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Sempre di più, negli ultimi anni, è cresciuta la consapevolezza di
UN “BILANCIO” PER LA COMUNITA' ECONOMICA SOCIALE
di Pier Andrea Chevallard
Segretario Generale CCIAA di Milano
La valutazione della performance di un'azienda può limitarsi ad una analisi del tradizionale bilancio
economico? È quest'ultimo uno strumento di gestione sufficiente? Come considerare (e comunicare) gli
effetti sociali dell' attività di un'organizzazione?
Sempre di più, negli ultimi anni, è cresciuta la consapevolezza di come queste domande costituiscano un
problema non solo per i soggetti appartenenti al nuovo e composito mondo del non profit – per i quali è
sicuramente necessario valutare il perseguimento delle finalità sociali alla base della loro costituzione – ma anche
per le tradizionali imprese profit oriented, alle prese con il riconoscimento collettivo di una dimensione sociale
della loro attività, che si affianca e si integra con i profili economici, finanziari e competitivi della gestione.
La risposta a queste nuove esigenze è stata individuata (in Europa già a partire dagli anni ’70, in Italia da metà
anni ’80) nell’elaborazione – sulla base di una metodologia scientifica e certificabile – di un documento da
affiancare ai report informativi tradizionali in grado di fornire in modo chiaro e coerente informazioni sulla value
creation, vale a dire sul valore sociale che l’impresa crea.
Per le aziende che perseguono come scopo primario l’ottimizzazione del profitto il ricorso al bilancio sociale è
motivato da almeno tre ordini di motivi:
– dalla consapevolezza che l’attività di impresa produce effetti sociali che la contabilità generale non raccoglie e
il bilancio d’esercizio non riesce a rappresentare;
– dal fatto che i dati riportati nel bilancio di esercizio hanno una valenza sociale che non emerge da quel
contesto;
– dal nuovo modo di concepire l’impresa, considerata oggi un centro nella quale convergono i bisogni e le attese
di diversi gruppi di interesse. L’impresa deve riuscire a dare loro adeguata soddisfazione se intende mantenere
vivo il rapporto instaurato con ognuno di essi.
Bilancio economico e bilancio sociale
La presenza di un numero vario di interlocutori con differente peso e modalità di pressione ha fatto sviluppare la
cosiddetta stakeholder theory, la “teoria dei partecipanti dell’azienda”, che sostiene la necessità di soddisfare ogni
“partecipante” all’impresa dove come tale si intende non solo l’azionista, il lavoratore, il fornitore di beni o
servizi, il cliente, il manager, ma l’intero contesto sociale.
La rendicontazione contabile e di carattere strettamente economico trasmette dei valori che possono essere
percepiti solo da coloro che hanno un legame appunto economico con l’azienda, i cosiddetti shareholders, i
possessori delle azioni, escludendo tutti gli altri portatori di interessi diversi, magari non economici ma
certamente “sociali”, vale a dire gli stakeholders, letteralmente “i proprietari dei paletti di confine del fondo
agricolo”, ovvero i “vicini”, coloro che pur senza avere rapporti giuridici diretti sono comunque interessati a ciò
che succede nel “fondo accanto”.
Con il bilancio sociale invece l’azienda riesce a rivolgersi a tutti coloro che possono o potranno in qualche modo
essere interessati alle decisioni dell’impresa (secondo un’altra definizione coloro che hanno una qualsiasi “posta”
– da stake, scommessa – nell’azienda) dando conto dei comportamenti etici che ha adottato nei riguardi dell’intera
realtà in cui essa opera.
In questo senso il bilancio sociale (che può essere visto in ultima analisi come una sorta di rendiconto sui risultati
dell’impegno sociale dell’impresa), favorendo la conoscenza e il coinvolgimento della collettività alla gestione
dell’azienda, appare come un importante veicolo di comunicazione per accreditarne l’immagine e garantirne (o,
almeno, contribuire) la legittimità dell’agire. Allo stesso tempo esso rende disponibili al management i dati
necessari per la valutazione e il controllo dei risultati, nonché informazioni fondamentali per la definizione delle
strategie da attuare in campo sociale.
