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Il romanzo tra Ottocento e Novecento

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Il romanzo tra Ottocento e Novecento
Il romanzo di primo Novecento e la rottura con la narrativa
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(Prof. Guido Mazzoni Università di Siena, 10 Novembre 2009)
Sintesi della trascrizione della lezione
IL ROMANZO OTTOCENTESCO
Che cos'è il romanzo ottocentesco? Come il romanzo del 900 definisce se stesso e la
propria rottura?
Innanzi tutto quando si parla di romanzo ottocentesco si ha in mente molto spesso il
predominio del cosiddetto realismo letterario.
Questa nozione è quantitativamente falsa ma qualitativamente vera, perché se
consideriamo il punto di vista numerico i romanzi usciti nel corso del diciannovesimo
secolo in Italia ed in Europa ci accorgiamo che anche in quell'epoca il numero di
romanzi considerati irrealistici superava di gran lunga il numero di romanzi realistici.
Quando si parla di romanzo si parla in realtà di un genere letterario composito che
accorpa in sé molti sottogeneri diversi.
La prima distinzione importante da fare è quella tra la tradizione del novel e la
tradizione del romance. Sono due parole inglesi; la prima deriva dall'italiano novella
e ancora più anticamente dal latino novus, la seconda, attraverso una serie di
passaggi, dall'italiano romanzo dal francese romance, il quale a sua volta deriva da
una locuzione latina medievale romanice loqui, che significa parlare e scrivere nella
lingua neolatina degli abitanti dell'impero romano.
Al di là delle questioni etimologiche, la distinzione tra novel e romance allude alla
distinzione tra un romanzo che fa riferimento a personaggi e situazioni simili a quelli
che noi viviamo quotidianamente (il novel) e un altro che invece si basa su situazioni,
personaggi, modi narrativi diversi da quelli a cui noi siamo per lo più abituati nella
nostra vita quotidiana (il romance).
Semplificando molto potremmo dire che il novel è il cosiddetto romanzo realistico, il
romance è il romanzo irrealistico.
Il romanzo ottocentesco vede il prevalere netto della tradizione del novel; come ho
già detto però è un prevalere di tipo qualitativo più che quantitativo, perché da un
punto di vista strettamente numerico è molto probabile che i romanzi irrealistici nel
corso del diciannovesimo secolo abbiano superato di gran lunga quelli realistici.
Tuttavia all'inizio dell'Ottocento il romanzo realistico acquista un'importanza
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straordinaria nella storia della letteratura e cambia la maniera di intenderla.
Il romanzo ottocentesco si configura quindi molto spesso come romanzo realistico,
però esiste una forma di realismo novecentesco che è molto diverso dal realismo
ottocentesco.
Cerchiamo di definire i punti di questa differenza.
Innanzi tutto dobbiamo definire quali sono i tratti fondamentali di un testo narrativo
in generale e di un romanzo in particolare.
Uno dei testi di introduzione alla narrativa ed al romanzo più diffusi nelle università
di lingua inglese, testo pubblicato anche in Italia con il titolo La natura della
narrativa, (R. Scholes, R. Kellogg, Il Mulino, 2000) afferma che un'opera narrativa
nasce dall'incrocio di due elementi:
1) la presenza di una storia
2) la presenza di un narratore
Dunque, molto semplicemente e come tutti ci aspettavamo, una narrazione è un
insieme storia-narratore. C'è qualcuno che ci racconta una storia.
Se il concetto di narratore è chiaro a tutti, non lo è sicuramente quello di storia.
Gli autori dicono che la storia a sua volta si compone di due elementi:
1) una trama
2) dei personaggi che compiono delle azioni
(Le azioni che compiono i personaggi si intersecano tra di loro generando una trama)
Quindi riassumendo: la presenza di un narratore, la presenza di personaggi e la
presenza di una trama sono i tre elementi che caratterizzano un testo narrativo.
In ciò che noi chiamiamo romanzo realistico ottocentesco ˗ per intendersi in Italia la
tradizione letteraria che va da Manzoni a Verga ˗ che cosa succede a questi tre
elementi? Separiamo per un attimo Manzoni da Verga.
Quali sono le caratteristiche del romanzo ottocentesco così come si configura in un
testo come quello dei Promessi Sposi?
