1 LA QUESTIONE EVOLUZIONISTA (aspetti scientifici) Carlo Cirotto
by user
Comments
Transcript
1 LA QUESTIONE EVOLUZIONISTA (aspetti scientifici) Carlo Cirotto
Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata LA QUESTIONE EVOLUZIONISTA (aspetti scientifici) Carlo Cirotto Credo sia capitato a tutti di restare attoniti e ammirati di fronte allo spettacolo della vita che prorompe in un prato assolato di maggio o in un bosco al tramonto o lungo le rive di un fiume. E' un'esperienza dolce e forte allo stesso tempo, che solo l'arte, forse, riesce ad esprimere in modo adeguato. E' un'esperienza composita, fatta di una miriade di sensazioni che i nostri sensi colgono e che si fondono in mirabile armonia nella zona più profonda del nostro essere. Assomiglia assai da vicino all'emozione che ci prende ascoltando una sinfonia suonata da una grande orchestra. Anche in questo caso molti strumenti fondono insieme le loro note nell'unica armonia della composizione. Persino le diverse capacità professionali degli orchestrali trovano collocazione organica nella sinfonia. Forse che animali, piante, luce, acqua non formano anch'essi un'opera unica di colori, di odori, di suoni che arriva diretta all'anima dopo aver coinvolto tutti i sensi? Raggiungere una nuova unità facendo leva su diversità e molteplicità sembra essere una regola comune della vita e delle orchestre. Le infinite forme della vita Molteplicità e diversità, innanzi tutto. E' questo l'aspetto della realtà che, con parola pregnante, anche se poco poetica, è detta "biodiversità" dagli studiosi della natura. Stime attendibili dicono che le specie animali e vegetali tuttora presenti sul pianeta Terra non sono meno di 13 milioni. Sembra superfluo ricordare che tale trionfo della diversità ha stimolato la curiosità degli amanti della natura fin dall'antichità. Costituiscono una 1 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata vasta schiera coloro che si sono dedicati con eccezionale impegno a descrivere le tipologie dei viventi e i loro stili di vita. Memorabili sono, anche per il fascino delle loro illustrazioni, i 'bestiari' e gli 'erbari' medievali. In essi si ritrova condensato tutto il sapere di alchimisti e speziali, di monaci e agricoltori attenti osservatori della natura. Purtroppo, la mentalità dell'epoca trovava normale mescolare la realtà provata con il sentito dire, le forme con la simbologia e con la mitologia. Solo dopo la nascita della scienza moderna, con Galileo, si percepì la necessità di conferire un taglio più rigoroso, più scientifico, anche alla descrizione e catalogazione degli esseri viventi. Ecco, allora, intere generazioni di nuovi naturalisti impegnarsi a descrivere scrupolosamente, fin nei minimi particolari, animali e piante, cercando di dar loro un qualche ordine seguendo i più svariati criteri di somiglianze e diversità. Nella maggior parte dei casi si trattava, però, di criteri di classificazione poco più che personali, assolutamente inadatti a raccogliere il consenso dell'intera comunità scientifica. Vivere in un mondo fisso Fu solo intorno alla metà del Settecento che il genio di Carlo Linneo (1707-1778) concepì un criterio empirico di classificazione tanto semplice da poter essere utilizzato anche da naturalisti dilettanti e, insieme, tanto potente da rendere agevole la soluzione dei più astrusi problemi di classificazione. E' a Linneo che dobbiamo quella chiave 'dicotomica' di classificazione che ancora oggi è utilizzata con profitto da naturalisti e biologi. A fare da elementi portanti, da unità fondamentali del suo sistema di classificazione, Linneo pose le specie, che concepì come entità reali e, soprattutto, fisse, suscettibili solo di modificazioni transitorie e secondarie. Fu, questa, un'intuizione di straordinaria importanza: intorno ai problemi 2 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata della specie ruoteranno quasi tutti i successivi dibattiti biologici fino ai nostri giorni. Linneo, grazie alla sua concezione di specie e alla nuova chiave di lettura sistematrica, fu, probabilmente, il primo naturalista a possedere una visione veramente generale ed organica della natura vivente. Non poteva, quindi, non porsi la domanda che sorge spontanea anche in noi di fronte allo spettacolo della natura: “Perché questa sconfinata varietà di piante e di animali che sembrano appositamente progettati per i più svariati ambienti naturali?”. La risposta che il nostro scienziato dette fu: Tot numeramus species quot ab initio creavit Infinitum Ens. Il latino semplice e la facile orecchiabilità hanno fatto sì che la frase sia stata mandata a memoria e ripetuta senza difficoltà da intere generazioni di studenti, che, ribadendola, mostravano di aver colto il cuore stesso della convinzione linneana: la fondamentale fissità delle specie viventi e, quindi, dell'intero mondo della vita. E’ fuor di dubbio che il significato primo e più evidente del detto di Linneo fosse proprio questo. Ma non è l’unico. Ve n’è un altro, più profondo, che può essere letto in filigrana e che, forse per questo, tende a sfuggire. La frase esprime anche il tentativo di superare l’aspetto puramente descrittivo della questione per giungere al vero cuore del problema, al perché profondo della pluralità e del finalismo delle specie. Con il suo detto icastico e sapiente, Linneo proponeva una risposta a questi perché: la volontà divina. Le specie che osserviamo sono tanto numerose, tanto diverse e così ben adatte ad ogni ambiente perché così le ha volute il Creatore. Il finalismo, problema scivoloso A nessuno può sfuggire la natura epistemologicamente ambigua del ragionamento linneano: veniva proposta una risposta di ordine teologico ad 3 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata una domanda di natura scientifica. Sotto il profilo metodologico, Linneo non avrebbe potuto fare un’operazione più azzardata. E’ bene però che, prima di emettere verdetti poco benevoli, entriamo, almeno un po’, nell’atmosfera culturale respirata