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Noto e l`Ordine Teutonico - Ordine Teutonico Sicilia

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Noto e l`Ordine Teutonico - Ordine Teutonico Sicilia
NOTO E LʼORDINE TEUTONICO NEI SECC. XII-XX
di Francesco Maiore
SECC. XII-XIII
Nell’età Sveva la presenza religiosa nel territorio siciliano, e in particolare in quello netino, ebbe
un ruolo significativo di controllo nell’ambito dei numerosi conflitti sociali sorti ed accentuatisi ulteriormente dopo la morte di Guglielmo II a seguito della sempre maggiore presenza di elementi tedeschi conseguente all’ascesa al trono di Enrico VI di Hoenstaufen1.
La politica imperiale, infatti, incoraggiò l’insediamento dei Cavalieri Teutonici in Sicilia i cui
possedimenti coincisero spesso con gli assi viari che costituivano la viabilità principale per rispondere meglio alle esigenze di controllo dei punti nevralgici del territorio scosso da guerre intestine2.
Il territorio netino, in particolare, costituiva unʼarea strategica per i collegamenti in quanto posta
al confine tra le due signorie di Siracusa e di Ragusa.
Nel XII e XIII secolo il territorio netino presentava una organizzazione abitativa caratterizzata da
un centro urbano e da molti nuclei abitati rurali distribuiti nella montanea e nella maritima oltre che
in prossimità del basso corso del Tellaro3.
Il geografo arabo Edrisi, vissuto alla corte Normanna, nella sua descrizione della Sicilia nella
metà del XII secolo scrive di Noto come di una rocca delle più forti ed e levate e città delle più belle;
vasta d’area, ricca d’entrate, e molto importante, co’ suoi mercati disposti in bell’ordine e coi suoi palazzi torreggianti. Portan acque copiose i fiumi del suo territorio e muovon di molti molini; la sua giurisdizione abbraccia vasto perimetro; nobile è la sua provincia; i suoi campi da seminare sono ubertosi
sopra ogni altro, e produttive sopra ogni altra le sue terre. Come quella che fu abitata fin dai tempi
primitivi , Noto possiede avanzi d’antichità4.
Nel 1197 il monastero della SS. Trinità del cancelliere, detta la Magione, a Palermo, fu assegnato dall’imperatore Enrico VI di Svevia all’Ordine Teutonico come mansio con un diploma in cui si
fa esplicito riferimento alle precedenti donazioni del vicecancelliere Matteo d’Ajello e dei suoi figli5. Il 18 luglio di quell’anno, infatti, i Cistercensi vennero cacciati dall’abbazia in quanto in essa i
sentimenti verso l’imperatore erano particolarmente gelidi. I monaci che vi vivevano nutrivano particolari simpatie per i ribelli d’Ajello i quali avevano avuto il loro punto di riferimento proprio nel
vicecancelliere Matteo il quale nel 1184-85 era stato tra gli oppositori della svolta filosveva nella
politica di Guglielmo II, con le conseguenti trattative di matrimonio tra Costanza d’Altavilla ed Enrico VI. Alla morte di Guglielmo II, nel 1189, Matteo si schierò subito contro Costanza appoggiando la candidatura di Tancredi il quale nel novembre 1189 venne incoronato a Palermo re di Sicilia.
Come ricompensa per il ruolo svolto nell’elevazione regia, Matteo ottenne da Tancredi la carica di
cancelliere rimasta vacante per decenni, dopo la fuga dell’arcivescovo di Palermo e cancelliere del
regno di Sicilia Stefano di Perche nel 11686 per la Terrasanta a causa dei cattivi rapporti con i baroni.
1
SALVATORE TRAMONTANA, Ceti sociali e gruppi etnici, in Potere, società e popolo tra età normanna ed età sveva, Atti delle
quinte giornate normanno-sveve, Bari 1983, pp. 147-163.
2
Cfr. LUCIA ARCIFA, Tra casale e feudo: dinamiche insediative nel territorio di Noto in epoca medievale, in Contributi alla geografia dell'agro netino, Atti delle giornate di studio, I.S.V.N.A., Noto, 2001, pp. 159-199.
3
Cfr. FRANCESCO BALSAMO, Noto nel Medioevo, I.S.V.N.A., Noto 2005, p. 11.
4
da MICHELE AMARI, Biblioteca arabo-sicula, vol. I, Torino-Roma 1880, in FRANCESCO BALSAMO, Noto nel Medioevo…, p. 67.
5
Matteo da Salerno, comunemente indicato nella storiografia come “d’Ajello” ‒ anche se questo nome di famiglia comincia a essere usato solo per i discendenti di un figlio di Matteo, Riccardo (1183-1226), divenuto nel 1192 conte di Ajello ‒ per quasi mezzo
secolo fece parte del gruppo dei più stretti consiglieri degli ultimi tre sovrani della casa Altavilla, da Guglielmo I a Tancredi.
6
A Matteo dʼAjello a Palermo è riconosciuta anche la fondazione dell’ospedale di Ognissanti, secondo un privilegio di Lucio III
del maggio 1182. Prima del 1177 aveva fatto donazioni a favore del monastero greco di S. Salvatore di Messina: si tratta del casale di
Collura, che lo stesso Matteo aveva ricevuto in dono dal sovrano.
1
Firma di Matteo come magister notarius del 1157
Matteo descritto da Pietro da Eboli7
nel Liber ad honorem Augusti
Fra le numerose donazioni affluite alla Magione vi fu anche la chiesa di Santa Maria de Criptis
rebellatis. Essa sorgeva nel feudo della Canseria, sulla riva della Cavagrande del Cassibile, tra Noto
Antica e Avola Antica, a sud-est del feudo Arco, oltre il corso del Manghisi-Cassibile.
Lʼappartenenza ai Teutonici del feudo della Canseria si evince dalla presenza di una pianta del
feudo tra le carte topografiche relative al Fondo della Magione custodite presso lʼArchivio di Stato
di Palermo. In prossimità del feudo della Canseria, circa a metà del corso del Cassibile, si aprono
nella Cava Grande le Grotte della Canseria mentre sul versante opposto della cava risulta presente
un ulteriore gruppo di abitazioni rupestri. Ed è proprio in una di queste grotte che è identificabile la
chiesa di Santa Maria de Criptis rebellatis8.
Il toponimo criptis fa riferimento al primitivo luogo di culto, ovvero una grotta.
Nel febbraio del 1287 il notaio Theodonis, procuratore del canonico siracusano Enrico Traversa,
figlio del miles Bellebonus Traversa, intentò giudizio contro frate Nicolò, precettore in Val di Noto
dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici, chiedendo di far cessare le molestie che il precettore
perpetrava indebitamente nei confronti di Enrico circa il possesso della chiesa di Santa Maria de
Criptis rebellatis spettante a quest’ultimo in ragione della prebenda concessagli dal vescovo di Siracusa9.
7
Pietro da Eboli (Eboli, 1170 circa - 1220 circa) poeta italiano, cronista e forse chierico, visse tra il XII e il XIII secolo e fu vicino alla corte sveva. Fra le sue opere si ricorda il Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis (“Libro in Onore dellʼImperatore,
ovvero sulle vicende di Sicilia”: Codex 120 II della Burgerbibliothek di Berna), noto anche come Carmen de motibus Siculis (“Poema sulla rivolta siciliana”). Si tratta di un panegirico in latino, scritto a Palermo nel 1196 e dedicato ad Enrico VI di Svevia. Lʼopera,
in distici e in tre libri, celebra la conquista del Regno di Sicilia, tessendo le lodi dellʼImperatore. Lʼopera, secondo Houben, fu composta nella primavera del 1195.
8
Cfr. LUCIA ARCIFA, Tra casale e feudo..., pp. 159-199.
9
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario della Magione di Palermo (1116-1643), Palermo, Ministero per i Beni e le Attività Cultu-
2
Quattro mesi dopo, il 15 giugno 1287, Roberto de Lauria, consigliere e giustiziere regio del Val
di Noto, e Guglielmo Carbonitus de Panormo, giudice e assessor del giustizierato del Val di Noto,
emisero la sentenza in favore del precettore, al quale riconobbero il possesso della chiesa10.
Il 1° settembre 1290, Giacomo d’Aragona re di Sicilia, diede mandato al nuovo giustiziere affinché, accertata la verità dei fatti e giustificata la contumacia del precettore, mettesse il syndicus
dell’Ordine teutonico nel possesso della chiesa e consentisse ad Enrico di proseguire la causa presso
la magna curia11.
Il 18 settembre 1290 Umberto de Roccaforte, familiare regio e giustiziere del Val di Noto, in
esecuzione del mandato di re Giacomo d’Aragona del 1° settembre 1290 e in considerazione delle
informazioni ricevute dalle lettere di Roberto de Lauria sul processo intercorso fra Enrico, canonico
di Siracusa, e il precettore e la comunità dell’Ordine, nella persona del syndicus Buccardus, a proposito del possesso della chiesa, ordinò ai giudici di Siracusa che, pagate da Buccardus ad Enrico le
spese legali sostenute da quest’ultimo per la causa (tarì 10) e versata la cauzione fideiussoria, restituissero al medesimo Buccardus il possesso della chiesa e consentissero al canonico di Siracusa la
facoltà di proseguire il processo presso la Magna regia curia12.