Che tipo di narratore è il narratore manzoniano? E la stessa cosa si potrebbe dire
anche per Walter Scott, uno dei romanzieri a cui Manzoni si è ispirato maggiormente
o per Balzac.
Che funzione esercita il narratore nei romanzi del Manzoni?
Il narratore è sempre autorevole, molto presente, sceneggia e commenta la storia
senza mai prevaricare sull'autonomia dei personaggi. Personaggi e trama restano in
primo piano al centro della scena narrativa; il narratore li introduce, crea la
dimensione spaziale, temporale, storica, sociale in cui la storia dei personaggi è
organizzata in trama. ma si mantiene un passo indietro rispetto al primo piano
occupato stabilmente dai personaggi.
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Caratteristica del romanzo realistico ottocentesco è poi l' organizzazione teatrale
della trama. Questa è una caratteristica che prima della produzione di ManzoniScott-Balzac non esisteva in questa forma e dopo sarebbe stata trasmessa in una
forma leggermente diversa.
Ricordate per un attimo come cominciano i Promessi Sposi ”Quel ramo del lago di
Como che volge a mezzogiorno.....”. Avete la presentazione immediata di una sorta di
quinta spaziale all'interno della quale, ad un certo punto, entra, proprio come a teatro,
un personaggio: Don Abbondio.
Il personaggio è descritto per come si veste, è come presentato dall'esterno; noi non
vediamo mai, nella vita quotidiana, le persone presentate dall'esterno; nella vita le
persone ci arrivano già interpretate, cioè noi non diciamo come era vestita una
persona ma abbiamo un'impressione sintetica di essa che attraverso le nostre
categorie interpretative ci offre subito una comprensione del personaggio. Nel
romanzo ottocentesco, invece, come a teatro del resto, le persone arrivano
sconosciute in scena e noi le interpretiamo anche da come sono vestite.
E' un tipico procedimento teatrale.
Quindi abbiamo l'organizzazione della trama di tipo teatrale e dall'altra il fatto che le
persone che entrano in scena intessono le loro traiettorie esistenziali in modo da
creare quella che appunto, in italiano, utilizzando una metafora tessile, noi
chiamiamo trama. E’ come se le persone fossero fili che si intessono a comporre un
tessuto annodato; alla fine si assiste allo scioglimento di questo tessuto, è come se la
trama sciogliesse i propri nodi e recuperasse la sua forma di partenza.
Abbiamo dunque un narratore autorevole, interpretante, che però non prevarica sulla
trama e sui personaggi, una trama di tipo teatrale e dei personaggi con una loro
complessità, ma che sono organizzati intorno ad una nozione fondamentale come
quella di carattere.
I personaggi hanno un carattere ben definito, tant'è che il lettore sa bene qual è il
carattere di Don Abbondio, il carattere di Lucia, il carattere di Renzo, il carattere di
Don Rodrigo e così via. I personaggi entrano in scena dotati di caratteristiche che li
rendono sempre ben riconoscibili.
Carattere deriva infatti da un verbo greco che significa imprimere, lasciare
un'impronta. Il carattere è dunque l'impronta che la vita, il destino, le circostanze
lasciano su ogni personaggio.
I personaggi del romanzo di primo Ottocento hanno tutti un carattere; questo vale per
Manzoni, per Scott, per Balzac.
Dunque riassumiamo ancora: un narratore interpretante, autorevole ma che resta un
passo indietro rispetto alla storia che racconta. La storia, organizzata in modo
teatrale, in modo che accada davanti agli occhi del lettore-spettatore, intessuta da
personaggi riconoscibili, complessi ma alla fine prevedibili, perché ognuno di noi
può dire come si comporteranno più o meno in determinate circostanze. Come andrà
a finire la circostanza naturalmente no, altrimenti il romanzo sarebbe scontato, ma i
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personaggi non ci sorprendono mai veramente.
Queste le caratteristiche del romanzo di primo Ottocento. Dico di primo Ottocento
perché in realtà il romanzo ottocentesco non è assimilabile come un intero: esistono
infatti “due Ottocento” nella narrativa europea, due periodi e fra la primo e il secondo
troviamo un salto chiaramente percepibile. In termini di letteratura italiana, infatti, si
può a ragione affermare che Verga è equidistante da Manzoni e da Pirandello nel
senso che alcuni tratti della narrativa verghiana rimandano a Manzoni, altri
anticipano nettamente Pirandello o Tozzi.