dal nostro naturalista. Ai suoi tempi la scienza galileiana, nata da poco, non era ovviamente in grado di spiegare alcunché delle caratteristiche delle specie viventi; la filosofia, dal canto suo, forniva risposte diversificate e, tutto sommato, vaghe; l’unico sapere capace di offrire una risposta elaborata e sufficientemente convincente era la teologia. Infatti, rifacendosi alla descrizione genesiaca dell’opera creatrice divina, essa era in grado di dar ragione sia della varietà delle specie viventi sia del finalismo presente inequivocabilmente in ogni specie e in ogni suo componente. Oltre allo sconfinato numero di specie, infatti, l'aspetto dei viventi che maggiormente colpiva, allora come oggi, erano le strutture mirabilmente complesse, orientate all’auto-conservazione e all'adattamento all’ambiente di vita. Un’organizzazione così perfetta non era spiegabile se non con l’intervento intelligente di un Creatore! Alla teologia quindi Linneo si rivolse. Certo, oggi non siamo più disposti a condividere questo suo atteggiamento concordista; possiamo tuttavia apprezzarlo in quanto espressione del suo desiderio di conoscere. Vivere in un mondo in evoluzione. Lamarck e Darwin Si dovrà attendere Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829) per assistere al primo tentativo di fornire una risposta scientifica al problema della molteplicità delle specie e dei loro caratteri finalistici. Lamarck partì dall'ipotesi, diametralmente opposta a quella di Linneo, che le specie viventi non fossero fisse ma capaci di adattarsi all'ambiente circostante sia biotico che abiotico. Ipotesi assai plausibile. Anche a noi la vita appare non come una cosa rigida, data una volta per tutte, ma come una realtà altamente plastica, capace degli adattamenti più impensati. E' questa 4 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata caratteristica peculiare dei viventi che Lamarck scelse come uno dei pilastri della sua teoria. L'altro pilastro, altrettanto solido, fu offerto dall'evidenza che esistono alcune caratteristiche - quelle che noi oggi chiameremmo 'genetiche' - che, mantendosi costanti in ogni specie, risultano indipendenti dall'ambiente e vengono trasmesse alla prole ad ogni generazione. Partendo da questi dati di fatto, Lamarck propose che gli adattamenti all'ambiente dei singoli individui fossero anche ereditabili dalle generazioni successive. Quella di Lamarck è, per questo, conosciuta come 'teoria della ereditarietà dei caratteri acquisiti'. A titolo di esempio, ecco l'argomentazione che Lamarck propose per spiegare la lunghezza del collo e delle zampe delle giraffe. Disse che, all'inizio della loro evoluzione, le giraffe non erano altro che antilopi con collo e zampe di lunghezza canonica. Erano però particolarmente ghiotte dei germogli degli alberi di acacia e, per giungere anche a quelli più alti, erano solite allungarsi il più possibile, stirando in particolare il collo e le zampe. Grazie a questo quotidiano esercizio di stretching, anche l'antilope più normale si ritrovava, nel giro di poco tempo, con gli arti un po' più lunghi. Questo allungamento adattativo lo trasmetteva poi, come carattere ereditario, alla sua prole, che a sua volta lo ritrasmetteva non senza aver aggiunto il proprio contributo. In questo modo, generazione dopo generazione, collo e zampe divennero straordinariamente lunghe. Ad indirizzare la serie di trasformazioni che portarono, un po' alla volta, le antilopi a diventare giraffe, Lamarck ipotizzò una sorta di spinta interna verso una perfezione sempre maggiore, un impulso di stampo vitalistico verso il cambiamento orientato ed una sempre maggiore complessità. La teoria di Lamarck fu profondamente innovativa per i suoi tempi. Peccato, però, che non fosse vera. I caratteri acquisiti, infatti, non diventano mai ereditabili. Lo dimostrò Weismann quasi mezzo secolo dopo, taglando ripetutamente la cola a molte generazioni di topi e notando 5 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata che i nuovi nati ne erano sempre in possesso. E comunque, Lamarck avrebbe potuto correggere la sua teoria e Weismann risparmiarsi la lunga fatica sperimentale per confutarla se solo avessero considerato che da tempi immemorabili gli Ebrei circoncidono i figli, ma tuttora i nuovi nati possiedono il prepuzio. Nonostante che la teoria di Lamarck fosse scorretta dal punto di vista biologico, fu però di grande importanza in quel processo di differenziamento culturale che portò all'affermazione della biologia come scienza indipendente. Essa fu, infatti, il primo, concreto passo verso l'emancipazione della biologia dalla filosofia e dalla teologia. Fu il primo tentativo di recidere il cordone ombelicale del finalismo che ancora legava la biologia alla teologia. Dopo Lamarck, infatti, non fu più necessario rifarsi alla diretta volontà del Creatore, per spiegare la diversità delle specie. Se le specie non sono entità fisse, possono trasformarsi con il tempo le une nelle altre, arricchendo progressivamente la biodiversità. Non fu più necessario neanche chiamare in causa la volontà del Creatore per spiegare il finalismo presente ovunque negli organismi viventi. Se, infatti, le specie sono capaci di cambiare nel tempo, adattandosi all'ambiente in cui vivono, non c'era più la necessità di ipotizzare l'azione intelligente di un Creatore che mettesse l'organismo giusto nell'ambiente giusto. L'organismo diventava da solo 'giusto' per il proprio ambiente mediante la sua capacità adattativa. Nonostante ciò, tuttavia, l'operazione per liberare la biologia dalla sudditanza alla filosofia e alla teologia non poteva ancora dirsi totalmente riuscita. Lamarck, infatti, continuava a leggere l'iter evolutivo come un progresso orientato, un cammino degli organismi verso la perfezione senza deviazioni né tentennamenti. In tale preordinazione, troppo lineare, poteva ancora essere letta una volontà divina. Il cordone ombelicale era stato dilacerato ma non totalmente reciso. 