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LE RISORSE AMBIENTALI DEL PIANETA L`economia del cow boy

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LE RISORSE AMBIENTALI DEL PIANETA L`economia del cow boy
LE RISORSE AMBIENTALI DEL PIANETA
L'economia del cow boy
Le economie, specie in quei paesi del terzo mondo ancora ricchi di territori non
abitati, tendono a comportarsi come se le risorse naturali fossero illimitate e perciò
prive di valore economico. Questo comportamento è stato paragonato talvolta a
quello di un cow boy, che vive con la sensazione di avere di fronte a sé una frontiera
infinita e risorse e territori illimitati.
Sono state avanzate numerose proposte per una riforma della contabilità nazionale
in modo che questa possa tenere conto fra l'altro anche dei danni ambientali causati
dallo sviluppo. Le prime applicazioni, ancora sperimentali, di questo tipo di contabilità
hanno dimostrato che in molti casi lo sviluppo dei paesi emergenti del terzo mondo
risulta, se si tiene conto del valore delle ricchezze naturali distrutte, assai meno
ottimistico di quanto indicato dalle statistiche ufficiali.
I DANNI AMBIENTALI NEI PAESI NON SVILUPPATI. L’eccessivo ed errato
sfruttamento del suolo in molti paesi poveri fa sì che ogni anno una superficie fertile
pari al doppio del Belgio si trasformi in deserto.
Nel 2020 i paesi del terzo mondo produrranno circa i due quinti dell'inquinamento
atmosferico del pianeta. Impegnati nel difficile tentativo di uscire dal sottosviluppo,
questi paesi accettano di sacrificare buona parte del loro patrimonio ambientale in
cambio di un tasso di crescita dell'economia un po' più veloce.
I paesi industrializzati dove l'opinione pubblica è maggiormente sensibile al valore
dell'ambiente, non si trovano nella posizione migliore per criticare questo
comportamento. In una riunione internazionale il delegato della Malesia rispose così
al delegato degli Stati Uniti che lo accusava di scarsa sensibilità ambientale: «Non
accetteremo lezioni su cosa fare delle nostre foreste da coloro che hanno già distrutto le proprie».
I DANNI AMBIENTALI NEL MONDO INDUSTRIALIZZATO. Anche i paesi
industrializzati contribuiscono a deteriorare le risorse ambientali del paese.
Ogni anno vengono immesse in atmosfera tonnellate di sostanze che una volta
raggiunti gli strati alti dell'atmosfera, danneggiano la fascia di ozono, ossia quella
coltre protettiva naturale che neutralizza gli effetti dei raggi ultravioletti provenienti dal
Sole. Il risultato di quello che viene definito il "buco nell’ozono" potrebbe essere un
aumento delle malattie della pelle nelle zone tropicali del pianeta, le più esposte a
questo tipo di rischio.
Inoltre le diverse sostanze inquinanti provenienti dai riscaldamenti e dai mezzi di
trasporto causano quello che viene definito "effetto serra": l'atmosfera si comporta
come il vetro di una serra, ossia permette facilmente ai raggi solari di entrare, ma non
di uscire. Il risultato è un sovrariscaldamento del pianeta che può avere conseguenze
devastanti in quanto altera il clima e potrebbe, secondo molti studiosi, rendere più
violente sia le inondazioni sia le siccità.
L'economia dell'astronauta
Un tempo gli economisti tendevano a pensare al ciclo economico come a un processo aperto, cioè con un inizio e una fine ben distinti. All'inizio vi era il prelievo di
risorse dall’ambiente (le materie prime, l’energia); queste venivano poi trasformate
con l'aggiunta di lavoro umano e di capitale e davano luogo a un prodotto pronto per
il consumo o per nuovi investimenti.
