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CAPITOLO 3 La tutela di accertamento e di condanna

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CAPITOLO 3 La tutela di accertamento e di condanna
Capitolo 3
La tutela di accertamento e di condanna
Sommario: § 1. Profili generali. – § 2. Le azioni di mero accertamento. – § 2.1. L’azione di nullità
del provvedimento amministrativo ex artt. 21-septies della L. 241/1990 e 31, comma 4, del
codice del processo amministrativo. – § 2.1.1. Problemi di giurisdizione (rinvio). – § 2.1.2.
L’azione di nullità come azione di mero accertamento ammissibile dinanzi al G.A. – § 2.1.3. Il
regime dell’azione di nullità: interesse ad agire, prescrizione, rilevabilità d’ufficio e principio
della domanda. – § 2.1.4. La nullità per violazione od elusione del giudicato: giurisdizione
esclusiva o di merito? – § 2.2. L’azione di accertamento dell’illegittimità del provvedimento
(art. 34, comma 3 del codice del processo amministrativo). – § 2.3. L’Adunanza Plenaria del
Cosniglio di Stato (decisione 29 luglio 2011, n. 15) suggella l’esperibilità dell’azione di accertamento atipica. – § 2.3.1. Accertamento atipico e d.i.a./s.c.i.a. (rinvio). – § 3. Le azioni
di condanna pubblicistica (o di esatto adempimento) in cui l’accertamento è funzionale ad
una pronuncia che attribuisca al ricorrente il bene della vita. – § 3.1. L’azione di condanna
in materia di accesso ai documenti amministrativi (art. 116 del codice del processo amministrativo). Rinvio. – § 3.2. L’azione di condanna previo accertamento della fondatezza della
pretesa sostanziale in tema di silenzio-rifiuto (artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo). – § 3.2.1. L’evoluzione del giudizio sul silenzio-rifiuto della P.A. – § 3.2.2. Il nuovo
volto del giudizio sul silenzio-rifiuto dopo il codice del processo amministrativo. – § 3.2.2.1.
L’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale è una facoltà o un potere dovere? – §
3.2.2.2. Il principio della domanda. – § 3.2.2.3. I limiti posti all’accertamento della fondatezza
della pretesa sostanziale. – § 3.2.2.4. Emanazione del provvedimento espresso nel corso del
giudizio sul silenzio-rifiuto. – § 3.2.2.5. Rito del silenzio e tutela risarcitoria. – § 3.2.2.6. I controinteressati. – § 3.3. L’azione di condanna all’aggiudicazione della gara ed alla stipulazione
del contratto (art. 124 del codice del processo amministrativo). – § 3.4. La tutela di condanna
nell’azione collettiva di classe (art. 4 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198). – §
3.5. L’Adunanza Plenaria (decisione 23 marzo 2011, n. 3) apre alla generale azione di condanna pubblicistica (cd. azione di esatto adempimento). – § 4. Considerazioni conclusive.
1. Profili generali
Nella nuova configurazione della tutela giurisdizionale amministrativa – emancipata, come visto nei capitoli precedenti, dall’esclusività della tutela di annullamento, ed ormai assestata sullo scandaglio del rapporto amministrativo – fanno il loro ingresso le tutele dichiarative (o di mero accertamento), volte non a
172
Crisi del
principio di
tipicità delle
azioni?
La tutela di accertamento e di condanna
rimuovere costitutivamente provvedimenti efficaci ma ad accertare determinati
fatti o situazioni; nonché le tutele di condanna pubblicistica (o esatto adempimento) che, sulla scorta dell’accertamento della spettanza del bene della vita,
impongono alla P.A. l’adozione del provvedimento richiesto.
Nelle prime azioni viene in rilievo un accertamento mero; nelle seconde si
tratta di un accertamento della spettanza del bene della vita, strumentale ad una
consequenziale statuizione di condanna (o di esatto adempimento).
Pensiamo, quanto alle azioni di mero accertamento, all’azione di nullità ex
art. 21-septies, della L. 241/1990 ed all’azione di accertamento dell’illegittimità
ex art. 34, comma 3 del codice del processo; in merito alle azioni di condanna
previo accertamento del bene della vita, all’azione (di accertamento e condanna) in tema di accesso ex art. 25 della L. 241/1990, ed all’azione di condanna
all’adozione del provvedimento satisfattorio della pretesa sostanziale (e conseguente condanna al facere specifico) ora prevista dagli artt. 2 L. 241/90 e 31-117
cod. proc. amm. in tema di silenzio-rifiuto o inadempimento.
