessiva, anche piu
circostanziale, dalla recentissima malattia e morte dello zio Celio. Nel­
l'Odore del fieno, tolto, o quasi, illegame della frase con la contingenza
25 Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua rela1.ione con l'inconscio (1905), in Id.,
Opere (1905-1908), Torino, Boringhieri, 1981 4 , pp. 1-211; vd. pp. 107 e 108. Sul modo
di trattare illinguaggio che ha il bambino e sul processo educativo in genere, sempre in
rapporto al linguaggio, si veda il citatissimo capitoletto Il meccanismo di piacere e la
138
[=' g
e con la sfumatura consolatoria (sappíamo solo che Bruno ripete una
frase del padre), l'identita morte-vita viene fuori molto piu schietta­
mente, molto meno mediata o amputata, in una prospettiva piu ampía e
neutra. Anche con questa modifica passíamo dunque da una fase inter­
media tra gli Ultimi anni e il Giardino, cioe dal '60, ad una tappa post­
Airone, al '72.
Confrontiamo il momento preciso di enunciazione della frase:
«Ma cosa hai fatto, Mino, perché
non stai fermo un momento? Non sro
che il nonno Benedetto e morto?», gli
aveva detto la mamma, quando lo
aveva raggiunto.
«Solo i morti stanno bene», aveva
risposto, quasi senza accorgersene,
ma sapendo, forse per la prima volta,
di mentire. E aveva alzato gli occhi,
incerto.
La mamma, sorrídendo come solo
sanno sorridere i morti nella me­
moria, pieni di compatimento e di in­
dulgenza (aveva gli occhi cerchiati, a
causa delle lunghe veglie passate al
capezzale del suocero negli ultimi
mesi della sua lunga, dolorosa ma­
latda), gli aveva posato dolcemente
una mano sulla bocea. Quindi gli
aveva legato un fazzoletto al ginoc­
chio (Le stode ferraresi, cit., p. 11).
«Cos'e che tí seí fatto», aveva gri­
dato la mamma quando, trafelata, lo
aveva raggiunto. «Se stessí un minu­
tino fermo! Non lo sro che il nonno
Benedetto e morto?»
Aveva tardato a rispondere. In­
fine, ricordandosí di una frase che
aveva sentíto pronunciare dal papa
quella mattina stessa, a tavola, l' aveva
ripetuta parí pari quasi senza accor­
gersene: uguale identica.
«Solo í morti stanno bene», aveva
detto, sospirando proprio come il
papa. E intanto alzava le palpebre a
guardarla, la mamma, la sbirciava di
sotto in su.
Dopo averlo fissato abbastanza a
lungo coi suoi begli occhi marrone
profondamente cerchiati a causa delle
molte notti trascorse al capezzale del
suocero durante gli ultimi mesí della
sua malattia, e ció nonostante piu vivi
e piu luminosi che mai, la mamma gli
aveva posato una mano sulla bocea.
Quindi, chinatasi, gli aveva asciato il
ginocchio col fazzoletto (Il romanzo di
Ferrara, p. 681).
TI piccolo Bruno fa l'asseverazione «quasi senza accorgersene»,
quasi inconsapevolmente. Nell'infanzia, le pulsíoni inconsce solitamente
ci riescono, a sporgersi fuorí, a manifestarsi esternamente, anche di
frequente e senza troppe diffícolta, prima di essere fatte sprofondare
negli stratí nascosti della vita psíchíca per la loro pericolosíta nei con­
fronti del mantenimento della convivenza civile. «'Solo í morti stanno
bene'» e soprattutto un richiamo fonico, ma ogni unita linguistica acco­
muna per forza significante e significato e, anche se qui per l'emissione
dell'enunciato conta fondamentalmente il significante, un significato,
psicogenesi Jei motti di spirito, ibid., pp. 105-124 (vd. anche pp. 198-203). SuIla forma­
zione del super-io, della coscienza morale, sempre di Freud, Introduzione al/a psicoanalisi
(Nuova sen'e di ¡aionO (1932), in Id., Opere (1930-1938), Torino, Boringhieri, 1982 J, pp.
115-284; vd. pp. 174 ss.