Il fatto che esistano “due Ottocento” è una teoria espressa da un critico letterario
ungherese, Lukàcs, il quale affermava che il 1848 (anno delle fallite rivoluzioni
europee) segna un momento particolare nella storia della cultura, delle arti e del
romanzo europeo.
IL ROMANZO DEL SECONDO OTTOCENTO
Il primo Ottocento era caratterizzato da un romanzo che cercava di raccontare in
modo teatrale grandi storie capitate a persone comuni, attraverso le quali i grandi
conflitti storici si incarnavano in qualche modo e prendevano una forma finita, quella
del conflitto tra persone. Nel secondo Ottocento, dopo il 1848, i grandi scrittori
europei si sarebbero spesso allontanati da questo modello, poiché la struttura
fondamentale della narrativa precedente comincia a sfaldarsi.
Il naturalismo ed il verismo ne sarebbero le testimonianze.
Il narratore del naturalismo e del verismo è un narratore non autorevole, o
meglio è un narratore che non interviene nella vicenda, a differenza del narratore
manzoniano, che interviene per situare, per giudicare e commentare.
Il narratore verghiano si eclissa dietro la vicenda, inventa, per così dire, dei
meccanismi narrativi che surrogano la presenza di un narratore autorevole. Questa
cosiddetta teoria dell'impersonalità della narrazione è un'idea che Verga desume da
Flaubert e Zola.
Il narratore si ritira dietro la scena e rinuncia alla propria autorevolezza.
Ancora più interessanti sono i cambiamenti che avvengono nella trama. Essa si fa
infatti più divergente, meno centripeta rispetto a quella di primo Ottocento.
Sono infatti trame in cui i fili che portano in altre direzioni si moltiplicano, oppure in
cui i grandi spazi vuoti crescono di numero.
Flaubert, in Madame Bovary (1857) introduceva spazi di narazione in cui voleva dare
l'impressione della noia della vita di provincia, in cui non succede mai niente.
Introduce perciò delle parti narrative, scritte per lo più all'imperfetto, in cui cerca di
mimare quelli che lui chiama “i grandi spazi vuoti”.
In un romanzo di primo Ottocento questo modo di fare sarebbe stato inconcepibile
perché compito dello scrittore era di avvincere, tenere insieme le fila della trama in
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modo che il tessuto fosse il più possibile compatto.
In un'altra sua opera, L'educazione sentimentale (1869), romanzo realista, Flaubert
adotta invece un'altra strategia: moltiplica per così dire le azioni che non portano a
nulla.
Nei Promessi Sposi, sempre tornando a fare il paragone, non esistono azioni che si
perdono nel nulla; è vero che esiste in questo romanzo una gerarchia ben precisa tra
azioni importanti ed azioni secondarie, ma fino all'ultimo capitolo la trama converge.
Ne L'educazione sentimentale è come se Flaubert avesse preso a mimare la casualità
dell'accadere quotidiano e la trama comincia a divergere.
Se leggete Mastro Don Gesualdo (1889), secondo grande romanzo verista di Verga
dopo I Malavoglia (1881) notate che alla fine l'azione si ricompone, ma fra capitolo e
capitolo, addirittura fra episodio ed episodio ci sono spazi vuoti, come slabbrature; è
proprio come se la trama si concentrasse su eventi tra i quali non c'è nulla in comune.
La trama si fa iperepisodica, strappata.
Nei Promessi Sposi c'è un'organizzazione della trama di tipo teatrale e centripeta, che
si scioglie bene. In Mastro Don Gesualdo questo comincia a venire meno.
Un processo simile a quello della trama avviene per i personaggi. Uno dei grandi
autori di rottura è Dostoevskij, che inizia a scrivere le sue opere più importanti negli
anni ‘60 dell'Ottocento e segna profondamente la storia del romanzo europeo.
I personaggi di Dostoevskij sono per la prima volta in modo clamoroso incoerenti,
passano rapidamente dal sentimento dell'amore a quello dell'odio, da voler fare una
cosa a non volerla fare; sono personaggi che dicono di se stessi di non conoscersi, di
essere animati da forze che non controllano.
Nessun autore italiano del secondo Ottocento si avvicina al modo di Dostoevskij di
dipingere i personaggi.
