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Quali sono le indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia? L’ordinamento italiano rappresenta un unicum nel panorama internazionale in quanto in esso coesistono due diversi sistemi di calcolo delle indennità di fine rapporto, quello previsto dal Codice Civile e quello disciplinato dagli Accordi Economici Collettivi. Tale circostanza è stata determinata dall’emanazione della Direttiva CE n. 653/1986, per effetto della quale il legislatore italiano ha modificato l’art. 1751 c.c., che originariamente richiamava gli Accordi collettivi. A seguito delle modifiche apportate, l’art. 1751 c.c. disciplina ora l’indennità di fine rapporto in modo completamente diverso dagli Accordi Economici Collettivi. Da un lato, questi prevedono la spettanza dell’indennità in modo proporzionale alle provvigioni percepite dall’agente anche nei casi in cui non vi sia un aumento degli affari, dall’altro, il Codice Civile non riconosce alcuna somma in assenza dei seguenti presupposti: a) l’agente deve aver procurato nuovi clienti al preponente o avere sensibilmente sviluppato affari con i clienti esistenti ed il preponente ricevere ancora vantaggi sostanziali dagli affari con tali clienti; b) il pagamento di tale indennità deve essere equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti. Pertanto, qualora sussistano tali presupposti, l’agente ha diritto all’indennità secondo quanto prescritto dal Codice Civile. In dottrina (Bortolotti, Contratto e impresa, 1993, p. 128 ss.; Trioni, Del contratto di agenzia, p. 216 ss.) e in giurisprudenza (Cass. n. 5467/2000) è stato precisato che, come previsto dalla Direttiva comunitaria, le due condizioni, di cui all’art. 1751 c.c., devono ricorrere cumulativamente e non alternativamente. Nulla sarà pertanto dovuto all’agente qualora il preponente dimostri che la clientela procuratagli dallo stesso non è rimasta a lui legata, ma è passata in blocco ad altro imprenditore con cui l’agente successivamente collabori, senza subire quindi alcuna perdita. Altresì, l’indennità non spetta all’agente quando il rapporto si sciolga per causa allo stesso imputabile (gravi inadempienze, recesso senza giusta causa) o, nell’ipotesi, in cui, d’accordo col preponente, questi ceda a terzi il contratto di agenzia (art. 1751, comma 2, c.c.). È, invece, dovuta se la cessazione del rapporto dipenda da circostanze attribuibili al preponente o all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività. 1 La quantificazione dell’indennità è rimessa al Giudice sulla base dell’importo massimo stabilito dal terzo comma dell’art. 1751 c.c.: “ L'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione”. Se i presupposti non sussistono il calcolo avviene secondo quanto disposto dagli Accordi Economici Collettivi, che quantificano le indennità in modo preciso, in misura percentuale rispetto alla provvigione, mentre il Codice Civile si limita ad indicare il tetto massimo. Infine, se gli Accordi Economici Collettivi riconoscono una componente dell’indennità di fine rapporto agli agenti, anche in caso di risoluzione del rapporto a loro iniziativa (si tratta della prima componente delle indennità previste dagli Accordi Economici Collettivi, ovvero l’indennità di risoluzione del rapporto, che viene versata dalle società mandanti all’Enasarco (F.I.R.R.), il Codice Civile, invece, esclude in modo esplicito ogni diritto. Non pochi problemi di compatibilità ha suscitato il sistema previsto dal Codice Civile con le disposizioni dettate dagli Accordi Economici Collettivi, che prevedevano, come detto, degli emolumenti automaticamente erogabili all’agente, senza alcun requisito di merito. Si sono pertanto formati in dottrina e giurisprudenza diversi orientamenti. Secondo un orientamento minoritario, la validità degli Accordi Economici Collettivi andava valutata ex post, dopo la cessazione del rapporto, quando sarebbe stato possibile stabilire se e in che misura spettava l’indennità codicistica. Quindi, le norme degli accordi collettivi venivano ritenute nulle, in quanto contrarie alla ratio della norma codicistica e comunque prevedevano un trattamento economico inferiore rispetto a quello garantito dal Codice Civile (es. Trib. Piacenza, 6 giugno 2002). Per l’orientamento maggioritario, la valutazione andava effettuata ex ante e nei confronti dell’agente, per cui gli Accordi Economici Collettivi, prevedendo indennità non meritocratiche ma comunque erogabili, venivano ritenuti più favorevoli. La disciplina prevista dagli Accordi Economici Collettivi veniva quindi considerata prevalente in quanto le norme in questi contenute garantivano un trattamento più favorevole all’agente (Trib. Brescia, sez. lav., 20 ottobre 1999; Cass. n. 11189/2002). 2 Al fine di individuare un orientamento unitario, la Corte di Cassazione ha investito la Corte di Giustizia europea della questione pregiudiziale in merito all’interpretazione degli articoli 17 e 19 della Direttiva n. 653/1986, che ha modificato l’art. 1751 c.c.. La Corte europea, con la sentenza C-465/04 del 23 marzo 2006 ha fornito la sua interpretazione degli art. 17 e 19 della Direttiva, stabilendo che gli Accordi Economici collettivi vanno applicati se garantiscono un’indennità pari o superiore a quella prevista dalla Direttiva. A seguito della pronuncia della Corte di Giustizia, la Cassazione ha adottato un’interpretazione di tale sentenza che garantisce all’agente il migliore trattamento possibile. Si segnala, al tal proposito, la recente sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 12724/2009), in cui si è stabilito che la quantificazione dell’indennità, calcolata sulla base dei criteri posti dagli Accordi collettivi, può essere integrata dal giudice fino al massimo previsto dall’art. 1751 c.c., confermando che la contrattazione collettiva individua un trattamento minimo garantito che può essere superato nel caso in cui sussistano i presupposti di cui all’art. 1751 c.c.. Con gli interventi della Corte di Cassazione successivi alla pronuncia della Corte di Giustizia, si è affermato un chiaro orientamento sui rapporti tra la norma codicistica e le indennità degli Accordi collettivi. Secondo quest’ultimi, il sistema delle indennità spettanti all’agente si articola in tre distinti emolumenti: a) l’indennità di risoluzione del rapporto (F.I.R.R.), corrisposta dalle aziende mandanti al fondo F.I.R.R. presso l’Enasarco e calcolata secondo una percentuale sugli importi percepiti dall’agente durante il rapporto. Spetta sempre all’agente, ad eccezione del caso in cui a) abbia trattenuto indebitamente somme spettanti alla mandante, o b) abbia compiuti atti di concorrenza sleale o, se monomandatario, violato il vincolo di esclusiva. b) l’indennità suppletiva di clientela, calcolata secondo una percentuale sugli importi percepiti dall’agente durante il rapporto. Spetta sempre all’agente, ad eccezione del caso in cui il rapporto si sciolga per fatto a lui imputabile; c) l’indennità meritocratica, collegata all’incremento di clientela. Il suo ammontare è in funzione di due fattori: a ) l’incremento di fatturato iniziale e finale raggiunto dalla mandante nella zona affidata all’agente, b) un’aliquota percentuale che aumenta in funzione dell’incremento delle vendite. La maggiorazione meritocratica non può mai superare la differenza 3 tra l’ammontare massimo previsto dall’art. 1751 c.c. e la somma delle altre due componenti, ovvero indennità di risoluzione e indennità suppletiva di clientela. Avv. Marco De Paolis 4