L’importanza del bilancio sociale nelle imprese non profit…
Analoghe considerazioni sulla validità dell’adozione di uno strumento di rendicontazione sociale valgono per le
imprese non profit, dove più che utile essa appare indispensabile per il carattere fondamentale che in esse assume
la funzione sociale, in nessun modo misurabile esclusivamente con gli strumenti economici finanziari. Il risultato
d’esercizio che una struttura del terzo settore consegue non è un risultato economico, ma un risultato sociale che
va misurato con “principi e metriche di rilevazioni” diversi. Dando conto del contenuto di socialità della sua
azione, l’impresa non profit rivela se alle risorse disponibili, impegnate ed erogate, hanno corrisposto gli obiettivi
di missione, identificati preventivamente attraverso una idonea programmazione. Questo documento, che
significativamente nelle strutture non profit assume il nome di “bilancio di missione”, da valore etico e strumento
di comunicazione diviene il vero strumento di gestione. Chi meglio “rendiconta” ha maggiori probabilità di
attrarre disponibilità non solo finanziare, ma anche umane come il ricorso a risorse del volontariato. Chi ha
maggiori disponibilità, può promuovere maggiori iniziative, e a sua volta può attirare maggiori risorse e fondi. La
realizzazione del bilancio di missione diventa così un fattore competitivo strategico ed un elemento cardine del
ciclo operativo della organizzazione non profit.
… e nella pubblica amministrazione
Alla luce delle motivazioni alla base del processo di rendicontazione sociale – la consapevolezza che il consenso
degli stakeholder e dell’intera collettività “paga” e può rivelarsi un importante fattore competitivo nelle imprese
profit oriented e la legittimazione sociale derivante dai fatti che realizzano e dai valori che si sono dati nelle
imprese non profit – la domanda è: perché un ente pubblico i cui fini sono predeterminati dalla legge, posta a
garanzia della sua stessa esistenza, e sul quale non incombono quindi problemi di “concorrenza” né di
accreditamento dei propri valori, deve intraprendere, o potremo anche dire sottoporsi a questo processo? “A che
pro?”.
La risposta sta nel lungo cammino che da almeno un decennio sta percorrendo la pubblica amministrazione,
“spinta” dalle pressioni provenienti da una società sempre più moderna e globalizzata verso modelli di gestione
non solo più efficaci e più efficienti, ma anche più trasparenti, partecipati e “comunicati”.
L’esigenza di una informativa veramente esauriente sui criteri di gestione degli enti pubblici infatti si diffonde e
tende a crescere in maniera direttamente proporzionale alla presa di coscienza, da parte dei cittadini, dei loro
diritti di partecipazione, di valutazione e quindi di controllo sull’operato della pubblica amministrazione.
Il documento di bilancio “sulla socialità dell’agire” dell’ente pubblico assolve a questa funzione in quanto
consente di far conoscere in maniera chiara i meccanismi di spesa, le ragioni e i criteri delle scelte e delle priorità
attraverso le quali i responsabili delle istituzioni esercitano il loro mandato in nome e per conto dei cittadini che
rappresentano. A questa condizione irrinunciabile del buon governo, connessa alla completezza e alla trasparenza
dell’informazione, si aggiunge la semplificazione dell’accesso e la facilità di comprensione per garantirne la
fruibilità piena alla maggioranza dei destinatari.
Il “Bilancio sulla socialità dell’agire” (B.S.A.) della Camera di
Commercio di Milano
Sulla base di queste considerazioni – e nel solco del profondo lavoro di modernizzazione intrapreso da alcuni anni
con l’obiettivo di rispondere in modo sempre più efficace e puntuale alle esigenze della propria utenza – la
Camera di Commercio di Milano ha avviato la redazione del suo primo “bilancio sulla socialità dell’agire” (in
seguito denominato B.S.A.), dando vita su impulso dell’allora Segretario Generale, a un gruppo di lavoro interno
affiancato da un team di consulenti.
Lo scopo fondamentale del progetto è chiaro: predisporre un documento sulle scelte e le attività realizzate nel
corso degli esercizi 2000-2001 finalizzato a far conoscere e valutare l’operato dell’ente in termini di efficacia,
efficienza, qualità e coerenza rispetto agli obiettivi dichiarati.
In più la coincidenza tra la fine della prima legislatura della “Nuova Camera” – i cui organi scadranno a fine
luglio – e la pubblicazione del B.S.A. dà un valore particolare a questo primo documento, concepito come una
sorta di resoconto conclusivo di fine mandato, atto a rendere conto alla comunità locale del percorso fin qui
compiuto dall’ente milanese per consolidarsi come Istituzione delle Imprese per le imprese.
Nello specifico, per mettere in grado ogni stakeholder camerale di esprimere una valutazione complessiva e
consapevole dell’attività amministrativa e di giudicare la corrispondenza tra il suo sistema di bisogni e interessi e
le risposte complessive che gli sono state fornite, il B.S.A. 2000/2001 della Camera di Commercio di Milano
evidenzia:
– le coerenze politiche e decisionali rispetto agli obiettivi;
– il grado di ottenimento dei risultati;
– il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati ottenuti;
– la coerenza tra le politiche generali dell’ente e quelle settoriali;
– la coerenza tra gli indirizzi politici, le attività e i risultati tramite l’analisi de il perché, il come e il quantum
delle scelte effettuate dall’ente camerale nel 2000 e 2001 e dei risultati ottenuti.
