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Tanto gentile e tanto onesta
Gaia Servadio Tanto gentile e tanto onesta postfazione di Irene Bignardi TANTO GENTILE E TANTO ONESTA Copyright © 2015 by Sonzogno di Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: giugno 2015 www.sonzognoeditori.it ISBN 978-88-454-2600-1 A Pucci «Where shall I begin, please your Majesty?» he asked. «Begin at the beginning» the king said gravely, «and go on till you come to the end: then stop.» LEWIS CARROLL, Alice in Wonderland All’età di tredici anni, dopo aver sedotto il padre, Melinda fu sottoposta alle cure del miglior analista del mondo, il professor Hochtensteil. Era stato l’alunno preferito di Freud (col quale aveva poi violentemente litigato), e ora si diceva avesse in cura la regina madre d’Inghilterra, Malraux e Goldwater. La vittima della seduzione, il padre di Melinda, era un editore serio e rispettato con un considerevole capitale alle spalle. Arrivato in Inghilterra nel 1934, Abramo Publishing aveva abbandonato nell’est dell’Europa una certa fortuna e una moglie bella, ma insopportabile. Si era invece portato con sé i due figli, Medoro e Melinda. Hochtensteil aveva sempre stimato Abramo Publishing. ��������������� Am��� mirava il suo salotto letterario, le sue cene raffinate, e quel modo pacato e discreto che Abramo aveva nell’uscire da una camera quando era stanco o si annoiava. Lo faceva spesso, e Hochtensteil aveva imparato a riconoscere il movimento stanco di una palpebra appena accennato sul viso teso in simulata attenzione. Le signore invitate a casa Publishing ��������������������������������� erano ���������������������� eleganti e impegnate. Quale fosse l’amica del momento, non lo si capiva mai bene; Hochtensteil, in verità, era arrivato alla conclusione che Abramo subisse molto più il fascino del proprio mestiere che quello di una bella donna. A parte Melinda. Nelle sempre più frequenti apparizioni nel salotto del padre, affascinava ospiti e famiglia. Frutto di molte nazionalità, parlava varie lingue correntemente e malissimo, pronunciando ognuna con una certa difficoltà e usando frasi idiomatiche tradotte direttamente da una 11 lingua all’altra. Forse quella che le era più familiare era il ceco, che le aveva insegnato la bambinaia. D’aspetto, non era così eccezionale come dicevano. Alta, aveva lunghe gambe, lunghi capelli, e molte facce. Melinda aveva scoperto l’importanza di poter possedere tante espressioni. Aveva studiato lo spalancare degli occhi stupito, l’incavare della bocca costernato, lo strizzare delle sopracciglia patetico, il viso attento, quello malizioso, quello pieno di sottintesi. Aveva capito che, in un salotto, per affascinare la persona più difficile e restia le ci volevano al massimo quindici minuti. Dopo questa scoperta e dopo le centinaia di frasi con le quali altrettanti amici di papà l’avevano descritta a se stessa, il suo corpo, il suo fare da ragazza-donna, da donna-ragazza, i suoi capelli, il modo di portarli, le sue frasi rapide e sbagliate, Melinda si era buttata alla conquista dell’uomo più difficile del suo entourage. Abramo aveva resistito per vari giorni, ma poi era cominciata una relazione felicissima. Non c’erano complicazioni di camere, di alberghi, di scuse. Si dormiva nella stessa casa; era naturale che il padre e la figlia se ne andassero assieme, presto, dato che la palpebra di Abramo cominciava a cedere. Melinda non capiva dunque perché il padre avesse voluto interrompere bruscamente un rapporto tanto felice e affidarla alle cure di Hochtensteil. Le sedute con il professore erano fastidiose e mondane. Hochtensteil – scuola freudiana – non le faceva domande, la lasciava parlare. Melinda non sapeva proprio cosa raccontargli. Molti mesi noiosi passarono, prima che Melinda mettesse in applicazione le sopracciglia tristi e gli occhi spalancati. Hoch tensteil, neanche lui, resistette a lungo. Una volta conquistata l’intimità fisica dell’analista, Melinda fu capace di diventargli amica e di raccontargli il rapporto col padre, le distratte occasionali visite alla camera del fratello, qualche rapporto annoiato con qualche letterato: insomma diventò una paziente ideale. Hochtensteil non le credette e si convinse che Melinda era un’adolescente affetta da complessi incestuosi. Finché Melinda (non che si fosse offesa di essere accusata di dire bugie, ma 12 voleva aiutare il professore) provò la verità delle sue asserzioni mediante una serie di fotografie, prese con l’autoscatto. Hoch tensteil decise allora che Melinda, dato che non provava alcun complesso di colpa, aveva finito la cura e stava benissimo. Si fece invece analizzare a sua volta da Melinda; lei lo curò per sempre dai suoi complessi calvinistici. «Adesso che sei stata analizzata e hai analizzato» le disse Hochtensteil, «puoi esercitare il mestiere di analista.» Melinda, che si era stancata di passare vari mesi in un collegio in campagna e di sciupare le sue energie nello sforzo di inventare nuovi