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Infarto Miocardico,ICTUS,Bradicardia

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Infarto Miocardico,ICTUS,Bradicardia
Infarto Miocardico
L’infarto è la morte di una parte del muscolo cardiaco, dovuta
a un’ischemia prolungata, cioè al mancato apporto di sangue
per un certo periodo di tempo
L’infarto è la morte di una parte
del muscolo cardiaco (miocardio),
dovuta a un’ischemia prolungata,
cioè al mancato apporto di sangue
in un determinato territorio, per
un certo periodo di tempo.
La maggior parte degli infarti si verifica a causa della
formazione di
un coagulo di sangue (trombo) che va ad
ostruire una o più arterie coronarie (le arterie che portano
sangue ossigenato e sostanze nutritive al muscolo cardiaco);
normalmente la trombosi si verifica su una placca
aterosclerotica dovuta ad un accumulo di colesterolo e
cellule, che si sviluppa lentamente all’interno di una
coronaria e che può rompersi improvvisamente; questa lesione
provoca l’aggregazione di piastrine e la formazione di un
trombo sulla placca ulcerata; il trombo ingrandendosi finisce
con l’ostruire completamente la coronaria, interrompendo il
flusso di sangue. Se il coagulo non viene rimosso rapidamente,
la zona di miocardio irrorata da quell’arteria muore e si
verifica l’infarto. Più raramente, l’infarto può prodursi su
coronarie sane, cioè senza la presenza di placche
aterosclerotiche; questa condizione provoca una discrepanza
tra la necessità di ossigenazione di una parte del tessuto
miocardico e la sua effettiva disponibilità; ciò accade ad
esempio quando si verifica uno spasmo delle coronarie, oppure
in una condizione di grave anemia, di insufficienza
respiratoria, di grave abbassamento della pressione, di
aritmie importanti. L’infarto colpisce gli uomini con maggior
frequenza rispetto alle donne nelle età più giovani; le donne
sono colpite con maggiore frequenza in età avanzata e la
malattia si manifesta in modo più grave.
Nella fase acuta dell’infarto, le complicanze più importanti
sono l’insorgenza di aritmie, che possono rivelarsi anche
molto pericolose (per questo motivo il paziente viene
sottoposto a monitoraggio continuo dell’elettrocardiogramma),
e di un deficit della funzione di pompa del cuore (scompenso
cardiaco).
I fattori di rischio del’’infarto del miocardio
Età
Colesterolemia elevata
sono:
(aumento della colesterolemia
totale >200 mg/dl in presenza di una quantità bassa di
colesterolo HDL <50 mg/dl)
Ipertensione arteriosa (>140/90mmHg)
Diabete mellito
Sovrappeso/obesità (indice di massa corporea >25 kg/m2)
Familiarità (genitori, fratelli/sorelle, figli) per
infarto, ictus in giovane età (<55 anni per gli uomini e
<65 anni per le donne)
Uso di droghe (cocaina e amfetamine)
Questi fattori sono spesso la conseguenza di uno scorretto
stile di vita: alimentazione troppo abbondante e ricca di
sale, grassi animali e colesterolo, e povera di fibre, ridotta
attività fisica e abitudine al fumo di sigarette.
Nelle donne il fumo di sigaretta è particolarmente dannoso,
soprattutto se associato all’uso di contraccettivi orali.
Il sintomo più caratteristico dell’infarto è il dolore, che
può restare localizzato e limitato al torace o irradiarsi alle
spalle e alle braccia (più comunemente il sinistro), al collo,
alla mandibola, ai denti, al dorso.
Il dolore può assumere la caratteristica di oppressione
toracica (come una morsa stretta intorno al torace o come un
peso che schiaccia il torace) o di mal di stomaco, come per
un’indigestione.
Il dolore può essere violento; dura in genere 20 minuti o più;
può essere parzialmente e temporaneamente alleviato dal riposo
o dall’assunzione di nitroglicerina sublinguale.
Il dolore può non essere presente o essere trascurabile negli
anziani, nelle persone con diabete e nelle donne.