Sul punto, il codice del processo non ha rispettato in pieno le indicazioni
della legge delega (art. 44 della L. 69/2009) poiché, tradendo l’impostazione
originaria impressa alla bozza di codice licenziata dal Consiglio di Stato l’8
febbraio 2010, non ha ammesso in via generale e con formulazione esplicita,
l’esperibilità di azioni di accertamento e di condanna pubblicistica. Il silenzio
sul punto del testo vigente del d. lgs. n. 104/10, tuttavia, non appare sintomatico
della volontà del Legislatore di escludere la generale ammissibilità nel processo
amministrativo delle forme di tutela in parola: l’esperibilità di dette azioni, infatti, è ricavabile in via implicita dal combinato disposto di numerose disposizioni
costituzionali e codicistiche.
Di tali profili si occupa il presente capitolo, il quale, esamina le fattispecie in
cui il nostro ordinamento ammette expressis verbis la tutela di accertamento e
l’azione condanna, per poi passare a verificare l’ammissibilità, de iure condito,
di azioni di accertamento ed adempimento atipiche.
2. Le azioni di mero accertamento
Il progetto di codice, approvato l’8 febbraio 2010 dalla Commissione insediata
presso il Consiglio di Stato, aveva recepito in pieno il modello della pluralità
delle azioni, assicurando così anche all’interesse legittimo il bene incommensurabile della pienezza della tutela.
In particolare, l’art. 38 di tale bozza aveva previsto in via generale l’azione
di accertamento volta a chiedere la verifica dell’esistenza o dell’inesistenza di
un rapporto giuridico contestato con l’adozione delle consequenziali pronunce
dichiarative. A tal fine, si prevedeva che potesse essere sempre chiesto l’accertamento della nullità di un provvedimento amministrativo e che, ad eccezione
dell’azione di nullità, l’accertamento non potesse comunque essere domandato
Parte I – Sezione II – Capitolo 3
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quando il ricorrente non avrebbe potuto far valere i propri diritti o interessi mediante l’azione di annullamento o di adempimento. Si stabiliva, inoltre, che l’accertamento non potesse essere chiesto con riferimento a poteri amministrativi
non ancora esercitati.
Come anticipato, la versione definitiva del codice del processo non ha ribadito l’ammissibilità di una generale azione di accertamento. Tuttavia, come si
dirà nei § 2.1. ss, dall’esplicita previsione dell’azione dichiarativa della nullità
(art. 31) e dell’illegittimità (art. 34, comma 3) del provvedimento, declinata in
combinazione con le coordinate costituzionali, è lecito evincere il corollario
della generale praticabilità di tale tutela ove essa sia indispensabile al fine di
conseguire un obiettivo di tutela non efficacemente assicurabile con le altre
azioni espressamente contemplate dall’ordito normativo. È invece sancita expressis verbis l’inammissibilità di un’azione di accertamento preventivo relativa
a poteri pubblicistici non ancora esercitati (art. 34, comma 3).
Tale soluzione è coerente con il modello costituzionale (art. 103 della Carta
Fondamentale) che configura il giudice amministrativo come giudice chiamato a
sindacare l’esercizio del potere e non come organo chiamato, in spregio al principio di separazione dei poteri, a sostituirsi ex ante alla P.A. nella spendita di un
potere non ancora esercitato.
Nei prossimi paragrafi verranno esaminate analiticamente le diverse tipologie di azioni di accertamento espressamente previste dall’ordinamento vigente,
per poi passare a verificare l’ammissibilità e l’ambito di applicazione dell’azione
di accertamento atipica ed autonoma. ,.
2.1. L’azione di nullità del provvedimento amministrativo ex artt. 21-septies
della L. 241/1990 e 31, comma 4, del codice del processo amministrativo
Si è più volte affermato che la L. 11 febbraio 2005, n. 15 ha profondamente
innovato il procedimento e, in via indiretta, il processo amministrativo. Tra le
numerose innovazioni introdotte da detto testo normativo all’interno della L. 7
agosto 1990, n. 241 possiamo sicuramente annoverare l’art. 21-septies, in tema
di nullità del provvedimento, il cui statuto è oggi compendiato dalla disciplina
spiccatamente processuale dettata dall’art. 31, co. 4, cod. proc. amm.
Sotto il profilo sostanziale, la L. n. 241/1990 ha codificato per la prima volta
la categoria giuridica della nullità, prima elaborata solo in sede giurisprudenziale. Si stabilisce in particolare, al primo comma, che l’atto amministrativo
è nullo per mancanza di elementi essenziali, difetto assoluto di attribuzione,
violazione od elusione del giudicato e negli altri casi espressamente previsti
dalla legge. Si rileva fin d’ora che l’art. 21-septies non è meramente ricognitivo
dello stato dell’arte in tema di nullità del provvedimento ma introduce innovazioni di indubbio rilievo rispetto alle elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali
precedenti.
La nullità
174
La tutela di accertamento e di condanna
Rinviando per gli approfondimenti del regime sostanziale di tale nullità alla
parte III, cap. VII, § 3, in questa sede si analizzeranno i problemi processuali
innescati, anche alla luce delle novità di cui al codice del processo, dalla previsione normativa di una patologia prima accarezzata dalla sola elaborazione
pretoria e dottrinale.