pretesti per tornare a Londra o per fuggire dal collegio, annunciò che avrebbe continuato la propria educazione attingendo insegnamento dalla vita. E così fece, finché non constatò che il collegio non le aveva insegnato come prevenire la Natura e si trovò ad aspettare un bambino. Ma questo avvenne più tardi. «Era una settimana così caotica» disse Melinda a Hochtens teil. Non riuscirono a decidere se la paternità fosse da attribuire a Medoro, al professore o allo stesso Abramo. La appiopparono invece a Jacques. Con un certo imbarazzo, venne alla luce il primogenito di Melinda, un bellissimo bambino a cui fu dato il nome di Giove. Fu in un certo senso colpa di Abramo. Dopo che Melinda aveva ottenuto il suo titolo di analista, Abramo aveva deciso di allontanare la figlia e l’aveva mandata in Italia con Medoro. Melinda si trovò ospite nella villa del vecchio Spencer, scrittore ottuagenario e cieco. La villa era enorme, di marmo dentro e fuori, con un panorama del golfo di La Spezia e di Portovenere e con tutte le recenti leggende dei soliti poeti inglesi che non avevano fatto altro che nuotare da una parte all’altra del golfo per poi finire, naturalmente, morti affogati. Qui una lapide dove era vissuto Shelley, qua Keats, �������������������������������������� là ������������������������������� la grotta di Byron ��������������� che ��������� veniva usata come gabinetto pubblico, data la mancanza di un luogo costruito per le naturali necessità del villeggiante. Anche D.H. Lawrence vi aveva la sua lapide, nonostante quelle sue 13 lettere italiane fossero così sgarbate verso la nazione. Ma probabilmente nessun ligure le aveva lette. La villa aveva un giardino, un bosco di ulivi e tanti scogli e spiaggette intorno. Così Melinda poteva stare in pace e andare al bar col juke-box, quando riusciva a evitare la sorveglianza della nipote del vecchio. Josette Spencer, la cui conversazione era basata sulla propria piorrea, passava le sue giornate a protestare. Qualsiasi occasione era buona e, via, partiva veloce a protestare al Municipio, col suo accento anglosassone che non aveva perso nonostante i vent’anni di residenza italiana. Josette Spencer era una di quelle persone che attraevano i cataclismi. Se faceva una passeggiata nel bosco, veniva scambiata per un uccello e fucilata. Invitava a cena persone di riguardo: la cena veniva puntualmente carbonizzata. Diceva “buon viaggio” al marito in partenza: l’unica macchina e l’unico marito finivano fracassati. Una volta, naturalmente, la villa era stata bellissima. Lady Evil Spencer, ����������������������������������������������������������� la moglie ricchissima e defunta del vecchio scrittore – che Abramo pubblicava – aveva arredato la casa di tappezzerie e tappeti, di tende pesanti di seta ricamata, di pavimenti di marmi colorati. Ora le tende cadevano a pezzi, i divani erano infestati dalle pipì dei cani, i mobili servivano per oggetti di plastica. La grande terrazza ad archi, poi, conteneva la poltrona a rotelle, i tavolini pieni di vermouth di marca ignota, i ventagli, le fasce e le medicine di Spencer. Lo scrittore aveva sempre caldo e ascoltava musica da un registratore. I dischi li odiava. Erano mezzi meccanici. Il registratore invece lo sopportava: sapeva di aver schiavizzato il nipote per serate intere, costretto al pianoforte, mentre lui registrava ore di note incerte. Ogni tanto Melinda andava a trovare lo scrittore. Questi, che non aveva mai avuto una predilezione per il sesso femminile, aveva deciso che la voce di Melinda era maschile, piena di note di clavicembalo. Ma la conversazione era difficile. Esauriti gli argomenti letterari, i libri, i “com’era Henry James? e Eton? e l’Inghilterra?” rimanevano dei silenzi nei quali Melinda poteva osservare la pancia nuda e dilagante del vecchio vincere le pieghe della vestaglia. E Spencer era solo contento quando 14 quella stessa pancia conteneva una certa quantità di liquore che gli era invece negato dalla nipote e dal dottore. Così l’amicizia dei due era sorta sulla quantità di alcol che Melinda portava con sé di nascosto. Altrimenti lei non aveva niente da dirgli. Il panorama alle spalle di Spencer era tutto azzurro; le isole; il profumo delle ginestre. E Melinda fuggiva al mare. Il primo errore fu di aver messo Medoro e Melinda in una stessa stanza («Melinda è una bambina» aveva detto Josette). Due grandi letti a baldacchino, una sola grande zanzariera. Dall’altro baldacchino, niente zanzariera. Così, anche per poter dormire tranquillo, povero Medoro, senza essere mangiato vivo dalle zanzare, aveva dovuto passare le notti nel letto della sorella. Poi c’era stato l’errore di invitare un’altra tredicenne, la figlia di Josette. Era graziosa, ed educata al Marymount; ma tra le due c’erano abissi di tutti i generi, e Melinda si annoiava. Un giorno, scendendo le lunghe scale scavate nella roccia che portavano al mare, Melinda si era fermata un momento a guardare una costruzione invasa dal fogliame. Era stata lady