139
r
(YJ pur se involontario, c'e lo stesso, ed e un significato, essendo detta
com' e detta la frase tutta isolata, radicalmente amorale, contrario ai
principi etici piu elementad, contrario al principio fondamentale della
vita. La frase ha una potenzialita distruttiva (L'airone), esprime appunto
una pulsione di morte 26. Di conseguenza, la madre, ripetiamo, rappre­
sentante ed incu1catrice dell' ordine sociale, agisce di nuovo e fa tacere
Bruno.
La stesura del 1960 conduce pero l' episodio su binad leggermente
piu intricati, dal momento che lo stesso Bruno, immediatamente dopo
aver pronunciato la frase, e guindi addirittura prima che la madre gli
posi la mano sulla bocea, compie egli stesso un' operazione di rimo­
zione: «ma sapendo, forse per la prima volta, di mentire». Al «guasi
senza accorgersene» succede il «sapendo», e ad un'affermazione la sua
negazione: all'inconscio la coscienza, la coscienza morale, il super-io, che
provvede a punire l'io ribelle che si fa trascinare dal moto pulsionale
irrazionale con, in guesto caso, il meccanismo di imporre la negazione
di guel che e stato detto o pensato e di destare in lui il sentimento di
colpa 27. Complicano ancora le cose in primo luogo l' «incerto», e poi il
sorriso trasfigurato della madre, molto ambiguo, che in parte introduce
una nota discordante nel suo profilo estremamente positivo e in parte,
visto come sorriso di morte-vüa, costringe il lettore a riirnpostarsi la
validita di guel che e stato appena negato, della frase del bambino.
Nella «notizia» del 1972 tutti questi eIementi sono stati soppressi:
l' avversativa di auto-censura, l' «incerto», il sorriso (sostituito dai, piu
complici che indulgenti, «begli occhi marrone [ ... ] piu vivi e piu lurni­
nos1 che mai»), e anche agli aggettivi negativi della malattia dello zio. In
guesto modo, in consonanza con il superamento che leggiamo nel
Bruno adulto della posizione ambivalente del Girolamo adulto, nel
trattamento del topos morte-vita in guesto brano finale svaniscono nel
1972 molte delle titubanze e reticenze che persistevano nel 1960; guel
che c'era di trattenuto viene in buona rnisura liberato, e l'impostazione
generale asseconda piu uniformemente e chiaramente la fuoriuscita
della massima e la suggestivita di segno positivo che genera.
La diligenza educativa della madre ha comungue, a lunga scadenza,
1 suoi effetti. A Bruno, a ventÍtré anni, con, oltre ad una personalita ben
definita, un super-io gia istituito ed operante, non scappano piu frasi
mostruose, né lascia la cerimonia ed esce dal cimitero verso l' «aria
aperta» dove gualcuno sta cantícchiando una canzone o verso la polve­
riera a chiacchierare col soldato. Ma, ció nonostante, la voglia di an­
26 Per la teoria delle pulsioni, Sigmund Freud, ibid., pp. 210 ss. Qppure Id., Com­
pendio di psicoanalisí (1938), ibid., pp. 567-634; vd. pp. 575 ss.
n Si veda Sigmund Freud, La negaz1.one (1925), in Id., Opere (1924-1929), Tocino,
Boringhieri, 1981 3, pp. 193-201.
140
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fY darci, 1'impulso c'e. La pulsione, quella che e sorta e SI e espressa a
nove anni, viene poi messa sotto controllo, sotterrata e lasciata in uno
stato di latenza, ma da dietro le quinte dell'inconscio, non morta, anzi
rima sta immutabile, aspira costantemente a riapparire, preme sull'io per
tornare sul palcoscenico, al che desce solo sporadicamente (ad ogni
funerale) e molto contenuta, sezionata, ridotta nella sua carica aggres­
siva.
Nel passaggio di cerniera dal primo funerale aquello dell'infanzia, il
movimento analettico nell'Odore del fieno non e piu avviato dal verbo
enunciativo «rammentava», come nel Muro di cinta:
L'impazienza, l'agitazione quasi
forsennata dalla quale si sentiva tor­
mentare [ ... ], aveva comunque radici
molto remote, in luí, credeva di sa­
pere. TI nonno Benedetto - rammen­
tava -, quando nell'agosto del 1920
era morto [ ... ] (Le storie fe"aresi, cit.,
p.lO).
