Voci di corridoio - Liceo Scientifico Fulcieri Paulucci di Calboli
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Voci di corridoio - Liceo Scientifico Fulcieri Paulucci di Calboli
Liceo Scientifico Fulceri Paulucci de Calboli Voci di corridoio "Attualità" Pagine 1 - 6 "Scienza" Pagine 6 - 7 Pagina 8 Immigrazione Immigrazione Virus "Cinema" Pagine 9 - 10 District 9 "Inglese" Pagina 11 tema del mese: IMMIGRAZIONE Frankenstein "Musica" Pagina 12 - 13 Etnomusicologia "Tecnologia" Pagina 14 - 16 Etica del lavoro "Per l'orientamento..." Pagina 17 Foto di copertina: Lorenzo Briganti 2^D Almamater "Dall'estero" Pagina 18 - 19 ..Dalla Norvegia "Racconto a puntate" Pagina 20 1 Liceo Scientifico Fulcieri Paulucci de Calboli – Forlì Giornalino scolastico 2014 1^ edizione IMMIGRAZIONE: NUMERI E RIFLESSIONI Questo vertiginoso aumento di flussi migratori verso l’Europa ha creato tanti problemi per i migranti stessi, spesso vittime di organizzazioni criminali che sfruttano le loro disperazioni (vedi l’odissea dei viaggi delle “carrette del mare”) ma anche spesso, nelle zone di frontiera e nei centri di accoglienza, vittime di condizioni quasi disumane e del mancato rispetto dei diritti umani. Ne sono testimonianza i tragici episodi accaduti a Lampedusa, ma anche altre difficili realtà fuori dall’Italia, come ad esempio le enclavi spagnole in territorio marocchino; nel documentario "No. 9 ‐ Stop violence at the borders” di Sara Creta si denunciano le violenze subite A riprova di ciò le statistiche Istat ci dicono che la dagli immigrati che cercano di attraversare la frontiera popolazione straniera residente in Italia, da Gennaio 2002 a ispano‐marocchina e le condizioni in cui sono costretti a Gennaio 2013, è aumentata da 1,3 milioni a 4,4 milioni. Al vivere, confinati nella foresta (il documentario è visibile 1° gennaio 2013, in base ai dati forniti dal Ministero interamente su YouTube). dell'Interno, sono regolarmente presenti in Italia 3.764.236 cittadini non comunitari; tra il 2012 e il 2013 il Ci auguriamo tutti che per affrontare al meglio le numero di cittadini non comunitari regolarmente problematiche dell’immigrazione, la politica soprattutto a soggiornanti è aumentato di circa 127 mila unità. livello comunitario, sia in grado di conciliare gli interessi economici con la solidarietà e il rispetto della vita umana. Il fenomeno della globalizzazione ha fatto sì che le economie dei vari paesi del mondo siano diventate interdipendenti tra loro in modo irreversibile e dai paesi più poveri masse di popolazione, dalle condizioni disperate, hanno cominciato a riversarsi verso i paesi ad economia più sviluppata. L’Italia è una di questi e si trova geograficamente esposta all’arrivo di questi emigranti. Le sue coste sono vicine all’Africa e ai Paesi della penisola balcanica, zone in cui sia le condizioni economiche sia l’instabilità politica e sia diversi conflitti bellici hanno spinto milioni di persone ad emigrare. Giacomo maestri 5^C ATTENZIONEALLESSICO! Extracomunitario:personache provienedaunpaesenon appartenenteall’UE Straniero:personadidiversa cittadinanza Immigrato:chisiètrasferitoinun paesediversodaquellodiorigine Clandestino:immigratosenza permessodisoggiorno 1 GLISTRANIERIDELNOSTROLICEO UN PO’ DI DATI GENERALI… Dai dati raccolti a livello nazionale dal servizio statistico per l’anno scolastico 2012‐2013 (disponibili al seguente indirizzo http://www.istruzione.it/allegati/Notiziario_Stranieri_12 _13.pdf) si rileva che tra gli alunni dei licei scientifici, gli stranieri nati in Italia costituiscono solo lo 0,52%, mentre il 2,54% è rappresentato da stranieri nati all’estero. In totale, quindi, il 96,94% è italiano e il restante 3,06% è straniero. …AL FULCIERI Forlì Emilia Romagna Italia Liceo Scientifico Forlì biennio triennio ALUNNI CON CITTADINANZA NON ITALIANA SECONDARIA DI I SECONDARIA DI II TOTALE PRIMARIA GRADO GRADO 13,4% 14,6% 14,4% 13,5% 15,0% 16,2% 