Evil a idearla, dopo aver visto la Gloriette a Vienna, e Melinda era divertita dalla distruzione veloce del tempo e delle idee. Lasciò i vestiti sotto la Gloriette. Scendendo, vicino al mare, vide due che si abbracciavano. Il bel corpo bruno del ragazzo apparteneva certamente a suo fratello e la ragazza... tre scalini ancora, e si accorse che era la noiosa, lagnosa, figlia di Josette. Fu così che decise che le nottate passate sotto la zanzariera col fratello non sarebbero più state innocenti. Si rallegrò di quella decisione e l’unica conseguenza fu che tanto Melinda che Medoro ricomparivano la mattina stanchi, occhiaie immense, assonnati e felici. L’improvviso atteggiamento annoiato di Medoro verso sua figlia, il nuovo modo di scambiarsi occhiate dei due fratelli, l’evidente continuo desiderio di toccarsi, di stare soli insieme, le loro lunghe nuotate solitarie, non lasciarono dubbi agli occhi esperti di Josette, che decise di rispedire i due al padre. Melinda tornò a Londra. 15 O meglio. Decise di fermarsi qualche giorno a Parigi. Parigi è una città dal nome insopportabile e troppo detto. Melinda ci era stata, prima d’allora, solo pochi giorni, quando Abramo l’aveva portata con sé in un viaggio d’affari. Stavolta, appena arrivata, telefonò a Jacques, che aveva conosciuto qualche mese prima, quando era stata a sciare a Pontresina. Abramo era andato a St. Moritz, ma s’era messo in testa di dover tenere la figlia lontana dai suoi amici internazionali. E così, a Pontresina, lei si era dovuta accontentare di Jacques. Immensi golf di cachemire e vicuña dai colori sbagliati, immensi occhi blu e faccia abbronzata. Jacques l’aveva abbordata per la strada. Melinda era rimasta infastidita da quel tipo di approccio, ma gli occhi blu l’avevano convinta a seguirlo. Lui l’aveva portata a bere un Campari in un bar, dove avevano parlato un po’, poi le aveva offerto un’ottima cena. Dopo cena, erano andati all’albergo di Jacques. «Sai dove andiamo?» «Andiamo in camera tua.» «E perché?» «Perché no?» Forse Jacques, che dopotutto aveva solo diciannove anni, era stato un po’ impressionato dalla naturalezza con la quale Melinda prendeva certe faccende della vita. L’aveva spogliata. Via le lunghe calze di merletto, le belle mutandine, via tutto. Poi avevano fatto il bagno assieme, poi l’amore di nuovo, poi una doccia. Melinda se ne tornava a casa alle due o alle tre del mattino. Dopo colazione, lei e Jacques sciavano assieme, e l’istitutrice che aveva accompagnato Melinda li guardava con una certa invidia. «Beati bambini.» Jacques la portava in ristoranti buoni, e un paio di volte avevano incontrato Abramo e i suoi amici. Ancora molti bagni, ancora lunghe serate da Jacques. Poi Jacques era partito, e anche lei... Che bella idea ritrovarlo nella capitale francese. La venne a prendere all’aeroporto. Partirono in una macchina piena di pulsanti e altoparlanti e con la musica che usciva da tutte le parti. «Jacques, come sono felice.» Melinda era sempre felice. Alle tre 16 del pomeriggio era già su una grande autostrada che li portava verso Poissy, così che la povera Melinda non ebbe neanche stavolta l’occasione di visitare la capitale. Dalla casa, che stava nel mezzo di un giardino pieno di felci ed era ammobiliata in modo totalmente sbagliato (grandi candelabri moderni, orrenda combinazione di ferro battuto e plastica colorata), Melinda vedeva il sole tra gli alberi e le felci. Tutto era poetico, compresa l’assenza dei genitori di Jacques. Durante le poche ore che non passarono a letto o in un ristorante di campagna, Melinda e Jacques andarono a cavallo, occupazione che non la divertiva affatto perché Jacques era molto più bravo di lei. La camera: finto moderno svedese, qualche maschera africana e quadri moderni di dubbi autori di dubbio talento. Ma era comoda. C’era un bar e il ghiaccio veniva portato automaticamente da fantasmi che non si vedevano mai. Il grammofono mandava ondate di concerti stereofonici. Sulle ondate di musica, i due facevano l’amore. Un autista la riportò all’aeroporto dove prese il primo aereo per Londra. Hochtensteil era un po’ preoccupato della gravidanza di Melinda. Melinda ne era fiera e felice. Voleva un figlio maschio e bello e intelligente. Che naturalmente ebbe. Considerata la situazione, Hochtensteil decise di parlare ad Abramo. Gli episodi concernenti Medoro e se stesso vennero tralasciati. Si sarebbe parlato solo di un amore romantico in Francia con un certo Jacques. Melinda si ribellò. Non aveva nessuna voglia di sposarsi. Invece, riluttante, Abramo decise che così si doveva fare. L’accompagnò a Parigi dove conobbe, con orrore, la famiglia del futuro sposo e lo sposo in persona. Melinda diede un ballo di fidanzamento; non invitò né la famiglia dello sposo, né Jacques. Il party ebbe tale successo che nessuno se ne andò prima delle sette di mattina, e tutti ne parlarono, per mesi. Ma nessuno riuscì a capire chi fosse il fidanzato. 