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consapevoli - Fraternità di Romena
CONSAPEVOLI Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno X n° 4/2006 3 Primapagina Attraversare la realtà 6 4 La sinfonia del creato e le sue note I colori dei segreti 8 10 È una questione di mani L’esigenza dell’altro 12 14 Aprirsi alla coscienza universale SOMMARIO La via dell’incontro 18 20 Perché non ci ascoltate? Il pane è per tutti 22 È Dio e mi assomiglia 24 Graffiti 27 23 Avvisi 26 Le veglie trimestrale Anno X - Numero 4 - Dicembre 2006 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel./fax 0575/582060 www.romena.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Simone Pieri - Alessandro Bartolini - Massimo Schiavo Stampa: Arti Grafiche Cianferoni - Stia (Ar) FOTO: Massimo Schiavo, Alessandro Ferrini, Eliseo Pieri Copertina: Massimo Schiavo Hanno collaborato: Luigi Verdi, Pierluigi Ricci, Stefania Ermini, Maria Teresa Abignente, Wolfgang Fasser, Francesca Abignente. Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 PRIMAPAGINA “Sai qual è il vantaggio di noi disabili?” Elda si protende dalla carrozzina, allunga la testa quasi come se le parole le dovesse agguantare nell’aria. Prosegue. “Immagina che io voglia invitarti a prendere un caffè. Innanzitutto devo trovare qualcuno disposto ad accompagnarmi. Poi occorre un bar senza troppi scalini e con la porta d’ingresso sufficientemente grande. Alla fine proverò a pagare, ma sarà difficile perché quasi nessun bancone è agibile, per noi”. E i vantaggi? Il mio pensiero galleggia un secondo, il tempo che le serve per riprendere fiato: “Ma lo sai qual è la vera differenza tra il mio e il tuo caffè? Che io lo voglio davvero. L’ho scelto, mi sono dovuta impegnare per arrivare a prenderlo. E tu? Forse non ti sei neanche accorto di averlo bevuto”. Ride Elda, e quel sorriso quasi beffardo è il recinto in cui va a chiudere il suo ragionamento: “La disabilità non ti permette di coltivare desideri superficiali, né di fare le cose a caso. Perché ogni cosa che fai costa impegno, fatica, coinvolge altre persone. Allora devi volerla, con tutta te stessa. E questa consapevolezza ti permette di essere costantemente a contatto con i tuoi veri bisogni”. Sei consapevole dell’ultimo caffè che hai preso? Ci provoca la mia amica. E non è una questione di gusto: è proprio un fatto di presenza, fisica, psichica, mentale. C’eri o non c’eri davanti a quella tazzina? Ti sei immerso in quel piccolo piacere, o te ne sei semplicemente liberato, come di mille altre cose che, durante la giornata, hai fatto senza farci caso. Come se non fossero la tua vita. La consapevolezza misura quanto, nelle nostre azioni, è davvero espressione dei nostri bisogni più profondi. Perché, ci suggerisce Elda, ai fini del nostro star bene non conta tanto la quantità di cose che riusciamo a fare, quanto il dar voce a ciò che davvero ci sta a cuore. Quando avevo 12 anni detti per la prima volta un nome alla curiosità che avevo sul mondo e alla voglia di raccontarlo: volevo fare il giornalista. Quel desiderio era così profondo e cristallino che per molti anni mi ha spinto oltre ogni difficoltà, alimentando un entusiasmo che sembrava inesauribile. Poi c’è stata una fase in cui è subentrato uno smarrimento: quella che era diventata la mia professione mi corrispondeva ancora? Perché mi sentivo appesantito e, talvolta, disilluso? Ora posso dire che avevo perso il contatto con i miei bisogni più veri. Che erano gli stessi, ma si erano evoluti, mi chiamavano a una qualità diversa. Romena era al centro di questa partita. Ma che fatica capire, ogni volta, aggrovigliati come siamo in un viluppo di bisogni e desideri: il posto sicuro, il successo, il guadagno, il ruolo sociale… Tutto conta, nulla ci deve mancare, solo che per muovere contemporaneamente tutti i fili della nostra vita, finiamo per smarrire quello che la sostiene davvero. Pochi giorni fa parlavo con un’amica che ha quattro figli, di cui due piccolissimi. Mi diceva di essere molto contenta della sua vita, anche se non ha praticamente più tempo per sé. “Ho capito che non c’è niente di più bello che veder crescere un figlio” mi ha detto. “Ogni giorno lucido questa parte della mia vita e sento che da essa traggo le energie più positive. E dando valore a questo aspetto mi accorgo che tutte le cose che non riesco più a fare sono meno importanti, meno vitali”. Il cammino della consapevolezza parte da qui. Dal riconoscimento di ciò ‘di cui non possiamo fare a meno’. Comincia con un’azione di lucidatura: sotto uno strato di priorità apparenti, dobbiamo far brillare ciò che davvero esprime la nostra autenticità. Perché quella è la scintilla che accende tutta la nostra vita. Massimo Orlandi ATTRAVERSARE LA REALTÀ di Luigi Verdi L’uomo di oggi cerca di stare al passo del Passare dalla consapevolezza del limite alla tempo che corre, mentre le foglie che cadono consapevolezza di sé è un processo lento, che davanti alla Pieve hanno tempi diversi e per- dura una vita: non si può essere più consapesonali. voli senza essere più lenti. Uno dei tratti più evidenti della vita quotidiaCome questa giornata di autunno il presente na contemporanea è la velocità, siamo più veè stratificato, complesso e i suoi confini non loci di quanto non fossero tutti coloro che ci sono chiari. Non credo ci sia modo migliore precedettero al mondo. di conoscere questo presente che incontrarsi La velocità non ci piace o forse sì, sta di fatto con esso. Se voglio conoscere il bosco devo che ci porta ad una sterilizzazione del conteattraversarlo, se voglio conoscere l’altro e la nuto emotivo e a una ridotta capacità di rifletrealtà devo attraversarla attentamente. Un dettere su motivo e scopo del vivere. to ebraico dice che “Dio sta nei dettagli”. Così oggi viviamo nel mondo dei cocci, delOccorre fermarsi e ascoltarsi, ricucire il pasle eccedenze e dei modelli sempre superati: i sato, come l’identità, interpretare gli avvenirapporti postmodermenti e poterli rini sono frammentaconoscere. Nasciamo, per così dire, ri, discontinui, riLa consapevolezza provvisoriamente da qualche parte, stretti e superficiali si raggiunge quansoltanto a poco a poco nel contatto. do la nostra umaniandiamo componendo in noi Anche l’immagine tà è sobria e lucida, di sé si frantuma il luogo della nostra origine, un vivere desto e in una raccolta di per nascervi dopo, proteso verso “alistantanee; invece e ogni giorno più definitivamente tro” accettando sedi costruire la prorenamente l’oggi. Rainer Maria Rilke pria personalità con Dobbiamo essere gradualità e pazienconsapevoli che le za, come fosse “una”, si preferisce “ricominstorie che viviamo sono prima di tutto luoghi ciare sempre dall’inizio”. e i luoghi abitati richiedono il tempo della paLa felicità oggi è una fuga dall’insoddisfazio- zienza e della tenerezza. ne, le città si trasformano più rapidamente del Il tempo dell’amore per la verità. cuore dell’uomo. Dobbiamo salvare i nostri giorni da ansie e Oggi chi entra in crisi fatica a crescere per- preoccupazioni, da pigrizia e agitazione viché la crisi personale si scontra con quella vendo il più possibile totalmente fedeli al della società e della cultura, vi è in noi una passato, totalmente essenziali nel presente, coscienza ferita che vive sotto il segno del- totalmente aperti al futuro. l’emergenza. A cosa mi porterà la consapevolezza? Si cerca sempre di rimediare alle emergen- Credo che se abbraccerò la consapevolezza ze senza avere mai il tempo di fermarsi e alla tenerezza, alla fine del cammino sarò ascoltare. consapevole della cosa più inconsapevole, In questo mal-essere tutti si fatica a trasforma- che il mio “io” più intimo non mi apparre il disagio in responsabilità. tiene. Foto di Alessandro Ferrini Maturare è permettere alla durata di fare in noi la sua opera di pace. LA SINFONIA DEL CREATO E LE SUE NOTE di Giovanni Vannucci* Dio crea ogni filo d’erba che viene all’esistenza, di insostituibile e di inalterabile. ogni lombrico che serpeggia sulla nostra strada. Ciascuno di noi è così: viene da Dio, è stato penOgni formica, ogni atomo, ogni più minuscolo sato da Dio, voluto da Dio con quei talenti, con organismo è creato da Dio. E di questo dobbiamo quella grandezza, dignità, forza mentale, forza renderci sempre più consapevoli perché altrimenti di volontà, sensibilità che ha. Vedete come è imrischiamo di non capire niente dell’esistenza e portante ritrovare la verità religiosa del creato per soprattutto rischiamo di sbagliare nel nostro com- poterci poi comportare religiosamente con tutte portamento di rapporto, di coscienza, di amore, le creature. Perché se io dimentico che voi venite di libertà verso gli esseri concreti e individuali. da Dio, posso cercare di darvi una