Interessi
pretensivi
Interessi
oppositivi
2.1.1. Problemi di giurisdizione (rinvio)
L’espressa previsione della categoria della nullità del provvedimento pone, in
prima battuta, talune questioni inerenti alla giurisdizione in tema di azione di
nullità.
Sul punto, l’art. 21-septies, comma 2, disciplinava la giurisdizione (con una disposizione in parte qua abrogata e trasfusa nell’art. 133, co. 1, lett. a, n. 5, cod.
proc. amm.) nella sola fattispecie di nullità per violazione od elusione del giudicato,
prevedendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si è posta dunque
la questione della giurisdizione negli altri casi di nullità previsti dalla legge.
Nel rimandare alla sez. I, cap. II, § 4.1., per una trattazione esaustiva del tema,
giova qui ricordare che la ricostruzione attualmente dominante è quella per la
quale, in assenza di una statuizione espressa del Legislatore, bisogna applicare
alla fattispecie in esame i principi generali1: la giurisdizione è dunque del giudice
amministrativo perlomeno nei casi in cui la posizione del destinatario del provvedimento sia d’interesse legittimo pretensivo. E ciò sia nel caso d’impugnazione,
da parte del destinatario del provvedimento, di un diniego affetto da nullità, che
in quello d’impugnazione, da parte del terzo controinteressato, del provvedimento
ampliativo nullo.
Restano, invece, nella cognizione del giudice ordinario, secondo la tesi tradizionale, le questioni inerenti a provvedimenti nulli incidenti su diritti soggettivi
che, a fronte di atti ab origine inefficaci come quelli nulli, non degradano ad
interessi legittimi oppositivi.
Altra tesi, per converso, attrae anche tali patologie incidenti su interessi oppositivi nell’alveo della giurisdizione amministrativa di legittimità, muovendo
dall’assunto che l’atto nullo è qualificabile come espressione, pur se gravemente
viziata, di un potere amministrativo in ogni caso esistente. Trattasi quindi di un,
pur se peculiare, caso di cattivo uso del potere, soggetto, in base ai criteri ordinari di riparto, alla giurisdizione di legittimità del G.A.
2.1.2. L’azione di nullità come azione di mero accertamento ammissibile dinanzi al G.A.
Accertata, nei casi evidenziati nel precedente paragrafo, la proponibilità dell’azione di nullità all’interno del giudizio amministrativo di legittimità è necessario in1
Così, da ultimo, v. Cons. Stato, sez. VI, 03 marzo 2010, n. 1247, in Red. amm. CDS 2010, 03.
Parte I – Sezione II – Capitolo 3
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terrogarsi sullo statuto della nullità amministrativa e sulla disciplina processuale
applicabile a detta fattispecie.
Il problema è oggi risolto dall’art. 31, comma 4, del codice del processo,
che espressamente consacra l’azione di nullità, qualificandola quale “azione di
accertamento”2 .
Va peraltro rilevato che l’azione dichiarativa della nullità non è un’azione
di accertamento del bene della vita in senso proprio, ossia un’azione in cui l’ac
certamento è volto ad una pronuncia che condanni la P.A. all’attribuzione del
bene si di cui sia verificata la spettanza. Essa, infatti, non è diretta a verificare
l’esistenza o meno del rapporto sostanziale, ma, al contrario, ad accertare l’illegittimità del provvedimento amministrativo. Si tratta, quindi, di un’azione che
non dà vita ad un giudizio sul rapporto, configurabile solo nel caso in cui l’atto
richiesto sia integralmente vincolato in base alla regola sottesa all’art. 21-octies,
comma 2, ed estensibile anche al caso del provvedimento nullo.
T.A.R. Puglia,
Bari, 4581/2005
opta per la
soluzione
della sentenza
costitutiva
Convince la tesi
dichiarativa
Un’azione di
accertamento
ma non di
spettanza
E’ stata in tal modo sconfessata l’opposta tesi, pure paventata in giurisprudenza3, che, I precedenti giuconsiderando insuperabile il rilievo dell’assenza di una disciplina processuale ad hoc, pre- risprudenziali
feriva annullare il provvedimento nullo, data l’impossibilità, de iure condito, di emanare
una pronuncia dichiarativa nell’ambito della giurisdizione di legittimità.
Tale tesi, raffinata e persino fantasiosa, non aveva tuttavia convinto la dottrina e la
giurisprudenza ante riforma, le quali avevano evidenziato come essa fosse prigioniera
del retaggio della tipicità delle azioni modellate dalla legge, con la conseguente attribuzione -impropria- della veste costitutiva di una pronuncia di “annullamento” di un
provvedimento ab origine inefficace.
