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06° Zadankai 19 marzo

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06° Zadankai 19 marzo
TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N° 284!
19 MARZO 2009
ZADANKAI
Giudicare ed essere giudicati
Come mi giudico, come mi giudicano gli altri, come io giudico gli altri. Tre aspetti fondamentali
ne"a relazione $a noi e il mondo.
Un’insegnante
elementare che conosco, per
valorizzare la personalità di
ogni bambino e bambina, fa
milioni di giochi per aiutarli
a giudicarsi e a piacersi. Per
esempio gli dice: «Chiudi gli
occhi e dimmi: se tu fossi un
animale che animale vorresti
essere? E se fossi un
paesaggio? Una musica? Un
libro? Se fossi un cantante,
un calciatore, un’attrice chi
vorresti essere?». E infine:
«Perché?».
di Raffae"a Fa#ioli
I ragazzini parlano e si confrontano, danno giudizi attenti, e imparano a essere diversi e uguali. Provo su
di me: cosa amo di più di un animale, di una musica e di un libro? Cosa detesto? Io non sopporto le persone che mi usano per i propri scopi. Non le sopporto, perché quasi sempre ci riescono! Io non sopporto
le persone che mi urlano nelle orecchie, perché mi fanno sentire piccola. Amo stare con i piedi davanti a
un camino a parlare di cinema o di un bel libro, mi piace perché è un luogo tranquillo e caldo e perché il
cinema e i libri mi riempiono l’anima. Amo stare con i miei bambini a giocare, perché hanno molta fantasia. Detesto le persone prevedibili, ripetitive. Amo il vento e l’aria di montagna. E tu?Per valorizzarci,
sarebbe bello poterci fare molte domande di questo tipo, o di altro. Incontrarsi con questo desiderio,
con la curiosità di un bambino, con la curiosità di chi vuole crescere. Quando incontro qualcuno la prima cosa che mi arriva è il suo viso, gli occhi, il tono della voce o forse tutto l’insieme. Subito qualcosa mi
porta a farmene un’idea, un giudizio. «Che scontrosa» penso spesso quando una commessa di un negozio
risponde a un mio saluto con un grugnito. O peggio, da quando pratico il Buddismo dico anche «che stato vitale basso!». Ma ovviamente succede anche il contrario. Ciò che siamo passa in qualche modo nelle
relazioni, con la velocità della luce. Il problema è che ciò che passa non è tutto ciò che siamo. Che fare?
È davvero un’illusione pensare che la gente che ci conosce, e anche quella che ci ama, non ci giudichi. Lo
fa continuamente. A volte però un giudizio ci inchioda, ci fa sentire non capiti, fa soffrire. A volte le
persone danno giudizi terribili, e, sulla base di questi, scelgono. Per altro, quando il nostro scopo è far
crescere qualcuno, che sia un “grande” o che sia un “piccolo”, il nostro giudizio ha gran- de potere, può
portare la persona che abbiamo davanti a immaginare un futuro possibile, o inchiodarla su un presente difficile, e parziale. Maggiore è la fede di una persona, più grande è la
sua capacità di scoprire nei propri giudizi un potenziale umano e orientare le sue azioni verso
questo potenziale. Ci sono tre elementi utili a ridurre il problema in parti più semplici: come mi
sento io, come le persone mi vivono, come io giudico gli altri.
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TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N° 284!
O in altre parole che legami
i sono tra il giudizio che
abbiamo dinoi stessi e la nostra
personalità, come si può
manifestare
la
propria
individualità e lasciare che gli
altri esprimano al meglio la
propria? Il presidente Ikeda
quando parla ai giovani tratta
spessissimo questo tema. È un
pedagogista eccezionale che
riesce sempre a dare consigli
apparentemente semplici su
problemi così complessi come
questo. Sul primo punto “come
mi sento io” scrive pagine piene
di saggezza ne I protagonisti del
XXI secolo. Nell’affrontare il
tema dei limiti caratteriali che
ciascuno di noi possiede,
paragona la nostra personalità a
un fiume: «Così come il letto di
un fiume mantiene costante la
sua forma originaria, anche
l’identità di una persona non
cambia di molto. Piuttosto è
l’acqua che vi scorre che può
essere diversa: profonda o bassa,
inquinata o limpida, ricca di pesci
o del tutto priva di vita. È il
contenuto che può cambiare e la
stessa cosa accade alle persone.