6 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata Per assistere alla recisione completa si dovette attendere Charles Darwin (1809-1882), naturalista inglese di esperienza incredibilmente vasta. Anche Darwin, come Lamarck, partì dall'assunto che le specie non fossero entità fisse. A differenza di Lamarck, però, ipotizzò che i cambiamenti, presenti con il trascorrere del tempo in ogni specie, non fossero in alcun modo influenzati dall'ambiente, ma fossero minuscole, innumerevoli e continue variazioni spontane e, soprattutto, casuali che, sommandosi, portavano a diversificazioni via via più profonde. Quelle che vediamo oggi differenziare le specie esistenti. Tale ipotesi era, sì, capace di giustificare l’enorme varietà delle specie, ma da sola non bastava a render ragione del loro perfetto inserimento nei rispettivi ambienti naturali né degli evidenti caratteri finalistici delle loro strutture e dei loro comportamenti. All’ipotesi della variabilità spontanea Darwin aggiunse, quindi, quella della selezione naturale. Come nell’allevamento del bestiame, disse, è l’allevatore a comportarsi da agente selezionatore favorendo la riproduzione degli animali che possiedono le caratteristiche più vantaggiose, così nel mondo vivente è la natura stessa a fare da selezionatore, favorendo le specie che si dimostrano più capaci nella lotta per la sopravvivenza. Le meno forti e le meno fornite soccombono a vantaggio di quelle più dotate che hanno, in questo modo, maggior possibilità di riprodursi. Come si vede, Darwin prese ampiamente le distanze dalla teoria lamarckiana. Ma non perché la ritenesse errata. Al contrario, considerava plausibile e persino utile alla causa dell'evoluzione l'ipotesi dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti, ma non la giudicava né centrale né decisiva. Semmai, ciò che Darwin non gradiva del pensiero di Lamarck era quella tendenza intrinseca alla perfezione, al progresso, che Lamarck poneva a fondamento della spinta evolutiva. Nei suoi famosi taccuini annotò al riguardo alcune frasi particolarmente significative: "La mia teoria è molto diversa da quella di Lamarck" e "Il progresso è un errore di Lamarck". 7 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata Qualsiasi tipo di tendenza o di spinta verso forme più progredite fu estromesso dalla teoria darwiniana mediante l'introduzione del concetto di casualità delle variazioni alle quali vanno spontaneamente soggette tutte le specie viventi e che forniscono i materiali che verranno poi passati al vaglio della selezione naturale. L'ipotesi della casualità esclude che le variazioni spontanee presentino una qualche forma di orientamento intrinseco. Ad evitare equivoci, va comunque sottolineato che a presentare il carattere della casualità è solo uno dei due attori della teoria darwiniana: la variabilità delle specie. L'altro attore, la selezione naturale, presenta invece tutti i caratteri della necessità. Significative sono le immagini che esprimono le due diverse intuizioni. Mentre Lamarck faceva riferimento alla classica 'scala naturae' che esprimeva la convinzione di un progresso costante, un'ascesa uniforme verso forme più perfette, l'immagine a cui faceva riferimento Darwin era quella di un albero i cui rami si divaricano e si moltiplicano con il procedere dal tronco alla chioma. Scriveva: "Gli organismi rappresentano un albero, irregolarmente ramificato: alcuni rami più volte ramificati - sono i generi -. Tante gemme terminali muoiono, tante ne nascono. La morte di una specie non è affatto diversa da quella di un individuo. .... L'albero della vita dovrebbe chiamarsi corallo della vita, con la base di rami morti così che i passaggi non sono visibili". Con questa operazione magistrale, Darwin recise del tutto quel residuo di cordone ombelicale che legava ancora la biologia alla filosofia e alla teologia. Mendel e la nascita della genetica La teoria di Darwin, senza alcun dubbio geniale e grandiosa, presentava tuttavia alcune zone d'ombra dovute al limitato sviluppo delle 8 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata conoscenze dell'epoca. Una di queste, forse la più significativa, riguardava la variabilità. Darwin l'aveva ipotizzata come uno dei fondamenti della sua teoria, ma le conoscenze biologiche del suo tempo non erano capaci di identificarla in oggetti concreti definiti. Fu anche per questa difficoltà, forse, se il pensiero darwiniano fu messo da parte per qualche decennio. Solo con la nascita della genetica, la scienza dell'ereditarietà biologica, risultò evidente che i caratteri ereditabili di ogni organismo erano localizzati in corpuscoli discreti. Concreti, quindi, e tali da poter essere fisicamente identificati, analizzati, modificati sperimentalmente. Proprio negli anni in cui Darwin dava alle stampe la sua opera fondamentale: L'origine delle specie, un monaco agostiniano, Gregor Mendel (1822-1884), faceva esperimenti di incrocio di piselli nella quiete del suo monastero in Moravia. I risultati dei suoi studi furono pubblicati in un volume delle Memorie della Società Naturalistica di Brno e costituirono le basi sperimentali delle ben note leggi di Mendel che, descrivendo le modalità con cui i caratteri paterni e materni vengono ereditati dalla prole, fornirono la dimostrazione che quei caratteri non hanno nulla di vago ma sono rapportabili a concrete strutture materiali presenti nelle cellule degli organismi viventi. E' questo infatti il solo modo per spiegare le modalità della loro distribuzione nella prole. Le successive scoperte della genetica permisero di identificare nel DNA la molecola portatrice dell'informazione ereditaria e nei geni (segmenti di DNA) le particelle materiali recanti l'informazione di ogni singolo carattere. Con l'identificazione dei geni fu subito chiaro come fosse concretamente possibile anche il loro cambiamento. La molecola di DNA può subire modificazioni (mutazioni) nella sua struttura chimica che si ripercuotono sulle caratteristiche stese del vivente. Era così chiarita anche