L’infarto può dar segno di sé anche con altri sintomi: affanno
improvviso (dispnea), sudorazione fredda, nausea e vomito,
svenimento, vertigini improvvise, stato d’ansia, debolezza
marcata e improvvisa (astenia).
È importante ricordare che l’infarto rappresenta un’emergenza.
Nel sospetto che si stia verificando un infarto è necessario
non perdere tempo (le ore successive all’infarto sono gravate
dal rischio di morte improvvisa) e chiamare immediatamente il
118 per essere trasportati da un’ambulanza verso l’ospedale
più vicino.
La diagnosi di infarto acuto viene fatta in presenza di un
aumento dei cosiddetti biomarker cardiaci (in particolare
troponina I o T, o CKMB – creatinchinasi-MB), associata ad
almeno uno dei seguenti segni/sintomi:
dolore tipico dell’ischemia miocardica
alterazioni all’elettrocardiogramma (ECG) suggestive di
ischemia (ad esempio sopraslivellamento del tratto ST,
inversione delle onde T, comparsa di onde Q)
evidenza (ad esempio all’ecocardiogramma) di alterazione
della motilità di una regione del cuore
individuazione di un trombo all’interno di una coronaria
alla coronarografia
In presenza di un aumento dei valori di troponina e di
alterazioni all’ECG suggestive di infarto, il paziente può
essere avviato direttamente dal pronto soccorso alla sala di
emodinamica, dove viene sottoposto ad esame angiografico
(coronarografia). L’esame consiste nell’iniettare nelle
coronarie (ci si arriva introducendo un catetere da un’arteria
dell’inguine o del polso) un mezzo di contrasto e
nell’osservare radiograficamente come vengono “colorate” da
questo liquido di contrasto le coronarie.
Nel caso in cui venga rilevata l’ostruzione, responsabile
dell’infarto, il cardiologo decide se procedere al trattamento
mediante angioplastica.
L’ecocardiogramma è un esame che sfrutta gli ultrasuoni per
fornire un’immagine del cuore in movimento; nel caso di un
infarto acuto l’esame può aiutare a localizzare la zona di
miocardio danneggiata, rivelandone delle alterazioni di
movimento, dovute ad un deficit della funzione contrattile del
cuore.
All’arrivo in pronto soccorso, il paziente infartuato viene
sottoposto a monitoraggio elettrocardiografico continuo, gli
viene somministrato ossigeno e, in caso di dolore molto forte,
piccole dosi di morfina per via endovenosa.
Nelle prime ore dall’infarto, l’obiettivo della terapia è
riaprire i vasi coronarici occlusi per evitare la morte del
muscolo cardiaco; queste terapie devono essere effettuate
quanto più precocemente possibile (idealmente, l’angioplastica
entro 60-90 minuti dall’arrivo in ospedale, la terapia
trombolitica entro 30 minuti dalla prima valutazione medica
dell’infartuato, tanto da poter essere effettuata anche in
ambulanza), altrimenti la parte di miocardio interessata
dall’infarto non è destinata a sopravvivere all’insulto
ischemico. Per questo i cardiologi dicono che “il tempo è
miocardio”, a sottolineare che tanto più precocemente si
interviene, tanto più si ha la possibilità di salvare dalla
morte il muscolo cardiaco.
Il trattamento di prima scelta per l’infarto del miocardio è
l’angioplastica coronarica, che consiste nel dilatare la
coronaria occlusa dal trombo, mediante uno speciale
“palloncino” e nel posizionare nella coronaria riaperta uno (o
più) stent, una retina metallica, che serve a “puntellare” la
parete dell’arteria; la retina metallica può essere ricoperta
di farmaci (stent medicato) che hanno lo scopo di evitare che
si formi, nel punto in cui l‘arteria è stata dilatata, una
specie di cicatrice esuberante che potrebbe ostruire
nuovamente il vaso.
Nel caso in cui non sia possibile effettuare l’angioplastica
(ad es. se l’ospedale dove viene trasportato il paziente non è
attrezzato per effettuare questa procedura), il paziente può
essere trattato con farmaci che servono a sciogliere il trombo
(terapia trombolitica), somministrati per via endovenosa.