2.1.3. Il regime dell’azione di nullità: interesse ad agire, prescrizione, rilevabilità d’ufficio e principio della domanda
Nell’assenza di uno statuto specifico della nullità in seno all’art. 21-septies ed
alle relative norme del codice del processo, si può ritenere che siano applicabili
le norme del codice civile. Esse, infatti, costituiscono l’espressione di principi
generali dell’ordinamento, e possono quindi ben trovare ingresso nel processo
amministrativo.
In primis, va affrontata la questione dell’interesse ad agire. Era infatti
opinione dominante nella giurisprudenza precedente alla riforma del 2005
che, in caso di azione preordinata alla declaratoria di nullità, mancasse l’interesse ad agire in capo al privato. Si sosteneva, infatti, che non sussistesse
l’interesse ad eliminare dall’ordinamento giuridico un provvedimento improduttivo di effetti. Detta concezione, però, finiva per confondere la fatSull’ammissibilità di tale azione, ancor prima del codice, Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2010, n.
1498; sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554.
3
T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 26 ottobre 2005, n. 4581.
2
Applicabilità
delle norme del
Codice Civile
Interesse
ad agire e
legittimazione
attiva
176
La tutela di accertamento e di condanna
tispecie del provvedimento nullo con la differente fattispecie del provvedimento inesistente.
Ed invero si può rilevare che l’interesse ad agire sussiste: il provvedimento nullo, nonostante il suo deficit di imperatività, potrà infatti essere eseguito;
inoltre, venendo comunque in rilievo un atto giuridicamente rilevante, possono
essere emanati provvedimenti consequenziali all’atto stesso; il provvedimento
stesso può d’altronde ingenerare un affidamento nei terzi in ordine alla sua validità. Si rileva, infine, che la stessa presenza di un provvedimento nullo genera
nell’ordinamento giuridico una situazione di incertezza che il privato potrebbe
avere interesse a rimuovere.
Altra cosa è, poi, valutare l’interesse ad agire nel caso concreto. La domanda
di nullità, infatti, per i principi di diritto civile, può essere proposta da chiunque
vi abbia interesse (art. 1421 c.c.). Questo implica che il legittimato deve poter
ottenere un’utilità concreta dalla pronuncia di nullità (art. 99 c.p.c., pacificamente applicabile al giudizio amministrativo in ragione del generale richiamo
alle norme del codice di rito civile ex art. 39 cod. proc. amm.). Potranno dunque
esperire l’azione di nullità il destinatario dell’atto ed i (soli) soggetti terzi che
l’atto nullo è idoneo a ledere4.
Osserva sul punto RAMAJOLI, Nullità, legittimazione ad agire e rilevabilità d’ufficio, relazione al
convegno di Siena sulla nullità del provvedimento amministrativo del 22-23 giugno, 2007. “Se non vi
sono ostacoli ad attribuire la legittimazione a proporre l’azione di nullità a chiunque vi abbia interesse,
tuttavia, con riferimento a qualsivoglia processo, l’affermazione secondo cui ogni interessato può agire
e far rilevare la nullità deve fare i conti con i consueti limiti espressi dall’art. 100 c.p.c. (“per proporre
una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”). È principio acquisito quello
secondo cui la legittimazione generale all’azione di nullità non esime il soggetto che propone tale azione
dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. [...]. Il fatto che
l’azione di nullità sia proponibile “da chiunque vi abbia interesse” non significa che essa giunga a configurarsi come un’azione di tipo popolare, attribuita a quivis de populo; si tratta invece del conferimento
della legittimazione attiva ad una categoria più ampia rispetto a quella costituita da coloro che hanno
partecipato all’atto che si assume nullo, ma pur sempre limitata dall’interesse ad agire, consistente nella
necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale di una propria posizione soggettiva e il
conseguente danno alla propria sfera, derivante come effetto dell’atto di cui si deduce la nullità. Del resto,
la pronuncia di nullità è una pronuncia dichiarativa ed è pacifico che le azioni di mero accertamento sono
proponibili solo quando “in concreto sussiste il bisogno di conseguire una certezza giuridica circa l’esistenza di un proprio diritto o l’esclusione di una pretesa altrui, il che presuppone uno stato di incertezza
obiettiva e non meramente interna o soggettiva, in ordine all’esistenza, al contenuto o alle modalità di un
rapporto giuridico, tale da determinare un pregiudizio attuale rispetto alla temuta lesione del diritto, per
la cui eliminazione sia necessaria la pronuncia del giudice”. Pur essendo necessario conciliare l’art. 1421
c.c. con l’art. 100 c.p.c., rimane comunque fermo che la legittimazione a proporre l’azione di nullità è
conferita ad una categoria estesa ad una sfera di soggetti più ampia rispetto a quella costituita da coloro
che hanno posto in essere il negozio nullo. Dunque, anche di fronte ad un atto amministrativo nullo ci
dovremmo ragionevolmente aspettare un ampliamento della sfera dei soggetti legittimati a farne valere in