Il 26 settembre 1290 il notaio Benedetto e i giudici cittadini di Siracusa Pachius de Gulfo e Guglielmo Morena, in esecuzione del mandato regio del 1° settembre 1290 e del mandato di Umberto
de Roccaforte del 18 settembre 1290, restituirono al syndicus teutonico il possesso della chiesa di
Santa Maria de Criptis rebellatis di Noto13.
Il 26 giugno 1299 Matteo, syndicus e procuratore dell’Ordine in Sicilia nonché precettore e custode di Santa Maria de Cava fece un esposto nei confronti del miles Francesco de Aspello, consigliere e familiare del re e capitano regio di Siracusa, relativo ai beni sottratti con violenza da Lorenzo de presbitero Dorante, dal siracusano Barthucius Candelarius e da altri complici alla chiesa di
Santa Maria de Cava. Lorenzo e Barthucius, in presenza del capitano, confessarono il reato dichiarando l’entità dei beni depredati che restituirono a Matteo14.
Possiamo supporre che si tratti della stessa chiesa precedentemente indicata con il titolo di Criptis rebellatis. Lʼappellativo de Cava, infatti, potrebbe far riferimento al luogo in cui sorgeva tale
chiesa, ovvero la Cavagrande del Cassibile.
SECC. XV-XVI
Come si evince da un atto del notaio Giacomo Maniscalco del 21 aprile 2.a Ind. 142415, frate
Giorgio Guelvelt, gran precettore della Sacra Casa della SS. Trinità della Magione dell’Ordine Teutonico della Città di Palermo e venerabile provinciale del medesimo Ordine nel Regno di Sicilia, col
consenso dei Frati della Magione, costituì frate Corrado Torkel, appartenente al suddetto Ordine,
procuratore e amministratore affinchè facesse due permute di beni della Magione esistenti in Noto16: la prima con Giovanni de Messana al quale la chiesa della SS. Trinità cedette una certa quantità di terra in cambio di un pianterreno ubicato sempre in Noto e la seconda con Giovanni lu Malandrinu consistente nella cessione di quattro case site a Noto e nel suo territorio in cambio di un’altra
rali, Direzione Generale per gli Archivi, 2011 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti XLVIII, Archivio di Stato di Palermo),
doc. 193, pp. 121-122.
10
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario..., doc. 194, p. 122.
11
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario..., doc. 231, pp. 139-140. v. ANTONINO MARRONE, Repertori del Regno di Sicilia dal
1282 al 1377, p. 81.
12
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario..., doc. 232, p. 140. Lʼatto di restituzione venne rogato dal notaro Baldovino Margariti di
Siracusa.
13
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario..., doc. 233, pp. 140-141.
14
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario..., doc. 338, p. 191.
15
Si tratta di una delle pergamene appartenenti alla chiesa della Magione ora conservate presso l’Archivio di Stato di Palermo.
16
Cfr. ANTONIO MONGITORE, Monumenta historica sacrae domus mansionis SS. Trinitatis militaris ordinis Theutonicorum urbis
Panormi et magnis ejus praeceptores, commendatarii, ecclesiae suffraganeae, proventus aliaque memorabilis ejusdem sacrae domus
recensentur et illustrantur. Auctore sacrae theologiae doctore D. Antonio Mongitore, Palermo 1721.
3
casa ubicata anch’essa a Noto17.
Dalla chiesa della Magione di Palermo dipendevano numerose grangie18, cioè chiese suffraganee. Di esse faceva parte anche la chiesa della SS. Trinità di Noto i cui diritti, beni e feudi erano
sottoposti al precettore della Magione19.
Nella visita pastorale del vescovo di Siracusa Girolamo Beccadelli di Bologna20 del 1542, risulta
che la chiesa della SS. Trinità in Noto aveva molti redditi e in essa risiedevano frate Franco Malandrino e frate Sebastiano Mayore(...) dell’Ordine Carmelitano. In occasione di tale visita, il vescovo
dispose che venisse riparato l’altare che versava in cattive condizioni21. Da ciò si evince che, rispetto a quanto finora appreso dalle fonti storiche, la presenza dei Carmelitani all’interno dell’antica
Noto risulta precedente al loro trasferimento all’interno della città dalla chiesa extra moenia di S.
Giacomo a quella di S. Martino avvenuta nel 158622.
Nel settembre 1578 giunse a Noto in qualità di visitatore delle chiese di Regio Patronato per il
Val di Noto, don Pietro Manriquez de Buytron23, dottore in Sacra Teologia, eletto con lettere reali
del 1577 contemporaneamente cappellano maggiore, abbate di Santa Lucia e di Santa Maria di
Roccadia dellʼOrdine Cistercense presso Lentini.
Delle importanti istituzioni religiose che in quel periodo si trovavano a Noto soggette a tali visite, cioè ad ispezioni periodiche da parte degli organi della Monarchia, oltre la chiesa della SS. Trinità, vi erano anche le abbazie dell’Arco e di Santa Lucia.
I compiti assegnati ad un regio visitatore vengono descritti dalle istruzioni fornite a mons. Giacomo de Arnedo, dottore in Sacra Teologia, vicario generale della diocesi di Siracusa ed oratore regio, dal vicerè Giovanni de Vega con una lettera24 inviatagli da Palermo in data 13 dicembre 1552;
essi vengono inoltre descritti anche dalle lettere regie dʼaccompagnamento alle visite del De Ciocchis25 la cui relazione sul caso specifico della chiesa della SS. Trinità in Noto rappresenta la continuazione, lʼintegrazione e il completamento di quella del Manriquez.
Questʼultimo, infatti, effettuata la visita il 13 settembre 1578 alla chiesa della SS. Trinità di Noto, stese la sua relazione secondo uno schema prestabilito, articolandola nei punti seguenti:
l) Sul culto divino (De cultu divino);
17
ELISABETTA LO CASCIO, Il Tabulario..., doc. 749, pp. 398-399.
Le altre grangie ‒ come risulta dal vol. 1315 della Conservatoria di Registro dell’Archivio di Stato di Palermo (ASP) ‒ erano le
seguenti: Santa Maria Alemanna a Messina, Santa Barbara a Paternò, San Leonardo e Sant’Elisabetta ad Avola, Santa Maria Alemanna a Sciacca, la Trinità a Polizzi, Santa Elisabetta nel territorio di Corleone, Santa Maria dei Miracoli a Castiglione, Sant’Andrea
a Castronovo, la Trinità nel feudo di Margana, S. Giovanni ad Agrigento e S. Giovanni de’ lebbrosi a Palermo.
19
ROCCO PIRRI, Sicilia Sacra. Notitiae Ecclesiae Syracusanae, p. 2.
20
Cfr. ROBERTO ZAPPERI, Beccadelli di Bologna, Girolamo, in “Dizionario Biografico degli Italiani” - Volume 7 (1970). Appartenente a una nobile famiglia palermitana di origine bolognese, Girolamo Beccadelli di Bologna nacque verso la fine del sec. XV da
Fabio e da Laura Bologni. Frate minore conventuale, godette di numerosi benefici ecclesiastici: canonico di Malta, cappellano della
cappella reale di Palermo (1516), canonico della metropolitana (1517), cappellano d’onore di Carlo V (1527), priore della S. Trinità
di Delia (1528), e ancora abbate commendatario di San Giovanni degli Eremiti, poi di San Filippo Grande e di Nostra Signora di
Roccamadore. Il 29 aprile 1541, su presentazione di Carlo V, fu nominato vescovo di Siracusa, e in tale ruolo partecipò, insieme con
l’arcivescovo di Palermo, Pietro d’Aragona Tagliavia, alle prime due sessioni del concilio di Trento (1545-47 e 1551-52). Fedele
all’imperatore per antica tradizione familiare, il Beccadelli a Trento si aggregò al gruppo spagnolo e nelle questioni generali seguì le
direttive di politica ecclesiastica imperiale date da Carlo V. Per il resto si mosse con libertà, mostrando di solito una notevole indipendenza di giudizio. Pastoralmente il Beccadelli fu tra i primi e più convinti artefici della riforma della Chiesa in Sicilia. In tal senso
particolare significato assume il sinodo diocesano tenuto a Siracusa, subito dopo il suo ritorno da Trento, dall’8 all’11 settembre
1553, il primo in Sicilia ispirato ai deliberati tridentini, le cui costituzioni sinodali (pubblicate due anni dopo) costituiscono un documento di primaria importanza per l’introduzione della riforma cattolico-tridentina in Sicilia. Nella sua attività di riforma il Beccadelli
si legò strettamente ai gesuiti che introdusse nella diocesi, aiutò e dotò e della cui collaborazione si avvalse per condurre in qualità di
visitatore (nominato da Paolo IV) la visita ai monasteri femminili in Sicilia nel novembre del 1555. In diocesi fondò conventi, monasteri e collegiate e mise a punto un piano per la costruzione del seminario vescovile, poi attuato dal suo successore. Il Beccadelli morì
a Siracusa il 16 luglio 1560.
