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3. Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose

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3. Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose
le controversie condominiali
3. Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti
sulle cose comuni.
3.1. Quote dei partecipanti nella comunione e disposizioni
della quota nella comunione.
Sappiamo che in assenza di diverso accordo tra tutti i partecipanti alla
Presunzione
di uguaglianza comunione, le quote si presumono uguali, salvo prova contraria. Queste
sono liberamente disponibili, potendo essere cedute (vendute, donate),
ipotecate, ecc.
In pratica, la quota esprime:
a) la misura della partecipazione dei contitolari al diritto interamente
considerato;
b) la misura per la ripartizione (in termini di vantaggio o svantaggio):
- del godimento della cosa;
- delle spese di gestione;
- dei frutti della cosa;
- del bene o del suo valore in denaro (in caso di sua alienazione o di
scioglimento della comunione).
È ben possibile che ciascun comunista autonomamente venda o pro­
metta di vendere la sua quota, valido essendo il contratto anche nell’ipotesi
in cui il bene sia dalle parti considerato un unicum inscindibile, risultando
in tal caso l’alienazione meramente inopponibile al comproprietario che
non ha preso parte alla stipula dell’atto. Nel fare applicazione del suindi­
cato principio, la Suprema Corte nel rigettare la doglianza della ricorrente
concernente la mancata declaratoria da parte del giudice del merito della
nullità del negozio, ha ritenuto nel caso corretta la qualificazione da questi
operata, in termini di preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui a
formazione progressiva, del contratto originariamente sottoscritto da una
sola delle comproprietarie e recante la dichiarazione, inserita in epoca suc­
cessiva, di consenso anche dell’altra comproprietaria) (Cass. 4965/2004).
Tipologie
La comunione si distingue in:
- pro diviso, ove ciascun comunista è proprietario di una parte ben
individuata del bene;
- pro indiviso, ove il diritto di ciascun partecipante si estende all’intero
bene in concorrenza con l’eguale diritto degli altri partecipanti.
Il codice riconosce a ciascun partecipante alla comunione, previo con­
Diritti del singolo
comunista senso di tutti gli altri, il diritto:
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- di utilizzare la cosa comune, purché non ne venga alterata la de­
stinazione, ovvero non venga impedito agli altri di farne parimenti uso, in
base alle loro quote;
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
- di percepire i frutti della cosa comune in proporzione alla quota;
- di disporre del proprio diritto, ossia trasferire ad altri la proprietà della
quota o costituire in capo ad altri diritti reali diversi dalla proprietà sul bene
in comunione, entro i limiti della quota. A riguardo la giurisprudenza di
legittimità ha stabilito che, ritenuta l’ammissibilità della locazione a terzo
di quota di bene comune da parte del titolare di detta quota, questi per far
valere le azioni nascenti dal contratto di locazione, non deve richiedere
ed ottenere il consenso anche degli altri comproprietari, non essendo nel
caso di specie applicabile la norma di cui all’art. 1105 c.c., bensì la norma
di cui all’articolo 1103 c.c., per cui ciascun partecipante alla comunione
può cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota. La
sentenza che accerti la scadenza del termine di locazione o che pronunci
la risoluzione del contratto, condanna il conduttore al rilascio in favore del
comproprietario locatore della quota locata del bene comune, senza che
a ciò sia di impedimento la circostanza che il conduttore detenga per altro
titolo la restante parte del bene comune, poiché in questo caso si realizza
un’ipotesi di codetenzione del bene tra più soggetti (Cass. 165 del 2005);
- di rinunziare alla propria quota (art. 1104 c.c.).
Ad esempio nell’ipotesi di vendita di un immobile indiviso predisposta
perché ad essa partecipino tutti i comproprietari e che sia poi stipulata da
alcuni soltanto di essi, il contratto deve ritenersi incompleto e soggetto ad
inefficacia relativa che può essere fatta valere soltanto dal compratore, il
quale, in quanto esclusivo titolare dell’interesse all’acquisto del bene per
l’intero, può anche chiedere l’esecuzione del contratto in relazione alla
quota del comproprietario intervenuto validamente nel negozio, senza che
questi possa opporvisi, salvo che dall’interpretazione della convenzione
risulti che la stessa sia stata sottoscritta dalle parti nel comune presupposto
(o condizione tacita) della adesione successiva degli altri contitolari del
bene, cioè che il negozio sia stato predisposto come vendita unitaria, non
occorrendo una specifica clausola redatta in tal senso (Cass. 9749/1991).
3.2. Obblighi dei partecipanti nella comunione e diritti dei
partecipanti sulle cose comuni.
Tutti i condomini hanno l’obbligo di contribuire, in proporzione alla
propria quota, alle spese necessarie per la conservazione e il godimento
del bene comune e a quelle deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà
di liberarsene, rinunziando al proprio diritto. Tale rinunzia non giova al
comunista o condomino che abbia già approvato la spesa.
L’obbligo di contribuzione alle spese si inquadra nel regime delle ob- Contribuzione
bligazioni propter rem, le quali, al pari dei diritti reali, sono caratterizzate alle spese
dal requisito della tipicità, con la conseguenza che non possono essere
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le controversie condominiali
liberamente costituite dall’autonomia privata, ma sono ammissibili soltanto
quando una norma giuridica consente che in relazione ad un determinato
diritto reale e in considerazione di esigenze di collaborazione e di tutela
di interessi generali il soggetto si obblighi ad una prestazione accessoria.
In pratica, con la rinunzia al proprio diritto, il partecipante si libera delle
obbligazioni a quel diritto collegate e queste andranno a carico dei restanti
partecipanti.
La giurisprudenza ci insegna che, in ogni caso, vanno tenute distinte
le spese per la conservazione - che sono quelle necessarie per custodire,
mantenere la cosa comune in modo che duri a lungo senza deteriorarsi
(quali, nella specie, le spese per l’acqua occorrente per la irrigazione del
giardino) - dalle spese per il godimento, che riguardano le utilità che la
cosa comune può offrire (quali, ad esempio, le spese per il combustibile e
per l’energia elettrica necessari per il funzionamento dell’impianto di riscal­
damento e per l’acqua potabile). Soltanto le spese per la conservazione, nel
caso di inattività degli altri comproprietari, da accertare in fatto, possono
essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della
cosa, cui egli stesso e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse, e solo di
esse può essere chiesto il rimborso. Relativamente alle spese per il godi­
mento, le quali, invece, debbono essere sostenute solamente da chi con­
cretamente gode della cosa comune, il rimborso non è previsto, in quanto
il singolo comunista le ha anticipate per un godimento soggettivo, che è
suo personale, e non riguarda anche gli altri partecipanti alla comunione
(Cass. 11747/2003). Parimenti sono destinate alla conservazione le spese
per l’acqua occorrente per l’irrigazione del giardino.