I pazienti infartuati vengono inoltre trattati con farmaci che
hanno lo scopo di minimizzare le complicanze ed evitare la
comparsa di un
Farmaci
nuovo infarto.
antiaggreganti
piastrinici
(ac.
acetilsalicilico, clopidogrel ecc.): le piastrine hanno
un ruolo di primo piano nella formazione del trombo;
questi farmaci inibiscono la formazione di “tappi” di
piastrine e sono dunque molto importanti nella
prevenzione di un nuovo infarto.
Farmaci che riducono la colesterolemia (es. statine):
hanno un ruolo importante nel riportare alla norma i
valori di colesterolo e nello stabilizzare la placca
aterosclerotica, riducendo il rischio della sua rottura
ed evitando la formazione del trombo.
Beta-bloccanti: riducono il lavoro del cuore, abbassando
la frequenza cardiaca (il numero di battiti al minuto).
ACE inibitori e sartani: sono farmaci che, oltre ad
agire sulla pressione, abbassandola, proteggono dallo
“sfiancamento” del cuore, che si può verificare quando
l’infarto è di grandi dimensioni.
Trattamento dei fattori di rischio (es. ipertensione
arteriosa, diabete mellito, ecc)
Modifiche dello stile di vita
Trattamento della depressione che può insorgere dopo un
infarto.
L’infarto del miocardio può essere prevenuto trattando i
fattori di rischio (es. ipertensione arteriosa, diabete
mellito ecc) e modificarndo il proprio stile di vita. In
particolare è importante:
Seguire un’alimentazione sana, ricca di fibre (frutta e
verdure) e pesce, povera di grassi saturi (quelli di
origine animale, carni rosse, salumi, insaccati,
formaggi) e con il giusto contenuto di calorie La
verdura e la frutta sono molto importanti perché oltre
ad essere ricchi di fibre, sono molto
ricche di
potassio: una alimentazione del genere tipica dell’area
mediterranea dei primi anni ’60 aiuta ad abbassare la
pressione di circa 8-14 mmHg
Ridurre gradualmente la quantità di sale aggiunto alle
pietanze e i cibi saporiti (dado da cucina, cibi in
scatola, carne, tonno, sardine, alici ecc, salse,
sottaceti, formaggi, salumi e insaccati) e la quantità
di cibo che si mangia.
La quantità di sale introdotto nella alimentazione,
infatti, dipende sia dal sale aggiunto da noi nella
preparazione del cibo, sia dalla quantità di cibo che si
mangia.
La quantità di sale che si consuma nella giornata non
dovrebbe superare i 5 grammi al giorno (un cucchiaino da
tè). E’ interessante notare che un etto di prosciutto
crudo contiene già i 5 grammi di sale raccomandati per
l’intera giornata.
E’ importante quindi leggere sempre l’etichetta dei
prodotti confezionati che comperiamo, in modo da
valutare la quantità di sale: se si mangia un prodotto
salato è importante compensare con un altro senza o con
basso contenuto di sale.
Consumare non più di 5 g di sale al giorno riduce la
pressione arteriosa fino a 6-8 mmHg.
Limitare il consumo di alcol (non più di 1 bicchiere di
vino al giorno per le donne, non più di 2 per gli
uomini)
Con la riduzione dell’alcool la pressione si può ridurre
di 2-4 mmHg.
Scendere di peso, in caso di sovrappeso/obesità: ogni 10
Kg di peso persi, la pressione arteriosa si riduce di
circa 5-10mmHg.
Praticare regolare attività fisica aerobica (almeno 30
minuti di camminata a passo veloce, bicicletta, nuoto,
per almeno 5 volte/settimana): l’aumento dell’attività
fisica produce la riduzione di 4-9 mmHg.