Tuttavia, se guardiamo come agisce un personaggio come Rosso Malpelo
nell’omonima novella di Verga del 1878, noi ci accorgiamo che egli non si conosce
interamente, ha scatti di aggressività che lo trascendono, non è un personaggio
interamente conosciuto dall'inizio alla fine o le cui azioni rientrano in un campo
psicologico che noi possiamo prevedere. Ci sono nel personaggio lati oscuri,
ambivalenze, contraddizioni.
Dunque già nel secondo Ottocento la narrativa europea evidenzia elementi nuovi,
diversi da quelli della narrativa precedente.
Quindi ci sono “due Ottocento”, come abbiamo già accennato.
Riassumendo, abbiamo nuovi elementi nel narratore, nuovi elementi nella trama e
nuovi elementi nei personaggi.
IL ROMANZO DEL NOVECENTO
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Quando comincia la storia del romanzo di primo Novecento? In una prospettiva
europea si fa iniziare di solito quel rivolgimento letterario chiamato modernismo
negli anni ‘90 dell'Ottocento.
Nella letteratura italiana la manifestazione del modernismo si ha nel primo decennio
del '900, non è particolarmente precoce.
All'inizio del '900 si assiste ad un nuovo mutamento.
Prendiamo per esempio Il fu Mattia Pascal (1904) di Luigi Pirandello o La coscienza
di Zeno (1923) di Italo Svevo e confrontiamo il narratore dei Promessi Sposi con il
narratore di entrambi.
Senza dubbio è un narratore molto presente, interventista, che si dilunga in certi casi
su questioni filosofiche. Ne sono esempio le continue riflessioni di Mattia sulla vita,
le pagine finali della Coscienza di Zeno con la visione apocalittica che diventa un
vero e proprio trattato sulla distruzione umana. Abbiamo un narratore di fortissima
presenza.
Confrontiamolo ora con il narratore di un altro romanziere fondamentale di
quell'epoca: Federigo Tozzi, che invece interviene molto poco. Quindi abbiamo
narratori che intervengono molto o molto poco.
Portiamo questo discorso su scala europea.
Se consideriamo il panorama letterario europeo di questo periodo sicuramente Proust
(Alla ricerca del tempo perduto, 1927) è uno degli esempi più celebri.
Bene, il narratore di Proust commenta costantemente la storia, ha una fortissima
presenza saggistica, scrive di fatto un romanzo-saggio, un'autobiografia-saggio; il
narratore è cioè fortemente interventista.
Un altro romanzo di primo Novecento è L'uomo senza qualità (1930) di Robert
Musil.
Il narratore di Musil, in modo diverso ma sostanzialmente simile a quello di Proust, è
un narratore che ha una fortissima presenza saggistica: riflette molto, usa molte
argomentazioni, molti concetti e molte idee.
Consideriamo adesso Kafka, autore che produce il grosso della sua opera narrativa
nei primi due decenni del Novecento. Kafka e narratori kafkiani sono, molto spesso,
invece, narratori deboli, ne sanno molto poco della storia e soprattutto non capiscono
il senso di quello che raccontano; raccontano di azioni misteriose perché non riescono
a spiegarle.
Volendo accomunare gli scrittori tra di loro si potrebbe dire che Kafka sta con Tozzi e
Proust e Musil stanno con Svevo e Pirandello.
Stiamo andando in due direzioni diverse: da una parte un narratore che va verso il
saggio, le idee, i concetti, le argomentazioni e dall’altra un narratore che va verso la
riduzione della comprensione. Questi movimenti, che sono tra loro divergenti, sono
tuttavia accomunati dal fatto di far “saltare” l'equilibrio ottocentesco tra il narratore
che introduce la storia e l'autonomia dei personaggi. Il narratore usa la storia per
appoggiarci sopra le proprie riflessioni come supporto di un movimento riflessivo
erratico, oppure non capisce bene quello che sta succedendo, quindi non può
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introdurlo.
Abbiamo un doppio movimento: verso l'iper-riflessione o verso l'ignoranza,
comunque quell'equilibrio che caratterizzava la letteratura di primo Ottocento si
perde.
Per quanto riguarda il secondo Ottocento, avevamo parlato di narratori naturalistici e
veristici che si ritirano dietro la storia, che vanno in un certo senso dietro la direzione
di Tozzi. In questo periodo esistono però autori che anticipano in qualche modo
Svevo, Pirandello, Proust e Musil.