21
Archivio Storico Arcidiocesi di Siracusa (ASAS), Visite pastorali, f. 140.
22
Cfr. ROCCO PIRRI, Chiese della Diocesi di Noto (dalla Sicilia Sacra), testo anastatico (ed. 1733) con traduzione di Francesco
Balsamo, I.S.V.N.A., Noto 1977, p. 43.
23
ASP, Relazione del Manriquez, Vol. 1315 Anno 1577-78 Conservatoria di Registro - Regie Visite.
24
Si conserva come introduzione al vol. 1308 della Conservatoria di Registro dell’ASP, che contiene le sacre visite del 1552 di
Mons. Arnedo.
25
Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam a Joanne Angelo De Ciocchis Caroli III Regis iussu acta decretaque omnia, Panormi
ex Typographis Diarii Literarii MDCCCXXXVI, Vol. I (Vallis Mazariae), pp. VI-X e pp. XVIII-XXII; del vol. II (Vallis Nemorum)
pp. IV-XIII; del vol. III (Vallis Neti), pp. VI-XV.
18
4
2) Sulle fabbriche (De fabricis);
3) Sui giogali della chiesa (Jugalia reperta in dita Ecclesia), cioè gli arredi sacri e le cose di pregio posseduti dalla chiesa della SS. Trinità;
4) Repertorio dei beni della suddetta chiesa.
In merito al primo punto, le tassative disposizioni del visitatore stabilivano che nella chiesa si
dovessero celebrare messe tutte le domeniche e nei giorni festivi; che quella di lunedì dovesse essere consacrata a Maria Vergine e l’orazione aggiunta alle altre della messa come ultima dovesse terminare nel modo seguente: “Che tu, nostro Signore, possa proteggere i tuoi servi il Papa, il nostro
Re Filippo e la Regina colla regale prole e noi tutti servi col preservarci da ogni avversità”.
Al cappellano come stipendio ed elemosina dovevano essere assegnate 8 onze l’anno ed altre 2
per l’olio della lampada e per la cera delle messe da celebrarsi nella medesima chiesa; all’addetto
alla chiesa, invece, 3 onze per servire le messe e tenere il tempio pulito ed adorno. Secondo il Manriquez in questo caso si sarebbe potuto risparmiare sulla spesa scegliendo a Noto fra i sacerdoti
“ignoranti e di cattiva vita” i quali sarebbero stati disposti a prestare servizio nella chiesa della SS.
Trinità per una somma inferiore a quella da lui fissata, sebbene però tale scelta sarebbe stata controproducente “per il servizio da prestare a Dio, alla detta chiesa e alla Cattolica Maestà”.
Passando al secondo punto, il visitatore dispose che nell’arco di un mese si rifacesse il soffitto
della chiesa con legname della migliore qualità. Tale indicazione presuppone che il soffitto esistente, essendo stato realizzato con legname di qualità scadente, dovesse essere malandato, causando
probabili infiltrazioni d’acqua al punto da rendere umida la chiesa e, di conseguenza, provocando
screpolature e fenditure. La chiesa, inoltre, trovavasi priva di sacrestia dal momento che se ne prescrisse la realizzazione assieme alla collocazione in essa di un cassettone, fatto di legname di buona
qualità e destinato a custodire i giogali della chiesa. L’edificio sacro doveva essere fornito di più di
una porta se nella relazione in oggetto si parla di una porta grande creata di recente per la quale il
visitatore ordinava che si chiudesse con due battenti fatti sempre con legname di ottima qualità.
Egli, inoltre, dispose la chiusura di una porta della casa di Andrea Caruso che si apriva sullo spazio
aperto, chiuso da un portico, appartenente all’edificio della grangia. La somma di 22 tarì, già pagata
e depositata presso il tesoriere deputato dal visitatore e ricavata da una multa imposta al rev. D.
Giovanni Pregadio e dagli eredi del defunto Luca Orlando dimostratisi negligenti e colpevoli per
non avere eseguito l’ordine del visitatore de Arnedo di provvedere alla cera dell’altare maggiore,
venne devoluta a spese di “assoluta e inderogabile necessità”.
Il visitatore impose ai giurati di Noto di vietare che in una bottega del convento di San Francesco, posta di fronte alla facciata principale della chiesa della SS. Trinità, si vendessero carne, olio,
tonnina, sarde ed altri prodotti che producessero cattivo odore, poichè ciò era molto sconveniente,
trovandosi vicina una chiesa nella quale venivano celebrate messe e veniva esposto il SS. Sacramento. Nel caso di inosservanza, i giurati ai quali il visitatore aveva imposto tale provvedimento, e
coloro i quali avrebbero ricoperto successivamente tale carica, sarebbero incorsi nel pagamento di
una penale di 100 onze da devolversi alla Camera del Sovrano. Inoltre, coloro i quali avessero affittato il predetto locale ad uso di bottega destinata alla vendita dei suddetti prodotti, sarebbero stati
soggetti ad una penale di 50 onze da devolversi sempre alla Camera del Sovrano, imponendo al
convento di S. Francesco e al cappellano della chiesa della SS. Trinità di fare notificare ai giurati da
un notaio l’avvenuta violazione di tale precisa disposizione.
Il Manriquez nominò cappellano stipendiato della chiesa il rev. La Mattina, il quale vi prestava
servizio, con l’obbligo di celebrarvi le messe stabilite assegnandogli un rimborso di 25 onze con le
rendite della chiesa per mezzo del tesoriere Francesco Veglia, in seguito a revisione ed approvazione dei conti fatta sempre dal visitatore. Quest’ultimo destinò la somma annua di 6 onze, da ricavarsi
sempre dalle rendite della chiesa, per spese di culto e per le riparazioni da apportare alle fabbriche.
Nominò il notaio Marco Infantino depositario e tesoriere delle somme da erogarsi e spendersi ‒ dietro giustificazione ‒ per le cose contenute ed espresse nelle ordinazioni; somme da depositarsi presso di lui in seguito ad ordine e ad incarico di Vincenzo Pipi, barone di Stallaini, eletto a tal fine, il
quale doveva compensare col pagamento di 1 onza il lavoro del notaio. Il Pipi, inoltre, aveva il
compito “di spingere e di costringere gli inquilini ed i detentori dei beni e del feudo della chiesa
5
della SS. Trinità mediante coercizioni reali, riguardanti cioè il loro patrimonio, e personali ritenute
da lui opportune ai fini del pagamento dell’intera somma di denaro (alla quale coloro che ne hanno
l’obbligo sono tassati in conseguenza delle ordinazioni)”26.
Affinchè tali disposizioni venissero rispettate, il visitatore dispose che l’abate effettivo o temporaneo della Sacra Casa della Magione di Palermo o il suo procuratore non potessero esigere l’intera
gabella del feudo e dei proventi della SS. Trinità o appropriarsene “arrogandosene a torto il diritto”,
e di lasciare ogni anno presso il gabellato tali somme di denaro, che costituivano il reddito di 20 onze da devolversi tutti gli anni per il conseguimento dei fini già indicati, pena il versamento di 2000
onze al fisco e alla Camera di S. Maestà; un mancato pagamento che l’abate e il suo procuratore
avrebbero dovuto riconoscere come legittimo. Nel caso di un’assenza del Pipi e dell’Infantino, o
nell’eventualità della morte di uno di essi, i loro eredi avrebbero dovuto ricorrere, entro un mese, al
vicerè per supplicarlo circa l’elezione di un nuovo deputato o tesoriere altrimenti sarebbero incorsi
nel pagamento di 100 onze da devolversi a qualsiasi fine.
Passando ora al terzo punto della relazione, cioè quello relativo ai giogali, il Manriquez stilò il
seguente elenco:
In primis una casubula de jambillocto di grana (= pianeta di pelo di cammello ruvido) con la cruchi di raso jalno (=
giallo) et con li frinzi (= frange) di sita morata (= seta scurissima) foderata di tiletta (= drappo tessuto con oro) cum stola et manipulo del proprio.
Item una alba (= pianeta) di tila usata con lo manipulo di la propria (= vera) tila con lo guarnimento di raso jalno
cum cruchi di raso di grana (= ruvido).
Item un paraaltaro di jambillocto con lo scuto in menzo di raso jalno con la cruci di raso russo cum lo propij frinzi di
grana usata.
Item una casubula di tila bianca con la cruchi di jambillocto russo.
Item uno manipulo di sita verdi.
Item una stola di jambillocto usata.
Item uno calice di argendo deorato (= dorato) con la patena et pedi di ramo.
Item dui corporali cum soi bursi et purificaturi.
Item una casubula di tila nigra con la cruchi di raso verdi.
Item un altro amitto.
Item quattro tovaglie per limpiarsi (= pulirsi) li mani lo sacerdote alla missa.
Item una cruchi di brunzo vecchissima.