I proprietari di tali unità abitative non sono tenuti a contribuire alle
spese per un servizio che nei confronti del loro immobile non viene prestato. In ragione di tanto - autorizzato dall’assemblea condominiale il di­
stacco delle diramazioni di alcune unità immobiliari dall’impianto centrale
di riscaldamento, sulla base della valutazione che dal distacco sarebbe
derivata un’effettiva riduzione delle spese di esercizio e, per converso, non
si sarebbe creato uno squilibrio nel regolare funzionamento dell’impianto,
e venuta meno la possibilità che i medesimi locali fruiscano del riscalda­
mento - l’impianto non può considerarsi destinato al servizio delle predette
unità immobiliari (Cass. 680/2005).
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✒ Il percorso ermeneutico che la giurisprudenza ha tracciato affrontando le varie con­
troversie insorte sull’argomento può essere così sinteticamente rappresentato:
1) la rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l’ac­
crescimento della quota rinunciata a favore degli altri compartecipanti, ha una funzione
satisfattiva-liberatoria. Ne consegue che il rinunziante, con la dismissione del proprio diritto
(reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate, e queste vanno a
carico dei rimanenti partecipanti (Cass. 3931/1978).
2) l’acquirente di appartamento condominiale è tenuto al pagamento delle spese comuni
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
scaturenti da delibera assembleare antecedente all’acquisto (quale deve considerarsi la
decisione presa alla unanimità dai condomini, mediante sottoscrizione di un foglio fatto
circolare tra gli stessi) sia perché al successore a titolo particolare di uno dei contraenti
sono trasferiti non solo tutti i diritti derivanti dal contratto, ma anche tutti gli oneri, ob rem
ed in favore dei terzi, sia perché l’obbligo di pagamento delle spese in questione grava su
ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 ss. c.c., per il solo fatto di avere in
atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in
solido con il dante causa, alle spese dovute da quest’ultimo e non ancora da lui versate
al momento dell’alienazione (Cass. 2489/1982);
3) non è ammesso, in costanza di durata del rapporto consortile, il recesso del pro­
prietario di un bene assoggettato agli obblighi, ai vincoli e alle servitù convenuti con l’atto
costitutivo di un consorzio di urbanizzazione, con lo statuto o con una delibera assem­
bleare successiva, essendo invece possibile per i membri di detto consorzio unicamente
l’alienazione del bene predetto, nei casi e secondo le modalità fissate nell’atto costitutivo
o nello statuto; alienazione che determina altresì il trasferimento in favore dell’acquirente
della qualità di membro del consorzio (Cass. 11218/1992);
4) in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l’obbligo di partecipare
ad esse incombe su tutti i comunisti, in quanto appartenenti alla comunione ed in fun­
zione delle utilità, che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al
rimborso pro quota delle spese necessarie per consentire l’utilizzazione del bene comune
secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione, che le abbia anticipate
per gli altri in forza della previsione dell’art. 1110 c.c., le cui prescrizioni debbono
ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie,
perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l’utilità sua propria secondo
la peculiare destinazione impressale. Ne consegue che vanno considerate alla stregua
di spese necessarie al mantenimento della funzionalità delle parti comuni di un edificio
destinato ad abitazioni (e vanno, dunque, rimborsate al condominio antistatario) le spese
relative non solo alla conservazione degli impianti elettrico, idrico, di riscaldamento e di
videocitofono, ma, altresì, quelle intese al mantenimento della continuità nell’erogazione
dei relativi servizi, non essendo più condivisibile un’interpretazione degli artt. 1104 e 1110
c.c., che configuri come godimento, piuttosto che come conservazione della funzione
essenziale d’un immobile ad uso abitativo, l’ordinaria erogazione dei servizi in questione,
connaturati all’idoneità stessa dell’edificio a svolgere la sua funzione non altrimenti che
le sue componenti strutturali (Cass. 12568/2002);
5) l’art. 63, comma 2, att. c.c., che limita al biennio precedente all’acquisto l’obbligo
del successore nei diritti di un condomino di versare, in solido con il dante causa, i con­
tributi da costui dovuti al condominio, è norma speciale rispetto a quella posta, in tema
di comunione in generale, dall’art. 1104, comma ultimo, c.c., che rende il cessionario
obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido con il cedente, a pagare i contributi dovuti
dal cedente e non versati. Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione
dell’art. 63, comma 2, att. c.c. poiché il rinvio operato dall’art. 1139 c.c. alle norme sulla
comunione in generale vale, per espressa previsione dello stesso articolo, solo per quanto
non sia espressamente previsto dalle norme sul condominio (Cass. 16975/2005);
6) nel caso in cui più soggetti, proprietari in via esclusiva di aree tra loro confinanti,
si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell’accessione, ciascuno di
essi, salvo convenzione contraria, acquista la proprietà esclusiva della parte di edificio che
insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, con la conseguenza che anche le opere
e strutture inscindibilmente poste a servizio dell’intero fabbricato (quali scale, androne,
impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano per accessione, in tutto o in parte, a seconda
della loro collocazione, nella proprietà esclusiva dell’uno o dell’altro, salvo l’istaurarsi sulle
medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso
e di godimento, comportante l’obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative
spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali (Cass.
5112/2006);
7) in ordine alla ripartizione delle spese eseguite sulle cose comuni trovano applicazione
gli art. 1104 e 1110 c.c., che pongono a carico di ciascun partecipante alla comunione
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le controversie condominiali
l’obbligo di contribuire alle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della
cosa comune, e ricollegano il diritto al rimborso da parte del condomino che le abbia
sostenute in via esclusiva alla semplice trascuranza degli altri partecipanti, senza alcun
riferimento all’ulteriore requisito dell’urgenza, richiesto invece dall’art. 1134, c.c. (Trib.