17 D’accordo con un avvocato, Melinda scrisse una lettera a un comune amico, alcune ore prima del matrimonio. «Vengo costretta a questo matrimonio.» Così, dopo la nascita di Giove, fu facile ottenere il divorzio. Jacques ne fu molto dispiaciuto. Era innamorato della moglie. Melinda gli spiegò che era totalmente assurdo che si dovessero legare così presto e che, casomai, si sarebbero risposati dopo qualche anno. Intanto era importante non perdersi di vista. Invece non si videro più. La giovane divorziata col figlio tornò a Londra. Qualche mese più tardi, a un ballo di debuttanti, dove in genere non andava mai, e dove generalmente non era invitata, non solo perché era già divorziata, ma anche perché non aveva ancora diciott’anni, Melinda incontrò lord Lawrence Inchball. Lord Lawrence aveva un solo difetto, quello di essere il secondogenito del duca di Brighton. Il primogenito, ahimè, era felicemente sposato. La moglie Loelia, una sana e robusta rosa inglese, gli avrebbe certamente dato degli eredi. Se Melinda avesse dato la scalata al matrimonio con lord Lawrence Inchball, ci voleva perlomeno il premio finale di duchessa di Brighton. Ma le cose furono più veloci di quanto Melinda avesse potuto immaginare. Lawrence Inchball, che aveva ormai trent’anni e un gran desiderio di sposare una creatura che appartenesse a un ambiente più illuminato o perlomeno diverso dal suo, non solo fu immediatamente preso dalla situazione infelice di questa adolescente divorziata con figlio, ma se ne innamorò totalmente. I loro rapporti, che erano dei più puri e delicati e noiosi, si dipanarono tra un party e una colazione, da un club a un derby. Il massimo dell’intimità erano certe prime colazioni che Melinda consumava al Ritz con Lawrence prima che questi, vestito di grigio scuro, andasse alla City. Succedeva assai raramente, perché Lawrence alla City non ci andava spesso, dato che non aveva nessun bisogno di lavorare. Inoltre preferiva vivere in campagna. Quando Lawrence portò Melinda a Saltlake a trovare il vecchio padre, nel famoso castello sulla costa del Sussex, ����������������� la ��������� giovane era già considerata da tutti come la futura moglie di Inchball. 18 Saltlake era una immensa costruzione. Una serie di castelli; il più antico, normanno. Camere e pinnacoli erano stati aggiunti nel Settecento; nell’Ottocento antenati vittoriani avevano pensato, come al solito, d’amalgamare il tutto con una serie di torrette e di spalti, oltre che a costruire un’ala di cento camere. Il vecchio duca abitava nell’ala antica, a sud-ovest, lontano il più possibile dall’appartamento occupato dalla moglie. Neanche il duca resistette alle grazie di Melinda; ammirò il suo modo di muoversi, la sicurezza della sua conversazione e del suo modo di fare, e fu contento di sentire che la ragazza aveva già avuto un figlio. Perlomeno non sarà sterile, pensò. L’unica preoccupazione era che Melinda non fosse inglese. Una straniera, pensò, cosa avrebbe detto mio padre? E magari sangue ebreo, scommetto, con quel padre che si chiama Abramo. Con l’aiuto del maggiordomo, che lo sorreggeva, il vecchio duca portò Melinda a visitare la grande collezione di quadri, il grande Tintoretto, i due Reynolds, la serie dei Canaletti. Melinda era piena di commenti e osservazioni. Il duca ammirò la sua vaga preparazione, la sua finta timidezza, il suo inchino alla vecchia duchessa quando, coperta di gioielli, apparve per la colazione. «Miss Publishing» ���������������������������������������������������� disse ���������������������������������������� la duchessa mentre mangiava la cotoletta d’agnello, «sento che lei desidererebbe sposare mio figlio Lawrence.» «Si sbaglia, Sua Grazia» rispose Melinda, «è suo figlio Law rence che desidera sposare me.» Quella risposta all’odiata consorte convinse il vecchio duca a benedire le nozze, anzi ad affrettarle. Si sentiva molto stanco e non voleva mancare di vedere la giovane nuora entrare nella cappella di Saltlake vestita con l’abito di merletto della trisnonna, privilegio che egli aveva negato alla propria consorte, accettata nella famiglia dei Brighton solo per la ingente fortuna che aveva portato con sé. Al solito, pioveva. Ma quella fu una giornata radiosa per il duca di Brighton. �������������������������������������������������������� Melinda ���������������������������������������������� era stupenda e gli invitati della sposa erano così diversi e divertenti. Gli piacque anche il padre della sposa. Abramo ���������������������������������������� Publishing ����������������������������� era felice di questo matrimo19 nio: imparentarsi con l’aristocrazia inglese era sempre stato il suo sogno. Le sue azioni di editore sarebbero salite. Il duca chiamò Melinda per parlarle. Si era già messo a letto, ed era esausto. Raccolse tutta la famiglia, compresa la moglie e il figlio maggiore. «Miei cari» disse a Lawrence e a Melinda, «voi due vi sposate per amore, beati voi. Tu, cara Melinda, sei di gran lunga la meglio fatta della nostra famiglia. Cerca di dare dei bei figli alla brutta stirpe