Tuttavia lo sapeva, eccome se lo
sapeva! L'impazienza, l' agitazione
quasi forsennata dalla quale adesso
[ ... ] si sentiva tormentare [ ... ], non
nascevano affatto, in lui, per reazione
immediata, dalla stupida coroée che gli
era stata inflitta oggi, ma da assai piu
lontano, da lontanissimo: da un punto
del passato perduto in fondo a una
lontananza quasi infinita.
Ai funerali del nonno Benedetto,
nell'agosto del 1924 [ ... ] (JI romanzo
di Ferrara, p. 680).
Non piu ricordo consapevole, bensi una sorta di eco proveniente da
una «lontananza quasi infinita», tanto interiore quanto temporale,
siamo persuasi a dire. Pare perfettamente possibile, in definitiva, affer­
mare che que sto testo, e piu palesemente nella seconda stesura, non
racconta altro che la nascita e il ritorno (la narrazione segue l' ordine
inverso, prima il ritorno e poi la nascita) di un impulso irrazionale, e
cioe la storia di una pulsione inconscia. TI malessere, «1'agitazione for­
sennata», la «sorda rabbia» (p. 678) di Bruno adulto al funerale dello
zio, ai funerali in genere, trova la sua causa in un lieve trauma infantile,
in una birichinata che finisce infaustamente, con una caduta ed una
ferita, e che malgrado la sua apparente insignificanza lascia la sua im­
pronta sull' essere il cui codice raziocinativo e in via di costituirsi. Si
imprime nella mente del bambino illato spiacevole dell' esperienza, ma
anche lo spirito d'insubordinazione inerente ad essa e la scintilla di
morte-vÍfa che in quell' occasione salta fuori in un modo assolutamente
imprevisto (cosi suole innescarsi 1'inconscio) da un gioco innocente di
omofonie. Quella scintilla irrazionale e inconsapevole e poi trasformata,
razionalizzata, nella sfidante e strafottente presa di posizione contro il
fantasma del cancro-morte, esposta per mezzo di un monologo inte­
riore ormai conscio e intenzionale. Abbastanza rarefatta e travestita,
molto piu che in Limentani, non c' e bisogno di dirlo, la pulsione ce la
fa pero ancora, come vediamo, a prospettarsi nel personaggio adulto,
141
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dall'intemo del personaggio, e soprattutto a comunícargli la sua anti­
tragicita.
Una proposta d'interpretazione psicanalitica
Stupisce , dopo tutto quanto veníamo dicendo, la «secca diffidenza
manifestata da Bassani nei confronti dei fondamenti scientifici della
psicanalisi, dell'opinabílita di tale disciplina» 28. La scrittura e riscrittura
del racconto di Girolamo-Bruno paiono contraddirlo e dirnostrare in­
vece un' assimilazione narrativa, programmatica o no, della lezione freu­
diana. E forse ci sorprende di piu, quella diffidenza, ma quí e giil
strettamente necessario non perdere di vista la distinzione tra lavoro
creativo ed interpretazione critica, quando, essendo porta ti dall' anallsi
della «notizia» a rivedere tutto il percorso della morte-vÍ!a sotto la luce
della sua ídentificazione con una spinta pulsionale, scopriamo non inat­
tendibile un'interpretazione del suo lento itinerario ascendente proprio
come il faticoso, incostante ma pertinace riaffiorare, imporsi e raziona­
lizzarsi di una pulsione di mone. Non a caso il topos compare volta per
volta in momenti o situazioni di caduta della coscienza critica o morale,
momenti cioe per la maggior parte ricondudbíli al quadro freudiano di
manifestazioní esterne piu o meno sproporzionate e piu o meno incon­
trollate dell'inconscio in eta adulta 29.
Maria Mantovani percepisce contemporaneamente l'ambiente di
festa sullastrada e l'irreversibile deterioramento della sua facolta audi­
tiva, in una fase quindi della malattia ormai di bassa e stentata operati­
vita dei sensi e del cervello che li decodifica. Presumibilmente varcata o
in corso di essere varcata la soglla del delirio, l' autore implicito d fa
infatti dubitare della realta (o della corretta lettura) della percezione
corred andola di un certo alone onírico.