Sono stati alcuni economisti
statunitensi a proporre, all'inizio
degli anni Sessanta, una nuova
visione del ciclo produttivo, basato
sul concetto che in un sistema
chiuso, come è la Terra, nulla si
crea e nulla si distrugge. L'uomo
trasforma
semplicemente
le
risorse a sua disposizione (il
legno, il petrolio, il ferro) e tutto
ciò che non viene riciclato finirà
prima
o
poi
per
tornare
all'ambiente sotto forma di rifiuto.
risorse
lavoro
AMBIENTE
rifiuti
trasformazione
Consumo finale
Gli stessi economisti calcolarono,
a sostegno delle loro tesi, che alla
fine degli anni Sessanta nell'economia statunitense il peso totale delle materie prime
utilizzate nei vari processi produttivi equivaleva al peso dei rifiuti prodotti.
Con un'espressione pittoresca quanto efficace, gli studiosi hanno definito l'economia
del passato, quella che considerava inesauribili le risorse naturali, come l'economia
del cow boy. A essa hanno contrapposto un'economia basata su un ciclo chiuso,
dove tutto ciò che viene prelevato dall'ambiente (per esempio le materie prime) prima
o poi vi ritorna, per esempio sotto forma di rifiuti.
Quest'ultima è stata definita economia dell'astronauta proprio per sottolineare il
carattere finito del pianeta considerato come una navicella spaziale nella quale
l’uomo dovrà trovare il proprio posto, un sistema in cui non esistono serbatoi
inesauribili e non sono possibili approvvigionamenti dall’esterno.
Le norme ambientali
Gli esseri umani naturalmente non sono così pazzi da non rendersi conto dei danni
che producono e hanno provato fin dall’antichità a porvi rimedio. Uno degli strumenti
più usati finora nella tutela del patrimonio naturale è stato quello di proibire o limitare
le attività con elevato impatto ambientale, ossia che causano gravi danni
all’ambiente. Leggi di questo tipo sono sempre esistite e probabilmente nella società
preindustriale, dove gli abitanti delle città erano meno numerosi e dove le attività
erano facilmente controllabili, erano anche efficaci. È stato calcolato che negli Stati
Uniti le sanzioni per attività contro l’ambiente equivalgono ad un decimillesimo del
danno prodotto.
D’altra parte se si proibissero tutte le attività che creano un danno ambientale si
rischierebbe di paralizzare l’intera economia. Tutto infatti, dalla produzione di
energia, alle costruzioni edili, dal trasporto di uomini e cose alla produzione di merci,
è causa di inquinamento.
Che fare allora?
LE TECNOLOGIE PULITE. Lo sviluppo della tecnologia può aiutare l'ambiente. Tutte
le attività economiche producono inquinamento, tuttavia esistono tecniche di
produzione che impiegano minori quantità di materie prime che causano un minore
impatto ambientale per unità di prodotto finito. Per esempio le cartiere, industrie a
elevato impatto ambientale, usavano un tempo 180 metri cubi
d'acqua per tonnellata di carta prodotta. Quelle costruite negli
anni Settanta ne usavano solo 70 metri cubi per tonnellata e
quelle di ultima generazione arrivano a un consumo di 20-30
metri cubi d'acqua per tonnellata. In Giappone a metà degli
anni Ottanta il consumo di materie prime nei processi
industriali era pari al 60% di quello di dieci anni prima. In
generale è stato calcolato che oggi i paesi sviluppati sono in
grado di ottenere un certo aumento di reddito con un impatto
ambientale pari a un terzo circa di quello che sarebbe stato
necessario nel 1970.
Alcuni economisti hanno parlato di sganciamento fra crescita dell'economia e
pressione sull'ambiente, ma altri contestano questa tesi e sostengono che molte
imprese hanno semplicemente trasferito le fasi di lavorazione più inquinanti verso i
paesi del terzo mondo, dove esistono legislazioni meno severe e regimi meno
democratici.
LO SVILUPPO SOSTENIBILE. Nel 1987 le Nazioni unite incaricarono un gruppo di
esperti di varie discipline e provenienti da diversi paesi di dare una risposta alla
seguente domanda: è possibile assicurare lo sviluppo economico senza
compromettere in modo irreparabile l'ambiente naturale?
