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consapevoli - Fraternità di Romena

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consapevoli - Fraternità di Romena
CONSAPEVOLI
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno X n° 4/2006
3
Primapagina
Attraversare la realtà
6
4
La sinfonia del creato e le sue note
I colori dei segreti
8
10 È una questione di mani
L’esigenza dell’altro
12
14 Aprirsi alla coscienza universale
SOMMARIO
La via dell’incontro
18
20 Perché non ci ascoltate?
Il pane è per tutti
22
È Dio e mi assomiglia
24
Graffiti
27
23 Avvisi
26 Le veglie
trimestrale
Anno X - Numero 4 - Dicembre 2006
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel./fax 0575/582060
www.romena.it
e-mail: [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Simone Pieri - Alessandro Bartolini - Massimo Schiavo
Stampa:
Arti Grafiche Cianferoni - Stia (Ar)
FOTO:
Massimo Schiavo, Alessandro Ferrini, Eliseo Pieri
Copertina: Massimo Schiavo
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Pierluigi Ricci, Stefania Ermini, Maria Teresa
Abignente, Wolfgang Fasser, Francesca Abignente.
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
PRIMAPAGINA
“Sai qual è il vantaggio di noi disabili?” Elda si protende dalla carrozzina, allunga la testa
quasi come se le parole le dovesse agguantare nell’aria. Prosegue. “Immagina che io voglia
invitarti a prendere un caffè. Innanzitutto devo trovare qualcuno disposto ad accompagnarmi.
Poi occorre un bar senza troppi scalini e con la porta d’ingresso sufficientemente grande. Alla
fine proverò a pagare, ma sarà difficile perché quasi nessun bancone è agibile, per noi”.
E i vantaggi? Il mio pensiero galleggia un secondo, il tempo che le serve per riprendere fiato:
“Ma lo sai qual è la vera differenza tra il mio e il tuo caffè? Che io lo voglio davvero. L’ho
scelto, mi sono dovuta impegnare per arrivare a prenderlo. E tu? Forse non ti sei neanche
accorto di averlo bevuto”.
Ride Elda, e quel sorriso quasi beffardo è il recinto in cui va a chiudere il suo ragionamento:
“La disabilità non ti permette di coltivare desideri superficiali, né di fare le cose a caso.
Perché ogni cosa che fai costa impegno, fatica, coinvolge altre persone. Allora devi volerla,
con tutta te stessa. E questa consapevolezza ti permette di essere costantemente a contatto
con i tuoi veri bisogni”.
Sei consapevole dell’ultimo caffè che hai preso? Ci provoca la mia amica. E non è una questione di gusto: è proprio un fatto di presenza, fisica, psichica, mentale. C’eri o non c’eri
davanti a quella tazzina? Ti sei immerso in quel piccolo piacere, o te ne sei semplicemente
liberato, come di mille altre cose che, durante la giornata, hai fatto senza farci caso. Come
se non fossero la tua vita.
La consapevolezza misura quanto, nelle nostre azioni, è davvero espressione dei nostri bisogni
più profondi. Perché, ci suggerisce Elda, ai fini del nostro star bene non conta tanto la quantità
di cose che riusciamo a fare, quanto il dar voce a ciò che davvero ci sta a cuore.
Quando avevo 12 anni detti per la prima volta un nome alla curiosità che avevo sul mondo
e alla voglia di raccontarlo: volevo fare il giornalista. Quel desiderio era così profondo e
cristallino che per molti anni mi ha spinto oltre ogni difficoltà, alimentando un entusiasmo
che sembrava inesauribile. Poi c’è stata una fase in cui è subentrato uno smarrimento: quella
che era diventata la mia professione mi corrispondeva ancora? Perché mi sentivo appesantito
e, talvolta, disilluso? Ora posso dire che avevo perso il contatto con i miei bisogni più veri.
Che erano gli stessi, ma si erano evoluti, mi chiamavano a una qualità diversa. Romena era
al centro di questa partita. Ma che fatica capire, ogni volta, aggrovigliati come siamo in
un viluppo di bisogni e desideri: il posto sicuro, il successo, il guadagno, il ruolo sociale…
Tutto conta, nulla ci deve mancare, solo che per muovere contemporaneamente tutti i fili della
nostra vita, finiamo per smarrire quello che la sostiene davvero. Pochi giorni fa parlavo con
un’amica che ha quattro figli, di cui due piccolissimi. Mi diceva di essere molto contenta della
sua vita, anche se non ha praticamente più tempo per sé. “Ho capito che non c’è niente di
più bello che veder crescere un figlio” mi ha detto. “Ogni giorno lucido questa parte della
mia vita e sento che da essa traggo le energie più positive. E dando valore a questo aspetto
mi accorgo che tutte le cose che non riesco più a fare sono meno importanti, meno vitali”.
Il cammino della consapevolezza parte da qui. Dal riconoscimento di ciò ‘di cui non possiamo
fare a meno’. Comincia con un’azione di lucidatura: sotto uno strato di priorità apparenti,
dobbiamo far brillare ciò che davvero esprime la nostra autenticità.
Perché quella è la scintilla che accende tutta la nostra vita.
Massimo Orlandi
ATTRAVERSARE LA REALTÀ
di Luigi Verdi
L’uomo di oggi cerca di stare al passo del Passare dalla consapevolezza del limite alla
tempo che corre, mentre le foglie che cadono consapevolezza di sé è un processo lento, che
davanti alla Pieve hanno tempi diversi e per- dura una vita: non si può essere più consapesonali.
voli senza essere più lenti.
Uno dei tratti più evidenti della vita quotidiaCome questa giornata di autunno il presente
na contemporanea è la velocità, siamo più veè stratificato, complesso e i suoi confini non
loci di quanto non fossero tutti coloro che ci
sono chiari. Non credo ci sia modo migliore
precedettero al mondo.
di conoscere questo presente che incontrarsi
La velocità non ci piace o forse sì, sta di fatto
con esso. Se voglio conoscere il bosco devo
che ci porta ad una sterilizzazione del conteattraversarlo, se voglio conoscere l’altro e la
nuto emotivo e a una ridotta capacità di rifletrealtà devo attraversarla attentamente. Un dettere su motivo e scopo del vivere.
to ebraico dice che “Dio sta nei dettagli”.
Così oggi viviamo nel mondo dei cocci, delOccorre fermarsi e ascoltarsi, ricucire il pasle eccedenze e dei modelli sempre superati: i
sato, come l’identità, interpretare gli avvenirapporti postmodermenti e poterli rini sono frammentaconoscere.
Nasciamo, per così dire,
ri, discontinui, riLa consapevolezza
provvisoriamente da qualche parte,
stretti e superficiali
si raggiunge quansoltanto a poco a poco
nel contatto.
do la nostra umaniandiamo componendo in noi
Anche l’immagine
tà è sobria e lucida,
di sé si frantuma
il luogo della nostra origine,
un vivere desto e
in una raccolta di
per nascervi dopo,
proteso verso “alistantanee; invece
e ogni giorno più definitivamente
tro” accettando sedi costruire la prorenamente l’oggi.
Rainer Maria Rilke
pria personalità con
Dobbiamo essere
gradualità e pazienconsapevoli che le
za, come fosse “una”, si preferisce “ricominstorie che viviamo sono prima di tutto luoghi
ciare sempre dall’inizio”.
e i luoghi abitati richiedono il tempo della paLa felicità oggi è una fuga dall’insoddisfazio- zienza e della tenerezza.
ne, le città si trasformano più rapidamente del Il tempo dell’amore per la verità.
cuore dell’uomo.
Dobbiamo salvare i nostri giorni da ansie e
Oggi chi entra in crisi fatica a crescere per- preoccupazioni, da pigrizia e agitazione viché la crisi personale si scontra con quella vendo il più possibile totalmente fedeli al
della società e della cultura, vi è in noi una passato, totalmente essenziali nel presente,
coscienza ferita che vive sotto il segno del- totalmente aperti al futuro.
l’emergenza.
A cosa mi porterà la consapevolezza?
Si cerca sempre di rimediare alle emergen- Credo che se abbraccerò la consapevolezza
ze senza avere mai il tempo di fermarsi e alla tenerezza, alla fine del cammino sarò
ascoltare.
consapevole della cosa più inconsapevole,
In questo mal-essere tutti si fatica a trasforma- che il mio “io” più intimo non mi apparre il disagio in responsabilità.
tiene.
Foto di Alessandro Ferrini
Maturare
è permettere
alla durata
di fare in noi
la sua opera
di pace.