dei Brighton e cerca di far sì che siano essi gli eredi al titolo.» E infilando un anello di lapislazzuli al dito della nuora, esalò l’ultimo respiro. Lawrence e Melinda passarono la luna di miele a Taormina. «Sono così felice» le diceva Lawrence. E Melinda cominciava a capire quanto fosse pericoloso e facile rendere tutti felici. Invece, l’esistenza della suocera, quella del nuovo duca di Brighton, il XIV, e della moglie di lui, la duchessa, la rendevano profondamente infelice. Lawrence aveva delle ambizioni politiche, fomentate dal partito conservatore, conscio della popolarità dei Brighton ������������� nel���� la zona. Melinda, che non era affatto contenta di dover vivere in campagna, fu felice dell’idea e cercò di aiutare il marito. Per qualche tempo fu costretta ad abolire sottanine corte e camicette colorate, e adottare invece cappellini a fiori color pastello e vestiti di lana ricamata che comprava da Harrods. Seguiva con un certo interesse la preparazione politica del marito. «I laburisti sono stupidi. Il paese ha bisogno di un certo numero di disoccupati. Le nazionalizzazioni sono un’idea assurda. Tutti i paesi civili se ne sono ormai resi conto. Non ti sembra, cara?» Lawrence nella Camera dei Comuni: le sembrava esilarante, uno scherzo meraviglioso. «Io non capisco cosa vogliano questi comunisti... È una cosa incivile che in Inghilterra ci siano dei sindacati... Le cose che si vedono al cinema oggi e che la censura lascia passare, ma quando ci sarò io...» Il discorso di candidatura di Lawrence ebbe gran successo. Lo aveva scritto Abramo, ma dato che era stato considerato troppo audace era stato riscritto da Oswald, il fratello di Lawrence. La morte improvvisa del deputato per la zona di ������������������������������������������������������� Brighton ���������������������������������������������� e la sempre più evidente gravidanza della gra20 ziosa moglie fecero sì che Lawrence si trovasse, impacciato e timidissimo, a sedere nella Camera dei Comuni molto prima di quanto avesse mai immaginato. A Lawrence, il Parlamento sembrava un luogo incivile. Questa Camera, dove metà dei deputati dormiva, altri facevano su e giù dal bar, altri si grattavano e si mandavano scherzosi biglietti, oppure si alzavano a tormentare il partito rivale, gli sembrava anche brutta. In verità, nessuno aveva mai affermato che la Camera dei Comuni fosse bella. Le due gallerie in alto, quella per il pubblico e quella per la stampa, terrorizzavano Lawrence. C’era un’atmosfera che lo riportava ai giorni di Eton, scuola che Lawrence aveva odiato particolarmente, dato il suo scarso successo nello sport e negli studi. Gli unici momenti trionfali della giornata erano quelli nei quali Melinda lo accompagnava, elegante e col cappellino sempre giusto e dei vestiti larghi da futura madre. Vedeva nei visi degli altri deputati una certa ammirazione, sentimento che non riusciva però a destare nella seconda parte della giornata. Lawrence sedeva nelle ultime file, come si conviene ai nuovi arrivi e ai deputati poco importanti, e di giorno in giorno si tormentava. Il Parlamento si aspettava da lui il suo primo discorso. Ne aveva già scritti ventitré e li aveva recitati davanti a Melinda e al maggiordomo, ma non aveva mai avuto il coraggio di alzarsi e pronunciarli. Anche i soggetti erano troppo difficili per lui. Politica estera, disarmo, sciopero delle linee aree, situazione economica. E nonostante prestasse molta attenzione, non riusciva nemmeno a seguire quello che dicevano gli altri deputati. Melinda veniva ogni giorno ad ascoltare e faceva tesoro dei dibattiti, tanto che gli ultimi discorsi per Lawrence li aveva scritti lei. Lawrence era scoraggiato e pensava di abbandonare il nuovo mestiere. Quando nacque il loro primo figlio, Melinda fu molto fotografata. Passò anche una settimana in campagna, dove si riposò. Detestava la campagna e detestava quella forma di riposo. Ci si sveglia pesanti, non c’è di meglio da fare che mangiare e poi bere e poi tornare a dormire. Passeggiare non la divertiva. Andava un po’ a caccia, con un fucile a doppia canna e una 21 tascata di cartucce. Lepri, ce n’erano tante. E pernici e fagiani, e Melinda sparava su tutto, in qualsiasi stagione. La compagnia della suocera poi le era particolarmente sgradita. Arrivava nell’ala di Saltlake dove Melinda si era installata col bambino, non invitata e già piena di alcol. Le ripeteva per ore le stesse storie dei tempi antichi, di quando lei era stata giovane e bellissima, delle cacce alla volpe, dei romanzi che stava leggendo. In genere c’erano sempre gli stessi personaggi, un paio di cattivi, uno buono, la vittima e l’italiano disonesto, ma rubacuori, che rapiva la giovane romantica e ignara. Le serate con la cognata non erano meno noiose. Loelia la infastidiva. Aveva quella carne flaccida delle mal nutrite da sempre, le ossa fragili trasportavano troppa pelle pallida. Portava vestiti tutti uguali, li ordinava per posta. Perle al collo durante il giorno e broccato