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Giusta causa oggettiva per inidoneità morale
05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 319 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO Giusta causa oggettiva per inidoneità morale TRIBUNALE DI ROMA 28 gennaio 2009 — Est. Boghetich — Im. Ma. c. S.A. Al. Licenziamento - Licenziamento individuale - Inidoneità morale alle mansioni - Diffusione su Internet di immagini pornografiche private della lavoratrice con accostamento al nome del datore di lavoro - Giusta causa del licenziamento - Sussiste. Costituisce giusta causa di licenziamento, per sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni, con particolare riferimento alle qualità (morali, di immagine) richieste dal tipo di prestazione disimpegnata, la condotta della dipendente di compagnia aerea con mansioni di hostess che si renda protagonista in privato di immagini pornografiche poi, senza sua colpa, diffuse su Internet con accostamento alla ragione sociale del datore di lavoro. Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato l’8 giugno 2007 la ricorrente indicata in epigrafe, dipendente con qualifica di responsabile di cabina — di Al. Ex. S.A., conveniva avanti a questo giudice Al. Ex. S.A. per l’annullamento del licenziamento irrogato con lettera del 15 febbraio 2007 e per la condanna alla reintegra nel posto di lavoro, con conseguente risarcimento del danno. Assumeva, la ricorrente di essere stata vittima, da luglio 2006, di un’azione persecutoria, diffamante e denigratoria posta in essere da soggetti terzi e consistente nella diffusione in Internet di materiale video/fotografico, formato con il suo consenso, relativo a sue relazioni private; di aver ricevuto comunicazioni anonime, dirette altresì a familiari e amici, ove si segnalavano i siti Internet ove reperire tale materiale. Rilevato che le contestazioni mosse erano tardive e che, comunque, non si ravvisava alcuna condotta attuativa delle violazioni contestate, né alcun comportamento di grave negligenza tale da sorreggere un licenziamento per giusta causa, posto che la diffusione del materiale privato era opera di terzi soggetti, chiedeva l’annullamento del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro, con conseguente risarcimento del danno. Articolava prova testimoniale e produceva documenti. Nel costituirsi in giudizio, Al. contestava la fondatezza della domanda attrice, di cui chiedeva il rigetto, deducendo che il comportamento adottato dalla dipendente aveva procurato grave danno all’immagine della società e incrinato irreversibilmente il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratrice, tenuto conto della precipua Maggio 2009 • n. 5 mansione svolta dalla ricorrente, a perenne contatto con il pubblico. La diffusione di materiale pornografico relativo alla ricorrente associato al nome del datore di lavoro aveva determinato rilevanti danni all’immagine della società e disturbato i normali rapporti di gestione del personale navigante. Articolava prova testimoniale e produceva documenti. Alla prima udienza veniva esperito il tentativo di conciliazione che, presentando concreti margini di realizzazione, consigliava il rinvio della trattazione. Alla seconda udienza si è proceduto agli interrogatori delle parti. Ritenuta la causa sufficientemente istruita il giudice rinviava per la discussione. Il processo veniva, successivamente, interrotto, ex art. 300 c.c., per sopravvenuta ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria e dichiarazione di insolvenza della società. Riassunto il processo la causa veniva decisa come da separato dispositivo. Motivi della decisione. — La domanda di annullamento del licenziamento adottato dalla società convenuta non è fondata ed il ricorso va, pertanto, respinto. Ai fini di una esatta ponderazione del provvedimento impugnato, deve individuarsi con precisione il fatto contestato, provvedere ad un inquadramento sistematico, valutarne successivamente la gravità e verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione. La lettera di contestazione inviata dal datore di lavoro alla dipendente (lettera n. 48/2007 consegnata il 24 gennaio 2007, doc. 18 fascicolo di parte convenuta) — lettera che risulta sufficientemente circostanziata per consentire una adeguata difesa (che è stata effettivamente svolta nell’incontro tra lavoratore; rappresentante sindacale a suo supporto, e datore di lavoro del 6 febbraio 2007) — imputa alla dipendente, hostess dell’Al., un articolato comportamento tenuto al di fuori dell’azienda e consistente sia nell’inserzione, in siti Internet, esemplificativamente indicati, di domande di compagnia maschile (del genere «in cerca di uomini» o «amante della compagnia») sia nell’offerta di materiale «dall’inequivocabile contenuto osceno e pornografico» ove il nome è associato alla Compagnia aerea nonché alla mansione di hostess svolta. Il datore di lavoro rileva, inoltre, la consistenza del materiale diffuso nel web, disponibile su numerosi siti Internet, nonché le inevitabili disfunzioni e turbative dell’attività aziendale, considerata la specifica mansione svolta che comporta il continuo contatto 319 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 320 GIURISPRUDENZA Massimario di Giurisprudenza del Lavoro RAPPORTO DI LAVORO con il pubblico e, in particolare, con i clienti della Compagnia. La lettera di licenziamento del 20 febbraio 2007 ha richiamato la lettera di contestazione e, valutando la gravità dei comportamenti adottati, ha espulso la dipendente dall’azienda «per giusta causa» con effetto immediato. Si tratta, allora, di valutare la gravità del comportamento extralavorativo e, preliminarmente, di inquadrare la fattispecie dal punto di vista sistematico. In primis, va osservato che risulta pacifico tra le parti ed è stato provato documentalmente che: — Nel luglio 2006 veniva consegnata una lettera anonima (inviata da sedicenti colleghi di lavoro della ricorrente) alla società convenuta con la quale si segnalava l’adozione di comportamenti, che parte della ricorrente, «davvero disdicevoli per una Compagnia che desidera il proprio rilancio»; veniva comunicato che la ricorrente «ha un sito Internet nel quale adesca clienti con la scusa di trasgressioni sessuali, per poi farsi pagare le prestazioni [...]»; che in determinati siti Internet proponeva incontri a uomini con la complicità di un amico; che offriva