In Clelia la pulsione prende la forma della fantasticheria, del sogno
28 Alberto Limentani, La narrativa di Giorgio Bassani, in «Studi novecenteschi», vm,
n. 21, giugno 1981, pp. 47-81; vd. p. 59 (Limentani ritíene pero possibile, giustamente,
«una lettura d'ordine psicanalitico» a partire da un famoso passo di poetica dell'ultimo
racconto dell'Odore del fieno, p. 732, che noi non abbíamo riportato ma che puo proprio
essere visto come un'assunzione della morte-vila a criterio estetico e procedimento lette­
rario). Per la «secca diffidenza» di Bassani, si veda Giorgio Varanini, op. cit., pp. 11·12
(intervistal.
29 Corriamo qui il rischio di cadere nel «contenutísmo grossolano» che, praticato da
molta critica psicanalitica, Francesco Orlando Muta categoricamente: «la decifrazione
perpetua dei pochi simboJi fissi che entrano in quelle opposizioni, fallo e castrazione,
padre e madre, stato prenatale e nascita, vita e morte, alimentí ed escrementi» (Per una
teoría /reudiana della letteratura, Torino, Einaudi, 19873 , pp. 21·22 (e ss.)). Senonché mi
pare di aver dimostrato sufficientemente I'importante impiego dell'opposizione, dell' op­
posizione vitwmorte fondamentalmente, nella narrativa bassaniana, e non soltanto a Ji.
vello di contenuti ma anche di strutture, di forme, anzí di «forma del contenuto», per
usare un'espressione cara allo stesso Orlando (ibid., pp. 36 ss.).
142
rlY \
ad occhi aperti, ma non quello piiI metodico, piiI intellettualizzato,
quello piiI veementemente perseguito e piiI fattibile, della «rinascita del
socialismo italiano» (p. 121), bensi un capriccio bizzarro, sciocco, pas­
seggero, proferito spontaneamente, lasciato andare in un intervallo di
dístrazione dal discorso portante, dalla teoria astratta. A differenza di
Maria Mantovani, o del Bruno bambino dell'Odore, la Trotti si rende
conto dell' errore empírico, e la facolta critica e intellettiva frena subíto
la scivolata nell'inconscio, facendola apparíre assurda, fuor dí luogo,
anarcruca. Solo che proprio la realta empírica, la imprevedibile realta
deí fatti (ancora l' autore implicito), le elargíra lo statuto di verita, e
invece respingera nel fallimento l'illusione calcolata.
In Pino Barilari riscontriamo la prima estrinsecazione patologica
della pulsione. Limentani accusera deí turbamentí fobicí e nevrastenici
non leggerí, una nevrosí di angoscia; non gli manchera maí, tuttavía, la
lucidita, la capacita di discemimento, la consapevolezza deí propri attí.
Effetto collaterale della paralisi d'origine sífilítica, poi aggravato dagli
eventí traumatici (pubblici e prívatí) a cuí assiste nella «notte del '43»,
Barilari patísce invece un processo dí vera ~ propria alienazíone men­
tale, o almeno di avviamento verso di essa, con recessione infantilistica,
delle manie ossessive, un atteggíamento dí libera espressíone deí due
generi dí pulsíoni freudíane (<<uno sguardo nel quale brillava una luce
[... ] insolente e impudica insieme», p. 139), ecc.
TI tenore piuttosto angusto del delirio da moríbondo o da folle e del
desiderío stupido sarebbe sorpassato decísamente dal Prologo del Ciar­
dino. Agli etruschí «l'eternita non doveva piiI sembrare un'illusione, una
favola, una promessa da sacerdoti» (p. 252). Loro si costruiscono una
speranza dí morte alla luce deUa coscienza pensante riflessiva, col suo
patrocinio e conruvenza. La pulsíone acquísta un significato (<<venivo
tentando di figurarmi concretamente cío che potesse significare [il cor­
sívo e mio] per i tardi etruscru dí Cerveteri [... ]», ibid., in cuí «signifi­
care» va inteso anche nella sua accezione concettuale), e riuscita a
sollevarsi dal suo stato magmatico di latenza, indeterminatezza e con­
tradittorieta ed e penetrata nella parte lucida della mente, si e fatta
permeare dall'io analitico (e comincia gía ad essere posto in bilico il
super-io morale), si e fatta dare una causa logica (il periodo storico dí
declino, la vita-morte) e un paradigma semantico (etemita, protezione,
bellezza ... ), insomma, ha acquísito una formulazíone linguistico-specula­
tiva, razionale. Inoltre, ha invaso una estensione della psiche sveglia
abbastanza ampia da poter rícevere una garanzia di realta nel futuro,
una garanzia di realizzazione sul piano dei fatti.