Bari, 20 ottobre 2008);
8) laddove il comproprietario rinunzi al suo diritto di comunione su di un immobile, ex
art. 1104 c.c., con la rinuncia, negozio di natura abdicativa, opera ipso iure, in forza del
principio di elasticità della proprietà, l’accrescimento della quota rinunciata a favore del
compartecipe che, pertanto, data la proporzione delle rispettive quote, diviene proprietario
dell’intero immobile (Cass. 23691/2009).
Tabelle millesimali
Ai sensi dell’art. 1118 c.c., il condomino non può sottrarsi alle spese
occorrenti per la conservazione delle cose comuni (obbligazione propter
rem), neppure rinunziando al proprio diritto sulle medesime. Se non esi­
stesse questa regola ciascun condomino potrebbe trovare conveniente ri­
nunciare al suo diritto inerente a certe parti dell’edificio (come l’ascensore
per chi abita al primo piano) da cui derivano solo oneri.
Si tenga presente, però, che l’ampiezza della facoltà dei singoli condo­
mini di utilizzare le parti comuni, loro riconosciuta ex lege, può comunque
essere ridotta dal regolamento condominiale, ancorché non contrattuale.
Il criterio per determinare le singole quote di spesa (ordinaria o straordinaria) è quello millesimale. Nella prassi le quote millesimali vengono
riepilogate, per comodità, in un apposito prospetto, detto, appunto, tabella
millesimale.
✒ Sull’argomento la giurisprudenza ha affermato che:
1) non commette il reato di cui all’articolo 615-bis del codice penale (interferenze
illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di
tutelarsi dall’intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni
dell’edificio (come un vialetto e l’ingresso comune dell’edificio), anche se tali riprese sono
effettuate contro la volontà dei condomini (i quali, peraltro, nella fattispecie, erano a cono­
scenza dell’esistenza delle telecamere e potevano visionarne in ogni momento le riprese;
motivo per cui queste ultime non erano neppure idonee a cogliere di sorpresa gli altri
condomini in momenti in cui potevano credere di non essere osservati). La ripresa con
una telecamera delle parti comuni non può pertanto in alcun modo ritenersi indebitamente
invasiva della sfera privata dei condomini, poichè l’esposizione alla vista di terzi di un’area
che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata
esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse
che manifestazioni di vita privata in quell’area siano state in concreto, inaspettatamente,
realizzate e perciò riprese (Cass. 44156/2008);
2) così come il condominio nel suo complesso, inteso quale ente di gestione degli
interessi di tutti i partecipanti, può chiedere al giudice tutela contro immissioni nocive e
rumori pregiudizievoli a tutela della tranquillità e della salubrità dell’intero condominio,
anche i singoli condomini possono agire in giudizio a tutela del proprio diritto alla salute,
per gli stessi eventi censurati dal condominio (Cass. 23807/2009). Peraltro l’intervento dei
singoli condomini, rispetto ai fatti dedotti in giudizio dal condominio, va correttamente
qualificato come principale e non come adesivo dipendente: questi, infatti, non si limitano
ad aderire e a sostenere le richieste del condominio, ma spiegano una domanda autonoma
e distinta a tutela della propria posizione soggettiva (Cass. 23807/2009).
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Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
3.3. Indivisibilità.
Diversamente da quanto disciplinato in tema di comunione (art. 1111
c.c.), ove la regola è la normale divisibilità della cosa comune, in ambito
condominiale vale il principio della normale indivisibilità del bene (o me­
glio delle parti comuni dell’edificio) (art. 1119 c.c.) (ad esempio l’impianto
di riscaldamento centralizzato e i locali ad esso destinati, costituiscono
un complesso unitario non suscettibile di divisione). L’art. 1119 citato am­
mette, comunque, un’eccezione allorché la divisione di una parte comune
possa essere operata senza pregiudicare (rendere incomodo) l’utilizzo della
cosa agli altri condomini. La maggiore o minore comodità di uso cui fa
riferimento l’articolo ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata
oltre che con riferimento all’originaria consistenza ed estimazione della
cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua
materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini
ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione (ad
esempio il progetto di divisione di una terrazza comune potrebbe privare il
condomino assegnatario di una porzione, della veduta sul mare consentita­
gli, invece, nella permanenza dello stato d’indivisione).
La giurisprudenza non è unanime circa la nozione di indivisibilità. Da
una parte si sostiene che la indivisibilità sussista solo quando la divisione
renderebbe più incomodo l’uso delle parti di proprietà esclusiva (Cass.
2257/1982), dall’altro che occorra fare riferimento alla “indivisibilità per
natura”, indicata dall’art. 1316 c.c. per le obbligazioni indivisibili (Cass.
1832/1976), ovvero che la divisibilità sia subordinata all’esigenza di non
ridurre l’utilità ricavabile da essa in funzione della proprietà singola (Cass.
2151/1963).
I condomini possono convenire, in forza della loro autonomia negozia­
le, che taluni beni costituiscano parti comuni, al fine di conferire loro una
destinazione indisponibile senza il consenso di tutti e di estendere loro il
regime della indivisibilità ed inseparabilità che è proprio delle parti comuni
indicate dall’art. 1117 c.c. e che impedisce al singolo condomino di dispor­
re di queste parti indipendentemente dalla sua proprietà esclusiva senza il
consenso degli altri (c.d. patto di indivisione) (Cass. 6036/1995).
3.4. Uso della cosa comune nella comunione.
L’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto Limiti
a due limiti fondamentali:
- il divieto di alterarne la destinazione;
- il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto.
Pertanto a rendere illecito l’utilizzo della cosa comune basta il mancato
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le controversie condominiali
rispetto dell’una o dell’altra delle due condizioni, sicché anche l’alterazio­
ne della sua destinazione, determinata non soltanto dal mutamento della
funzione ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto
il divieto stabilito dall’articolo 1102 c.c.
Il singolo comunista o condomino può apportare modifiche alle parti
comuni del bene, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguirne un migliore godimento, sempre che non alterino la destinazione
e non impediscano l’altrui pari uso. Non è ammissibile, ad esempio, l’uso
esclusivo e stabile da parte di un solo condomino di un bene condominiale
dismesso (Cass. 26737/2008). In particolare la nozione di pari uso della
cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 c.c. non va intesa nel senso di
uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a
ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune
la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con
i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio
di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli
interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia
prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari
uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino
deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è previ­
sta la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei
condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impe­
dimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari
possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. 1499/1998).