prestazioni sessuali anche a colleghi ed a comandanti; che in diverse occasioni era stata riconosciuta durante il volo ed era stata «pesantemente “apprezzata” e “commentata” durante ma soprattutto dopo il servizio»; venivano allegate due fotografie, tratte da Internet, ove si ritraeva la ricorrente durante i rapporti sessuali (doc. 7 fascicolo del convenuto). — All’inizio di settembre 2006 la ricorrente otteneva un colloquio con il responsabile del personale navigante di cabina e, mostrandosi turbata dei fatti esposti, dichiarava che vi era una persona, estranea all’azienda che voleva diffamarla diffondendo alcune immagini tratte dalla vita privata senza il suo consenso; dichiarava di aver denunciato il fatto all’autorità competente, di essere certa di poter arrestare il fenomeno e invocava la solidarietà e la comprensione dell’azienda. — La società incaricava una agenzia specializzata di raccogliere materiale su Internet al fine di appurare la fondatezza delle accuse rivolte, anonimamente, alla ricorrente; nel settembre 2006 veniva consegnato il primo esito di tale indagine dal quale emergeva che nel web si poteva reperire un numero consistente (circa 20) di filmini dai titoli e contenuti inequivocabilmente pornografici aventi come protagonista la ricorrente il cui nome veniva associato a quello della Compagnia nonché di foto, e che esistevano anche siti a pagamento nell’ambito dei quali sembrava venissero offerte dalla ricorrente, sempre con identificazione della sua qualità di hostess Al., prestazioni sessuali ed incontri di vario genere (doc. 9 e 10; all. 18, fascicolo del convenuto); il 10 ottobre 2006, il 20 dicembre 2006, l’8 gennaio 2007, il 320 18 gennaio 2007 sono stati consegnati ulteriori esiti di indagini informatiche svolte dall’agenzia di investigazione. — Nel novembre 2006 perveniva una seconda lettera anonima (inviata, anche questa, da sedicenti assistenti di volo Al. assunti a tempo determinato) che attribuiva alla ricorrente vari comportamenti quali la ricerca di clienti a scopo di mercimonio del proprio corpo su Internet, la titolarità di una chat erotica ove compariva la denominazione di Az., che è il codice Ia. dell’Al., la ricerca di persone per scambi di coppia; veniva allegata ulteriore documentazione fotografica e l’esito di ricerche effettuate sui motori di ricerca Internet ove comparivano annunci e pubblicità di stampo chiaramente erotico con la dicitura «Ma. Im. Hostess Al.» (doc. 8 fascicolo del convenuto). — Verificata la persistenza della diffusione su Internet del materiale indicato nonché di molteplici commenti e apprezzamenti denigratori e canzonatori della Compagnia Al. in relazione alla propria hostess, la società convenuta contestava i fatti alla ricorrente. — Il 6 febbraio 2007 la ricorrente è stata sentita a sua difesa e, nell’ambito del colloquio, ha prodotto le denunce/querele penali presentate dapprima contro ignoti e, poi, contro Ma. Le., ex fidanzato. Parte ricorrente, con la richiesta di riassunzione del procedimento interrotto a seguito della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza della società (14 ottobre 2008), ha depositato richiesta di rinvio a giudizio a carico della persona autore della diffusione in Internet del materiale pornografico. In ordine alla invocata tardività della contestazione, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale «In tema di procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente di datore di lavoro privato, la regola desumibile dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, secondo cui l’addebito deve essere contestato immediatamente, va intesa in un’accezione relativa, ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati (da effettuarsi in modo ponderato e responsabile anche nell’interesse del lavoratore a non vedersi colpito da incolpazioni avventate), soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione unitaria, sicché l’intimazione del licenziamento può seguire l’ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale da quelli precedenti» (Cass. n. 23739/2008 che suggella un orientamento ormai granitico. Cfr. nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 22066/2007, 21546/2007). Posto che grava sul datore di lavoro l’onere di provare Maggio 2009 • n. 5 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 321 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO il momento in cui ha avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore, nel caso di specie deve ritenersi che in considerazione della delicatezza delle indagini da esperire (attinenti alla sfera personale della ricorrente), della necessità di appurare una apprezzabile continuità nel tempo della diffusione di determinate immagini denigratorie della Compagnia (profilo assai rilevante anche ai fini della valutazione della gravità delle condotte), nonché della esigenza di capire se le condotte adottate dalla ricorrente (prestazioni sessuali, fotografie, riprese filmate) erano frutto di decisione liberamente adottata o esito di violenza perpetrata da altri, la società convenuta non abbia violato il canone legale e contrattuale (art. 26 c.c.n.l. che ribadisce, in sostanza, il medesimo principio sancito dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970) di tempestività della contestazione. La tesi avanzata da parte ricorrente, secondo la quale la società convenuta poteva avviare un procedimento disciplinare successivamente al ricevimento delle lettere anonime è destituita di serio fondamento, apparendo senz’altro avventato, da parte di un cauto e avveduto datore di lavoro, inoltrare una contestazione senza appurare la fondatezza di addebiti imputati da soggetti che non hanno neppure ritenuto di dichiarare le proprie generalità. Peraltro, pur comprendendosi l’atteggiamento cautelativo del datore di lavoro, la contestazione disciplinare, nel caso di specie e per le precisazioni giuridiche che seguono, non era necessaria, non avendo valenza disciplinare la condotta oggetto della risoluzione e potendosi procedere direttamente al licenziamento della lavoratrice. Nel merito, come è noto, i comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei, perciò, all’esecuzione della prestazione lavorativa, sono normalmente irrilevanti. Alcune di queste condotte, però, possono costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo, specialmente quando, per le caratteristiche e le peculiarità di