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Siccome io vi ho amati La Parola Indice

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Siccome io vi ho amati La Parola Indice
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L.353/2003 (conv.in L.27/02/2004 n. 46) art.1, comma 2, DCB - Reggio Emilia
Proprietario: Ass. Diaconia - direttore responsabile: Antonio Burani - stampato in proprio: via Leuratti, 8 - Reggio Emilia
N. 5 maggio 2013
Indice
La Parola
Siccome io vi ho amati
don Daniele
31
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse:
«Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è
stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in
lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo
glorificherà subito.
33
Figlioli, ancora per poco sono con voi. 34Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.
Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni
gli altri.
35
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli:
se avete amore gli uni per gli altri».
Gv. 1331-33.34-35
Siccome io vi ho amati
don Daniele
p1
Grazie per esserci stato
AA.VV.
p2
Adorare Dio
papa Francesco
p3
Le rose blu
Roberto Vecchioni
p4
Quando ti portano via anche
la stima
Ivan
p 4
Il Vangelo spiegato dai piccoli
AA.VV.
p6
Seminaristi in OPG
Licia
La Parola del vangelo di domenica 21 aprile è la Parola che
ci chiama a prendere in considerazione la possibilità di amare.
Tema ormai usato e riusato…credo però che, nella fedeltà
alla Parola, possiamo cogliere la novità sempre… nuova di un
brano come questo.
Innanzitutto di come Gesù parli di "gloria" facendo riferimento
a due contesti: il primo è quello della lavanda dei piedi.
Questo vuol dire che la gloria, quella cioè che Gesù lascia che
il Padre mostri di sé, avviene nel segno principe del servizio:
la lavanda dei piedi.
Quest'ultima non è una mansione, né un'attività preferita ad
altre, ma è l'essere stesso del Cristo: servo e schiavo per
amore.
(segue in ultima pagina)
p8
Ma tu ci credi nella vita dopo il
parto?
a cura della redazione
p9
Erborinare ..andar per erbe
Licia
p 10
La morte di Eniest
L.B.
p 11
Pasqua 2013
Massimo Toschi
p 11
Riflessioni
p 12
Adorare Dio
Grazie per esserci stato...
AA.VV.
.......Che cosa vuol dire allora
adorare Dio? Significa imparare a
stare con Lui, a fermarci a dialogare
con Lui, sentendo che la sua presenza
è la più vera, la più buona, la più
importante di tutte.
Ognuno di noi, nella propria vita, in
modo consapevole e forse a volte
senza rendersene conto, ha un ben
preciso ordine delle cose ritenute più
o meno importanti.
Adorare il Signore vuol dire dare a
Lui il posto che deve avere; adorare
il Signore vuol dire affermare,
credere, non però semplicemente a
parole, che Lui solo guida veramente
la nostra vita; adorare il Signore
vuol dire che siamo convinti davanti
a Lui che è il solo Dio, il Dio della
nostra vita, il Dio della nostra storia.
14 aprile 2013 - Papa Francesco
Sono Maria,
Giacomo se n'è
andato in cielo
questa mattina.
A capo,
così noi lo
chiamavamo.
Adesso penso
sarebbe scontato
scrivere la
persona
fantastica che
eri, in queste
righe ti dirò
poche cose.
Disegno di Nani Tedeschi – 2003,
inaugurazione della nuova sede del Circolo
Arci “La Fontana”
Volevo ringraziarti perché a un nostro minimo gesto tu eri lì per noi.
Bastava suonarti il campanello e tu, anche se eri scocciato o era
tardi, scendevi per noi, per far sì che la nostra serata potesse iniziare.
Grazie per averci trattato come dei figli, quando sbagliavamo riuscivi
a farci ragionare, senza urlarci addosso, cercavi di venire incontro
a dei ragazzi come noi e mettendoti anche nei nostri panni, a volte
dicevi che non avevamo poi così tanto torto e lo facevi solo per noi,
per aiutarci a capire certe cose.
Grazie perché pur di vederci felici e non sempre sul solito muretto,
hai concesso noi una stanza del circolo e noi vi potevamo entrare
quando volevamo.
Redazione
don Daniele Simonazzi
Gianni Salvarani
Ivan Farioli
Licia Gasparini
Lorella Giansoldati
Lorena Iotti
Lucilla Cabrini
Stefania Ferrari
2
Grazie per le carezze che, non avendole mai ricevute, mi risultavano
paterne.
In questo pensiero a volte parlo al plurale, perché anche se le parole
le ho scritte io, sono sicura che i miei amici pensino lo stesso.
Grazie ancora per esserci stato, Giacomo.
Ti ricorderemo sempre. Il mio non è un addio.
Andrea
UN BREVE RICORDO DI UN COLLEGA E AMICO
Con Giacomo, assieme a molti colleghi di lavoro oggi presenti, ho trascorso oltre trent’ anni di
lavoro nel Corpo della Polizia Municipale.
