3. Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose
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3. Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose
le controversie condominiali 3. Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni. 3.1. Quote dei partecipanti nella comunione e disposizioni della quota nella comunione. Sappiamo che in assenza di diverso accordo tra tutti i partecipanti alla Presunzione di uguaglianza comunione, le quote si presumono uguali, salvo prova contraria. Queste sono liberamente disponibili, potendo essere cedute (vendute, donate), ipotecate, ecc. In pratica, la quota esprime: a) la misura della partecipazione dei contitolari al diritto interamente considerato; b) la misura per la ripartizione (in termini di vantaggio o svantaggio): - del godimento della cosa; - delle spese di gestione; - dei frutti della cosa; - del bene o del suo valore in denaro (in caso di sua alienazione o di scioglimento della comunione). È ben possibile che ciascun comunista autonomamente venda o pro metta di vendere la sua quota, valido essendo il contratto anche nell’ipotesi in cui il bene sia dalle parti considerato un unicum inscindibile, risultando in tal caso l’alienazione meramente inopponibile al comproprietario che non ha preso parte alla stipula dell’atto. Nel fare applicazione del suindi cato principio, la Suprema Corte nel rigettare la doglianza della ricorrente concernente la mancata declaratoria da parte del giudice del merito della nullità del negozio, ha ritenuto nel caso corretta la qualificazione da questi operata, in termini di preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui a formazione progressiva, del contratto originariamente sottoscritto da una sola delle comproprietarie e recante la dichiarazione, inserita in epoca suc cessiva, di consenso anche dell’altra comproprietaria) (Cass. 4965/2004). Tipologie La comunione si distingue in: - pro diviso, ove ciascun comunista è proprietario di una parte ben individuata del bene; - pro indiviso, ove il diritto di ciascun partecipante si estende all’intero bene in concorrenza con l’eguale diritto degli altri partecipanti. Il codice riconosce a ciascun partecipante alla comunione, previo con Diritti del singolo comunista senso di tutti gli altri, il diritto: 80 - di utilizzare la cosa comune, purché non ne venga alterata la de stinazione, ovvero non venga impedito agli altri di farne parimenti uso, in base alle loro quote; Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni - di percepire i frutti della cosa comune in proporzione alla quota; - di disporre del proprio diritto, ossia trasferire ad altri la proprietà della quota o costituire in capo ad altri diritti reali diversi dalla proprietà sul bene in comunione, entro i limiti della quota. A riguardo la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, ritenuta l’ammissibilità della locazione a terzo di quota di bene comune da parte del titolare di detta quota, questi per far valere le azioni nascenti dal contratto di locazione, non deve richiedere ed ottenere il consenso anche degli altri comproprietari, non essendo nel caso di specie applicabile la norma di cui all’art. 1105 c.c., bensì la norma di cui all’articolo 1103 c.c., per cui ciascun partecipante alla comunione può cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota. La sentenza che accerti la scadenza del termine di locazione o che pronunci la risoluzione del contratto, condanna il conduttore al rilascio in favore del comproprietario locatore della quota locata del bene comune, senza che a ciò sia di impedimento la circostanza che il conduttore detenga per altro titolo la restante parte del bene comune, poiché in questo caso si realizza un’ipotesi di codetenzione del bene tra più soggetti (Cass. 165 del 2005); - di rinunziare alla propria quota (art. 1104 c.c.). Ad esempio nell’ipotesi di vendita di un immobile indiviso predisposta perché ad essa partecipino tutti i comproprietari e che sia poi stipulata da alcuni soltanto di essi, il contratto deve ritenersi incompleto e soggetto ad inefficacia relativa che può essere fatta valere soltanto dal compratore, il quale, in quanto esclusivo titolare dell’interesse all’acquisto del bene per l’intero, può anche chiedere l’esecuzione del contratto in relazione alla quota del comproprietario intervenuto validamente nel negozio, senza che questi possa opporvisi, salvo che dall’interpretazione della convenzione risulti che la stessa sia stata sottoscritta dalle parti nel comune presupposto (o condizione tacita) della adesione successiva degli altri contitolari del bene, cioè che il negozio sia stato predisposto come vendita unitaria, non occorrendo una specifica clausola redatta in tal senso (Cass. 9749/1991). 3.2. Obblighi dei partecipanti nella comunione e diritti dei partecipanti sulle cose comuni. Tutti i condomini hanno l’obbligo di contribuire, in proporzione alla propria quota, alle spese necessarie per la conservazione e il godimento del bene comune e a quelle deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà di liberarsene, rinunziando al proprio diritto. Tale rinunzia non giova al comunista o condomino che abbia già approvato la spesa. L’obbligo di contribuzione alle spese si inquadra nel regime delle ob- Contribuzione bligazioni propter rem, le quali, al pari dei diritti reali, sono caratterizzate alle spese dal requisito della tipicità, con la conseguenza che non possono essere 81 le controversie condominiali liberamente costituite dall’autonomia privata, ma sono ammissibili soltanto quando una norma giuridica consente che in relazione ad un determinato diritto reale e in considerazione di esigenze di collaborazione e di tutela di interessi generali il soggetto si obblighi ad una prestazione accessoria. In pratica, con la rinunzia al proprio diritto, il partecipante si libera delle obbligazioni a quel diritto collegate e queste andranno a carico dei restanti partecipanti. La giurisprudenza ci insegna che, in ogni caso, vanno tenute distinte le spese per la conservazione - che sono quelle necessarie per custodire, mantenere la cosa comune in modo che duri a lungo senza deteriorarsi (quali, nella specie, le spese per l’acqua occorrente per la irrigazione del giardino) - dalle spese per il godimento, che riguardano le utilità che la cosa comune può offrire (quali, ad esempio, le spese per il combustibile e per l’energia elettrica necessari per il funzionamento dell’impianto di riscal damento e per l’acqua potabile). Soltanto le spese per la conservazione, nel caso di inattività degli altri comproprietari, da accertare in fatto, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli stesso