Finanziamento mediante cessione del quinto dello stipendio
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Finanziamento mediante cessione del quinto dello stipendio
PARERE n. 2 Oggetto: a) eventuale obbligo della società Tizia, in qualità di datore di lavoro, di concedere o meno ad un proprio dipendente la possibilità di ottenere un prestito da un ente finanziatore tramite cessione del quinto dello stipendio, in considerazione del fatto che Tizia opera già una trattenuta sulla busta paga del dipendente corrispondente ad un quinto del reddito mensile che lo stesso percepisce; b) natura e validità giuridica degli atti che danno attuazione e che “formalizzano” il rapporto tra il dipendente ed il datore di lavoro e tra il datore di lavoro e l’ente finanziatore; c) cautele minime/garanzie che il datore di lavoro dovrà assumere in caso di eventuale obbligo dello stesso ad effettuare l’ulteriore trattenuta sulla busta paga del dipendente. ****** Premessa La cessione del quinto dello stipendio è lo strumento più noto, riservato agli operatori finanziari, per effettuare prestiti ai dipendenti e ai collaboratori. Tale strumento consiste in un finanziamento regolato dal Testo Unico del 1950 n. 180 – di approvazione del Testo Unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni, così come modificato e integrato dalla legge 311/2005 e dalla legge 80/2005, al quale ha dato attuazione il Regolamento dato dal d.p.r. 28 luglio 1950 n. 895 e successive modifiche –, che costituisce la normativa di riferimento, ad oggi tutelato come diritto per tutte le categorie di lavoratori dipendenti e pensionati. La legge Finanziaria per il 2005 del 30 dicembre 2004, n. 311 ha infatti esteso ai dipendenti dei datori di lavoro privati il decreto del Presidente della Repubblica del 5 gennaio 1950, n. 180 ed, in particolare, le disposizioni relative alla cessione del quinto dello stipendio. Le modifiche introdotte (aventi ad oggetto gli articoli 1, 52 e 55) trovano, anzitutto, giustificazione nell’intento del legislatore di allargare la platea dei soggetti (lavoratori a termine, parasubordinati, pensionati) che possono far ricorso all’istituto della cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per ottenere finanziamenti da intermediari abilitati. 1 La finanziaria del 2005 e l’art. 13 bis della legge del 14 maggio 2005, n. 80 hanno apportato poche variazioni alla disciplina originaria del 1950, che consistono nella possibilità di ottenere con maggiore facilità un prestito tramite cessione del quinto dello stipendio e di estenderlo anche a tutte le categorie di lavoratori, collaboratori e ai pensionati. In particolare le novità riguardano la facoltà espressamente ammessa dell’estensione del diritto di accesso ai prestiti tramite cessione del quinto anche per i dipendenti di aziende private. Di seguito si segnalano, quindi, gli aspetti più rilevanti della disciplina risultante dalle modifiche della legge Finanziaria e della legge n. 80/2005 nonché gli effetti di tali modifiche rispetto alla normativa vigente in tema, in particolare, di cessione (art. 1260 c.c.) dei crediti di lavoro dei dipendenti privati. 1. Campo di applicazione del Testo Unico n. 180/1950 Prima delle modifiche apportate dalla legge n. 80/2005, il T.U. n. 180/1950 si applicava esclusivamente ai lavoratori subordinati e, quindi, non si applicava alle categorie dei lavoratori autonomi ed ai collaboratori a progetto. La legge n. 80/2005, modificando l’art. 52 del d.p.r. n. 180, ha riconosciuto anche ai lavoratori di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. (lavoratori a progetto, collaboratori coordinati e continuativi, ecc.) la facoltà di contrarre prestiti a fronte della cessione del quinto del compenso che abbia “carattere certo e continuativo”. Invece, nel caso di pignoramento o sequestro, la legge n. 80/2005 precisa che ai lavoratori di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c., si applica la disciplina contenuta nell’art. 545 del codice di procedura civile. La disciplina del testo unico trova applicazione anche per i quadri e i dirigenti in virtù della formulazione dell’art. 1 del d.p.r. n. 180/1950 che comprende “qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell’opera prestata”. Peraltro, lo stesso contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali (cfr. art. 27), per ciò che non è diversamente regolato dal contratto, rinvia, in quanto compatibili, alle norme di legge e di contratto in vigore per gli impiegati dipendenti dall’azienda cui il dirigente appartiene. 