Nel lungo percorso che egli ha fatto, da prima nella 7° e 8° Circoscrizione, poi nel Reparto Motociclisti,
e infine all’Ufficio Traffico, è sempre riuscito ad avere un rapporto propositivo e di collaborazione con i
colleghi e di dialogo con i cittadini nella ricerca delle soluzioni ai problemi che giornalmente si presentavano
sul territorio.
Schivo al protocollo e all’ufficialità, non amava delegare le problematiche che si potevano presentare
e preferiva , in prima persona, ricercarne le soluzioni.
Nel servizio svolto all’Ufficio Traffico del Comando era riuscito ad intavolare un proficuo rapporto di lavoro
sia con i colleghi del Corpo, che con gli Uffici preposti dell’Amministrazione Comunale, nel tentativo di
risolvere i tanti problemi legati alla viabilità che giornalmente si presentavano.
A noi piace ricordarlo, anche in occasione degli innumerevoli eventi di varia natura (musicali,
sportivi, politici) che si sono svolti nella nostra città e anche in circostanze (tragiche) come alluvioni e
terremoti, dove è sempre stato in prima linea nell’organizzazione dei servizi, di tali manifestazioni,
mettendo a disposizione la sua esperienza.
Infine, penso d’interpretare il pensiero di tanti cittadini di Pratofontana nel ringraziarti per il grande
lavoro che hai svolto per il Circolo Arci "La Fontana”.
Alla moglie, ai figli e parenti tutti , posso dirvi che vi siamo vicini nell’immenso dolore che ha toccato il
vostro cuore.
Un abbraccio.
Ciao Giacomo.
Pratofontana (RE), 30/03/2013
Marata Loris
"A ghe'l don!".
Con queste parole mi accoglie Giacomo le volte in cui entro al Circolo. E così, volentieri, abbiamo riunito questi
suoi scritti pubblicati sul giornalino Diaconia parrocchia.
La sua capacità di accorgersi di chi c'è o non c'è, l'ha portato a scrivere e condividere alcune sue preoccupazioni
riguardanti temi che sono nella vita quotidiana di ciascuno di noi.
Giacomo ci dice come, in alcuni momenti della vita, ci si può fermare a riflettere su cose che diamo per scontate ma
che invece richiedono una vigilanza continua. E la volontà di condividerle dice anche la disponibilità al confronto,
ad una idea diversa dalla tua e al desiderio di accoglierla come una ricchezza. Le proprie convinzioni sono tanto
più radicate quanto più si sa valorizzare la ricchezza di quelle degli altri.
Mi pare, inoltre, che questo piccolo e semplice segno di amicizia sia un invito a vivere una dimensione della nostra
vita che noi, a Pratofontana, non coltiviamo abbastanza. È la partecipazione alla vita della frazione.
Se c'è una cosa che mette Giacomo a disagio è la scarsa partecipazione alle attività e alle iniziative del Circolo (che
lui considera come la sua seconda casa...).
La partecipazione strettamente legata alla libertà dice la volontà di mettersi al servizio, di pensare che la vita, la
mia vita, può trovare il suo senso nella disponibilità al bene di tutti.
Grazie, quindi, caro amico Giacomo, soprattutto in questo momento di prova grazie al quale ci hai dato di condividere
i tuoi pensieri e le tue preoccupazioni, facendoci però cogliere di essere chiamati a Libertà, quella vera, quella in Lui,
quella che si vive nell'Amore.
Il don.
dall'introduzione alla raccolta di alcune testi di Giacomo - agosto 2012
3
Le rose blu
Roberto Vecchioni
Vedi,
darti la vita in cambio
sarebbe troppo facile,
tanto la vita è tua
e quando ti gira
la puoi riprendere;
io,
posso darti chi sono,
sono stato o chi sarò,
per quello che sai,
e quello che io so.
Io ti darò
tutto quello che ho sognato,
tutto quello che ho cantato,
tutto quello che ho perduto,
tutto quello che ho vissuto,
tutto quello che vivrò,
…
Io ti darò
tutti i giorni che ho alzato
i pugni al cielo
e ti ho pregato, Signore,
bestemmiandoti perché non ti vedevo,
…
Vedi,
darti solo la vita
sarebbe troppo facile
perché la vita è niente
senza quello che hai da vivere;
e allora,
fa che non l'abbia vissuta
neanche un po',
per quello che tu sai,
e quello che io so.
perché questa vita adesso, quella vita
non è più la mia.
4
Quando ti portano via anche la stima...
Ivan
morire di vergogna
Morire di disperazione, morire d'abbandono, morire di vergogna,
morire di lavoro, morire nel silenzio, senza fragore … togliersi la
vita.