Parimenti raffigura un uso più ampio della cosa comune - ricompreso nelle
facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102, primo comma, c.c. - l’aper­
tura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello)
effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una
strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato (Cass.
8808/2003).
In definitiva, per stabilire se il migliore godimento da parte di un co­
Uso paritetico
della cosa comune munista o condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i par­
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tecipanti alla comunione e, perciò, sia da ritenere vietato, non deve aversi
riguardo all’uso fatto in concreto dagli altri comunisti o condomini in un
determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di cia­
scuno.
In pratica l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in
concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della
identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e
astratta essi ne potrebbero fare (Cass. 4617/2007).
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
Per cui, se gli altri partecipanti non chiedono la rimozione del migliora­
mento, questo verrà da loro acquisito, a fronte di rimborso spese al contito­
lare che lo ha approntato, sempreché:
- rilevi quale innovazione della cosa comune;
- possa essere da questi ultimi utilizzata.
La Cassazione ci ricorda che la quota di proprietà, quale misura del
diritto di ogni condominio, rileva relativamente ai pesi e ai vantaggi della
comunione, ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti,
come ribadisce l’articolo 1102 c.c. con il porre il limite del pari uso per cui
nel caso di garage in comunione pro indiviso, non potendosi considerare
equivalenti i posti macchina sotto il profilo della comodità di uso, il crite­
rio di utilizzazione va stabilito, salvo accordo fra i condomini, nel rispetto
della norma oggetto di trattazione, che impedisce che alcuni condomini
facciano un uso, sotto il profilo qualitativo, diverso rispetto agli altri: da
qui l’illegittimità di una delibera condominiale che fissi a tempo indeter­
minato la situazione di vantaggio degli uni e di svantaggio degli altri (Cass.
26226/2006).
Tenuto, altresì, conto che, ai sensi del comma 1 dell’art. 1102 c.c., l’uso
della cosa comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purché non
ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri, la
compromissione da parte di un comproprietario dell’uso da parte degli altri
configura un atto illecito. Ad una tale conclusione non osta la previsione
di cui al comma 2 dell’art. 1102 c.c. in quanto essa si limita a prevedere
che il mutamento del compossesso in possesso esclusivo determina una
situazione di fatto idonea all’acquisto per usucapione (Cass. 13424/2003).
Ad esempio deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella
stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo
della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri
un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo
dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alte­
rando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (3640/2004).
È possibile l’uso più intenso della cosa comune da parte di un singolo Uso più intenso
condomino, anche con modalità particolari e diverse rispetto alla sua nor- da parte di singolo
male destinazione, mentre è illegittimo che questi ne faccia un uso esclusi- condomino
vo. Invero l’uso esclusivo della cosa comune può essere deciso soltanto dal­
la totalità dei condomini con decisione avente valore contrattuale trattan­
dosi di innovazione recante pregiudizio al diritto di comproprietà degli altri
condomini. Pertanto nessuna deliberazione dell’assemblea condominiale,
neppure con diverse maggioranze, è astrattamente configurabile: soltanto
l’unanime volontà dei partecipanti al condominio potrebbe comprimere il
diritto in questione superando il divieto (Trib. Padova, 3 marzo 2006). In
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le controversie condominiali
altri termini la cosa comune può essere, dunque, utilizzata dal condomino
anche in modo particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione
se ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o poten­
ziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze
dell’ambito dei coesistenti diritti di costoro (nella specie, utilizzazione,
da parte di un condomino, degli scarichi condominiali senza alterarne la
destinazione e senza impedirne il pari uso, attuale o potenziali, agli altri
condomini) (Cass. 5666/2000). Ad esempio un locale adibito a gabinetto
non può essere utilizzato da uno dei partecipanti alla comunione anche per
uso di decenza degli avventori di un bar aperto in un locale di sua proprietà
esclusiva, giacché tale uso, pur non essendo idoneo all’asservimento del
bene, modifica la naturale destinazione del gabinetto ad essere utilizzato
dai soli comproprietari e altera il rapporto di equilibrio tra i diritti concor­
renti dei singoli comunisti (Cass. 21902/2004). Diversamente l’apertura di
una porta sul muro di proprietà esclusiva, per mettere in comunicazione
l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condominio con un terrazzo
comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso più intenso del
bene comune (Cass. 2099/2005).
È altresì ammissibile l’uso indiretto della cosa comune quando non
sia possibile l’uso diretto della stessa per tutti i partecipanti al condominio,
proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di
turni temporali o frazionamento degli spazi;
Non bisogna tra l’altro trascurare il rapporto che intercorre fra la disci­
plina sulle distanze legali e la normativa relativa all’uso delle cose comuni.
Tanto è vero che le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamental­
mente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono
applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di
un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’appli­
cazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni, cioè nel
caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime
e delle une e delle altre sia possibile una applicazione complementare; nel
caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni,
con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze le­
gali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino
ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle
prime” (Cass. 17317/2007).
Antenna
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L’installazione di una antenna parabolica di notevoli dimensioni sulla
facciata di un condominio, essendo lesiva del decoro dell’edificio, è contraria ai canoni di utilizzo della cosa comune (Trib. Milano, 25 ottobre
2001).
È da ritenersi nulla la deliberazione del condominio, con la quale viene
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
disposta la rimozione dell’antenna parabolica, posta in opera da un con­
domino sul lastrico solare, perché contrastante con un complesso norma­
tivo che, ripetendo il proprio fondamento dal principio costituzionale di
libertà di informazione, facoltizza il singolo condomino alla installazione
dell’antenna medesima, con il solo limite che essa non arrechi pregiudizio
all’uso del bene da parte degli altri condomini, né produca un qualsiasi,
apprezzabile danno alle parti comuni (App. Perugia, 1 luglio 2004);
Il diritto del condomino di installare sul tetto un’antenna telefonica e i
relativi cablaggi (ove il complesso sia di modeste dimensioni e quindi non
lesivo del decoro architettonico, della stabilità e della destinazione d’uso
della parte comune), anche in assenza di previa autorizzazione dell’assem­
blea, discende dal principio generale dell’articolo 1102 c.c., in forza del
quale ciascun condomino può - a sue spese - realizzare le “mere modifica­
zioni” volte al maggiore e più razionale godimento della cosa comune, nel
rispetto dei limiti di legge (Trib. Verona, 4 dicembre 2000).
Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’appa­
recchi per la ricezione di programmi radio-televisivi, il diritto di collocare
nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli art. 1 e 3 L. 6
maggio 1940 n. 554 e 231 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, è subordinato
all’impossibilità per l’utente di servizi radio-televisivi di utilizzare spazi
propri, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai pro­
prietari. In un caso è stata cassata la sentenza impugnata che, nel ritenere
legittima l’installazione, da parte d’alcuni condomini, di un’antenna te­
levisiva su un terrazzo di proprietà esclusiva, aveva escluso che il diritto
fosse condizionato all’ipotesi dell’impossibilità di sistemarla altrove (Cass.
9393/2005).
L’abbassamento del soffitto del corridoio condominiale di accesso alle Soffitto
singole unità abitative, effettuato dal condomino nel tratto del corridoio in cor­
rispondenza della soffitta del proprio appartamento, peraltro anche con l’in­
cremento di carichi non accertati dalla competente autorità e senza il rispetto
della normativa antisismica - come nella specie - non costituisce uso della
cosa comune, ma acquisizione in maniera definitiva a vantaggio della pro­
prietà esclusiva del singolo condomino di parte della volumetria del corridoio
comune con contestuale sottrazione di tale parte comune alla funzione cui essa
è destinata a svolgere nel contesto dell’intero corridoio (Cass. 21246/2007).
Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può Tetto e lastrico
aprire su esso abbaini e finestre - non incompatibili con la sua destinazione solare
naturale - per dare aria e luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d’arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto,
né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo (Cass. 17099/2006).
89
le controversie condominiali
L’utilizzazione, da parte di uno dei condomini, del lastrico solare comune con la realizzazione di un vano e la installazione di un lavandino e
di un serbatoio, altera l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o
potenziali degli altri comproprietari e determina pregiudizievoli invadenze
nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro (Cass. 2099 del 2005).
La facoltà di ogni condomino di utilizzare le cose comuni non comprende quella di renderle sia pure temporaneamente inservibili, tra l’altro
in modo da cagionare danno alle altrui proprietà. All’ultimo piano del con­
dominio era stato interrotto un pluviale comune cui avevano fatto seguito
infiltrazioni di acqua ai danni del condomino sottostante. Essendo stato il
proprietario dell’ultimo piano condannato al risarcimento dei danni e dedu­
cendo lo stesso che nella specie si era realizzata una lecita utilizzazione del
bene comune, la Suprema Corte ha disatteso tale censura in applicazione
del principio sopra esposto (Cass. 9393/2005).
La giurisprudenza ha ritenuto illegittima la trasformazione del lastrico
solare dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, per­
ché in tal modo viene alterata la originaria destinazione della cosa comune,
che è sottratta alla possibilità di utilizzazione da parte degli altri condomini
(Cass. 972/2006).
L’eliminazione del tetto dell’edificio trasformato dal proprietario dell’ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo è illegittima perché, compor­
tando l’alterazione della destinazione della parte comune dell’immobile a
copertura dell’intero fabbricato, impedisce agli altri condomini di poterlo
utilizzare per quella finalità (Cass. 24414/2006).
Canna fumaria
90
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione, con opere murarie, al servizio
esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazio­
ne particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la
destinazione e che deve essere, pertanto, considerato del tutto legittimo
se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del
tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in
concreto, escludersi, che la predetta utilizzazione, menomi la funzione di
copertura e calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri compro­
prietari (Cass. 2774/2002). Il condomino che, senza previa autorizzazione
inserisce stabilmente e con opere murarie una canna fumaria di dimensioni
non limitate (cm. 35x35x143 di altezza massima, posta a 45 gradi) in corri­
spondenza dell’esiguo cordolo perimetrale del lastrico solare destinato a
stenditoio, pone in essere un’occupazione stabile e duratura, non consen­
tita dall’articolo 1102 c.c., sottraendo la relativa porzione di bene comune
all’uso e al godimento di condomini (Trib. Roma, 9 febbraio 2006).
L’appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche l’apertura di
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
piccoli fori nella parete) al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino - pertanto - può apportare
a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non
rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri
il decoro architettonico; fenomeno - quest’ultimo - che si verifica non già
quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova
opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello sta­
bile (Cass. 6341/2000). Tuttavia, non vi è dubbio che detta collocazione
comporti una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della
stessa, che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, purché
non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed
alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico (Trib.
Bari, 1 ottobre 2007); contra l’inserimento di una canna fumaria all’interno
del muro comune - costituente anche muro di delimitazione della proprietà
individuale - ad esclusivo servizio del proprio immobile non può consi­
derarsi utilizzazione in termini di mero “appoggio” della stessa al muro
comune, secondo quello che, a determinate condizioni, può costituire uso
consentito del bene comune ai sensi della norma in questione, stante il suo
peculiare carattere di invasività della proprietà altrui (qual è anche quella
non esclusiva bensì comune), anche sotto i meri profili delle immissioni di
calore e della limitazione rispetto ad altre possibili e diverse utilizzazioni
della cosa che ne derivano (Cass. 8852/2004).
Deve ritenersi lecita l’attività del singolo condomino comproprietario Muri perimetrali
del muro divisorio comune anche laddove non risulti essere limitata alla
mera realizzazione di opere finalizzate alla semplice conservazione/ripara­
zione della cosa comune, provvedendo di sua iniziativa alla sopraelevazio­
ne del muro originario, ed alla realizzazione di una cancellata, attraverso
un’apertura che consente l’accesso alla sua proprietà esclusiva, risolvendosi
in un maggior godimento consentito ai sensi dell’articolo 1102 c.c., senza
che ciò integri un’innovazione da approvarsi con le prescritte maggioranze
di cui all’art. 1120 (Trib. Bari 2 maggio 2007). Tuttavia è illegittima l’apertura di un varco nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, praticata
dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua pro­
prietà esclusiva situato all’interno del fabbricato con altro immobile di sua
proprietà estraneo al condominio, in quanto tale utilizzazione comporta
la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di
un bene comune e ne altera la destinazione, imponendo un peso sul muro
perimetrale che dà luogo ad una servitù, per la cui costituzione è necessario
il consenso scritto di tutti i condomini (Cass. 9036/2006)
L’apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione
91
le controversie condominiali
92
l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage
comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso (più intenso) del
bene comune, e non esige, per l’effetto, l’approvazione dell’assemblea dei
condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a più forte
ragione, alcuna costituzione di servitù (Cass. 11747/2003). Sempre in tal
senso si è ritenuta legittima l’apertura di una porta eseguita da un condo­
mino nel muro condominiale, dopo avere incensurabilmente accertato che
da essa non era derivata alcuna sostanziale modifica dell’entità materiale
del bene né il mutamento di destinazione dell’androne comune; inconte­
stata essendo ulteriormente rimasta l’insussistenza di alterazione del decoro
architettonico del bene medesimo in conseguenza di detta apertura (Cass.