esso, la prestazione lavorativa richieda un ampio margine di fiducia. Va premesso che risulta pacifico (in quanto circostanze non contestate ed emergenti dalla documentazione prodotta) che la ricorrente abbia intrattenuto rapporti sessuali con più uomini contemporaneamente e che tali incontri siano stati filmati, con il suo consenso, dall’allora fidanzato della stessa ricorrente. Risulta altresì pacifico che la stessa inseriva annunci in siti a carattere pornografico per l’organizzazione di incontri: gli annunci, peraltro, non recavano nessun riferimento all’attività lavorativa della ricorrente né al suo datore di lavoro. Tali comportamenti sarebbero rimasti relegati nella (assoluta- Maggio 2009 • n. 5 mente libera) sfera privata della ricorrente se non fossero stati diffusi sul web e associati, a questo punto, con la denominazione della società convenuta (Al.) e con le mansioni disimpegnate (hostess). Parte ricorrente, avviando, altresì, un procedimento penale nei confronti del sig. Ma. Le., sostiene di non aver in alcun modo collaborato alla diffusione del materiale pornografico, alla cui diffusione era contraria. Parte convenuta rileva che la lavoratrice non ha provato la sua estraneità alla diffusione di tale materiale, diffusione che ha gettato notevole discredito sulla Compagnia aerea. Ebbene, per apprezzare correttamente l’incidenza dell’elemento psicologico della ricorrente relativamente alla diffusione del materiale pornografico su Internet va, preliminarmente, inquadrata la fattispecie dal punto di vista giuridico. Va rammentato che l’autorevole dottrina (muovendo dal dato letterale contenuto nell’art. 2119 c.c. ove compare il termine «causa» e non «mancanza» utilizzato nella legge del 1926 sull’impiego privato) sussume, nella nozione di giusta causa, non soltanto i gravi inadempimenti contrattuali del dipendente ma anche altri fatti che, pur essendo in sé estranei allo svolgimento del rapporto, incidono sul medesimo rapporto eliminando l’interesse del datore di lavoro alla collaborazione. In tali casi il venir meno dell’idoneità del lavoratore all’esecuzione della prestazione dedotta in contratto ha una valenza puramente oggettiva, dovendosi prendere atto che alcune vicende non lavorative possono pregiudicare l’attitudine professionale del dipendente. Tale ricostruzione, che si pone in antitesi ad un isolato orientamento espresso dalla Suprema Corte (sentenza n. 13526/2004, la quale respinge la ricostruzione di ipotesi di licenziamento por giusta causa che non costituirebbero licenziamento disciplinare), appare maggiormente convincente se si considera sia il (citato) dato letterale della disposizione in esame sia la ratio perseguita (che esalta la rilevanza di situazioni che, a prescindere dalla violazione degli obblighi contrattuali posti a carico del lavoratore, determinano un brusco disinteresse del recedente alla reciproca collaborazione), sia il residuale inquadramento sistematico delle vicende estintive del contratto di lavoro nell’ambito dei difetti funzionali del sinallagma negoziale (in questo senso cfr. Cass. n. 9590/2001 che ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un avvocato addetto all’ufficio legale dell’azienda in seguito a condanna penale per fatti estranei al lavoro, dovendo essere ritenuto inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo. Cfr., inoltre, Cass. nn. 3379/2003, 9354/1999, 10299/1996, 6293/1996, 923/1996 che osservano come i fatti della 321 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 322 GIURISPRUDENZA Massimario di Giurisprudenza del Lavoro RAPPORTO DI LAVORO vita privata del dipendente rilevano ai fini del licenziamento solo se comprovino l’inidoneità professionale con riferimento al tipo di mansioni svolte). Deve, pertanto, ritenersi che costituiscano giusta causa di licenziamento non solo gli inadempimenti più che notevoli ma anche le situazioni di sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle sue mansioni con particolare riferimento alle qualità (morali, di immagine) richieste dal tipo di prestazione disimpegnata. Nella stessa prospettiva, d’altra parte, seppur con riguardo alla fase dell’assunzione, rileva la «condotta incensurabile» richiesta per l’accesso a determinate funzioni pubbliche: anche in tal caso, determinati aspetti della vita privata del dipendente esplicano una oggettiva rilevanza ai fini dell’instaurazione del vincolo negoziale. Come si vedrà, anche il Manuale Operativo della società convenuta prevede, espressamente, che gli assistenti di volo rappresentano l’immagine della Compagnia. Prendendo le mosse da tale ricostruzione esegetica, le abitudini del dipendente nella sua vita privata possono raggiungere una tale portata da riverberare negativamente sull’azienda, sia pure indirettamente, compromettendone l’immagine e/o gli interessi materiali, specie quando si tratta di un ente che, per i suoi contatti con il pubblico, esige personale che mantenga un contegno percepito da tutta la collettività come improntato a canoni di correttezza ed affidamento morale. Va rilevato che la ricorrente rivestiva la qualifica non di mero «assistente di volo» bensì quella superiore di «responsabile di cabina» preposto, altresì, a coordinare gli assistenti di volo in turno. L’inidoneità morale sopravvenuta del dipendente va — in ossequio alla ricostruzione esegetica innanzi illustrata — valutata oggettivamente, a prescindere, cioè, da profili di carattere soggettivo e dall’atteggiamento intenzionale del lavoratore (diversamente da una ricostruzione di stampo disciplinare che, come evidenziato, si respinge, e che imporrebbe al datore di lavoro di provare tutti gli elementi, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie), pur dovendosi attentamente valutare l’incidenza del comportamento in rapporto al tipo di mansioni affidate al lavoratore ed essendo irrilevante un eventuale danno subito dal datore di lavoro. Ebbene, nel caso di specie, non ci si può esimere dal notare che i fatti concernenti la ricorrente rappresentano per un datore di lavoro che svolge la propria attività a contatto con il pubblico elementi che impediscono, oggettivamente, di proseguire il contratto di lavoro. Nel momento in cui comportamenti licenziosi rimangono circoscritti nella sfera privata non possono essere in 322 alcun modo sindacati; ma, nella misura in cui tali comportamenti (che, si badi, sono stati tenuti dalla ricorrente del