15,9% 12,6% 8,8% 9,8% 9,6% 6,6% 4,75% 6,64% 3,39% Confrontando i dati, relativi all’anno scolastico 2012‐2013, emerge una differenza tra i dati regionali e quelli forlivesi. In particolare, per quanto riguarda la scuola secondaria di II grado, a Forlì la percentuale di alunni con cittadinanza non italiana è di poco maggiore. Inoltre la percentuale di alunni stranieri nella secondaria di II grado a Forlì è più del doppio rispetto alla media nazionale. Si uniformano meglio i dati relativi al solo liceo scientifico Fulcieri Paulucci: sebbene, infatti, la percentuale generale di alunni stranieri risulti minore rispetto a quella nazionale, la media relativa ai soli alunni del biennio, coincide perfettamente con i dati italiani. Lucrezia Carboni 2 UN PO’ DI DATI GENERALI… GLISTRANIERIDELNOSTROLICEO IL RACCONTO DI SEBASTIAN Migliori possibilità I l motivo principale, il fulcro della mia scelta di cambiare paese (scelta fino a un certo punto, visto che ero abbastanza piccolo e il mondo lo vedevo con occhi diversi da come lo vedo adesso) è stata l'idea, inculcata‐ mi, delle migliori possibilità. Io, quando ero in Romania, con l'immaginazione di un bambino, fantasticavo sulla ricchezza e sul‐ la bellezza dell'Italia... Un paese lontano, ma non troppo. un pae‐ se vicino al mare ‐e il mare era, certo, qualcosa di fantastico per me‐. Ne sentivo parlare anche a scuola, assieme alla Spagna e al‐ la Francia. Avevo compagni delle elementari che andavano in que‐ sti paesi e non tornavano più, ma ne sentivo notizie. Tutti si trovavano molto bene. In più, visto che mia madre era venuta in Italia circa cinque anni prima, per necessità e, in un primo momento, per amore del paese, io ricevevo puntualmente, ogni sei mesi circa, un bel pacco (o più pacchi) pieno zeppo di dolci. In più, c'era qualcosa di partico‐ lare che legava la mia immagina‐ zione all'Italia. La mia città di origine è Iași, una città nel nordest della Romania e sua capitale nel periodo 1916‐ 1918. Questa città, proprio come Roma, sorge su sette colli. Certo quest'affinità non poteva che stimolare ulteriormente la mia immaginazione. Viceversa, mia madre, "innamo‐ rata" com'era dell'Italia, della sua arte e della sua storia, della sua lingua, ma soprattutto in ne‐ cessità urgente di soldi per sal‐ dare i debiti con le innumerevoli banche che gravavano su di noi e che minacciavano di toglierci la casa, una volta ricevuto l'invito per lavorare in Italia, accettò su‐ bito. Imparò l'italiano prestissi‐ mo... non in Italia, bensì in Ro‐ mania... e in soli quattro mesi (pensa un po' cosa può fare la motivazione), tanto che arrivò in Italia senza il minimo problema di lingua. Tornando, ecco, al discorso delle migliori possibilità.. Mia madre era convintissima che l'Italia ne avesse ben tante da offrire: una scuola migliore, di certo un lavoro migliore e una paga migliore, e per certi aspetti era vero. Lo è, tuttora. Per altri no, specialmente da quando mia madre si è ammalata. Ammalata com'era, stranamente tutto quel lavoro sparì, tutte quelle possibilità si dileguarono, ma in‐ tanto io mi stavo già preparando per venire in Italia. Insomma, si può dire che io sia venuto in Italia per studiare, ed è essenzialmente vero. Certo ma‐ gari non ero consapevole di tale scelta, essendo ancora un bam‐ bino e di certo non molto affine allo studio (pensa che stavo per essere bocciato alle elementari in Romania). Sicuramente dal mio punto di vista di allora, l'idea un po' tetra della scuola era ce‐ lata dalle illusioni delle ulteriori bellezze e meraviglie che avrei dovuto trovare in Italia, soprat‐ tutto dall'illusione della felicità che a casa mia già da un po' era venuta a mancare. E ben presto, messo piede in Italia, mi resi conto che era tutto comunque un'illusione, del tutto simile for‐ se a quella degli immigrati italia‐ ni dell'Ottocento nelle Americhe. La disillusione: La speranza rac‐ chiude il tremendo pericolo del‐ la disillusione. (Gustaw HerlingGrudziński, Un mondo a parte ) Ed è proprio vero, e sarebbe strano se non lo fosse, visto che l'illusione dei bambini non corri‐ sponde quasi mai alla realtà. Comunque, confesso, che pen‐ savo, in realtà, che mia madre fosse in qualche modo addirittu‐ ra benestante. Nulla di più lontano dal vero! Scoprii ben presto che forse si stava meglio in Romania, e mi si spezzò letteralmente il cuore vedendo mio fratello, che mi aveva accompagnato, riparti‐ re per tornare in patria. Mio fra‐ tello è sempre stato un po' reali‐ sta, anche un po' freddo in ciò. Non si era certo fatto delle illu‐ sioni sull'Italia, lui, e di certo non avrebbe mai voluto lasciare la Romania per l'Italia (per un altro paese forse sì). Infatti ora è feli‐ cemente sposato e, pensa un po', per Natale mi ha regalato la connessione internet, visto che non ce l'avevo (pensa un po’, adesso è lui che ci “mantiene”). In qualità di cittadino europeo, in qualità di essere umano, ri‐ tengo di avere il diritto di usu‐ fruire dei servizi che voi, l'Italia, ci offrite. Se vi diamo fastidio, perché ci avete accolti? Io sono venuto in Italia per studiare, non 3 UN PO’ DI DATI GENERALI… GLISTRANIERIDELNOSTROLICEO per fare baldorie, e mia madre è venuta qui per lavorare e per ga‐ rantire a me e a mio fratello la sussistenza, un futuro, e poi si è ammalata, qui, in Italia, è stata curata, qui, in Italia, ed è stata maltratta qui... in Italia; non puoi dirmi niente perché se siamo stati accolti in Italia, non da clandestini, significa che c'è stato un consenso, un voto, e anche se tu non hai votato, l'Italiano sì... Poi, siccome mi è stato chiesto, ritengo anche di avere il diritto di esprimere la mia opinione li‐ beramente, e ritengo soprattut‐ to di avere il diritto di lamentar‐ mi, e... francamente... devo dire che l'Italia, forse per altri no, ma per me è stata in gran parte una disillusione. Non ho sentito ac‐ coglienza né atteggiamento co‐ struttivo dagli italiani, così rino‐ mati per la loro accoglienza e ospitalità. “Non fare di tutta l’erba un fascio” dicono… ma io non mi riferisco a casi particolari, io se parlo al generale lo faccio perché è proprio l’atteggiamento generale ostile di molti che mi ha colpito. Soprattutto non penso assolutamente che sia giusto che mia madre debba sempre sentir‐ si dire la solita crudele domanda ogni volta che accenna alla no‐ stra situazione negativa: “Ma perché non te ne torni a casa tua?”; lei che è venuta qui in Ita‐ lia piena di speranze, lei che sa‐ peva già l’italiano, imparato dai libri in Romania con tanto di mo‐ tivazione e amore; lei che era così innamorata dell’Italia, della sua arte, della sua storia e, pen‐ sava, dell’ospitalità della gente. Sì, lei che è venuta a lavorare, non a creare danno. Non mi sembra giusto. C’è però un lato positivo a tutto ciò: se è vero che l’Italia è stata in gran parte una disillusione, è vero anche che qui, in questo li‐ ceo, sono stato accolto con quell’ospitalità che dappertutto è sembrata mancare. Anzi, sono stato anche aiutato economica‐ mente, per i libri, per i corsi, per le gite e molto altro… cose per cui non potrei mai ringraziare abbastanza. I tuoi genitori hanno ottenuto la cittadinanza? No, però abbiamo ottenuto un permesso di soggiorno permanente. Parli ancora il rumeno e segui ancora le tradizioni del tuo pae‐ se d’origine? Io parlo ancora la mia lingua, anche se piano piano la sto dimenticando, o meglio la sto "italianizzando". Ciò che vo‐ glio dire è che io e mia madre parliamo una lingua mezzo ita‐ liana mezzo rumena in casa, tendiamo però più verso il ru‐ meno. Vero è però che quando non ci ricordiamo bene una pa‐ rola in rumeno, la diciamo in ita‐ liano, e a volte coniughiamo ver‐ bi rumeni secondo le regole ita‐ liane e viceversa, anche senza accorgerci. Comunque, fa strano tentare di parlare in italiano in casa, motivo per cui prediligiamo il rumeno. Io anzi per non di‐ menticarmi la lingua, ho chiesto a mio fratello di mandarmi dei libri della letteratura del mio Paese, e lo ha fatto. Ora rimane leggerli. Per quanto riguarda la cultura e la tradizione... devo di‐ re che, in realtà, non l'ho mai se‐ guita veramente neanche in Ro‐ mania. Il cibo rumeno però lo mangiamo ancora, perché è buono! Hai ancora parenti in Romania? Torni a trovarli? In realtà sì. C'è mio fratello, poi la famiglia del padre di mio fratello (abbiamo padri diversi) che è... come di‐ re... una famiglia acquisita per me. Non sono più tornato in Romania... mio fratello e sua moglie invece ci fanno a volte visita. Come sei stato accolto in Italia? Ricordo gli sguardi un po' cattivi dei miei ex compagni delle me‐ die... di alcuni di loro, che penso ripetessero a me ciò che senti‐ vano in casa. Comunque un cli‐ ma non certo gradevole. Mi ri‐ cordo ad esempio che una volta avevo fatto cadere per sbaglio un mio compagno di classe e, per risposta, ho ricevuto un con‐ trattacco da parte di una mia compagna delle medie –acida, acida‐ che mi ha detto: "Non so se in Romania si fa così, ma qui sei in Italia e in Italia non si fa questo", o qualcosa di simile. Frequenti persone provenienti dal tuo stesso paese? No, in realtà di romeni ne ho visti ben pochi, e ci ho parlato ancora meno... Ho comunque dei vicini di casa, con una figlia di nove anni. La madre è romena, il pa‐ dre siciliano, e lei si impegna ad imparare il rumeno da sua madre e, quando mi vede, da me. Beh... almeno sa tutti i colori e un po' anche i numeri... Sebastian. Un alunno del biennio 4 LA PAROLA A LORO Abbiamo chiesto ad alcuni nostri compagni stranieri del liceo di raccontare la loro esperienza, dal perché si sono traferiti in Italia, al conseguente cambiamento di abitudini. Paese d’origine: Il mio paese d'origine è la Romania. Il trasferimento in Italia: Sono venuto in Italia nel 2005, dopo che i miei hanno trovato lavoro qui. Non hanno ancora la cittadinanza italiana. Continuo a parlare il rumeno, ma per quanto riguarda le tradizioni del mio paese, non ne so molto. Fortunatamente, sono stato accolto molto bene qui in Italia e non sono mai stato vittima di razzismo o discriminazione (so che purtroppo non succede sempre così). Io mi sono sempre trovato bene con i miei compagni di classe. Giudizio sugli italiani: Per quanto riguarda i pregiudizi che circolano sugli stranieri devo dire che, purtroppo, un fondo di verità c'è (non siamo tutti angeli), però finché non conosci personalmente qualcuno proveniente da un altro paese non puoi dire se rispetta o meno i tipici "canoni" dell'extracomunitario: ignoranza, maleducazione,... Penso che chiunque si sia dovuto trasferire all'estero abbia fatto un grande sacrificio e tornerebbe volentieri a vivere in patria se le condizioni del paese d'origine lo permettessero. Io, personalmente, non potrei più tornare a vivere in Romania per la mentalità che c'è lì: l'Italia è al momento un paese più civile. Claudiu Gacea, classe 3^E Paese d’origine: Sono nata in Albania. Contatti con il paese d’origine: Quasi tutti i miei parenti sono in Romania, tranne alcuni zii. Quindi per le vacanze, più o meno una volta all'anno, torno nel mio paese. Essendo la comunità rumena abbastanza numerosa qui a Forlì, frequento altre persone provenienti dal mio stesso paese. Il trasferimento in Italia: Sono venuta in Italia perché mio padre si è trasferito qui per trovare un lavoro migliore e quindi delle condizioni di vita migliori, che l'Albania non offre. I miei genitori non sono cittadini italiani, ma si sono mossi per avere la cittadinanza perché siamo in Italia da più di 15 anni. Parlo ancora l'albanese e seguo molte tradizioni anche se alcune le ho perse. Una cosa che mi aveva inizialmente colpito, quando sono arrivato per la prima volta, è stato sentire la gente parlare molte lingue anche in una città piccola come Forlì (in Romania è piuttosto difficile incontrare stranieri). Contatti