Non è la nostra personalità a
renderci felici o infelici, ciò che
fa la differenza è la qualità della
vita che conduciamo. Lo scopo
del Buddismo e dell’educazione è
di manifestare appieno questa
qualità. La vita in fondo non è
a l t r o c h e q u e s to . Po s s i a m o
indirizzare ogni aspetto di noi
stessi verso la felicità: ad esempio
la timidezza può essere
trasformata in prudenza o
discrezione, mentre l’impazienza
può diventare prontezza e
capacità di azione rapida e
incisiva». Quello che sempre
colpisce è la capacità di vedere la
vita, quindi anche i fenomeni
della vita, con questa grande
dinamicità. Anche un giudizio,
che di per sé è un prodotto
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s t a t i c o d e l l a m e n te , n o n è
esaurito, la timidezza non è
timidezza, ma futura prudenza. Il
suo modo di giudicare è talmente
profondo che è difficile trovarne i
confini. Il segreto sta nell’andare
oltre, insegna. È naturale, ripete
Ikeda, che ci siano degli aspetti
di noi che non ci piacciono, ma
continuare a nutrire del
risentimento verso noi stessi, non
ci permette di comprendere il
nostro valore, ferma la nostra
crescita. Se riconosco i miei
l i m i t i s i g n i f i c a c h e s to g i à
migliorando ma se insisto troppo
sui miei lati negativi, significa
probabilmente che il giudizio ha
preso il sopravvento sul mio
apprezzamento la vita, sulla mia
fiducia nel Gohonzon, e sulla mia
capacità di vederne la dinamicità,
quindi di viverla. Al contrario
tante volte mi dico “sono fatta
così” semplicemente per esaurire
un discorso. Semplicemente
perché non ho il coraggio di
riconoscere in quel limite tutta la
sua profondità e lo sforzo di
trasformazione che comporta.
Ma soprattutto fatico a vedere
che nello sforzo sta il valore. Che
19 MARZO 2009
una persona insicura, con uno
stato vitale alto, riuscirà,
dedicandosi agli altri, a non
mettersi mai al di sopra di chi le
s t a a c c a n t o . Un a p e r s o n a
collerica, che combatte per la
giustizia, potrà trasformare la
sua collera in energia forte e
duratura. «La vera individualità
non fiorisce mai pienamente
senza
un
duro
lavoro» (Protagonisti, 2, 19). Ed è
nel confronto con gli altri che
possiamo imparare a vederci, e a
utilizzare ciò che siamo, nel
modo migliore. A questo serve il
giudizio degli altri. E qui
arriviamo al secondo pezzo. Ci
sono persone per le quali siamo
dolci e comprensivi, altri che ci
vedono duri e scontrosi, per
qualcuno siamo strani, per
qualcuno troppo normali e via
così. Vivere condizionati da
quello che gli altri pensano di noi
è davvero triste. Eppure a volte
stiamo così, schiacciati da ciò che
gli altri pensano o dicono di noi.
Non solo dai giudizi negativi, ma
anche, pericolosamente, da quelli
positivi. E ci attacchiamo a quei
giudizi.
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Soffriamo perché qualcuno ci crede stupidi, e diventiamo orgogliosi quando qualcuno ci pensa intelligenti. In entrambi i casi la nostra vita non è tutta lì. Siamo altro. Come tirare fuori tutto il resto? Difficile. Il
Buddismo è però in grado di attivare un potere inimmaginabile. Esperienza su esperienza, a ogni dolore
ci affacciamo e ritroviamo la nostra Buddità, scopriamo una nuova comprensione, impariamo a misurare.