tutto consensualmente, avendo la stessa liberamente scelto di inserire annunci in siti a valenza pornografica e di collaborare alla formazione di materiale — film, fotografie di stampo pornografico — suscettibile, per il mezzo con cui è stato preso, di essere diffuso) acquisiscano conoscenza pubblica e siano associati alla professione svolta dal lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a tutelare la propria immagine. Invero, la circostanza stessa, esaminata nella sua valenza oggettiva, della diffusione su Internet (ossia su un circuito mediatico agevolmente accessibile a chiunque) di immagini, film, commenti di carattere pornografico collegati alla denominazione dell’azienda Al. e ad una delle mansioni (hostess) specificamente dedicata al servizio del pubblico, costituisce un indubbio e inequivocabile discredito per un imprenditore che intenda svolgere la propria attività economica nel modo più proficuo e remunerativo (ossia proponendo una immagine di serietà ed efficienza dell’azienda), essendo tale condotta potenzialmente in grado di dissuadere dall’acquisto di biglietti aerei di questa Compagnia una parte della collettività e, comunque, essendo concretamente in grado di «orientare» (in maniera difforme dalle strategie aziendali) gli acquirenti nel mercato dei trasferimenti aerei. Questa conclusione va tenuta ferma anche tenendo in considerazione una nozione mutevole di buon costume, in continua evoluzione perché ancorata alla coscienza sociale degli individui che vivono in un determinato contesto storico, posto che l’immagine che emerge dalla conoscenza di tale materiale (nel quale, si badi, si può imbattere casualmente anche colui che utilizza il sistema informatico per ragioni commerciali: vi è, invero, la prova, nell’ambito della documentazione prodotta da parte convenuta, che digitando «Al.» o «hostess Al.» in un qualsiasi motore di ricerca possono comparire gli annunci relativi alla ricorrente che sintetizzano, nel titoletto, il contenuto pornografico proposto dal sito al quale ci si collega) può sicuramente disturbare una parte della popolazione, quella più sensibile (per ragioni personali o per tutela di minori o, comunque, di persone più vulnerabili) alla diffusione di argomenti di carattere sessuale. Va rilevato che nel Manuale Operativo della Compagnia aerea si richiede che «Tutti i membri dell’equipaggio [...] debbono tenere presente che il pubblico giudica la Compagnia anche dal loro comportamento: per questa ragione chiunque sia in condizioni di essere individuato quale appartenente alla Compagnia, deve evitare con la propria condotta personale di screditarne Maggio 2009 • n. 5 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 323 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO l’immagine»; seguono, poi, specifiche indicazioni di condotta da tenere durante il servizio (doc. 6 fascicolo del convenuto). Alla luce dell’inquadramento giuridico esposto, non appare determinante individuare l’autore della diffusione del materiale pornografico nel web, nella misura in cui si ritenga che, in ogni caso, oggettivamente, la conoscibilità di questo materiale (formato, come evidenziato, con il consenso della ricorrente) arrechi pregiudizio all’impresa; e, invero, non può negarsi che, ad una impresa che svolge la sua attività prevalentemente a contatto con il pubblico, come una Compagnia aerea, derivi grave discredito dalla diffusione di video/filmati di carattere pornografico concernenti proprio il personale a diretto e continuo contatto con la clientela. Va, invero, riconosciuto all’imprenditore — in attuazione del diritto di iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost. — il diritto di svolgere la propria attività nel modo che ritenga più proficuo nonché di adottare schemi organizzativi che corrispondano alle scelte di strategia aziendale prescelte: la diffusione di determinate qualità (nel caso di specie attinenti alla sfera sessuale) attribuite ad alcuni dipendenti (e proprio a quelli addetti alla cura della clientela) può risultare oggettivamente controproducente e dannosa proprio perché idonea a modificare (orientando diversamente la clientela) le strategie economiche e di immagine perseguite dall’impresa. Appare, pertanto, irrilevante (né l’ordinamento prevede la ricorrenza di una causa di sospensione del giudizio) attendere l’esito del procedimento penale in corso, sia considerato l’assenza di vincoli di pregiudizialità tra giudizio penale e giudizio civile (perseguendo, i due giudizi, ambiti di indagine e valutazione differenti) sia risultando ultroneo l’aspetto del concorso della ricorrente nella diffusione del materiale. Può, pertanto, legittimamente rinvenirsi una sopravvenuta inidoneità morale del dipendente alla mansione affidata, di tale gravità, in quanto tale da compromettere l’immagine della società, da determinare legittimamente la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa. Non appare determinante, per respingere la ricostruzione esegetica dell’art. 2119 c.c. proposta, l’avvio di un procedimento disciplinare (nel rispetto dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970) da parte della società convenuta, procedimento adottato — anche a fronte di divergenti ricostruzioni giuridiche della fattispecie — in funzione cautelativa, al fine di evitare annullamenti del provvedimento per aspetti meramenti formali. Invero, il licenziamento, come evidenziato, è stato intimato per giusta causa e nell’ambito di tale categoria giuridica questo giudice ha mantenuto la propria disamina. Maggio 2009 • n. 5 Infine, va rammentato che — come statuito dalla Suprema Corte — non sussiste, a carico del datore di lavoro, l’onere di provare l’utilizzabilità del dipendente in altra mansione compatibile con l’inidoneità del lavoratore nella misura in cui l’impossibilità sopravvenuta provenga dalla sfera del lavoratore stesso (e non del datore di lavoro, come in caso, ad esempio, di soppressioni di posti per riduzione di costi aziendali. Sul punto cfr. Cass. n. 11753/2005). In ogni caso, anche se si dovesse ricostruire la fattispecie mediante l’archetipo dell’infrazione disciplinare, e si dovesse, pertanto, verificare l’integrazione degli estremi di un notevole inadempimento agli obblighi di correttezza imposti ai dipendenti, va rilevato che la condotta tenuta dalla ricorrente si appalesa inescusabile. Invero, posto che deve ritenersi gravemente