4314/2002). L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in
un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale eseguiti
da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare
di sua proprietà esclusiva, di massima, non integrano abuso della cosa co­
mune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando
per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stes­
so, e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro
si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità
immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di
conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del
suo proprietario (Cass. 4155/1994).
Il condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte
o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se queste opere, di per sé non
incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro archi­
tettonico dell’edificio (Cass. 4996/1994).
L’apertura di una porta da parte di un condomino nel muro comune
dell’andito di ingresso dell’edificio condominiale, non altera l’entità mate­
riale del bene né modifica la sua destinazione, ma integra una consentita
modificazione della cosa comune a norma dell’art. 1102 c.c. Questo perché
costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della
cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene
operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della
sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini
diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece, la modifi­
cazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo
di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102
c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in
materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139
c.c. (Cass. 240/1997). Sulla base di siffatti principi la Cassazione ha ritenuto
legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune,
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
che per sua ordinaria funzione è destinato anche all’apertura di porte e di
finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della
parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale
autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall’assemblea può at­
tribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di
concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del
muro comune (Cass. 1554/1997; si veda altresì Cass. 4314/2002; Cass.
16097/2003; Cass. 1076/2005; Cass. 26796/2007).
La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza
esclusiva di un condomino, in un muro maestro dell’edificio condominiale,
rientra nell’uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui
esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risar­
cimento del danno, anche in forma specifica, ossia mediante sostituzioni
e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla proprietà, o
comproprietà, di altro condomino (Cass. 1162/1999); è consentita ai singoli
condomini o ai conduttori l’apposizione di un insegna luminosa sul muro
perimetrale comune, trattandosi di un’attività che non impedisce agli altri
compartecipi di fare egualmente uso del muro comune secondo la sua de­
stinazione (Cass. 1046/1998); l’apposizione di una vetrina o mostra sul det­
to muro da parte di un condomino in corrispondenza del proprio locale de­
stinato all’esercizio di attività commerciale non costituisca di per sé abuso
della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa
capo come jus possidendi a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei
limiti di cui all’art. 1102 c.c. (Cass. 11268/1998).
L’assicurare cavi elettrici ai muri comuni condominiali e l’istallare sui
muri stessi o su tetti o su terrazze pure comuni centraline elettroniche ed
antenne Tv configura una modalità di uso di detti beni, onde la controversia
nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di utilizzazione,
perché contraria ad una espressa esclusione posta dal regolamento condo­
miniale o da una deliberazione assembleare ovvero perché incompatibile
con l’esercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti alla facoltà
della stessa natura sul medesimo bene, concerne non il diritto di compro­
prietà o il diritto di esercitarne in generale le relative facoltà, ma soltanto
il limite qualitativo o quantitativo a seconda della contestazione sollevata
della particolare facoltà di utilizzare in tal guisa i beni comuni e rientra,
pertanto, nella competenza per materia del Giudice di pace ai sensi dell’art.
7 c.p.c. (Cass. 14527/2001).
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio
esclusivo dell’edificio stesso, di cui costituiscono parte organica per la sud­
detta funzione e destinazione, cosicché possono essere utilizzati dal singo­
lo condomino solo per il miglior godimento della parte del fabbricato di sua
proprietà esclusiva, ma non possono essere usati, senza il consenso di tutti
93
le controversie condominiali
i comproprietari, per l’utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno
dei condomini e costituente una unità distinta rispetto all’edificio comune,
in quanto ciò comporterebbe la costituzione di una servitù a carico del
suddetto edificio per la quale occorre il consenso di tutti i comproprietari;
pertanto costituisce uso indebito della cosa comune, alla stregua dei cri­
teri indicati nell’articolo 1102 c.c., l’apertura praticata dal condomino nel
muro perimetrale dell’edificio condominiale per mettere in collegamento
una unità immobiliare di sua esclusiva proprietà, esistente nell’edificio con­
dominiale, con altro immobile, sempre di sua proprietà, ricompreso in un
diverso stabile condominiale (Cass. 10324/2008).
Cortile comune
94
La funzione del cortile comune consiste non solo nel fornire aria e luce
agli immobili circostanti, ma anche nel consentire un’agevole ed indifferenziata praticabilità delle singole unità immobiliari. In ragione di tanto la Suprema
Corte ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che costituisse
un’innovazione vietata l’installazione da parte di alcuni condomini di serbatoi
idrici al servizio esclusivo dei rispettivi appartamenti, in considerazione delle
ridotte dimensioni dei manufatti, che non comportavano, inoltre, un’alterazio­
ne del decoro architettonico del fabbricato) (Cass. 13752/2006).
L’uso particolare che il comproprietario abbia fatto del cortile comune.
interrando nel sottosuolo di esso una centrale termica del proprio impianto di
riscaldamento non può considerarsi estraneo alla destinazione normale del­
l’area, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del ma­
nufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di fatto,
tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari,
né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile medesimo un analogo
uso particolare (Cass. 4386/2007; si vada anche Cass. 12262/2002). Tra gli usi
propri cui è destinato un cortile comune si deve annoverare la possibilità, per
i partecipanti alla comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con
mezzi meccanici al fine di esercitarvi le attività - anche diverse rispetto a quelle
compiute in passato - che non siano vietate dal regolamento condominiale,
poiché tale uso non può ritenersi condizionato né dalla natura dell’attività legit­
timamente svolta né dall’eventuale, più limitata forma di godimento del cortile
comune praticata nel passato (Cass. 5848/2006).
La costruzione di balconi e pensili sul cortile comune è consentita al
singolo condomino, purché non risulti alterata la destinazione del bene
comune e non sia impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto (Cass. 12569/2002).
Nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi
dalla sua proprietà esclusiva, il condomino può apportare a tale recinzione,
pur essa condominiale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti
alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri
condomini e, quindi, procedere anche all’apertura di un varco di accesso
dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non
impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile, come
in precedenza (Cass. 42/2000).