Morire dopo una vita trascorsa a combattere, finire per crollare
sotto il peso di problemi senza più risposte, senza più vie d’uscita,
schiacciati dal senso di impotenza, dalla sensazione di non poter
più vivere con dignità.
Una uscita di scena tragica, drammatica, soprattutto quando avviene
a 60 o 70 anni, e nell’indifferenza più totale, e accomuna tutti:
lavoratori senza più lavoro e imprenditori senza più impresa, di ogni
parte del paese.
Il lavoro è immagine di certezza economica e della possibilità di un
uomo di avere un futuro. Che è proprio ciò che viene a mancare a
chi questo futuro se lo vede portare via, a chi si vede costretto a un
eterno presente fatto di sofferenze, umiliazioni e difficoltà di cui
non si vede la fine. Chi entra in questa spirale sente di non avere
più nessuna speranza e di non farcela più.
Togliersi la vita, è un paradosso ma è un po’ come riprendersi la
decisione del proprio futuro che si sono visti portare via dalla società
o dalla crisi economica, fenomeno che stiamo osservando con
particolare intensità in questi giorni.
Ma è sconvolgente quando si pensa, come è avvenuto a Civitanova
Marche, l’ultima tragedia, che Remo e Annamaria, quella vita se
la sono tolta insieme, si sono impiccati insieme, come insieme
l’avevano vissuta fino a quel momento, fino all’età di oltre 60 anni.
Poi, come tutti gli altri suicidi, con un immenso pudore, nel loro
ultimo messaggio, chiedono “scusa per quello che hanno fatto”,
chiedono compassionevolmente “perdono”.
Pablo Picasso (18811973), giovane scultore
al lavoro, piastra 46
della Suite Vollard.
Acquaforte,
23 marzo 1933.
Presentato dalla
Hamish Parker
Charitable Trust in
memoria del maggiore
Orazio Parker.
In chiesa il vescovo di Fermo, monsignor Luigi Conti, durante l’omelia non usa parole tenere: «Non potete
immaginare quante persone mi chiedono aiuto, ma ultimamente sono spaventato. Non sono solo gli operai
a rivolgersi a me, ma anche gli imprenditori», dice il vescovo appellandosi a «coloro che ci governano perché
facciano presto e si rendano conto che non ce la facciamo più». Poi ai defunti: «Siete voi che dovete
perdonarci».
E la chiesa? La Chiesa forse, per dirla con le parole di Francesco Moraglia, il nuovo patriarca di Venezia,
«non sempre ha capito il dramma di chi è senza lavoro o di chi pensava fosse un soggetto robusto del
mercato». Ma è una Chiesa che di fronte a queste tragedie umane mostra la sua faccia migliore: quella dei
pastori che vivono sul territorio e che sono vicini al gregge. Religiosi che sono pronti ad aprire le braccia e
il portone della chiesa anche a chi ha commesso un atto come il suicidio, condannato dal cattolicesimo.
Leggevo di Don Massimo Facchin, 56 anni, metà dei quali passati da sacerdote, che, a dicembre dell’anno
scorso ha accolto nella sua parrocchia padovana oltre 300 persone riunite attorno alla salma di Giovanni
Schiavon, imprenditore edile che non riusciva a riscuotere crediti per oltre 200 mila euro. Nell’omelia don
Massimo ha parlato di un uomo schiacciato da un sistema bloccato in cui le regole sono evaporate sotto i
colpi della crisi: «Ci vuole più umanità, bisogna imparare ad avere più attenzione verso le persone, più
rispetto delle buone regole della vita sociale. Noi siamo per aprire le porte della chiesa e della preghiera,
lui ha trovato solo porte chiuse».
E sono ormai tanti quelli che hanno deciso di farla finita, perché sull’orlo del fallimento e schiacciati dai
debiti: 86 uomini, 3 donne nel 2012 e già 14 nel 2013. Quasi equamente distribuiti tra il Nord, il Centro e
il Sud. Si tratta di imprenditori, artigiani, disoccupati, pensionati; e le cause sono sempre le stesse: precaria
situazione economica personale, perdita del posto di lavoro, difficoltà a saldare i debiti con l’erario,
l’impossibilità a pagare i contributi dell'Inps, ritardo dei pagamenti, e così via …
Si tratta in genere di persone umili, dignitose e riservate; i loro nomi si potrebbero elencare, sono tanti, e
ogni nome racconta una storia, ma tutti hanno qualcosa in comune, sono i nomi di uomini e donne che si
sono prese porte in faccia dappertutto, hanno girato a vuoto fra associazioni di categoria, sportelli comunali
e sindacali, parrocchie, Caritas, sindaci, banche e finanziarie: per chiedere un aiuto, la riscossione di un
credito, un margine di tempo, un prestito, una parola di conforto … ma senza concludere nulla, e allora …
troppa la vergogna, troppo il disonore!