la fonte della variabilità genetica. Il Neodarwinismo L'innesto delle nuove conoscenze di biochimica e biologia molecolare sul vecchio tronco della teoria darwiniana portò, tra gli anni venti e gli anni 9 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata cinquanta del Novecento, alla formulazione della cosiddetta Teoria Sintetica o Neodarwinismo. In essa vengono identificate le cause fondamentali della variabilità dei viventi nelle mutazioni geniche. Da esse si originano continuamente, in gran numero e in modo casuale le variazioni dei viventi. A dar forma a questa variabilità, di per sé anarchica, è poi la selezione naturale: i fattori ambientali eliminano gli individui che sono meno capaci di adattamento. Non sono i geni a guidare l’evoluzione; è l’ambiente che lo fa, anche se sono i geni a fornire i materiali. Non prevedendo relazione alcuna tra la comparsa delle forme mutate e la successiva selezione naturale, questo meccanismo appare simile ad un procedere a tentoni, in stile assolutamente casuale. Questa è, all’osso, la teoria evolutiva che oggi raccoglie i consensi più ampi. Evoluzione e teorie evoluzionistiche Nel dibattito sull’evoluzione, una notevole fonte di confusione è rappresentata da un errore compiuto di frequente non solo dai profani ma anche da divulgatori esperti e persino da scienziati: identificare l’evoluzione con il neo-darwinismo. E’ invece di fondamentale importanza, pena disastrose confusioni, tenere distinta l’evoluzione, come dato di fatto, dalle teorie evoluzionistiche che mirano a spiegarne il come e il perché. Lo studio dei resti fossili degli organismi vissuti prima di noi ha fornito le prove concrete della realtà dell'evoluzione. I dati paleontologici presentano il beneficio, di non poco conto, di trovarsi già organizzati secondo un preciso ordine: quello cronologico. Ciò è dovuto al fatto che i fossili sono inglobati in sedimenti la cui disposizione spaziale rispecchia fedelmente quella temporale: i sedimenti più profondi sono anche i più antichi mentre quelli via via più superficiali sono 10 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata progressivamente più recenti. La cronologia che dà ordine al panorama dei reperti fossili, non è quindi un’interpretazione che dà ordine ai dati operata dai paleontologi né una loro ricostruzione più o meno plausibile ma è, essa stessa, inglobata in quell’unico complesso ordinato di dati sperimentali che reclama una spiegazione scientifica. In particolare, all’interno di quest’ordine cronologico e quasi da esso supportate, tre evidenze si impongono alla nostra attenzione come altrettanti dati di fatto. - La prima è che tutti i viventi, anche i più complessi, discendono da uno o più progenitori comuni particolarmente semplici, i batteri. - La seconda è che nel corso di tale discendenza si è verificata la diversificazione dei viventi. - La terza è che la diversificazione dei viventi è stata accompagnata da un aumento di complessità e di organizzazione. A questo complesso ordinato di dati di fatto si dà il nome di evoluzione. E’ quest’evoluzione, nella quale, ripeto, confluiscono sia i singoli dati sperimentali (i singoli reperti fossili, ad esempio) sia le regolarità che li legano insieme, a dover essere spiegata facendo ricorso ad opportune teorie. E' opportuno parlare di ‘teorie’ e non di ‘teoria’. Sembra infatti assai improbabile che un’unica teoria – nel nostro caso il neo-darwinismo riesca a spiegare esaurientemente un numero tanto grande di dati eterogenei e poliedrici. Sembrerebbe più saggio guardare con favore al sorgere di più teorie nella quasi certezza di migliorare, così, la comprensione dell’evoluzione. Elaborate in questi ultimi decenni, ne sono disponibili diverse. Destano interesse, ad esempio, l’evoluzione punteggiata, il neo-lamarckismo, il costruttivismo che riescono a gettare luce su aspetti del processo evolutivo lasciati in ombra dal neo-darwinismo. La teoria dell'evoluzione punteggiata, ad esempio, si mostra capace di affrontare, più adeguatamente del neo-darwinismo, il problema della 11 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata cosiddetta macroevoluzione. Per macroevoluzione si intende la comparsa di organi totalmente nuovi e, a fortiori, di specie nuove. Alla macroevoluzione fa da contraltare la microevoluzione, che è solo un adattamento sempre più avanzato di strutture già esistenti. Il neodarwinismo appare adatto a spiegare la microevoluzione ma ha delle difficoltà a spiegare la macro a meno di non ricorrere a categorie nuove, ignote alla teoria originaria. E’ la complementarità di teorie diverse che può risultare quanto mai utile per giungere in tempi ravvicinati alla meta costituita dalla comprensione dei meccanismi evolutivi. Tutte comunque, prima di essere accettate come probabili spiegazioni, devono superare il vaglio della verifica sperimentale, così come avviene per tutte le teorie che ambiscono ad essere considerate scientifiche. E tutte le teorie che ho appena elencato presentano a loro favore risultati sperimentali vuoi nel campo della paleontologia, vuoi in quello della morfologia comparata, vuoi in quello della biologia molecolare. I dati paleontologici Per ovvi motivi di contenimento spazio-temporale non posso prendere in esame i dati della biologia molecolare, né quelli dell'anatomia comparata. Mi limiterò invece a considerarne alcuni della paleontologia che aiuteranno ad inquadrare meglio la problematica. Lo studio dei fossili racchiusi nelle conformazioni rocciose delle epoche passate ci mette di fronte a due realtà che sono sconcertanti nella loro evidente grandiosità. La prima di queste realtà è che il divenire della vita segue la direzione dal più semplice al più complesso. I più antichi esseri viventi che popolarono la terra furono cellule "semplici", i batteri. Solo molto più tardi 12 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata fecero la loro comparsa dapprima le cellule più complesse (gli eucarioti) e poi tutte le altre forme