LA SINFONIA DEL CREATO E LE SUE NOTE
di Giovanni Vannucci*
Dio crea ogni filo d’erba che viene all’esistenza, di insostituibile e di inalterabile.
ogni lombrico che serpeggia sulla nostra strada. Ciascuno di noi è così: viene da Dio, è stato penOgni formica, ogni atomo, ogni più minuscolo sato da Dio, voluto da Dio con quei talenti, con
organismo è creato da Dio. E di questo dobbiamo quella grandezza, dignità, forza mentale, forza
renderci sempre più consapevoli perché altrimenti di volontà, sensibilità che ha. Vedete come è imrischiamo di non capire niente dell’esistenza e portante ritrovare la verità religiosa del creato per
soprattutto rischiamo di sbagliare nel nostro com- poterci poi comportare religiosamente con tutte
portamento di rapporto, di coscienza, di amore, le creature. Perché se io dimentico che voi venite
di libertà verso gli esseri concreti e individuali. da Dio, posso cercare di darvi una particolare
Pensate come è immensa la visione religiosa del- forma, che però non corrisponde a quello che voi
l’universo offerta a noi cristiani: ogni creatura che siete; allora voi soffrite, non avete quella vivezza
viene all’esistenza porta in se stessa un mistero e quella forza di vita che altrimenti voi avreste.
profondo che non nasce dal mondo del visibile, Voi vi rattristate, appassite, non date nella vita e
da tutto quel concatenamento di cause che l’ha nell’universo tutto quello che altrimenti avreste
prodotta all’esistenza, ma viene da Dio.
dato, se non ci fosse stato questo mio intervento
Ogni filo d’erba è stato pensato e amato e voluto di violenza e di alterazione.
da Dio che l’ha chiamato all’esiQuesta consapevolezza – che
stenza dal nulla. Ogni atomo,
ogni essere viene all’esistenza
Ciascun essere
ogni granello di pulviscolo atmo- è stato pensato, voluto, con le sue leggi essenziali, con
sferico, ogni granello di sabbia
la sua verità ultima, con la sua
amato da Dio.
delle nostre spiagge esiste perché
realtà santa e luminosa – ci perDio l’ha pensato e l’ha voluto
mette di avere un comportamento
così, l’ha amato e l’ha chiamato all’esistenza; e la e un rapporto giusto e religioso con tutte le altre
grandezza di ogni creatura è il pensiero di Dio che creature. Perché se io so che voi venite da Dio,
essa racchiude ed esprime. Il filo d’erba nella sua che non venite dalla carne e dal sangue, io non
perfetta struttura e nella sua bellezza commovente oserò mai alterare quello che c’è di grande, di
è stato, prima di esistere, pensato da Dio.
nobile, di vero e di potenzialmente autentico
Posso fare un paragone. Il compositore che scrive nella vostra esistenza. E il mio rapporto verso di
una sinfonia pensa e vuole che ogni nota abbia la voi sarà un rapporto religioso, di attenzione, di
sua risonanza. Se voi saltate una di queste note, amore, di dedizione, perché quei germi di vita e
oppure le eseguite in una tonalità differente, de- di grandezza che sono in voi possano crescere e
formate tutta la composizione dell’artista. Così manifestarsi in tutta la loro forza, la loro potenza,
noi e tutte le creature nella meravigliosa armonia in tutta la loro vitalità, altrimenti manca qualcosa
dell’universo siamo delle note insostituibili e in- all’armoniosa realtà dell’universo.
deformabili, perché io vengo da Dio, ciascuno di Il nostro pensare deve essere un pensare concreto.
voi viene da Dio e ciascun uomo viene da Dio. Io Io vi devo avvicinare, non attraverso lo schermo
vengo da Dio e sono un aspetto, un segmento, un di una definizione, ma proprio nella vostra realtà,
piccolo frammento dell’immagine e somiglianza nella vostra individualità. E la mia preoccupaziodivina che viene poi riflessa per tutta l’umanità. ne deve essere quella di scoprire quello che c’è di
Io sono un piccolo tratto del volto che Dio sta luminoso in voi, perché mi sentiate una presenza
elaborando e tratteggiando nel creato e in tutto pronta a darvi tutto quello che dipende da me,
lo schermo costituito dall’umanità. Ma questo perché la vostra luce possa erompere in tutta la
piccolo segno, questo piccolo segmento che sono sua intensità, la vostra vita possa esprimersi in
io, questa piccola particella di calore è qualcosa tutta la sua forza, in tutta la sua verità.
* Tratto dagli "Esercizi spirituali" di Padre Giovanni Vannucci. Edizioni Romena 2005
A Dio per realizzare
il suo sogno,
è necessario entrare
nel sogno degli uomini;
e l'uomo
deve poter sognare
i sogni di Dio
Foto di Daniele Guarise
Abraham Heschel
I COLORI DEI SEGRETI
di Maria Teresa Marra Abignente
Siedo sui gradini dell’altare della Pieve la dome- soffiare, non crediamo che possano esserci alnica pomeriggio e il mio sguardo incontra tanti ternative. E quel che scopriamo di noi finisce
volti che ormai conosco, come conosco le storie inevitabilmente per non piacerci. Come fosse la
della loro vita. E mi sembra che ognuno porti parola conclusiva, appunto. E invece potremmo
sulle spalle il peso del suo cammino. La strada per semplicemente attingere a quella sorgente che
molti è faticosa e dura. Ci ritroviamo là, a cercare ci rimanda poi sempre più in fondo, fino alla
un pò d’eternità sulla quale far riposare i nostri sorgente profonda della vita. Potremmo cioè
passi. Plachiamo le ansie, mettiamo a tacere le sentirci liberi di comprendere le sofferenze e le
parole, veliamo la luce e ci concediamo un’attesa, violenze, le ansie e le delusioni, le fragilità e le
uno specchio in cui poterci guardare.
imperfezioni nel cerchio del mistero delle nostre
Sono questi momenti un’occasione preziosa, esperienze e della nostra realtà. Riappacificandoci
sono la possibilità di consentirci una tregua e di con il tutto, perché niente di quel che sentiamo
rendere evidenti le ferite, che finalmente trovano stridente in noi può esserci ostile, se riusciamo
le screpolature attraverso le quali sanguinare.
a comprenderlo e ad amarlo. Non sarà indolore:
E siamo in questi momenti tutti
qualcosa dentro di noi gemerà
un po’ più consapevoli di noi
e si ribellerà; altre volte invece,
La consapevolezza
stessi, perché viene in nostro
più naturalmente, questo qualè uno sguardo sereno,
aiuto il silenzio. Le parole a
cosa che ci appartiene e che
una carezza
volte sono troppo pesanti e
soffre ci permetterà di essere
sulla nostra vita.
restano in fondo al cuore e così
guardato senza vergogna.
i silenzi prendono il colore dei
È come aprire un cassetto e
nostri segreti. Quei segreti che sono le cose che ammirare cosa salta fuori: la foto dimenticata
non sappiamo dire perché fatichiamo a capirle, che ci evoca nostalgie, la lettera che un tempo
quei segreti che ci tormentano e che fanno cam- abbiamo riletto cento volte, il piccolo oggetto che
biare la tinta della giornata, quei segreti che ci ci ha fatto sorridere, il fazzoletto che ha asciugato
rendono talvolta sconosciuti a noi stessi.
le nostre lacrime una notte… E tutto quel che
E allora c’è bisogno di prendere la nostra vita spunta e ci sta lì davanti ci commuove, perché ci
tra le mani e guardarla così, come negli occhi, dà il riflesso della nostra vita. Ci dà il battito del
perché gli occhi non hanno bisogno di parole nostro cuore, quando a volte accelera o quando
per comprendersi. Il primo passo verso la con- sembra fermarsi e schiantare. Ma è là, ed è la
sapevolezza è proprio questo guardarsi, che non nostra vita, che ci ricorda che nulla si perde di
consiste nel pesare o nel misurare la bravura o la quel che siamo e che abbiamo vissuto e che tutto
fragilità, ma è uno sguardo sereno, una carezza viene trasformato in tesoro, se solo riusciamo a
sulla nostra vita. È la mano leggera che sfiora scoprirlo. E a capirlo.
il ruvido e il morbido, le rughe e le levigatezze Così, certe volte i nostri segreti prendono un
che si compongono dentro di noi. E questo non colore nuovo e danno la sfumatura a quel che è
può farci paura se lo facciamo onestamente, cioè trascorso e a quel che ci viene incontro; ci danno
nella verità, senza mentire a noi stessi, ma senza una nuova chiave di lettura, mettono un po’ più
neanche voler essere a tutti i costi i giudici spietati a fuoco il percorso e ci consentono di cammio i medici pietosi dei nostri errori.
nare più sicuri e liberi. E improvvisamente, con
Abbiamo spesso la sensazione dell’irreparabile un’intuizione, ci illumina il pensiero che ogni
quando guardiamo la nostra vita; abbiamo troppo giorno è l’inizio di un viaggio e che ogni giorno
spesso l’equivoca impressione del definitivo, si nasce per vivere e sperare, con gli occhi un po’
dell’irreversibile, come se si trattasse sempre più limpidi ed il cuore un po’ più leggero, con la
dell’ultima parola. Non ci concediamo possibilità, libertà regalataci da un segreto rivelato. E con un
non apriamo il cuore a tutti i venti che possono granello di amore in più.
La comunità
viva
non è nell'essere
uno vicino
all'altro
ma uno con l'altro.
Foto di Alessandro Ferrini
Giovanni Vannucci
È UNA QUESTIONE DI MANI
di Pierluigi Ricci
Il meraviglioso gioco della vita su questa terra
è interamente dominato da una regola che per
importanza supera tutte le altre, condizionando
nel profondo il comportamento di ogni
giocatore e l’esito di ogni sua azione. Non è,
come crediamo quella del “cambiare” quanto
piuttosto quella del “capire”.
L’essere umano non ha bisogno di superare tutti
i problemi, di evitare le sofferenze, di risultare
bravo o buono. Ha bisogno di significati, di
nuovi punti di vista e di scopi per la vita. Ha
bisogno di consapevolezza.
Non esistono cose nocive o prove che possono uccidere. Esistono esperienze che, se non
capite, diventano nocive: acquistano potere
e prendono il sopravvento. Solo ciò che si
conosce può diventare gestibile e costruttivo.
Si può guarire solo da ciò a cui si riesce a dare
un nome.
La consapevolezza non è uno stato dell’essere
quanto un cammino, un impegno con se stessi.
A volte penso che sia addirittura lo scopo del
gioco della vita: siamo su questa terra per capire
il gioco e tornare alla base.
Se questo ti può sembrare semplice, provalo e
vedrai che non lo è affatto, anche perché dietro
l’angolo spesso si incontrano esperienze capaci
di rimetterti in confusione e di obbligarti a
rivedere tutto. La confusione è tutt’altro che
negativa, se la accetti. Mentre rimescola le
carte, toglie i dogmatismi, le false sicurezze e
ti invita a voltare pagina, ad andare avanti.