giudizio la nullità. Invece, a causa del differente punto di partenza rispetto al processo civile, nel processo
amministrativo la legittimazione generale configurata dall’art. 1421 c.c. finisce per perdere gran parte
della sua pregnanza. Infatti, nel diritto civile legittimati sono anzitutto i soggetti che hanno posto in essere
il negozio giuridico nullo, i quali possono essere interessati a far valere la nullità in via autonoma o per
contestare l’azione della controparte fondata sul contratto. La legittimazione ad agire è poi riconosciuta
4
Parte I – Sezione II – Capitolo 3
177
Prima del varo del codice del processo si è a lungo discusso sulla sottoposizione dell’azione di nullità a prescrizione o a decadenza ovvero in merito alla mutuazione della regola civilistica dell’imprescrittibilità. L’art. 31, comma 4, del codice
ha risolto il problema stabilendo che, per le nullità previste dalla legge sottoposte
alla giurisdizione amministrativa, l’azione va proposta entro il termine di deca
denza di centottanta giorni; resta ferma, tuttavia, la perpetuità della corrispondente
eccezione, nonché la rilevabilità d’ufficio. Si dà la stura ad un’anomalia data da
una preclusione che impedisce di accertare l’originaria inefficacia dell’atto e che,
quindi, stabilizza sul piano sostanziale un provvedimento ab initio inefficace. In
definitiva viene fortemente assottigliata la differenza tra nullità ed annullabilità,
sì da autorizzare la qualificazione della nullità come macro-annullabilità. A tale
regime decadenziale sfugge l’ipotesi della nullità per contrasto con il giudicato,
sottoposta al regime della prescrizione decennale proprio dell’actio iudicati (artt.
31 e 114, commi 1 e 4, lett. b), del codice del processo).
dall’ordinamento anche a quei terzi estranei, che, “ricevendo un pregiudizio giuridicamente apprezzabile
dalla permanenza dell’incertezza sull’inidoneità del negozio a produrre i suoi effetti tipici, dimostrino
un proprio concreto interesse ad agire”. Legittimati sono quindi i terzi pregiudicati dal contratto, ai quali
sarebbe opponibile il contratto nullo [...]. Nel giudizio civile è vistosamente percepibile la distinzione
tra nullità e annullamento in ordine alla legittimazione, dal momento che si riserva la legittimazione
all’annullamento ad una cerchia assai ristretta di interessati (“l’annullamento del contratto può essere
domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge” recita l’art. 1441 c.c.), mentre, come
si è visto, legittimata a proporre azione di nullità è anche la (potenzialmente) ampia categoria di terzi
diversi dalle parti del contratto. La demarcazione assai netta fra i due tipi di invalidità consente di dare
un senso ben preciso all’azione di nullità nel processo civile. La situazione muta radicalmente quando la
nullità e l’annullabilità si confrontano sul terreno dell’atto amministrativo. Nel caso di azioni di nullità
tipicamente pubblicistiche (per mancanza degli elementi essenziali dell’atto amministrativo o per difetto
assoluto di attribuzione) sicuramente il destinatario del provvedimento ha interesse ad ottenere una pronuncia dichiarativa della nullità, qualora dall’atto nullo discendano effetti materiali concreti comunque
pregiudizievoli nei suoi confronti, occasionati, ad esempio, dall’esecuzione dell’atto nullo. Tuttavia nel
processo amministrativo di legittimità ampi spazi di tutela hanno ottenuto non solo i destinatari diretti
del provvedimento amministrativo, ma anche i terzi, le cui posizioni hanno sempre ricevuto una considerazione più ampia di quanto non accada nel campo dei rapporti privati, specie a causa del rilievo non
meramente individuale degli interessi coinvolti. In tale processo la legittimazione a far valere l’annullabilità del provvedimento è tradizionalmente assai più ampia rispetto a quella prevista per il negozio annullabile. Anzi, si può proprio dire che la caratteristica saliente dell’interesse legittimo sia quella di far capo
normalmente anche a soggetti terzi rispetto ai destinatari immediati degli effetti dell’atto amministrativo.
Ne discende che se la contrapposizione tra nullità e annullabilità si dovesse misurare anche nel diritto
amministrativo in base alla maggiore ampiezza della legittimazione della prima rispetto alla seconda,
allora si dovrebbe pensare a una sfera di legittimati ancora più ampia di quella che già consente l’azione per l’annullamento del provvedimento illegittimo. Siccome però oltre la sfera della legittimazione
consentita nel processo amministrativo di legittimità c’è soltanto quella tipica dell’azione popolare, nel
diritto amministrativo appare davvero difficile rinvenire una differenza tra nullità e annullabilità sotto il
profilo della legittimazione. Dal momento che la legittimazione nel processo amministrativo è già ampia
quanto quella massima che la giurisprudenza civile riconosce per l’azione di nullità, non è probabile che
la giurisprudenza amministrativa si orienti in futuro a interpretare la norma sulla nullità come un mezzo
per allargare ulteriormente la sfera dei soggetti abilitati a contestare i provvedimenti amministrativi e,
quindi, per allargare i confini della sindacabilità”.