pluricellulari, tra cui la nostra specie, secondo questa scala temporale: Formazione della Terra 4,5 Primi fossili di batteri 3,8 " Cellule eucariotiche 2 " Riproduzione sessuata 1 miliardo di anni fa Invertebrati acquatici, alghe verdi 750 milioni di anni fa Vertebrati 500 “ Anfibi e insetti 370 “ Dinosauri e grandi conifere 270 “ Mammiferi 165 “ Fine dei dinosauri 65 “ Genere Homo 2/3 “ Utensili litici 2,5 “ Homo sapiens arcaico 150 mila anni Uomo moderno 40 “ Rivoluzione neolitica Nascita di Cristo miliardi di anni fa 10 2 “ “ La seconda realtà che sconcerta è il cosiddetto tempo profondo, e cioè l'inimmaginabile lunghezza dei tempi richiesti perché da una terra inizialmente deserta e squallida si giungesse all'accogliente biosfera attuale. E affinché queste scansioni temporali, che utilizzano unità di misura tanto distanti dalla nostra esperienza, acquistino un significato più pregnante, può essere utile ricorrere ad un semplice trucco di contrazione temporale. Immaginiamo che la Terra si sia formata 24 ore fa, allora 20,2 ore ci separano dalla comparsa dei primi batteri, 2,5 ore da quella dei primi vertebrati, 20,8 minuti dall’estinzione dei dinosauri, 48 secondi dalla fabbricazione dei primi utensili litici e appena 38 millesimi di secondo dalla nascita di Cristo. 13 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata Nei sedimenti scandagliati dai paleontologi alla ricerca di antiche testimonianze fossili si leggono la nascita, la fioritura e la morte di un numero straordinariamente elevato di specie che si sono avvicendate nel fiume della vita. L'albero maestoso dell'evoluzione si sta trasformando in una sorta di cespuglio che si infittisce sempre di più con il progredire delle ricerche. Il cespuglio che la paleontologia ci propone, ha comunque una particolarità: non presenta punti di inserimento precisi dei singoli rami sugli altri. Ciò è dovuto all'estrema improbabilità di trovare i resti fossili di quei pochi individui che per primi hanno imboccato quel particolare percorso di speciazione. Per avere questo tipo di risposte è più opportuno rivolgersi ad altre discipline, come la biologia molecolare e la genetica di popolazioni. L'ominazione Questa brevissima panoramica della storia della vita sulla Terra non sarebbe completa se non prendessimo in considerazione anche l'evoluzione della nostra specie. Non per conferirle la posizione privilegiata di vertice dell'evoluzione biologica ma per completare il quadro con una storia che ci interessa da vicino. Ogni animale, infatti, si trova al vertice di una scalata dal più semplice verso il più complesso e ciascuno rappresenta un adattamento che è maggiore di tutti i precedenti. I nostri antenati diretti non furono, evidentemente, i cavalli né gli uccelli né le lucertole, ma non furono neanche gli altri primati nostri contemporanei. Le attuali scimmie antropomorfe - gorilla, scipanzè, bonobo, orango - sono solo nostri cugini più o meno lontani. Circa 20 milioni di anni fa un antropoide arboricolo (un antenato del Kenyapithecus?) migrò dall'Africa verso l'Asia, forse spinto da uno dei ricorrenti periodi di siccità. In Asia i suoi discendenti dettero origine agli antenati dei gibboni e dell'orango. In seguito, poi, una decina di milioni di anni fa, si ebbe dall'Asia all'Africa una nuova migrazione di ritorno. I migratori si stabilirono sia nelle foreste, dando origine agli attuali antropoidi 14 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata (gorilla, scimpanzé, orango), sia nelle savane, dando origine ad Australopithecus. Australopithecus aveva un mosaico di caratteri che in parte possono essere considerati prettamente umani (stazione eretta, tipo di piede, tipo di dentatura...) e in parte sono simili a quelli di uno scimpanzé (forma del cranio, volume della scatola cranica, statura ...). Varie specie di Australopithecus (Australopithecus afarensis, A. aethiopicus, A. boisei, A. africanus, A. anamensis ...) sono ben documentate da fossili africani. In alcuni depositi con resti di Australopiteci sono state rinvenute anche schegge di pietra ritoccate che risalirebbero a 32,5 milioni di anni fa e, secondo alcuni studiosi, potrebbero essere opera degli Australopiteci stessi. E' possibile che l'Australopiteco usasse ciottoli, pietre, ossa a scopo di difesa o per procurarsi il cibo. Forse poteva anche praticare una rudimentale scheggiatura della selce. Ma la lavorazione sistematica della pietra non appartiene a questa fase dell'ominazione. Va attribuita piuttosto ad una nuova specie di ominide, probabile discendenza di A. anamensis, comparso nell'Africa centro-orientale intorno a 2 milioni di anni fa: Homo habilis. Il suo cervello era decisamente più grande di quello degli Australopiteci, presentava aree encefaliche del linguaggio abbastanza ben sviluppate ed era tanto organizzato da rendere capace H. habilis di industrie litiche, strutture di insediamento ecc. H. habilis fu il creatore della più antica delle culture umane, quella olduwaiana. Da habilis a sapiens Non è facile seguire le prime fasi dell'umanità nella sua evoluzione e nei suoi spostamenti. Alcune caratteristiche di H. habilis si modificarono nel tempo con un'evoluzione graduale che portò a forme umane diverse, anche se non ancora uguali a quelle che osserviamo oggi. Questo stadio dell'umanità viene definito Homo erectus (l'attributo specifico non ha alcun riferimento alla stazione eretta). H. erectus ha un'accresciuta capacità cranica (da 800 a 1250 cc) e la sua statura è media 15 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata (da 160 a 170 cm). Abbandonò probabilmente l'Africa in un'epoca molto antica (da 1,6 a 1,8 milioni di anni fa) e raggiunse le più lontane regioni dell'Est e del Sudest asiatico (Cina e Giava). Industrie litiche affinate, un'organizzazione sociale più complessa, la domesticazione del fuoco, la protezione del corpo con pelli di animali sono alcune espressioni della cultura di H. erectus. Nelle sue incredibili migrazioni, H. erectus raggiunse