Conoscersi, dare un nome alle nostre cose, ai
nostri malanni, ai problemi, ai nostri sentimenti,
ai nostri bisogni è davvero difficile. Quante
parole false, quante menzogne siamo capaci di
raccontarci ogni giorno!
È importante però cercare di essere concreti:
la consapevolezza non viene dal cervello, ma
dalle mani.
È istintivo credere il contrario. Ci hanno da
sempre abituati a riflettere. “Pensa prima di
agire, così sai quello che fai”: quante volte ce
lo siamo detti. Poi ti accorgi che pensi pensi e
10
agisci poco e che comunque l’immagine di te
si costruisce intorno ai giudizi, alle paranoie ed
è fatta più da ciò che supponi di essere, che da
quello che sei veramente. E non c’è mai novità,
non c’è sorpresa.
Non credo alla meditazione o almeno non ci
credo come strada per conoscersi nel profondo
e per incontrarsi. Può servire dopo, per rivedere
il proprio operato e per interiorizzarne il significato. Penso che la regola per la consapevolezza
non sia: prima pensare poi agire. Penso che sia:
prima agire, poi pensare.
“Non chi dice Signore, Signore entrerà nel
regno dei cieli, ma chi fa…”
Quando agisci crei e in quel riverbero di energia
ci sei tu. E ciò che crei, incontrandosi con gli
altri e con le cose ti ritorna addosso e ti dice,
ti parla. Parla di te. E non consiste in ciò che
gli altri ti rimandano verbalmente. Quello che
ti arriva può piacerti o non piacerti in quel momento, ma è un pezzo di te.
Mentre agisci ti senti, ti risvegli perché ti emozioni, ti muovi e ti percepisci e quello sei te.
L’azione crea lo stato d’animo, lo modella lo
decide e quello sei te.
Credo che quando Gesù ci ha detto che il divino
sta in un pezzo di pane, in qualcosa di estremamente materiale intendesse dire anche questo:
se vuoi perforare la Conoscenza devi partire da
ciò che di più materiale hai: le tue azioni.
La consapevolezza è veramente una questione
di mani.
Non è forse vero che in certi momenti in cui ti
sei raccontato a qualcun altro – anche questa è
un’azione concreta – parlando a lui hai cominciato a sentirti ed a capirti di più?
Per conoscersi non serve il far bene, serve il
fare. Poi nel cammino raddrizzi il tiro. È il momento della decisione e dell’azione che attiva
le energie del sapere. Solo questo spiazza i tuoi
vecchi parametri, li sconvolge e ti sorprende.
Ed è il nuovo che cerchi. Ed è nuovo, non puoi
saperlo prima. Il comportamento è la radice
della consapevolezza.
Tenere gli occhi fissi
sulla terra, sulla realtà,
perché la terra
è quel campo sterminato
dove Dio ha nascosto
il suo tesoro,
è il luogo in cui
dobbiamo faticosamente
scavarne la presenza.
Foto di Massimo Schiavo
Ernesto Balducci
L'ESIGENZ A DELL'ALTRO
di Antonietta Potente*
La grande questione di oggi, nella nostra società occidentale, è la chiusura di ciascuno di noi nella
roccaforte del suo individualismo. Antonietta Potente, teologa domenicana che da molto tempo vive
in Bolivia, ci chiama a risvegliare la consapevolezza di un bisogno primario: quello di incontrare gli
altri. “Dovete essere più esigenti” ci dice. Dove «esigenti» sono coloro che non si fermano al proprio
«io». Ma cercano negli altri l’abbraccio con la propria incompletezza.
Il problema che vorrei condividere con voi è
questo: ci rendiamo conto che siamo in mezzo a
un grande movimento storico di persone che ci
raggiungono da lontano? Mi riferisco all’Europa
come a un luogo che sta diventando il posto di
altre culture, persone, stili di vita, cosmovisioni.
Mi chiedo se ne siamo coscienti o se siamo troppo
distratti dal nostro stile chiuso.
Il Dio più bello è un Dio itinerante
In Italia e in altre parti d’Europa oggi non stanno
arrivando soltanto degli emigranti che cercano
uno spazio per vivere, ma stanno arrivando una
sapienza differente e un’immagine di Dio differente. Quando si sposta una persona non si muove
solo una cultura: quando i popoli emigrano non
si spostano solo i modi di vivere di altre realtà e
spazi geografici, cambia anche Dio.
Il Dio più bello è un Dio itinerante, che cammina.
È interessante l’immagine della spiritualità
ebreo-cristiana della nube, della Shekinhà, che
rappresenta un Dio che non è un idolo, ma ha la
possibilità di camminare dove va il popolo; mostra
un Dio che ha sempre camminato.
Appartengo a una congregazione domenicana che
ha come ideale l’itineranza, il poter incontrare Dio
con altre persone, e vedo che a volte ci muoviamo
velocemente in molte cose pratiche per aiutarle,
ma non nell’esperienza di Dio: siamo pronti,
rispetto alle altre culture, a rispondere alle loro
necessità, a inventare spazi per soccorrerle, ma
non cerchiamo con loro un’altra esperienza di
vita, un’altra esperienza di Dio.
Queste persone vengono con la loro fede che non
è quella ufficiale, perché quando una persona
si muove da un Paese all’altro per cercare di
sopravvivere, non viene con la dottrina o con un
manuale di teologia, ma con la sua fede e il suo
sogno di sopravvivenza, di sopravvivere dentro
la sua storia.
Quando pensiamo che questi flussi immigratori
siano senza meta sbagliamo: hanno una meta che è
la dignità e il poter continuare a vivere. L’assoluto,
per la maggioranza dei popoli del mondo non è
una dottrina, non è un’immagine, non è neanche
un idolo, l’assoluto è la vita.
Le persone chiedono solo di poter continuare a
vivere in qualsiasi parte del mondo, per cui siamo
di fronte a questa domanda incessante dell’umanità di ricostruire e ricreare la vita, e nessuno può
ricreare la sua vita da solo.
Le spiritualità più vere sono quelle incomplete.
Il gioco del mercato non si fa solo nei grandi spazi
finanziari del mondo, nelle banche mondiali, o nei
fondi monetari, il gioco del mercato si fa anche
nella spiritualità, quando questa non risveglia il
desiderio di fare un cammino con un’altra persona, di ricercare altri stili, altri linguaggi per entrare
in relazione con gli esseri umani. Per entrare in
relazione con gli altri, dobbiamo fare spazio,
essere incompleti.
Tutte le spiritualità più vere sono le spiritualità
non complete.
L’errore di tante religioni, purtroppo anche della
religione cristiana, è quello di credersi l’unica
perché completa.
Una religione è unica quando è incompleta, come
una chiesa in cui tutti possono entrare e mettere
un quadro, tutti possono entrare e parlare un
linguaggio. Noi completiamo lo stile romanico e
ogni epoca completa la spiritualità delle cattedrali
romaniche; e proprio per la sua incompletezza il
romanico è uno stile, non come il barocco che è
così pesante che nessuno osa completarlo.
Nella nostra spiritualità cristiana, domenica
scorsa, abbiamo celebrato il giorno di Pentecoste
*Testo tratto dall’incontro di Antonietta con la nostra Fraternità, tenutosi a Romena il 10 di giugno2006.
12
nel quale tutti possono dire qualcosa, mettere il
proprio oggetto in uno spazio, fare un proprio
gesto: questo dovrebbe essere il cammino delle
nostre spiritualità più profonde in questo momento storico, ma anche delle nostre politiche
più profonde, perché non facciamo più l’errore
tremendo di dividere la vita. Viviamo in società
dualiste, che escludono, separano: alla vita spirituale ci deve pensare la Chiesa; gli ordini religiosi
e la spiritualità sono intesi come se fossero una
dottrina a parte.
L’umanità è stata rovinata dalla separazione dello
spirito dalla storia, della storia dallo spirito, dei
gesti dalla mente, delle parole dal cuore. Questo
non lo possiamo più permettere.
L’esperienza di Dio si fa negli spazi reali
Rispetto alla spiritualità, in Europa si è un po’
troppo individualisti: ciascuno cerca per conto suo
e si salva come può. Dovete invece
essere più esigenti. Nel senso più
bello esigenti vuol dire essere più
comunitari.
Non accontentatevi di camminare
ognuno per conto proprio, chiedetevi come essere esigenti, perché
oggi nessuno è asceta e isolato
dagli altri: con questo pretesto
le istituzioni si defilano e non si
impegnano, perché se ciascuno è
asceta e cerca per conto proprio, il
gruppo, la comunità non contano
più niente.
Noi latino-americani parliamo di
un impegno comunitario che chiamiamo misticopolitico.
L’impegno mistico-politico non vuol dire pensare
allo spirito e poi pensare agli altri, ma unire tutto
questo in una sola parola e in un solo intento e
rendersi conto che in questo momento la storia si
può cambiare.
In un incontro con le mie consorelle in preparazione ad un capitolo generale, dicevo che possiamo
entrare nella storia con il desiderio non di salvarci,
e neppure forse di salvare, ma di vivere con altre
persone.
Il nostro impegno non deve essere escatologico:
“Pensiamo al futuro”, l’impegno deve essere storico: “Come vivere con altre persone?”.
Non dobbiamo chiederci: “Come si salveranno
tutti nel futuro…Che cosa devo fare perché si
salvino tutti?”, ma: “Come viviamo tutti e tutte
in questo momento storico?”.
E come i generi maschile e femminile possono
fare spazio a altri? Come una cultura fa spazio a
un’altra cultura? Come il mio spirito fa spazio a
un altro spirito?