rosa la sera. Le scollature sopra il petto basso e grande erano adornate da gioielli. I gioielli dei Brighton. La grande parure di smeraldi, diadema collana e braccialetto, erano sprecati su quella pelle, quasi sottolineavano la bruttezza di Loelia. Quando andava a un ballo non parlava con nessuno, o meglio nessuno parlava con lei. Se qualcuno veniva attratto dal suo nome ridondante, Loelia inforcava gli occhiali senza grazia e guardava l’interlocutore. Oswald era sempre lontano, a ballare con qualche debuttante o a giocare a roulette. Melinda non capiva per quale ragione il vecchio duca avesse permesso che un tale scempio entrasse nella famiglia, a parte i soldi, s’intende, di cui però i Brighton ormai non avevano più bisogno. Sapere Loelia nelle cantine di Saltlake intenta all’allevamento dei suoi funghi che cresceva in zolle di concime e coi quali passava ore, la terrorizzava. Loelia era difatti felice quando poteva star sola con i suoi cavalli, e ancor di più con i suoi funghi. Li raccoglieva in cestelli decorati con lo stemma dei Brighton e un disegnino del castello di Saltlake riprodotto da uno schizzo tremolante fatto dalle mani stesse della duchessa. Rendevano benissimo, non perché fossero più buoni degli altri, ma perché le massaie erano fiere di conservare i cestelli. Quelli che portavano la firma di Loelia naturalmente costavano di più. La passione micetologica di Loelia, il suo evidente ribrezzo 22 per il talamo e per i sempre più palesi tradimenti di Oswald, davano molto da pensare a Melinda: serate intere. La tentazione era grande. Scotland Yard non avrebbe avuto dubbi. Oswald, il nuovo duca, non aveva molto da fare, nonostante fosse presidente e consigliere di una trentina di comitati e società della City. Ogni tanto apriva il parco e il giardino di Salt lake ai plebei, che pagavano i loro cinque scellini, e il ricavato andava al partito conservatore locale. Melinda decise di studiare in segreto quali delle molte qualità di funghi che crescevano sull’umida proprietà di Saltlake fossero commestibili e quali, invece, fossero mortalmente velenose. Libroni alla mano e lunghe passeggiate, ne raccolse cinquantaquattro specie. Alcuni erano squisiti, c’erano i porcini e i cappelloni. Bisognava però stare attenti. Varie specie erano leggermente velenose, davano mal di stomaco e mal di testa per qualche giorno. «L’ultimo gruppo – quello dei funghi mortalmente velenosi» diceva il libro, «contempla poche specie. Purtroppo non c’è nessun modo per accertarsi del loro contenuto velenoso. Questi funghi crescono in campo aperto e anche in boschi, di primavera e d’autunno. Circa il novanta per cento delle morti avvenute per avvelenamento da funghi vengono attribuite all’Amanita phalloides (chiamata anche la capsula della morte). L’Amanita virosa (l’angelo che distrugge) e l’Amanita verna (il fungo dei pazzi) sono pure mortali ma le specie più rare. Nell’Amanita phalloides i principi tossici comprendono un miscuglio complesso di A e B amanitoxin e falloidin, entrambi polipeptidi relativamente semplici contenenti zolfo. Le tossine non sono distrutte nel processo della cottura né vengono distrutte dai succhi gastrici umani. I sintomi non sono palesi se non otto o ventiquattro ore dopo l’ingestione. Allora gran parte delle tossine sono state assorbite dal corpo, cosicché né il vomito, né l’uso di una pompa gastrica possono essere usati come trattamento difensivo. I sintomi includono acuti dolori di stomaco, vomito e disordini nervosi. Il paziente rimane cosciente e può anche passare attraverso periodi durante i quali i sintomi si attenuano, solo per ritornare più esacerbati. La morte ha luogo dopo due o dieci giorni di 23 grandi sofferenze. Un solo pezzo di Amanita phalloides è più che sufficiente a causare la morte.» La soluzione ai problemi di Lawrence e ai suoi era fin troppo evidente. Quel povero Lawrence non poteva rimanere alla Camera dei Comuni. Non ce l’avrebbe mai fatta a fare un discorso. Del resto andarsene senza ragione era poco dignitoso. Bisognava che egli ereditasse da un momento all’altro un titolo che lo avrebbe costretto a ritirarsi dal Parlamento.* Dal canto suo, lei avrebbe avuto quel bel titolo che le piaceva tanto. Melinda studiò una Amanita virosa; il fungo era tutto bianco, un po’ viscido. Anche l’Amanita phalloides era viscida, ma aveva dei bei colori verde-giallastri e una specie di ventaglietto bianco. La carne era bianca. Aveva l’aria più mangereccia. Scelse questo. Prima di tornare a Londra, col nuovo guardaroba pronto e l’istitutrice svizzera col neonato, Melinda mescolò ai funghi prodotti da Loelia, che accompagnavano il fegato arrosto, un pezzettino di Amanita phalloides. E prese il treno delle 10 di sera. Oswald, quella sera, cenava solo. Melinda non provava alcun sentimento verso il cognato, non aveva mai pensato a lui. Era simpatico? Timido? Com’era? In fondo era già morto. Così pensava in treno mentre un cameriere le versava del whisky. Anthony lo pagò. La stava