anche l'Italia: risale a 800 mila anni fa la calotta cranica rinvenuta a Ceprano nel Lazio. In Europa, nel periodo fra 100 mila e 40 mila anni fa, il processo evolutivo fa emergere un tipo umano particolare, l'Homo neanderthalensis, che per alcune caratteristiche richiama H. erectus, ma si presenta più evoluto soprattutto nell'aumentata massa encefalica e nelle manifestazioni culturali. Il Neandertaliano, però, non ha contribuito alla comparsa dell'uomo moderno. Le forme umane di quel periodo (H. erectus e H. neanderthalensis) si estinsero intorno a 40 mila anni fa. Il loro posto fu preso da una nuova specie, H. sapiens, anch'essa proveniente dalla fucina africana dove aveva avuto origine tra i 150 e i 100 mila anni fa. Si tratta della forma moderna di H. sapiens che intorno a 30 mila anni fa era largamente affermata ovunque. Iniziava così, con questi uomini, la cultura del Paleolitico superiore, caratterizzata da una raffinata industria litica, da un largo uso dell'osso come strumento e dalle splendide espressioni di arte pittorica e scultorea. Il differenziamento culturale Nella veloce panoramica appena conclusa, non è difficile scorgere l'intreccio di due 'storie' diverse: la storia degli eventi biologici, che fa da sfondo materiale alla narrazione e quella degli eventi culturali che hanno permesso di leggere sempre più accuratamente i dati biologici ed hanno portato all’affermazione delle teorie evoluzionistiche. In quest'ultima storia, quella culturale, sono riconoscibili i passaggi tipici di quei processi che 16 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata potremmo definire di differenziamento culturale. Mi piace chiamare così quasi per una sorta di deformazione professionale - le trasformazioni culturali che, partendo da una situazione conoscitiva generica o monocorde, portano a conoscenze specifiche e molteplici. Come il differenziamento degli organismi è il definirsi di capacità specialistiche a partire da potenzialità generiche, così si può definire differenziamento culturale quel processo che segue un percorso analogo nell’ambito della cultura. Quel processo, insomma, che ha permesso ai polloni delle scienze moderne di crescere sull'antico ceppo del sapere filosofico/teologico. Credo sia importante, per dare completezza al nostro discorso, dedicare attenzione a questo particolare aspetto: ci aiuterà anche a comprendere le ragioni di molte posizioni odierne sullo spinoso problema dei rapporti scienza/fede ed anche le ragioni di alcune tendenze fondamentaliste che scuotono il mondo della biologia, soprattutto negli Stati Uniti. Come è facile immaginare, il processo differenziativo del sapere biologico dai più antichi saperi filosofici e teologici non è avvenuto una volta per tutte, ma deve essere continuamente rielaborato e riproposto per non perdere benefici già raggiunti come la riorganizzazione degli ambiti di competenza dei diversi saperi e la conseguente scomparsa di posizioni ambigue come quella di Linneo. In questa non facile operazione di rivisitazione dei propri limiti e delle proprie competenze sorgono le tentazioni di stampo fondamentalista di chi crede di risolvere alla radice il problema riconoscendo come valido un solo sapere - il proprio - e negando la validità degli altri. Oggi assistiamo ad almeno due derive fondamentaliste: quella di chi propone una lettura ideologica del neo-darwinismo e quella di chi vuole il ritorno alle posizioni di Linneo nel nome di una interpretazione letterale della Bibbia. La prima assolutizza una teoria scientifica estendendone la validità ben oltre i confini che le sono propri. La seconda assolutizza l’interpretazione religiosa 17 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata promuovendo una lettura fondamentalista della Scrittura ed attribuendole una validità esplicativa scientifica che non possiede. La lettura ideologica del neo-darwinismo Iniziamo dalla lettura ideologica del neo-darwinismo, molto diffusa tra gli addetti ai lavori e, grazie a divulgazioni fortunate, anche tra il grande pubblico. Obiettivo fondamentale è di negare validità a qualsiasi argomento che possa, anche lontanamente, far riferimento a letture filosoficometafisiche aperte al trascendente. I punti chiave sono: (a) la negazione di ogni finalismo, b) la negazione di leggi che giustifichino la complessità del vivente e (c) l’attribuzione al caso di ogni novità evolutiva. Per dirla con uno dei suoi massimi esponenti, Jacques Monod, essa esclude dalla vita “ogni progetto di sviluppo organico, ogni legge che non sia il puro caso e la cieca necessità, ogni logica del vivente, ogni finalismo”. Dove per “puro caso” e “cieca necessità” si intendono mutazione e selezione naturale. Grazie all’acquisizione di questa verità, “l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso”. Il carattere ideologico di tale lettura può essere messo in evidenza analizzando i suoi tre punti fondamentali. Prima di tutto la negazione, che pretende di avere i caratteri della scientificità, di ogni forma di finalismo. Sorge però spontanea una domanda pregiudiziale: il finalismo rientra tra le competenze della scienza sperimentale? In altre parole, è in possesso la scienza sperimentale di strumenti metodologici che le consentano di dire una parola conclusiva sugli aspetti finalistici della natura? La risposta è, evidentemente, negativa. La scienza non estende la sua competenza alle finalità perché gli strumenti cognitivi in suo possesso - il metodo empirico - non le permettono di raggiungerle. Ci si chiede allora come il sapere scientifico in quanto tale 18 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata possa escludere l’esistenza di un qualcosa che, quand’anche esistesse, non sarebbe comunque in grado di cogliere. Il fatto è che di finalismo devono parlare non gli scienziati ma i filosofi, che sono in possesso di adeguati strumenti categoriali. Direttamente collegata alla negazione di qualsiasi finalità è l’esigenza di negare l’esistenza di leggi o ‘logiche’ del vivente. Queste infatti potrebbero assumere indesiderati ruoli guida nel processo evolutivo, sospingendolo lungo percorsi preferenziali e suggerendo ‘pericolose’ conseguenze filosofiche. E’ sconcertante, ma, secondo questa particolare lettura del neodarwinismo, la scienza non dovrebbe neanche perdere il suo tempo nella vana ricerca di inesistenti leggi o logiche del mondo della vita. Fortunatamente sono sempre più numerosi gli uomini di scienza che, contravvenendo a questa imposizione ideologica, studiano con nuovi approcci i viventi e la loro evoluzione scoprendo un imprevedibile mondo di leggi, di regolarità e di logiche. L’attribuzione al caso di ogni novità evolutiva, infine, meriterebbe un particolare approfondimento perché è il cavallo di battaglia dei più virulenti attacchi ideologici. Non potendo fare una trattazione necessariamente lunga, mi limiterò a proporre alcune semplici considerazioni: a) caso non è sinonimo di probabilità; b) sia nella scienza deterministica classica che in quella statistica caso ha il significato di mancanza di intelligibilità; c) il caso, quindi, non è in grado di spiegare niente e, meno che mai, può essere considerato un reale agente propulsore dell’evoluzione. Accanto alla lettura ideologica che, negando validità agli altri saperi, attribuisce alle categorie neo-darwiniane la capacità di affrontare e risolvere problemi filosofico-teologici, ve n'è anche un’altra, relativamente diffusa, che le attribuisce addirittura valenze religiose. Riporto, a titolo di esempio, lo stralcio di un’intervista rilasciata da un famoso attore tedesco che ha interpretato Giovanni Paolo II nella serie Non abbiate paura della 19 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata televisione Usa: “Non ho niente a che vedere con la chiesa. Non credo in Dio. Credo nell’evoluzione, mi sembra più logica”. Il creazionismo e la teoria del disegno intelligente Sul versante opposto si colloca il movimento di pensiero e di opinione noto come creazionismo. Assai diffuso negli Usa soprattutto tra le chiese e le sette fondamentaliste, poco diffuso in Europa e nella chiesa Cattolica, afferma la diretta creazione da parte di Dio delle specie viventi con le modalità e i tempi descritti nei primi due capitoli della Genesi. Come si può notare, si tratta della riproposizione, persino peggiorata, della posizione di Linneo e del suo errore metodologico con l’aggravante che ben tre secoli di elaborazioni e conquiste teoriche sembrano essere trascorsi invano e che nessun progresso nel frattempo sembra essere avvenuto nel campo della scienza e dell’esegesi biblica. L’errore di fondo permane lo stesso: dare risposte teologico-religiose a domande scientifiche. I termini stessi della contrapposizione vivacissima alla quale stiamo assistendo denunciano l’equivoco. Si parla di creazionismo ed evoluzionismo come di due teorie alternative, in possesso delle stesse caratteristiche di scientificità. Non si sottolinea mai, o quasi mai, che la vera alternativa scienfica all’evoluzionismo è il fissismo ed è tra queste due categorie che sarebbe legittimo il confronto. Il creazionismo è altra cosa sia rispetto all’evoluzionismo che al fissismo perché è una categoria teologica e come tale può essere correttamente confrontata solo con altre categorie appartenenti allo stesso ambito. Una posizione analoga, anche se all’apparenza più raffinata del creazionismo, è la teoria del disegno intelligente. Si tratta della posizione di alcuni scienziati americani secondo cui le mutazioni casuali e la selezione naturale non possono spiegare da sole l’evoluzione delle molteplici e complesse forme di vita. Si deve invece ipotizzare l’intervento di un agente 20 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata intelligente extra-naturale. Pur non identificando mai l’agente intelligente con il Dio biblico, si deve tuttavia rilevare che i sostenitori del disegno intelligente compiono lo stesso tipo di errore dei creazionisti: danno una risposta extra-scientifica ad una domanda scientifica. Ciò che intendono spiegare, infatti, è il dato genuinamente sperimentale della complessità della vita che può essere, certo, l’attuazione del progetto di un’intelligenza esterna ma può essere anche il frutto delle proprietà della materia stessa. Solo la seconda di queste ipotesi può essere definita scientifica in quanto di natura chiaramente empirica e suscettibile di verifiche sperimentali. La prima, al contrario, è di natura filosofica perché l’eventuale intelligenza extra-naturale progettatrice non può certo essere dimostrata tramite esperimenti empirici. Oscar Wilde era convinto che “a dar risposte sono capaci tutti, per far domande giuste ci vuole un genio”. Anche la Bibbia va interrogata in modo corretto. Non si possono pretendere risposte che non vuole e non può fornire e che solo subdolamente possiamo strapparle. L’autore dei primi capitoli della Genesi di sicuro si rifaceva ad un modello scientifico fissista, tipico dei suoi tempi, ma lo scopo del suo discorso non era quello di rispondere alla domanda (scientifica): “Cos’è successo all’inizio del mondo e dell’uomo?” quanto piuttosto alla domanda (teologica): “Che significato ha l’uomo nel mondo e nei suoi rapporti con Dio?”