Non si tratta di essere “buoni” con gli extra comunitari, non basta questo; dobbiamo imparare a
vivere in un altro modo, e non sono le generazioni
passate che ce lo insegnano, è la nostra generazione, sono tutte le generazioni attuali.
Qui si fa l’esperienza di Dio, non nel cielo, ma negli spazi reali nei quali impariamo a fare storia.
I fenomeni del nostro tempo non sono fenomeni
solo politici o solo economici, sono problemi
umani che sono sempre stati spine nel fianco
della storia, chiodi per indicare che la storia si
ricostruisce non imitando modelli
ideali, ma ricreando una modalità
di relazioni nuove.
Noi europei dobbiamo uscire
dall’egocentrismo, oggi ciascuno
è troppo solo, troppo chiuso in
se stesso per poter continuare a
vivere, ma non siamo più soli,
siamo in tanti.
E siamo in tanti anche quando non
ci conosciamo.
Le capacità economiche dei paesi
del mondo devono essere messe in
comune, e anche la capacità di far
rinascere la vita deve essere messa
in comune: queste sono possibilità
che ogni sapienza deve condividere per essere nel
circolo della vita.
A volte pensiamo che non c’è più niente da fare,
ma ci sono altri che ci dicono che c’è ancora una
possibilità e non possiamo non ascoltarli, non
per bontà o per carità, ma perché solo gli altri
potranno darci un’intuizione di vita, una speranza
di vita.
Pensate come pellegrini dell’assoluto: l’assoluto
non appartiene all’Europa o alla Chiesa cattolica,
non appartiene a nessuno. L’assoluto lo manifestano le religioni, le ideologie politiche quando sono
ideologie aperte; lo esprimono le sapienze, non
la sapienza, e l’umanità stessa con la creazione.
L’assoluto lo viviamo quando stiamo insieme.
13
APRIRSI ALLA COSCIENZA UNIVERSALE
Di Wolfgang Fasser
“La coscienza non è dentro di me, sono io a esserne parte”.
Dal suo osservatorio speciale, quello di non vedente, il nostro Wolfgang ci invita a guardare gli immensi
spazi di consapevolezza che si aprono davanti a noi. Quando accogliamo, con fiducia, la vita.
Un’amica mi invita a sistemare un’aiuola nel suo
giardino. Mi piace la sua proposta e di buon mattino mi metto al lavoro. La terra è dura, non lavorata da anni; inizio a smuoverla col piccone. Poi mi
chino e comincio a togliere i sassi. Sento che ora
la terra si fa più morbida e comincia a sbriciolarsi
tra le mani. Ed è buffo, ma mentre lavoro ho come
la sensazione che ci sia una serpe lì, accanto a me.
Nessun indizio concreto, solo l’intuizione di una
presenza.
Non sono preoccupato né angosciato. È troppo bello godere del contatto con la terra smossa, e sentirla
farsi calda ora che accoglie i raggi del sole. Troppo
bello star lì, inginocchiato, con le mani immerse
fino ai polsi, a sentire quel profumo di natura risvegliata.
Il mio lavoro finisce, la mia amica si avvicina. Mi
propone di passare col suo rastrello per pareggiare
la terra e tirar via gli ultimi sassi. Le faccio spazio.
D’un tratto la sento sobbalzare: “Accidenti! Una vipera”. Tra le dita del rastrello il rettile sguscia via.
Ha detto Thich Nhat Hahn “Vivere fortemente l’ora
presente è la miglior preparazione al futuro”.
La consapevolezza è questo immergersi nella profondità del presente, è questo mettere le mani a contatto diretto con la concretezza della vita. Ci si sente consapevoli quando si è immersi nel fluire delle
cose, quando muoviamo armoniosamente la nostra
esistenza, così come io facevo con quelle zolle. In
quel momento ero così in sintonia con l’ambiente
circostante che la vipera, pur essendo accanto a me,
non si è mossa. Non si sentiva minacciata, per questo né scappava né mi attaccava.
Spesso il ruolo della vipera lo svolgono le nostre
paure. La paura che ci accada qualcosa, la paura
di pericoli reali o anche solo virtuali ci serve per
inibire la nostra vita, per limitarla.
In primavera, mentre sistemavo quel giardino, c’è
sempre la possibilità che una vipera possa transitare, e quella possibilità non va esclusa, ma quante
volte di fronte a un pericolo, spesso solo ipotetico, noi rinunciamo a vivere esperienze importan-
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ti, quante volte ci autolimitiamo prima ancora di
muoverci?
In tutto questo è decisivo il ruolo, spesso esclusivo, che attribuiamo alla nostra ragione. E invece
occorre saper andare oltre, e affidarsi anche a una
comprensione emotiva, spirituale, corporea di ciò
che ci accade.
La coscienza non ha casa solo nel mio cervello,
dentro di me, al contrario sono io a essere dentro
la coscienza, una coscienza globale, universale. Per
questo con la mia razionalità io so spiegare solo una
piccola parte, un piccolo frammento di ciò che mi
succede. Ma ci sono tante altre sfere in cui sono immerso: sono le sfere dell’istinto, della percezione,
dell’intuizione, dell’emozione. E la mia coscienza
deve aprirsi anche a questi spazi.
In America, durante un periodo di studi, ho conosciuto un anziano filosofo, Houston Smith. Diceva
sempre che noi siamo «prigionieri della mente dell’Occidente post moderno». Ed è vero. Per quanto
ricca e fertile la nostra mente diventa comunque
una gabbia se mi impedisce il contatto con le altre
sfere della consapevolezza.
Quale tipo di conoscenza mi permetteva di ‘sentire’ la
presenza di quella vipera anche se non potevo vederla? Quante volte abbiamo fiutato una decisione che
contravveniva a un ragionamento logico per poi scoprire che era davvero quella giusta? Spesso ho sentito
inquietudini crescere dentro di me senza che ci fosse
una ragione, ma è stato seguendole che ho compiuto
alcuni dei passi più preziosi della mia vita.
Per questo dobbiamo aprirci, accogliere ciò che
la vita ci offre anche quando parla un linguaggio
diverso, il linguaggio dei sogni come quello delle percezioni, il linguaggio delle emozioni come
quello dell’istinto. Quando il nostro «io» si rende
permeabile a tutte queste dimensioni ci permette
esperienze inconsuete, bellissime, come il mio incontro con la vipera.
È la fiducia nella vita l’alimento della nostra consapevolezza.
(testo raccolto da Massimo Orlandi)
Voltandomi indietro
trovo con molta gioia
che le svolte della mia vita
sono state sempre guidate
da Colui che chiamo l'amico
e la sua voce costantemente
mi avvisa - obbedisci,
poi capirai.
Arturo Paoli
Foto di Bruno Morandi
Inventiamo!
Non aspettiamo di essere istruiti.
Dobbiamo inventare.
L'amore è una questione
di immaginazione.
Annalena Tonelli
La via dell'incontro
di Stefania Ermini
È stato il prete degli operai. Poi quello dei prigionieri politici, in Brasile.
Ma don Renzo Rossi è stato ed è anche vicino a tante persone speciali: ha conosciuto da vicino
Don Milani, padre Balducci e David Turoldo, ha un’amicizia trentennale con Pietro Ingrao.
Amicizie che, in questo articolo, condivide con noi.
Lo usa poco quello sguardo. Tiene gli occhi chiusi
don Renzo Rossi. Muove solo le mani: le apre, le
sventola, le dondola. Gli occhi guardano poco. Mi
guardano solo quando mi fa entrare e poi, mi fa
andare. Don Renzo Rossi ha voglia di “incontrare”.
Si indovina dalla voce, incuriosita dalla mia
telefonata, che mi invita ad andarlo a trovare per
fare “due parole”, come le definisce lui.
Mi apre la porta di casa di un vecchio palazzo
nel centro di Firenze dove si respira il viaggio,
l’accoglienza, l’apertura. In quelle stanze disegnate
dai libri ci sono alcuni dei suoi amici, David Maria
Turoldo, don Milani, Giorgio la Pira, don Facibeni,
padre Balducci.
È nelle mani che don Renzo mette il suo ardore
per i ricordi, per gli incontri e con i suoi 81 anni
porta una storia intensa che odora di nuovo, di
mattino. Ne è consapevole lui stesso. “Vivo le
stesse impressioni, le stesse allegrie, le stesse gioie
di quando avevo 20 anni, sempre nella speranza
di qualcosa di nuovo. Uno dei doni più grandi a
essere prete è quello di conoscere, di incontrare.
Sono una sanguisuga perché prendo tutto quello
che posso dalle persone che incontro. Ho sempre
cercato di essere amico di tutti e questa amicizia
mi ha aperto alla comprensione degli altri”.
Usa ancora poco lo sguardo. Gli occhi si chiudono,
la pelle si stringe, il viso si trasforma. La fronte si
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piega e si spinge a cercare, a ricordare, a ritornare
a se stesso incontrando i “suoi amici”.
In seminario è compagno di studi di don Lorenzo
Milani e del cardinale Piovanelli, anche se loro
sono un anno più avanti. Prime esperienze pastorali
a Montelupo Fiorentino e poi a San Gervasio.
Poi è a Rifredi accanto a don Giulio Facibeni, il
fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa. Verso
la fine del’52 è prete di Vicchio di Mugello vicino a
Barbiana, dove invece finirà l’amico don Milani.
“Ci sono due esperienze importanti che hanno
segnato la mia vita e che mi hanno aperto a questo
mio bisogno di trovare e scoprire i valori in coloro
che stavano lontano da Dio”.
