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Giulia Labriola 288 BERTRANDO SPAVENTA LETTERA SULLA

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Giulia Labriola 288 BERTRANDO SPAVENTA LETTERA SULLA
Giulia Labriola
288
BERTRANDO SPAVENTA
LETTERA SULLA DOTTRINA DI BRUNO. SCRITTI INEDITI 1853-1854
A cura di Maria Rascaglia e Alessandro Savorelli
Napoli: Bibliopolis, 2000. 286 pp.
I
l volume curato da Maria Rascaglia ed Alessandro Savorelli, profondi
conoscitori della cultura idealistica italiana ed in particolare prossimi per
lunga consuetudine alle carte tutte ed al pensiero di Spaventa, si inscrive
certamente nell'ambito delle celebrazioni per il quarto centenario della morte
di Giordano Bruno, ma dello scritto d'occasione non ha davvero alcun
carattere. L'intensa introduzione colloca assai chiaramente gli scritti che
compongono questo studio (destinato a giacere in forma di manoscritto per
volontà dell'autore, che ne pubblicò solo alcune parti, in occasioni
specifiche) all'interno del pensiero di Spaventa, ed evidenzia la centralità dei
temi che qui sono impegnati, espressi in una forma forse germinale, ma non
per ciò solo meno significativa. Fin dalle prime osservazioni relative al
complesso periodo torinese ed agli studi su Hegel e Bruno che Spaventa
compiva, sorge infatti la riflessione centrale nell'interpretazione di questo
studio, che si caratterizza come il tentativo di fornire una lettura composta ed
unitaria del pensiero di Bruno, dalla quale risultassero i legami ed i motivi
che nel tempo avrebbero condotto a costruire il patrimonio concettuale
dell'idealismo. Quanto tale corrispondenza fosse pronunciata e quanto tale
scritto fosse probante sono rilievi naturalmente centrali, ma di carattere
secondario in confronto alla funzione che tale tema di ricerca assolve
nell'economia del pensiero di Spaventa, destinato nel corso degli anni
successivi a concentrarsi sugli studi hegeliani ed a consacrarsi del tutto alla
tradizione idealistica. L'attenzione maturata nei confronti della dottrina di
Bruno, dunque, assume le vesti di una ricerca dei prodromi, di uno sforzo
ricostruttivo che non ha nulla del tentativo di stabilire paternità e primati più
ο meno discutibili, ma al contrario si esprime nella necessità rigorosa di
individuare il terreno che avesse ospitato la radice profonda del lungo corso
che, secondo un'espressione tratta dall'Introduzione, "da una specifica
tradizione italiana...avrebbe dovuto riconnettersi, attraverso uno sviluppo
storico necessario, all'idealismo assoluto". Viene giustamente sottolineato
come questo atteggiamento appartenesse del tutto alla storiografia filosofica
del tempo, caratterizzata da "letture attualizzanti e da griglie ermeneutiche
che rimandavano ai 'sistemi' contemporanei", ma in modo altrettanto corretto
si osserva che ciò permetteva comunque di liberarsi del criterio quasi
esclusivamente dossografico della vecchia storiografia.