Item octo pecti (= pezzi) di tovaglie vecchissimi intagliati.
Item dui coxinelli de propio vechissimi.
Item tri supraconi.
Item un altro pallio di tila intaglato.
Item uno paro di candileri di ligno.
Item quattro coxinetta di lo Altaro.
Dal quarto ed ultimo punto della relazione risulta che la chiesa della SS. Trinità in vari quartieri
della città possedeva delle case e ricavava redditi da altri immobili sotto forma di censo perpetuo
(iure perpetui census) o di enfiteusi (iure emphiteotico):
QUARTIERE DEL CROCIFISSO
Proprietà: tri casi terrani
Censo annuo: 12 onze
Proprietà: Una casa a piano terra
Confini: con la casa di lo quondam Mastro mariano di
laurenzo e con la casa di francisco di buxeme et la via
publica di lo Crucifisso
Censo annuo: 5 tarì
Proprietà: Una casa terranna
Censo annuo: 7 tarì
Proprietà: Una casa
Censo annuo: 10 tarì
QUARTIERE DI SAN LUCA
Proprietà: una potiga et uno casalino seu porticato confinanti con altri casi di ipso di quatro et dui vij publici
Censo annuo: 16 tarì pagati da Gerolamo di quatro per
diritto di enfiteusi
QUARTIERE DELLA PORTA DEI SACCARI
Proprietà: una casubula (= casetta) olim casalino
Confini: con la casa di bastiano lo molinaro et casa della Abbatia de Santa Maria de larco vanella (= vicolo)
intermedia con la casa di Vincenzo Ganga
Censo annuo: 13 tarì e 10 grani pagati dal nobile Rev.do
don Corrado Pazotta per diritto di enfiteusi
26
ASP, Relazione del Manriquez, vol. 1315, Anno 1577-78, Conservatoria di Registro - Regie Visite.
6
QUARTIERE DI SAN MARTINO
Proprietà: Una casa ed un casalino
Censo annuo: di 10 tarì
QUARTIERE DELLE SCALETTE (DELLI SCALILLI)
Proprietà: Una casa
Confini: cum cola faranda ed con li casi di li capellani
dello Santissimo Crucifisso
Censo annuo: 7 tarì
QUARTIERE DELLO SPIRITO SANTO
Proprietà: Una casetta (casuncula)
Confini: confinanti cum lo quondam mariano di salvo et
cum soro Veronica di Carobella locata ad una donna
foristera
Censo annuo: 25 tarì
Proprietà: Una casa a pianterreno soggetta a favore della chiesa ad un diritto di enfiteusi, affidata al nobile Corrado Aprile (Currao de Apliri)
Confini: confinanti con la casa di lo quondam mastro
Antonio di amurusu et con li casi di lo quondam don Nicola Zuppello.
Censo annuo: 8 tarì
QUARTIERE DELLA TRINITÀ (DI LA TRINITATI)
Proprietà: una casa solevata in enfiteusi
Censo annuo: 16 tarì
Proprietà: Una grotta soggetta per enfiteusi
Censo annuo: l tarì
CONTRADA DELLO SBIGLIALORO
(= COLUI CHE SVEGLIA GLI ALTRI)
Proprietà: un casalino
Censo annuo: 4 tarì e 10 grani per diritto enfiteutico
EXTRA MOENIA
Proprietà: una potega nova
Confini: con li casi di lo burgio et strata publica
Censo annuo: 12 tari pagati in virtù di un censo perpetuo da Mastro Nicola Garambulo
EXTRA MOENIA
Proprietà: un vignali in contrata della cavetta
Confini: cola vigna de Mariano Jannarella et altri 6 vignali
Censo annuo: 10 onze e 3 tarì pagate da Mastro Vincenzo Ganga
EXTRA MOENIA
Proprietà: certi chiusi et terri ... in la contrata di lo vado seu di petrarca
Confini: con li feghi de stalaini
Censo annuo: 2 tarì e 10 grani per diritto di enfiteusi
pagati da Corrao et Cola Carobella et Julia sua matri
EXTRA MOENIA
Proprietà: Feudo della Ganziria (= Canseria)
Confini: con li feghi de stalaini
Censo annuo: 41 onze pagate dagli eredi di Antonio Tirinnullo di Noto27
QUARTIERE DI SANTA MARIA DEI LOMBARDI
Proprietà: un renimento di case cum orto e dui altri casi
Censo annuo: l oncia e 3 tarì
QUARTIERE DI SAN CRISTOFORO (SANTO CRISTOFALO)
Proprietà: Tre case esistenti nel detto quartiere, come
anche per un’altra casa con un piccolo appezzamento di
terra alberato, che si trovava nella zona del territorio di
Noto chiamata contrata di la piula (= barbagianni)
Censo annuo: 17 tarì pagati da Mastro Nicola Angnetta
per diritto di enfiteusi
Proprietà: Una casa a pianterreno
Censo annuo: l tarì e 5 grani pagati da Antonino Carobella a titolo di censo
Escluso il feudo della Canseria (non inserito peraltro nella relazione) il bilancio della chiesa della
SS. Trinità di Noto era rappresentato dalle entrate, costituite dal frutto dei beni immobili elencati,
che ammontavano in contanti (in pecunia numerata) a 148 onze, 16 tarì e 15 grani, e dalle uscite
che sommavano in tutto 20 onze così spese: 15 onze per il cappellano ed il suo assistente (quindecim pro cappellano et clerico), 2 onze per l’olio e la cera (uncie duo pro oleo et cera), 6 onze per la
fabbrica (uncie sex pro fabrica), un’onza per il depositario. Tolte così le spese, rimaneva la somma
di 128 onze, tarì 16 e grani 15.
27
A conclusione del bilancio si legge nella Relazione del Manriquez “Non fuerunt discripta hic alia onera quia scribentur in visitatione in ditta Abbatia sacre domus mansionis felicis urbis panhormi que est in valle Mazarie cuius gangia est ditta Ecclesia”.
7
SECC. XVII-XVIII
Dopo la visita del Manriquez alla chiesa della SS. Trinità sita nell’antica Noto, sarebbe trascorso
più di un secolo e mezzo prima che la chiesa della SS. Trinità nella nuova Noto venisse sottoposta
ad una nuova visita. Dopo il terremoto del 1693 la nuova Noto venne edificata nel sito del Meti ma
il fervore della ricostruzione subì un’improvvisa interruzione a seguito di un nuovo terremoto che il
6-7 gennaio 1727 causò il crollo della chiesa di Sant’Agata e arrecò gravi danni e lesioni varie a
numerosi altri palazzi e chiese, fra cui quella di Santa Maria di Gesù e della SS. Trinità, la cui croce
di pietra del campanile (come riferisce il Nicolaci che ne fu testimone) saltò letteralmente in aria a
causa della violenta scossa sussultoria della mattina del 728.
Nella nuova città la chiesa era stata riedificata a pianta ottagonale tra la chiesa madre e la chiesa
di San Carlo mediante le rendite della Sacra Magione di Palermo, ma non era stata ancora consacrata, mancava di sacrestia e il campanile era privo di campane29.
Francesco Maria Sortino (Noto ? - 23
ottobre 1769), uomo di vasta cultura, professore “di Filosofia, di Matematica e belle
Lettere”, fu precettore dellʼarchitetto Paolo
Labisi ed egli stesso si occupò di architettura lavorando per Giacomo Nicolaci, barone di Bonfalà, poliglotta e cultore di matematica, meccanica, astronomia, ottica,
etnografia ed archeologia30.
Ma il 2 maggio 1738 la necessità di realizzare degli interventi di manutenzione
nella chiesa fece sì che mastro Stefano Sofia e mastro Vincenzo Rotundo, fabri lignarii netini, si obbligassero ad effettuare tali
opere giusta la maniera, forma e tenore
dell’infrascritto notamento seu lista fatta
dal rev. Sacerdote D. Francesco Maria
Sortino, persona prattica in questo mestiere, il di cui tenore è il seguente, cioè: nota
delle opere da farsi per riparare la Chiesa
della SS. Trinità: per lo tetto si debbono
preparare: primo travi di castagno n. quattro lunghi canne tre per ciascuno.
…con suddetti materiali dovrà alzarsi una
piramide ottagona sopra la sua base la
La chiesa della SS. Trinità riedificata nella nuova Noto
quale dovrà stabilirsi sopra le mura della
in una foto della prima metà del sec. XX
Chiesa e formarne il tetto.
…il tutto dovrà farsi colla direzione del sopradetto Rev. Sortino a cui dovranno essere ben viste le
cose da farsi…31
Il 2 maggio 1743, intanto, in occasione della visita effettuata a tutte le chiese del Val di Noto, il
regio generale visitatore Angelo de Ciocchis32 nella sua relazione mise in primo luogo l’accento sul
28
Cfr. FRANCESCO BALSAMO (a cura di), Noto nel Settecento, I.S.V.N.A., Noto 2009, p. 13.