La prima risale agli inizi degli anni ’50. Si avvicina
al mondo operaio andando all’interno della
fabbrica Italgas, di Firenze. Da li la sua attenzione
si rivolge verso quella classe operaia che certo non
vedeva i preti di buon occhio “mi cacciavano, me
ne dicevano di tutti i colori! Ma poi siamo diventati
amici. Vivere con i comunisti che a quel tempo
erano mangia preti, vivere con gli atei mi ha fatto
scoprire un mondo nuovo di gente che cerca la
verità e il bene. Decisi di partire per incontrare
questa verità e questo bene nella povertà della
gente che viveva in Brasile”.
Oggi tornato a Firenze dopo quasi 30 anni
di missione in Brasile, si trova a fare il prete
“tappabuchi”, come si definisce lui, ma prete un del nuovo, di rompere gli schemi. Lui stava con i
po’ di tutti.
poveri. Era duro, severo, ma con me era affettuoso.
“Per un insieme di circostante ho fatto il prete di Don Milani diceva che con la durezza aveva la
frontiera, ho cercato di evadere. È stato istintivo. speranza di scuotere quelli che non avrebbe potuto
Per carattere vado a cercare il non credente per raggiungere con la dolcezza”.
essere loro amico. Quelli che vengono in chiesa Ritira fuori le mani da sotto il tavolo e le
mi fanno sempre durare meno fatica! Non voglio accompagna alla fronte ed esclama “Poi c’era
criticare noi preti. Però a volte noi preti si pensa Turoldo! Lo conobbi quando fu esiliato da Milano
solo alle persone che vengono in Chiesa. Invece e fu accolto a Firenze dal professor La Pira che,
sentivo il bisogno di avvicinarmi ai più lontani, come lui, era attento ai temi del dialogo e della
senza propaganda. Nel senso che non volevo pace. Tutti i giovedì commentava un testo letterario
convincere nessuno a credere in Dio. Ero io che e a volte lo andavo ad ascoltare. Aveva proprio una
avevo bisogno di essere il prete un po’ di tutti”.
gran voce, una voce profonda che arrivava dritta. E
Usa ancora le mani e le sopracciglia che ridono queste mani grandi, grandiose”. Si guarda le mani
a tenere fresco il ricordo, a disegnare i volti di di nuovo, don Renzo. Si stringe ancora negli occhi e
questi amici.
si ricorda di padre Balducci. “Ecco, lui…”racconta
Un’amicizia profonda con Pietro Ingrao che don Renzo “…mi considerava il lato volgare
risale agli anni ‘70. Lo conosce a casa di un della Chiesa, uno scavezzacollo, un ragazzaccio
amico comune. “È un
come si dice a Firenze.
uomo in crisi” racconta don
Ci si compensava . Padre
Renzo “Si sente un uomo
Balducci non ne aveva
Non ho mai cercato
sconfitto, vive in uno stato
certo bisogno, ma a volte
di convincere nessuno
di angoscia”. Don Renzo è
trovava in me l’aspetto
a credere in Dio,
affascinato da questa figura
volgare che lui certo non
avevo solo bisogno di essere
di uomo dalla dimensione
aveva. Lui era intellettuale.
il prete un po’ di tutti.
personale tumultuosa che
E quindi io trovavo in lui
“ha il senso profondo di Dio
ciò che sentivo mancare in
e una dimensione rivolta
me profondamente: questa
all’ascolto. Vivere con lui è affondare la testa nel visione intellettuale di un mondo nuovo anche per
cuore di un uomo affaticato ma che continua a la Chiesa”.
essere mosso dalla speranza per il futuro”.
È passato il pomeriggio di racconti, di incontri,
Suonano alla porta, allora apre gli occhi e li manda di mani e sopracciglia che ridono ancora a tenere
al cielo, scuote la testa, sventola le mani ed esclama fresco il ricordo, a tracciare i volti degli altri. Don
“Eccoci, questo non era previsto. Andiamo a Renzo mi porta all’ultimo incontro “Credevo di
vedere chi c’è”. C’è un amico sacerdote brasiliano essere troppo vecchio per continuare a incontrare.
che è passato a salutarlo e lo accoglie. Lo vedo E invece proprio da vecchio è nata un’altra nuova,
tornare dopo 10 minuti. Gli occhi sono serrati più straordinaria amicizia. Erri de Luca. Con lui ho
di sempre. È tempo di far entrare in scena un altro davvero un rapporto affettuoso. Di lui mi piace
grande amico: “Don Milani è sparso ovunque in il fatto che racconta del bisogno di restare in
casa” mi confida con le sue mani “È diventato cammino. Non si sente mai arrivato, è sempre in
prete nel ’47, io nel ’48. In seminario lui era un cammino e continua a godersi questo cammino”.
anno avanti a me. Aveva una personalità fortissima Ci incamminiamo verso l’uscita. Don Renzo ha
e a volte si poteva restarne soggiogati. Era un gli occhi ancora un po’ chiusi. Gli tocco le mani
profeta e i profeti a volte non sono capiti. Don perché è li che ritrovo il senso di questo incontro e
Milani era un uomo sempre avanti a noi. A quel il senso dei suoi incontri. È in quegli occhi chiusi
tempo non veniva capita la spinta innovatrice. a trattenere e nelle sue mani forti e solcate dalla
È grave lo so, però non era una mancanza di cura dell’altro che sento il senso profondo e vivo
volontà. Era proprio un’incapacità di comprendere della speranza in qualcosa di nuovo che odora
queste persone che guardavano avanti e la paura ancora di mattino.
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Perché non ci ascoltate?
di Francesca Abignente
C’è una generazione che sente il bisogno di urlare un po’ di se stessa. Ma non trova casa. O non sa come
cercarla. Hanno meno di 25 anni, frequentano anni decisivi, lamentano una carenza di attenzione.
Anche a Romena vengono col contagocce.
Francesca, 24 anni, assistente ai corsi di Romena, prova a portarci nel pianeta-giovani. E ad aprire
domande capaci di farsi, finalmente, dialogo.
Vivo attimo per attimo questo scorrere del tempo,
rivedo la mia adolescenza, riascolto le crisi della
crescita, tocco nuovamente il dolore dei momenti
in cui si capisce che la vita può cogliere di sorpresa con tiri mancini. E sentire che la vita va
oltre la scuola, lo studio, la famiglia, i momenti
di divertimento trascorsi con gli amici… sentire
che quel nido in cui il tuo sviluppo ha avuto luogo
nasconde un mondo sconosciuto, un mondo nuovo, un mondo di domande senza risposta.
“Cosa volete che siano i problemi di questi ragazzi
in confronto ai nostri?”. Ho un ricordo vivido
delle parole di questa donna di 60 anni al mio
primo corso, qualche anno fa. È stato lì che mi
sono domandata se con l’aumentare degli anni
aumentasse anche l’intensità dei problemi… è
un’equazione direttamente proporzionale? No,
non credo. Ogni età ha le sue difficoltà, ma più
si va avanti con gli anni più strumenti si hanno
per risolverle… o almeno così dovrebbe essere.
Ebbene sì, ho deciso di essere polemica questa
volta, ho deciso di provocare delle reazioni perché
tutto ciò non resti una statica sintesi di ciò che
significhi avere 24 anni.
20
Lo zaino vuoto
Mi ha colpito molto l’immagine sull’adolescenza
che Don Enrico, il sacerdote che guida il corsogiovani di Romena, ci ha dato al primo incontro
che abbiamo fatto con lui. “Dal momento in cui
nasciamo – dice Enrico – la famiglia, i parenti,
la società riempiono il nostro bagaglio vuoto di
educazione, emozioni, morale, comportamenti…
ma è proprio nell’età evolutiva che decidiamo di
svuotare questo zaino, di vedere cosa c’è veramente dentro e di decidere indipendentemente cosa
portare nel nostro futuro e cosa lasciare dietro di
noi. Svuotare lo zaino, mettere in discussione tutto
quello che ci hanno detto durante la nostra infanzia! È un momento di crisi che tutti attraversiamo,
ma che non deve essere sottovalutato per la sua
universalità liquidandolo con il famoso detto mal
comune mezzo gaudio. Perché il medesimo evento
ha risonanza diversa in ciascuna coscienza: questo
è il mistero di unicità che ci portiamo dentro. Per
questo è importante che a ciascuno sia dato modo,
spazio e tempo per raccontarsi, soprattutto un cuore
“buono” che accolga questo racconto”.
Lo zaino dell’adolescente, svuotato del superfluo, è
ora diventato un punto di partenza per camminare
con maggiore consapevolezza verso un futuro
dedicato a se stesso. È un percorso che, volenti o
nolenti, tutti si ritrovano a fare… eppure sembra di
vivere in un mondo popolato da tanti Peter Pan alla
ricerca della loro isola che, si sa, non c’è…
gridare “basta!”… basta… Taci e ascolta! Non
mi interessa il punto di vista dell’adulto, perché
resterebbe un punto di vista diverso dal mio e
che lascia trasparire tra le righe il messaggio
“io lo so, io ho vissuto più di te”. Ed è questo il
problema: nel momento in cui ci si pone in una
posizione di superiorità non si ascolta più veramente, si pensa solo a cosa dire, a che risposta
dare. “I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal
dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle
parti più brutte e riciclarlo per più di quel che
valga.” (dal film The Big Kahuna, monologo). E
c’è differenza tra il chiedere un consiglio ed esprimere il bisogno di parlare. No, non mi interessa
il punto di vista dell’adulto, mi interessa il cuore
aperto della persona che ho di fronte, qualsiasi età
essa abbia.
Adulti dove siete?
È bello conservare il lato gioioso e fanciullesco
(fanciullesco, non infantile!) di ciascuno di noi,
ma il problema non è questo. Responsabilità, affidabilità, coscienza, fiducia, serietà, garanzie… mi
spiegate dove sono finite?