Gli studiosi, guidati dal primo ministro norvegese, signora Brundtland, indicarono una
via che passò alla storia con la definizione di "sviluppo sostenibile". In altre parole si
trattava, secondo gli esperti, di organizzare le attività economiche in modo che
potessero far fronte ai bisogni e alle domande delle generazioni attuali senza
compromettere la possibilità di fare altrettanto a quelle future.
Ma che significa in pratica?
Ecco una storia che può
aiutarci a capirlo. Alla fine
dell'Ottocento le foreste
svedesi avevano subito
gravi danni a seguito della
crescita delle esportazioni
di legname e della nascita
dell'industria della cellulosa.
Si sviluppò nel paese un
intenso
dibattito:
molti
svedesi volevano proibire il
taglio delle piante per
conservare le foreste e
molti altri volevano tagliarle
per favorire l'industria del
legno e l'occupazione e il reddito che poteva produrre. Nel 1903 una legge obbligò i
proprietari dei boschi a sostituire ogni albero abbattuto con una nuova pianta. Molti
obiettarono che un provvedimento del genere avrebbe potuto uccidere sul nascere
l'industria del legno, invece si trattava di uno dei primi esempi conosciuti di sviluppo
sostenibile. Oggi in un pianeta che perde ogni anno 17 milioni di ettari di superficie
boschiva, la Svezia possiede foreste grandi il doppio rispetto a un secolo fa e una
delle più forti industrie del legno del mondo.
Le risposte dell'economia
Se l'inquinamento è il sintomo di una malattia più generale che potremmo definire
uso irrazionale delle risorse, il depuratore è una cura sintomatica, cioè che cura solo
gli aspetti esteriori e visibili ma non elimina la causa, ossia il fatto che beni di enorme
importanza vengono distrutti perché privi di prezzo.
Dire che l'ambiente ha un prezzo può sembrare poco rispettoso del valore dei beni
naturali, tuttavia in un'economia di mercato è proprio il fatto di non avere un prezzo
che permette lo spreco di una risorsa. Per questo motivo gli economisti hanno
pensato di scatenare a difesa dell'ambiente uno dei meccanismi più potenti che
operano nella nostra società di mercato.
Le principali vie da percorrere sono due: le tasse ambientali e i buoni di inquinamento
negoziabili.
LE TASSE AMBIENTALI. Gli economisti hanno proposto di tassare le emissioni
dannose per l'ambiente in modo da spingere i produttori a limitare l'inquinamento,
lasciandoli però liberi di inquinare quanto vogliono e senza preoccuparsi della via limitazione della produzione o adozione di tecnologie pulite - scelta da questi per
raggiungere lo scopo.
Una politica di questo tipo è stata adottata fin dagli anni Trenta nel bacino carbonifero
della Ruhr, in Germania. Oggi in questa zona, una delle maggiori concentrazioni
industriali del mondo, i corsi d’acqua sono abbastanza puliti da potervi praticare la
pesca e altre attività ricreative, mentre le imprese della regione, per sottrarsi al
pagamento delle tasse ambientali, riciclano oltre il 70% degli acidi industriali anziché
scaricarli nei fiumi.
In Italia pochi anni fa una tassa di modestissime proporzioni sui sacchetti di plastica
ha ridotto il loro consumo del 30% e senza nessuna spesa per lo stato. Quanto
sarebbe costato ottenere lo stesso risultato con metodi tradizionali?
I BUONI DI INQUINAMENTO. Sul finire degli anni Sessanta un economista
statunitense ideò un sistema ingegnoso per dare un prezzo all'ambiente. In sostanza
si tratta di decidere quanto inquinamento una certa regione può accettare senza che
si producano danni irreversibili, per esempio 100 tonnellate di carbonio in un anno. In
un secondo tempo si mettono in vendita, attraverso un ufficio governativo, un certo
numero di buoni, ognuno dei quali permette di scaricare nei fiumi o nell’atmosfera
una certa quantità di sostanze inquinanti. La quantità dei buoni messi in vendita deve
essere tale che la loro somma sia uguale alla quantità di inquinamento ritenuto
accettabile dal governo e dai suoi esperti, per esempio 100.000 buoni da 1 chilo di
carbonio ciascuno. I buoni vengono inizialmente posti in vendita a un prezzo
qualsiasi o distribuiti alle imprese sulla base dell'inquinamento dell'anno precedente.