2. Cessione della retribuzione – Risposta quesito a) 2 L’art. 5 del d.p.r. 180/1950 disciplina espressamente la facoltà dei dipendenti dello Stato e degli altri enti ed aziende di cui all’art. 1, tra cui, ora, anche le aziende private, di contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote di stipendio e salario, legittimandola solo nei limiti del quinto e per periodi non superiori a dieci anni, secondo le disposizioni stabilite dai titoli II e III. L’applicazione dell’art. 5 ai dipendenti privati comporta l’effetto di determinare, in modo inequivocabile, la sussistenza di un limite quantitativo alla cedibilità della retribuzione, contrariamente a quanto sostenuto in passato da alcune pronunce giurisprudenziali, ma anche da parte della dottrina, che avevano ritenuto interamente cedibile la retribuzione nonché il trattamento di fine rapporto. Ora, invece, tutti gli atti di cessione della retribuzione posti in essere a partire dal primo gennaio 2005 devono rispettare i limiti previsti dall’art. 5 del citato testo unico. Quanto agli atti di cessione posti in essere prima dell’entrata in vigore della Finanziaria, si deve ritenere che i datori di lavoro siano legittimati a proseguire nelle erogazioni ai cessionari secondo le regole vigenti in precedenza. In particolare, fino alle ultime disposizioni legislative, l’azienda privata poteva, a suo insindacabile giudizio, concedere o meno la possibilità di ottenere un prestito tramite cessione del quinto dello stipendio; ora è diventato un diritto per tutti di dipendenti pubblici e privati, con i limiti del sopra citato art. 5. L’art. 13 bis della legge n. 80 ha abolito i termini fissati sull’anzianità di servizio, previsti nella legge 180/50, e l’anzianità minima è divenuta un requisito stabilito dal singolo ente finanziatore. Non ultimo è stata operata l’estensione del diritto di accesso ai prestiti tramite cessione del quinto anche per i dipendenti assunti a tempo determinato, che non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere (art. 13 DPR 180/50). Con la cessione del quinto dello stipendio può pagare una rata massima che è un quinto, appunto, del reddito mensile dallo stesso percepito e si ha la possibilità di diluire il finanziamento fino a 120 rate (art. 5 DPR 180/50), avendo così la possibilità di avere una rata contenuta lasciando libero lo stipendio in ragione dei 4/5. 3 Caratteristica importante della cessione del quinto è che non è necessario motivare la richiesta del finanziamento, e pertanto il richiedente è libero di utilizzare il denaro come meglio ritiene opportuno; non è un mutuo di scopo funzionale alla effettuazione di una determina operazione, come per l’acquisto casa, la legge Sabadini per l’acquisto di macchinari ovvero l’art. 2358 cod. civ. La cessione del quinto è un finanziamento a firma singola, che non necessità di altre garanzie se non di essere lavoratore dipendente e quindi disporre di una busta paga ed un contratto di lavoro a tempo indeterminato e, se il richiedente è un dipendente di azienda privata, di aver accantonato un minimo di TFR; caratteristica di questo tipo di finanziamento è la possibilità di chiudere altri debiti ed estinguere altri prestiti in corso, possibilità prevista non da tutti i finanziamenti. Pertanto, se il dipendente risulta avere già in essere un prestito rimborsato tramite cessione di una quota dello stipendio che raggiunge già il quinto dello stesso, comprensivo di tutte le indennità integrative e valutato al netto di ritenute, il datore di lavoro potrà legittimamente opporsi ad un’ulteriore cessione in quanto contraria alla legge. Qualora invece il dipendente abbia in essere un finanziamento mediante cessione di una quota dello stipendio che, unitamente alla quota per cui egli richiede il nuovo prestito, non supera il quinto dello stipendio, il datore di lavoro sarà obbligato ad effettuare le trattenute richieste. Non possono perciò coesistere due cessioni del quinto, a meno che la cessione del quinto non sia gravante su frazioni minori di un quinto (ad esempio, due cessioni per 1/10 di stipendio ciascuna). La garanzia per la restituzione del prestito ai dipendenti è costituita dalla busta paga, che è il documento attestante la retribuzione mensile di un lavoratore dipendente, anche se il documento ufficiale di riferimento è il certificato di stipendio, documento rilasciato dal datore di lavoro che riporta tutti i dati necessari per la valutazione e l’avvio di una istruttoria volta alla cessione del quinto; il certificato attesta la sussistenza di un rapporto dipendente e riporta la data d’assunzione, gli anni di anzianità lavorativa, la retribuzione lorda e netta (annua e mensile), il TFR cumulato, le eventuali trattenute sullo stipendio per il pagamento di altri finanziamenti o di pignoramenti. Il certificato 4 contiene tutti i dati dell'azienda, come capitale sociale, numero di dipendenti, sede legale e metodologia di pagamento della futura rata di cessione del quinto. 2.1. Delegazione di pagamento Si tenga presente che la cessione del quinto dello stipendio non è l’unico strumento per effettuare i prestiti ai dipendenti e ai collaboratori. Oltre alla cessione, infatti, esistono anche altri strumenti come la delegazione di pagamento, prevista quando il dipendente ha già in corso una cessione del quinto non rinegoziabile o quando il richiedente necessiti di un consistente finanziamento. Come nel caso del prestito concesso ai dipendenti mediante la cessione prosolvendo del quinto dello stipendio, anche la delegazione di pagamento, comunemente detto prestito delega, è un prestito personale estinguibile mediante la trattenuta di una quota della retribuzione, con versamento della medesima da parte dell’intermediario mutuante, ovvero il datore di lavoro. Nella pratica, le differenze principali con la cessione del quinto riguardano i limiti alla quota delegabile ed il regime di autorizzazione. La normativa di riferimento è quella degli artt. 1269 ss. del c.c., quella degli usi consolidatisi in materia e quella del T.U. n. 180/1950. A differenza di ciò che accade con la