A me, ragazza di ventiquattro anni, viene detto che
è giunto il momento di prendere la vita seriamente,
comincio a muovere i primi passi da sola e dove
mi ritrovo? In una società in cui si governa pensando a se stessi, si vive ipnotizzati dalla cultura del “tutto
“Poi un giorno
In cerca di calore
e subito”, si resta affascinati
in un libro o in un bar
Ho chiesto a Don Sandro, un
dall’immagine, si scopre che
si farà tutto chiaro,
prete giovane abituato a stare
chi dovrebbe dare l’esempio in
capirai che altra gente
con i giovani, di esprimere in
realtà ha più paure che voglia
si è fatta le stesse domande,
poche parole cosa può stimodi agire, si crede alla verità più
che non c’è solo il dolce
lare un giovane a sbarcare a
facile, si capisce che in realtà
ad attenderti,
Romena: “Quando incontri un
tutta questa baraonda non è
ma molto d’amaro
luogo in cui scopri il calore
altro che un fuggire a destra e
e non è senza un prezzo
necessario per esprimere i
a manca… con quale coraggio,
salato diventare grande…”
tuoi bisogni più profondi, in
allora, uscire di casa?
Francesco Guccini cui cercare insieme agli altri
Ovunque si sente forte il biil tuo desiderio di vita, allora
sogno di raccontarsi. Con una
cominci
ad
amare
quel
“luogo”. Ti senti a casa. Lo
semplice differenza: l’adulto usa molte parole per
cerchi,
lo
aspetti
e
ti
aspetti
molto da lui!
esprimere insoddisfazione, il giovane ne usa poche per manifestare voglia di credere in un futuro Allora il gruppo, il fermarsi, lo sputtanarsi, (ops
(migliore o no, questo lo lascio decidere a voi). I scusate, volevo dire il raccontarsi!) diventa il luogo,
giovani si arrabbiano, gli adulti si rassegnano. “È un’occasione per “resistere con creatività”, per
così, ormai…”. È questo “ormai” che vorrei che sentire che non si è soli, per lasciarci interpellare
i giovani d’oggi non pronunciassero mai. Ed è e farsi rapire dal volto dell’altro.
questa condivisione che sento mancare a Rome- È nell’ascolto profondo della storia, della vita, dei sona. Già, perché Romena, come ci ricorda Gigi, gni, del volto dell’altro che io conosco me stesso”.
è nata per dare un’alternativa ai giovani. Solo in Conoscere se stessi, il viaggio più completo che si
seguito è diventata un porto di terra a cui approda possa affrontare, un viaggio che dovrebbe cominchiunque sia alla ricerca di se stesso o di qualcosa ciare nel momento in cui ci si affaccia in maniera
di nuovo. Perché, allora, non cercare nuovamente più consapevole al mondo, ma che spesso viene
rimandato, rimandato, rimandato… ecco perché
una dimensione di confronto parallelo?
vorrei che ora, ora, chiunque stia leggendo questo
Il bisogno di raccontarsi
articolo pensi ad un/a ragazzo/a con cui condividere
In quanti momenti di crisi ho cercato un abbrac- queste parole. Perché non sia più “troppo tardi”,
cio silenzioso che potesse darmi l’unica cosa che perché la parola “ormai” non trovi mai terreno
volevo veramente: essere ascoltata. In silenzio. E fertile nel cuore dei giovani, perché anche gli
invece parole, parole, parole… consigli, suggeri- adulti sentano la necessità di imparare qualcosa
menti, esortazioni, sollecitazioni. Tanto da farmi dai ragazzi.
21
IL PANE È PER TUTTI
di Angelo Casati
Gesù spezza il pane: in questo gesto, natura stessa dell’essere cristiani, si immerge un prete-poeta, Angelo Casati. Il suo bisogno di
un incontro umile e profondo col senso dell’Eucarestia è raccolto in
un libro, “Il pane è per tutti”, che abbiamo recentemente pubblicato
e che potete trovare a Romena o in libreria.
Qui potete leggere alcuni frammenti della sua riflessione.
Umile segno e umile parola
la preghiera di benedizione del re cananeo, pagano.
Francesco d’Assisi giunse a chiamare con chiaro- Dio benedice. Lega la sua benedizione, e quindi la
veggenza e audacia l’eucaristia «l’umiltà di Dio». sua presenza, al pane e al vino offerto dal re pagano
Quasi fosse l’ultimo gradino del suo discendere.
allo straniero che passa.
Già Dio aveva attraversato l’immensità del cielo per Anche noi stranieri, anche noi di passaggio, anche
chinarsi su di noi, l’immensità
noi ospitati ogni domenica alla
dell’obbrobrio per abbracciarci
cena del Signore. Anche noi a
A noi
da una croce, ma qui in questa
prendere un pane cui è legata
non è dato
cena volle lasciarsi come pane,
una benedizione, anche noi a
toccare con le mani
umile povero piccolo pezzo di
riconoscere la presenza di un
il segno dei chiodi,
pane. Per voi sono vivo in un
Dio al di là dei nostri confini
la tenda del corpo
pezzo di pane. Spezzato. Abbiareligiosi.
ove arde
mo cancellato dal rito l’umiltà.
L’universalità del Pane
il mistero del Verbo.
Eppure aveva detto: “Fate queLa Cena del Signore è vera se risto in memoria di me”. E la
Solo mi è dato
spetta il segno che vi è custodito,
memoria era quella, il gesto
sfiorare per grazia
il segno di una nuova alleanza,
di una semplicità disarmante
nel pane spezzato
un’alleanza firmata in un sangue
e sconvolgente. Non si può
il lembo
«versato per molti». Quella paequivocare: il gesto del pane
di un mantello
rola molti significa moltitudine.
era umile, era silenzioso, era
Angelo Casati È il pane non dei pochi, non di
semplice. Ma parlava.
un raggruppamento, non di un
Loro guardavano e capivano.
movimento, non di una parte,
Capivano l’amore di Dio. In un pezzo di pane.
ma della moltitudine.
Al di là dei nostri confini
Il pane del Signore, il pane di questa cena è un
La ritualità del pane e del vino – che bello che sia pane che ci fa uomini e donne della moltitudine, e
la Bibbia a ricordarlo! – viene da lontano.
non dei pochi, non delle sette, uomini e donne che
È suggestivo che il libro della Genesi racconti di non sanno concepire se stessi se non come immersi
una figura misteriosa, un re cananeo, sedentario, nella moltitudine dell’umanità.
che è anche sacerdote, Melchisedek.
Le nostre Eucaristie ci rimandano alla moltitudine,
Accoglie uno straniero di passaggio: Abramo. Gli ci rimandano ai problemi di questa umanità di cui
offre una benedizione: “Sia benedetto Abram dal siamo parte. Ci invitano a essere pane, come è stato
Dio altissimo, creatore dei Cieli e della terra e Gesù, pane buono della moltitudine. Ci insegnano
a lavare i piedi di tanti fratelli e sorelle stanchi
benedetto sia il Dio altissimo…”
Frammenti di Eucaristia, potremmo pensare, dentro del viaggio della vita. Non i piedi profumati delle
ritualità che noi, con aria saccente, giudichiamo nostre liturgie, ma quelli stanchi che incrociamo
pagana. E Dio recupera. Noi scartiamo.
fuori delle chiese, lungo le strade della vita. Come
Dio ascolta le parole che noi giudichiamo pagane, ha fatto Gesù. In sua memoria.
22
L’AGENDA DI
ROMENA
2007
Un pensiero da portare con noi ogni
giorno, ogni mese dedicato a riflettere
sulle cose importanti della vita, il Vangelo della domenica sapientemente
commentato, le preghiere per abbandonarsi a Dio.
DOVE TROVARLA
Nelle librerie di carattere religioso-spirituale della tua città.
(distribuita da Messaggero Distribuzione).
In preparazione al Viaggio esperienza
nel deserto
Natale
dal 21 al 24 dicembre
Mercatino
di Natale
Piccoli pensieri, per riscoprire la tenerezza e la semplicità di un regalo.
Domenica 10
Domenica 17
Domenica 24
A partire dalle ore 14 torna il mercatino di Romena, con i suoi oggetti artigianali.
Vivere insieme gli ultimi giorni dell’avvento con il cuore in attesa.
Con il canto e la danza, con la condivisione e la preparazione di cose buone e semplici, con la veglia silenziosa
faremo casa attorno al focolare.
Il Natale è un dono che vogliamo e
possiamo accogliere.
Eremo a Romena
“Il passaggio fra gli anni”
L’infinitamente grande
e l’infinitamente
piccolo
dal 17 al 26 Marzo 2007
Nove giorni “dentro” il deserto a Tamanrasset in Algeria.
Per informazioni:
Massimo 339.6467966
da martedì 26 dicembre
a lunedì 1º gennaio 2007
Prendiamoci del tempo per riconoscere e raccogliere le esperienze
dell’anno che si conclude e per prepararci a far spazio al nuovo che
giunge, celebrando insieme il rinnovamento con creatività.
Dipingeremo, prepareremo il pane e
i dolci nel forno a legna, gusteremo
la natura invernale intorno a noi.
Per iscrizioni: tel. 0575/582060.
23
“È Dio e mi assomiglia”
di Jean Paul Sartre
Presepe in pietra e metallo di Luigi Verdi
Un filosofo, riconosciuto come esponente di un esistenzialismo ateo e il mistero di un
Dio che si fa uomo. È il Natale del 1940 e Sartre, detenuto in un campo di prigionia,
scrive una storia per i suoi compagni di prigionia. Il testo si intitola “Bariona o il figlio
del tuono”, racconto di Natale per cristiani e non credenti (Marinotti Edizioni, 2004).
Abbiamo scelto la pagina in cui Sartre descrive il presepe, e il rapporto che lega la
Madonna al Bambino. Un modo speciale per avvicinarci a un nuovo Natale…
Siccome oggi è Natale, avete il diritto di
esigere che vi si mostri il presepe.