Si prende la stima di sé. La parola “stima” parte proprio da questo significato: misura. Spesso ce ne scordiamo. Siamo abituati a considerare la stima di sé come qualcosa di positivo, come una solida certezza
delle proprie capacità ma non è proprio così; la misura è neutra, e si impara nell’azione. Studio e capisco
quali materie mi appassionano. Canto e scopro il timbro della mia voce. Incoraggio una persona e sento
cosa mi manca per arrivarle al cuore. Faccio bene il mio lavoro e scopro di avere alcune capacità, di non
averne altre. Quello che gli altri pensano di noi in fondo è solo un aspetto della vita. E la misura si prende andando a fondo nel proprio cuore. Il giudizio degli altri è una delle tante misure. Quando siamo insieme agli altri c’è sempre qualcuno che va a toccare, con un suo giudizio, un punto che risuona dentro di
noi. Magari non è proprio quello che ci dice, forse è solo la nostra debolezza. Usare quest’attrito è un’occasione che può diventare addirittura divertente per trasformare il nostro veicolo in una fuori serie in
grado di viaggiare sempre più veloce. E ci allarga il cuore. Dopo un po’ ci si abitua talmente alle critiche
che si è in grado di amare la propria imperfezione, e questo ci permette di comprendere molti tipi di
persone, e di migliorare, nello stesso tempo. Senza tante prevenzioni. E le lodi non ci abbagliano. Su
questo argomento c’è una parabola di Shakyamuni, molto semplice ma molto precisa, raccontata nella
Saggezza del Sutra del Loto (vol. 2 pag. 87). Shakyamuni, dopo aver convertito un brahmano fu investito
da maledizioni e ingiurie dai compagni di questo. Non reagì, ma fece ai brahmani una domanda: «Se inviti qualcuno a casa tua e questo non accetta il cibo che gli hai offerto, a chi appartiene il cibo?» «Al padrone di casa» rispondono i brahmani. «Allo stesso modo se non accetto le ingiurie che mi rivolgete, non
è forse vero che queste tornano a voi?» concluse. L’importante è che gli insulti non entrino nei nostri
cuori. E che le lodi non arrivino a nutrire il nostro piccolo io. Ma passino come brezze leggere, sul nostro
desiderio di diventare esseri umani degni di questo nome. «Anche se qualcuno dovesse considerarvi un
caso disperato – dice Ikeda – voi non dovete mai considerarvi tali. Anche se qualcuno dovesse accusarvi
di non avere nessun talento e nessuna capacità, non dovete essere sopraffatti dal messaggio negativo che
quelle parole vi trasmettono. Imperturbati dalla negatività degli altri, stringete i denti, continuate a credere in voi stessi, recitate daimoku e affrontate a viso aperto le sfide che avete davanti, con tutta la vostra forza» (Protagonisti, 2, 27). Il mio giudicare gli altri, dipende necessariamente da ciò che sono, da
come mi vedo e anche da come vorrei che gli altri fossero. È ancora più ingarbugliato. Ma c’è una domanda che potrebbe mettere un po’ di ordine: «Cosa voglio da questa persona?» In realtà la domanda è
brutale, ma efficace. Ripeto: è la domanda a essere importante, non la risposta. Le risposte cambiano:
vorrei che mi facesse vedere quella gonna (nel caso della commessa) vorrei che mi lasciasse lavorare in
pace (nel caso di un collega) che mi prestasse attenzione (nel caso di un amico) vorrei che fosse felice (nel
caso dei miei bambini)… Quando capiamo sinceramente che la nostra risposta non è quella che pensavamo, occorre recitare per cambiarla. Cosa cambia? Se stiamo accanto a un persona che vogliamo sia felice, qualunque giudizio possiamo avere su di lei è secondario allo scopo. Magari ci pare troppo impaurita dalle cose per diventare felice, così davanti al Gohonzon decidiamo di starle accanto finché non avrà
trovato il coraggio di reagire. E mettiamo fiducia. Ci mettiamo tutto quello che a noi pare non abbia. Il