particolare Pensate come è immensa la visione religiosa del- forma, che però non corrisponde a quello che voi l’universo offerta a noi cristiani: ogni creatura che siete; allora voi soffrite, non avete quella vivezza viene all’esistenza porta in se stessa un mistero e quella forza di vita che altrimenti voi avreste. profondo che non nasce dal mondo del visibile, Voi vi rattristate, appassite, non date nella vita e da tutto quel concatenamento di cause che l’ha nell’universo tutto quello che altrimenti avreste prodotta all’esistenza, ma viene da Dio. dato, se non ci fosse stato questo mio intervento Ogni filo d’erba è stato pensato e amato e voluto di violenza e di alterazione. da Dio che l’ha chiamato all’esiQuesta consapevolezza – che stenza dal nulla. Ogni atomo, ogni essere viene all’esistenza Ciascun essere ogni granello di pulviscolo atmo- è stato pensato, voluto, con le sue leggi essenziali, con sferico, ogni granello di sabbia la sua verità ultima, con la sua amato da Dio. delle nostre spiagge esiste perché realtà santa e luminosa – ci perDio l’ha pensato e l’ha voluto mette di avere un comportamento così, l’ha amato e l’ha chiamato all’esistenza; e la e un rapporto giusto e religioso con tutte le altre grandezza di ogni creatura è il pensiero di Dio che creature. Perché se io so che voi venite da Dio, essa racchiude ed esprime. Il filo d’erba nella sua che non venite dalla carne e dal sangue, io non perfetta struttura e nella sua bellezza commovente oserò mai alterare quello che c’è di grande, di è stato, prima di esistere, pensato da Dio. nobile, di vero e di potenzialmente autentico Posso fare un paragone. Il compositore che scrive nella vostra esistenza. E il mio rapporto verso di una sinfonia pensa e vuole che ogni nota abbia la voi sarà un rapporto religioso, di attenzione, di sua risonanza. Se voi saltate una di queste note, amore, di dedizione, perché quei germi di vita e oppure le eseguite in una tonalità differente, de- di grandezza che sono in voi possano crescere e formate tutta la composizione dell’artista. Così manifestarsi in tutta la loro forza, la loro potenza, noi e tutte le creature nella meravigliosa armonia in tutta la loro vitalità, altrimenti manca qualcosa dell’universo siamo delle note insostituibili e in- all’armoniosa realtà dell’universo. deformabili, perché io vengo da Dio, ciascuno di Il nostro pensare deve essere un pensare concreto. voi viene da Dio e ciascun uomo viene da Dio. Io Io vi devo avvicinare, non attraverso lo schermo vengo da Dio e sono un aspetto, un segmento, un di una definizione, ma proprio nella vostra realtà, piccolo frammento dell’immagine e somiglianza nella vostra individualità. E la mia preoccupaziodivina che viene poi riflessa per tutta l’umanità. ne deve essere quella di scoprire quello che c’è di Io sono un piccolo tratto del volto che Dio sta luminoso in voi, perché mi sentiate una presenza elaborando e tratteggiando nel creato e in tutto pronta a darvi tutto quello che dipende da me, lo schermo costituito dall’umanità. Ma questo perché la vostra luce possa erompere in tutta la piccolo segno, questo piccolo segmento che sono sua intensità, la vostra vita possa esprimersi in io, questa piccola particella di calore è qualcosa tutta la sua forza, in tutta la sua verità. * Tratto dagli "Esercizi spirituali" di Padre Giovanni Vannucci. Edizioni Romena 2005 A Dio per realizzare il suo sogno, è necessario entrare nel sogno degli uomini; e l'uomo deve poter sognare i sogni di Dio Foto di Daniele Guarise Abraham Heschel I COLORI DEI SEGRETI di Maria Teresa Marra Abignente Siedo sui gradini dell’altare della Pieve la dome- soffiare, non crediamo che possano esserci alnica pomeriggio e il mio sguardo incontra tanti ternative. E quel che scopriamo di noi finisce volti che ormai conosco, come conosco le storie inevitabilmente per non piacerci. Come fosse la della loro vita. E mi sembra che ognuno porti parola conclusiva, appunto. E invece potremmo sulle spalle il peso del suo cammino. La strada per semplicemente attingere a quella sorgente che molti è faticosa e dura. Ci ritroviamo là, a cercare ci rimanda poi sempre più in fondo, fino alla un pò d’eternità sulla quale far riposare i nostri sorgente profonda della vita. Potremmo cioè passi. Plachiamo le ansie, mettiamo a tacere le sentirci liberi di comprendere le sofferenze e le parole, veliamo la luce e ci concediamo un’attesa, violenze, le ansie e le delusioni, le fragilità e le uno specchio in cui poterci guardare. imperfezioni nel cerchio del mistero delle nostre Sono questi momenti un’occasione preziosa, esperienze e della nostra realtà. Riappacificandoci sono la possibilità di consentirci una tregua e di con il tutto, perché niente di quel che sentiamo rendere evidenti le ferite, che finalmente trovano stridente in noi può esserci ostile, se riusciamo le screpolature attraverso le quali sanguinare. a comprenderlo e ad amarlo. Non sarà indolore: E siamo in questi momenti tutti qualcosa dentro di noi gemerà un po’ più consapevoli di noi e si ribellerà; altre volte invece, La consapevolezza stessi, perché viene in nostro più naturalmente, questo qualè uno sguardo sereno, aiuto il silenzio. Le parole a cosa che ci appartiene e che una carezza volte sono troppo pesanti e soffre ci permetterà di essere sulla nostra vita. restano in fondo al cuore e così guardato senza vergogna. i silenzi prendono il colore dei È come aprire un cassetto e nostri segreti. Quei segreti che sono le cose che ammirare cosa salta fuori: la foto dimenticata non sappiamo dire perché fatichiamo a capirle, che ci evoca nostalgie, la lettera che un tempo quei segreti che ci tormentano e che fanno cam- abbiamo riletto cento volte, il piccolo oggetto che biare la tinta della giornata, quei segreti che ci ci ha fatto sorridere, il fazzoletto che ha asciugato rendono talvolta sconosciuti a noi stessi. le nostre lacrime una notte… E tutto quel che E allora c’è bisogno di prendere la nostra vita spunta e ci sta lì davanti ci commuove, perché ci tra le mani e guardarla così, come negli occhi, dà il riflesso della nostra vita. Ci dà il battito del perché gli occhi non hanno bisogno di parole nostro cuore, quando a volte accelera o quando per comprendersi. Il primo passo verso la con- sembra fermarsi e schiantare. Ma è là, ed è la sapevolezza è proprio questo guardarsi, che non nostra vita, che ci ricorda che nulla si perde di consiste nel pesare o nel misurare la bravura o la quel che siamo e che abbiamo vissuto e che tutto fragilità, ma è uno sguardo sereno, una carezza viene trasformato in tesoro, se solo riusciamo a sulla nostra vita. È la mano leggera che sfiora scoprirlo. E a capirlo. il ruvido e il morbido, le rughe e le levigatezze Così, certe volte i nostri segreti prendono un che si compongono dentro di noi. E questo non colore nuovo e danno la sfumatura a quel che è può farci paura se lo facciamo onestamente, cioè trascorso e a quel che ci viene incontro; ci danno nella verità, senza mentire a noi stessi, ma senza una nuova chiave di lettura, mettono un po’ più neanche voler essere a tutti i costi i giudici spietati a fuoco il percorso e ci consentono di cammio i medici pietosi dei nostri errori. nare più sicuri e liberi. E improvvisamente, con Abbiamo spesso la sensazione dell’irreparabile un’intuizione, ci illumina il pensiero che ogni quando guardiamo la nostra vita; abbiamo troppo giorno è l’inizio di un viaggio e che ogni giorno spesso l’equivoca impressione del definitivo, si nasce per vivere e sperare, con gli occhi un po’ dell’irreversibile, come se si trattasse sempre più limpidi ed il cuore un po’ più leggero, con la dell’ultima parola. Non ci concediamo possibilità, libertà regalataci da un segreto rivelato. E con un non apriamo il cuore a tutti i venti che possono granello di amore in più. La comunità viva non è nell'essere uno vicino all'altro ma uno con l'altro. Foto di Alessandro Ferrini Giovanni Vannucci È UNA QUESTIONE DI MANI di Pierluigi Ricci Il meraviglioso gioco della vita su questa terra è interamente dominato da una regola che per importanza supera tutte le altre, condizionando nel profondo il comportamento di ogni giocatore e l’esito di ogni sua azione. Non è, come crediamo quella del “cambiare” quanto piuttosto quella del “capire”. L’essere umano non ha bisogno di superare tutti i problemi, di evitare le sofferenze, di risultare bravo o buono. Ha bisogno di significati, di nuovi punti di vista e di scopi per la vita. Ha bisogno di consapevolezza. Non esistono cose nocive o prove che possono uccidere. Esistono esperienze che, se non capite, diventano nocive: acquistano potere e prendono il sopravvento. Solo ciò che si conosce può diventare gestibile e costruttivo. Si può guarire