A questo primo rilievo, che pone lo scritto di Spaventa (cui è stato attribuito
un titolo che riprende gli espressi riferimenti dell'autore, nella propria
corrispondenza e negli appunti del manoscritto) nel segno della continuità
Lettera sulla dottrina di Bruno
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rispetto alle linee di ricerca ed alla produzione successiva, si deve però far
seguire un'altra annotazione. Pur nell'ambito della concordanza di temi, si
deve osservare che la Lettera rappresenta un unicum, un'opera decisamente a
sé, un progetto autonomo che, come tale, viene definitivamente abbandonato;
l'intento che presiedeva a questa ricerca era quello di proporre
un'interpretazione complessiva, sistematica ed organica dell'universo
Giordano Bruno, nel quale certamente vi erano dei conduttori, ma che
bisognava rintracciare e ricostruire. Lo sforzo interpretativo che un simile
progetto implicava non è stato raggiunto, nelle forme che oggi assume il
manoscritto presentato all'attenzione del lettore, ed esso rappresenta davvero
uno dei primissimi studi in Europa ed il primo in Italia dedicato a Bruno in
quegli anni, che si distingue per essere stato rifiutato dall'autore stesso. La
riflessione che s'impone, a questo proposito, è quale rapporto vi sia,
all'interno del pensiero di Spaventa, tra la monografia (ché tale avrebbe
dovuto essere) ed i pochi articoli dedicati a Bruno che vedranno la luce in un
secondo tempo. Benché infatti una certa frammentarietà appartenesse alla
stessa Lettera, non si può sostenere che gli scritti successivi rappresentino
semplicemente le parti di quel tutto, pubblicate in un secondo tempo quasi
fossero disiecta membra. Ciò che tramonta infatti con il progetto di
composizione della Lettera come monografia [pur nelle sue non trascurabili
sproporzioni, sottolineate in modo efficace dai curatori, che osservano come
si tratti, piuttosto, di un montaggio di saggi diversi: l'opera presenta "una
certa farraginosità, lo stile diseguale, l'assai diverso grado di
approfondimento dei vari capitoli, le vistose lacune e molti altri difetti,...e la
drastica selezione dei temi"] non risorge nelle specifiche questioni affrontate
successivamente. È interessante notare come in un primo momento la
decisione di non proseguire nell'intrapresa fosse maturata in Spaventa sulla
base della necessità insoddisfatta di ampliare gli studi, i riferimenti al Bruno
latino (di cui non disponeva, nonostante il dichiarato interessamento
dell'editore), le riflessioni sugli sviluppi della sua filosofìa; pochi anni più
tardi, al contrario, dichiara conclusa l'esperienza di quel "'guazzabuglio'
storico di 'ammirare' in Bruno 'anche il precursore storico di Hegel'", con
un'espressione che appartiene ad un clima speculativo radicalmente mutato,
tale da indurlo ad un "definitivo capovolgimento della posizione del 1853".
Quanto osservato rispetto ai motivi di insoddisfazione inizialmente espressi
da Spaventa nei confronti della propria opera si spiega con l'esame delle parti
del vasto progetto che erano state compiute, e che costituiscono oggi il corpo
del volume: nonostante il progetto iniziale prevedesse un esame come si è
detto sistematico, "il Bruno della Lettera è essenzialmente quello dei grandi
dialoghi londinesi, affiancati da esigue puntate nel resto del corpus: un Bruno
teoretico, con pochi agganci nella 'filosofia naturale'..."; questa parzialità,
che nulla toglie alla profondità dell'analisi, si comprende con
Giulia Labriola
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un'osservazione acuta e condivisibile, secondo cui Bruno non sfuggirebbe al
destino degli autori cari a Spaventa, "maschera" dei suoi "problemi teorici e
dei suoi rovelli speculativi" più che concrete figure storiche. Queste
osservazioni chiariscono forse un poco il senso di un'opera che appare
complessa ed importante fin dalla genesi, e che accompagna la riflessione di
Spaventa nel corso degli anni apparentemente da lontano, ma in realtà molto
da presso. I temi che formano la trama dello scritto rappresentano infatti
l'indice di una ricerca che non si perde né si esaurisce con esso, ma che al
contrario anima e sostiene tutto il pensiero successivo di Spaventa nelle sue
diverse fasi, rispetto alle quali rappresenta un momento di elaborazione
importante. Non è dunque un interesse puramente antiquario che spinge alla
lettura di un simile studio, ma la consapevolezza che al suo intimo ed
indiscusso valore si aggiunge la funzione di prezioso indicatore delle fasi
germinali di un percorso strutturato ed articolato, la cui rilettura non può
essere intrapresa se non dagli inizi.
GIULIA LABRIOLA
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
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