dannosa del prestigio di una Compagnia aerea la diffusione di immagini di carattere pornografico relativo al personale direttamente e continuamente a contatto con la clientela, aver acconsentito alla ripresa di filmati a contenuto inequivocabilmente pornografico, con immagini riproducenti, altresì, il volto della ricorrente (e suscettibile, pertanto, di essere riconosciuta, in caso di diffusione del materiale) ha costituito inescusabile negligenza potenzialmente idonea ad esporre il datore di lavoro a notevole pregiudizio. La ricorrente, nel momento in cui ha acconsentito alla ripresa video di atti sessuali intrattenuti contemporaneamente con una pluralità di uomini con finalità evidentemente collegate alla diffusione di immagini dal contenuto pornografico, ha accettato il rischio che queste immagini potessero essere divulgate. Poco verosimile appare la tesi attorea (cfr. denuncia dell’8 agosto 2006 proposta all’autorità giudiziaria competente) relativa all’accordo, tra la ricorrente e l’ex fidanzato, della distruzione del materiale video successivo alla loro visione, non essendo stato raccolto alcun elemento probatorio, anche solo embrionale, a supporto di tale affermazione. Alla luce delle argomentazioni esposte, tenuto conto della residuale competenza funzionale di questo giudice (limitata ai profili di legittimità del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro, cfr. Cass. n. 11674/2005) a fronte dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria dell’Al. ex art. 2, co. 2, d.lgs. n. 347 del 2003 (decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 15 settembre 2008) e della declaratoria di insolvenza adottata dal Tribunale di Roma (sentenza del 25 settembre 2008), va respinto il ricorso. Considerata la complessa ricostruzione ermeneutica richiesta dalla fattispecie in esame, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite (Omissis). 323 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 324 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO NOTA La hostess «allegra»: licenziamento per inidoneità morale 1. - Il caso. — Interessante sentenza del Tribunale di Roma, che inquadra correttamente un licenziamento per fatti privati del lavoratore senza appiattirsi acriticamente sul generico e abusato riferimento alla «lesione del vincolo fiduciario» (1). Nel caso deciso dalla sentenza è risultato che su Internet erano reperibili filmati che ritraevano una hostess di una famosa compagnia aerea, intrattenere rapporti sessuali con più uomini contemporaneamente, nonché suoi annunci su siti a carattere pornografico; è risultato, altresì, che tutto ciò era stato diffuso in modo tale che, digitando il nome della compagnia aerea o «hostess» insieme al nome della compagnia aerea in un qualsiasi motore di ricerca, comparivano anche gli annunci relativi alla ricorrente che sintetizzavano, nel titoletto, il contenuto pornografico proposto dal sito al quale ci si poteva collegare. Questa modalità di diffusione, secondo la sentenza, «può disturbare una parte della popolazione» e, quindi, è «potenzialmente in grado di dissuadere dall’acquisto di biglietti aerei una parte della collettività». In considerazione di ciò il Tribuna- Sommario: 1. - Il caso. — 2. - Il contenuto della giusta causa oggettiva nel sistema della necessaria giustificazione del licenziamento. — 3. - Il nesso di causalità tra condotta privata del lavoratore e ragioni aziendali. — 4. - La distinzione tra sopravvenuta inidoneità professionale e il pregiudizio all’attività produttiva. — 5. - Il significato e la rilevanza della «diffusione» della condotta privata. — 6. La differente ipotesi della «turbativa» dell’attività aziendale. le, prescindendo dalla non accertata colpa della lavoratrice, ha correttamente ritenuto che la fattispecie concreta integrasse gli estremi della fattispecie astratta della giusta causa «oggettiva». 2. - Il contenuto della giusta causa oggettiva nel sistema della necessaria giustificazione del licenziamento. — A proposito della giusta causa oggettiva è utile precisare che, anche prima dell’entrata in vigore della l. n. 604/1966, si poteva ricavare in via interpretativa dall’art. 2119 c.c. la doppia specificazione della giusta causa sia soggettiva, intesa come inadempimento, sia oggettiva, intesa come rilevanza delle esigenze aziendali, ivi comprese, tra queste, anche gli effetti obiettivamente negativi sull’azienda di evenienze attinenti alla persona del lavoratore che non costituiscono inadempimento. Scriveva Federico Mancini nel 1965, per spiegare che il contenuto della giusta causa non poteva coincidere solo con l’inadempimento vero e proprio: «quale necessità vi sarebbe di una fattispecie così congegnata se il rapporto potesse risolversi, come già statuiscono le norme di diritto comune, solo a cospetto dell’inadempimento?» (2). Dopo l’entrata in vigore della regola di giustificazione necessaria del licenziamento, introdotta dalla l. n. 604/1966, permane la possibilità di ricavare in via interpretativa dalla norma generale della giusta causa una simile doppia specificazione in senso soggettivo (inadempimento) e in senso oggettivo (ragioni aziendali) (3). Ma è chiaro che, a seguito dell’esplicitazione a livello di previsione normativa dell’art. 3, l. n. 604/1966, delle ragioni aziendali giustificatrici del licenziamento (c.d. giustificato motivo oggettivo), diviene necessariamente quest’ultima la norma di riferimento alla cui (1) Per la critica all’abuso giurisprudenziale del paradigma della fiducia, sia consentito per brevità il richiamo a C. PISANI, Licenziamento e fiducia, Milano 2004, 5 e ss. Cerca di non rifugiarsi nel paradigma della fiducia, di recente, Cass. 23 ottobre 2007, n. 22236, in «Guida lav.» 2008, 4, 36. (2) F. MANCINI, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, II, Il recesso straordinario. Il negozio di recesso, Milano 1965, 46. Si veda anche, prima della legge n. 604/1966, GIUGNI, La disciplina interconfederale dei licenziamenti nell’industria, Milano 1954, 53. (3) Cfr. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro, Padova, già nella prima edizione del 1999 ed ora, nella sesta edizione 2008, 413-414, 423-424, 141-142; ID., Lavoro e vita privata, in questa rivista 1999, 1154 e ss.; MATTAROLO, Il rapporto di lavoro nelle organizzazioni di tendenza, Padova 1983, 100-101; MAZZIOTTI, Il licenziamento illegittimo, Napoli 1982, 115 e 116.; C. PISANI, Licenziamento e fiducia, cit., 147. 