e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse, e solo di esse può essere chiesto il rimborso. Relativamente alle spese per il godi mento, le quali, invece, debbono essere sostenute solamente da chi con cretamente gode della cosa comune, il rimborso non è previsto, in quanto il singolo comunista le ha anticipate per un godimento soggettivo, che è suo personale, e non riguarda anche gli altri partecipanti alla comunione (Cass. 11747/2003). Parimenti sono destinate alla conservazione le spese per l’acqua occorrente per l’irrigazione del giardino. I proprietari di tali unità abitative non sono tenuti a contribuire alle spese per un servizio che nei confronti del loro immobile non viene prestato. In ragione di tanto - autorizzato dall’assemblea condominiale il di stacco delle diramazioni di alcune unità immobiliari dall’impianto centrale di riscaldamento, sulla base della valutazione che dal distacco sarebbe derivata un’effettiva riduzione delle spese di esercizio e, per converso, non si sarebbe creato uno squilibrio nel regolare funzionamento dell’impianto, e venuta meno la possibilità che i medesimi locali fruiscano del riscalda mento - l’impianto non può considerarsi destinato al servizio delle predette unità immobiliari (Cass. 680/2005). 82 ✒ Il percorso ermeneutico che la giurisprudenza ha tracciato affrontando le varie con troversie insorte sull’argomento può essere così sinteticamente rappresentato: 1) la rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l’ac crescimento della quota rinunciata a favore degli altri compartecipanti, ha una funzione satisfattiva-liberatoria. Ne consegue che il rinunziante, con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate, e queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti (Cass. 3931/1978). 2) l’acquirente di appartamento condominiale è tenuto al pagamento delle spese comuni Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni scaturenti da delibera assembleare antecedente all’acquisto (quale deve considerarsi la decisione presa alla unanimità dai condomini, mediante sottoscrizione di un foglio fatto circolare tra gli stessi) sia perché al successore a titolo particolare di uno dei contraenti sono trasferiti non solo tutti i diritti derivanti dal contratto, ma anche tutti gli oneri, ob rem ed in favore dei terzi, sia perché l’obbligo di pagamento delle spese in questione grava su ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 ss. c.c., per il solo fatto di avere in atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in solido con il dante causa, alle spese dovute da quest’ultimo e non ancora da lui versate al momento dell’alienazione (Cass. 2489/1982); 3) non è ammesso, in costanza di durata del rapporto consortile, il recesso del pro prietario di un bene assoggettato agli obblighi, ai vincoli e alle servitù convenuti con l’atto costitutivo di un consorzio di urbanizzazione, con lo statuto o con una delibera assem bleare successiva, essendo invece possibile per i membri di detto consorzio unicamente l’alienazione del bene predetto, nei casi e secondo le modalità fissate nell’atto costitutivo o nello statuto; alienazione che determina altresì il trasferimento in favore dell’acquirente della qualità di membro del consorzio (Cass. 11218/1992); 4) in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l’obbligo di partecipare ad esse incombe su tutti i comunisti, in quanto appartenenti alla comunione ed in fun zione delle utilità, che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al rimborso pro quota delle spese necessarie per consentire l’utilizzazione del bene comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione, che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione dell’art. 1110 c.c., le cui prescrizioni debbono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie, perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l’utilità sua propria secondo la peculiare destinazione impressale. Ne consegue che vanno considerate alla stregua di spese necessarie al mantenimento della funzionalità delle parti comuni di un edificio destinato ad abitazioni (e vanno, dunque, rimborsate al condominio antistatario) le spese relative non solo alla conservazione degli impianti elettrico, idrico, di riscaldamento e di videocitofono, ma, altresì, quelle intese al mantenimento della continuità nell’erogazione dei relativi servizi, non essendo più condivisibile un’interpretazione degli artt. 1104 e 1110 c.c., che configuri come godimento, piuttosto che come conservazione della funzione essenziale d’un immobile ad uso abitativo, l’ordinaria erogazione dei servizi in questione, connaturati all’idoneità stessa dell’edificio a svolgere la sua funzione non altrimenti che le sue componenti strutturali (Cass. 12568/2002); 5) l’art. 63, comma 2, att. c.c., che limita al biennio precedente all’acquisto l’obbligo del successore nei diritti di un condomino di versare, in solido con il dante causa, i con tributi da costui dovuti al condominio, è norma speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dall’art. 1104, comma ultimo, c.c., che rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido con il cedente, a pagare i contributi dovuti dal cedente e non versati. Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione dell’art. 63, comma 2, att. c.c. poiché il rinvio operato dall’art. 1139 c.c. alle norme sulla comunione in generale vale, per espressa previsione dello stesso articolo, solo per quanto non sia espressamente previsto dalle norme sul condominio (Cass. 16975/2005); 6) nel caso in cui più soggetti, proprietari in via esclusiva di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell’accessione, ciascuno di essi, salvo convenzione contraria, acquista la proprietà esclusiva della parte di edificio che insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, con la conseguenza che anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell’intero fabbricato (quali scale, androne, impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprietà esclusiva dell’uno o dell’altro, salvo l’istaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l’obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali (Cass. 5112/2006); 7) in ordine alla ripartizione delle spese eseguite sulle cose comuni trovano applicazione gli art. 1104 e 1110 c.c., che pongono a carico di ciascun partecipante alla comunione 83 le controversie condominiali l’obbligo di contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, e ricollegano il diritto al rimborso da parte del condomino che le abbia sostenute in via esclusiva alla semplice trascuranza degli altri partecipanti, senza alcun riferimento all’ulteriore requisito dell’urgenza, richiesto invece