cessione del quinto, nel caso del prestito delega non vige il limite di 1/5 dei crediti di lavoro, non esistendo alcuna previsione legislativa che indichi precisamente una misura massima di quota delegabile per ciascun prestito. Il limite si può ricavare però in modo indiretto dalla lettura dell’art. 70 del D.P.R. n. 180/1950, il quale indica che in caso di concorso di cessione e delegazione non si può in ogni caso vincolare più di 1/2 dei crediti di lavoro o della pensione. Pertanto, la quota delegabile può arrivare fino al limite teorico di 1/2 dei crediti di lavoro, ma solo in due casi precisi: o con una preesistente cessione del quinto o con un concorso di delegazione e cessione. Nel caso, quindi in cui il dipendente abbia in atto anche un prestito ottenuto mediante delegazione di pagamento al datore di lavoro, ossia nel caso di concorso di cessione e delegazione, la somma delle quote cedute e delegate non può 5 comunque superare il limite della metà della retribuzione, calcolata come sopra; ossia si può avere, come massimo, una cessione del quinto pari a 1/5 dello stipendio assieme ad un prestito delega pari a 3/10 dello stipendio (1/5 + 3/10 = 1/2), oppure una delega pari a 4/10 e una cessione pari a 1/10 (4/10 + 1/10 = 1/2). In questa fattispecie sono necessari i consensi sia del lavoratore-delegante, che del datore di lavoro delegato, che della società finanziaria, delegataria alla concessione del prestito. La sostanza della delegazione risiede nell’ordine del delegante al delegato di pagare direttamente al delegatario, trattenendo direttamente in busta paga la parte di retribuzione, determinata con gli stessi criteri della cessione del quinto, stabilita tra lavoratore-delegante e società finanziaria delegataria. Di conseguenza, la delegazione di pagamento, per avere efficacia, deve essere espressamente accettata dal datore di lavoro, il quale, quindi, può anche rifiutarsi. Frequente è il rinnovo delle deleghe di pagamento, con possibilità di avere altro contante chiudendo il rapporto fondato sulla precedente delega di pagamento ed aprendo una nuova delegazione o altra cessione del quinto. La delegazione integrativa di pagamento è simile a una cessione del quinto e si fa ricorso a questa nel caso in cui il richiedente abbia già sulla busta paga una cessione ed una delega. Per determinare l’importo della rata cedibile bisogna dividere lo stipendio per 2 e detrarre cessione e delega; il risultato sarà la rata massima che il dipendente può pagare. 3. Efficacia della cessione nei confronti del datore di lavoro – Risposta quesito b) Secondo l’art. 1264 del codice civile la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’abbia accettata o gli sia stata notificata. Tuttavia, anche prima della notifica, il datore di lavoro (debitore ceduto) che paga al lavoratore (cedente) non è liberato se il cessionario (istituto finanziario) prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Resta che, comunque, l’atto di cessione si perfeziona solo con il consenso del lavoratore e del terzo creditore, senza che sia necessario anche il consenso del datore di lavoro ceduto. La nuova 6 normativa non modifica tale principio. Pertanto, il datore di lavoro ceduto, ricevuta la notifica del contratto, è obbligato, ovviamente nei limiti descritti al paragrafo 3. che precede, a dar corso alla cessione ed operare le trattenute sulla retribuzione, nel rispetto dei limiti di legge (sui profili di responsabilità del datore di lavoro si veda il paragrafo 16). 4. Cessione del compenso dei lavoratori parasubordinati Come anticipato, si precisa che per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 80/2005, anche i lavoratori di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., hanno la facoltà di contrarre prestiti a fronte della cessione del compenso nei limiti del quinto, purché il rapporto di lavoro non sia di durata inferiore a dodici mesi e il compenso pattuito abbia carattere certo e continuativo. In questi casi, la cessione non può comunque eccedere la scadenza del contratto in essere del collaboratore. (cfr. comma aggiunto all’art. 52 del d.p.r. n. 180/1950). 5. Cessione del trattamento di fine rapporto Per i lavoratori assunti sia a tempo determinato che indeterminato, l’art. 52, comma 2 del d.p.r. 180/1950 (comma aggiunto dall'articolo 13 - bis del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e successivamente modificato dall’articolo 1, comma 346 della legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha previsto che alla cessione del trattamento di fine rapporto non si applica il limite del quinto. Molti contratti di prestito contro cessione della retribuzione contengono clausole che prevedono, in caso di cessazione del servizio, la trattenuta dell’intero trattamento di fine rapporto a garanzia del credito prestato al dipendente. In particolare in casi di risoluzione del rapporto di lavoro prima dell’estinzione del credito, il contratto di prestito suole prevedere che la cessione estenda i propri effetti sul trattamento di fine rapporto fino a concorrenza dell’importo residuo da rimborsare. Nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro per passaggio alle dipendenze di altro datore, è solitamente previsto che, qualora quanto versato a titolo di TFR non sia sufficiente ad estinguere il finanziamento, per