L'importante avanzamento di questo «significare» e pero ridimen­
sionato, prima ancora che dal suo isolamento episodico, dal «venivo
tentando dí figurarmí concretamente cio che potesse», dalla mediazione
fondamentale del narratore omodíegetico, attraverso la quale viene ese143
rIYI guita (in questo caso dírettamente da fuori dei personaggi meSSl m
causa, dírettamente da fuori del narrato) un'opera di mascheramento:
la gia consapevole morte-vita etrusca e sol tanto il prodotto delI' esercÍZÍo
immaginativo di un visitatore delIa necropoli di Cerveteri. T orniamo
alla fantasticheria, sebbene la maggiore articolazione e volonta oggetti­
vante (e implicitamente universalizzatrice) delI' approccio, il «tentando
di figurarmi concretamente», implichi sempre una maggior dispendio
razionale rispetto al ghiribizzo, al «Ci crede? A me piacerebbe [ ... ]» (p.
129) di Clelia negli Ultimi anni.
NelI'Airone, lo spettacolo degli animali imbalsamati apre repentina­
mente la valvola d'uscita all'impulso distruttivo: «sentiva lentamente
farsi strada dentro se stesso, ancora confuso eppure rieco di misteriose
promesse, un pensíero segreto che lo liberava, che lo salvava» (p. 652).
La pulsione occupa subito l'intero spazio e tempo psieologico del perso­
naggio. Senza distruggerlo né alienarlo, conquista l'io, annulla il super­
io, awince la volonta e alla fine raggiunge nel suicidio il SUD obíettivo, il
suo totale soddísfacimento, l'appagamento. In Limentaní la pulsione
riesee a eoinvolgere in se stessa, su un piano di estrema coerenza e
consapevolezza, non solo tutto l' apparato delIa ragione, ma anche, di
conseguenza, i dad esterni delIa realta e la prassi delI' azione, fmo al
punto finale di trascendersi come pulsione.
TI «lentamente farsi strada dentro se stesso» delIa morte-vita írrazio­
nale partiva da una percezione, dicevamo, un' eco, proprio, tenue e
confusa, forse írreale; saliva poi allivelIo di desiderio bizzoso e inconsi­
stente, consapevole, ma eompiuto un po' come casualmente, senza il
concorso delIa volonta delI'individuo; in se guito, in Barilari, s'imposses­
sava gia delIa mente, prescindendo pero, oltre che dalla volonta, dalla
stessa capacita di eomprensione. JI muro di cinta lo rimuoveva, l'im­
pulso, e lo riduceva a manifestazioni saltuarie e ad una tensione interna
írrisolta, ma lo formulava e apriva il processo di riflessione e razionaliz­
zazione che, continuato, ancora a tempo parziale (le passeggiate dome­
nieali) e in modo passivo, ma con piu adesione, piu positivita e piu
precisione definitoria, dagli etruschi, toeca l'apice nelI'ultimo romanzo,
investendo l'universo reale e rÍcuperando la consistenza, la stabilita, se
vogliamo chiamarla cosi, che (sebbene su scala ridotta) esso aveva gia in
Una notte del '43. L'airone salva, in una parola, il divario tra comporta­
mento non razionale (Una notte del '43) e razionalita non agente (Ji
muro di cinta, il Prologo). Dopo tutta una sftlata, anche sotto questa
chiave di lettura, di proposte parziali, non priva d'intoppi, si finisce nel
romanzo del 1968 col far eonfluíre, elevate alla massima potenza, ac­
canto al SUD valore positivo e alla sua immediatezza lirica (lettura morte­
vita), la tendenza conscia, la compiutezza razionale, l'estrinseeazione, la
forza agente e il carattere totalizzante di quelIa che secondo noi puo
essere identificata come una pulsione di morte.