dall’art. 1134, c.c. (Trib. Bari, 20 ottobre 2008); 8) laddove il comproprietario rinunzi al suo diritto di comunione su di un immobile, ex art. 1104 c.c., con la rinuncia, negozio di natura abdicativa, opera ipso iure, in forza del principio di elasticità della proprietà, l’accrescimento della quota rinunciata a favore del compartecipe che, pertanto, data la proporzione delle rispettive quote, diviene proprietario dell’intero immobile (Cass. 23691/2009). Tabelle millesimali Ai sensi dell’art. 1118 c.c., il condomino non può sottrarsi alle spese occorrenti per la conservazione delle cose comuni (obbligazione propter rem), neppure rinunziando al proprio diritto sulle medesime. Se non esi stesse questa regola ciascun condomino potrebbe trovare conveniente ri nunciare al suo diritto inerente a certe parti dell’edificio (come l’ascensore per chi abita al primo piano) da cui derivano solo oneri. Si tenga presente, però, che l’ampiezza della facoltà dei singoli condo mini di utilizzare le parti comuni, loro riconosciuta ex lege, può comunque essere ridotta dal regolamento condominiale, ancorché non contrattuale. Il criterio per determinare le singole quote di spesa (ordinaria o straordinaria) è quello millesimale. Nella prassi le quote millesimali vengono riepilogate, per comodità, in un apposito prospetto, detto, appunto, tabella millesimale. ✒ Sull’argomento la giurisprudenza ha affermato che: 1) non commette il reato di cui all’articolo 615-bis del codice penale (interferenze illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall’intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell’edificio (come un vialetto e l’ingresso comune dell’edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini (i quali, peraltro, nella fattispecie, erano a cono scenza dell’esistenza delle telecamere e potevano visionarne in ogni momento le riprese; motivo per cui queste ultime non erano neppure idonee a cogliere di sorpresa gli altri condomini in momenti in cui potevano credere di non essere osservati). La ripresa con una telecamera delle parti comuni non può pertanto in alcun modo ritenersi indebitamente invasiva della sfera privata dei condomini, poichè l’esposizione alla vista di terzi di un’area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell’area siano state in concreto, inaspettatamente, realizzate e perciò riprese (Cass. 44156/2008); 2) così come il condominio nel suo complesso, inteso quale ente di gestione degli interessi di tutti i partecipanti, può chiedere al giudice tutela contro immissioni nocive e rumori pregiudizievoli a tutela della tranquillità e della salubrità dell’intero condominio, anche i singoli condomini possono agire in giudizio a tutela del proprio diritto alla salute, per gli stessi eventi censurati dal condominio (Cass. 23807/2009). Peraltro l’intervento dei singoli condomini, rispetto ai fatti dedotti in giudizio dal condominio, va correttamente qualificato come principale e non come adesivo dipendente: questi, infatti, non si limitano ad aderire e a sostenere le richieste del condominio, ma spiegano una domanda autonoma e distinta a tutela della propria posizione soggettiva (Cass. 23807/2009). 84 Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni 3.3. Indivisibilità. Diversamente da quanto disciplinato in tema di comunione (art. 1111 c.c.), ove la regola è la normale divisibilità della cosa comune, in ambito condominiale vale il principio della normale indivisibilità del bene (o me glio delle parti comuni dell’edificio) (art. 1119 c.c.) (ad esempio l’impianto di riscaldamento centralizzato e i locali ad esso destinati, costituiscono un complesso unitario non suscettibile di divisione). L’art. 1119 citato am mette, comunque, un’eccezione allorché la divisione di una parte comune possa essere operata senza pregiudicare (rendere incomodo) l’utilizzo della cosa agli altri condomini. La maggiore o minore comodità di uso cui fa riferimento l’articolo ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata oltre che con riferimento all’originaria consistenza ed estimazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione (ad esempio il progetto di divisione di una terrazza comune potrebbe privare il condomino assegnatario di una porzione, della veduta sul mare consentita gli, invece, nella permanenza dello stato d’indivisione). La giurisprudenza non è unanime circa la nozione di indivisibilità. Da una parte si sostiene che la indivisibilità sussista solo quando la divisione renderebbe più incomodo l’uso delle parti di proprietà esclusiva (Cass. 2257/1982), dall’altro che occorra fare riferimento alla “indivisibilità per natura”, indicata dall’art. 1316 c.c. per le obbligazioni indivisibili (Cass. 1832/1976), ovvero che la divisibilità sia subordinata all’esigenza di non ridurre l’utilità ricavabile da essa in funzione della proprietà singola (Cass. 2151/1963). I condomini possono convenire, in forza della loro autonomia negozia le, che taluni beni costituiscano parti comuni, al fine di conferire loro una destinazione indisponibile senza il consenso di tutti e di estendere loro il regime della indivisibilità ed inseparabilità che è proprio delle parti comuni indicate dall’art. 1117 c.c. e che impedisce al singolo condomino di dispor re di queste parti indipendentemente dalla sua proprietà esclusiva senza il consenso degli altri (c.d. patto di indivisione) (Cass. 6036/1995). 3.4. Uso della cosa comune nella comunione. L’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto Limiti a due limiti fondamentali: - il divieto di alterarne la destinazione; - il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto a rendere illecito l’utilizzo della cosa comune basta il mancato 85 le controversie condominiali rispetto dell’una o dell’altra delle due condizioni, sicché anche l’alterazio ne della sua destinazione, determinata non soltanto dal mutamento della funzione ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall’articolo 1102 c.c. Il singolo comunista o condomino può apportare modifiche alle parti comuni del bene, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguirne un migliore godimento, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso. Non è ammissibile, ad esempio, l’uso esclusivo e stabile da parte di un solo condomino di un bene condominiale dismesso (Cass. 26737/2008). In particolare la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 c.c. non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è previ sta la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impe dimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. 