la parte ancora residuante la cessione 7 possa proseguire sullo stipendio erogato dal nuovo datore di lavoro, con il consenso di quest’ultimo. Di solito viene anche previsto nel contratto l’esplicito divieto al dipendente di chiedere anticipazioni sul TFR per tutta la durata del prestito, è quindi consigliabile che il datore di lavoro non proceda alla concessione delle suddette anticipazioni senza prima aver verificato se sia possibile farlo in base al contratto di prestito. Nel caso in cui il datore conceda arbitrariamente l’anticipazione del TFR, si ritiene infatti che possa essere ritenuto responsabile per l’inadempimento del lavoratore nei confronti della finanziatrice. Alcuni contratti di cessione notificati alle aziende prevedono che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, l’azienda versi all’istituto di credito, fino a capienza del debito, oltre al trattamento di fine rapporto, anche “tutte le somme che, a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi denominazione” vengano corrisposte al lavoratore nonché “ogni indennità comunque dovuta in conseguenza della fine del rapporto di lavoro” (ad es. indennità per ferie non godute). A nostro avviso queste clausole, ove stipulate dopo il primo gennaio 2005 (ovvero dopo l’entrata in vigore delle modiche apportate al d.p.r. n. 180/1950 dalla legge Finanziaria per il 2005) sono da ritenersi illegittime. Infatti, le somme corrisposte alla cessazione del rapporto di lavoro che hanno natura retributiva (per esempio, indennità sostitutiva del preavviso) sono da considerare pignorabili, sequestrabili e cedibili solo nei limiti del quinto alla stregua di quanto previsto dagli art. 2, 5, e 68 del d.p.r. n. 180/1950. Invece, per le somme corrisposte alla cessazione del rapporto che hanno natura indennitaria/risarcitoria (per esempio l’indennità sostituiva delle ferie) valgono i principi di insequestrabilità, impignorabilità, incedibilità previsti in via generale dall’art. 1 per tutte le “indennità, sussidi e compensi di qualsiasi specie” corrisposti ai lavoratori “per effetto ed in conseguenza dell’opera prestata”. 6 . Concorso tra cessione, sequestri e pignoramenti della retribuzione Sempre in materia di limiti quantitativi alla cessione della retribuzione occorre far riferimento all’art. 68 collocato nel titolo quinto del d.p.r. n. 180/1950. L’art. 68 disciplina l’ipotesi del cumulo della cessione e del pignoramento e/o sequestro della 8 retribuzione. Il cumulo può verificarsi in due distinte ipotesi: la prima, quando l’atto di cessione della retribuzione è posto in essere dal lavoratore dopo il pignoramento o sequestro (I° comma art. 68). La seconda, nel caso in cui la cessione sia stata perfezionata e notificata anteriormente al sequestro e al pignoramento (II° comma art. 68). In entrambi i casi, il legislatore fissa precisi limiti quantitativi oltre i quali non può estendersi la garanzia del terzo creditore. In particolare, il primo comma dell’art. 68 prevede che, quando preesistono pignoramenti e sequestri, la cessione della retribuzione, fermo il limite del quinto di cui all’art. 5, non può eccedere la differenza tra i due quinti della retribuzione (al netto delle trattenute) e la quota colpita da sequestri e pignoramenti. Ad esempio, se lo stipendio al netto delle trattenute è pari a 100 ed è intervenuto un pignoramento nel limite del quinto (20), la quota di retribuzione cedibile è pari alla differenza tra i 2/5 di 100 (40) e la quota pignorata (20), ossia sarà pari a 20. Il secondo comma, invece, stabilisce che qualora il lavoratore abbia notificato una cessione dello stipendio, i successivi pignoramenti o sequestri sono consentiti solo per la differenza tra la metà dello stipendio e la quota già ceduta dal lavoratore, fermi i limiti di cui all’art. 2 già illustrati. Pertanto, se, ad esempio, lo stipendio al netto è pari a 100 e vi è stata una cessione nei limiti del quinto (20) il pignoramento successivo potrà essere eseguito non oltre la differenza tra la metà dello stipendio (50) e la quota ceduta (20) ossia ( non oltre) 30, ma fermi i limiti di cui all’art. 2 del d.p.r. n. 180. Conseguentemente si potrà arrivare fino a 30 solo nel caso di crediti alimentari (cfr. art. 2, co. 1, n. 1) ovvero nel caso di concorso tra crediti alimentari e crediti di altra natura (cfr. art. 2, co. 2). Dal combinato disposto dell’art. 68, comma 2 e dell’art.2 , comma 2, si evince, quindi, che esiste un doppio limite: quello concernente i singoli pignoramenti o sequestri (o il loro cumulo) regolato dall’art. 2, e l’altro nell’ipotesi di coesistenza di pignoramenti, sequestri e cessioni della retribuzione, regolato dall’art. 68. Sulla legittimità di queste disposizioni si è pronunciata la Cassazione che ha ammesso, ai sensi dell’art. 68, comma 2, la coesistenza di un pignoramento nei limiti del quinto successivamente ad una cessione di eguale misura regolarmente perfezionata e notificata, purché il loro cumulo non superi la quota complessiva della metà dello stipendio, posta dalla 9 norma quale limite assoluto per il concorso di siffatte cause (cfr. Cass. n. 4488/1994, Cass. n. 4584/1995). 