guardando. Anthony, che ormai conosceva da qualche mese, era venuto a prenderla. Era stato gentile. La vedeva pensierosa e non osava chiederle perché. Anthony, così sicuro in Parlamento, perfettamente a suo agio nelle riunioni di gabinetto, inevitabilmente incamminato verso il potere, adesso era di colpo intimidito. Sta pensando. Sa che ora torna a Londra. Cosa si aspetta da me? Forse dovrei sedermi vicino a lei. * II titolo di duca, in Inghilterra, dà diritto al seggio nella Camera dei Pari, o Camera Alta. Il titolo di lord che Lawrence aveva posseduto sino alla morte del fratello, viene considerato titolo di cortesia, usato cioè per i figli o per i fratelli dei duchi e non dà diritto al seggio nella Camera Alta. Però la moglie di un duca può sedere nel Parlamento inglese. 24 Si alzò. Melinda continua a guardare fuori dal finestrino. E se qualcuno mi avesse visto cucinare il fungo? E collezionare le varie qualità? Certamente gli faranno l’autopsia. «Cara, a che pensi?» Melinda improvvisamente si rese conto della sua aria preoccupata. «A che pensavi?» Era sempre difficile inventare un pensiero, così, su due piedi. «Pensavo a mio marito.» Ecco, stava pensando a noi. E a che cosa succederà tra noi due. «Alla sua carriera» continuò Melinda, vedendo dei dubbi negli occhi stanchi di Anthony. «Potremmo fare qualche cosa per lui» disse Anthony, «certo, però, prima deve decidersi a fare un discorso.» «La verità è che credo che non sia proprio tagliato per il Parlamento.» Forse pensa che io voglia qualcosa da lui. Peccato, pensò Anthony, me la potevo cavare con un aiuto a Lawrence. «Tu saresti una perfetta deputatessa.» «Bene. Mi aiuterai tu, a diventarlo.» Si guardarono. Anthony aveva occhi umidi, un po’ da cane, un viso arrossato e bei capelli lisci. Era un bravo ministro. Melinda appoggiò la testa sulla sua giacca di tweed e smise di pensare ai funghi. «Dobbiamo stare attenti» le disse Anthony guardandosi attorno. In quel momento, difatti, entrò il controllore. «Quando ci vediamo, Melinda?» «Stasera.» «No, volevo dire da soli.» «Be’, anch’io volevo dire da soli.» «E potrai lasciare Lawrence, la sera? Da quanto non lo vedi?» «Solo da una settimana.» «Sei mai stata innamorata di tuo marito?» Non ci aveva mai pensato. Era stata innamorata del marito? Cosa voleva dire? Be’, era patetico e caro, gentile, bene educato. Che noiose domande. Perché Anthony diceva delle cose così assurde? «Veramente non mi innamoro facilmente.» 25 «Ma di tuo marito?» «Veramente io non credo di essermi mai innamorata.» Prima di diventare Primo Ministro, Anthony pensò, bisogna che Melinda si innamori di me. «Potresti passare un week-end con me?» «Forse.» «Potremmo andare in casa mia, in campagna.» Bisogna che non coincida con il malessere di mio cognato, pensò Melinda. Lawrence era alla stazione e Anthony, sceso prudentemente da un altro vagone, venne a rammaricarsi di non aver saputo che Melinda fosse sullo stesso treno. Avrebbero potuto fare il viaggio assieme. «Cara, come stai? E il bambino?» «Tutti bene. Come lo chiamiamo?» «Non ci hai pensato tu? Forse lo dovremo chiamare come mio padre, povero papà.» «Come è andata in Parlamento? Hai parlato?» Un’ombra di dolore passò sul viso di Lawrence. Erano stati invitati fuori a colazione. Lawrence aveva disapprovato le sottane di Melinda, di nuovo troppo corte, e il golfino di agnello. «Tutte le altre signore avevano il cappello. Guarda anche la moglie di Anthony.» Era la prima volta che vedeva la moglie di quello che sarebbe stato, era deciso ormai, il suo futuro amante. Anthony e sua moglie vivevano separati, ma fingevano un matrimonio felice per salvare la posizione politica di lui e la sua futura carriera. La moglie era alta, con tutte le parentele giuste e le amicizie importanti. Doveva esser stata molto di aiuto ad Anthony. «Ho sentito tante cose sul suo conto, mi fa tanto piacere incontrarla.» Parlarono di figli. Fu facile. Dopo il week-end che Melinda passò nella bella casa di Anthony, in Wiltshire, ����������������������������������������������������� non ������������������������������������������ ci fu persona a Londra che non la considerasse l’amante ufficiale di Anthony. Anche per questa ragione la sua posizione sociale divenne più importante e gli in26 viti fioccavano in tale quantità, che bisognava ignorarne i tre quarti. Melinda dovette assumere una segretaria. Davanti alla casa di Anthony, sugli scalini, crescevano mazzi di fiori di campagna, e le piante di timo spuntavano tra una pietra e l’altra. Così che quando ci si camminava sopra, l’aria si riempiva di profumi. Con suo enorme stupore, Melinda trovò che nella casa, quel fine settimana, c’erano altri sei ospiti. Anthony le teneva la mano tra le sue, la guardava con tenerezza. Così passò il week-end. La sera, i due si dividevano. Melinda andava a dormire nella grande stanza con letto matrimoniale che le era stata assegnata. C’erano un bagno e un salottino, le finestre davano sul giardino e sulla piscina riscaldata. La mattina