Eccolo…
La Vergine è pallida e guarda il bambino.
Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo
viso è uno stupore ansioso che non è
apparso che una volta su un viso umano.
Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne
della sua carne, e il frutto del suo ventre.
L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e
il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in
certi momenti la tentazione è così forte
che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le
sue braccia e dice: piccolo mio!
Ma in altri momenti rimane interdetta e
pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore
religioso per questo Dio muto, per questo
bambino terrificante. Poiché tutte le madri
sono così attratte a momenti davanti a
questo frammento ribelle della loro carne
che è il loro bambino e si sentono in esilio
davanti a questa nuova vita che è stata
fatta con la loro vita e che popolano di
pensieri estranei.
Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua
madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto
ciò che lei può immaginare. Ed è una dura
prova per una madre aver vergogna di sé
e della dura condizione umana davanti a
suo figlio.
Ma penso che ci siano anche altri momenti,
rapidi e difficili, in cui sente nello stesso
tempo che il Cristo è suo figlio, il suo picco-
lo, e che è Dio. Lo guarda e pensa:
“Questo Dio è mio figlio. Questa carne
divina è la mia carne.
È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma
della sua bocca è la forma della mia.
Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”.
E nessuna donna ha avuto dalla sorte il
suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che
si può prendere nelle braccia e coprire di
baci, un Dio caldo che sorride e respira,
un Dio che si può toccare e che vive. Ed è
in quei momenti che dipingerei Maria, se
fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e timidezza con
cui protende il dito per toccare la dolce
piccola pelle di questo bambino-Dio di
cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e
che le sorride.
E Giuseppe? Giuseppe non lo dipingerei.
Non mostrerei che un’ombra in fondo al
pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non
so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa
cosa dire di se stesso. Adora ed è felice di
adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che
soffra senza confessarselo. Soffre perché
vede quanto la donna che ama assomigli a
Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio
è scoppiato come una bomba nell’intimità
di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono
separati per sempre da questo incendio di
luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino,
sarà per imparare ad accettare.
Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia.
Jean Paul Sartre
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La veglia di Romena
Arezzo
30 Gennaio - ore 21,00
Parrocchia di Saione
Grosseto
13 Febbraio - ore 21,00
Parr. Santa Maria Goretti - Loc. Rispescia
Livorno
14 Febbraio - ore 21,00
Chiesa di Santa Caterina - Piazza dei Domenicani
Le Piagge (Fi)
21 Febbraio - ore 21,00
presso la Comunità di Base
Roma
7 Marzo - ore 21,00
Piccole Sorelle, Via Acque Salvie - Tre Fontane EUR
Gaeta
8 Marzo - ore 21,00
Santuario della Madonna della Rocca in Fondi
Imola
Pesaro
S. Angelo in Vado
Bari
13 Marzo - ore 21,00
Convento dei Cappuccini
14 Marzo - ore 21,00
Pieve Santo Stefano - Candelara
15 Marzo - ore 21,00
Monastero Serve di Maria
20 Marzo - ore 20,30
Chiesa di San Marcello
Taranto
21 Marzo - ore 20,30
Chiesa S. Antonio ai Cappuccini - Martina Franca
Rossano Calabro
22 Marzo - ore 20,30
Comunità Santa Maria delle Grazie
Lamezia Terme
Siena
26
23 Marzo - ore 20,30
Oasi Bartolomea
28 Marzo - ore 21,00
Parrocchia di Sovicille
Graffiti
a consapevolezza è la nostra luce interiore,
è essere presenti a noi stessi, è lo Spirito
dentro di noi che ci sussurra: “Niente ti è
impossibile”. La consapevolezza mi risuona dentro
come la nostra porzione di libertà e quindi di verità.
Essere consapevoli è diventare responsabili della
propria vita e della propria felicità. Essere consapevoli significa diventare artefici della nostra vita.
Libera – vera – responsabile … mi ci sono sentita
il giorno in cui ho smesso di mentire a me stessa e
mi sono aperta alla consapevolezza di ciò che sono,
in particolare di quanto sono egoista, bisognosa,
povera, ferita … Ci sono molte energie positive
in ognuno di noi ed è bene esserne consapevoli
altrimenti si vive pressati, ripiegati, schiacciati,
tristi. Ma la consapevolezza che ho scoperto più
preziosa è stata quella dei miei “buchi neri”…è
stato liberante, è stato tornare a nascere. Se siamo
consapevoli, siamo perseguibili per il male che
possiamo arrecare a noi, agli altri, alla vita, ma
nello stesso tempo possiamo brillare per quanto di
creativo, generoso, amorevole, sappiamo fare e dire
… la consapevolezza ci rende veri, ci riconduce a
noi stessi e ci porta agli altri.
La consapevolezza è anche la chiave della giustizia.
Se sono consapevole del mio limite e della mia finitudine, sarò accogliente e misericordiosa dinanzi
alla povertà dell’altro. I nostri rapporti saranno
intessuti di giustizia se saremo consapevoli della
nostra grandezza tanto quanto del nostro limite.
La consapevolezza ci farà cantare “Ti lodo per-
L
ché mi hai fatto come un prodigio” (Sal 138) e
trasformerà il nostro canto umano in preghiera e
lode. Consapevoli della grandezza che è in noi e
nello stesso tempo della fonte di questa bellezza,
cioè Dio, il divino. Noi siamo stati fatti come
prodigi! Quando Dio guarda l’uomo, quando
guarda me, quando guarda te, vede una “cosa molto
buona”(Gen 1,31). Dobbiamo esserne consapevoli,
dobbiamo prenderci cura della nostra somiglianza
con l’Infinita Bellezza, dobbiamo custodire l’immagine del nostro ESSERE perché questa è la
nostra partecipazione alla divinità, è quella scintilla
di perfezione, di eterno, che ci abita. La consapevolezza deve condurci verso un grande abbraccio,
deve farci sorridere, sorprenderci, commuoverci
del nostro splendore così come della nostra fragilità
amata e forse anche voluta, perché fossimo capaci
di tenerezza, di debolezza, di pace e di calma.
La consapevolezza ci rende veri e quindi degni di
stima. L’esser veri ci rende liberi. L’esser liberi ci
rende responsabili, adulti.
Siamo consapevoli! Abbiamo un tesoro in un vaso
di creta (2Cor 4,7)…questa è tutta la grandezza
della nostra vita: l’umiltà, la fragilità, il bisogno
dell’altro – del vaso di creta – e la bellezza, la
preziosità, lo splendore, il valore – del tesoro –…
l’uno dentro l’altro, con consapevolezza!
È il cammino di tutta una vita.
Sorella Maddalena
27
iù vado avanti nella vita e più mi accorgo
che (come ciascuno di noi, suppongo) mi
ritrovo sempre a dover affrontare quel
dato nodo esistenziale, quella ferita emotiva...
Ma mi accorgo anche che ciò avviene, ogni volta,
con un grado maggiore di profondità, ossia con
una maggiore consapevolezza!
Una consapevolezza, dunque, sempre maggiore,
ma un processo che, in fondo, non si arresta mai.
Secondo me la consapevolezza non è uno stato
della mente ma, al contrario, è uno stato dell’
animo, quando noi semplicemente ci poniamo
davanti a Dio e, fidandoci del suo amore, riusciamo a vederci così come Lui ci vede.
Quando riusciamo ad essere nell’ attimo presente,
ponendoci di fronte a noi stessi senza giudicare.
Non è facile da raggiungere ma è una grande
conquista. È la pace!
Il nostro dialogo con Dio, il nostro donarci a
Lui così come siamo, l’accettazione di tutto e
la disponibilità a rimettere tutto nelle sue mani
per la realizzazione di noi stessi solo con l’aiuto
della sua grazia, questo in fondo non è altro che
il vivere come bambini che Gesù ci indica come
via per avere, già qui sulla Terra, il Paradiso!
Infatti i bambini hanno molto senso pratico, essi
sono nel presente e non fanno come noi adulti
che siamo sempre alle prese col passato oppure
ci rifugiamo nei sogni per il futuro!
La consapevolezza allora è anche la semplicità;
la consapevolezza è il riconoscere i propri limiti;
la consapevolezza è sentire col cuore; la consapevolezza è l’ amore!
Paola
P
28
he dire della consapevolezza?
Sinceramente ho difficoltà ad esprimere
questo concetto, ho provato a scrivere
qualcosa e poi rileggendo quello che avevo
scritto a distanza di giorni mi sono chiesto se
avesse senso.
Allora ho chiesto ad alcune persone cosa ne
pensassero loro della “consapevolezza” e mi
hanno guardato come per dire “ che cavolo di
domanda è”?
Poi insistendo su questa domanda che li metteva
in difficoltà sono venuti fuori vari pensieri.
A volte sentiamo dire fra persone che discutono
“sei consapevole di quello che dici”?
Probabilmente possiamo essere consapevoli di
ciò che diciamo, ma forse la consapevolezza non
implica necessariamente la comprensione.
In senso generico credo che la consapevolezza sia
l’idea che ci facciamo di quello che percepiamo,
un concetto relativo uno stato interiore.
La mia idea sull’essere consapevoli si avvicina al
sentire di esserci, esserci quando ti svegli, quando
ami, quando mangi, quando lavori, quando ascolti
gli altri o semplicemente quando non fai niente.
Vivi il tempo e lo percepisci nel suo intimo, mi
piace questo modo di pensare alla consapevolezza, vivi il tuo tempo e ti senti padrone delle
tue azioni.