7. Requisiti necessari per l’esercizio della cessione: artt. 51 e 52 L’art. 51 del titolo III del d.p.r. n. 180 dispone che la facoltà di cessione del quinto, per i dipendenti delle amministrazioni di cui all’art. 1 dello stesso d.p.r. n. 180/1950, e non contemplati nel titolo II, si eserciti secondo le condizioni di validità e di durata previste dall’art. 6 del titolo II. In particolare l’art. 6 richiede che: a) il dipendente sia in servizio; b) abbia stabilità nel rapporto di impiego; c) percepisca uno stipendio fisso e continuativo; d) abbia diritto a percepire la pensione o qualsiasi altro trattamento di quiescenza; e) il prestito abbia una durata di 5 o 10 anni. I requisiti indicati nelle prime quattro lettere individuano, in sostanza, nel settore privato, il lavoratore subordinato. Rispetto al requisito della stabilità, di cui alla lettera b), si ricorda che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di Cassazione, è stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di cause obiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato di tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo (Cass. n. 2558/1979). Dunque il requisito della stabilità, così come interpretato dalla giurisprudenza, non esclude dall’applicazione della norma nemmeno la categoria dei dirigenti. Per questa categoria, infatti, sebbene la normativa legale preveda una tutela attenuata rispetto alle altre categorie di lavoratori, la normativa contrattuale collettiva ha introdotto, un regime convenzionale di controllo della “giustificatezza” del licenziamento individuale, prevedendo anche un’obbligazione indennitaria a carico del datore di lavoro. Quanto al requisito della lettera e), sulla durata del prestito, la norma va coordinata con il nuovo disposto dell’art. 52 che individua il solo limite massimo di 10 anni per la durata della cessione. Pertanto il limite di 5 anni per la durata del prestito risulta sostanzialmente “superato” dalla nuova disciplina della durata della cessione 10 di cui all’art. 52. Pertanto, per i lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato ora si richiede che: a) la cessione dello stipendio o salario non sia superiore al quinto; b) abbia durata non superiore a 10 anni; c) che i dipendenti siano addetti a servizi di carattere permanente; d) siano muniti di stipendio o salario fisso e continuativo, e, inoltre, il trattamento di fine rapporto è cedibile per intero. Per i lavoratori a tempo determinato l’art. 52 del d.p.r. n. 180, come modificato dalla legge n. 80/2005, prevede che: a) la durata della cessione non possa eccedere il periodo di tempo che, dal momento della stipulazione dell’atto di cessione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto; b) il trattamento di fine rapporto sia cedibile per intero. La soppressione del requisito dell’anzianità minima di servizio per i lavoratori a tempo indeterminato (originariamente prevista dall’art. 52, ultima parte, del d.p.r. n. 180) e la simultanea inserzione, nello stesso articolo 52, di una specifica disciplina del contratto a termine, lascia intendere che, per quest’ultima categoria di lavoratori, non si richiede alcun requisito di durata minima del rapporto per avvalersi delle norme sulla cessione del quinto. 8. Istituti autorizzati a concedere prestiti: art. 53 L’art. 53, richiamando la disposizione dell’art. 15, contenuta nel titolo II del d.p.r. n. 180, stabilisce che sono autorizzati a concedere prestiti, da estinguersi con cessione di quote dello stipendio, esclusivamente i seguenti soggetti: - l’Istituto nazionale delle assicurazioni; - le società di assicurazioni legalmente esercenti; - gli istituti e le società esercenti il credito, escluse quelle costituite in nome collettivo e in accomandita semplice; - le casse di risparmio e i monti di credito su pegno. 9. Limiti di durata dei prestiti: artt. 23 e 24 11 Il testo unico n. 180/1950 prevede (cfr. artt. 5 e 52) che la durata dei prestiti e delle cessioni non può superare il limite temporale di dieci anni. Questo limite deve essere coordinato con il disposto degli artt. 23 e 24 (applicabili ai lavoratori privati in virtù del rinvio operato dall’art. 55). In particolare, se al lavoratore mancano meno di dieci anni per conseguire il diritto al collocamento a riposo, il medesimo non può contrarre un prestito superiore alla cessione di tante quote mensili quanti sono i mesi necessari per il conseguimento del diritto al collocamento a riposo (art. 23, T. U.). Quanto all’art. 24, si richiama l’attenzione sul disposto della lett. d), ai sensi della quale non possono contrarre prestiti coloro che non siano in attività di servizio. Quest’ultimo requisito deve essere intenso in senso restrittivo, ossia riferito a tutte le ipotesi in cui il rapporto di lavoro è sospeso e con esso anche l’obbligo retributivo del datore di lavoro (ad. esempio aspettativa non retribuita). 