Anthony, in vestaglia blu e pantofole ricamate, veniva a fare la prima colazione da lei. Portava con sé i giornali e discutevano di politica. Più tardi Melinda scendeva, si preparava uno scotch con ghiaccio e faceva un bagno in piscina. Il famoso giornalista e la moglie del proprietario del giornale commentavano la situazione. La giovane e bellissima lady Inchball, il ministro famoso... che situazione romantica. Che fortuna poter essere testimoni di una passione che non conosceva legge sociale. Che coraggio andare a stare dall’amante, ignorare ogni regola. Melinda, a colazione e a cena, sedeva a capotavola, al posto della padrona di casa. Che strana situazione, pensava. Anthony che mi vuole far passare per amante. In privato, invece, colloqui casti, qualche bacio sulla guancia. Ma che piacevole week-end. Le conversazioni erano agili, brillanti, la compagnia le piaceva. La domenica mattina, Anthony entrò in camera sua verso le dieci. Era pieno di giornali della domenica. «Davvero dovresti darti alla carriera politica, Melinda. Abbiamo bisogno di un po’ di piacere estetico anche in Parlamento.» «Se mi aiuti, Anthony. A me piacerebbe molto. Non sono molto brava, ma i discorsi che ho scritto per Lawrence non sono male. Poi ormai la Camera dei Comuni la conosco bene.» «Bisognerà trovarti un seggio. Certo il seggio che ha Lawrence sarebbe perfetto. È l’elettorato più sicuro. Chiunque si presenta lì, vince. Ma è vero che forse Lawrence non si presenterà 27 alle prossime elezioni. Non è tagliato per quel mestiere, e si annoia. A proposito, sul giornale dicono che tuo marito è andato a Saltlake, perché suo fratello è indisposto. Sarà meglio che tu lo raggiunga oggi stesso.» Così presto, pensò Melinda. Questi libri scientifici non danno mai informazioni esatte. Oswald, XIV duca di Brighton, infatti, morì. L’agonia fu lunga e dolorosa. La nuova duchessa che, distrutta, s’era dovuta mettere a letto, fu costretta ad avere un colloquio con un ispettore di Scotland Yard. «Sua Grazia» le disse, «lei conosceva bene il suo defunto cognato?» «Non potrei dire di conoscerlo bene. Anzi, di averlo conosciuto» e un’ombra di tristezza velò la fronte di Melinda, «intimamente. Era un uomo che non amava particolarmente la campagna. Non lo vedevamo molto a Saltlake. Oswald andava a Londra, aveva una vita sua, come dire? Privata.» «Aveva nemici, che lei sappia?» «Nemici?» «La dobbiamo informare che nutriamo il sospetto che la morte di suo cognato sia avvenuta per avvelenamento. Non abbiamo ancora parlato con suo marito, per non dargli ulteriori preoccupazioni e dolore.» Lawrence aveva appena dato le dimissioni dal Parlamento, ma la cosa comunque sarebbe avvenuta automaticamente, essendo egli ora diventato il XV duca di Brighton. «Un uomo come Oswald non poteva avere nemici. Dolce, amabile; non avrebbe fatto male a nessuno.» «Sappiamo che il duca aveva una vita sentimentale extraconiugale. Mariti gelosi?» «La pregherei di avere più rispetto. Ignoro questo lato della vita di Oswald.» «Scusi, duchessa, ma è mio dovere. E come erano i rapporti di Sua Grazia con la moglie?» Su questo punto, Melinda doveva stare molto attenta. 28 «Mi parevano ottimi. Non molto intensi, ma buoni. Vivevano un po’ ognuno per conto proprio. Loelia è una donna di gran valore, capiva il marito e certo era un gran conforto per lui.» «La duchessa, che lei sapesse, era gelosa del duca?» «Veramente non parlavamo mai di faccende private. Loelia era molto presa dalle sue occupazioni, è una donna che sa vivere da sola.» «Quali sono le occupazioni di sua cognata?» «Mah. Questa casa è così grande, che ci si vedeva poco. Certo poca vita sociale, e quella poca non la interessa gran che. Le piace stare coi suoi cavalli, ha un allevamento di cavalli da corsa. Passava molte ore nelle cantine, dove ha una coltivazione di funghi. Molto ingegnosa. Ne ha fatto un piccolo successo commerciale.» «Ci dica ancora di questi funghi.» «Non saprei di più. Se volete, possiamo scendere in cantina.» «Ci siamo già stati.» «Perché...?» «Vede, Sua Grazia, noi sospettiamo che suo cognato sia morto per avvelenamento da funghi.» Melinda non poteva credere che fosse stato tanto facile. Si alzò, il viso pallido, e con molta dignità disse: «Non vi posso permettere di insinuare tali mostruosità. Vi pregherei di lasciare questa stanza e questa casa immediatamente.» L’inchiesta finì in modo imbarazzante. La polizia e il nuovo duca decisero di salvare la reputazione dei Brighton evitando un processo, e Loelia fu rinchiusa in un manicomio, dove si trovò benissimo. Continuò la sua coltivazione anche se i cestelli rendevano ora molto meno bene. Qualcosa trapelò sui giornali, ma le amicizie influenti del nuovo duca e della nuova duchessa fermarono anche i giornalisti i più sfrenati. Lawrence era stato profondamente addolorato dalla morte del fratello, ma la situazione lo aveva anche rallegrato. Essere uscito da quella maledetta Camera dei Comuni in modo tanto semplice, gli sembrava un segno del cielo. 29