Allora iniziamo a vergognarci anche noi, di vivere in un paese che lascia morire i suoi cittadini nell'indifferenza
e nell'abbandono, che specula sulle pandemie presunte e sui terremoti, che decide scientemente di non
curare più la gente né di tutelare l'istruzione e i regali che la natura, ha fatto a questo paese. Vergogniamoci
di vivere in una nazione che ha al centro dei suoi interessi i gratta e vinci e i videopoker …, che poi non sono
altro che l'altra faccia della disperazione.
La crisi, potrebbe essere un'occasione per tutti, a livello sia individuale sia sociale, per un cambiamento,
un ripensamento e per rivedere le priorità; per rifuggire le logiche consumistiche e abbracciare una nuova
visione della vita basata sull'essenziale, attraverso un cambiamento radicale dei nostri stili di vita.
Pensando a tutta questa povera gente che si toglie la vita per disperazione, mi sono venute in mente le
parole di Roberto Vecchioni, che parlando in una intervista, di una sua stupenda canzone, “Le rose blu”
diceva: « … in un momento di grande sofferenza nella vita … Te ne stai lì … ti chiudi ... e allora mandi una
preghiera che sembra una bestemmia ... o una bestemmia che sembra una preghiera ... all’unica cosa
che pensi che ti possa ascoltare … che poi si chiama Dio ... e devi dare a Dio tantissimo per avere in cambio
qualcosa ... non gli puoi dare in cambio solo la vita ... è troppo facile ... e allora gli dai in cambio tutto
quello che hai vissuto ... che è differente ... »
5
Il Vangelo spiegato dai piccoli
AA.VV.
Caro Oreste,
con grande emozione ho letto la tua lettera e un consiglio
ti voglio dare, è questo che non devi arrenderti e devi andare
per mano al Signore e se tu lo seguirai grazie al tuo cuore
che ti farà da guida vedrai che non farai più un passo errato.
Io ti ritengo fortunato perché non tutte le persone che vanno
in carcere si accorgono che stanno percorrendo la strada
sbagliata e quindi ti ritengo una persona fortunata perché
il Signore ti ha dato un'altra possibilità e se tu la
sfrutterai sarai fiero di te e anche il Signore.
Oreste, proprio sabato scorso abbiamo letto il vangelo
di Giovanni 8,1-11 la parte che mi ha colpito è stata
quando Gesù dice: " chi di voi è senza peccato, getto per
primo la pietra contro di lei". Perché quando si è perdonati è come se ti alzassi da terra quando ti fai male
e quando ti penti e come se il dolore se poco doloroso riesci ad alzarti facilmente e se più doloroso fai più
fatica.
E poi mi ha colpito quando dice allora Gesù .. si alzò e le disse: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?"
ed ella rispose "Nessuno, Signore".
E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va e d'ora in poi non peccare più".
Mi ha colpito perché il Signore sta facendo così con te e per me è come se tu fossi il personaggio del Vangelo.
Io spero al più presto che possa uscire dal carcere e ritornare alla libertà.
Nessuno è perfetto, tutti tranne il Signore perché tutti abbiamo peccato.
È vero tu sarai più grande di me e avrai più peccato, però anch'io ho qualcosa da farmi perdonare dal Signore.
Ti prometto una cosa che io pregherò sempre il Signore per te quando prego perché io è vero non ti conosco
ma io so che in fondo hai qualcosa di buono. Anche le persone che noi le rappresentiamo cattive qualcosa
di buono ce l'avranno anche loro, ma a volte è come se fossimo ciechi.
Da D. un abbraccio
Caro don Daniele,
anche quest'anno grazie a Dio e grazie ai
volontari della catechesi che vengono qui a pregare
con noi, ho avuto la possibilità di vivere e partecipare
con cuore umile, con cuore di fede alla via crucis
meditata e celebrata che fanno qui all'interno del
carcere di Secondigliano.
Ho letto la seconda stazione e per alcune stazioni
ho anche portato - insieme ad altri due carcerati sulla mia spalla una grossa croce: con la mia mente,
con il mio cuore, con tutto me stesso ero con la
croce; ci sono stati attimi in cui ho sentito che ero
solo con i miei pensieri di fede, solo con la croce,
solo con il Signore, anche se c'era tanta gente
attorno.
È stata un'emozione di fede molto significativa per
me misero peccatore.
6
E poi tutto il resto: un' emozione continua. Vedere, sentire le voci, i saluti dei carcerati che dalle finestre
delle celle allungavano le loro braccia e le loro mani, quelle braccia, quelle mani verso la croce, verso il
nostro amato Gesù. Che storia don, che emozione quella giornata!