GIOVANNI ANGELO DE CIOCCHIS, Sacrae Regiae Visitatio Ecclesiae SS.e Trinitatis Nethi..., vol. III, p. 393: “Haec autem Eclesia anno 1693 horribili terremotu remansit subversa, qua de re ex redditibus Sacrae Mansionis Panormi nova Ecclesia aedifìcata
fuit, quae nundum sacrata est, caret Sacristia, turrique campanaria de campanis”.
30
Cfr. Cfr. F. BALSAMO (a cura di), Dizionario Netino di scienze lettere e arti, II ed., I.S.V.N.A., Noto 2013, pp. 168-169, 262263.
31
Archivio di Stato di Siracusa (ASS), notaio Giuseppe Capodicasa, vol. anni 1737-38, c. 529, cit. in CLEOFE GIOVANNI CANALE,
Noto - La struttura continua della città tardo-barocca, S.F. Flaccovio, Editore - Palermo 1976, p. 270.
32
Come si evince dalla prefazione alla sua opera scritta dal sacerdote Benedetto Saverio Terzo, Giovanni Angelo De Ciocchis,
29
8
fatto che la chiesa della SS. Trinità di Noto era stata un tempo suffraganea della Sacra Magione
dell’Ordine Teutonico della città di Palermo, ma, essendo stati scacciati gli appartenenti all’Ordine,
e la Magione essendo stata ridotta a commenda, tutte le chiese suffraganee con i loro beni erano
passati al medesimo commendatario al quale, assieme ai beni, ai diritti e alle rendite della chiesa
della SS. Trinità di Noto erano passati anche gli oneri. Per la qual cosa i visitatori, intendendo provvedere alle necessità della chiesa, avevano fissato una somma da erogarsi, ricavandola dalle rendite
del commendatario, ed è a questo punto che il De Ciocchis ricorda quanto disposto dal Manriquez,
suo immediato predecessore.
Il De Ciocchis, visitate le nuove fabbriche della chiesa e le sue suppellettili, procedette alla redazione di un primo elenco delle cose rinvenute, accompagnato da un secondo suppletivo di tutte
quelle cose che egli disponeva che si aggiungessero:
GIOGALI E SUPPELLETTILI DELLA CHIESA
Un antealtare di lama bianca con guarnizione d’oro, menato.
Altro di lama rossa con guarnizione d’oro, vecchio.
Altro di damasco violato con sua guarnizione d’oro piccola, menato.
Una pianeta con sua stola, manipolo, borsa, palla e sopracalice di lama bianca con guarnizione d’oro, menata.
Altra rossa di lama con sua guarnizione, stola, manipolo, palla, borsa, e sopracalice dell’istesso drappo con guarnizione
d’oro, menata.
Altra verde di spichetta di lana, e capicciola con sua frinza verde, stola e manipolo menata.
Una palla di damasco rosso, menata.
Altra pianeta di damasco violato con suo gallone di seta, stola, manipolo, borsa e palla, menata.
Una supellicia di tela d’Olanda con sua guarnizione.
Un pezzo di guarnizione per un cammice di lunghezza palmi tredici, e mezzo di camino, lunga mezzo palmo scarso.
In 7 delle 10 voci di tale elenco si evince il termine “menato” o “menata”, cioè “malconcio” o
“malconcia”, “maltrattato” o “maltrattata”, il che induce a supporre che si dovesse trattare di materiale recuperato dalle macerie della chiesa della SS. Trinità dell’antica Noto o da altre chiese, sebbene non ci sia corrispondenza tra i singoli pezzi elencati dal Manriquez e quelli elencati dal De
Ciocchis, a meno che quest’ultimo ‒ almeno per qualcuno ‒ non li descriva con termini diversi.
È anche da tener conto che tra la visita del Manriquez e il terremoto del 1693 era trascorso oltre
un secolo, un periodo di tempo molto lungo a seguito del quale l’ipotesi di un probabile deterioramento di quella parte di suppellettile è molto plausibile.
Per non parlare, poi, della possibile perdita di molti di essi a causa del crollo della chiesa, o perchè rubati in occasione del saccheggio al quale la città fu sottoposta dopo il terremoto da sciacalli
piombati su di essa da tutte le parti della Sicilia.
Intanto il De Ciocchis assegnava il seguente “supplimento”:
Uno stipo per conservari li giogali.
Due cammisi, uno di tela, ed altro di orletto con suoi ammitti e sue guarnizioni.
Tre tovaglie di altare con sua guarnizione.
“carissimo al re Carlo III di Borbone”, fu dottore in Sacra Teologia e in Diritto Sacro e Profano, canonico, protonotaro apostolico e
Conte Palatino. Per la sua eccezionale pietà, per la straordinaria dottrina nel campo sacro e per le sue doti d’ingegno fu innalzato alla
dignità di arcivescovo di Brindisi. Il Terzo, tracciando questo rapido profilo biografico aggiunge di non saperne di più sul De Ciocchis e di potere soltanto affermare che nel 1754 egli era ancora vivo. Quando il De Ciocchis effettuò per ordine del re Carlo III la visita generale a tutte le chiese della Sicilia per la rivendicazione dei diritti reali, egli rivestiva la carica di vicario generale dalla metropolitana e primaziale Chiesa di Salerno. Frutto della regia visita del De Ciocchis fu unʼopera dal titolo “Sacrae Regiae Visitationes
per Siciliam a Joanne. Ang. De Ciocchis Caroli III Regis jussu acta decretaque omnia” divisa in tre volumi dei quali il primo riguarda la Valle di Mazara (Acta decretaque omnia Vallis Mazariae), il secondo la Valdemone (Acta decretaque omnia Vallis Nemorum)
ed il terzo la Val di Noto (Acta decretaque omnia Vallis Neti). Essa venne pubblicata postuma nel 1836 a quasi un secolo di distanza
da quando ebbe luogo la visita, su ordine del vicerè di Sicilia Leopoldo di Borbone conte di Siracusa, figlio del pronipote di Carlo III,
che trovò sostegno ed aiuto nel consigliere regio Lucchesi Palli principe di Campofranco, nel regio ministro Stefano Sammartino ed
in Marcello Fardella, ministro del ramo ecclesiastico. Lʼincarico della pubblicazione fu affidato a Vincenzo Mortillaro che presiedeva alla Tipografia del “Giornale Letterario”, ne fu correttore Gaspare Rossi bibliotecario della Comunale di Palermo e ne scrisse la
prefazione il già citato sacerdote Benedetto Saverio Terzo. Lʼopera fu pubblicata affinchè i magistrati, i giudici ecclesiastici, i vescovi, gli alti prelati e tutti coloro i quali promuovevano cause ecclesiastiche avessero a loro disposizione il ricco materiale documentario riguardante i beni, le leggi e le consuetudini nella raccolta del De Ciocchis, alla quale non solo con un suo decreto aveva dato la
propria approvazione Carlo III, ma aveva attribuito anche valore di legge a quanto dal De Ciocchis era stato prescritto ed ordinato.
9
Tre cingoli di filo.
Un corporale.
Purificatori num. 14.
Un disco.
Rami di fiori num. 6.
Candelieri e vasi num. 12.
Due sopracalici di mezza molla, uno verde e l’altro violato.
Un a borsa verde.
Telaia per lo sopraccennati antealtari num. 5.
Al termine della sua visita il visitatore decretò che la nuova chiesa venisse benedetta entro un
mese e che, oltre all’altare maggiore, due altri altari della cappella laterale venissero dotati di immagini, e di tutte le necessarie suppellettili e in particolare di fiori, di candelabri, di nove tovaglie,
di tre paliotti e di tappeti.
Il visitatore impose poi all’abate della Sacra Magione di Palermo di comprare quattro nuove pianete di ogni colore con un messale ed altrettante borse, corporali e camici bianchi, una campana e
dei vasetti; che venisse costruita la sacrestia e che, secondo quanto era stato stabilito dal Manriquez,
ultimo visitatore, nominasse per tale la chiesa un cappellano avente l’obbligo di celebrarvi messa
ogni domenica, in occasione delle feste, ogni lunedì in memoria dei fondatori ed il sabato per
l’incolumità dei Sovrani.
Il visitatore dispose ancora che per i restauri da apportare alle fabbriche e per gli ornamenti della
chiesa, il predetto abate della Sacra Casa della Magione versasse ogni anno nella “cassa sacra” da
custodirsi nel monastero della reale abbazia di Santa Maria dell’Arco in Noto, almeno 6 onze, tratte
dai redditi dei vari beni posseduti nel territorio di Noto. Tale denaro sarebbe stato amministrato dai
deputati alle fabbriche della detta abbazia dell’Arco con il diritto di esigere quella somma, nel caso
si fosse contravvenuti all’ordine dato, ricavandola dai suddetti redditi posti sotto sequestro dal visitatore. I deputati, inoltre, avrebbero dovuto procedere all’esecuzione delle altre ordinanze del visitatore, nel caso in cui l’abate non si fosse curato di eseguirle entro 6 mesi. L’abate, infine, doveva pagare ogni anno 2 onze per l’olio e la cera e per quanto si fosse reso necessario per la celebrazione
della festa del Titolare.