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E L'odore del fieno, alIora? Retrocediamo in tutti gli ambiti appena
elencati, ma in compenso si generalizza e regolarizza l'impiego narrativo
delI'ístanza psicanalitica. n Bruno adulto rimuove: senza farsi sopraffare
dal suo superstrato censorio, resiste pero anche alIa víolenza delIa
«sorda rabbia». Se do rappresenta per la pulsione una sconfitta relativa
dopo L'airone, íl racconto veniva pero da noi interpretato nel suo in­
sieme come la narrazione delIa storia di quelIa pulsione. Un angolo
d'incidenza tale sulIa diegesi narrativa non lo rintracdamo in altro luogo
prima di quest'ultima raccolta. Accertiamo quindi la perdita di forza
delI' ente inconsdo simultaneamente ad un suo profuso dílagare nelIa
storia narrata, e fin qui siamo d'accordo con la lettura topologica. La
novita e che, mentre íl concetto di morte-vita, piu quelIo di vita-morte,
consentivano di collegare con íl resto del Romanzo di Ferrara una fascia
non troppo ampia di testi di questo Libro sesto (i due settori piu esigui
dei tre che avevamo indivíduato), quest'altra ottíca, íl termine pulsione,
ci da 1'0pportunita di determinare una concatenazione, se non piu ro­
busta, almeno tale da abbracciare tutta la raccolta, alI'insegna proprio di
una larga continuita delIa voce psícanalitíca, di una sua propagazione e
banalizzazione.
Lo appuriamo, oltre che nelIa prima «notizia» su Bruno Lattes,
nelIa prima «fiaba», che lo e quasi a regola d'arte, una fiaba, dato che
da quelIa tradizione popolare ricava molteplici stilemi stilistici, motiví
tematíci e tecniche strutturali, cosi come l'atmosfera irreale, atemporale
e fantastica, sicché tutto sommato (e aquesto íl partícolarismo storici­
stico topografico, onomastico, ecc., in que sto libro oramai esacerbato e
a volte quasi enumerativo, aiuta tanto quanto ci si oppone) íl racconto
segue chiaramente la vía delIe ben note affinita tra genere fiabesco e
subconscio irrazionale, sfruttate da non pochi scrittori del secondo No­
vecento (basti pensare ai sudamericani). Come controprova di questo,
la seconda delle Due ¡iabe, significativamente, tutta giocata su una ripe­
tuta interferenza e sovrapposizione tra íl piano delIa «víta» e íl piano
del «sogno», non ha molto di fiabesco, ma SI dunque di onírico, per cuí
solo la componente irrazionale, iperreale o sub-reale, la accomuna alIa
prima, con la quale e stata accoppiata.
Dopo la sezione íniziale e la prima «notizia», negli altri testi l'im­
pulso profondo continua a fare da protagonista, a emergere o a stare in
superficie, in qualche caso represso ed ossessivo, sotto forma di ango­
scia (1'eros del Bruno della seconda e terza «notizie»), ma íl piu delIe
volte (per esempio íl tema del dho, la pulsione di fame nei Yre apo­
loghi, o i ricordi di episodi víolenti d'ínfanzía in Ravenna) incontestato e
insostanziale, coIto in momenti frequentí, ma casualí e puntuali, non
piu bisognoso di razionalizzazione né di grandi ripercussioni fattuali.
Fino al punto che anche quando e ancora oggetto di interrogazíone o di
speculazione (Les neiges d'antan), anche quando causa un evento dram­
145
r-g
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'
matico (la fuga di Pelandra dalla casa coniugale, la sua scomparsa, nel
secondo delle Neiges), non andiamo al di la di una sorpresa o una
curiosita superflue e compiaciute, spesso non prive di un tocco ironico.
La parola d'ordine della raccolta non la da tanto lo smamoso Bruno
quanto la sua esuberante ed indolente Adriana: «Cedendo ad uno dei
suoi subitanei impulsi irrazionali, magari per semplice curiosita, un
giorno o l' altro lei gli avrebbe telefonato» (p. 683).