Ma con cuore sincero vi devo dire che questa quaresima è diversa, più sentita, più profonda nel mio cuore:
c'è il nostro dialogo spirituale, serio, sincero e costruttivo; c'è il bellissimo comunicare in fede con i ragazzi
del catechismo della parrocchia di Pratofontana che sento vicino al mio cuore con i loro pensierini, con lde
loro frasi, con il loro cammino di fede; c'è con sincerità e con fede questa forte emozione che ho e sto
vivendo per la nuova figura del Papa di Roma, papa Francesco; dalla sua prima apparizione dal balcone
quella sera del 13 marzo - che ho visto e sentito per televisione qui in cella - subito ho sentito le sue parole
nel mio cuore.
Uomo semplice, uomo umile, come il suo nome che ha scelto, papa Francesco.
Sto seguendo con cuore di fede per televisione come anche oggi domenica delle palme ho sentito la messa,
ho sentito il suo invito a portare e amare la croce di Gesù nostro salvatore. E le emozioni sono continuate
quando ci hanno comunicato che il reparto "Adriatico" era stato scelto per partecipare alla santa messa con
il cardinale Sepe…..
I tre crocifissi, Vincenzo Foppa (1427 ca. - 1516 ca.) - Accademia
Carrara di Bergamo.
La tavola è considerata una delle opere più importanti di Vincenzo
Foppa, agli esordi del suo percorso. In una cornice prospettica
classica che chiude la scena fra il primo piano e lo sfondo dei
paesaggi boschivi, valli e città, l'autore crea uno spazio fisico dove
lo spettatore può sederci e meditare.
Ci si immedesima nei tre crocifissi, misurando la serena accettazione
del dolore da parte di Cristo e lo spasimo del condannato di destra
tormentato da demoni che si annidano tra i suoi capelli. Il ladro
pentito, a sinistra di chi guarda, è senza vita ma irradia luce: è il
buon ladrone, che ha rubato il paradiso a Gesù chiedendogli perdono
con l'ultimo suo fiato.
Lo spettatore può immergersi nella prospettiva fatta di orti e di
giardini fino alla città degli uomini, portando la luce che viene dalla
croce.
Opera in esposizione fino al 2 giugno al Museo Diocesano di Milano
Commento alla via crucis del venerdì santo nel carcere di Secondigliano
2° stazione - Gesù è caricato della croce
Gesù Cristo incomincia il Suo Calvario per piantare in ogni persona il seme dell'amore.
Quando l'amore chiama rispondi prontamente, non scappare, affidati a LUi. Potrebbe ferirti ma non più di
quanto tu lo sia già stato dalla vita; accogli il richiamo del Padre perché attraverso la cosapevolezza del
dolore che ti metterà di fronte, imparerai ad apprezzare la gioia del ritorno alla vita.
Ricorda che il vero Amore non dice "non cambiare, rimani come sei", il vero Amore ti chiede di crescere e
potrai farlo solo cambiando.
7
Seminaristi in Opg.
Giovanni Borghi
Quest’anno come esperienza caritativa comunitaria del Seminario di Reggio Emilia, noi seminaristi abbiamo
deciso di varcare i nostri preconcetti e pregiudizi e siamo arrivati alla porta dell’ Ospedale Psichiatrico
Giudiziario di via Settembrini.
Abbiamo deciso di partecipare alla liturgia della parola di don Daniele Simonazzi e di meditare ogni venerdì
il Vangelo della domenica. L’esperienza è partita a fine novembre dello scorso anno con l’inizio dell’Avvento
e tuttora sta andando avanti settimanalmente, ogni venerdì, alternandoci in piccoli gruppetti.
Personalmente devo dire che entrare in carcere è sempre un pugno nello stomaco. Mi sono reso conto che
la realtà esterna al carcere vede questo luogo come una delle case circondariali più funzionali italiane,
mentre, varcando le porte dell’Opg, ci si accorge che ci sono molte carenze, sia sul piano strutturale
(infiltrazioni di acqua e umidità) che di personale (sovraffollamento e mancanza di agenti).
L’Opg è composto da sette sezioni che paradossalmente hanno tutte quante nomi di costellazioni. Il settore
dove noi ci dirigiamo per la Diaconia si chiama Cassiopea: è il settore dove si svolgono le attività educative
e ricreative dove quindi c’è anche una cappella per le celebrazioni liturgiche.
Al suono della campana che si affaccia sul cortile interno, i ragazzi sanno che è arrivato don Daniele e devono
affrettarsi perché sta incominciando l’ora della riflessione e della preghiera. Prendono il foglietto della
messa, il libretto dei canti, si siedono in semicerchio sulle panche attorno all’altare. Ecco, sono pronti per
incominciare. Ci dividiamo assieme a loro le letture, il salmo, e il Vangelo, mentre don Daniele intona
l’invocazione allo Spirito Santo.