nostro giudizio serve soltanto a mettere nella relazione ciò che pare mancare. Dico pare, perché possiamo sbagliarci comunque.E se sta sbagliando? Se sta facendo di tutto per continuare a soffrire? Dobbiamo
dirglielo, manifestando un giudizio, o tacere? È sempre una domanda a darci, scusate il giro di parole,
una possibile risposta: «Cosa voglio io ora da questa persona?» Se scopro che tacendo sto solo assecondando un mio desiderio, quello di risultarle simpatica, allora trasformo la risposta, e parlo. Non è un lavoro da poco. Ma è un lavoro in corso. Se il mio pensiero costante fosse fare in modo che tutte le persone raggiungessero l’Illuminazione, se la percezione chiara della Buddità fosse al centro di ogni mio giudizio, questo lavoro sarebbe limpido, e leggero.Ma è realistico affermare che non è sempre così. L’importante è accorgersene. E andare più a fondo, non accontentarsi. Recitare Gongyo e Daimoku per non discriminare gli altri, per scoprire che possiamo innalzare la Torre Preziosa nella nostra vita e che questa
potenzialità è in tutte le persone, è il vero significato di lavorare per i diritti umani. E se una persona mi
sta ferendo deliberatamente? Se si comporta così male da procurarmi ferite profonde, come faccio a non
giudicare, a desiderare la sua felicità? La prima domanda possibile è: «Cosa desidero per me ora?» e se
desidero smettere di patire, con molta saggezza, forse mi allontano.
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È un allontanarsi metaforico,
quasi sempre: faccio in modo
davanti al Gohonzon, che quella
ferita non si riapra mai più.
D i v e n t o p i ù f o r t e . To l g o
emotività, e non lo posso fare
stando ferma a subire. Il mio
giudizio mi ser ve per
proteggermi. E dura un istante.
Poi trasformo il mio cuore. E da
lontano scorgo anche l’umanità
che è alla base di un
comportamento malvagio, la
debolezza o la sofferenza. E
anche il giudizio si trasforma, e
la persona diventa un buon
amico. Il cuore è libero, la mente
è nuova. Ergersi a posizioni di
superiorità, criticando gli altri,
chiunque essi siano, per vanità,
non è un comportamento del
Budda. Quando alla base di un
mio giudizio scopro qualcosa che
ha a che vedere con il mio
piccolo io, con la mia voglia di
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mostrarmi migliore è perché non
sono ancora “sveglia”; “la persona
risvegliata” afferma Fromm è
quella che ha superato
completamente il proprio
narcisismo (Fromm, The Heart
of Man, 1964). Ikeda dice: «Basta
essere sinceri con noi stessi e
rimanere persone ordinarie,
disadorne e semplici. Possiamo
ottenere
l’Illuminazione
rivelando la nostra natura innata,
proprio come siamo, come
comuni mortali del tempo senza
inizio» (Saggezza, 2, 211). È lo
scopo che resta importante. Se il
nostro desiderio è diventare
felici, e fare in modo che anche
gli altri lo siano, qualunque
giudizio possiamo ricevere o dare
non può definire la vera natura di
nessuno. «La vera identità –
scrive Ikeda – è quella del Budda,
ma nell’aspetto e nelle azioni è
un Bodhisattva»
Lo studio del Gosho si terrà giovedì 26 marzo al Kaikan dai signori De Pasquale
DIVERSI CORPI, STESSA MENTE
NEWS
Gruppo Arcobalena
Il gruppo arcobalena è composto da membri della SGI e promuove le iniziative educative, culturali e umanitarie più opportune per la realizzazione dei
valori della pace nel mondo, dell’aiuto e del sostegno verso tutti gli esseri
viventi, e per la creazione di una società più giusta e orientata da valori
umanitari.
Il Gruppo Arcobalena promuoverà le suddette in occasione del Gay Pride
Nazionale che si terrà a Genova il prossimo 27 Giugno.
Domenica 29 marzo al Kaikan alle ore 18:00 si reciterà Daimoku alle 19:00
Gongyo, e successivamente avrà luogo una conversazione per sottoporre i
dettagli dell’evento. Siete tutti invitati!
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