Com'e facile irnmaginare, da quí consegue l'inflessione narrativa
verso il gusto delI' aneddoto e il rimpicciolimento dei nuclei, la diluí­
zione dell'intreccio che cóntrassegna rOdare, libro di frantumazione del
romanzo in piccoli opuscoli disorganici tra di loro e attraversati da nessi
dialogici deboli, soprattutto se la pietra di paragone e la struttura mas­
siccia a cui ci ha abituato il Romanzo. L'intratesto bassaniano, e chiaro,
rimane sempre fedele, come abbiamo detto all'inizio, ad una poetica di
narrativita e di mimetismo realista e alla faccia logico-referenziale del
llnguaggio, non aderisce in nessun momento a posizioni di radicale
rottura linguistica o strutturale quali il flusso di coscienza joyciano, le
alternative delle avanguardie (o della neoavanguardia in particolare) o
neanche il poeme en prase, che si collocherebbero proprio in seguito,
come passo successivo allo sperimentalismo di minuscole ed eterogenee
unita-racconto e di realta argomentali singolari e minod (al limite con
l'irreale) di questa ultima raccolta. A parte le poche pagine propria­
mente oniriche, Bassani, dal primo all'ultimo libro del Romanzo, non
rappresenta mai l'inconscio in se stesso, nel caos - o in una proiezione
libera del caos - del suo sostrato psichico profondo, sconclusionato,
bensi il suo affíoramento alla realta intelligibile, alla vigilia dell' espe­
rienza oggettiva o della ragione, il che si ottiene piu agevolmente
quando il narratore rivolge il suo occhio a bisogni o reazioni elementari,
viscerali, come fa appunto nell'Odore.
Forse possiamo sostenere, questo s1, che prima ancora che sul nar­
rato, e adeguandosi sempre allinguaggio del mondo sveglio, I'Es, l'in­
conscio, si esterna sulIa narrazione, e converrebbe allora riferirsi, ancora
una volta, aquella struttura massiccia, alla ferrea ed armoniosa architet­
tazione dei testi del Romanzo sulla quale tanto abbiamo insistito. Re­
stando quindi in ambito interpretativo psicanalitico, se l'Odore po­
tremmo dire che mette in pratica, in pratica narrativa, piuttosto dei
procedimenti vicini alla condensazione e allo spostamento che Freud
vede funzionare nel sogno e nel motto di spirito JO, la simmetria costrut­
tiva che, in maggior o minor mísura, in chiave di rovesciamento o no,
privilegiano le altre opere, dovrebbe farci richiamare il modo di essere
simmetrico, omogeneo e indivisibile altrettanto attribuito al mondo
JO Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, cit., pp. 14-79
e 142-160.
146
della psicología profonda JI e, anche se valido per una teorizzazione
globale dell'oggetto letterario e della iterativita sintagmatica che lo di­
stingue, troppo frequentemente utilizzato da Bassani nella composi­
zione del testo, troppo coscientemente applicato, e troppo messo in vista,
precisamente troppo portato -alla superficie, Per non attirare particolar­
mente la nostra attenzione, a cominciare da Lida Mantovani e fino
alI'Airone. L'esposizione esterna dell'istanza insconscia, da questo punto
di vista, awerrebbe nel Romanzo a tre livelli: la cornice o spazio struttu­
rale-testuale del racconto-rappresentazíone, la cornice o spazio ambien­
tale del narrato-rappresentato, e il centro umano del narrato-rappresen­
tato, con una tendenza alla focalizzazione secondo quest'ordine, poiché
il primo livello marcia a pieno rendimento dal primo racconto, mentre
gli altrí due vengono a galIa píu avanti e píu arduamente, e píu avanti e
píu arduamente il terzo del secondo.