solo da ciò a cui si riesce a dare un nome. La consapevolezza non è uno stato dell’essere quanto un cammino, un impegno con se stessi. A volte penso che sia addirittura lo scopo del gioco della vita: siamo su questa terra per capire il gioco e tornare alla base. Se questo ti può sembrare semplice, provalo e vedrai che non lo è affatto, anche perché dietro l’angolo spesso si incontrano esperienze capaci di rimetterti in confusione e di obbligarti a rivedere tutto. La confusione è tutt’altro che negativa, se la accetti. Mentre rimescola le carte, toglie i dogmatismi, le false sicurezze e ti invita a voltare pagina, ad andare avanti. Conoscersi, dare un nome alle nostre cose, ai nostri malanni, ai problemi, ai nostri sentimenti, ai nostri bisogni è davvero difficile. Quante parole false, quante menzogne siamo capaci di raccontarci ogni giorno! È importante però cercare di essere concreti: la consapevolezza non viene dal cervello, ma dalle mani. È istintivo credere il contrario. Ci hanno da sempre abituati a riflettere. “Pensa prima di agire, così sai quello che fai”: quante volte ce lo siamo detti. Poi ti accorgi che pensi pensi e 10 agisci poco e che comunque l’immagine di te si costruisce intorno ai giudizi, alle paranoie ed è fatta più da ciò che supponi di essere, che da quello che sei veramente. E non c’è mai novità, non c’è sorpresa. Non credo alla meditazione o almeno non ci credo come strada per conoscersi nel profondo e per incontrarsi. Può servire dopo, per rivedere il proprio operato e per interiorizzarne il significato. Penso che la regola per la consapevolezza non sia: prima pensare poi agire. Penso che sia: prima agire, poi pensare. “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa…” Quando agisci crei e in quel riverbero di energia ci sei tu. E ciò che crei, incontrandosi con gli altri e con le cose ti ritorna addosso e ti dice, ti parla. Parla di te. E non consiste in ciò che gli altri ti rimandano verbalmente. Quello che ti arriva può piacerti o non piacerti in quel momento, ma è un pezzo di te. Mentre agisci ti senti, ti risvegli perché ti emozioni, ti muovi e ti percepisci e quello sei te. L’azione crea lo stato d’animo, lo modella lo decide e quello sei te. Credo che quando Gesù ci ha detto che il divino sta in un pezzo di pane, in qualcosa di estremamente materiale intendesse dire anche questo: se vuoi perforare la Conoscenza devi partire da ciò che di più materiale hai: le tue azioni. La consapevolezza è veramente una questione di mani. Non è forse vero che in certi momenti in cui ti sei raccontato a qualcun altro – anche questa è un’azione concreta – parlando a lui hai cominciato a sentirti ed a capirti di più? Per conoscersi non serve il far bene, serve il fare. Poi nel cammino raddrizzi il tiro. È il momento della decisione e dell’azione che attiva le energie del sapere. Solo questo spiazza i tuoi vecchi parametri, li sconvolge e ti sorprende. Ed è il nuovo che cerchi. Ed è nuovo, non puoi saperlo prima. Il comportamento è la radice della consapevolezza. Tenere gli occhi fissi sulla terra, sulla realtà, perché la terra è quel campo sterminato dove Dio ha nascosto il suo tesoro, è il luogo in cui dobbiamo faticosamente scavarne la presenza. Foto di Massimo Schiavo Ernesto Balducci L'ESIGENZ A DELL'ALTRO di Antonietta Potente* La grande questione di oggi, nella nostra società occidentale, è la chiusura di ciascuno di noi nella roccaforte del suo individualismo. Antonietta Potente, teologa domenicana che da molto tempo vive in Bolivia, ci chiama a risvegliare la consapevolezza di un bisogno primario: quello di incontrare gli altri. “Dovete essere più esigenti” ci dice. Dove «esigenti» sono coloro che non si fermano al proprio «io». Ma cercano negli altri l’abbraccio con la propria incompletezza. Il problema che vorrei condividere con voi è questo: ci rendiamo conto che siamo in mezzo a un grande movimento storico di persone che ci raggiungono da lontano? Mi riferisco all’Europa come a un luogo che sta diventando il posto di altre culture, persone, stili di vita, cosmovisioni. Mi chiedo se ne siamo coscienti o se siamo troppo distratti dal nostro stile chiuso. Il Dio più bello è un Dio itinerante In Italia e in altre parti d’Europa oggi non stanno arrivando soltanto degli emigranti che cercano uno spazio per vivere, ma stanno arrivando una sapienza differente e un’immagine di Dio differente. Quando si sposta una persona non si muove solo una cultura: quando i popoli emigrano non si spostano solo i modi di vivere di altre realtà e spazi geografici, cambia anche Dio. Il Dio più bello è un Dio itinerante, che cammina. È interessante l’immagine della spiritualità ebreo-cristiana della nube, della Shekinhà, che rappresenta un Dio che non è un idolo, ma ha la possibilità di camminare dove va il popolo; mostra un Dio che ha sempre camminato. Appartengo a una congregazione domenicana che ha come ideale l’itineranza, il poter incontrare Dio con altre persone, e vedo che a volte ci muoviamo velocemente in molte cose pratiche per aiutarle, ma non nell’esperienza di Dio: siamo pronti, rispetto alle altre culture, a rispondere alle loro necessità, a inventare spazi per soccorrerle, ma non cerchiamo con loro un’altra esperienza di vita, un’altra esperienza di Dio. Queste persone vengono con la loro fede che non è quella ufficiale, perché quando una persona si muove da un Paese all’altro per cercare di sopravvivere, non viene con la dottrina o con un manuale di teologia, ma con la sua fede e il suo sogno di sopravvivenza, di sopravvivere dentro la sua storia. Quando pensiamo che questi flussi immigratori siano senza meta sbagliamo: hanno una meta che è la dignità e il poter continuare a vivere. L’assoluto, per la maggioranza dei popoli del mondo non è una dottrina, non è un’immagine, non è neanche un idolo, l’assoluto è la vita. Le persone chiedono solo di poter continuare a vivere in qualsiasi parte del mondo, per cui siamo di fronte a questa domanda incessante dell’umanità di ricostruire e ricreare la vita, e nessuno può ricreare la sua vita da solo. Le spiritualità più vere sono quelle incomplete. Il gioco del mercato non si fa solo nei grandi spazi finanziari del mondo, nelle banche mondiali, o nei fondi monetari, il gioco del mercato si fa anche nella spiritualità, quando questa non risveglia il desiderio di fare un cammino con un’altra persona, di ricercare altri stili, altri linguaggi per entrare in relazione con gli esseri umani. Per entrare in relazione con gli altri, dobbiamo fare spazio, essere incompleti. Tutte le spiritualità più vere sono le spiritualità non complete. L’errore di tante religioni, purtroppo anche della religione cristiana, è quello di credersi l’unica perché completa. Una religione è unica quando è incompleta, come una chiesa in cui tutti possono entrare e mettere un quadro, tutti possono entrare e parlare un linguaggio. Noi completiamo lo stile romanico e ogni epoca completa la spiritualità delle cattedrali romaniche; e proprio per la sua incompletezza il romanico è uno stile, non come il barocco che è così pesante che nessuno osa completarlo. Nella nostra spiritualità cristiana, domenica scorsa, abbiamo celebrato il giorno di Pentecoste *Testo tratto dall’incontro di Antonietta con la nostra Fraternità, tenutosi a Romena il 10 di giugno2006. 12 nel quale tutti possono dire qualcosa, mettere il proprio oggetto in uno spazio, fare un proprio gesto: questo dovrebbe essere il cammino delle nostre spiritualità più profonde in questo momento storico, ma anche delle nostre politiche più profonde, perché non facciamo più l’errore tremendo di dividere la vita. Viviamo in società dualiste, che escludono, separano: alla vita spirituale ci deve pensare la Chiesa; gli ordini religiosi e la spiritualità sono intesi come se fossero una dottrina a parte. L’umanità è stata rovinata dalla separazione dello spirito dalla storia, della storia dallo spirito, dei gesti dalla mente, delle parole dal cuore. Questo non lo possiamo più permettere. L’esperienza di Dio si fa negli spazi reali Rispetto alla spiritualità, in Europa si è un po’ troppo individualisti: ciascuno cerca per conto suo e si salva come può. Dovete invece essere più esigenti. Nel senso più bello esigenti vuol dire essere più comunitari. Non accontentatevi di camminare ognuno per conto proprio, chiedetevi come essere esigenti, perché oggi nessuno è asceta e isolato dagli altri: con questo pretesto le istituzioni si defilano e non si impegnano, perché se ciascuno è asceta e cerca per conto proprio, il gruppo, la comunità non contano più niente. Noi latino-americani parliamo di un impegno comunitario che chiamiamo misticopolitico. L’impegno mistico-politico non vuol dire pensare allo spirito e poi pensare agli altri, ma unire tutto questo in una sola parola e in un solo intento e rendersi conto che in questo momento la storia si può cambiare. In un incontro con le mie consorelle in preparazione ad un capitolo generale, dicevo che possiamo entrare nella storia con il desiderio non di salvarci, e neppure forse di salvare, ma di vivere con altre persone. Il nostro impegno non deve essere escatologico: “Pensiamo al futuro”, l’impegno deve essere storico: “Come vivere con altre persone?”