10. Termini e modalità di versamento delle quote trattenute per cessione: art. 29 Il datore di lavoro deve provvedere al versamento al soggetto cessionario delle quote di stipendio entro il mese successivo a quello cui le quote si riferiscono. Ciò significa che, se all’azienda viene notificato il 2 marzo 2005 un contratto di cessione, essendo tale contratto efficace nei confronti del datore di lavoro dal momento della notifica o dell’accettazione, ai sensi dell’art. 1264, cod. civ., l’obbligo di versare la trattenuta sulla retribuzione di competenza del mese di marzo, deve essere adempiuto entro il mese di aprile, “successivo a quello cui le quote si riferiscono”. Si ricorda inoltre che, come per il pignoramento, anche per la cessione, la quota della retribuzione da trattenere nei limiti del quinto, va calcolata sulla retribuzione percepita dal lavoratore al tempo della domanda del prestito, come risultante nella busta – paga, al netto delle trattenute previdenziali e fiscali. Per quanto riguarda il calcolo della quota da trattenere ci risulta che gli istituti finanziari, di frequente, computano nella retribuzione annua anche la tredicesima e le altre eventuali mensilità aggiuntive percepite dal lavoratore. Quanto al luogo in cui effettuare il pagamento, l’art. 1182, 3 comma, del codice civile, stabilisce che l’obbligazione in denaro va adempiuta nel domicilio del 12 creditore, a meno che il luogo del pagamento non sia indicato dal contratto collettivo o dagli usi. In via generale, dunque, il datore di lavoro può adempiere alla cessione della retribuzione mediante versamento presso il conto corrente indicato dallo stesso istituto di credito. Se dal contratto collettivo o in base agli usi aziendali risulta che la retribuzione viene corrisposta ai lavoratori presso l’azienda, è legittimo per il datore di lavoro anche il pagamento all’istituto di credito presso la stessa azienda. Qualora i contratti o gli usi aziendali non prevedano nulla in tal senso, il datore di lavoro deve effettuare il pagamento mediante il versamento allo stesso istituto di credito. Va, inoltre, tenuto presente che gli oneri e i costi di gestione che derivano dal pagamento della retribuzione a terzi, possono essere regolamentati mediante specifici accordi. In mancanza di previsioni del contratto collettivo (anche aziendale), o in mancanza di accordi con gli istituti di credito, il datore di lavoro potrà imputare tali costi al lavoratore, dandogli preventiva comunicazione, all’atto di notifica della cessione, delle modalità con cui verranno calcolati e addebitati tali costi al lavoratore. E’ opportuno, qualora in azienda ci sia un considerevole numero di lavoratori che faccia ricorso ai contratti di cessione della retribuzione, che il datore di lavoro disciplini le modalità di calcolo e di addebito dei costi per il versamento della quota di retribuzione all’istituto finanziario, in apposito regolamento aziendale di cui deve essere data adeguata pubblicità sul luogo di lavoro, preferibilmente mediante affissione. 11. Riduzione dello stipendio gravato da cessione: art. 35 L’art. 35, primo comma, del Testo Unico, richiamato dall’art. 55, disciplina le conseguenze della riduzione, per qualunque causa, dello stipendio gravato dalla cessione. La norma stabilisce che se lo stipendio gravato dalla cessione subisce una riduzione non superiore al terzo, la trattenuta continua ad essere effettuata nella misura originariamente stabilita. Pertanto, se la retribuzione netta si riduce in misura inferiore o pari al terzo, la quota da trattenere per cessione non subisce modifiche. Viceversa se la riduzione dello stipendio supera il terzo, deve ritenersi applicabile quanto previsto nel primo periodo del comma 2 dell’art. 35, sebbene 13 non espressamente richiamato dall’art. 55. Pertanto, in tal caso, la trattenuta deve essere ricalcolata nella misura del quinto dello stipendio netto ridotto. 12. Ipotesi di riduzione della retribuzione: cassa integrazione e malattia Si precisa che rientra nella fattispecie contemplata nell’art. 35 qualunque vicenda che incide sulla retribuzione: la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria per illecito disciplinare che decurta la retribuzione, nonché qualunque altra causa di riduzione dello stipendio derivante, per esempio, dalla sospensione del rapporto (Cassa integrazione, quando interviene il provvedimento di sospensione, o assenza per malattia, qualora questa non sia coperta interamente dal datore di lavoro ma, in via principale, dall’istituto assicuratore, come nel caso degli operai). Quanto alle ipotesi di Cassa integrazione (quando sia intervenuto il provvedimento di sospensione) o di malattia (coperta, in via principale, dall’Inps) si precisa che le erogazioni corrisposte dal datore di lavoro non sono sempre tecnicamente qualificabili come retribuzione, essendo soltanto anticipazioni del datore di lavoro come sostituto dell’Istituto previdenziale. Pertanto, potrebbe porsi il problema per il datore di lavoro di sospendere l’eventuale cessione all’istituto bancario delle relative indennità previdenziali, qualora la sospensione del rapporto e dell’obbligo retributivo si protragga almeno per un intero mese. Tuttavia tale conclusione, seppure corretta sul piano strettamente giuridico, comporta per l’azienda il rischio di contestazioni sia da parte del lavoratore, sia da parte dell’istituto bancario. Peraltro, non avendo lo stesso istituto previdenziale alcun concreto interesse a contestare l’avvenuto versamento all’istituto finanziario delle anticipazioni del datore di lavoro, risulta più opportuno per l’azienda continuare ad operare la trattenuta sulle erogazioni da corrispondere al lavoratore con le stesse modalità seguite per la trattenuta del quinto della “retribuzione” nel rispetto delle condizioni già descritte. Prima di operare la trattenuta sull’indennità è consigliabile che il datore di lavoro acquisisca, in forma scritta, il consenso del lavoratore. 