1499/1998). Parimenti raffigura un uso più ampio della cosa comune - ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102, primo comma, c.c. - l’aper tura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato (Cass. 8808/2003). In definitiva, per stabilire se il migliore godimento da parte di un co Uso paritetico della cosa comune munista o condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i par 86 tecipanti alla comunione e, perciò, sia da ritenere vietato, non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto dagli altri comunisti o condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di cia scuno. In pratica l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare (Cass. 4617/2007). Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni Per cui, se gli altri partecipanti non chiedono la rimozione del migliora mento, questo verrà da loro acquisito, a fronte di rimborso spese al contito lare che lo ha approntato, sempreché: - rilevi quale innovazione della cosa comune; - possa essere da questi ultimi utilizzata. La Cassazione ci ricorda che la quota di proprietà, quale misura del diritto di ogni condominio, rileva relativamente ai pesi e ai vantaggi della comunione, ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti, come ribadisce l’articolo 1102 c.c. con il porre il limite del pari uso per cui nel caso di garage in comunione pro indiviso, non potendosi considerare equivalenti i posti macchina sotto il profilo della comodità di uso, il crite rio di utilizzazione va stabilito, salvo accordo fra i condomini, nel rispetto della norma oggetto di trattazione, che impedisce che alcuni condomini facciano un uso, sotto il profilo qualitativo, diverso rispetto agli altri: da qui l’illegittimità di una delibera condominiale che fissi a tempo indeter minato la situazione di vantaggio degli uni e di svantaggio degli altri (Cass. 26226/2006). Tenuto, altresì, conto che, ai sensi del comma 1 dell’art. 1102 c.c., l’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purché non ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri, la compromissione da parte di un comproprietario dell’uso da parte degli altri configura un atto illecito. Ad una tale conclusione non osta la previsione di cui al comma 2 dell’art. 1102 c.c. in quanto essa si limita a prevedere che il mutamento del compossesso in possesso esclusivo determina una situazione di fatto idonea all’acquisto per usucapione (Cass. 13424/2003). Ad esempio deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alte rando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (3640/2004). È possibile l’uso più intenso della cosa comune da parte di un singolo Uso più intenso condomino, anche con modalità particolari e diverse rispetto alla sua nor- da parte di singolo male destinazione, mentre è illegittimo che questi ne faccia un uso esclusi- condomino vo. Invero l’uso esclusivo della cosa comune può essere deciso soltanto dal la totalità dei condomini con decisione avente valore contrattuale trattan dosi di innovazione recante pregiudizio al diritto di comproprietà degli altri condomini. Pertanto nessuna deliberazione dell’assemblea condominiale, neppure con diverse maggioranze, è astrattamente configurabile: soltanto l’unanime volontà dei partecipanti al condominio potrebbe comprimere il diritto in questione superando il divieto (Trib. Padova, 3 marzo 2006). In 87 le controversie condominiali altri termini la cosa comune può essere, dunque, utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione se ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o poten ziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti di costoro (nella specie, utilizzazione, da parte di un condomino, degli scarichi condominiali senza alterarne la destinazione e senza impedirne il pari uso, attuale o potenziali, agli altri condomini) (Cass. 5666/2000). Ad esempio un locale adibito a gabinetto non può essere utilizzato da uno dei partecipanti alla comunione anche per uso di decenza degli avventori di un bar aperto in un locale di sua proprietà esclusiva, giacché tale uso, pur non essendo idoneo all’asservimento del bene, modifica la naturale destinazione del gabinetto ad essere utilizzato dai soli comproprietari e altera il rapporto di equilibrio tra i diritti concor renti dei singoli comunisti (Cass. 21902/2004). Diversamente l’apertura di una porta sul muro di proprietà esclusiva, per mettere in comunicazione l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condominio con un terrazzo comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso più intenso del bene comune (Cass. 2099/2005). È altresì ammissibile l’uso indiretto della cosa comune quando non sia possibile l’uso diretto della stessa per tutti i partecipanti al condominio, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli spazi; Non bisogna tra l’altro trascurare il rapporto che intercorre fra la disci plina sulle distanze legali e la normativa relativa all’uso delle cose comuni. Tanto è vero che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamental mente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’appli cazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni, cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze le gali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime” (Cass. 17317/2007). Antenna 88 L’installazione di una antenna parabolica di notevoli dimensioni sulla facciata di un condominio, essendo lesiva del decoro dell’edificio, è contraria ai canoni di utilizzo della cosa comune (Trib. Milano, 25 ottobre 2001). È da ritenersi nulla la deliberazione del condominio, con la quale viene Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni disposta la rimozione dell’antenna parabolica, posta in opera da un con domino sul lastrico solare, perché contrastante con un complesso norma tivo che, ripetendo il proprio fondamento dal principio costituzionale di libertà di informazione, facoltizza il singolo condomino alla installazione dell’antenna medesima, con il solo limite che essa non arrechi pregiudizio all’uso del bene da parte degli altri condomini, né produca un qualsiasi, apprezzabile danno alle parti comuni (App. Perugia, 1 luglio 2004); Il diritto del condomino di installare sul tetto un’antenna telefonica e i relativi cablaggi (ove il complesso sia di modeste dimensioni e quindi non lesivo del decoro architettonico, della stabilità e della destinazione d’uso della parte comune), anche in assenza di previa autorizzazione dell’assem blea, discende dal principio generale dell’articolo 1102 c.c., in forza del quale ciascun condomino può - a sue spese - realizzare le “mere modifica zioni” volte al maggiore e più razionale godimento della cosa comune, nel rispetto dei limiti di legge (Trib. Verona, 4 dicembre 2000). Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’appa recchi per la ricezione di programmi radio-televisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli art. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554 e 231 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, è subordinato all’impossibilità per l’utente di servizi radio-televisivi di utilizzare spazi propri, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai pro prietari. In un caso è stata cassata la sentenza impugnata che, nel ritenere legittima l’installazione, da parte d’alcuni condomini, di un’antenna te levisiva su un terrazzo di proprietà esclusiva, aveva escluso che il diritto fosse condizionato all’ipotesi dell’impossibilità di sistemarla altrove (Cass. 9393/2005). L’abbassamento del soffitto del corridoio condominiale di accesso alle Soffitto singole unità abitative, effettuato dal condomino nel tratto del corridoio in cor rispondenza della soffitta del proprio appartamento, peraltro anche con l’in cremento di carichi non accertati dalla competente autorità e senza il rispetto della normativa antisismica - come nella specie - non costituisce uso della cosa comune, ma acquisizione in maniera definitiva a vantaggio della pro prietà esclusiva del singolo condomino di parte della volumetria del corridoio comune con contestuale sottrazione di tale parte comune alla funzione cui essa è destinata a svolgere nel contesto dell’intero corridoio (Cass. 21246/2007). Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può Tetto e lastrico aprire su esso abbaini e finestre - non incompatibili con la sua destinazione solare naturale - per dare aria e luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d’arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo (Cass. 17099/2006). 89 le controversie condominiali L’utilizzazione, da parte di uno dei condomini, del lastrico solare comune con la realizzazione di un vano e la installazione di un lavandino e di un serbatoio, altera l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri comproprietari e determina pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro (Cass. 2099 del 2005). La facoltà di ogni condomino di utilizzare le cose comuni non comprende quella di renderle sia pure temporaneamente inservibili, tra l’altro in modo da cagionare danno alle altrui proprietà. All’ultimo piano del con dominio era stato interrotto un pluviale comune cui avevano fatto seguito infiltrazioni di acqua ai danni del condomino sottostante. Essendo stato il proprietario dell’ultimo piano condannato al risarcimento dei danni e dedu cendo lo stesso che nella specie si era realizzata una lecita utilizzazione del bene comune, la Suprema Corte ha disatteso tale censura in applicazione del principio sopra esposto (Cass. 9393/2005). La giurisprudenza ha ritenuto illegittima la trasformazione del lastrico solare dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, per ché in tal modo viene alterata la originaria destinazione della cosa comune, che è sottratta alla possibilità di utilizzazione da parte degli altri condomini (Cass. 972/2006). L’eliminazione del tetto dell’edificio trasformato dal proprietario dell’ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo è illegittima perché, compor tando l’alterazione della destinazione della parte comune dell’immobile a copertura dell’intero fabbricato, impedisce agli altri condomini di poterlo utilizzare per quella finalità (Cass. 24414/2006). Canna fumaria 90 Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione, con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazio ne particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto, considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri compro prietari (Cass. 2774/2002). Il condomino che, senza previa autorizzazione inserisce stabilmente e con opere murarie una canna fumaria di dimensioni non limitate (cm. 35x35x143 di altezza massima, posta a 45 gradi) in corri spondenza dell’esiguo cordolo perimetrale del lastrico solare destinato a stenditoio, pone in essere un’occupazione stabile e duratura, non consen tita dall’articolo 1102 c.c., sottraendo la relativa porzione di bene comune all’uso e al godimento di condomini (Trib. Roma, 9 febbraio 2006). L’appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche l’apertura di Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni piccoli fori nella parete) al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino - pertanto - può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno - quest’ultimo - che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello sta bile (Cass. 6341/2000). Tuttavia, non vi è dubbio che detta collocazione comporti una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, purché non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico (Trib. Bari, 1 ottobre 2007); contra l’inserimento di una canna fumaria all’interno del muro comune - costituente anche muro di delimitazione della proprietà individuale - ad esclusivo servizio del proprio immobile non può consi derarsi utilizzazione in termini di mero “appoggio” della stessa al muro comune, secondo quello che, a determinate condizioni, può costituire uso consentito del bene comune ai sensi della norma in questione, stante il suo peculiare carattere di invasività della proprietà altrui (qual è anche quella non esclusiva bensì comune), anche sotto i meri profili delle immissioni di calore e della limitazione rispetto ad altre possibili e diverse utilizzazioni della cosa che ne derivano (Cass. 8852/2004). Deve ritenersi lecita l’attività del singolo condomino comproprietario Muri perimetrali del muro divisorio comune anche laddove non risulti essere limitata alla mera realizzazione di opere finalizzate alla semplice conservazione/ripara zione della cosa comune, provvedendo di sua iniziativa alla sopraelevazio ne del muro originario, ed alla realizzazione di una cancellata, attraverso un’apertura che consente l’accesso alla sua proprietà esclusiva, risolvendosi in un maggior godimento consentito ai sensi dell’articolo 1102 c.c., senza che ciò integri un’innovazione da approvarsi con le prescritte maggioranze di cui all’art. 1120 (Trib. Bari 2 maggio 2007). Tuttavia è illegittima l’apertura di un varco nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, praticata dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua pro prietà esclusiva situato all’interno del fabbricato con altro immobile di sua proprietà estraneo al condominio, in quanto tale utilizzazione comporta la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune e ne altera la destinazione, imponendo un peso sul muro perimetrale che dà luogo ad una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. 