. Non dobbiamo chiederci: “Come si salveranno tutti nel futuro…Che cosa devo fare perché si salvino tutti?”, ma: “Come viviamo tutti e tutte in questo momento storico?”. E come i generi maschile e femminile possono fare spazio a altri? Come una cultura fa spazio a un’altra cultura? Come il mio spirito fa spazio a un altro spirito? Non si tratta di essere “buoni” con gli extra comunitari, non basta questo; dobbiamo imparare a vivere in un altro modo, e non sono le generazioni passate che ce lo insegnano, è la nostra generazione, sono tutte le generazioni attuali. Qui si fa l’esperienza di Dio, non nel cielo, ma negli spazi reali nei quali impariamo a fare storia. I fenomeni del nostro tempo non sono fenomeni solo politici o solo economici, sono problemi umani che sono sempre stati spine nel fianco della storia, chiodi per indicare che la storia si ricostruisce non imitando modelli ideali, ma ricreando una modalità di relazioni nuove. Noi europei dobbiamo uscire dall’egocentrismo, oggi ciascuno è troppo solo, troppo chiuso in se stesso per poter continuare a vivere, ma non siamo più soli, siamo in tanti. E siamo in tanti anche quando non ci conosciamo. Le capacità economiche dei paesi del mondo devono essere messe in comune, e anche la capacità di far rinascere la vita deve essere messa in comune: queste sono possibilità che ogni sapienza deve condividere per essere nel circolo della vita. A volte pensiamo che non c’è più niente da fare, ma ci sono altri che ci dicono che c’è ancora una possibilità e non possiamo non ascoltarli, non per bontà o per carità, ma perché solo gli altri potranno darci un’intuizione di vita, una speranza di vita. Pensate come pellegrini dell’assoluto: l’assoluto non appartiene all’Europa o alla Chiesa cattolica, non appartiene a nessuno. L’assoluto lo manifestano le religioni, le ideologie politiche quando sono ideologie aperte; lo esprimono le sapienze, non la sapienza, e l’umanità stessa con la creazione. L’assoluto lo viviamo quando stiamo insieme. 13 APRIRSI ALLA COSCIENZA UNIVERSALE Di Wolfgang Fasser “La coscienza non è dentro di me, sono io a esserne parte”. Dal suo osservatorio speciale, quello di non vedente, il nostro Wolfgang ci invita a guardare gli immensi spazi di consapevolezza che si aprono davanti a noi. Quando accogliamo, con fiducia, la vita. Un’amica mi invita a sistemare un’aiuola nel suo giardino. Mi piace la sua proposta e di buon mattino mi metto al lavoro. La terra è dura, non lavorata da anni; inizio a smuoverla col piccone. Poi mi chino e comincio a togliere i sassi. Sento che ora la terra si fa più morbida e comincia a sbriciolarsi tra le mani. Ed è buffo, ma mentre lavoro ho come la sensazione che ci sia una serpe lì, accanto a me. Nessun indizio concreto, solo l’intuizione di una presenza. Non sono preoccupato né angosciato. È troppo bello godere del contatto con la terra smossa, e sentirla farsi calda ora che accoglie i raggi del sole. Troppo bello star lì, inginocchiato, con le mani immerse fino ai polsi, a sentire quel profumo di natura risvegliata. Il mio lavoro finisce, la mia amica si avvicina. Mi propone di passare col suo rastrello per pareggiare la terra e tirar via gli ultimi sassi. Le faccio spazio. D’un tratto la sento sobbalzare: “Accidenti! Una vipera”. Tra le dita del rastrello il rettile sguscia via. Ha detto Thich Nhat Hahn “Vivere fortemente l’ora presente è la miglior preparazione al futuro”. La consapevolezza è questo immergersi nella profondità del presente, è questo mettere le mani a contatto diretto con la concretezza della vita. Ci si sente consapevoli quando si è immersi nel fluire delle cose, quando muoviamo armoniosamente la nostra esistenza, così come io facevo con quelle zolle. In quel momento ero così in sintonia con l’ambiente circostante che la vipera, pur essendo accanto a me, non si è mossa. Non si sentiva minacciata, per questo né scappava né mi attaccava. Spesso il ruolo della vipera lo svolgono le nostre paure. La paura che ci accada qualcosa, la paura di pericoli reali o anche solo virtuali ci serve per inibire la nostra vita, per limitarla. In primavera, mentre sistemavo quel giardino, c’è sempre la possibilità che una vipera possa transitare, e quella possibilità non va esclusa, ma quante volte di fronte a un pericolo, spesso solo ipotetico, noi rinunciamo a vivere esperienze importan- 14 ti, quante volte ci autolimitiamo prima ancora di muoverci? In tutto questo è decisivo il ruolo, spesso esclusivo, che attribuiamo alla nostra ragione. E invece occorre saper andare oltre, e affidarsi anche a una comprensione emotiva, spirituale, corporea di ciò che ci accade. La coscienza non ha casa solo nel mio cervello, dentro di me, al contrario sono io a essere dentro la coscienza, una coscienza globale, universale. Per questo con la mia razionalità io so spiegare solo una piccola parte, un piccolo frammento di ciò che mi succede. Ma ci sono tante altre sfere in cui sono immerso: sono le sfere dell’istinto, della percezione, dell’intuizione, dell’emozione. E la mia coscienza deve aprirsi anche a questi spazi. In America, durante un periodo di studi, ho conosciuto un anziano filosofo, Houston Smith. Diceva sempre che noi siamo «prigionieri della mente dell’Occidente post moderno». Ed è vero. Per quanto ricca e fertile la nostra mente diventa comunque una gabbia se mi impedisce il contatto con le altre sfere della consapevolezza. Quale tipo di conoscenza mi permetteva di ‘sentire’ la presenza di quella vipera anche se non potevo vederla? Quante volte abbiamo fiutato una decisione che contravveniva a un ragionamento logico per poi scoprire che era davvero quella giusta? Spesso ho sentito inquietudini crescere dentro di me senza che ci fosse una ragione, ma è stato seguendole che ho compiuto alcuni dei passi più preziosi della mia vita. Per questo dobbiamo aprirci, accogliere ciò che la vita ci offre anche quando parla un linguaggio diverso, il linguaggio dei sogni come quello delle percezioni, il linguaggio delle emozioni come quello dell’istinto. Quando il nostro «io» si rende permeabile a tutte queste dimensioni ci permette esperienze inconsuete, bellissime, come il mio incontro con la vipera. È la fiducia nella vita l’alimento della nostra consapevolezza. (testo raccolto da Massimo Orlandi) Voltandomi indietro trovo con molta gioia che le svolte della mia vita sono state sempre guidate da Colui che chiamo l'amico e la sua voce costantemente mi avvisa - obbedisci, poi capirai. Arturo Paoli Foto di Bruno Morandi Inventiamo! Non aspettiamo di essere istruiti. Dobbiamo inventare. L'amore è una questione di immaginazione. Annalena Tonelli La via dell'incontro di Stefania Ermini È stato il prete degli operai. Poi quello dei prigionieri politici, in Brasile. Ma don Renzo Rossi è stato ed è anche vicino a tante persone speciali: ha conosciuto da vicino Don Milani, padre Balducci e David Turoldo, ha un’amicizia trentennale con Pietro Ingrao. Amicizie che, in questo articolo, condivide con noi. Lo usa poco quello sguardo. Tiene gli occhi chiusi don Renzo Rossi. Muove solo le mani: le apre, le sventola, le dondola. Gli occhi guardano poco. Mi guardano solo quando mi fa entrare e poi, mi fa andare. Don Renzo Rossi ha voglia di “incontrare”. Si indovina dalla voce, incuriosita dalla mia telefonata, che mi invita ad andarlo a trovare per fare “due parole”, come le definisce lui. Mi apre la porta di casa di un vecchio palazzo nel centro di Firenze dove si respira il viaggio, l’accoglienza, l’apertura. In quelle stanze disegnate dai libri ci sono alcuni dei suoi amici, David Maria Turoldo, don Milani, Giorgio la Pira, don Facibeni, padre Balducci. È nelle mani che don Renzo mette il suo ardore per i ricordi, per gli incontri e con i suoi 81 anni porta una storia intensa che odora di nuovo, di mattino. Ne è consapevole lui stesso. “Vivo le stesse impressioni, le stesse allegrie, le stesse gioie di quando avevo 20 anni, sempre nella speranza di qualcosa di nuovo. Uno dei doni più grandi a essere prete è quello di conoscere, di incontrare. Sono una sanguisuga perché prendo tutto quello che posso dalle persone che incontro. Ho sempre cercato di essere amico di tutti e questa amicizia mi ha aperto alla comprensione degli