13. Estinzione anticipata di cessione: art. 38 14 La disposizione dell’art. 38 del T.U. prevede che il dipendente, il quale ha stipulato una cessione per almeno un quinquennio, ha facoltà di estinguerla mediante versamento dell’intero debito residuo, quando siano trascorsi due anni dall’inizio della cessione, ovvero quattro anni nel caso di cessione stipulata per un decennio. 14. Rinnovo di cessione: art. 39 L’art. 39 del T.U., richiamato dall’art. 55, al fine di limitare la reiterazione di cessioni, vieta al lavoratore di contrarre una nuova cessione prima che siano trascorsi, rispettivamente, almeno due anni dall’inizio della precedente cessione stipulata per un quinquennio, o almeno quattro anni dall’inizio della precedente cessione stipulata per un decennio. Pertanto, se la prima cessione ha una durata inferiore a 5 anni non occorre attendere il decorso di almeno due anni per procedere al rinnovo ma, comunque, quest’ultimo sarà finalizzato all’estinzione della cessione in corso (arg. ex art. 39, commi 2 e 3 e art. 40). I detti limiti temporali tra una cessione e l’altra non si osservano nel caso in cui la precedente cessione venga estinta anticipatamente dal lavoratore (cfr. art 38): in tal caso la nuova cessione può essere contratta purché sia trascorso un anno dall’anticipata estinzione da parte del lavoratore. Trascorsi i termini di due o quattro anni senza che la precedente cessione sia estinta, il lavoratore potrà stipulare una nuova cessione, nel rispetto delle condizioni di cui agli artt. 5, 6, e 23, solo se il ricavato di questa nuova cessione sia destinato all’estinzione della cessione in corso, sino a concorrenza del residuo ammontare. Infine, l’art. 39 consente di contrarre una cessione di durata decennale anche prima che siano decorsi due anni dall’inizio di una precedente cessione quinquennale, a condizione che si tratti della prima cessione decennale, e che venga obbligatoriamente estinta la precedente cessione quinquennale. Dunque, il principio desumibile dall’esame delle disposizioni citate è che il lavoratore non può avere simultaneamente in corso più di una cessione o che, comunque, l’importo delle cessioni non può superare il quinto della retribuzione netta. Va ricordato che, nel caso in cui il lavoratore abbia ceduto il medesimo credito retributivo nei confronti di diverse società finanziarie, l’art. 1265 del codice civile 15 stabilisce che prevale la cessione che per prima è stata notificata al datore di lavoro o quella che - sebbene successiva rispetto alle altre - sia stata per prima accettata dallo stesso con atto di data certa. Alla stregua di questi principi, il datore di lavoro cui venga notificato un secondo atto di cessione, avente ad oggetto la stessa retribuzione, deve comunicare alla seconda società finanziaria la previa notifica di un altro atto di cessione, astenendosi dall’effettuare la trattenuta relativa al secondo atto, finché non venga estinto il precedente debito (vedi anche paragrafo “indicazioni operative”). 15. Estensione dell’efficacia della cessione sulla pensione: art. 43 L’art. 43, comma 1, del T.U. prevede che, quando il rapporto di lavoro cessa per pensionamento del dipendente, senza che la cessione sia stata estinta, l’efficacia della stessa si estende di diritto sulla pensione che al lavoratore viene liquidata dall’Istituto di previdenza cui questi è iscritto. Anche in questo caso, come per la retribuzione, la quota da trattenere non può eccedere il quinto della pensione. 16. Responsabilità del datore di lavoro – Risposta quesito c) Dall’esame delle disposizioni richiamate nei paragrafi precedenti risulta evidente come il nuovo sistema normativo pone alcuni limiti, prima non previsti, alla cedibilità dei crediti di lavoro, limiti che costituiscono principi di carattere generale che incidono direttamente sulla disponibilità del diritto. Rispetto a queste norme, dunque, si pongono alcuni problemi interpretativi in ordine alle conseguenze, per i datori di lavoro privati, dell’applicazione delle disposizioni relative ai requisiti di validità della cessione. Quanto alla disciplina civilistica (art. 1260 c.c.), risulta pacifico che il terzo debitore ceduto non è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti di validità della cessione, quando la stessa gli venga comunicata dal cedente (cfr. Cass. n. 2055/1972). Al contrario il debitore ceduto è obbligato a dare esecuzione all’atto di cessione, senza poter opporre al cessionario le eccezioni sulla validità della cessione (salvo quelle eccezioni che derivano dal rapporto di lavoro con il cedente), perché è 16 rimasto ad essa estraneo e tale rapporto non incide in alcun modo sull’obbligo di adempiere (Cass. n. 1257/1988). Tuttavia, in attesa sia di chiarimenti ministeriali sia del consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali sui principi ora richiamati, da un punto di vista operativo si consiglia di attenersi ad un interpretazione rigorosa del dettato normativo, verificando, ove possibile, la sussistenza dei requisiti illustrati e l’opportunità di rifiutare di procedere alla cessione della retribuzione, ove tali requisiti difettino. 