324 Maggio 2009 • n. 5 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 325 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO stregua valutare la rilevanza ai fini del licenziamento delle condotte del lavoratore non ascrivibili all’inadempimento; ed è altrettanto chiaro che, anche per il motivo oggettivo, come per il giustificato motivo soggettivo, la differenza con la giusta causa si pone esclusivamente su di un piano quantitativo, considerando la giusta causa come un giustificato motivo oggettivo «in tronco» per ragioni «inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» così gravi ed impellenti da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto (4). In sostanza, per «aggiornare» la vecchia teoria oggettiva della giusta causa, e quindi continuare a sostenere che ad essa corrisponde un’area di comportamenti e situazioni più ampie rispetto a quelle dell’inadempimento, occorre individuare questo plus di significato normativo rispetto all’inadempimento con riferimento alla disposi- zione dell’art. 3, l. n. 604/1966, evitando così di dare rilevanza a criteri arbitrari, come quello della fiducia. Proprio questo ordine di idee ha indotto a sostenere la tesi, secondo cui solo eventi riconducibili al giustificato motivo, sia soggettivo che oggettivo, ex art. 3, l. n. 604/1966, costituiscono ed esauriscano ormai la fattispecie di valido recesso, mentre la previsione della giusta causa, nel sistema di giustificazione necessaria del licenziamento, serve soltanto a far venir meno l’obbligo del preavviso, ma è ormai priva di autonomo rilievo per quanto attiene alla giustificazione in sé del licenziamento, che, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, va rinvenuta esclusivamente nell’art. 3, l. n. 604/1966 (5). Pertanto il giudice, prima dovrà accertare se sussistono i presupposti stabiliti dall’art. 3, l. n. 604/1966, per la validità dell’atto di licenziamento; in caso di esito negativo, l’indagine finirà a questo punto; se invece l’accertamento sarà positivo, diventerà rilevante stabilire il tempo di produzione dell’effetto estintivo dell’atto valido; e solo a questo punto, ovviamente di fronte ad un recesso in tronco, verrà in rilievo la giusta causa, come norma che, appunto, disciplina esclusivamente la mancanza del preavviso (6). 3. - Il nesso di causalità tra condotta privata del lavoratore e ragioni aziendali. — Il procedimento logico - giuridico da seguire in questi casi si articola dunque in due fasi: in primo luogo occorre verificare se ed entro quali limiti taluni comportamenti extralavorativi del dipendente, o i loro effetti sull’organizzazione o sull’attività produttiva, possano integrare gli estremi del giustificato motivo oggettivo. Solo in caso di risposta affermativa si potrà passare ad esaminare se questi motivi siano di gravità tale da eliminare anche l’obbligo del preavviso. Secondo la dottrina prevalente (7), (4) C. PISANI, Licenziamento e fiducia, cit., 149. (5) M. NAPOLI, La stabilità reale del posto di lavoro, Milano 1980, 100 e ss.; M. TIRABOSCHI, Categorie civilistiche e recesso unilaterale: il contratto di lavoro subordinato, in AA.VV., Recesso e risoluzione dei contratti, a cura di De Nova, Milano 1994, 1083; Così PERSIANI, «Recensione», a Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, in «Riv. giur. lav.» 1983, I, 336; in senso analogo, lo stesso autore in La tutela dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto, cit., Conformi alla suddetta ricostruzione di Napoli anche DI MAJO, Recensione a Mario Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, in «Giorn. dir. lav. rel. ind.» 1991, 700; ALTAVILLA, Le dimissioni del lavoratore, Milano 1987, 34 e ss.; GHEZZI, ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Bologna 1987, 291; TREMOLADA, Il licenziamento disciplinare, Padova 1993, 100; SANGIORGI, Giusta causa, (voce), Enc. dir., XIX, Milano 1970, 189, il quale sostiene che la giusta causa non incide sullo svolgimento del contratto ma sull’obbligo del preavviso; GRANDI, Rapporto di lavoro, (voce), Enc. dir., XXXVIII, Milano 1987, 357, secondo il quale la giusta causa è fattispecie «esclusiva dell’obbligo di preavviso»; TIRABOSCHI, Categorie civilistiche e recesso unilaterale: il contratto di lavoro subordinato, in AA.VV., Recesso e risoluzione dei contratti, cit., 1076 e ss.; GRAGNOLI, Conversione del recesso per giusta causa in uno per giustificato motivo, in «Arg. dir. lav.» 2001, 830. Sembra aderire a questa impostazione anche GHERA, Diritto del lavoro, Bari 2000, 339, laddove afferma, a proposito del recesso per giusta causa, che «non si è in presenza di due differenti negozi di recesso, “uno semplice e l’altro per giusta causa”, bensì di un unico tipo, rispetto al quale la giusta causa costituisce solo un presupposto di fatto che esonera dal preavviso». Alla suddetta impostazione possono essere ricondotte anche le posizioni che negavano espressamente la configurazione dell’art. 2119 c.c. per il rapporto a tempo indeterminato in termini di recesso straordinario: MENGONI, La stabilità dell’impiego nei diritti dei paesi membri della Ceca, Lussemburgo 1958, 243; SARACINI, Appunti sul recesso per giusta causa, in «Riv. giur. lav.» 1952, 184. (6) Cfr. in questo senso, Cass. Sez. Un., 18 maggio 1994, n. 4844, in «Foro it.» 1994, I, 2706, secondo cui «il licenziamento come atto unilaterale ricettizio è completo dei suoi elementi costitutivi indipendentemente dalla esistenza di una giusta causa [...] La giusta causa integra soltanto un presupposto di fatto che, se invocato dal datore di lavoro [...] lo esonera dal corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso. Si può affermare pertanto con sicurezza [...] che non esistono due diversi negozi denominati “licenziamento”, uno semplice e l’altro «per giusta causa»». (7) Cfr. M. PERSIANI, La tutela dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da Riva Sanseverino, Mazzoni, vol. II, Padova 1971, 686 e ss.; L. RIVA SANSEVERINO, Diritto del lavoro, cit. 394; G. PERA, La cessazione del rapporto di lavoro, cit., 89; P. TULLINI, Contributo alla teoria del licenziamento per giusta causa, Milano 1994, 186 e ss.; E. GRAGNOLI, Conversione del recesso, cit., 817; A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro. II. Il rapporto di lavoro, 6a ed., Padova 2008, 413-414, Maggio 2009 • n. 5 325 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 