altri”. Usa ancora poco lo sguardo. Gli occhi si chiudono, la pelle si stringe, il viso si trasforma. La fronte si 18 piega e si spinge a cercare, a ricordare, a ritornare a se stesso incontrando i “suoi amici”. In seminario è compagno di studi di don Lorenzo Milani e del cardinale Piovanelli, anche se loro sono un anno più avanti. Prime esperienze pastorali a Montelupo Fiorentino e poi a San Gervasio. Poi è a Rifredi accanto a don Giulio Facibeni, il fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa. Verso la fine del’52 è prete di Vicchio di Mugello vicino a Barbiana, dove invece finirà l’amico don Milani. “Ci sono due esperienze importanti che hanno segnato la mia vita e che mi hanno aperto a questo mio bisogno di trovare e scoprire i valori in coloro che stavano lontano da Dio”. La prima risale agli inizi degli anni ’50. Si avvicina al mondo operaio andando all’interno della fabbrica Italgas, di Firenze. Da li la sua attenzione si rivolge verso quella classe operaia che certo non vedeva i preti di buon occhio “mi cacciavano, me ne dicevano di tutti i colori! Ma poi siamo diventati amici. Vivere con i comunisti che a quel tempo erano mangia preti, vivere con gli atei mi ha fatto scoprire un mondo nuovo di gente che cerca la verità e il bene. Decisi di partire per incontrare questa verità e questo bene nella povertà della gente che viveva in Brasile”. Oggi tornato a Firenze dopo quasi 30 anni di missione in Brasile, si trova a fare il prete “tappabuchi”, come si definisce lui, ma prete un del nuovo, di rompere gli schemi. Lui stava con i po’ di tutti. poveri. Era duro, severo, ma con me era affettuoso. “Per un insieme di circostante ho fatto il prete di Don Milani diceva che con la durezza aveva la frontiera, ho cercato di evadere. È stato istintivo. speranza di scuotere quelli che non avrebbe potuto Per carattere vado a cercare il non credente per raggiungere con la dolcezza”. essere loro amico. Quelli che vengono in chiesa Ritira fuori le mani da sotto il tavolo e le mi fanno sempre durare meno fatica! Non voglio accompagna alla fronte ed esclama “Poi c’era criticare noi preti. Però a volte noi preti si pensa Turoldo! Lo conobbi quando fu esiliato da Milano solo alle persone che vengono in Chiesa. Invece e fu accolto a Firenze dal professor La Pira che, sentivo il bisogno di avvicinarmi ai più lontani, come lui, era attento ai temi del dialogo e della senza propaganda. Nel senso che non volevo pace. Tutti i giovedì commentava un testo letterario convincere nessuno a credere in Dio. Ero io che e a volte lo andavo ad ascoltare. Aveva proprio una avevo bisogno di essere il prete un po’ di tutti”. gran voce, una voce profonda che arrivava dritta. E Usa ancora le mani e le sopracciglia che ridono queste mani grandi, grandiose”. Si guarda le mani a tenere fresco il ricordo, a disegnare i volti di di nuovo, don Renzo. Si stringe ancora negli occhi e questi amici. si ricorda di padre Balducci. “Ecco, lui…”racconta Un’amicizia profonda con Pietro Ingrao che don Renzo “…mi considerava il lato volgare risale agli anni ‘70. Lo conosce a casa di un della Chiesa, uno scavezzacollo, un ragazzaccio amico comune. “È un come si dice a Firenze. uomo in crisi” racconta don Ci si compensava . Padre Renzo “Si sente un uomo Balducci non ne aveva Non ho mai cercato sconfitto, vive in uno stato certo bisogno, ma a volte di convincere nessuno di angoscia”. Don Renzo è trovava in me l’aspetto a credere in Dio, affascinato da questa figura volgare che lui certo non avevo solo bisogno di essere di uomo dalla dimensione aveva. Lui era intellettuale. il prete un po’ di tutti. personale tumultuosa che E quindi io trovavo in lui “ha il senso profondo di Dio ciò che sentivo mancare in e una dimensione rivolta me profondamente: questa all’ascolto. Vivere con lui è affondare la testa nel visione intellettuale di un mondo nuovo anche per cuore di un uomo affaticato ma che continua a la Chiesa”. essere mosso dalla speranza per il futuro”. È passato il pomeriggio di racconti, di incontri, Suonano alla porta, allora apre gli occhi e li manda di mani e sopracciglia che ridono ancora a tenere al cielo, scuote la testa, sventola le mani ed esclama fresco il ricordo, a tracciare i volti degli altri. Don “Eccoci, questo non era previsto. Andiamo a Renzo mi porta all’ultimo incontro “Credevo di vedere chi c’è”. C’è un amico sacerdote brasiliano essere troppo vecchio per continuare a incontrare. che è passato a salutarlo e lo accoglie. Lo vedo E invece proprio da vecchio è nata un’altra nuova, tornare dopo 10 minuti. Gli occhi sono serrati più straordinaria amicizia. Erri de Luca. Con lui ho di sempre. È tempo di far entrare in scena un altro davvero un rapporto affettuoso. Di lui mi piace grande amico: “Don Milani è sparso ovunque in il fatto che racconta del bisogno di restare in casa” mi confida con le sue mani “È diventato cammino. Non si sente mai arrivato, è sempre in prete nel ’47, io nel ’48. In seminario lui era un cammino e continua a godersi questo cammino”. anno avanti a me. Aveva una personalità fortissima Ci incamminiamo verso l’uscita. Don Renzo ha e a volte si poteva restarne soggiogati. Era un gli occhi ancora un po’ chiusi. Gli tocco le mani profeta e i profeti a volte non sono capiti. Don perché è li che ritrovo il senso di questo incontro e Milani era un uomo sempre avanti a noi. A quel il senso dei suoi incontri. È in quegli occhi chiusi tempo non veniva capita la spinta innovatrice. a trattenere e nelle sue mani forti e solcate dalla È grave lo so, però non era una mancanza di cura dell’altro che sento il senso profondo e vivo volontà. Era proprio un’incapacità di comprendere della speranza in qualcosa di nuovo che odora queste persone che guardavano avanti e la paura ancora di mattino. 19 Perché non ci ascoltate? di Francesca Abignente C’è una generazione che sente il bisogno di urlare un po’ di se stessa. Ma non trova casa. O non sa come cercarla. Hanno meno di 25 anni, frequentano anni decisivi, lamentano una carenza di attenzione. Anche a Romena vengono col contagocce. Francesca, 24 anni, assistente ai corsi di Romena, prova a portarci nel pianeta-giovani. E ad aprire domande capaci di farsi, finalmente, dialogo. Vivo attimo per attimo questo scorrere del tempo, rivedo la mia adolescenza, riascolto le crisi della crescita, tocco nuovamente il dolore dei momenti in cui si capisce che la vita può cogliere di sorpresa con tiri mancini. E sentire che la vita va oltre la scuola, lo studio, la famiglia, i momenti di divertimento trascorsi con gli amici… sentire che quel nido in cui il tuo sviluppo ha avuto luogo nasconde un mondo sconosciuto, un mondo nuovo, un mondo di domande senza risposta. “Cosa volete che siano i problemi di questi ragazzi in confronto ai nostri?”. Ho un ricordo vivido delle parole di questa donna di 60 anni al mio primo corso, qualche anno fa. È stato lì che mi sono domandata se con l’aumentare degli anni aumentasse anche l’intensità dei problemi… è un’equazione direttamente proporzionale? No, non credo. Ogni età ha le sue difficoltà, ma più si va avanti con gli anni più strumenti si hanno per risolverle… o almeno così dovrebbe essere. Ebbene sì, ho deciso di essere polemica questa volta, ho deciso di provocare delle reazioni perché tutto ciò non resti una statica sintesi di ciò che significhi avere 24 anni. 20 Lo zaino vuoto Mi ha colpito molto l’immagine sull’adolescenza che Don Enrico, il sacerdote che guida il corsogiovani di Romena, ci ha dato al primo incontro che abbiamo fatto con lui. “Dal momento in cui nasciamo – dice Enrico – la famiglia, i parenti, la società riempiono il nostro bagaglio vuoto di educazione, emozioni, morale, comportamenti… ma è proprio nell’età evolutiva che decidiamo di svuotare questo zaino, di vedere cosa c’è veramente dentro e di decidere indipendentemente cosa portare nel nostro futuro e cosa lasciare dietro di noi. Svuotare lo zaino, mettere in discussione tutto quello che ci hanno detto durante la nostra infanzia! È un momento di crisi che tutti attraversiamo, ma che non deve essere sottovalutato per la sua universalità liquidandolo con il famoso detto mal comune mezzo gaudio. Perché il medesimo evento ha risonanza diversa in ciascuna coscienza: questo è il mistero di unicità che ci portiamo dentro. Per questo è importante che a ciascuno sia dato modo, spazio e tempo per raccontarsi, soprattutto un cuore “buono” che accolga questo racconto”. Lo zaino dell’adolescente, svuotato del superfluo, è ora diventato un punto di partenza per camminare con maggiore consapevolezza verso un futuro dedicato a se stesso. È un percorso che, volenti o nolenti, tutti si ritrovano a fare… eppure sembra di vivere in un mondo popolato da tanti Peter Pan alla ricerca della loro isola che, si sa, non c’è… gridare “basta!”