Il codice del
processo opta
per la decadenza di 180 giorni
Imprescrittibilità
178
La tutela di accertamento e di condanna
Quanto alle nullità di atti che incidono su diritti soggettivi sottoposte alla giurisdizione
ordinaria, resta ferma, nel silenzio del codice, l’imprescrittibilità della relativa azione
ex art. 1422 c.c.. Bisogna, però, rilevare che, nonostante l’azione per la declaratoria
della nullità sia imprescrittibile, tali non sono, invece, né le azioni ad essa connesse né,
in genere, le posizioni giuridiche sottostanti. In particolare, ove l’atto nullo tocchi un
diritto soggettivo, occorrerà verificare la suscettibilità o meno di prescrizione: in questo
caso si prescriverà non l’azione dichiarativa di nullità in sé ma l’azione di condanna o
restituzione a tutela del diritto.
Rilevabilità ex
officio
La nullità del provvedimento, come accennato, può essere rilevata d’ufficio dal
giudice, ex art. 1421 c.c., richiamato dall’art. 31, comma 4, del codice, in ogni
stato e grado del giudizio (salvo che sia passata in giudicato la statuizione del
giudice inferiore riguardo all’invalidità dell’atto). L’accertamento ex officio sarà
però possibile solo ove essa emerga dagli atti di causa e non siano necessarie
ulteriori indagini sul fatto.
In tal senso occorre, però, una precisazione. In tema di nullità del contratto, la giurisprudenza prevalente reputa che, per effetto del principio della domanda di cui all’art.
112 c.p.c., la rilevazione di ufficio della nullità – volta a coadiuvare il convenuto che
non abbia proposto l’eccezione e non l’attore che abbia dimenticato la domanda – non
possa accordare all’attore un’utilità superiore a quella richiesta. In tale prospettiva, si
ritiene che la nullità possa essere rilevata solo nel caso in cui si agisca per far valere
diritti presupponenti la validità del contratto (ad es. per l’esecuzione) e non in caso
d’impugnazione del contratto stesso per altre invalidità o per vicende risolutorie. Accogliendo questa interpretazione, dunque, dovremmo supporre che non sia possibile
per il G.A. rilevare la nullità del provvedimento amministrativo tutte le volte in cui
il privato (come in genere accade nell’ambito del processo amministrativo) agisca in
giudizio per ottenere l’annullamento del provvedimento stesso. La rilevazione sarebbe
invece possibile ove l’atto nullo sia a base della domanda attorea, come nel caso in cui
si azioni la pretesa all’esecuzione dello stesso atto (che preveda erogazioni economiche) ovvero d’impugnazione di un provvedimento a valle per contrarietà ad un atto a
monte nullo.
2.1.4. La nullità per violazione od elusione del giudicato: giurisdizione esclusiva o di merito?
Qualche parola va inoltre spesa in merito all’art. 133, comma 1, n. 5, del codice del processo che, recependo l’abrogato art. 21-septies, comma 2, della L.
241/1990, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del G.A. le questioni relative
alla nullità dei provvedimenti amministrativi adottati in violazione od elusione
del giudicato. L’art. 114, comma 4, lett. b), del codice prevede che il giudice
dell’ottemperanza dichiara la nullità di tali atti e sottrae, in combinazione con
l’art. 31, comma 4, la relativa azione al termine di decadenza di 180 giorni di cui
si è detto nel paragrafo che precede.
Parte I – Sezione II – Capitolo 3
179
La norma in commento, la cui ratio è di evitare che questioni complesse
inerenti al contrasto dei provvedimenti amministrativi con i limiti derivanti dal
precedente giudicato possano essere conosciute dal Giudice ordinario, lascia sul
tappeto una serie di interrogativi, vecchi e nuovi.
In primis, bisogna rilevare che la normativa esaminata non appare distinguere tra le varie
tipologie di giudicato. Si potrebbe dunque desumere che il giudice amministrativo debba
ora conoscere delle questioni attinenti alla violazione od all’elusione di qualsiasi tipo di
giudicato (amministrativo, civile, dei giudici speciali ecc.).
In sede di primo commento si è però affermato, anche alla luce dei lavori preparatori della L. 15/2005, che della norma in questione occorrerà dare un’interpretazione restrittiva, ritenendola applicabile alle sole questioni inerenti alla violazione
od all’elusione del giudicato amministrativo. Detta ricostruzione non pare, invero,
l’unica possibile, essendo ugualmente probabile che il Legislatore intendesse, giusta
l’art. 21-septies, comma 2, poi confluito nel codice del processo, semplicemente ribadire che la violazione od elusione del giudicato (sia del giudice amministrativo sia
di quello ordinario), implica la nullità degli atti violativi/elusivi, indipendentemente
dal fatto che il relativo accertamento abbia luogo in sede di ottemperanza o meno
innanzi al G.A.