Smettere di fumare
Imparare a gestire lo stress (yoga, tecniche
meditazione e di rilassamento, pilates ecc.)
di
ICTUS
L’ictus si verifica quando un coagulo di sangue blocca
un’arteria cerebrale o quando un’arteria del cervello viene
danneggiata e si rompe, provocando interruzione dell’apporto
di sangue ossigenato nell’area cerebrale
Ictus è un termine latino che significa “colpo” (in inglese
stroke). Insorge, infatti, in maniera improvvisa: una persona
in pieno benessere può accusare sintomi tipici che possono
essere transitori, restare costanti o peggiorare nelle ore
successive.
Quando si verifica un’interruzione dell’apporto di sangue
ossigenato in un’area del cervello, si determina la morte
delle cellule cerebrali di quell’area. Di conseguenza, le
funzioni cerebrali controllate da quell’area (che possono
riguardare il movimento di un braccio o di una gamba, il
linguaggio, la vista, l’udito o altro) vengono perse.
In Italia l’ictus è la terza causa di morte, dopo le malattie
ischemiche del cuore e le neoplasie; causa il 10-12% di tutti
i decessi per anno e rappresenta la prima causa di invalidità.
Ogni anno si verificano in Italia circa 196.000 ictus, di cui
il 20% sono recidive.
Il 10-20% delle persone colpite da
ictus cerebrale muore entro un mese e un altro 10% entro il
primo anno di vita. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad
un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una
qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore
di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza.
L’ictus è più frequente dopo i 55 anni, la sua prevalenza
raddoppia successivamente ad ogni decade ; il 75% degli ictus
si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di
ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (negli uomini
7,4%, nelle donne 5,9%).
La definizione di ictus comprende:
Ictus ischemico: si verifica quando le arterie cerebrali
vengono ostruite dalla graduale formazione di una
placca aterosclerotica e/o da un coagulo di sangue, che
si forma sopra la placca arteriosclerotica (ictus
trombotico) o che proviene dal cuore o da un altro
distretto vascolare (ictus trombo-embolico) . . Circa
l’80% di tutti gli ictus è ischemico.
Ictus emorragico: si verifica quando un’arteria del
cervello si rompe, provocando così un’emorragia
intracerebrale non traumatica (questa forma rappresenta
il 13% di tutti gli ictus) o caratterizzata dalla
presenza di sangue nello spazio sub-aracnoideo
(l’aracnoide è una membrana protettiva del cervello;
questa forma rappresenta circa il 3% di tutti gli
ictus).
L’ipertensione è quasi sempre la causa di
questa forma gravissima di ictus.
Attacco ischemico transitorio o TIA, si differenzia
dall’ictus ischemico per la minore durata dei sintomi
(inferiore alle 24 ore, anche se nella maggior parte dei
casi il TIA dura pochi minuti, dai 5 ai 30 minuti). Si
stima che il 40% delle persone che presenta un TIA, in
futuro andrà incontro ad un ictus vero e proprio.
Fattori di rischio per ictus ischemico:
Età
Sesso maschile
Avere un familiare colpito
fratelli/sorelle, figli)
Storia di un TIA precedente
Ipertensione arteriosa
Ipercolesterolemia
Diabete mellito
Fumo di sigaretta
Eccessivo consumo di alcol
Obesità
da
ictus
(genitori,
L’ipertrofia ventricolare sinistra, la malattia renale
cronica, la fibrillazione atriale, l’aterosclerosi
carotidea e il pregresso infarto, se non trattati in
maniera adeguata, sono condizioni che aumentano la
probabilità di andare incontro ad un ictus.
Fattori di rischio per ictus emorragico
Età
Ipertensione arteriosa
Eccessivo consumo di alcol
Fumo di sigaretta
È fondamentale riconoscere immediatamente i sintomi dell’ictus
per poter intervenire quanto prima possibile; questo consente
di salvare vite e di limitare la comparsa di disabilità. I
sintomi principali, che si manifestano improvvisamente, sono:
paresi facciale, quando un lato del viso non si muove
bene come l’altro
deficit motorio degli arti superiori, quando uno degli
arti superiori non si muove o cade se confrontato con
l’altro
difficoltà nel linguaggio, quando il paziente strascica
le parole o usa parole inappropriate o è incapace di
parlare.