Il trascorrere del tempo, intanto, rendeva ovviamente necessari degli interventi di manutenzione
alla chiesa così come attesta una nota del 16 aprile 1749 secondo la quale mastro Francesco Rizza
venne incaricato di effettuare aconci e ripari nella Vener. Reale chiesa della SS. Trinità di questa
città di Noto…33
SECC. XIX-XX
Le spese di culto per questa chiesa fino allʼagosto 1864 vennero puntualmente soddisfatte
dallʼamministrazione di Magione e Ficuzza di Palermo. Nel febbraio 1869 al rettore pervenne un
mandato di pagamento spedito da Firenze a firma del ministro delle finanze per il periodo compreso
fra settembre e dicembre del 1864 e fra gennaio e dicembre del 1865. Similmente nel maggio del
1869 pervenne un altro mandato per il periodo compreso fra gennaio e dicembre 1866 e da gennaio
a dicembre del 1867. Lo stesso avvenne nel 1872 con un mandato relativo al periodo gennaio 1868
- dicembre 187034.
Dopo la soppressione della commenda della Magione di Palermo, la chiesa della SS. Trinità passò in possesso del Demanio che, per un certo periodo di tempo, provvide al pagamento di un assegno al rettore per le spese di culto. A seguito delle leggi eversive la chiesa venne acquisita dal Fondo per i Culto con verbale del 18 novembre 1869.
Successivamente, però, sul pagamento di tali spese sorse una controversia tra l’amministrazione
demaniale e il Fondo per il Culto; ognuno dei due Uffici, infatti, sosteneva che dovesse essere
33
34
ASS, notaio Corrado Cicardo, vol. anni 1748-.1749, c. 291, cit. in CLEOFE GIOVANNI CANALE, Noto…, p. 277.
Archivio Storico della Diocesi di Noto (ASDN), Curia vescovile, b. 429.
10
l’altro a provvedere al riguardo. Per risolvere la controversia, si prospettò la possibilità di cedere
temporaneamente l’uso della chiesa (e degli arredi sacri) al vescovo di Noto, purchè quest’ultimo si
assumesse l’onere della ufficiatura e della manutenzione dell’immobile. Ottenuto il consenso
dell’autorità ecclesiastica il 6 novembre 1884 venne redatto un verbale con cui ‒ vista l’autorizzazione concessa dalla Direzione Generale del Fondo per il Culto previ opportuni accordi con il
Ministero Grazia e Giustizia ‒ il ricevitore formalizzò la consegna temporanea dell’uso della chiesa
e annessi, alle condizioni sopra indicate.
Venne espressamente previsto che, qualora la chiesa avesse cessato di essere ufficiata, sarebbe
stata retrocessa all’amministrazione cedente insieme ai mobili e agli arredi sacri, consegnati per
l’uso.
La cessione dellʼimmobile e dei relativi arredi al vescovo comportò sempre il 6 novembre 1884
lʼinventariazione e la valutazione di quanto era in esso contenuto alla presenza di mons. Giovanni
Blandini, vescovo di Noto e del sig. Enrico Beretta, ricevitore del Demanio di Noto.
Nel 1914 fu avanzata una proposta di acquisto del tempio da parte dei sig.ri Ruffo e Galbo Caruso, i quali fondarono la propria richiesta sul fatto che la chiesa era cadente e che non vi era mantenuto l’esercizio del culto. Il Demanio, a cui era stata inoltrata tale proposta, avviò quindi degli accertamenti per conoscere se vi fosse la possibilità di chiudere definitivamente al culto lʼedificio sacro. Poichè, però, le ricerche effettuate tramite l’Intendenza di Finanza consentirono di accertare
l’infondatezza di quanto riferito dai predetti richiedenti, la Direzione Generale del Fondo per il Culto con nota del 28 dicembre 1914 ritenne che non fosse il caso di procedere alla chiusura definitiva
della chiesa e diede istruzioni all’Intendenza perchè si provvedesse alla ricognizione dei beni mobili
e degli arredi sacri esistenti nell’edificio.
In quello stesso anno la “Conferenza San Vincenzo De’ Paoli” in vista della celebrazione della
festa dell’omonimo Santo da celebrarsi il 19 luglio 1914 nella chiesa della SS. Trinità, provvide a
far eseguire i seguenti interventi35:
Per riattare la Chiesa della SS. Trinità
Per pitturazione dell’altare
Pae addobbare la Chiesa
Per Kgr. 3 di cera a £ 2 il Kgr
Per gratificazione al sacrista
Per Cantori
Per fachinaggio
Totale
£.
”
”
”
”
”
”
£.
9,50
10,00
10,00
6,00
2,50
10,00
8,50
56,50
Una seconda ricognizione venne effettuata 32 anni dopo quella del 1884, il 2 aprile 1916 da parte del ricevitore del Demanio di Noto, sig. Franco Curcio, in qualità di rappresentante dell’amministrazione del Fondo per il Culto e delegato dell’Intendenza di Finanza di Siracusa, insieme al
can. Antonino Schermi, delegato del vescovo mons. Giuseppe Vizzini e il cav. prof. Mattia Di Martino, funzionario della Soprintendenza ai monumenti di Siracusa.
VERBALE
36
DEL 6 NOVEMBRE 1884
1. Pianeta di lamietta, color bianco,
compita, con gallone di argento falso
2. Pianeta di lamietta, color bianco,
compita, con gallone d’oro falso
usatissima, e quasi interdetta
3. Pianeta di damasco florido, color
rosso, compita, con gallone di fet-
VERBALE
37
DEL 2 APRILE 1916
VALORE
ATTRIBUITO
AL 2 APRILE 1916
1. Non rinvenuta
1. - - - - -
1. - - - - -
2. Non rinvenuta
2. - - - - -
2. - - - - -
3. Pianeta di damasco florido, color rosso, compita, con gallone
3. Mediocri
3. £. 8
35
ASDN, Curia vescovile, b. 936.
ASDN, Curia vescovile, b. 936.
37
ASDN, Curia vescovile, b. 936.
36
CONDIZIONI
11
tuccia
4. Pianeta di lamietta color rosso, col
sopracalice e parte del manipolo di
molla, compita con gallone
d’argento falso
5. Pianeta di molla color violace,
compita con gallone di oro falso
6. Pianeta di damasco, color verde,
compita con gallone di ...
7. Due platelle di legno
8. Camice di tela di cotone con merletto di cotone, lavorato a mano
9. Camice di tela di filo, rappezzato in
più parti
10. N. 2 tovaglie di tela di filo per
l’altare con merletto
11. Piccola tovaglia di tela di filo per le
mani
12. N. 3 ammitti di tela di filo
13. N. 1 cingolo di filo
14. N. 3 cingoli di cotone
15. N. 3 lavabi
16. N. 4 purificatoi
17. Calice d’argento col piede di rame
indorato e con patena d’argento
18. Mizzale con suo disco di legno e
due aggiunte di Missale, una nuova
e la seconda antica
19. Un paio di ampolline con piattino
di terraglia
20. Campanello per la Messa
21. Bacile di latta pittata, con suo cerchietto di ferro per sostenerlo
22. Armadio di legno per riporvi gli
arredi sacri
23. Genuflessorio di legno
24. Credenza piccola di legno
25. Quadro grande della SS. Trinità,
antichissimo
26. Due piccoli crocifissi di rame con
sue croci di legno dei quali uno con
piedistallo di legno indorato
27. Sei candelabri grandi di legno indorato
28. Diciotto candelabri piccoli di legno
indorato, vecchi
29. Due candelabri di ottone, antichissimi
30. Quattro vasetti di legno indorato
con rami di fiori, antichi
31. Carte di gloria di legno indorato
32. Una campana nella sagrestia di rot:
tre circa
33. Una campana del campanile di rot:
quindici circa
di fettuccia
4. Pianeta di lamietta color rosso,
col sopracalice e parte del manipolo di molla compita con gallone d’argento falso
5. Pianeta di molla color violaceo,
compita con gallone d’oro falso
6. Pianeta di damasco, color verde,
compita con gallone
7. Non rinvenute
8. Camice di tela di cotone con
merletto di cotone lavorato a
mano
9. Non rinvenuta
10. N. 2 tovaglie di tela di filo per
l’altare con merletto
11. Piccola tovaglia di tela di filo
per le mani
12. N. 3 amitti di tela di filo
13. N.1 cingolo di filo
14. Non rinvenuta
15. N. 3 lavabi
16. N. 4 purificatoi
17. Calice dʼargento col piede di
rame indorato e coppatina
d’argento
18. Missale con suo disco di legno e
due aggiunte di messale, una
nuova, la seconda cattiva
19. Un paio di ampolline con piattino di terraglia
20. (21) Campanello per la Messa
21. (20) Non rinvenute
4. Logorata
4. £. 8
5. Cattive
5. £. 5
6. Buone
6. £. 20
7. - - - - 8. Buone
7. - - - - 8. £. 2
9. Mediocri
9. £ . 1
10. Cattive
10. £. 1.50
11. Mediocri
11. £. 0.90
12. Mediocri
13. Cattive
14. - - - - 15. Cattive
16. Cattive
17. Mediocri
12. £. 1
13. £. 0.20
14. - - - - 15. £. 0.90
16. £. 0.90
17. £. 30
18. Buone (Messale
con disco e sua
aggiunta;
altra
aggiunta non rinvenuta)
19. Mediocri
18. £. 2
20. (21) Buone
21. (20) - - - - -
19. £. 0.50
22. Armadio di legno per riporvi gli
arredi sacri
23. Non rinvenute
24. (25) Credenza piccola di legno
25. (24) Quadro grande della SS.