16.1. Indicazione operative – seguito risposta quesito c) Riteniamo utile fornire alcune indicazioni operative per le aziende che riepilogano sinteticamente quanto detto ai precedenti paragrafi: - per quanto riguarda i dati eventualmente richiesti dall’Istituto bancario al datore di lavoro prima della notifica del contratto di cessione, si precisa che il datore di lavoro non ha alcun obbligo in merito. Tuttavia, per evitare l’insorgere di possibili contenziosi, il datore, su espressa richiesta scritta del lavoratore, potrà rilasciare a quest’ultimo una dichiarazione contenente le seguenti informazioni: anzianità di servizio, qualifica, retribuzione mensile per numero di mensilità, eventuali ritenute sullo stipendio (per pignoramenti, sequestri, precedenti cessioni, e per altre ritenute di legge, con l’indicazione dei creditori), trattamento di fine rapporto; - è opportuno non sottoscrivere “certificati” di cessione dello stipendio, che spesso vengono inviati alle aziende, né alcuna accettazione dell’intervenuta cessione, come il cosiddetto “atto di benestare”, che spesso viene inoltrato all’azienda contestualmente o successivamente alla notifica del contratto di cessione, perché il datore di lavoro è tenuto a ricevere la notifica e non anche a sottoscrivere atti; - nel caso di risoluzione del rapporto, l’azienda alla quale sia stato notificato l’atto di cessione della retribuzione con la clausola di garanzia relativa all’intero trattamento di fine rapporto, o altri atti contenenti clausole simili (come, ad esempio, il mandato irrevocabile del lavoratore a trattenere il trattamento di fine rapporto, all’atto di cessazione del rapporto ex art. 1723, secondo comma, cod. 17 civ.), prima di procedere al versamento della somma direttamente al lavoratore dovrà valutare l’opportunità di informare l’istituto bancario e concordare le opportune modalità di pagamento con il lavoratore; - dopo la notifica dell’atto di cessione, comunicare alla società finanziaria che l’azienda, prendendo atto della notifica, provvederà a versarle l’importo indicato (nei limiti e alle condizioni di legge) e che le spese per il versamento non sono a carico dell’azienda ma sono addebitate. E’ consigliabile che l’azienda, al fine di evitare eventuali contestazioni del lavoratore, prima di procedere al versamento della quota ceduta, acquisisca, la conferma da parte del medesimo dell’avvenuto finanziamento; - in ogni ipotesi di riduzione della retribuzione e se il rapporto cessa per pensionamento è opportuno che l’azienda informi anche l’Istituto previdenziale che sulla retribuzione è in corso una cessione, comunicando tutti dati necessari affinché l’Istituto possa disporre, fin dall’inizio, la trattenuta delle ulteriori quote sulla pensione; - in ogni ipotesi di interruzione o mutamento del rapporto di lavoro il datore dovrà comunicare alla finanziaria l’intervenuta interruzione o il mutamento (es. risoluzione del contratto, ma anche cassa integrazione, pensione, ecc.); - si ricorda che, qualora lo stesso credito abbia formato oggetto di più cessioni a diverse società finanziarie, prevale la cessione notificata per prima al datore di lavoro (cfr. art. 1265 cod. civ.): in tal caso, l’azienda deve comunicare la precedente cessione alla società finanziaria che ha notificato la seconda cessione, chiedendo nel contempo al dipendente la prova dell’avvenuta estinzione della prima cessione. Ove non venisse fornita tale prova dal lavoratore, è consigliabile per l’azienda non dar corso alla nuova cessione, valutando caso per caso, in relazione al rischio di possibili contenziosi; - si ritiene inoltre opportuno che, ai sensi di quanto previsto dal Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali – Codice della privacy), il datore di lavoro, prima di consegnare e/o fornire all’ente erogante il finanziamento eventuali atti di benestare o buste paga o qualunque altra informazione riguardante il lavoratore, chieda a quest’ultimo il rilascio di apposita autorizzazione. 18 17. Compensazione dei crediti e dei debiti tra lavoratore e datore di lavoro Sebbene il Testo Unico n. 180/1950 non contenga alcuna disposizione specifica sull’istituto della compensazione (cfr. art. 1241 ss. cod.civ.) si ritiene utile fornire qualche precisazione sugli effetti dell’art. 2, comma 2 del Testo Unico citato – che limita il pignoramento nella misura del quinto, non solo per i debiti del lavoratore nei confronti di terzi creditori, ma anche per i debiti verso le imprese da cui il lavoratore dipende, derivanti dal rapporto di impiego – nel caso di compensazione “impropria” di crediti di lavoro dei dipendenti privati. La giurisprudenza di Cassazione prevalente è costante nell’affermare che non opera l’istituto della compensazione con i suoi limiti (cfr. art. 1246, n. 3 cod. civ. che vieta la compensazione dei crediti impignorabili, legittimandola, conseguentemente, per i crediti parzialmente impignorabili, nei limiti di pignorabilità previsti dalla legge) nel caso in cui da un medesimo rapporto giuridico vengano ad esistenza reciproci debiti e crediti tra le parti. In tal caso, ha precisato la Cassazione, la valutazione delle reciproche pretese si risolve in un mero accertamento contabile di dare ed avere (compensazione cosiddetta “impropria”), un mero conguaglio, con conseguente illimitata possibilità di elisione fra i crediti contrapposti (cfr. Cass. n. 6214/2004; Cass. n. 7337/2004; Cass. n. 9904/2003). Milano, 26 gennaio 2009 19