L’azione con cui i comproprietari di un cortile - utilizzato dalla conve­
nuta come parcheggio - lamentino la violazione della destinazione dello
spazio comune, che - secondo la norma del regolamento condominiale di
natura contrattuale - debba essere lasciato libero e sgombro, attesa la natura
di vincolo di natura reale - assimilabile a un onere reale o a una servitù
reciproca - e non semplicemente obbligatoria della destinazione impressa
dalla norma regolamentare, è imprescrittibile, perché diretta alla tutela del
diritto di (com)proprietà (Cass. 2106/2004).
In assenza di limiti stabiliti dall’acquirente nell’atto di acquisto o dal Posto auto
regolamento condominiale, l’utilizzo del cortile condominiale per la sosta o
il parcheggio dei veicoli non contrasta con l’articolo 1102 c.c. costituendo
detto cortile un’utilità strumentale, inscindibile dal bene principale e potendo
presentare una particolare destinazione, ivi compresa quella di parcheggio
(Trib. Monza, 3 gennaio 2006); tuttavia è illegittima la delibera condominiale
adottata a maggioranza, che, nello stabilire il criterio di uso del garage comune
condominiale, attribuisca ai condomini la scelta del posto macchina secondo
il criterio del valore degli appartamenti, in quanto la quota di proprietà di cui
all’art. 1118 c.c., quale misura del diritto di ogni condomino, rileva relativa­
mente ai pesi e ai vantaggi della comunione, ma non in ordine al godimento
che deve essere uguale per tutti, come prevede l’articolo 1102 c.c. Pertanto,
ove i posti macchina non siano equivalenti per comodità d’uso, il criterio da
seguire, nel disaccordo delle parti, è quello indicato da quest’ultima norma, la
quale impedisce che alcuni proprietari facciano un uso della cosa comune, dal
punto di vista qualitativo, diverso rispetto agli altri (Cass. 26226/2006).
Per il rinvio contenuto nell’art. 1139 c.c. l’art. 1102 c.c. - secondo cui
ciascun comunista può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la
destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto - si applica anche in tema di condominio negli edifi­
ci, con l’effetto che, nello stabilire l’uso del parcheggio condominiale, deve
essere assicurato a tutti i condomini il pari uso, sia in senso quantitativo,
che qualitativo, indipendentemente dall’ampiezza della proprietà di cia­
scuno (Cass. 26226/2006).
Per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c. lo spazio sotto- Suolo e sottosuolo
stante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve
95
le controversie condominiali
considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destina­
zione. Ne deriva che il condomino non può, senza il consenso degli altri,
procedere ad escavazioni in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi
locali ed ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l’assogget­
tamento di un bene comune a vantaggio del singolo (Cass. 8119/2004).
✒ È lesivo del diritto di comproprietà l’opera di escavazione di cm. 40, eseguita dalla
proprietaria del piano terreno, in profondità del sottosuolo, per ingrandire il suo locale
(Cass. 8119/2004).
È violato il disposto dell’articolo 1102 c.c. quando la costruzione nel sottosuolo del
fabbricato condominiale di un vano destinato esclusivamente al soddisfacimento di esigenze
personali e familiari di un condomino, impedisce agli altri condomini di fare del sottosuolo
e del relativo sedime un pari uso, soprattutto in considerazione della vastità della superficie
interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo incompatibile con la natura
condominiale del bene utilizzato (Cass. 6921/2001).
Il comproprietario di un cortile può legittimamente scavare il sottosuolo
per installarvi tubi onde allacciare un bene di sua proprietà esclusiva agli
impianti idrico-fognario centrali perché da un lato non perciò ne viene al­
terata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unità immobiliari degli
altri condomini; dall’altro rientra nella funzione sussidiaria del sottosuolo
del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture (Cass. 9785/1997).
Le modifiche apportate dal condominio al vano terraneo in sua proprie­
tà esclusiva, sotto forma di consolidamento e rafforzamento del piano di
calpestio con massicciata più profonda, e perfino con creazione di camere
isolanti, in relazione alla struttura, funzione e destinazione di siffatto vano,
sono pienamente legittime, salvo che, determinando un abbassamento
del livello di pavimentazione (per l’utilizzazione della maggior cubatura
conseguente), diano luogo ad invasione del suolo comune. Ai fini della
relativa indagine, occorre accertare in concreto se tale suolo condominiale
si identifichi con il piano di posa delle fondazioni dell’edificio, ovvero il
livello del piano comune sia più elevato rispetto a tale piano di posa per la
struttura delle medesime, comportante la configurazione dello spessore del
piano di calpestio come manufatto distinto dalle fondazioni e di proprietà
(esclusiva) dei condomini dei piani terranei (Cass. 2206/1984).
Uso indiretto
96
L’uso indiretto della cosa comune (ad esempio mediante locazione),
incidendo sull’estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede
sull’intero bene indiviso, può essere disposto dal giudice o deliberato dall’assemblea dei condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o ragionevole l’uso promiscuo, sempreché la cosa comune non con­
senta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L’indivisibilità
del godimento costituisce il presupposto per l’insorgenza del potere assem­
bleare circa l’uso indiretto, onde la deliberazione che l’adotta senza che
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
ne ricorrano le condizioni è nulla, quale che sia la maggioranza, salvo che
ricorra l’unanimità (Cass. 8528/1994).
Quando non sia possibile l’uso diretto della cosa comune per tutti i
partecipanti al condominio, proporzionalmente alla loro quota, promi­
scuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli
spazi, i condomini possono deliberare l’uso indiretto della cosa comune, a
maggioranza se è un atto di ordinaria amministrazione, come nel caso della
locazione (Cass. 4131/2001).
Nel caso di installazione di una tenda e delle relative intelaiature me­ Tende e targhe
talliche su di uno spazio di proprietà comune, da parte del condomino del
piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante, per la
sussistenza della violazione dell’art. 1102 c.c. con riguardo al mutamento
della struttura e della funzione del detto bene comune ed in particolare al
diritto di veduta in “appiombo” dei condomini dei piani superiori, deve
accertarsi sia l’”utilitas” (specifica o socialmente rilevante) derivante da
quel diritto che in concreto la sua menomazione, tenendo conto in ispecie
del distacco (in altezza) della tenda dalle vedute dei piani superiori, delle
caratteristiche dei luoghi e dell’uso normale, nonché, in relazione alla spe­
cifica destinazione dello spazio comune, delle consuetudini e del normale
comportamento degli esercenti di attività consimili (Cass. 11392/1991).