Trinità, antichissimo
26. Due piccoli crocifissi di rame
con sue croci di legno dei quali
uno con piedistallo di legno indorato
27. N. 6 candelabri grandi di legno
indorati
28. N. 18 candelabri piccoli di legno indorato vecchi
29. Due candelabri di ottone antichissimi
30. N. 4 vasetti di legno indorato
con rami di fiori antichi
31. Non rinvenute
32. Non rinvenute
22. Mediocri
20. (21) £. 3
21. (20) - - - 22. £. 10
23. - - - - 24. (25) Mediocri
25. (24) Deprecabile
23. - - - - 24. (25) £. 4
25. (24) £. 5
26. Cattive
26. £.1
27. Cattive
27. £. 6
28. Cattive
28. £. 5
29. Cattive
29. £. 1
30. Mediocri
30. £. 1.50
31. - - - - 32. - - - - -
31. - - - - 32. - - - - -
33. Una campana del campanile di
rotoli 15 circa
33. ....
33. - - - - -
12
34. Un paravento di legno pittato
35. Tre panche di legno per sedersi i
fedeli
36. Un portalino di mussolino fiorato
per lʼingresso nella sagrestia
37. Un portalino di lamietta, color
bianco, con i galloni d’oro falso da
mettersi innanzi la porta del tabernacolo
38. Tre berrette di Messa con gallone
34. Un paravento di legno pittato
35. Tre panche di legno per sedersi i
fedeli
36. Un portalino di mussolino fiorato per l’ingresso nella sacrestia
37. Un portalino di lamietta, color
bianco, con i galloni d’oro falso
da mettersi innanzi la porta del
Tabernacolo
38. Non rinvenute
34. Mediocri
35. Mediocri
34. £. 5
35. £. 5
36. Mediocri
36. £. 0.20
37. Mediocri
37. £. 1
38. - - - - -
38. - - - - -
Nel 1916 l’ufficiatura della chiesa della SS. Trinità venne affidata al can. Matteo Cicchetti38, rettore della vicina monumentale chiesa di Santa Chiara, il quale svolse tale servizio fino al 1934 (?)39.
Can. Matteo Cicchetti
Con la conclusione del primo conflitto mondiale i sentimenti e le azioni scaturite dalle esperienze vissute e dalle perdite subite fecero sì che la memoria di coloro i quali avevano sacrificato la loro
vita per la Patria venisse perpetuata con l’erezione di monumenti, con intitolazioni e cerimonie
commemorative sia religiose che civili. E proprio la chiesetta della SS. Trinità costituì, almeno negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra, il luogo in cui la città rese onore ai suoi
figli caduti.
Infatti, in occasione della erezione e inaugurazione del monumento ai Caduti della Grande Guerra il 20 dicembre 1922 nell’adiacente largo Landolina, alla porta della chiesa vennero affisse tutte le
fotografie dei Caduti netini, insieme ad un’iscrizione che così recitava:
Osanna
ai Martiri che vi precessero nel sacrificio
Osanna a Voi novissimi eroi
Che primi fra tutti e soli
Debellaste la secolare barbarie
Colla insigne vittoria
Nellʼultimo cimento
Del 3 novembre 1918
Osanna
In tale chiesa, inoltre, il 24 di ogni mese, la sezione netina dell’Associazione Nazionale Mutilati
e Invalidi di Guerra si impegnava a far celebrare una S. Messa in suffragio dei Caduti di guerra e
numerosi erano i fedeli che in tale occasione si accostavano alla Santa Comunione.
38
Matteo Cicchetti nacque a Noto il 29 luglio 1887 da Vincenzo ed Emmanuela Perez. Visse vari anni negli Stati Uniti con i
Francescani di New York, di Castle Hill (nel nord del Maine) e di Pittsburgh (in Pennsylvania). Ritornato in Italia, venne ordinato
presbitero il 13 febbraio 1916. Cappellano corale della Cattedrale, fu rettore di varie chiese fra cui la chiesa di Santa Chiara, di Montevergini, del Pantheon e della SS. Trinità.
39
Precedentemente al Cicchetti dalle fonti rinvenute ci è stato possibile individuare due altri sacerdoti ai quali era stata affidata
lʼufficiatura della chiesa: si tratta del canonico della cattedrale don Francesco Piraino (+ 1853) e il mansionario don Alfonso Mauceri, cappellano della SS. Trinità dal 1853 al 1874 (?).
13
A distanza di soli due anni dalla solenne inaugurazione del monumento ai Caduti, su iniziativa
della locale sezione dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, si diede inizio alle
procedure per l’erigendo Pantheon. La prima fase riguardò la scelta dei locali. Una prima proposta
venne avanzata nel gennaio 192440 dal sac. Matteo Cicchetti: erigere nella chiesa della SS. Trinità,
mediante una colletta popolare, un altare dedicato alla Vergine della Pietà in memoria dei Caduti in
guerra e tumularvi le salme. Il vescovo, pur ritenendo in un primo momento interessante
l’iniziativa, decise di sottoporre tale progetto al capitolo della cattedrale per valutare l’ipotesi di erigere il nuovo altare in cattedrale invece che nella chiesa della SS. Trinità. Venne nominato un apposito comitato e indetta una sottoscrizione che però, non sortendo i risultati sperati, fece sì che tale
idea venisse accantonata.
Si scelse, quindi, di adattare a tal fine la chiesa dei PP. Cappuccini. Durante i lavori di adattamento, il Cicchetti, rettore anche di quella chiesa, per garantire un’adeguata assistenza religiosa ai
suoi fedeli, continuò ad officiare i sacri riti utilizzando soltanto la parte del coro dei PP. Cappuccini
finchè esso non venne rimosso. Successivamente, impossibilitato a continuare l’esercizio del culto
per i lavori in corso, il Cicchetti continuò nella chiesetta della SS. Trinità il 24 di ogni mese
l’ufficiatura della S. Messa in suffragio dei Caduti.
Un nuovo intervento di manutenzione riguardante questa volta delle riparazioni alla prospettiva
della chiesa venne effettuato nel maggio del 1926. A tal proposito, secondo quanto si evince da una
lettera del rettore Cicchetti al Vescovo, il sindaco avv. Corrado Sallicano dispose che i privati, proprietari di immobili siti lungo il corso Vittorio Emanuele e via Cavour, provvedessero ad apportare
ad essi i necessari miglioramenti per renderli più decorosi in occasione delle “attuali feste”. Pertanto, a seguito di tale disposizione, venne chiamato in causa anche il rettore Cicchetti per la chiesa
della SS. Trinità il quale provvide a far eseguire i lavori necessari come attesta la seguente nota di
spesa del 28 maggio 192641:
Al Maestro Pugliatti Giuseppe g. 3 a £ 15 al giorno
Al ragazzo Landogna Corrado g 3 a £ 6 al giorno
Cemento.
Calce.
Colore.
Pietra da taglio per i due gradini della porta.
Per pitturare la porta della stessa Chiesa.
Olio di lino Kil. 1
Biacca
Rosso e fumo (colori)
Mano d’opera
45
18
10
10
5
40
£ 128.00
9
0.75
1.80
£ 17.55
128.00
£ 145.55
+
Nel maggio 1928 il Cicchetti fece realizzare a proprie spese una nuova campana recante l’effigie
della Madonna della Pace a proposito della quale lo stesso ebbe ad affermare: mi pare che ciò possa
anche armonizzarsi col Monumento che è dirimpetto pè Caduti42.
Il Cicchetti si impegnò con particolare zelo ad incrementare varie pie pratiche devozionali.
Nel novembre del 1930, infatti, avendo provveduto alla sistemazione della chiesa e ricevuta la
debita autorizzazione del vescovo, fece stampare le “Preci indulgenziate in Onore del Salvatore nella sua Passione e Morte e di Maria SS. Addolorata o della Pietà” affinchè i fedeli potessero leggerle
visitando il venerato simulacro della Madonna della Pietà custodito in quel sacro tempio per incrementarne la devozione43.
40
ASDN, Curia vescovile, b. 432.
ASDN, Curia vescovile, b. 936.
42
ASDN, Curia vescovile, b. 456.
43
ASDN, Curia vescovile, b. 456.
41
14
Nel 1931 il rettore fece incorniciare e montare su tela una oleografia dei Sette fondatori
dell’Ordine dei Servi di Maria da collocare nella chiesa della SS. Trinità ottenendo, per la stessa
chiesa, dalla Curia Generalizia dei Servi di Maria, una reliquia dei suddetti Santi in teca d’argento e
il libretto delle facoltà44. Egli si impegnò, inoltre, a celebrare la S. Messa e l’ufficiatura propri dei
Santi fondatori.