L’alterazione anche di uno solo dei tre segni è altamente
suggestiva per un ictus. È importante annotare l’orario della
comparsa dei primi sintomi perché presso ospedali
specializzati, dotati di “stroke unit” è possibile sottoporre
il paziente colpito da ictus ischemico ad una terapia
trombolitica (cioè che scioglie l’eventuale trombo) entro 3
ore dall’esordio dei sintomi.
Altri segni che possono
dell’ictus sono:
aiutare
nella
identificazione
improvvisa perdita di forza e di sensibilità a carico di
un braccio o di una gamba (specie se dallo stesso lato
del corpo) o di una metà del viso
improvvisa perdita di vista (o di una parte del campo
visivo) a carico di uno o di entrambi gli occhi
l’’improvvisa perdita di equilibrio, comparsa di
sbandamenti o vertigini
improvviso e lancinante mal di testa
improvvisa incapacità a parlare (afasia) o la comparsa
di un modo di parlare biascicato o con parole
incomprensibili
improvvisa incapacità di comprendere cosa le altre
persone dicono
L’acronimo FAST, usato dagli americani, consente di ricordare
facilmente alcuni test da fare nel sospetto che una persona
sia stata colpita da un ictus(Cincinnati Prehospital Stroke
Scale).:
F (come Faccia): chiedere ad una persona di sorridere e
osservare se un angolo della bocca non si solleva o
‘cade’;
A (come Arms: braccia): chiedere alla persona di
sollevare entrambe le braccia e osservare se un braccio
tende a cadere verso il basso;
S (come Speech: linguaggio): chiedere alla persona di
ripetere una frase semplice e valutare se il suo modo di
parlare risulti strano (parole senza senso) o
biascicato;
T (come Tempo): se è presente uno qualunque di questi
segni, chiamare immediatamente il 118.
La diagnosi di ictus viene fatta in ospedale mediante
l’ausilio di:
TAC cerebrale (senza mezzo di contrasto): è l’esame
indicato il prima possibile, dopo l’arrivo in pronto
soccorso (permette di distinguere tra ictus ischemico ed
emorragico ed evidenzia eventuali segni di sofferenza
ischemica cerebrale precoci). E’ consigliabile ripetere
questo esame a distanza di 48 ore.
ecodoppler vasi epiaortici: viene effettuato
abitualmente durante il ricovero e consente di
evidenziare la presenza di aterosclerosi carotidea
ecocardiogramma (transtoracico o transesofageo):
indicata nello studio di eventuale embolia cardiaca
angiografia cerebrale: viene effettuata nelle prime ore
dall’ictus, solo nel caso in cui si decida di trattare
il paziente con intervento endovascolare di
disostruzione arteriosa.
Trattamento dell’ictus ischemico in fase acuta
Trombolitici: vengono somministrati endovena, entro 3
ore dall’inizio dei sintomi (mai oltre le 4-5 ore) in
ambiente ospedaliero (dopo la TAC). Questi farmaci,
aiutano a sciogliere il trombo e a ripristinare il
flusso di sangue nell’area interessata; prima si
interviene e più cellule cerebrali si salvano (“il tempo
è cervello”), consentendo una migliore ripresa
dal’ictus. Questi farmaci hanno molte limitazioni
(possono provocare un’emorragia cerebrale), quindi
possono essere somministrati dal medico solo a pazienti
selezionati.
Rimozione meccanica del trombo: i medici possono
rimuovere il trombo che ha causato l’ictus, introducendo
uno speciale catetere nell’arteria cerebrale.
Farmaci antiaggreganti: come l’acido acetilsalicilico
(aspirina); questi farmaci sono indicati in fase acuta
ad eccezione dei pazienti da sottoporre alla terapia
trombolitica.