Tolstoj, nel suo romanzo Guerra e pace, scritto dal 1863 al 1869 inserisce una sorta
di saggio di filosofia della storia, in cui per pagine e pagine espone le sue teorie sul
senso della storia e poi torna alle vicende dei personaggi.
Quelle pagine, che sono tante, anticipano i movimenti saggistici che poi ritroviamo in
Proust, Musil e Pirandello.
Il romanzo di primo Novecento sviluppa, portandoli all'estremo, due elementi che si
trovavano già nel romanzo di secondo Ottocento.
Abbiamo un narratore che va in due direzioni divergenti, allontanandosi
dall'equilibrio del romanzo di primo Ottocento che troviamo efficacemente
rappresentato in Scott, Manzoni e Balzac.
Passiamo a considerare i cambiamenti che avvengono alla trama.
Analizziamo, per esempio, La coscienza di Zeno. I punti in cui la trama si scioglie, i
cosiddetti snodi narrativi: la morte del cognato-rivale Guido, per esempio, la
decisione di smettere di fumare, la scelta della moglie, come accadono?
Semplicemente per caso.
C'è una sorta di signoria del caso sugli snodi della trama che è straordinaria.
Alcuni di voi potrebbero obiettare che anche la trama dei Promessi Sposi si scioglie
per caso, perché la peste è un evento casuale.
In realtà la peste ha intorno a sé un apparato di spiegazione teologica non da poco; il
narratore manzoniano deve dare un senso a quell'elemento apparentemente casuale,
mentre Svevo non ci pensa nemmeno a dare un senso agli eventi casuali, il caso è
signore delle trame, governa.
Un altro elemento delle trame di primo Novecento è questo: in un romanzo di primo
Ottocento gli eventi fondamentali hanno una natura pubblica.
Per esempio, il fatto che Don Rodrigo faccia rapire Lucia è un evento pubblico, che
ha un oggettivo significato collettivo perché sta sulla scena pubblica, sotto gli occhi
di tutti.
Al contrario, spesso nei romanzi di primo Novecento acquistano peso e senso degli
eventi di natura esclusivamente privata che acquistano un significato straordinario,
illuminante e decisivo.
Questo dilagare dei piccoli eventi privati prende il nome di procedimento narrativo
delle epifanie, una parola che deriva dalla poetica di James Joyce, l'autore di Ulisse
(1922) e The Dubliners (1914). Questi piccoli eventi privati si caricano di uno
straordinario significato illuminante che Joyce chiama proprio epifanie.
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Proust ha il suo equivalente, che chiama intermittents du coeur, Virginia Woolf,
altra scrittrice molto importante in campo europeo, le chiama moments of being,
momenti di essere.
Allargando lo sguardo al campo della poesia sono le stesse riflessioni private che
Montale chiamerà occasioni.
Questo comporta una specie di “spostamento” dal pubblico al privato, dal motivato al
casuale, da ciò che si estende nel tempo e ciò che accade all'istante.
Arriviamo ora ai personaggi.
All'inizio del '900 si diffondono personaggi con un grado di complessità interna e allo
stesso tempo di destrutturazione che era ignoto alla narrativa di primo Ottocento.
Abbiamo citato come esempio i personaggi di Dostoevskij, che amano e odiano senza
sapere perché. Si sentono attraversati da una forza che non riescono a controllare, non
sanno perché fanno determinate cose.
Alcuni personaggi del romanzo di primo Novecento sono il prolungamento di questo
modo dostoevskijano: pensiamo, per esempio, nel panorama letterario italiano, a
Tozzi: il centro della psicologia di Tozzi è la teoria dei “misteriosi atti nostri”, gli atti
che noi compiamo quotidianamente sono misteriosi, sappiamo quello che stiamo
facendo solo in parte, abbiamo delle pulsioni incontrollabili.
Pensiamo ai personaggi di Pirandello. Nelle Novelle per un anno ogni tanto qualcuno
si mette a ridere improvvisamente senza un perché o a giocare infantilmente dentro al
proprio studio; i personaggi vengono attraversati da pulsioni che non fanno parte in
teoria del loro carattere ma che emergono.