… basta… Taci e ascolta! Non mi interessa il punto di vista dell’adulto, perché resterebbe un punto di vista diverso dal mio e che lascia trasparire tra le righe il messaggio “io lo so, io ho vissuto più di te”. Ed è questo il problema: nel momento in cui ci si pone in una posizione di superiorità non si ascolta più veramente, si pensa solo a cosa dire, a che risposta dare. “I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.” (dal film The Big Kahuna, monologo). E c’è differenza tra il chiedere un consiglio ed esprimere il bisogno di parlare. No, non mi interessa il punto di vista dell’adulto, mi interessa il cuore aperto della persona che ho di fronte, qualsiasi età essa abbia. Adulti dove siete? È bello conservare il lato gioioso e fanciullesco (fanciullesco, non infantile!) di ciascuno di noi, ma il problema non è questo. Responsabilità, affidabilità, coscienza, fiducia, serietà, garanzie… mi spiegate dove sono finite? A me, ragazza di ventiquattro anni, viene detto che è giunto il momento di prendere la vita seriamente, comincio a muovere i primi passi da sola e dove mi ritrovo? In una società in cui si governa pensando a se stessi, si vive ipnotizzati dalla cultura del “tutto “Poi un giorno In cerca di calore e subito”, si resta affascinati in un libro o in un bar Ho chiesto a Don Sandro, un dall’immagine, si scopre che si farà tutto chiaro, prete giovane abituato a stare chi dovrebbe dare l’esempio in capirai che altra gente con i giovani, di esprimere in realtà ha più paure che voglia si è fatta le stesse domande, poche parole cosa può stimodi agire, si crede alla verità più che non c’è solo il dolce lare un giovane a sbarcare a facile, si capisce che in realtà ad attenderti, Romena: “Quando incontri un tutta questa baraonda non è ma molto d’amaro luogo in cui scopri il calore altro che un fuggire a destra e e non è senza un prezzo necessario per esprimere i a manca… con quale coraggio, salato diventare grande…” tuoi bisogni più profondi, in allora, uscire di casa? Francesco Guccini cui cercare insieme agli altri Ovunque si sente forte il biil tuo desiderio di vita, allora sogno di raccontarsi. Con una cominci ad amare quel “luogo”. Ti senti a casa. Lo semplice differenza: l’adulto usa molte parole per cerchi, lo aspetti e ti aspetti molto da lui! esprimere insoddisfazione, il giovane ne usa poche per manifestare voglia di credere in un futuro Allora il gruppo, il fermarsi, lo sputtanarsi, (ops (migliore o no, questo lo lascio decidere a voi). I scusate, volevo dire il raccontarsi!) diventa il luogo, giovani si arrabbiano, gli adulti si rassegnano. “È un’occasione per “resistere con creatività”, per così, ormai…”. È questo “ormai” che vorrei che sentire che non si è soli, per lasciarci interpellare i giovani d’oggi non pronunciassero mai. Ed è e farsi rapire dal volto dell’altro. questa condivisione che sento mancare a Rome- È nell’ascolto profondo della storia, della vita, dei sona. Già, perché Romena, come ci ricorda Gigi, gni, del volto dell’altro che io conosco me stesso”. è nata per dare un’alternativa ai giovani. Solo in Conoscere se stessi, il viaggio più completo che si seguito è diventata un porto di terra a cui approda possa affrontare, un viaggio che dovrebbe cominchiunque sia alla ricerca di se stesso o di qualcosa ciare nel momento in cui ci si affaccia in maniera di nuovo. Perché, allora, non cercare nuovamente più consapevole al mondo, ma che spesso viene rimandato, rimandato, rimandato… ecco perché una dimensione di confronto parallelo? vorrei che ora, ora, chiunque stia leggendo questo Il bisogno di raccontarsi articolo pensi ad un/a ragazzo/a con cui condividere In quanti momenti di crisi ho cercato un abbrac- queste parole. Perché non sia più “troppo tardi”, cio silenzioso che potesse darmi l’unica cosa che perché la parola “ormai” non trovi mai terreno volevo veramente: essere ascoltata. In silenzio. E fertile nel cuore dei giovani, perché anche gli invece parole, parole, parole… consigli, suggeri- adulti sentano la necessità di imparare qualcosa menti, esortazioni, sollecitazioni. Tanto da farmi dai ragazzi. 21 IL PANE È PER TUTTI di Angelo Casati Gesù spezza il pane: in questo gesto, natura stessa dell’essere cristiani, si immerge un prete-poeta, Angelo Casati. Il suo bisogno di un incontro umile e profondo col senso dell’Eucarestia è raccolto in un libro, “Il pane è per tutti”, che abbiamo recentemente pubblicato e che potete trovare a Romena o in libreria. Qui potete leggere alcuni frammenti della sua riflessione. Umile segno e umile parola la preghiera di benedizione del re cananeo, pagano. Francesco d’Assisi giunse a chiamare con chiaro- Dio benedice. Lega la sua benedizione, e quindi la veggenza e audacia l’eucaristia «l’umiltà di Dio». sua presenza, al pane e al vino offerto dal re pagano Quasi fosse l’ultimo gradino del suo discendere. allo straniero che passa. Già Dio aveva attraversato l’immensità del cielo per Anche noi stranieri, anche noi di passaggio, anche chinarsi su di noi, l’immensità noi ospitati ogni domenica alla dell’obbrobrio per abbracciarci cena del Signore. Anche noi a A noi da una croce, ma qui in questa prendere un pane cui è legata non è dato cena volle lasciarsi come pane, una benedizione, anche noi a toccare con le mani umile povero piccolo pezzo di riconoscere la presenza di un il segno dei chiodi, pane. Per voi sono vivo in un Dio al di là dei nostri confini la tenda del corpo pezzo di pane. Spezzato. Abbiareligiosi. ove arde mo cancellato dal rito l’umiltà. L’universalità del Pane il mistero del Verbo. Eppure aveva detto: “Fate queLa Cena del Signore è vera se risto in memoria di me”. E la Solo mi è dato spetta il segno che vi è custodito, memoria era quella, il gesto sfiorare per grazia il segno di una nuova alleanza, di una semplicità disarmante nel pane spezzato un’alleanza firmata in un sangue e sconvolgente. Non si può il lembo «versato per molti». Quella paequivocare: il gesto del pane di un mantello rola molti significa moltitudine. era umile, era silenzioso, era Angelo Casati È il pane non dei pochi, non di semplice. Ma parlava. un raggruppamento, non di un Loro guardavano e capivano. movimento, non di una parte, Capivano l’amore di Dio. In un pezzo di pane. ma della moltitudine. Al di là dei nostri confini Il pane del Signore, il pane di questa cena è un La ritualità del pane e del vino – che bello che sia pane che ci fa uomini e donne della moltitudine, e la Bibbia a ricordarlo! – viene da lontano. non dei pochi, non delle sette, uomini e donne che È suggestivo che il libro della Genesi racconti di non sanno concepire se stessi se non come immersi una figura misteriosa, un re cananeo, sedentario, nella moltitudine dell’umanità. che è anche sacerdote, Melchisedek. Le nostre Eucaristie ci rimandano alla moltitudine, Accoglie uno straniero di passaggio: Abramo. Gli ci rimandano ai problemi di questa umanità di cui offre una benedizione: “Sia benedetto Abram dal siamo parte. Ci invitano a essere pane, come è stato Dio altissimo, creatore dei Cieli e della terra e Gesù, pane buono della moltitudine. Ci insegnano a lavare i piedi di tanti fratelli e sorelle stanchi benedetto sia il Dio altissimo…” Frammenti di Eucaristia, potremmo pensare, dentro del viaggio della vita. Non i piedi profumati delle ritualità che noi, con aria saccente, giudichiamo nostre liturgie, ma quelli stanchi che incrociamo pagana. E Dio recupera. Noi scartiamo. fuori delle chiese, lungo le strade della vita. Come Dio ascolta le parole che noi giudichiamo pagane, ha fatto Gesù. In sua memoria. 22 L’AGENDA DI ROMENA 2007 Un pensiero da portare con noi ogni giorno, ogni mese dedicato a riflettere sulle cose importanti della vita, il Vangelo della domenica sapientemente commentato, le preghiere per abbandonarsi a Dio. DOVE TROVARLA Nelle librerie di carattere religioso-spirituale della tua città. (distribuita da Messaggero Distribuzione). In preparazione al Viaggio esperienza nel deserto Natale dal 21 al 24 dicembre Mercatino di Natale Piccoli pensieri, per riscoprire la tenerezza e la semplicità di un regalo. Domenica 10 Domenica 17 Domenica 24 A partire dalle ore 14 torna il mercatino di Romena, con i suoi oggetti artigianali. Vivere insieme gli ultimi giorni dell’avvento con il cuore in attesa. Con il canto e la danza, con la condivisione e la preparazione di cose buone e semplici, con la veglia silenziosa faremo casa attorno al focolare. Il Natale è un dono che vogliamo e possiamo accogliere. Eremo a Romena “Il passaggio fra gli anni” L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo dal 17 al 26 Marzo 2007 Nove giorni “dentro” il deserto a Tamanrasset in Algeria. Per informazioni: Massimo 339.6467966 da martedì 26 dicembre a lunedì 1º gennaio 2007 Prendiamoci del tempo per riconoscere e raccogliere le esperienze dell’anno che si conclude e per prepararci a far spazio al nuovo che giunge, celebrando insieme il rinnovamento con creatività. Dipingeremo, prepareremo il pane e i dolci nel forno a legna, gusteremo la natura invernale intorno a noi. Per iscrizioni: tel. 0575/582060. 