Ad ognuno di questi interrogativi viene quindi dedicata una sezione del bilancio.
Nella prima parte – l’identità dell’ente – sono esplicitati l’assetto istituzionale, la missione, le strategie ed i valori
etici di riferimento della Camera. L’espressione chiara dei valori guida assunti dall’ente costituisce infatti un
momento qualificante e fondamentale per orientare in modo coerente, insieme alla sua missione, il disegno
strategico adottato e quindi “il perché” delle linee politiche e delle scelte d’intervento. La missione così precisata
rappresenta il riferimento principale in base al quale valutare l’attività svolta e verificare se i comportamenti
operativi gestionali siano stati coerenti con gli obiettivi strategici fissati.
Nella seconda parte – la relazione sociale – vengono esposti sinteticamente i risultati ottenuti in relazione agli
impegni e ai programmi e agli effetti sui singoli stakeholder.
Al fine di semplificare la descrizione analitica dei criteri e delle modalità di scelta, nell’analizzare la dimensione
sociale della Camera si è deciso di impiegare un approccio per policy. Per ogni area di intervento si è proceduto
alla definizione delle finalità strategiche secondo gli obiettivi contenuti nella relazione programmatica
pluriennale. Quindi sulla base delle fonti informative disponibili (dati di consultivo, documenti sulle attività degli
uffici, ecc.) si è proceduto a “mappare” la gamma delle iniziative attivate in rapporto a ciascun obiettivo e di
individuare, per ognuno di esse, i relativi stakeholder. In tal modo si rende esplicito come effettivamente si sono
tradotti gli impieghi economici nei progetti e servizi istituzionali dell’ente, raggiungendo lo scopo di comunicare
con trasparenza e chiarezza di linguaggio le scelte e gli interventi posti in essere dall’amministrazione.
Alla relazione sulle attività svolte rispetto ad ogni area di intervento è affiancata l’identificazione della specifica
tipologia di stakeholder, individuato nell’interlocutore/utente sia diretto sia indiretto della specifica attività.
L’identificazione della specifica tipologia di uten-te è avvenuta secondo un tentativo di “categorizzazione” che
intende costituire la premessa non solo per una più puntuale rendicontazione sociale, ma anche per una più
efficace interazione tra l’ente e gli stakeholder.
Nella
terza
parte
–
“il
conto
economico
a
valore
aggiunto”
–
viene
mostrato il quantum, cioè l’effetto economicamente esprimibile che l’attività dell’ente ha prodotto sulle principali
categorie di stakeholder. Per una più significativa espressione delle risorse economiche assegnate ad ogni area di
intervento, si è adottata una modalità di classificazione di conto economico a valore aggiunto nella quale si
rappresentano “per destinazione” le risorse dedicate ad ogni area di intervento. Pertanto, i costi per il personale,
per contributi erogati, per servizi di terzi e gli altri costi sono ripartiti a seconda dell’area di intervento,
rappresentando tuttavia anche il totale di ogni tipologia di costo, in particolare quando, come è per il costo del
personale, esso è segnaletico dell’apporto di “valore” per altra categoria di stakeholder. Tale esemplificazione
organizzativa consente una migliore visibilità delle entrate e degli impieghi dell’ente pubblico, ma anche e
soprattutto una migliore comprensione degli aggregati di spesa finalizzati ai singoli programmi che altrimenti
risulterebbero eccessivamente frantumati in dettagli contabili analitici facendone perdere di vista l’unitarietà del
risultato.
In conclusione – al di là dei limiti che il documento presenta, in gran parte collegati inevitabilmente al fatto di
essere il “numero zero”, in parte alla difficoltà di applicare per la prima volta all’organizzazione camerale una
metodologia così complessa e innovativa – la realizzazione del B.S.A. costituisce sicuramente, a nostro parere, un
altro tassello importante nella costruzione dell’istituzione al servizio delle imprese e del mercato che la Camera
deve diventare.
Un’istituzione in cui tutto avvenga all’insegna della massima trasparenza. Un’istituzione in cui ciascuno possa
entrare, chiedere, conoscere, imparare, criticare, ottenere revisioni necessarie perché il rapporto tra chi dà e chi
riceve, tra chi serve e chi è servito, sia sempre un rapporto di reciproca soddisfazione. Un’istituzione in cui si
“amministra” con efficienza, efficacia e con la consapevolezza di servire sempre, insieme alle esigenze del
singolo imprenditore, consumatore, cittadino, le aspettative di una migliore qualità della vita di una collettività,
che è poi la nostra, di tutti.
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