L’apposizione di targhe e tende nel prospetto dell’edificio condominiale
costituisce espressione del diritto di comproprietà dei condomini su detta parte
comune, corrispondendo alla normale destinazione di questa; ne consegue che
l’esercizio di tale facoltà non può essere assoggettato a divieto o subordinato al
consenso dell’amministratore condominiale (Cass. 12298/2003).
Non può ritenersi consentita l’installazione, da parte di un condomino, Viottoli
per suo esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello in un certo punto di
un viottolo comune, destinato fin dalla costituzione del condominio al pas­
saggio dei condomini, per l’accesso, tra l’altro, a vani di proprietà esclusiva
dei medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze
domestiche di ciascuno di essi), in quanto detta installazione costituisce anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi del
cancello - una modificazione delle modalità di uso e di godimento della
cosa comune, che interferisce sul “pari uso” della stessa spettante agli altri
condomini (Cass. 12227/1995).
Rientra tra le facoltà del comproprietario la installazione di un cancello Cancello
sul passaggio comune, con consegna delle chiavi agli altri comproprietari,
in quanto essa non impedisce l’altrui pari uso, e, pertanto, configura un atto
compiuto nell’esercizio del diritto di apportare alla cosa comune le mo­
97
le controversie condominiali
difiche necessarie per il suo miglioramento, e non può considerarsi come
spoglio, né come turbativa o molestia del compossesso degli altri compro­
prietari (Cass. 8394/2000).
Decoro
Il divieto di alterare il decoro architettonico, dettato espressamente per
architettonico le innovazioni delle parti comuni dell’edificio in condominio, si estende,
in via analogica, alle modificazioni consentite al condomino ex art. 1102
comma 1 c.c. in ragione dell’identità di ratio legis (nella specie, installazione
di condizionatore sulla parete esterna del fabbricato) (Cass. 12343/2003).
Non viola il divieto di alterare il decoro architettonico dell’immobile con­
dominiale il condomino che installa sul balcone dell’appartamento di sua
proprietà l’unità esterna di un impianto di raffreddamento, ancorché l’in­
stallazione costituisca una modifica dell’originario profilo dello stabile, se
le linee estetiche del fabbricato risultano già alterate da pregresse e consen­
tite superfetazioni di vario genere, realizzate da altri condomini nel corso
del tempo (Trib. Napoli 12 giugno 2004).
Ringhiera
L’installazione di una ringhiera (o parapetto) su di un lastrico solare che
o parapetto permetta di affacciarsi su spazi condominiali (nella specie, cortili comuni
destinati a dare aria e luce agli appartamenti sottostanti che vi prospettano)
costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per
cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi
altrui (art. 905 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi
delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz’altro limite che
l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro
architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini
(Cass. 13261/2004).
Nel caso in cui il condomino, pur autorizzato dall’assemblea condominia­
Pianerottoli
e ballatoi le a realizzare un solaio nel cavedio del ballatoio e a proteggere lo stesso con
una vetrata, abbia invece realizzato, sul ballatoio medesimo, oltre al solaio,
un manufatto in pannelli di alluminio e cartongesso, sottraendo aria e luce
alla restante parte del ballatoio, in contrasto con la destinazione funzionale
del cavedio, egli, nell’appropriarsi di tale area, accorpandola al proprio appar­
tamento, incorre violazione dell’art. 1102 c.c., che non consente di sottrarre
definitivamente la cosa comune alle possibilità di utilizzazione collettiva, salvo
il consenso unanime dei condomini (Cass. 23612/2006).
Profili processuali
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Sotto il profilo meramente processuale, la giurisprudenza ci ricorda
che quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalità di uso
della cosa comune, ancorché riguardanti una modificazione che, non incidendo sull’estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma
Quote, uso della cosa comune e diritti dei partecipanti sulle cose comuni
secondo, c.c.) né eccedendo l’ordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.),
tende al suo migliore godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in
disaccordo, non v’è litisconsorzio necessario di tutti gli altri partecipanti
alla comunione (Cass. 3435/2003).
Inoltre in un procedimento iniziato e proseguito in appello da alcuni
condomini che si assumono lesi contro gli autori degli abusi, allo scopo
di farne accertare la sussistenza ed ottenerne la eliminazione, non sussi­
ste l’obbligo di integrare il contraddittorio nel caso in cui solo alcuni dei
predetti convenuti, rimasti soccombenti in grado di appello, propongano
ricorso per Cassazione poiché, in ragione della richiamata autonomia dei
rapporti, non si versa in una ipotesi di litisconsorzio necessario (dal lato
passivo) ed eventuali decisioni divergenti (positive per alcuni e negative
per altri) adottate in procedimenti separati o in gradi diversi dello stesso
procedimento, non sarebbero inutiliter data e né comporterebbero contra­
sto tra giudicati, stanti i limiti soggettivi della loro efficacia stabiliti dall’art.
2909 c.c. (Cass. 2943/2004). Proprio in considerazione dei limiti imposti
dall’art. 1102 c.c. al condomino, che nell’uso della cosa comune non deve
alterarne la destinazione ed impedire agli altri comunisti di farne parimenti
uso secondo il loro diritto, l’alterazione o la modificazione della destinazio­
ne del bene comune si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza del
nuovo uso, giacché l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte
del condominio è consentita, quando la stessa non alteri l’equilibrio tra le
concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e
non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti
di costoro; tale accertamento è riservato al giudice di merito e, come tale,
non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 1072/2005).
Con riguardo alle domande di risoluzione del contratto di locazione e
di condanna del conduttore al pagamento dei canoni, deve essere negata
la legittimazione (attiva) del comproprietario del bene locato pro parte di­
midia, ove risulti l’espressa volontà contraria degli altri comproprietari (e
sempre che il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza
economica, non venga composto in sede giudiziale, a norma dell’art. 1105
c.c.), considerato che, in detta situazione, resta superata la presunzione che
il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, e, quindi, cade il
presupposto per il riconoscimento della sua abilitazione a compiere atti di
utile gestione rientranti nell’ordinaria amministrazione della cosa comune
(Cass. 480/2009).
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