Farmaci anticoagulanti (es. warfarin): vengono
somministrati in prevenzione secondaria ai pazienti con
fibrillazione atriale o altre cause di ictus
tromboembolico
Disostruzione della carotide in presenza di grave
aterosclerosi carotidea (la carotide interna è la grande
arteria del collo che porta il sangue al cervello in due
modi:
1. endoarteriectomia carotidea (TEA): il chirurgo apre
l’arteria carotide che decorre nella parte laterale del
collo e la ripulisce delle placche aterosclerotiche che
la ostruiscono
2. angioplastica e stent: il medico inserisce nella
carotide (introdotto da un’arteria dell’inguine) un
catetere sormontato da un palloncino che dilata
l’arteria ostruita, inserendo poi una retina metallica
(stent) per mantenerla aperta
Trattamento dell’ictus emorragico
Emergenza
Lo scopo del trattamento è controllare il sanguinamento
e ridurre la pressione intracranica. Fare attenzione ai
pazienti già in trattamento con anticoagulanti orali o
potenti antiaggreganti piastrinici, farmaci o
trasfusioni di emocomponenti, in quanti possono
neutralizzare gli effetti di questi farmaci. In caso di
emorragie importanti il neurochirurgo può intervenire
chirurgicamente per bloccare l’emorragia.
Riabilitazione
Dopo la fase delle terapie di emergenza, il trattamento
dell’ictus è mirato a recuperare quanto più possibile le
funzioni cerebrali danneggiate dall’ictus. Questo si
ottiene con specifici programmi di riabilitazione, che
vanno iniziati il più presto possibile (riabilitazione
motoria, logopedia ecc.). Si può prospettare il rientro
al proprio domicilio, che è ovviamente la soluzione
auspicabile, oppure il trasferimento in strutture
riabilitative/assistenziali, a seconda del grado di
deficit residuo e delle condizioni socio-economiche.
Fase post ricovero
La fase che segue il ricovero è la più delicata perché vanno
affrontati i problemi riguardanti il paziente, la famiglia,
l’organizzazione degli interventi a livello territoriale;
vanno programmati interventi riabilitativi (fisioterapia,
logopedia e terapia occupazionale), interventi clinici
(terapia antipertensiva, ipolipemizzante, antiaggregante,
anticoagulante e il trattamento delle comorbidità, come il
diabete, la bronchite cronica, la malattia renale cronica
ecc.).
Fondamentale è l’attenzione verso lo stile di vita sano
(alimentazione sana e abolizione del fumo), già descritto
nella sezione prevenzione; una attenzione particolare va
rivolta verso l’attività fisica; infatti è dimostrato che una
grave menomazione funzionale causa sedentarietà, che, a sua
volta, causa nuove menomazioni, nuove limitazioni funzionali,
nuova disabilità con riduzione ulteriore dell’attività motoria
e della partecipazione sociale.
Esistono programmi specifici di attività fisica adattata per
pazienti con esiti cronici di ictus cerebrale.
Inoltre non va dimenticato il sostegno psicologico al
paziente, con la prevenzione alla depressione e il sostegno
alla famiglia.
Il 50% degli ictus ischemici potrebbe essere prevenuto
modificando lo stile di vita; infatti esso è attribuibile ad
una mancata adesione ad uno stile di vita salutare (astensione
dal fumo, regolare attività fisica e alimentazione corretta)
Come si può prevenire l’ictus:
Smettere di fumare: è molto importante, perché il fumo
raddoppia il rischio di ictus (il fumo facilita la
formazione di placche aterosclerotiche, danneggia le
pareti dei vasi, facilita l’aggregazione piastrinica)
Seguire una alimentazione sana: l’alimentazione deve
essere varia ed equilibrata; non superare i 5 grammi di
sale al giorno; limitare il consumo di grassi, in
particolare colesterolo e grassi saturi, contenuti nei
prodotti di origine animale; consumare almeno 5 porzioni
al giorno fra frutta e verdura; consumare il pesce
almeno due volte a settimana; limitare il consumo di
dolci; assicurare un adeguato apporto di fibre
attraverso il consumo di cereali integrali (pane, pasta
e riso) e legumi.