9036/2006) L’apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione 91 le controversie condominiali 92 l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso (più intenso) del bene comune, e non esige, per l’effetto, l’approvazione dell’assemblea dei condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a più forte ragione, alcuna costituzione di servitù (Cass. 11747/2003). Sempre in tal senso si è ritenuta legittima l’apertura di una porta eseguita da un condo mino nel muro condominiale, dopo avere incensurabilmente accertato che da essa non era derivata alcuna sostanziale modifica dell’entità materiale del bene né il mutamento di destinazione dell’androne comune; inconte stata essendo ulteriormente rimasta l’insussistenza di alterazione del decoro architettonico del bene medesimo in conseguenza di detta apertura (Cass. 4314/2002). L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima, non integrano abuso della cosa co mune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stes so, e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. 4155/1994). Il condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se queste opere, di per sé non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro archi tettonico dell’edificio (Cass. 4996/1994). L’apertura di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell’andito di ingresso dell’edificio condominiale, non altera l’entità mate riale del bene né modifica la sua destinazione, ma integra una consentita modificazione della cosa comune a norma dell’art. 1102 c.c. Questo perché costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece, la modifi cazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. (Cass. 240/1997). Sulla base di siffatti principi la Cassazione ha ritenuto legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni che per sua ordinaria funzione è destinato anche all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall’assemblea può at tribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune (Cass. 1554/1997; si veda altresì Cass. 4314/2002; Cass. 16097/2003; Cass. 1076/2005; Cass. 26796/2007). La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro maestro dell’edificio condominiale, rientra nell’uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risar cimento del danno, anche in forma specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla proprietà, o comproprietà, di altro condomino (Cass. 1162/1999); è consentita ai singoli condomini o ai conduttori l’apposizione di un insegna luminosa sul muro perimetrale comune, trattandosi di un’attività che non impedisce agli altri compartecipi di fare egualmente uso del muro comune secondo la sua de stinazione (Cass. 1046/1998); l’apposizione di una vetrina o mostra sul det to muro da parte di un condomino in corrispondenza del proprio locale de stinato all’esercizio di attività commerciale non costituisca di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come jus possidendi a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. (Cass. 11268/1998). L’assicurare cavi elettrici ai muri comuni condominiali e l’istallare sui muri stessi o su tetti o su terrazze pure comuni centraline elettroniche ed antenne Tv configura una modalità di uso di detti beni, onde la controversia nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di utilizzazione, perché contraria ad una espressa esclusione posta dal regolamento condo miniale o da una deliberazione assembleare ovvero perché incompatibile con l’esercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti alla facoltà della stessa natura sul medesimo bene, concerne non il diritto di compro prietà o il diritto di esercitarne in generale le relative facoltà, ma soltanto il limite qualitativo o quantitativo a seconda della contestazione sollevata della particolare facoltà di utilizzare in tal guisa i beni comuni e rientra, pertanto, nella competenza per materia del Giudice di pace ai sensi dell’art. 7 c.p.c. (Cass. 14527/2001). I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso, di cui costituiscono parte organica per la sud detta funzione e destinazione, cosicché possono essere utilizzati dal singo lo condomino solo per il miglior godimento della parte del fabbricato di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere usati, senza il consenso di tutti 93 le controversie condominiali i comproprietari, per l’utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini e costituente una unità distinta rispetto all’edificio comune, in quanto ciò comporterebbe la costituzione di una servitù a carico del suddetto edificio per la quale occorre il consenso di tutti i comproprietari; pertanto costituisce uso indebito della cosa comune, alla stregua dei cri teri indicati nell’articolo 1102 c.c., l’apertura praticata dal condomino nel muro perimetrale dell’edificio condominiale per mettere in collegamento una unità immobiliare di sua esclusiva proprietà, esistente nell’edificio con dominiale, con altro immobile, sempre di sua proprietà, ricompreso in un diverso stabile condominiale (Cass. 10324/2008). Cortile comune 94 La funzione del cortile comune consiste non solo nel fornire aria e luce agli immobili circostanti, ma anche nel consentire un’agevole ed indifferenziata praticabilità delle singole unità immobiliari. In ragione di tanto la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che costituisse un’innovazione vietata l’installazione da parte di alcuni condomini di serbatoi idrici al servizio esclusivo dei rispettivi appartamenti, in considerazione delle ridotte dimensioni dei manufatti, che non comportavano, inoltre, un’alterazio ne del decoro architettonico del fabbricato) (Cass. 13752/2006). L’uso particolare che il comproprietario abbia fatto del cortile comune. interrando nel sottosuolo di esso una centrale termica del proprio impianto di riscaldamento non può considerarsi estraneo alla destinazione normale del l’area, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del ma nufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile medesimo un analogo uso particolare (Cass. 4386/2007; si vada anche Cass. 12262/2002). Tra gli usi propri cui è destinato un cortile comune si deve annoverare la possibilità, per i partecipanti alla comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con mezzi meccanici al fine di esercitarvi le attività - anche diverse rispetto a quelle compiute in passato - che non siano vietate dal regolamento condominiale, poiché tale uso non può ritenersi condizionato né dalla natura dell’attività legit timamente svolta né dall’eventuale, più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato (Cass. 5848/2006). La costruzione di balconi e pensili sul cortile comune è consentita al singolo condomino, purché non risulti alterata la destinazione del bene comune e non sia impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. 