Questa incoerenza è molto importante e ha a che fare soprattutto con il fatto che tra la
prima metà dellOttocento e la prima metà del Novecento le conoscenze in ambito
psicologico in Europa cambiano completamente. In particolare ci sono psicologi
francesi della prima metà dell'Ottocento che sono molto importanti, ad esempio, per
Tozzi come del resto la psicanalisi di Sigmund Freud, che sviluppa nuove idee sulla
coscienza, dimostrando che una parte di noi è sconosciuta a noi stessi. Questa, che
segue una logica oscura, è fondamentale per la costituzione della nostra vita
individuale, per il modo in cui agiamo e ci comportiamo ed è definita inconscio.
La teoria dei “misteriosi atti nostri”, è quella per cui i personaggi pirandelliani si
comportano non si sa come, quella di Zeno con i suoi lapsus, con la sua difficoltà
nello smettere di fumare, il modo in cui prende moglie, tutto questo ha a che fare con
l'inconscio.
Dunque personaggi sconosciuti a se stessi, con una parte che resta in ombra, ma
anche straordinariamente complessi, non solo perché incoerenti ma perché fatti di
tante parti.
L'autore cerca di illustrare le varie parti di sedimentazione dell'io, che è diventato una
costruzione così complessa da avere bisogno di molto spazio nella narrativa.
La vecchia teoria del carattere è di origine classica (il primo autore a cercare di
definire il carattere è addirittura Teofrasto, allievo di Aristotele), poi i caratteri
vengono riscoperti in Europa tra la fine del '500 e gli inizi del '600.
Nella cultura di primo Ottocento era diffusa una certa caratteriologia, un modo di
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definire e rappresentare un carattere che aveva una tradizione antica riscritta ed
interpretata nell'epoca moderna, per esempio introducendo categorie sociologiche e
storiche piuttosto che statiche, però l'idea era che un personaggio fosse definibile
attraverso una serie di aggettivi: astuto, stupido, furbo, buono, intelligente, ecc...
Attraverso una serie di qualità si fissava dunque il carattere.
All'inizio del Novecento la polemica contro la fissità dei caratteri diventa un
argomento di discussione letteraria intensa e diffusa.
Negli scritti di poetica di Virginia Woolf, per esempio, la polemica contro la fissità
dei caratteri è una costante. Essa afferma in un saggio della raccolta The common
reader (1925): “La vita non è una serie di lampioni piantati in forma simmetrica,
è un alone luminoso semitrasparente che avvolge la nostra coscienza dall’inizio
alla fine”, noi cambiamo cioè da un istante all'altro. Come possiamo fissare il
carattere? Il romanziere che pretende di fissare il carattere pretende di fissare quello
che non esiste.
Dobbiamo cercare invece di rappresentare la complessità che diviene, di momento in
momento, gli strati molteplici di cui siamo fatti. Questo è un punto decisivo,
fondamentale. Il carattere in questo periodo si evolve non soltanto perché i
personaggi scoprono l'incoerenza, le loro ragioni oscure, le parti nascoste della
psiche, ma anche perché scoprono la straordinaria complessità e stratificazione nello
spazio e nel tempo della vita individuale.
Abbiamo così nella letteratura novecentesca, rispetto a quella ottocentesca (a loro
volta divisa in letteratura di primo Ottocento e letteratura di secondo Ottocento)
mutamenti sia per il narratore che per la trama che per i personaggi.
Mutamenti che sono il prolungamento di trasformazioni che già avevano avuto luogo
nel secondo Ottocento e che nel primo Novecento deflagrano.
A tutto questo si possono dare due spiegazioni diverse.
Perché il romanzo ottocentesco adotta una struttura di tipo teatrale?
Il teatro era un genere aggregante, molto popolare, come il cinema è per noi adesso,
ma questa è una spiegazione solo meccanica, che in realtà non spiega. Allora perché
il teatro era così popolare? A teatro i personaggi agiscono sulla scena in modo da
creare delle situazioni significative per tutti, c'è qualcosa di strutturalmente
antropocentrico e pubblico.
Se consideriamo il movimento complessivo della letteratura tra l'Ottocento e il
Novecento si vede che la parte delle azioni pubbliche, che tutti possono vedere,
perdono spazio a favore della complessità e della contradditorietà della vita interiore
e a favore di quegli aspetti della vita che si colgono solo attraverso la riflessione.
E' come se il senso della vita si fosse spostato sulla introspezione.
E' come se la vita che si svolge pubblicamente, quella inter-umana, si fosse
impoverita(come avviene in Pirandello), fosse diventata meno interessante.
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