La formulazione della norma, invero non molto tecnica, ha portato inoltre ad interrogarsi sul rapporto tra giurisdizione esclusiva per violazione od elusione del giudicato e
giudizio di ottemperanza. È parso, infatti, ad alcuni dei primi commentatori che la disciplina legislativa, nella parte in cui demanda le questioni in tema di nullità per violazione
od elusione del giudicato alla giurisdizione esclusiva del G.A. e non alla giurisdizione di
merito, abbia l’effetto di sottrarre gran parte del contenzioso ai giudici dell’ottemperanza. Si è, infatti, affermato da parte di questa dottrina che «l’attrazione della violazione
e dell’elusione del giudicato nell’area della giurisdizione esclusiva, senza l’ulteriore
precisazione dell’estensione della cognizione anche al merito dell’azione amministrativa [...] fa pensare che si sia voluto accentuare la natura cognitoria di questa fase
processuale a scapito di quella tipicamente esecutiva, che trova nel vaglio del merito
dell’azione amministrativa uno strumento molto efficace per la tutela delle posizioni
contrapposte».
Detta ricostruzione, tuttavia, non sembra convincente, alla luce anche delle novità
recate dal codice del processo. Con l’introduzione dell’art. 21-septies, e quindi, con i
successivi artt. 114, comma 4, lett. b), e 133, comma 1, n. 5, la legge ha chiarito che,
fermo il normale assorbimento della nullità in esame nel giudizio di ottemperanza, e cioè
in sede di giurisdizione di merito (oggi chiarita dall’art. 114), competono comunque al
G.A. (esclusivo) le azioni con le quali, anche al di fuori dell’ottemperanza (ad esempio
non più possibile per la prescrizione o per sopravvenienze) si faccia valere (ad esempio
a fini risarcitori), la nullità dell’atto difforme dal giudicato5.
Nel senso della nullità di atti che reiterino, senza elementi di sostanziali novità, di precedenti
determinazioni annullate, C.G.A. 11 maggio 2009 n. 398.
5
Rapporti tra
nullità ex art.
21-septies ed
ottemperanza
180
La tutela di accertamento e di condanna
2.2. L’azione di accertamento dell’illegittimità del provvedimento (art. 34,
comma 3 del codice del processo amministrativo)
Si è già ricordato, nel § 4 del cap. I, che l’art. 34, comma 3, ha escluso l’emanazione di una pronuncia di annullamento quante volte nel corso del giudizio
l’eliminazione dell’atto non risulti più utile ai fini del conseguimento del bene
della vita da parte del ricorrente.
In tali ipotesi il giudice amministrativo si limiterà ad una pronuncia di accertamento dell’illegittimità al solo fine di consentire, eventualmente con un
separato giudizio, il ristoro del danno patito.
Viene quindi chiarito che l’azione di annullamento contiene, come il più contiene il meno, un’azione di accertamento e che detta ultima azione è suscettibile
di separata delibazione se la portata costitutiva della sentenza non sia utile ai fini
del soddisfacimento dell’interesse sostanziale azionato.
Si deve altresì ritenere che sia possibile un’azione di accertamento dell’illegittimità quante volte già prima del giudizio risulti l’inutilità pratica della caducazione dell’atto ma permanga l’interesse, anche solo morale, all’accertamento
dell’illegittimità dell’atto.
Sul tema v., funditus, v. cap. II, § 6 della presente sezione.
Le aperture
della L. 69/2009
2.3. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione 29 luglio 2011, n.
15) suggella l’esperibilità dell’azione di accertamento atipica
Si è già anticipato che la legge delega per la redazione del codice del processo
amministrativo (art. 44 della L. 69/2009) prevedeva espressamente l’introduzione di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare
la pretesa della parte vittoriosa. E tuttavia, la versione finale del codice non ha
previsto, in via generale ed in modo esplicito, l’ammissibilità di azioni dichiarative di condanna pubblicistica; ciò nondimeno, il codice segna comunque un
ulteriore avvicinamento alla meta della completezza della mappa delle tutele
dell’interesse legittimo.
Cionondimeno, l’ammissibilità di detta azione è stata sancita dalla decisione
n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria.
Secondo il Consiglio di Stato, l’assenza di una previsione legislativa espressa non osta all’esperibilità di un’azione di tal genere quante volte , detta tecnica
di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata
dell’interesse legittimo.