326 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO ed una parte della giurisprudenza, la formula legislativa del giustificato motivo oggettivo consente di attribuire rilevanza alle suddette situazioni extralavorative attinenti alla persona del lavoratore. Ma il punto fondamentale è che tali circostanze non si possono ritenere sufficienti da sole a giustificare il licenziamento, dovendo quest’ultimo, anche in loro presenza, essere pur sempre reso necessario dalle esigenze organizzative (8). Pertanto è necessario dimostrare uno stringente «nesso di causalità» tra le condotte illecite o comunque sconvenienti tenute dal lavoratore nella sua vita privata, che non integrano però alcun inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto, neppure di quelli accessori, strumentali o di protezione (9), e la loro effettiva incidenza «sul regolare funzionamento dell’organizzazione», ovvero sulla stessa «attività produttiva» (art. 3, l. n. 604/66). 4. - La distinzione tra sopravvenuta inidoneità professionale e il pregiudizio dell’attività produttiva. — Questo indispensabile nesso di causalità consente di operare una distinzione a seconda del tipo d’incidenza che esso provoca in relazione alle esigenze aziendali. A) Il nesso di causalità può essere determinato da una sopravvenuta inidoneità professionale del lavoratore, non solo fisica o tecnica, ma anche lato sensu professionale, con riferimento a determinate qualità morali e di immagine della persona richieste per quel determinato tipo di prestazione (10). Ad esempio, in un caso tipizzato della legge, il maestro d’asilo condannato per pedofilia per atti posti in essere nella sua vita privata, può essere licenziato per motivi oggettivi per il venir meno di una essenziale qualità morale indispensabile per il suo lavoro, consistente nel non aver riportato condanne penali per pedofilia (11). Qui vengono in rilievo anche alcuni aspetti legati alla nozione di attitudine professionale, rilevante sia per l’assunzione (12), sia per il licenziamento. B) Un altro profilo di rilevanza ai fini del giustificato motivo oggettivo delle condotte private del lavoratore riprovevoli, può essere costituito dalla loro idoneità a pregiudicare la stessa capacità produttiva dell’azienda, intesa anche come suo andamento economico, quando tali condotte incidono negativamente sulla credibilità e/o immagine dell’azienda medesima, così pregiudicandola sul mercato e nella sua capacità concorrenziale, specie in alcuni settori particolarmente sensibili nei confronti di questi aspetti (13). La differenza tra i due profili ora individuata non è di poco conto, perché nel primo non occorre la prova della diffusione della condotta privata del lavoratore, trattandosi di un requisito che deve comunque possedere il dipendente; ad esempio, non occorre la prova che la notizia della condanna per pedofilia del maestro d’asilo si sia diffusa o possa diffondersi tra i genitori degli alunni di quella scuola, in quanto la mancanza di condanne penali per tali tipi di reato costituisce in sé requisito per poter svolgere quel lavoro. Nel secondo profilo, invece, l’aspetto della conoscenza o conoscibilità diviene essenziale, perché è solo tramite questo che si determina o si può determinare concretamente il pregiudizio per l’azienda. Peraltro non è escluso che un medesimo fatto possa rilevare sotto entrambi i profili di giustificato motivo oggettivo, cioè sia sub specie sopravvenuta inidoneità, sia come pregiudizievole per l’attività produttiva, ovvero al regolare funzionamento dell’organizzazione. Ciò non toglie che essi vadano tenuti distinti anche al fine della opportuna selezione dei fatti rilevanti attinenti alla vita privata del lavoratore. 5. - Il significato e la rilevanza della «diffusione» della condotta privata. — In quale dei due profili di 439; P. ICHINO, Il contratto di lavoro, vol. III, Milano 2003, 468. Contrari, M. NAPOLI, La stabilità reale, cit., 235 e ss., 358 e ss.; P. TOSI, Il dirigente d’azienda, Milano 1974, 193. (8) M. PERSIANI, La tutela dell’interesse, cit., 688. (9) Per queste distinzioni, cfr. C. PISANI, Licenziamento e fiducia, cit., 85 e ss. (10) Cfr. Cass. 4 settembre 1999, n. 9354, in «Giur. it.» 2000, 1612; Cass. 22 novembre 1996, n. 10299, in «Riv. it. dir. lav.» 1997, II, 607; Cass. 10 luglio 1996, n. 6293, in questa rivista 1996, «Massime Cass.» 64; Cass. 3 febbraio 1996, n. 923, in «Foro it.» 1996, I, 851, tutte nel senso che i fatti della vita privata del dipendente rilevano ai fini del licenziamento solo se comprovino l’inidoneità professionale con riferimento al tipo di mansioni svolte. (11) Come si ricava anche dall’art. 3, co. 6, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, laddove stabilisce la legittimità di «atti diretti all’esclusione dallo svolgimento dell’attività lavorativa che riguardi la cura, l’assistenza, l’istruzione e l’educazione di soggetti minori nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale di minori e la pornografia minorile». (12) Ad esempio, il requisito di appartenenza a «famiglie di estimazione morale indiscussa» per l’accesso alla Magistratura ed alla Polizia è stato dichiarato incostituzionale solo perché riferito alla famiglia e non al singolo interessato (Corte cost. 31 marzo 1994, n. 108, in «Foro it.» 1996, I, 870), tant’è vero che è in vigore il requisito della «condotta incensurabile» per l’accesso alla Magistratura (Cons. St., Sez. IV, 29 settembre 1993, n. 813, in «Foro it.» 1996, III, 33). (13) Per un caso di questo tipo, cfr. Cass. 11 agosto 1998, n. 7904, in «Not. giurisp. lav.» 1998, 731. 