In seguito ogni impresa è libera di vendere i propri buoni o di acquistare quelli degli
altri sul mercato.
Naturalmente le imprese più efficienti e moderne potrebbero decidere che è meno
costoso adottare tecnologie avanzate e a scarso impatto ambientale e quindi
vendere i propri buoni. Le imprese più arretrate invece sarebbero costrette ad
acquistare i buoni. Se le imprese efficienti sono poche anche i buoni in vendita
saranno pochi e il loro prezzo sarà astronomico. In questo modo le imprese arretrate
saranno spinte a modernizzarsi per diminuire i costi di acquisto dei buoni. Se tutti
rispettano le regole il governo è sicuro che l'inquinamento totale sarà pari alla somma
dei buoni venduti e quindi compatibile con l'ambiente e la distribuzione dei buoni
avverrà in modo efficiente e a costi modesti sia per le imprese sia per lo stato.
Naturalmente chiunque può entrare in questo mercato: se un'organizzazione
ambientalista vuole che si emettano meno di 100 tonnellate di carbonio può
acquistare un certo numero di buoni dalle imprese che li vendono e poi distruggerli.
Un sistema del genere viene usato con successo dal 1974 negli Stati Uniti, il più
grande "produttore" mondiale di carbonio, per le imprese che producono energia
termoelettrica.
In Islanda e Nuova Zelanda si è fatto uso di un meccanismo simile per regolamentare
la pesca. Il governo, assistito da esperti di ambiente, ha deciso Ia quantità massima
di pesce prelevabile in un anno e poi ha messo in vendita i diritti di pesca alle
imprese. In questo modo la quantità di pescato prevista viene ottenuta con il minimo
costo per la collettività.
Ambiente e sottosviluppo
Molti dei fenomeni che minacciano l’ambiente hanno una dimensione mondiale e non
possono essere affrontati efficacemente all’interno di un solo paese.
Attualmente un quarto della popolazione mondiale, quella più ricca, produce il 70%
dell'inquinamento che è alla base dell'effetto serra. Europa e Nordamerica producono
l’87% delle emissioni totali di anidride solforosa e rilasciano, con il Giappone, oltre
l’80% dei gas che causano il buco nell'ozono. Periodicamente i paesi industrializzati
trovano un accordo per ridurre le produzioni più dannose per l'ambiente, ma le
decisioni sono faticose e spesso arrivano in ritardo. Inoltre esiste un problema
emergente e ancora poco considerato. Se il sud del mondo si sviluppasse a ritmi
elevati la situazione mondiale dell'inquinamento potrebbe radicalmente peggiorare,
anche a causa delle tecnologie più arretrate utilizzare fuori dai paesi industrializzati.
Molti paesi arretrati sono da tempo impegnati in una affannosa rincorsa a livelli di
benessere che l'Occidente ha raggiunto da molti anni. Molti di essi sono
drammaticamente lontani dal traguardo e spesso l'uso spregiudicato delle risorse
ambientali costituisce l'unica leva per accelerare una crescita altrimenti troppo lenta,
specie in rapporto alla velocità dell’incremento demografico. Certo non è facile per i
paesi ricchi chiedere a quelli più poveri di cambiare proprio adesso le regole del
gioco e di limitare lo sviluppo per salvare l'ambiente.
Una possibile via per ridurre il pericolo rappresentato dalla crescita dei paesi poveri
consiste nel trasferimento di tecnologie a minore impatto ambientale e negli aiuti
economici. Solo se i tre quarti dell’umanità finora esclusi dallo sviluppo avranno la
possibilità di aumentare il proprio livello di vita senza compromettere le risorse
naturali del pianeta, i consigli degli economisti per utilizzare in modo più razionale le
risorse ambientali si riveleranno efficaci.
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