Alcuni nutrienti hanno un’azione protettiva: i grassi
omega-3 contenuti nel pesce, le fibre, il potassio
(contenuto nella frutta e verdura) e il calcio
(consumare regolarmente latte scremato e latticini a
basso contenuto di grassi), gli antiossidanti come la
vitamina C ed E (contenuti nella frutta e verdura),
Esercizio fisico regolare (almeno 30 minuti, tutti i
giorni) di tipo aerobio (es. passeggiare a passo svelto,
andare in bicicletta, nuotare, ballare, fare le scale a
piedi).
Dimagrire se in sovrappeso, riducendo la quantità di
cibo consumata quotidianamente e aumentando la regolare
attività fisica
Non eccedere nelle bevande alcoliche;la dose massima
consentita: 2 bicchieri di vino al giorno per gli
uomini, 1 bicchiere al giorno per le donne da consumare
preferibilmente durante i pasti
Controllare la pressione arteriosa regolarmente (se non
si è ipertesi, va controllata almeno una volta l’anno),
visto che l’ipertensione rappresenta uno dei principali
fattori di rischio per ictus. L’obiettivo da raggiungere
è una pressione inferiore a 140/90 mmHg.
Controllare il polso e se si ha la sensazione che sia
irregolare, parlarne con il proprio medico curante.
Controllare i livelli di colesterolemia totale, LDL,
trigliceridemia, glicemia, ricordando che i fattori di
rischio sono modificabili attraverso un sano stile di
vita e se necessario una adeguata terapia farmacologica,
che va protratta per tutta la vita, seguendo le
indicazioni del proprio medico curante.
Bradicardia
E’ caratterizzata da una frequenza cardiaca più bassa del
normale (inferiore a 50 battiti al minuto). Questo può far sì
che arrivi poco sangue al cervello, causando la sincope
(improvvisa perdita di coscienza). Possono insorgere a seguito
di infarto, per processi legati all’invecchiamento, per
alterazione degli elettroliti nel sangue (soprattutto
potassio), per alcuni farmaci cosiddetti ‘bradicardizzanti’,
quali i beta-bloccanti e la digitale.
La bradicardia è tipica delle persone che fanno sport a
livello agonistico; questa forma non rappresenta motivo di
preoccupazione
Fibrillazione Ventricolare
E’ un’aritmia caotica che origina nei ventricoli, che
ricevendo segnali elettrici non sincronizzati, non riescono a
contrarsi in maniera valida per pompare il sangue in circolo.
La morte può intervenire nell’arco di pochi minuti, a meno che
non si intervenga con un defibrillatore, un apparecchio dotato
di due piastre che, appoggiate sul torace del paziente,
erogano uno shock elettrico che può mettere fine a questa
aritmia. La fibrillazione ventricolare si può verificare a
seguito di un infarto.
Tachicardia Ventricolare
È un’aritmia che origina dai ventricoli e che induce un
battito cardiaco ritmico molto rapido; può durare per pochi
battiti o più a lungo (tachicardia ventricolare sostenuta).
Quest’ultima rappresenta un’emergenza medica perché il cuore
non riesce a pompare sangue in circolo in modo adeguato e
perché può degenerare in fibrillazione ventricolare
Tachicardia
parossistica
sopraventriclare (Tpsv) e
sindrome di Wolff-ParkinsonWhite (Wpw)
È un’aritmia caratterizzata da un’elevata frequenza e che ha
inizio e fine improvvise. Si può verificare anche nei giovani,
a seguito di uno sforzo fisico importante. Una sua forma
particolare è la sindrome di Wolff-Parkinson-White, una
condizione nella quale i segnali elettrici atriali passano ai
ventricoli attraverso una via accessoria, senza essere
‘filtrati’ dal nodo atrio-ventricolare; per questo motivo la
frequenza cardiaca può essere molto elevata; questo tipo di
aritmia può essere pertanto pericolosa.