Con grande paternità, don Daniele guida la diaconia sul significato delle parole che hanno appena ascoltato
interpellando tutti, chiedendo cosa non hanno capito, rispondendo a tante domande esegetiche e di curiosità.
La preghiera termina con il padre nostro e il canto finale.
La società civile percepisce i malati detenuti come “matti”: questo mi fa venire in mente l’episodio del
posseduto di Gerasa, che troviamo nel vangelo di Marco, recluso a vivere in un cimitero. L’infermità mentale
lo fa vagare in una valle di morte, ma Cristo scende dalla barca, cambia la vita di questo “malato” e lo
guarisce.
“Giunsero da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla
Legione, ed ebbero paura (Mc 5,16-17)
Il sentimento generale delle persone cosiddette normali è ancora avvolto dal timore, dalla paura dell’incontro
con questo genere di realtà che viene alimentato dai fatti criminosi divulgati dai media.
Queste strutture penitenziarie dovrebbero recuperare per convertire una vita all’apparenza persa, perché
macchiata di un crimine, in una testimonianza preziosa per tutti. Un’apertura alla parte potenzialmente
oscura di noi stessi che dimora in noi e che allontaniamo ghettizzandola in un luogo lontano dalla normalità,
dalla luce. Un’apertura che diviene possibile solo se c’è accoglienza del diverso.
Ma ciò comporterebbe una presa di posizione nella nostra vita e quindi molte volte invitiamo Gesù a non
disturbarci perché chi sbaglia non ha possibilità di riscatto.
Mi ha affascinato molto il loro stare davanti alla Parola di Dio, la loro semplicità nel farsi condurre. Certo,
ci sono gli psicofarmaci, le loro patologie, ma entrando nella loro vita, volta per volta, diaconia dopo diaconia,
si capisce che il Signore è misericordioso e il loro bisogno di essere perdonati, guariti, liberati dalle loro
colpe tutto sommato ricorda anche il nostro bisogno.
segue a pag. 9
8
Ma tu ci credi alla vita dopo il parto?
a cura della redazione
Due bebè si trovano nel seno di una donna incinta. Uno domanda
all’altro: Tu credi nella vita dopo il parto?
- Si, certamente.
- Qualcosa deve esistere dopo il parto. Forse siamo qui perché abbiamo
bisogno di prepararci per ciò che saremo più avanti.
- Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come dovrebbe essere
questa vita?
- Non lo so con sicurezza… ci sarà più luce di qui. Magari cammineremo
con i nostri piedi e ci alimenteremo con la bocca.
- Che assurdità! Camminare è impossibile. E mangiare con la bocca?
E’ semplicemente ridicolo. Il cordone ombelicale è da dove ci
alimentiamo. Io ti dico una cosa: la vita dopo il parto non è concepibile.
Il cordone ombelicale è troppo corto.
segue da pag. 8
Vivere all’Opg significa attendere,
camminando nel deserto,
sperimentando l'abbraccio della
Croce: non quella comoda e
gratificante ma quella della sequela
di Cristo.
Mi stanno insegnando che bisogna
portare la propria croce: e solo così
potremo credere veramente, dirci
davvero cristiani infatti come
scriveva San Antonio da Padova:
“In nessun altro luogo l’uomo può
meglio rendersi conto di quanto egli
valga, che guardandosi nello
specchio della croce”.
- Ma nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine
della vita. E in fin dei conti la vita non è altro che una triste esistenza
nell’oscurità che non porta a nulla.
Ringraziamo il Signore per questa
esperienza di accompagnamento
spirituale e di condivisione che ci fa
capire che il prete è chiamato ad
essere di tutti è soprattutto dove c’è
più bisogno.
- Bene, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sono certo
che vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
«Ero in carcere e siete venuti a
trovarmi» (Mt 25,36).
- Eppure io credo che deve esserci qualcosa, anche se un po’ diverso
dalle cose a cui qui siamo abituati.
- Mamma? tu credi nella mamma? e dove pensi che si trovi?
- Dove? E’ tutto intorno a noi! Noi viviamo in lei e attraverso di lei.
Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe.
- Mah! Non riesco a crederci! Non ho mai visto una mamma, e
pertanto è logico che non esista.
- Bene, però a volte, quando stiamo in silenzio, tu puoi sentirla che
canta o avvertire come accarezza il nostro mondo. Sai che ti dico?…
Io penso che c’è una vita reale che ci aspetta e che adesso ci stiamo
solo preparando per quella…
Quando il primo dei gemelli venne partorito, l’altro fu assalito dal
terrore per ciò che sarebbe successo al fratello e, prima o poi, a lui
stesso.
Quando poi toccò a lui,
la paura fu tremenda,
fino a che non vide la
luce e, vedendo
quanto era bello ciò
che era là fuori, pianse
di gioia…
Visitare i carcerati non è soltanto
un’opera di misericordia corporale
che ogni cristiano dovrebbe compiere
ma è Cristo stesso che ci aspetta
dietro a quelle sbarre.