326 Maggio 2009 • n. 5 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 327 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO giustificato motivo oggettivo sopra specificati rientra il caso della hostess «allegra» deciso dalla sentenza in commento? Dovrebbe escludersi il profilo di cui sub A, in quanto non si ricava né dalla volontà delle parti, né da norme di legge o regolamento o da atti amministrativi, che tra i requisiti per svolgere il lavoro dell’hostess ci sia anche quello di osservare una condotta sessualmente castigata. Né a questa conclusione si può giungere esaminando il manuale operativo della Compagnia citato nella sentenza, secondo cui tutti i membri dell’equipaggio devono «evitare con la propria condotta personale di screditarne l’immagine», poiché questa prescrizione sembra piuttosto riferita al comportamento dell’equipaggio durante il volo e cioè durante la prestazione lavorativa, tant’è vero che poi seguono specifiche indicazioni di condotte da tenere durante il servizio. È evidente che tutto ciò che riguarda lo svolgimento della prestazione rientra nell’ambito dell’adempimento ed è dunque estraneo al nostro caso. E, comunque, se la prescrizione riguardasse anche la vita privata, certo non potrebbe estendersi anche a condotte intime rientranti nella sfera della libertà della persona. Proprio qui è dato cogliere il «guadagno», in termini di maggiore oggettività e certezza, dell’operazione sistematica consistente nell’aver rifiutato il generico paradigma della fiducia e di aver ricondotto la rilevanza della vita privata del lavoratore ai fini del licenziamento, anche per la giusta causa, sotto l’egida del giustificato motivo ex art. 3, l. n. 604/1966, in quanto la condotta del lavoratore viene sottratta ad una valutazione morale astratta, come tale opinabile e soggettiva, per essere invece vagliata esclusivamente alla luce del nesso di causalità oggettivo di cui si è detto sopra nel par. 3. È dunque preferibile ricondurre il caso dell’hostess «allegra» al profilo di cui sub B, e cioè quello consistente nel pregiudizio all’azienda. Pertanto diviene a tal fine decisivo accertare non la lesione dell’immagine in sé della compagnia aerea, bensì quella lesione idonea concretamente a causare una perdita di clientela. Se questo è l’aspetto decisivo per la giustificazione del licenziamento, occorre allora verificare in che modo la diffusione su Internet delle condotte boccaccesche tenute dalla hostess nella sua vita privata possa produrre l’effetto pregiudizievole per l’azienda. Giustamente la sentenza si è posta il problema, avvertendo la necessità di accertare che «anche a colui che utilizza il sistema informatico per ragioni commerciali», digitando il nome della compagnia aerea, o «hostess» insieme al nome della compagnia aerea in un qualsiasi motore di ricerca, può comparire il «titoletto» che sintetizza il contenuto pornografico proposto dal sito. Sicché, deduce la sentenza, se si imbatte in questo «titoletto» quella parte della clientela che si scandalizza del porno, questa può essere dissuasa dall’acquisto di biglietti della compagnia e sceglierne un’altra. Ecco dunque individuato dal giudice il nesso di causalità oggettivo che rende rilevanti ai fini del licenziamento le condotte private della hostess. L’unica perplessità che solleva questo ragionamento è in punto di fatto e non certo in diritto. Il dubbio è se sia sufficiente a determinare l’effetto dannoso il solo «titoletto» che sintetizza il contenuto pornografico del sito. Ciò in quanto, chi è contrario al (o si scandalizza del) porno, non dovrebbe entrare nel sito, con conseguente impossibilità di vedere e, poi, riconoscere la hostess in questione. Ma c’è di più. Già chi digita «hostess» è difficile che abbia intenzioni «monacali», in quanto sotto questo termine si nascondono spesso siti od offerte porno o di prostituzione. Chi invece digita il solo nome della compagnia aerea per fini non pornografici, ad esempio per acquistare un biglietto, difficilmente presterà attenzione al «titoletto» equivoco in questione, in quanto prima di esso gli appariranno i titoletti che gli servono, come, ad esempio, acquisto biglietti, orario voli, ecc. Se invece l’utente va proprio alla ricerca di quel titoletto, o simili, in realtà fa parte della categoria degli amanti del porno, per i quali il sito in questione potrebbe costituire un’attrazione, oltretutto con compensazione tra i clienti attratti e quelli eventualmente dissuasi. In un altro contesto è già stata sottolineata la diversa rilevanza della condotta a seconda della sua esposizione o no al pubblico. È il caso del licenziamento motivato dal rapporto sessuale in azienda, ritenuto ingiustificato perché avvenuto in luogo «appartato» (14). Oggi, nell’epoca di Internet, «appartato» potrebbe significare «non accessibile senza apertura volontaria di un sito». 6. - La differente ipotesi della «turbativa» dell’attività aziendale. — Resta un altro dubbio, riguardante la motivazione del licenziamento, che, dalla contestazione dell’addebito riportata dalla sentenza, parrebbe consistere non nel danno all’immagine come sopra specificato, bensì nel differente aspetto delle «inevitabili disfunzioni e turbative dell’attività aziendale, considerata (14) Trib. Milano 14 febbraio 1990, in «Or. giur. lav.» 1990, 153. Maggio 2009 • n. 5 327 05_319_328 6-05-2009 10:54 Pagina 328 Massimario di Giurisprudenza del Lavoro GIURISPRUDENZA RAPPORTO DI LAVORO la specifica mansione svolta che comporta il continuo contatto con il pubblico e, in particolare, con i clienti della Compagnia». In questa prospettiva verrebbe in gioco un altro profilo del giustificato motivo oggettivo, e cioè quello costituito dalla turbativa al regolare funzionamento dell’organizzazione produttiva. Cambierebbe conseguentemente il tema di indagine e l’oggetto dell’onere della prova gravante sul datore di lavoro, do- vendosi accertare se, durante il volo, o comunque durante il servizio, la presenza della hostess «allegra» abbia procurato turbativa tra l’equipaggio o tra i passeggeri, in conseguenza dell’essere stata riconosciuta come protagonista dei siti porno in questione. La fattispecie sarebbe allora più vicina al caso dell’incompatibilità ambientale (15): la condotta licenziosa tenuta dalla dipendente nella vita privata avrebbe determinato, come effetto «oggetti- vo», la turbativa dell’attività produttiva. Ma nella specie, come si è visto, la hostess era riconoscibile solo da persone interessate al porno, come tali volontarie visitatrici dei relativi siti, sicché l’unica turbativa ipotizzabile sarebbe… per eccessiva attrazione. E la causa si ridurrebbe a esilarante commedia. Carlo Pisani Professore straordinario Università di Roma «Tor Vergata» (15) Cass. 11 agosto 1998, n. 7904, in «Riv. it. dir. lav.» 1990, II, 370: in quel caso il «turbamento aziendale» era causato dall’affiliazione del lavoratore a gruppi malavitosi del luogo dove avrebbe dovuto svolgere la prestazione; si veda altresì Cass. 8 febbraio 1993, n. 1519, in «Foro it. - Rep.» 1994, voce Lavoro (rapporto), 1409, in cui atti di violenza tra lavoratori avvenuti fuori dell’azienda avevano prodotto riflessi negativi nell’ambiente di lavoro. 328 Maggio 2009 • n. 5