23 “È Dio e mi assomiglia” di Jean Paul Sartre Presepe in pietra e metallo di Luigi Verdi Un filosofo, riconosciuto come esponente di un esistenzialismo ateo e il mistero di un Dio che si fa uomo. È il Natale del 1940 e Sartre, detenuto in un campo di prigionia, scrive una storia per i suoi compagni di prigionia. Il testo si intitola “Bariona o il figlio del tuono”, racconto di Natale per cristiani e non credenti (Marinotti Edizioni, 2004). Abbiamo scelto la pagina in cui Sartre descrive il presepe, e il rapporto che lega la Madonna al Bambino. Un modo speciale per avvicinarci a un nuovo Natale… Siccome oggi è Natale, avete il diritto di esigere che vi si mostri il presepe. Eccolo… La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della dura condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci siano anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo picco- lo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. E Giuseppe? Giuseppe non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa cosa dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare. Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia. Jean Paul Sartre 25 La veglia di Romena Arezzo 30 Gennaio - ore 21,00 Parrocchia di Saione Grosseto 13 Febbraio - ore 21,00 Parr. Santa Maria Goretti - Loc. Rispescia Livorno 14 Febbraio - ore 21,00 Chiesa di Santa Caterina - Piazza dei Domenicani Le Piagge (Fi) 21 Febbraio - ore 21,00 presso la Comunità di Base Roma 7 Marzo - ore 21,00 Piccole Sorelle, Via Acque Salvie - Tre Fontane EUR Gaeta 8 Marzo - ore 21,00 Santuario della Madonna della Rocca in Fondi Imola Pesaro S. Angelo in Vado Bari 13 Marzo - ore 21,00 Convento dei Cappuccini 14 Marzo - ore 21,00 Pieve Santo Stefano - Candelara 15 Marzo - ore 21,00 Monastero Serve di Maria 20 Marzo - ore 20,30 Chiesa di San Marcello Taranto 21 Marzo - ore 20,30 Chiesa S. Antonio ai Cappuccini - Martina Franca Rossano Calabro 22 Marzo - ore 20,30 Comunità Santa Maria delle Grazie Lamezia Terme Siena 26 23 Marzo - ore 20,30 Oasi Bartolomea 28 Marzo - ore 21,00 Parrocchia di Sovicille Graffiti a consapevolezza è la nostra luce interiore, è essere presenti a noi stessi, è lo Spirito dentro di noi che ci sussurra: “Niente ti è impossibile”. La consapevolezza mi risuona dentro come la nostra porzione di libertà e quindi di verità. Essere consapevoli è diventare responsabili della propria vita e della propria felicità. Essere consapevoli significa diventare artefici della nostra vita. Libera – vera – responsabile … mi ci sono sentita il giorno in cui ho smesso di mentire a me stessa e mi sono aperta alla consapevolezza di ciò che sono, in particolare di quanto sono egoista, bisognosa, povera, ferita … Ci sono molte energie positive in ognuno di noi ed è bene esserne consapevoli altrimenti si vive pressati, ripiegati, schiacciati, tristi. Ma la consapevolezza che ho scoperto più preziosa è stata quella dei miei “buchi neri”…è stato liberante, è stato tornare a nascere. Se siamo consapevoli, siamo perseguibili per il male che possiamo arrecare a noi, agli altri, alla vita, ma nello stesso tempo possiamo brillare per quanto di creativo, generoso, amorevole, sappiamo fare e dire … la consapevolezza ci rende veri, ci riconduce a noi stessi e ci porta agli altri. La consapevolezza è anche la chiave della giustizia. Se sono consapevole del mio limite e della mia finitudine, sarò accogliente e misericordiosa dinanzi alla povertà dell’altro. I nostri rapporti saranno intessuti di giustizia se saremo consapevoli della nostra grandezza tanto quanto del nostro limite. La consapevolezza ci farà cantare “Ti lodo per- L ché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 138) e trasformerà il nostro canto umano in preghiera e lode. Consapevoli della grandezza che è in noi e nello stesso tempo della fonte di questa bellezza, cioè Dio, il divino. Noi siamo stati fatti come prodigi! Quando Dio guarda l’uomo, quando guarda me, quando guarda te, vede una “cosa molto buona”(Gen 1,31). Dobbiamo esserne consapevoli, dobbiamo prenderci cura della nostra somiglianza con l’Infinita Bellezza, dobbiamo custodire l’immagine del nostro ESSERE perché questa è la nostra partecipazione alla divinità, è quella scintilla di perfezione, di eterno, che ci abita. La consapevolezza deve condurci verso un grande abbraccio, deve farci sorridere, sorprenderci, commuoverci del nostro splendore così come della nostra fragilità amata e forse anche voluta, perché fossimo capaci di tenerezza, di debolezza, di pace e di calma. La consapevolezza ci rende veri e quindi degni di stima. L’esser veri ci rende liberi. L’esser liberi ci rende responsabili, adulti. Siamo consapevoli! Abbiamo un tesoro in un vaso di creta (2Cor 4,7)…questa è tutta la grandezza della nostra vita: l’umiltà, la fragilità, il bisogno dell’altro – del vaso di creta – e la bellezza, la preziosità, lo splendore, il valore – del tesoro –… l’uno dentro l’altro, con consapevolezza! È il cammino di tutta una vita. Sorella Maddalena 27 iù vado avanti nella vita e più mi accorgo che (come ciascuno di noi, suppongo) mi ritrovo sempre a dover affrontare quel dato nodo esistenziale, quella ferita emotiva... Ma mi accorgo anche che ciò avviene, ogni volta, con un grado maggiore di profondità, ossia con una maggiore consapevolezza! Una consapevolezza, dunque, sempre maggiore, ma un processo che, in fondo, non si arresta mai. Secondo me la consapevolezza non è uno stato della mente ma, al contrario, è uno stato dell’ animo, quando noi semplicemente ci poniamo davanti a Dio e, fidandoci del suo amore, riusciamo a vederci così come Lui ci vede. Quando riusciamo ad essere nell’ attimo presente, ponendoci di fronte a noi stessi senza giudicare. Non è facile da raggiungere ma è una grande conquista. È la pace! Il nostro dialogo con Dio, il nostro donarci a Lui così come siamo, l’accettazione di tutto e la disponibilità a rimettere tutto nelle sue mani per la realizzazione di noi stessi solo con l’aiuto della sua grazia, questo in fondo non è altro che il vivere come bambini che Gesù ci indica come via per avere, già qui sulla Terra, il Paradiso! Infatti i bambini hanno molto senso pratico, essi sono nel presente e non fanno come noi adulti che siamo sempre alle prese col passato oppure ci rifugiamo nei sogni per il futuro! La consapevolezza allora è anche la semplicità; la consapevolezza è il riconoscere i propri limiti; la consapevolezza è sentire col cuore; la consapevolezza è l’ amore! Paola P 28 he dire della consapevolezza? Sinceramente ho difficoltà ad esprimere questo concetto, ho provato a scrivere qualcosa e poi rileggendo quello che avevo scritto a distanza di giorni mi sono chiesto se avesse senso. Allora ho chiesto ad alcune persone cosa ne pensassero loro della “consapevolezza” e mi hanno guardato come per dire “ che cavolo di domanda è”? Poi insistendo su questa domanda che li metteva in difficoltà sono venuti fuori vari pensieri. A volte sentiamo dire fra persone che discutono “sei consapevole di quello che dici”? Probabilmente possiamo essere consapevoli di ciò che diciamo, ma forse la consapevolezza non implica necessariamente la comprensione. In senso generico credo che la consapevolezza sia l’idea che ci facciamo di quello che percepiamo, un concetto relativo uno stato interiore. La mia idea sull’essere consapevoli si avvicina al sentire di esserci, esserci quando ti svegli, quando ami, quando mangi, quando lavori, quando ascolti gli altri o semplicemente quando non fai niente. Vivi il tempo e lo percepisci nel suo intimo, mi piace questo modo di pensare alla consapevolezza, vivi il tuo tempo e ti senti padrone delle tue azioni. Marco C n un momento molto difficile della mia vita stanca psicologicamente e fisicamente ho detto: “Papà non ce la faccio più. Sono stanca di lottare, di andare avanti, non vedo davanti a me un futuro sereno.” Sul mio comodino c’era la Sacra Bibbia e aprendo una pagina a caso ho letto: “Dice il Signore degli eserciti:riprenderanno forza le vostre mani. Voi in questi giorni ascoltate queste parole dalla bocca dei profeti; oggi viene fondata la casa del Signore degli eserciti con la ricostruzione del tempio.” (Zaccaria 8; 9 ) Molti potrebbero dire che è solo una coincidenza. Io vi posso dire invece con assoluta certezza e FEDE che in quell’istante non ero da sola