Questo servizio sta facendo crescere
molto la nostra comunità, sta
allenando il nostro cuore alla carità,
lasciandoci interrogare. Tutte le volte
che sono andato alla diaconia, sono
tornato diverso, cambiato nel cuore
con un gran senso di pace, mi ha
fatto rileggere diversamente il
vangelo domenicale.
Cambiando il mio cuore, vivendo in
Cristo, posso liberamente amare.
9
Erborinare... andar per erbe.
Licia
Le erbe della Bibbia
Giuseppe Bertelli Motta
“Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,
l’uomo assennato non li disprezza”.
Siracide 38
C’è un “Erborinare…” nella Parola del Signore, un andar per erbe portato dai versetti del Primo e Secondo
Testamento…
Con tenerezza e stupore ci si ferma ad osservare come coloro che sono stati la mano di Dio abbiano passato
a noi la sua Voce attraverso il quotidiano andare, portando lo sguardo intorno - nei loro campi, nel loro
tempo - su essenze d’erbe, alberi e fiori.
Attraverso colori e profumi, nel germogliare della bella stagione, ha parlato il Signore con il “come” della
similitudine – ora severa, ora innamorata - con l’imperativo del rimprovero, con la condivisione della fragilità,
con lo stupore della meraviglia, con il calore della promessa, sempre con il “dai, su” che invita a vedere con
occhio chiaro quanto il Suo dito ha disegnato attorno a noi.
Passeggiando tra le righe, l’autore ci accompagna attraverso un paesaggio che si snoda dal deserto al mare
fino alle rive del Giordano, dove un Popolo ha vissuto il cammino di fede e di infedeltà con il suo Dio, ma
anche ci aiuta a seguire lo sguardo di Gesù che abbraccia i campi e coglie - nel fico, nella vite, nelle silique
delle carrube, nelle spine e nei rovi, nel vestirsi dei fiori - disegni per annunciare la sua Buona Novella.
Il testo segue i canoni d’ogni buon manuale d’Erboristeria: introduce in ordine alfabetico le singole essenze,
richiama, con rigore professionale, le esperienze terapeutiche che, nei secoli, si sono consolidate attorno
a ciascuna e ne dà una chiara iconografia.
Non racconta tutto, così basta un versetto del Salmo, “Di mirra, aloe e cassia profumano tutte le tue vesti…”
(45,9) per stuzzicare la curiosità di sapere se un delizioso grappolo di Cassia potrebbe fiorire anche accanto
a noi o andare a cercare l’incontro con un passo della Parola che non avevamo ancora accolto…
Unico, dunque, in questo lavoro, è il supporto alla preziosità d’ogni erba: la Parola di Dio. Così i versetti della
Bibbia ci rendono più caro l’Issopo, ospite del giardino di casa, ci fanno guardare con occhi nuovi al tralcio
della Vite ancora addormentata dentro la fragranza dei suoi fiori, ai biondi “gattini” del Salice, alla succosa
foglia d’Aloe o al ramo del Fico che sulla punta delle braccia a candelabro ha appena sbocciato un buffo
ciuffetto verde smeraldo…
E, per congedarci da questo piacevole ed insolito manuale, come non
al profumo dei più rari alberi aromatici offerti dal tenero
giardino del Cantico dei Cantici?
I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro e nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo,
con ogni specie di alberi d’incenso
mirra e àloe…
4,13
10
La morte di Eniest
L.B.
La morte di Eniest mi ha lasciato un po' senza parole e mi ha fatto
arrabbiare.
Soprattutto due cose mi vengono in mente.
Una, che non tutto è in nostro potere e che ci sono cose che fanno
parte di un Mistero che va oltre l'uomo e le sue possibilità. E questa
è la parte positiva che schiude la porte a un Invisibile a cui spesso
volto le spalle e che mi serve ad alzare lo sguardo oltre me stessa.
Pasqua 2013
Massimo Toschi
“Convertitevi e credete al vangelo”.
È il grande grido di Gesù all’inizio
del tempo di quaresima. Un tempo
di penitenza e di purificazione. A
questo tutti sono e siamo chiamati.
Il vangelo del Signore si pone
nuovamente al centro delle nostre
povere vite.
L'altra è che ci si dimentica di chi tace, presi da inutili scartoffie e da
se stessi ci si dimentica che un solo giorno in più nella solitudine
dell'OPG o nella solitudine, anche se tutto è apparentemente
tranquillo, è un giorno di sofferenza di fronte alla quale bisogna essere
presenti, non per spirito caritatevole, ma per umana condivisione,
per curiosità, in senso buono, dell'altro.