. Tale differenza di domande era già ben chiara ad Agostino. Nella sua De Genesi ad litteram infatti affermava: “Non si legge nel Vangelo che il Signore avrebbe detto: Vi manderò il Paraclito che vi insegnerà come vanno il sole e la luna. Voleva formare dei cristiani, non dei matematici”. Dopo più di mille anni lo stesso concetto fu ribadito dal cardinal Baronio con una frase tanto chiara quanto lapidaria: “Lo Spirito Santo intese insegnarci come si vada in cielo, non come il cielo si muova” (Spiritui Sancto mentem fuisse nos docere quomodo ad coelum eatur, non 21 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata quomodo coelum gradiatur) che venne citata e parafrasata in più occasioni dallo stesso Galileo. Le due prospettive di studio sono distinte, non necessariamente in opposizione ed anzi tendenti alla complementarietà. Nel discorso tenuto da Giovanni Paolo II all’Accademia Pontificia delle Scienze il 22 ottobre 1996 si afferma: “Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. (…) L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche dell’esperienza estetica e religiosa sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore”. Certo, la tentazione dello sconfinamento è forte: il teologo è stato spesso tentato di emettere verdetti di tipo scientifico e lo scienziato di dire la sua su tesi religiose. F. Facchini, antropologo dell’Università di Bologna ed anche teologo, ha cercato di mettere i paletti di frontiera: “Gran parte degli equivoci sul problema delle origini è sorta dalla pretesa di negare ciò che la scienza non può dirci (la dimostrazione dell’anima) o di far dire alla Bibbia quello che essa non vuol dirci (contenuti di ordine scientifico). Ai due interlocutori vanno posti quesiti che rientrano nel loro ambito. Alla Bibbia sul perché dell’esistenza, alla scienza sul dove, come, quando si è formata la vita. (…) La vera alternativa non è tra evoluzione e creazione, ma tra visione di un mondo in evoluzione, dipendente da Dio creatore secondo un suo disegno, e visione di un mondo autosufficiente, capace di crearsi e trasformarsi da sé per eventi puramente immanenti”. Ritengo che le parole di Facchini offrano la miglior conclusione possibile a questo mio intervento. 22 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata Approfondimento bibliografico I testi sulle teorie evolutive sono particolarmente numerosi. Pochi, comunque, presentano la chiarezza e la concisione, unite ad una indubbia correttezza scientifica, di un libro che, per queste doti, può essere consigliato a coloro che si accostano all'argomento per la prima volta senza possedere particolari conoscenze nel campo della biologia: Telmo Pievani - La teoria dell'evoluzione. Attualità di una rivoluzione scientifica - Il Mulino, Bologna 2006. Un'iconografia di rilievo ed un testo di piacevole lettura caratterizzano il volume di R. Massa, che suggerisce una lettura in chiave evolutiva della realtà vivente: Renato Massa - L'evoluzione. Il viaggio della materia vivente - Jaca Book, Milano 2007. Per i lettori già in possesso di conoscenze biologiche di base sono consigliabili le seguenti letture: Maynard Smith - La teoria dell'evoluzione - Newton & Compton, Roma 2005. Ernst Mayr - L'unicità della biologia - Raffaello Cortina, Milano 2005. Niles Eldredge - Le trame dell'evoluzione - Raffaello CFortina, MIlano 2002. Un classico alquanto impegnativo e ponderoso è: Stephen Jay Gould - La struttura della teoria dell'evoluzione - Codice, Torino 2003. 23 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata Efficaci ai fini della comprensione dei meccanismi evolutivi secondo l'ottica neo-darwiniana sono anche alcuni capitoli dei testi di G. Manzi dedicati al tema generale dell'evoluzione umana: Giorgio Manzi - Homo sapiens. Breve storia naturale della nostra specie - - Il Mulino, Bologna 2006. Giorgio Manzi - L'evoluzione umana. Ominidi e uomini prima di Homo sapiens - Il Mulino, Bologna 2007. All'evoluzione dell'uomo sono anche dedicati i volumi di lettura agevole e di iconografia ben curata: Fiorenzo Facchini - Le origini dell'uomo e l'evoluzione culturale - Jaca Book, Milano 2006. Chris Stringer, Peter Andrews - Storia completa dell'evoluzione umana - Logos, Modena 2006. Sui rapporti evoluzione - teologia uno dei riferimenti classici è il pensiero di P. Teilhard de Chardin di cui è uscito di recente un dizionario delle opere: Fabio Mantovani - Dizionario delle opere di Teihard de Chardin - Il Segno dei Gabrielli, Negarine di S. Pietro in Cariano (VR) 2006. Al pensiero teilhardiano si rifà l'opera: Lodovico Galleni - Scienza e Teologia - Queriniana, Brescia 1992. Completo e profondo, e pur tuttavia di agevole lettura è il testo: Jacques Arnould - La teologia dopo Darwin. Elementi per una teologia della creazione in una prospettiva evoluzionista - Queriniana, Brescia 2000. Ha avuto vasta eco sui media l'incontro del Papa con i suoi ex alunni a Castel Gandolfo nel 2007, dedicato alla visione evoluzionistica e ai problemi che pone alla filosofia e alla teologia: Schülerkreis (Gruppo di allievi) di Papa Benedetto XVI (a cura di) Creazione ed evoluzione - Edizioni Dehoniane, Bologna 2007. 24 Materiale riservato. La riproduzione per usi non personali è vietata Il portavoce più noto di posizioni anti-religiose e anti-cristiane nel nome dell'evoluzione è R. Dawkins. Grazie alla sua prosa lucida e accattivante, l'autore è riuscito ad avvicinare il grande pubblico al suo modo di interpretare il neodarwinismo. Nel suo ultimo libro attacca alla radice la religione. Non solo le religioni istituzionali, a cominciare naturalmente dalle chiese cristiane, ma la religione tout court: Richard Dawkins - L'illusione di Dio. Le ragioni per non credere Mondadori, Milano 2007. A Dawkins replica con stile altrettanto brillante e stringente il collega biochimico A. Mc Grath sostenendo la tesi opposta: Alister Mc Grath - Dio e l'evoluzione. La discussione attuale - Rubettino, Soveria Mannelli 2006. In Italia, posizioni analoghe a quelle di Dawkins sono difese da T. Pievani. E' degno di nota il fatto che lo stesso autore che ha scritto 'La teoria dell'evoluzione. Attualità di una rivoluzione scientifica', qui messo al primo posto tra i testi suggeriti per la comprensione del neodarwinismo, sia anche l'autote di un libro contenente un attacco viscerale alla religione: Telmo Pievani - Creazione senza Dio - Einaudi, Torino 2006. Per farsi un'idea della versione più moderna delle teorie creazioniste, nota come 'disegno intelligente': Marco Respinti - Processo a Darwin - Piemme, Casale Monferrato 2007. La posizione della grande maggioranza dei teologi cattolici sulla teoria del 'disegno intelligente' è espressa da: Stanley Jaki - Disegno intelligente? - fede & cultura, Verona 2007. 25