così come non lo sono e non lo siamo in ogni istante della nostra vita. Fino a poco tempo fa mi rammaricavo del fatto che nella vita ho ricevuto tutto ed io al contrario non sono riuscita a dare mai niente. Oggi invece mi rendo conto che sono un essere umano e in quanto tale se aspettassi di essere perfetta non amerei mai quel Padre che mi ama così come sono. Quando si vivono determinante esperienze ed emozioni è difficile non credere che ci sia Qualcuno che, da un punto imprecisato dell’universo, muove le fila delle nostre esistenze pur lasciandoci sempre liberi di prendere le nostre decisioni. Sono convinta che quando nasciamo il libro della nostra vita sia già scritto; sta a noi fare in modo che il film della nostra vita segua la sceneggiatura da esso tracciata. Dina I a consapevolezza nel mio personale cammino ha voluto dire più che altro accettazione, ogni volta che sono diventata consapevole è stato quando sono riuscita ad accettare le situazioni, le persone per quello che sono senza avere alcuna pretesa di cambiarle. E certo questo mi è derivato dalla consapevolezza che ciascuno di noi è quel che è, è il risultato del proprio percorso, del proprio vissuto, e comunque al di là della sua volontà è un’anima in evoluzione. Il mio prendere coscienza, e quindi diventare consapevole, che ciascuno si evolve con i propri tempi, con i propri mezzi e limiti, è stata per me una liberazione basata sull’ accettazione dell’altro e sul tentativo di amarlo così come è senza farmi coinvolgere nelle mie pretese e nei suoi bisogni. Non è stato e non è per niente facile, ma ogni volta ci provo ad essere consapevole di quello che mi accade e ad accettare quel che è con la consapevolezza che tutto ciò che mi viene inviato è sicuramente necessario alla mia crescita...non sempre ci riesco, anzi spesso torna fuori quel carattere focoso che vorrebbe gestire e far andare il mondo secondo il suo volere...prima mi arrabbio e poi sorrido di me stessa e riparto daccapo, una, cento, mille volte senza perdere mai la speranza di riuscirci ed avendo la consapevolezza di essere un’anima in viaggio. Antonella iao, sono l’Anna di Urbino, appena tornata dalla Costa d’Avorio.. Da un villaggio di capanne e manioca e caucciù non lontano dalla città, non lontano dalle foreste, non lontano dall’oceano, pieno di donne instancabili, bambini seminudi o vestiti di stracci, C L povertà e dignità, fatica e allegria.. Riguardando le foto che ho fatto c’è questa che mi fa pensare alla consapevolezza. Anna 29 o letto e riletto l’ultimo numero del giornalino, sarà che sono in un periodo della mia vita in cui per la prima volta ho capito cosa vuol dire non essere forti, fin ad ora sono sempre stata decisa, diretta per la mia strada, volta a raggiungere i miei obiettivi con tenacia e forza. Ora invece mi sembra di non esserne più capace. Mi sono chiesta più volte il perché, e la risposta mi è arrivata nell’ultima pagina, quando ho letto il tema del numero: la consapevolezza. Non sono più forte perché non so più dove andare, ho voglia di vivere, di aiutare gli altri, di capire ed ogni giorno è un occasione in più per farlo, per osservare la natura come il traffico, respirare aria pura come smog… è qui che viviamo sospesi tra il buono e il cattivo. In questo equilibrio, tra ragione e sentimento, tra mente e cuore, mi trovo in attesa di capire il mio cammino, la mia strada. Forse fino ad ora ho corso troppo, dopo una laurea, un master e tra pochi giorni una seconda laurea, con un lavoro che mi piace ma precario.. mi sento instabile. A 26 anni mi chiedo quale è questa la mia direzione? Sono sul sentiero giusto? La mia consapevolezza è che adoro scrivere, che adoro parlare ai miei studenti, fermare gli istanti in uno scatto fotografico, prolungare la felicità di chi amo.. La mia consapevolezza è che non c’è certezza nel mio cammino, non so cosa mi aspetta dietro la prossima curva, una salita, una discesa? Cerco di essere sempre me stessa e di sperimentare nuove parti di me, spolverare angoli nascosti, giocare con la vita di ogni giorno, consapevole della sua infinità ricchezza e instabilità. H bisogno c’è di pensare alla fuga? Stare di fronte a noi stessi diventa tragico (e incita all’evasione) nel momento in cui ci giudichiamo, prendendo così le distanze da noi, ma di per sé non dovrebbe rappresentare niente di male. L’evasione appare come un concetto privo di senso, se impossibile per principio. Se sono destinato ad essere sempre consapevole di me e delle mie azioni, voglio trarre da questo fatto non l’angoscia del giudizio, ma il senso di responsabilità per questa piccola immagine di me, che mi costruisco osservandomi, cresce con me e di cui voglio imparare a prendermi cura. Consapevolezza come stare di fronte a noi stessi... e niente più! Marco Claudia ualche anno fa, cercando di fare un condensato dei miei studi di filosofia, la cosa migliore che ero riuscito a sintetizzare è che “non si sfugge alla coscienza”. Viaggiamo, lavoriamo, ci incontriamo, amiamo, soffriamo e siamo felici, ma ogni volta che ci caliamo nel mondo non possiamo in ogni caso fare a meno di guardarci anche dal di fuori, e giudicarci nelle nostre azioni. Allora credevo che la consapevolezza fosse questo fatto di vivere osservandosi, e mi sembrava che non fosse possibile sottrarsi ad essa. Oggi lo credo ancora, ma in più mi chiedo: che Q 30 a parola “consapevolezza” evoca molte accezioni, una più bella dell’altra. Innanzitutto, significa presenza a se stessi, sapere chi siamo, cosa siamo venuti a fare qui, su questa terra, in questa vita. Qual è il nostro compito, quale il nostro destino; vuol dire conoscere noi stessi, avere ben chiare le nostre priorità, i nostri valori ed agire di conseguenza. L Consapevolezza è quindi anche capacità di scelta,è poi gratitudine. È rendersi conto della fortuna che abbiamo, dei doni che il Signore ci fa e saperlo ringraziare con tutto il cuore. Consapevolezza è inoltre lucidità. È l’aver capito che ogni nostro pensiero, parola, azione, provoca una reazione corrispondente nell’Universo, ha una ripercussione al di là della nostra immaginazione e comprensione, come quando lanci un sasso in uno stagno e si formano delle ondine concentriche che man mano si allargano. Portiamo quindi l’enorme responsabilità di ogni nostro pensiero, ogni nostra parola, ogni nostro gesto, ogni nostra azione. Più ne siamo consapevoli, più è grande la nostra responsabilità. Consapevolezza è anche pienezza, è coscienza delle proprie potenzialità, è l’aver capito che Dio ci vuole a Sua immagine e somiglianza e, in quanto tali, abbiamo il dovere e la capacità di perfezionarci giorno dopo giorno così da vivere sempre di più la Sua volontà, da dispiegare sempre meglio tutte le facoltà che ha seminato in noi, così da diventare veramente Suoi strumenti. Senza presunzione alcuna, consapevolezza è coscienza che, quali uomini, siamo al vertice della PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a marzo approfondirà il tema: “LA FEDELTÀ”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 15 febbraio 2007), preferibilmente alla nostra e-mail: mail@ romena.it UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo sul c.c.p allegato. CASSA COMUNE: è composta dai vostri c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e ampliarne la diffusione (in carceri, istituti, associazioni, gruppi, ecc.) PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, o se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci. SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 18 alle 20, sabato e domenica quando vuoi. creazione ed è nostro dovere sviluppare ogni nostra potenzialità. Consapevolezza infine è essere presenti fino in fondo, ora, adesso, qui, lucidi, coscienti che la vita è un dono prezioso, che non va sprecato, ma vissuto nella sua pienezza ad ogni istante. Consapevolezza è saggezza, è maturità. Sono ben lungi dall’averla raggiunta. Susanna FRATERNITA’ DI ROMENA - ONLUS - Per darci una mano La nostra associazione è giuridicamente riconosciuta come ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuole dare un contributo può beneficiare delle agevolazioni fiscali previste contenute nel decreto legislativo 460 /1997. Il versamento può essere effettuato tramite: - C/C Postale n. conto 38366340 intestato a: Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo - Bonifico bancario su C/C n. 3260 c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390 CAB 71590 intestato a Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo, specificando nella causale “Offerta Progetto Romena” 31 Il più difficile in questo mondo è restare se stessi; non si deve buttare via la propria vita per uno scopo che sia astratto dalla vita. Foto di Massimo Schiavo Dostojewski