Sviluppando il discorso già avviato dall’Adunanza Plenaria con la precedente decisione n. 3/2011, si deve, infatti, ritenere che, nell’ambito di un quadro
normativo sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la
mancata previsione, nel testo finale del codice del processo, dell’azione generale
di accertamento non precluda la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa
Parte I – Sezione II – Capitolo 3
181
dai principali ordinamenti europei, che, ove necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni
tipizzate, ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla
Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113).
Anche per gli interessi legittimi, infatti, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l’esperibilità dell’azione di accertamento autonomo, con particolare
riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una
simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente.
A tale risultato non può del resto opporsi il principio di tipicità delle azioni,
in quanto corollario indefettibile dell’effettività della tutela è proprio il principio
della atipicità delle forme di tutela.
In questo quadro la mancata previsione, nel testo finale del codice, di una
norma esplicita sull’azione generale di accertamento, non è sintomatica della
volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità, ma è
spiegabile, anche alla luce degli elementi ricavabili dai lavori preparatori, con
la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea ed adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione
di accertamento non si appalesa strumentale all’adozione di altra pronuncia di
cognizione ma si presenta, per così dire, allo stato puro, ossia senza sovrapposizione di altre funzioni. Ne deriva, di contro, che, ove dette azioni tipizzate
non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento
atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c.,
risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all’art. 44
della legge n. 69/2009.
La soluzione è suffragata anche da un’interpretazione sistematica delle norme dettate dal codice del processo amministrativo che, pur difettando di una disposizione generale sull’azione di mero accertamento, prevedono la definizione
del giudizio con sentenza di merito puramente dichiarativa agli artt. 31, comma 4 (sentenza dichiarativa della nullità), 34, comma 3 (sentenza dichiarativa
dell’illegittimità quante volte sia venuto meno l’interesse all’annullamento e
persista l’interesse al risarcimento), 34, comma 5 (sentenza di merito dichiarativa della cessazione della materia del contendere), 114, comma 4, lett. b (sentenza dichiarativa della nullità degli atti adottati in violazione od elusione del
giudicato).
Soprattutto, l’azione di accertamento è implicitamente ammessa dall’art. 34,
comma 2, del codice del processo amministrativo, secondo cui “in nessun caso
il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora
182
La tutela di accertamento e di condanna
esercitati”. Detta disposizione, che riproduce l’identica formulazione contenuta
nella soppressa norma del testo approvato dalla Commissione del Consiglio di
Stato, dedicata all’azione generale di accertamento, vuole evitare, in omaggio
al principio di separazione dei poteri, che il giudice si sostituisca alla pubblica
amministrazione esercitando una cognizione diretta di rapporti amministrativi
non ancora sottoposti al vaglio della stessa. Detta disposizione non può che operare per l’azione di accertamento, per sua natura caratterizzata da tale rischio di
indebita ingerenza, visto che le altre azioni tipizzate dal codice sono per definizione dirette a contestare l’intervenuto esercizio (od omesso esercizio) del potere
amministrativo.
2.3.1. Accertamento atipico e d.i.a./s.c.i.a. (rinvio)
Anche dopo l’emanazione del codice del processo, le riflessioni dottrinarie in
tema di accertamento atipico si sono concentrate per lo più in materia di d.i.a.
(oggi s.c.i.a.), con riferimento alla quale dottrina e giurisprudenza maggioritaria
hanno ritenuto che l’azione di accertamento costituisca l’unico mezzo di tutela
azionabile dal terzo titolare di un interesse contrario allo svolgimento dell’attività oggetto della segnalazione ex art. 19 L. 241/90.
Sulla questione, ha di recente preso posizione l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la citata decisione n. 15/2011, la quale ha ricomposto il dibattito
dottrinario e giurisprudenziale nel senso di ritenere l’azione di impugnazione
del silenzio-diniego e la domanda di accertamento quali unici strumenti di tutela
esperibile dal terzo danneggiato da un’attività oggetto di segnalazione. Tale ricostruzione, peraltro, è stata da ultimo sconfessata dal Legislatore6, il quale, viceversa, ha ricostruito la tutela del terzo in termini di azione avverso il silenziorifiuto serbato dall’amministrazione a fronte della sollecitazione ad esercitare
i poteri inibitori e di controllo di cui all’art. 19 L. 241/90, escludendo pertanto
l’esperibilità dell’azione di accertamento atipica.
L’esame esaustivo dell’intera questione con specifico riferimento all’istituto
della s.c.i.a. verrà effettuato nel cap. IV, parte III.
3. Le azioni di condanna pubblicistica (o di esatto adempimento) in cui l’accertamento è funzionale ad una pronuncia che attribuisca al ricorrente il
bene della vita
In piena attuazione della legge delega l’art. 42 della bozza di codice predisposta dalla Commissione insediata presso il Consiglio di Stato aveva contemplato, in via generale, oltre all’azione di accertamento, anche l’azione
di condanna pubblicistica, ossia l’azione di condanna all’emanazione del
6
Art. 6 d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in L. n. 148/2011.
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