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Incandidabilità del consigliere comunale per condanna penale

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Incandidabilità del consigliere comunale per condanna penale
Incandidabilità del consigliere comunale per condanna penale
Il Consiglio di stato, con sentenza del 28 aprile 2012 n. 2485, ha ritenuto legittima l’esclusione da parte della Sottocommissione elettorale circondariale - della candidatura di un soggetto alla
carica di Consigliere comunale in quanto nei confronti dell’interessato era stata pronunciata
sentenza di condanna definitiva alla pena della reclusione di un anno e 10 mesi per i reati di tentata
truffa aggravata, falso ideologico commesso da privati in atto pubblico e abuso d’ufficio.
In questo caso il Consiglio di stato ha aderito a quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione
civile n. 2896 del 14 febbraio 2004 che, in un caso analogo, ha ravvisato il configurarsi di una
causa di incompatibilità di cui all’art. 58, comma 1°, lett. c), d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico
sull’ordinamento degli enti locali), che contiene una norma di chiusura, volta ad includere nell’area
della norma inabilitante, aperta e residuale, tutti i comportamenti non specificamente previsti, ma
ugualmente lesivi dell'interesse protetto.
Dalla sopraccitata disposizione consegue che la predetta causa ostativa impedisce l’assunzione di
pubblici uffici elettivi da parte di soggetti che, a qualsiasi titolo, siano rimasti implicati, con una
condotta penalmente rilevante, nella commissione di illeciti penali commessi con abuso di poteri e
violazione di doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio.
Si allega il testo della sentenza:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3070 del 2012, proposto da:
Scialpi Riccardo, Francesco Pastore, Martino Petrosino, rappresentati e difesi dall'avv. Donato Antonio
Muschio Schiavone, con domicilio eletto presso Segreteria della Sezione in Roma, alla piazza Capo di Ferro,
13;
contro
Sottocommissione Elettorale Circondariale di Martina Franca, U.T.G. - Prefettura di Taranto, rappresentati e
difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono legalmente domiciliata per legge in Roma,
alla via dei Portoghesi, n. 12;
Comune di Martina Franca;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 00714/2012, resa tra le parti,
concernente ESCLUSIONE CANDIDATURA DEL SIG. MARTINO PETROSINO E CANCELLAZIONE
DALLA LISTA DELL'UDC - ELEZIONI AMMINISTRATIVE 6/7.05.2012 DEL COMUNE DI MARTINA
FRANCA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Sottocommissione Elettorale Circondariale di Martina Franca e
dell’U.T.G. - Prefettura di Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella pubblica udienza e del giorno 28 aprile 2012 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti
gli avvocati l'avv. Donato Antonio Muschio Schiavone, per la parte appellante, nonché per la Prefettura di
Taranto e la Sottocommisione elettorale circondariale di Martina Franca, l'avvocato dello Stato Fabrizio
Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Rilevato che:
- il presente giudizio trae origine dall’impugnazione del provvedimento deliberato dalla Sottocommissione
Elettorale Circondariale del Comune di Martina Franca di cui al verbale n. 39 del 17.4.2012, notificato in pari
data, con il quale il sig. Martino Petrosino è stato escluso dalla candidatura alla carica di consigliere
comunale per la lista dell'U.D.C. per essere lo stesso incorso nella causa di incompatibilità di cui
all’art.58,primo comma lett. c), del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in relazione alla condanna riportata, per
effetto di sentenza definitiva, alla pena della reclusione di un anno e 10 mesi per i reati, integrati in concorso
con altri e unificati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cp., di tentata truffa aggravata,falso ideologico
commesso da privati in atto pubblico, abuso d’ufficio;
-con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno respinto il ricorso proposto avverso detta esclusione dai
ricorrenti in epigrafe specificati, pervenendo alla conclusione dell’integrazione, per effetto della citata
sentenza di condanna, della fattispecie di cui all’art. 58, primo comma, lett. c), del d.lgs. n.267 del 2000,
norma a tenore della quale non possono essere candidati alle elezioni comunali "coloro che sono stati
condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno
o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a
un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera b)";
Ritenuto che sul tema della giurisdizione si è formato un giudicato implicito che impedisce la delibazione di
questo Consiglio alla stregua della regola dettata dall’art. 9 del codice del processo amministrativo;
Ritenuto che l’appello in epigrafe non è meritevole di accoglimento alla stregua delle seguenti considerazioni:
-non è fondata la censura volta a dedurre l’estraneità, rispetto all’ambito della contestazione contenuta nella
comunicazione di avvio del procedimento, della fattispecie di reato di tentata truffa aggravata presa in esame
nel provvedimento finale, in quanto, da un lato, il soggetto ha avuto modo di difendersi compiutamente nel
corso della procedura anche con riguardo alla rilevanza di detta ultima condotta delittuosa e, in ogni caso,
alla stregua della regola di cui all’art. 21 octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, la determinazione
negativa costituisce determinazione vincolata sorretta, in modo autonomo, ai fini dell’integrazione della
fattispecie legale, dal richiamo alla condanna per gli altri due reati menzionati nella suddetta comunicazione;
- sono altresì infondate le censure di carattere sostanziale volte a contestare la qualificazione, come
fattispecie ostative, dei reati di falso ideologico e tentata truffa in ragione dell’insussistenza del presupposto
della commissione delle condotte in esame con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una
pubblica funzione o a un pubblico servizio;
-secondo il condivisibile orientamento ermeneutico assunto dalla Corte di legittimità (Cass. Civ. Sez. I, 27
luglio 2002, n.11140 e 14 febbraio 2004, n. 2896), l’ art. 58, comma 1, lett. c), d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267
contiene una norma di chiusura, volta ad includere nell’area della norma inabilitante, aperta e residuale, tutti
i comportamenti non specificamente previsti, ma ugualmente lesivi dell'interesse protetto, con la
conseguenza che la predetta causa ostativa impedisce l’assunzione di pubblici uffici elettivi da parte di
soggetti che a qualsiasi titolo siano rimasti implicati, con una condotta penalmente rilevante, nella
commissione di illeciti penali commessi con abuso di poteri e violazione di doveri inerenti ad una pubblica
funzione e ad un pubblico servizio;
-in caso di unificazione dei reati nel vincolo della continuazione, l’unicità del disegno criminoso che avvince
le singole condotte ai sensi del capoverso dell’art. 81 del codice penale impedisce una valutazione atomistica
delle singole fattispecie criminose e mette in luce il collegamento di tutti i comportamenti criminosi con
l’abuso di poteri e la violazione dei doveri che connotano, alla stregua di elemento costitutivo, l’integrazione
del reato proprio di abuso d’ufficio;
-detta connessione è sancita con nettezza dalla sentenza penale di condanna nel passaggio (pagina 46) che, a
giustificazione dell’applicazione per il reato base di una pena superiore al minimo edittale, evidenzia la
"strumentalizzazione a fini del tutto personali e privatistici di una delicata funzione (implicante apprezzabili
ricadute sociali) quale quella svolta presso l’ufficio di collocamento, con correlativo e non trascurabile danno
di altri lavoratori onesti";
- con riferimento al più grave reato di tentata truffa aggravata la sentenza penale di condanna mette in luce la
stretta connessione delle condotte contestate con la qualità di pubblico ufficiale abusata dal ricorrente
mediante il compimento di atti tipici e dovuti dell’ufficio cui lo stesso era addetto, quali la ricezione delle
domande, la loro protocollazione e la successiva trasmissione all’INPS in una con la sottoscrizione del
certificato di disoccupazione;
-Reputato, in definitiva, che, alla luce della connessione di tutte le condotte di reato unitariamente intese
all’esercizio deviato della funzione pubblica, l’appello merita reiezione e che le spese debbono seguire la
regola della soccombenza nella misura in dispositivo specificata;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna l’appellante al
pagamento delle spese di giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 4.0000/00
(quattromila//00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 28/04/2012
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