Marco
C
n un momento molto difficile della mia
vita stanca psicologicamente e fisicamente ho detto: “Papà non ce la faccio
più. Sono stanca di lottare, di andare avanti, non
vedo davanti a me un futuro sereno.” Sul mio
comodino c’era la Sacra Bibbia e aprendo una
pagina a caso ho letto: “Dice il Signore degli
eserciti:riprenderanno forza le vostre mani. Voi in
questi giorni ascoltate queste parole dalla bocca
dei profeti; oggi viene fondata la casa del Signore
degli eserciti con la ricostruzione del tempio.”
(Zaccaria 8; 9 )
Molti potrebbero dire che è solo una coincidenza.
Io vi posso dire invece con assoluta certezza e
FEDE che in quell’istante non ero da sola così
come non lo sono e non lo siamo in ogni istante
della nostra vita.
Fino a poco tempo fa mi rammaricavo del fatto
che nella vita ho ricevuto tutto ed io al contrario
non sono riuscita a dare mai niente. Oggi invece
mi rendo conto che sono un essere umano e in
quanto tale se aspettassi di essere perfetta non
amerei mai quel Padre che mi ama così come
sono.
Quando si vivono determinante esperienze ed
emozioni è difficile non credere che ci sia Qualcuno che, da un punto imprecisato dell’universo,
muove le fila delle nostre esistenze pur lasciandoci sempre liberi di prendere le nostre decisioni.
Sono convinta che quando nasciamo il libro della
nostra vita sia già scritto; sta a noi fare in modo
che il film della nostra vita segua la sceneggiatura
da esso tracciata.
Dina
I
a consapevolezza nel mio personale
cammino ha voluto dire più che altro
accettazione, ogni volta che sono diventata consapevole è stato quando sono riuscita ad
accettare le situazioni, le persone per quello che
sono senza avere alcuna pretesa di cambiarle. E
certo questo mi è derivato dalla consapevolezza
che ciascuno di noi è quel che è, è il risultato
del proprio percorso, del proprio vissuto, e comunque al di là della sua volontà è un’anima in
evoluzione.
Il mio prendere coscienza, e quindi diventare
consapevole, che ciascuno si evolve con i propri
tempi, con i propri mezzi e limiti, è stata per me
una liberazione basata sull’ accettazione dell’altro
e sul tentativo di amarlo così come è senza farmi
coinvolgere nelle mie pretese e nei suoi bisogni.
Non è stato e non è per niente facile, ma ogni
volta ci provo ad essere consapevole di quello
che mi accade e ad accettare quel che è con la
consapevolezza che tutto ciò che mi viene inviato
è sicuramente necessario alla mia crescita...non
sempre ci riesco, anzi spesso torna fuori quel carattere focoso che vorrebbe gestire e far andare il
mondo secondo il suo volere...prima mi arrabbio
e poi sorrido di me stessa e riparto daccapo, una,
cento, mille volte senza perdere mai la speranza
di riuscirci ed avendo la consapevolezza di essere
un’anima in viaggio.
Antonella
iao, sono l’Anna di Urbino, appena
tornata dalla Costa d’Avorio.. Da un
villaggio di capanne e manioca e caucciù non lontano dalla città, non lontano dalle
foreste, non lontano dall’oceano, pieno di donne
instancabili, bambini seminudi o vestiti di stracci,
C
L
povertà e dignità, fatica e allegria..
Riguardando le foto che ho fatto c’è questa che
mi fa pensare alla consapevolezza.
Anna
29
o letto e riletto l’ultimo numero del
giornalino, sarà che sono in un periodo della mia vita in cui per la prima
volta ho capito cosa vuol dire non essere forti,
fin ad ora sono sempre stata decisa, diretta per
la mia strada, volta a raggiungere i miei obiettivi con tenacia e forza. Ora invece mi sembra
di non esserne più capace. Mi sono chiesta
più volte il perché, e la risposta mi è arrivata
nell’ultima pagina, quando ho letto il tema del
numero: la consapevolezza.
Non sono più forte perché non so più dove andare,
ho voglia di vivere, di aiutare gli altri, di capire
ed ogni giorno è un occasione in più per farlo, per
osservare la natura come il traffico, respirare aria
pura come smog… è qui che viviamo sospesi tra
il buono e il cattivo. In questo equilibrio, tra ragione e sentimento, tra mente e cuore, mi trovo in
attesa di capire il mio cammino, la mia strada.
Forse fino ad ora ho corso troppo, dopo una
laurea, un master e tra pochi giorni una seconda
laurea, con un lavoro che mi piace ma precario..
mi sento instabile. A 26 anni mi chiedo quale è
questa la mia direzione? Sono sul sentiero giusto?
La mia consapevolezza è che adoro scrivere, che
adoro parlare ai miei studenti, fermare gli istanti
in uno scatto fotografico, prolungare la felicità di
chi amo.. La mia consapevolezza è che non c’è
certezza nel mio cammino, non so cosa mi aspetta
dietro la prossima curva, una salita, una discesa?
Cerco di essere sempre me stessa e di sperimentare nuove parti di me, spolverare angoli nascosti,
giocare con la vita di ogni giorno, consapevole
della sua infinità ricchezza e instabilità.
H
bisogno c’è di pensare alla fuga? Stare di fronte
a noi stessi diventa tragico (e incita all’evasione)
nel momento in cui ci giudichiamo, prendendo
così le distanze da noi, ma di per sé non dovrebbe
rappresentare niente di male. L’evasione appare
come un concetto privo di senso, se impossibile
per principio. Se sono destinato ad essere sempre
consapevole di me e delle mie azioni, voglio trarre
da questo fatto non l’angoscia del giudizio, ma il
senso di responsabilità per questa piccola immagine di me, che mi costruisco osservandomi, cresce con me e di cui voglio imparare a prendermi
cura. Consapevolezza come stare di fronte a noi
stessi... e niente più!
Marco
Claudia
ualche anno fa, cercando di fare un
condensato dei miei studi di filosofia,
la cosa migliore che ero riuscito a
sintetizzare è che “non si sfugge alla coscienza”.
Viaggiamo, lavoriamo, ci incontriamo, amiamo,
soffriamo e siamo felici, ma ogni volta che ci
caliamo nel mondo non possiamo in ogni caso
fare a meno di guardarci anche dal di fuori, e
giudicarci nelle nostre azioni. Allora credevo
che la consapevolezza fosse questo fatto di
vivere osservandosi, e mi sembrava che non fosse
possibile sottrarsi ad essa.
Oggi lo credo ancora, ma in più mi chiedo: che
Q
30
a parola “consapevolezza” evoca molte
accezioni, una più bella dell’altra. Innanzitutto, significa presenza a se stessi, sapere
chi siamo, cosa siamo venuti a fare qui, su questa
terra, in questa vita. Qual è il nostro compito, quale
il nostro destino; vuol dire conoscere noi stessi, avere
ben chiare le nostre priorità, i nostri valori ed agire
di conseguenza.
L
Consapevolezza è quindi anche capacità di scelta,è
poi gratitudine. È rendersi conto della fortuna che
abbiamo, dei doni che il Signore ci fa e saperlo ringraziare con tutto il cuore.
Consapevolezza è inoltre lucidità. È l’aver capito
che ogni nostro pensiero, parola, azione, provoca
una reazione corrispondente nell’Universo, ha una
ripercussione al di là della nostra immaginazione e
comprensione, come quando lanci un sasso in uno
stagno e si formano delle ondine concentriche che
man mano si allargano. Portiamo quindi l’enorme
responsabilità di ogni nostro pensiero, ogni nostra
parola, ogni nostro gesto, ogni nostra azione. Più ne
siamo consapevoli, più è grande la nostra responsabilità. Consapevolezza è anche pienezza, è coscienza
delle proprie potenzialità, è l’aver capito che Dio ci
vuole a Sua immagine e somiglianza e, in quanto tali,
abbiamo il dovere e la capacità di perfezionarci giorno
dopo giorno così da vivere sempre di più la Sua volontà, da dispiegare sempre meglio tutte le facoltà che
ha seminato in noi, così da diventare veramente Suoi
strumenti. Senza presunzione alcuna, consapevolezza
è coscienza che, quali uomini, siamo al vertice della
PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita
a marzo approfondirà il tema:
“LA FEDELTÀ”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 15 febbraio 2007),
preferibilmente alla nostra e-mail: mail@
romena.it
UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano
a realizzare il giornalino e a sostenere le spese
potete inoltrare il vostro contributo sul c.c.p
allegato.
CASSA COMUNE: è composta dai vostri
c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e
ampliarne la diffusione (in carceri, istituti,
associazioni, gruppi, ecc.)
PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non
è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, o
se desideri farlo avere a qualche altra persona,
informaci.
SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni
ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al
venerdì dalle 18 alle 20, sabato e domenica
quando vuoi.
creazione ed è nostro dovere sviluppare ogni nostra
potenzialità. Consapevolezza infine è essere presenti
fino in fondo, ora, adesso, qui, lucidi, coscienti che
la vita è un dono prezioso, che non va sprecato, ma
vissuto nella sua pienezza ad ogni istante.
Consapevolezza è saggezza, è maturità.
Sono ben lungi dall’averla raggiunta.
Susanna
FRATERNITA’ DI ROMENA
- ONLUS -
Per darci una mano
La nostra associazione è giuridicamente riconosciuta come ONLUS (Organizzazione Non
Lucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuole
dare un contributo può beneficiare delle agevolazioni fiscali previste contenute nel decreto
legislativo 460 /1997.
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Fraternità di Romena Via Romena 1 52015
Pratovecchio - Arezzo
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c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio
(BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390
CAB 71590 intestato a Fraternità di Romena
Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo,
specificando nella causale
“Offerta Progetto Romena”
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Il più difficile
in questo mondo
è restare se stessi;
non si deve buttare via
la propria vita
per uno scopo
che sia astratto
dalla vita.
Foto di Massimo Schiavo
Dostojewski
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