12569/2002). Nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, il condomino può apportare a tale recinzione, pur essa condominiale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all’apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile, come in precedenza (Cass. 42/2000). L’azione con cui i comproprietari di un cortile - utilizzato dalla conve nuta come parcheggio - lamentino la violazione della destinazione dello spazio comune, che - secondo la norma del regolamento condominiale di natura contrattuale - debba essere lasciato libero e sgombro, attesa la natura di vincolo di natura reale - assimilabile a un onere reale o a una servitù reciproca - e non semplicemente obbligatoria della destinazione impressa dalla norma regolamentare, è imprescrittibile, perché diretta alla tutela del diritto di (com)proprietà (Cass. 2106/2004). In assenza di limiti stabiliti dall’acquirente nell’atto di acquisto o dal Posto auto regolamento condominiale, l’utilizzo del cortile condominiale per la sosta o il parcheggio dei veicoli non contrasta con l’articolo 1102 c.c. costituendo detto cortile un’utilità strumentale, inscindibile dal bene principale e potendo presentare una particolare destinazione, ivi compresa quella di parcheggio (Trib. Monza, 3 gennaio 2006); tuttavia è illegittima la delibera condominiale adottata a maggioranza, che, nello stabilire il criterio di uso del garage comune condominiale, attribuisca ai condomini la scelta del posto macchina secondo il criterio del valore degli appartamenti, in quanto la quota di proprietà di cui all’art. 1118 c.c., quale misura del diritto di ogni condomino, rileva relativa mente ai pesi e ai vantaggi della comunione, ma non in ordine al godimento che deve essere uguale per tutti, come prevede l’articolo 1102 c.c. Pertanto, ove i posti macchina non siano equivalenti per comodità d’uso, il criterio da seguire, nel disaccordo delle parti, è quello indicato da quest’ultima norma, la quale impedisce che alcuni proprietari facciano un uso della cosa comune, dal punto di vista qualitativo, diverso rispetto agli altri (Cass. 26226/2006). Per il rinvio contenuto nell’art. 1139 c.c. l’art. 1102 c.c. - secondo cui ciascun comunista può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto - si applica anche in tema di condominio negli edifi ci, con l’effetto che, nello stabilire l’uso del parcheggio condominiale, deve essere assicurato a tutti i condomini il pari uso, sia in senso quantitativo, che qualitativo, indipendentemente dall’ampiezza della proprietà di cia scuno (Cass. 26226/2006). Per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c. lo spazio sotto- Suolo e sottosuolo stante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve 95 le controversie condominiali considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destina zione. Ne deriva che il condomino non può, senza il consenso degli altri, procedere ad escavazioni in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali ed ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l’assogget tamento di un bene comune a vantaggio del singolo (Cass. 8119/2004). ✒ È lesivo del diritto di comproprietà l’opera di escavazione di cm. 40, eseguita dalla proprietaria del piano terreno, in profondità del sottosuolo, per ingrandire il suo locale (Cass. 8119/2004). È violato il disposto dell’articolo 1102 c.c. quando la costruzione nel sottosuolo del fabbricato condominiale di un vano destinato esclusivamente al soddisfacimento di esigenze personali e familiari di un condomino, impedisce agli altri condomini di fare del sottosuolo e del relativo sedime un pari uso, soprattutto in considerazione della vastità della superficie interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo incompatibile con la natura condominiale del bene utilizzato (Cass. 6921/2001). Il comproprietario di un cortile può legittimamente scavare il sottosuolo per installarvi tubi onde allacciare un bene di sua proprietà esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali perché da un lato non perciò ne viene al terata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unità immobiliari degli altri condomini; dall’altro rientra nella funzione sussidiaria del sottosuolo del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture (Cass. 9785/1997). Le modifiche apportate dal condominio al vano terraneo in sua proprie tà esclusiva, sotto forma di consolidamento e rafforzamento del piano di calpestio con massicciata più profonda, e perfino con creazione di camere isolanti, in relazione alla struttura, funzione e destinazione di siffatto vano, sono pienamente legittime, salvo che, determinando un abbassamento del livello di pavimentazione (per l’utilizzazione della maggior cubatura conseguente), diano luogo ad invasione del suolo comune. Ai fini della relativa indagine, occorre accertare in concreto se tale suolo condominiale si identifichi con il piano di posa delle fondazioni dell’edificio, ovvero il livello del piano comune sia più elevato rispetto a tale piano di posa per la struttura delle medesime, comportante la configurazione dello spessore del piano di calpestio come manufatto distinto dalle fondazioni e di proprietà (esclusiva) dei condomini dei piani terranei (Cass. 2206/1984). Uso indiretto 96 L’uso indiretto della cosa comune (ad esempio mediante locazione), incidendo sull’estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede sull’intero bene indiviso, può essere disposto dal giudice o deliberato dall’assemblea dei condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o ragionevole l’uso promiscuo, sempreché la cosa comune non con senta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L’indivisibilità del godimento costituisce il presupposto per l’insorgenza del potere assem bleare circa l’uso indiretto, onde la deliberazione che l’adotta senza che Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni ne ricorrano le condizioni è nulla, quale che sia la maggioranza, salvo che ricorra l’unanimità (Cass. 8528/1994). Quando non sia possibile l’uso diretto della cosa comune per tutti i partecipanti al condominio, proporzionalmente alla loro quota, promi scuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli spazi, i condomini possono deliberare l’uso indiretto della cosa comune, a maggioranza se è un atto di ordinaria amministrazione, come nel caso della locazione (Cass. 4131/2001). Nel caso di installazione di una tenda e delle relative intelaiature me Tende e targhe talliche su di uno spazio di proprietà comune, da