Fibrillazione
Flutter Atriale
Atriale
e
L’impulso del battito cardiaco in questa aritmia non parte più
dal nodo seno-atriale ma dalle aree che circondano lo sbocco
delle vene polmonari in atrio sinistro. Le pareti degli atri
‘fibrillano’ e non si contraggono in modo sincrono. Gli atri
“battono” ad alta frequenza in maniera completamente caotica
(nel flutter invece battono ad alta frequenza ma in modo
ritmico); le cose si complicano quando anche i ventricoli
rispondono ad elevata frequenza. La complicanza più temibile
della fibrillazione atriale (e del flutter) è l’ictus
tromboembolico, che si verifica perché il cuore non si contrae
in modo completo, il sangue può ristagnare in una parte
dell’atrio sinistro, può coagulare, dare luogo alla formazione
di trombi che, immessi in circolo, possono fermarsi a livello
di una arteria, come quelle cerebrali (ictus) o a livello
dell’intestino (infarto intestinale), dei reni (infarto
renale) o degli arti.
La fibrillazione atriale può essere causata da tutte quelle
condizioni che provocano una dilatazione degli atri (es.
insufficienza mitralica, ipertensione arteriosa), dalla
cardiopatia ischemica, dall’ipertiroidismo, dall’abuso di
alcol (soprattutto il binge drinking), dall’infiammazione,
dalle pericarditi, dalla malattia del nodo del seno. L’età e
il diabete rappresentano altri fattori di rischio.
Extrasistole
L’extrasistole è un battito cardiaco prematuro, ossia una
contrazione del muscolo cardiaco che avviene prima del
previsto, alterando la successione regolare dei battiti nel
ritmo sinusale. L’impulso nasce quasi sempre in sedi diverse
dal nodo seno-atriale, che è il luogo d’origine fisiologica
dell’attività elettrica del cuore.
Le extrasistoli possono essere isolate, cioè comparire in
maniera sporadica, o avere una cadenza regolare, ad esempio
comparire dopo ogni battito sinusale (extrasistoli bigemine) o
ogni due battiti sinusali (extrasistoli trigemine). Possono
presentarsi anche sotto forma di “scariche” di due (coppia),
tre (tripletta) o più extrasistoli (extrasistoli “a salve”).
In genere, a una extrasistole fa seguito una pausa che può
essere
compensatoria
(se
la
somma
del
periodo
dell’extrasistole più la pausa è uguale a due cicli sinusali)
o non compensatoria (se la somma è minore). Le extrasistoli
atriali hanno di solito una pausa non compensatoria, quelle
ventricolari hanno una pausa compensatoria.
Se non vi è pausa, se cioè l’extrasistole si inserisce
semplicemente fra due battiti sinusali successivi, viene detta
extrasistole interpolata.
Aritmie Cardiache
L’aritmia è un disturbo del ritmo cardiaco o della frequenza
cardiaca (cioè del numero di battiti al minuto); il cuore può
cioè battere troppo velocemente (tachicardia) o troppo
lentamente (bradicardia) o con un ritmo completamente
irregolare (ad es. fibrillazione atriale). La maggior parte
delle aritmie sono innocue ma a volte possono impedire al
cuore di riempirsi adeguatamente e di svolgere la sua funzione
di pompa del sangue in circolo; questo può arrecare gravi
danni a diversi organi (cervello, cuore, reni ecc).
Il cuore ha un suo sistema elettrico interno, attraverso il
quale viaggiano gli impulsi per far contrarre le fibre
muscolari. Le cellule che compongono questo sistema elettrico
sono le stesse che controllano il ritmo e la velocità dei
battiti cardiaci. Il segnale elettrico nasce in un gruppo di
cellule (il nodo seno-atriale), che si trova nell’atrio destro
e determina la frequenza del battito cardiaco normale. Da qui
il segnale elettrico si propaga al resto dell’atrio destro e
al vicino atrio sinistro. Dagli atri il segnale passa ai
ventricoli attraverso il nodo atrio-ventricolare, che si trova
al confine tra atri e ventricoli. Qui il circuito elettrico si
divide in due rami, la branca destra e la branca sinistra (che
a sua volta si sfiocca in fascicolo anteriore e fascicolo
posteriore) che portano il segnale ai ventricoli. L’aritmia
può nascere per l’alterazione di una qualunque parte di questo
circuito.
Le aritmie sono un gruppo eterogeneo di patologie.
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