Il vangelo ci viene incontro nelle
chiese crocifisse del medio oriente,
nel martirio di molti discepoli in
tanti luoghi del mondo: un martirio
di carità, di condivisione e di
annuncio. La verità crocifissa è resa
visibile nella vita di molti credenti.
La vita mi ha messo sulla strada dell'Africa, terra che amo e che tante
volte ho odiato nella difficoltà di capire e di stare nella differenza.
L'unica cosa che mi viene da dire è questa: un giorno per strada a
Conakry sono stata caricata senza alcun motivo dalla polizia sua una
camionetta. C'era anche D., molto impaurito anche lui. Non è durato
più di 20 minuti, forse mezz'ora, questa sorta di sequestro arbitrario
ma io ero terrorizzata da una lingua che non conoscevo, dalle armi
e da atteggiamenti violenti e di derisione che non comprendevo e
mi sentivo senza appiglio, nessun riferimento. È durato mezz'ora, poi
di nuovo libera.
Al cuore della quaresima l'elezione
del vescovo di Roma. Sono
sessantacinque anni, che questo non
accadeva. Avvenne nel marzo 1939
e poi fu la guerra. Non fu ascoltato
l’appello alla conversione e alla
penitenza, e la chiesa si smarrì e ci
fu uno scialo di vittime.
Cosa può significare essere in un contesto di reclusione, soli, per anni,
senza amici o parenti e forse senza comprendere nulla veramente e
intimamente di ciò che ti accade? E magari senza aver fatto nulla?
Non so perchè ti scrivo, forse per chiarire a me stessa.
Anche oggi questo può accadere se
non torneremo al vangelo, se non
guarderemo ai popoli con lo sguardo
di Dio e non con i nostri occhi, velati
di ideologia e di paura. E lo sguardo
di Dio verso i popoli della Cina,
dell’India, della America latina, ha
il segno della compassione e della
tenerezza, non quello del conflitto e
della condanna.
L’ebraismo e l’islam chiamano i
cristiani ad una nuova comprensione
del mistero di Gesù, che renda
visibile a tutti il volto della grande
misericordia di Dio, nella
testimonianza dei martiri, nella
fedeltà dei discepoli. Diceva papa
Giovanni: non è il vangelo che
cambia, ma siamo noi che
cominciamo a comprenderlo
meglio”..
11
Riflessioni
dalla prima pagina
Queste parole che per noi sono faticose dicono la disponibilità al
servizio e il compierlo umilmente.
Non è una condizione senza un'altra.
Mi pare che sia questa la novità più grande ed è altresì quello che
ciascuno di noi è riconosciuto capace di fare.
La Roberta una nostra amica carissima, malata di Sla, diceva: "Noi
malati non siamo in grado di parlare ma possiamo essere amati e
amare".
Quando ci rivestiamo con la nostra
umile casula può farci bene sentire
sopra le spalle e nel cuore il peso e
il volto del nostro popolo fedele, dei
nostri santi e dei nostri martiri, che
in questo tempo sono tanti
Il buon sacerdote si riconosce da
come viene unto il suo popolo; questa
è una prova chiara. Quando la nostra
gente viene unta con olio di gioia lo
si nota: per esempio, quando esce
dalla Messa con il volto di chi ha
ricevuto una buona notizia.
La nostra gente gradisce il Vangelo
predicato con l’unzione, gradisce
quando il Vangelo che predichiamo
giunge alla sua vita quotidiana,
quando scende come l’olio di Aronne
fino ai bordi della realtà, quando
illumina le situazioni limite, “le
periferie” dove il popolo fedele è più
esposto all’invasione di quanti
vogliono saccheggiare la sua fede.
In questo ambito ci sta anche che Gesù parli di gloria facendo
riferimento a Giuda: "..quando Giuda fu uscito..".
Da una parte l'amore regge la prova del tradimento.
La parola indica anche la consegna: il Consegnato è colui che
appartiene a chi lo consegna.
In realtà non è Giuda il primo consegnante ma il Padre. Ogni
tradimento, ogni venir meno ad un patto o ad un'alleanza, in realtà,
è compresa da una consegna che è un atto d'amore: quella del
Padre che ci ha fatto di suo Figlio.
È a questo che Gesù fa riferimento quando dice: "Siccome il Padre
mi ha amato, e siccome io vi ho amato, amatevi anche voi gli uni gli
altri".
L'amore è di Dio in Gesù nella consegna di sé: prima di ogni chiamata
ad amare c'è da corrispondere ad una chiamata ad essere amati…
per amare.
Nel Signore Risorto.
La gente ci ringrazia perché sente
che abbiamo pregato con le realtà
della sua vita di ogni giorno, le sue
pene e le sue gioie, le sue angustie e
le sue speranze
(giovedì santo 28 marzo 2013
Messa crismale, papa Francesco)
12
Domenico Ghirlandaio - la visitazione, Museo del Louvre
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