parte del condomino del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante, per la sussistenza della violazione dell’art. 1102 c.c. con riguardo al mutamento della struttura e della funzione del detto bene comune ed in particolare al diritto di veduta in “appiombo” dei condomini dei piani superiori, deve accertarsi sia l’”utilitas” (specifica o socialmente rilevante) derivante da quel diritto che in concreto la sua menomazione, tenendo conto in ispecie del distacco (in altezza) della tenda dalle vedute dei piani superiori, delle caratteristiche dei luoghi e dell’uso normale, nonché, in relazione alla spe cifica destinazione dello spazio comune, delle consuetudini e del normale comportamento degli esercenti di attività consimili (Cass. 11392/1991). L’apposizione di targhe e tende nel prospetto dell’edificio condominiale costituisce espressione del diritto di comproprietà dei condomini su detta parte comune, corrispondendo alla normale destinazione di questa; ne consegue che l’esercizio di tale facoltà non può essere assoggettato a divieto o subordinato al consenso dell’amministratore condominiale (Cass. 12298/2003). Non può ritenersi consentita l’installazione, da parte di un condomino, Viottoli per suo esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla costituzione del condominio al pas saggio dei condomini, per l’accesso, tra l’altro, a vani di proprietà esclusiva dei medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in quanto detta installazione costituisce anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi del cancello - una modificazione delle modalità di uso e di godimento della cosa comune, che interferisce sul “pari uso” della stessa spettante agli altri condomini (Cass. 12227/1995). Rientra tra le facoltà del comproprietario la installazione di un cancello Cancello sul passaggio comune, con consegna delle chiavi agli altri comproprietari, in quanto essa non impedisce l’altrui pari uso, e, pertanto, configura un atto compiuto nell’esercizio del diritto di apportare alla cosa comune le mo 97 le controversie condominiali difiche necessarie per il suo miglioramento, e non può considerarsi come spoglio, né come turbativa o molestia del compossesso degli altri compro prietari (Cass. 8394/2000). Decoro Il divieto di alterare il decoro architettonico, dettato espressamente per architettonico le innovazioni delle parti comuni dell’edificio in condominio, si estende, in via analogica, alle modificazioni consentite al condomino ex art. 1102 comma 1 c.c. in ragione dell’identità di ratio legis (nella specie, installazione di condizionatore sulla parete esterna del fabbricato) (Cass. 12343/2003). Non viola il divieto di alterare il decoro architettonico dell’immobile con dominiale il condomino che installa sul balcone dell’appartamento di sua proprietà l’unità esterna di un impianto di raffreddamento, ancorché l’in stallazione costituisca una modifica dell’originario profilo dello stabile, se le linee estetiche del fabbricato risultano già alterate da pregresse e consen tite superfetazioni di vario genere, realizzate da altri condomini nel corso del tempo (Trib. Napoli 12 giugno 2004). Ringhiera L’installazione di una ringhiera (o parapetto) su di un lastrico solare che o parapetto permetta di affacciarsi su spazi condominiali (nella specie, cortili comuni destinati a dare aria e luce agli appartamenti sottostanti che vi prospettano) costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi altrui (art. 905 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (Cass. 13261/2004). Nel caso in cui il condomino, pur autorizzato dall’assemblea condominia Pianerottoli e ballatoi le a realizzare un solaio nel cavedio del ballatoio e a proteggere lo stesso con una vetrata, abbia invece realizzato, sul ballatoio medesimo, oltre al solaio, un manufatto in pannelli di alluminio e cartongesso, sottraendo aria e luce alla restante parte del ballatoio, in contrasto con la destinazione funzionale del cavedio, egli, nell’appropriarsi di tale area, accorpandola al proprio appar tamento, incorre violazione dell’art. 1102 c.c., che non consente di sottrarre definitivamente la cosa comune alle possibilità di utilizzazione collettiva, salvo il consenso unanime dei condomini (Cass. 23612/2006). Profili processuali 98 Sotto il profilo meramente processuale, la giurisprudenza ci ricorda che quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalità di uso della cosa comune, ancorché riguardanti una modificazione che, non incidendo sull’estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni secondo, c.c.) né eccedendo l’ordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.), tende al suo migliore godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v’è litisconsorzio necessario di tutti gli altri partecipanti alla comunione (Cass. 3435/2003). Inoltre in un procedimento iniziato e proseguito in appello da alcuni condomini che si assumono lesi contro gli autori degli abusi, allo scopo di farne accertare la sussistenza ed ottenerne la eliminazione, non sussi ste l’obbligo di integrare il contraddittorio nel caso in cui solo alcuni dei predetti convenuti, rimasti soccombenti in grado di appello, propongano ricorso per Cassazione poiché, in ragione della richiamata autonomia dei rapporti, non si versa in una ipotesi di litisconsorzio necessario (dal lato passivo) ed eventuali decisioni divergenti (positive per alcuni e negative per altri) adottate in procedimenti separati o in gradi diversi dello stesso procedimento, non sarebbero inutiliter data e né comporterebbero contra sto tra giudicati, stanti i limiti soggettivi della loro efficacia stabiliti dall’art. 2909 c.c. (Cass. 2943/2004). Proprio in considerazione dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che nell’uso della cosa comune non deve alterarne la destinazione ed impedire agli altri comunisti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, l’alterazione o la modificazione della destinazio ne del bene comune si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, giacché l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condominio è consentita, quando la stessa non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro; tale accertamento è riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 1072/2005). Con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, deve essere negata la legittimazione (attiva) del comproprietario del bene locato pro parte di midia, ove risulti l’espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell’art. 1105 c.c.), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di utile gestione rientranti nell’ordinaria amministrazione della cosa comune (Cass. 480/2009). 99