Un'ultima considerazione, tornando alIe prime mosse del nostro
studio. La geometría compositiva per la quale abbiamo appena ipotiz­
zato un fondamento inconscio favoriva, ricordiamo, una ricezione gra­
devole e non eccessivamente turbata dei testi. Controbilanciava, in­
sieme ad altrí elementi, i movimenti «enigmatici» e dispersivi, scombus­
solanti, dei personaggí. Secondo Freud, non tutta la libido viene ri­
mossa o repressa; una parte della sua energía e sublimata nel lavoro
intellettuale, per esempio nella creazione (e fruizione) dell'opera
d'arte J2 • Se infatti, come abbiamo proposto, nella trasparente e raf­
finata artificiosita letterario-strutturale bassaniana, si estrinseca implicí­
tamente, cíoe si libera, sí scarica energía pulsionale, non e sbagliato
alIora parlare, come si e suggerito a proposíto dell' operazíone di recu­
pero del passato che compie il Romanzo J3, o a proposito piu specifica­
mente della coincidenza della stesura dell'Airone con una erisí personale
dell'autore (testimoniata da lui stesso)}\ di scrittura liberatrice, esorci­
stica; anzi bisogna non limitare questo esito o que sta implicazione mo­
rale al problema del rapporto con il passato o ad un solo soggetto reale,
l' autore, ma riconoscere la sua funzionalita nei confronti di tutto lo
psicologismo del Romanzo e, fuori dell' autonomía del testo, estenderlo,
}I Ignacio Matte Blanco, L'inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bí·logíca, To­
rino, Einaudi, 1981; vd. pp. 63 ss. e 345 ss. per la logica anaclitica, e anche 345 ss. e 384
ss. per i principi di generalizzazione e di omogeneihl.-indivisibilita.
J2 Si veda Sigmund Freud, Il dísagio del/a civiltd (1929), in Id., Opere (1924-1929),
cit., pp. 553-560; vd. pp. 571-572 e 574-575.
JJ Molto ímperniate su un effetto di catarsi, di puríficazione, di maturazione e di
autoaffermazione interiori le letture del viaggio retrospettivo bassaniano della Oddo De
Stefanís, op. cit., e della Marílyn Schneider, Vengeance ol!he Victim: History and Symbol in
Giorgio Bassani's Fiction, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1986.
J4 Oddo De Stefanis, op. cit., pp. 213 SS.; Marílyn $chneider, A Conversion to Death:
Giorgio Bassani's L'airone, cit., p. 131; Perché ha seritlO L'airone. Conversaxione con
Giorgio Bassaní, a cura di Manlio Cancogni, in «La Fiera Letteraria», XLIII, n. 46, 14
novembre 1968, pp. 10-12 (vd. pp. 10-11).
147
rg oltre che alla creazione, alla ricezione, alla fase di lettura. Cosi facendo
si puo verificare, in effetti, che il grado di sublimazione artistico-struttu­
rale e lirico-rappresentativa della pulsione violenta, o, in altri termini,
della tensione inerente ad una condizíone umana che non puo piu
ricattare se stessa (solo, ricordiamo, in vírtu della tragedia storica),
senz' altro oltrepassa in Bassani di non poco la media di impegno catar­
tico che potremmo ricavare dal complesso di tutta la letteratura del
nostro secolo che si e misurata con le miserie solipsistiche dell' anima
dell'individuo contemporaneo 35.
SUMMARY
The inversion of the topies «life» and «death" into two poles - a negative one "life­
death» and a positive one «death-life» - is manifested with insistence as one of the main
ideological-structural axes of Il romanzo di Fmara, the nove! in which Giorgio Bassani
condenses alI the major charactensties of his narrative. To prove this thesis the essay
follows the development of these two motifs (especially the latter), revealing theÍr evolu­
don, consequently, as strongly functional to the cohesion of the «opera omnia». This is
also confirmed by the work of revision which the wnter has imposed on his texts, as can
be observed in the concrete case of the rewriting and the change of rollocation (from the
first to the last «booh of the Romanzo) of the tale Il muro di cinta.
Starting from a detailed analysis of this short story, a new journey through the
«death-life» pole, this time from a psychoanalytic point of view, it is finally possible to
hypothesíze new unifying links throughout the whole of the Romanzo, especially between
the ¡ast «booh, L'odore del fimo (atypieally Bassanianl and the rest.
3' Gian Carlo Ferretti ha impiegato spesso il concetto di «sopramondo letterario» o
«sopra-mondo poedco-nostalgico» (útteratura e ideologia. Bassal1i Cassola Pasolil1i, Roma,
Editon Riuniti, 1964, pp. 24-65; La letteratura del rifiuto, Milano, Mursia, 1968, pp. 26
ss.), sebbene l' abbia sviluppato in un senso leggermente diverso dalle nostre tesi, poiché
in que! "sopramondo» luí include dal primo momento e in tutte le sue forme anche
l' «enigmaticitil» e l'indefinízione.
148
rg 
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