In quello stesso anno il vescovo Vizzini chiese la cessione in proprietà del sacro edificio con
l’annessa rettoria, richiesta poi mutata, nel 1934, per ottenerne invece la cessione in uso. Su tale
istanza il Fondo per il Culto ‒ pur osservando che la chiesa era rimasta ininterrottamente in consegna e alle dipendenze del vescovo fin dalla cessione del 1884, e che ciò rendeva superflua la stipulazione di un nuovo atto di cessione in uso ‒ dichiarò comunque di non avere difficoltà ad aderire
alla richiesta “dando così luogo all’applicazione dell’art. 6 della legge concordataria 27 maggio
1929”.
44
ASDN, Curia vescovile, b. 463.
15
Nella stessa occasione il Fondo per il Culto precisò che, per quanto concerneva la rettoria, attigue alla chiesa vi erano solo due botteghe le quali, con atto del 10 dicembre 1776 rogato Sirugo, furono concesse in enfiteusi a privati, e il canone corrispondente venne riscosso dal Demanio dello
Stato. Era pertanto evidente che mancava la possibilità di dare ulteriore corso alla suddetta richiesta,
per ciò che atteneva ai locali per la Rettoria.
Premesso che la documentazione disponibile termina a questo punto, dall’esame della medesima
sembra che la proprietà della chiesa sia sempre rimasta al Demanio, restando al Fondo per il Culto
il solo diritto d’uso finalizzato al mantenimento dell’ufficiatura nell’immobile stesso. Ciò si evince
in particolare da alcune lettere precedenti la citata cessione del 1884, nelle quali fu rappresentata la
necessità di porre a carico dell’autorità ecclesiastica cessionaria ‒ oltre che le spese di culto ‒ anche
la manutenzione della chiesa “onde il Demanio non rimanesse gravato da questa spesa...”; il che lascia intendere, appunto, la proprietà demaniale del fabbricato.
La devozione all’Abitino della SS. Trinità
La prevista partenza per l’America del Cicchetti e la probabilità dell’abbattimento della chiesa
(poi fortunatamente scongiurata) per edificare in quell'area il palazzo delle RR. Poste e Telegrafi,
fecero sì che il fonte dell’acqua lustrate, il quadro della SS. Trinità e gli arredi sacri venissero trasferiti nella chiesa di Santa Chiara mentre il 6 settembre 1934 venisse traslato in cattedrale il simulacro o gruppo della Vergine SS. della Pietà, andato poi purtroppo distrutto a seguito del crollo della
suddetta chiesa il 13 marzo 1996.
16
I Santi Giovanni di Matha e Felice di Valois
dell’Ordine della SS. Trinità e Redenzione degli schiavi,
riscattano gli schiavi cristiani e mori
A proposito del quadro che trovavasi collocato sullʼaltare maggiore della chiesa, dopo il suo trasferimento non se ne conosce più l’effettiva collocazione. Esso, infatti, non risulta presente fra quelli custoditi nella chiesa di Santa Chiara né in altri luoghi di culto della città. Possiamo comunque
conoscerne l’iconografia grazie al suo probabile bozzetto preparatorio (cm 110x75) custodito nel
museo della cattedrale di Noto. L’opera, attribuita al pittore netino Costantino Carasi45, rappresenta
i Santi Giovanni di Matha e Felice di Valois dell’Ordine della SS. Trinità e Redenzione degli schiavi i quali riscattano gli schiavi cristiani e mori46.
La pala d’altare mette in evidenza la profonda devozione del santo fondatore francese e del suo
45
Cfr. FRANCESCO BALSAMO (a cura di), Dizionario Netin..., pp 47-48. Carasi Costantino - Pittore (Noto, 1717 ? – 24 ago. 1799),
nacque da Santoro e da Melchiorra Carasi Caprera. Rimasto orfano di padre a 14 anni (la madre morì a 60 anni nel 1737) fu indirizzato alla pittura, nella quale si impose da protagonista nel periodo in cui, pressoché terminata la ricostruzione, si attendeva alle rifiniture e alle decorazioni delle chiese. La prima sua opera di cui si ha notizia è la Sacra famiglia, con S. Corrado e S. Gaetano (1746),
per S. Pietro Martire di Noto, cui segue la Storia di S. Orsola (1749) per il monastero benedettino di Siracusa. A Noto la tradizione
gli attribuisce (non sempre con buon fondamento) gran numero di affreschi e di pale d’altare, ma le opere finora documentate sono il
quadrone della volta di S. Maria dell’Arco (1757) e la Pietà (unica tela firmata e datata, 1772) del 2° altare di destra di Montevergini.
Innegabili analogie stilistiche si riscontrano negli affreschi della volta e nello Sposalizio della Vergine, sempre a Montevergini, e negli affreschi della volta del Collegio, oltre che nelle quattro Scene del Nuovo Testamento nella Cappella Landolina al SS. Crocifisso.
Il Carasi morì a 82 anni nella sua casa, nel quartiere dello Spirito Santo, e fu sepolto (come già i genitori) a S. Antonino, dei Minori
Riformati.
46
L’Ordine della SS. Trinità e Redenzione degli schiavi aveva come primaria attività la liberazione dalla schiavitù dei cristiani
prigionieri dei mori nel nord Africa. LʼOrdine, fondato in Francia con Regola approvata da Innocenzo III il 17 dicembre 1198 con la
Bolla Operante divine dispositionis, si dedica, quindi, al servizio della redenzione per riportare la speranza nella fede ai fratelli che
soffrono sotto il giogo della schiavitù. L’abito che indossano riporta i tre colori della visione avuta dal fondatore: su una tunica bianca spicca sul petto una croce bicolore, rossa e blu, a significare il Padre (bianco), lo Spirito Santo (rosso) e Gesù Cristo (blu). 17
primo collaboratore e compagno ne deserto Cerfroid (nelle vicinanze di Parigi) verso la SS. Trinità.
Secondo la tradizione a Giovanni di Matha apparve in sogno un angelo accosto a due schiavi, uno
bianco l’altro moro, mentre un cervo crocifero, accucciato nei pressi, gli indicava in modo evidente
il luogo più consono per edificare il primo convento dove avrebbe accolto i frati Trinitari, ordine
che da lì a poco avrebbe fondato.
Il Carasi, che anche nella composizione dei bozzetti riesce a suscitare forti emozioni e a far
comprendere ai committenti la realizzazione finale dell’opera definendo con poche ma accorte pennellate anche i particolari, ancora una volta esegue la classica tripartizione della tela: la SS. Trinità
e, in basso, accosciati, i due schiavi; in mezzo, i due santi trinitari genuflessi intercedono per la loro
liberazione. Giovanni che, per fondare il nuovo ordine religioso, aveva scelto di rinunziare alle ricchezze terrene e ai titoli nobiliari, sostiene la classica croce trifogliata e dorata mentre Felice di Valois regge lo stendardo con i colori dell’ordine ‒ bianco e rosso ‒ ad indicare la castità ed il concreto
rischio di un eventuale martirio47.
Per tutto il Medioevo e fino al Settecento il triste fenomeno della schiavitù, dovuto alle scorrerie
dei pirati barbareschi sulle coste dei Paesi cristiani del Mediterraneo o in seguito a scontri tra navi
cristiane e moresche, era molto sentito; grande risultava il numero di prigionieri cristiani, meno
numerosi quelli mori48: era necessario dunque pagare un consistente riscatto in denaro per liberare i
cristiani che, vivendo in paesi musulmani, correvano il pericolo di perdere la fede.
La chiesa, rimasta precariamente aperta come rettoria fin verso il 1945, venne poi adibita a sede
della F.U.C.I. e verso il 1970 concessa in locazione a privati.
Nel 2001 il Ministero dell’interno ha avviato un procedimento di ricognizione sulla effettiva
proprietà che è risultata del Demanio e non, come si era in passato ritenuto, del Fondo Culto (dal
1985 “Fondo Edifici Culto”)49.
Il Demanio ha recentemente concesso la chiesa al Comune di Noto che vi ha realizzato un ufficio
di informazioni turistiche.
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III, Vol. XVI, Palermo, presso la Società Siciliana per la Storia Patria, 1967.
HOUBEN HUBERT, Federico II. Imperatore, uomo, mito, Il Mulino, 2009.
47
Cfr. ANTONINO TERRANOVA, Costantino Carasi Civitatis Neti Pictor, Settembre 2014, p. 119.
Nel Cinquecento a Noto risiedevano circa seicento schiavi mori la gran parte dei quali era utilizzata per i lavori agricoli. È probabile che in tutta la Sicilia fossero ben cinquantamila. Cfr. CORRADO AVOLIO, La schiavitù domestica in Sicilia nel secolo XVI.
49
Cfr. FRANCESCO BALSAMO (a cura di), Dizionario Netino..., p. 245.
48
18
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19
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