con il paese d’origine: Nel mio paese ormai non c'è quasi nessuno, ma andiamo comunque ogni estate a visitarlo. Non frequento persone della mia origine, al di fuori dei parenti, perché non ne ho avuto l'opportunità e, frequentando altri stranieri, gli amici connazionali ne hanno approfittato per escludermi da amici di altra origine. Molti sono possessivi e si circondano di persone della stessa origine, mostrandosi molto più chiusi di certi italiani. Giudizio sugli italiani: In Italia non ho mai avuto problemi di razzismo pesanti, ma resta il fatto che alcune persone hanno una mentalità molto chiusa e spesso non si comportano in modo opportuno. Penso che tutti dovrebbero aprirsi a nuove culture per avere un bagaglio ricco! Non si deve essere bloccati a fare nuove conoscenze e non bisogna fare di tutta l'erba un fascio: ci sono molti che credono che, se un albanese ruba, tutti gli albanesi rubino, o anche, che, se un italiano è razzista, tutti gli italiani lo siano. Bisognerebbe conoscere le persone e non prendere tutto per sentito dire. Penso che ci debba essere un’apertura da parte di entrambe le culture. Resiana Syziu, classe 3^D ATTENZIONEALLESSICO! Extracomunitario:personache provienedaunpaesenon appartenenteall’UE Straniero:personadidiversa cittadinanza Immigrato:chisiètrasferitoin unpaesediversodaquellodi origine Clandestino:immigratosenza 5 Paese di origine: Germania Il trasferimento in Italia: Ai miei genitori piaceva il territorio italiano, la cultura italiana, il clima italiano e forse anche la mentalità dell'Italia, così hanno deciso di trasferirsi qui. Visto che ero piccola è partito prima mio padre e, dopo che aveva trovato lavoro e un appartamento, lo abbiamo seguito io e mia madre. Per scelta abbiamo tutti e tre la cittadinanza tedesca. In casa parlo sempre tedesco. Non seguiamo tradizioni tedesche particolari, ma, per quanto riguarda il cibo, ci siamo piuttosto italianizzati. Per le altre cose non ci sono differenze particolarmente rilevanti. Contatti con il paese d’origine: Tutti i miei parenti (nonni, zii, cugini) vivono in Germania, io vado a trovarli tutte le estati, generalmente passo 2 mesi all'anno a casa dei nonni. Frequento persone provenienti dal mio paese, ma non per il fatto che sono tedesche. Infatti, di solito, quando siamo insieme, parliamo italiano. Non credo che preferirei un amico a un altro per la nazionalità. Giudizio sugli italiani: Non mi sono mai sentita discriminata per il fatto di essere tedesca, anche perché sono qui da 15 anni, quindi sono cresciuta con la lingua e la cultura italiane. IMMIGRAZIONE E NUOVE MALATTIE Nel corso della storia ogni fenomeno migratorio è stato seguito dal diffondersi di un nuovo virus in individui privi delle dovute difese immunitarie. L’esempio più famoso è senz’altro la scoperta dall’America, durante la quale i “conquistatori” diffusero negli indigeni le epidemie del vaiolo e del morbillo, causando numerosissime perdite. I virus sconosciuti, infatti, sono quelli che provocano più danni nell’organismo che, una volta infettato, reagisce con violenza attraverso una risposta immunitaria eccessiva, causando fenomeni infiammatori importanti, sintomi gravi e conseguenze spesso fatali. Rientrando poi, in Europa gli esploratori portarono con loro la sifilide. PER SAPERNE DI PIU’ A PAG. 8 VIRUS: organismo composto da un capside, un involucro di proteine, che contiene il genoma (DNA o RNA), l’informazione ereditaria. Per riprodursi necessita di una cellula ospite. Qualche secolo dopo, gli schiavi negri furono portati dall’Africa nelle Americhe, accompagnati dal virus responsabile della febbre gialla. Un ultimo esempio di virus diffusosi a causa dei viaggi migratori, ma anche di turismo e affari, è quello responsabile dell’AIDS che, dai primi focolai nelle grandi città statunitensi, si è poi diffuso nel resto del mondo. A differenza del passato, oggi abbiamo le conoscenze, le misure di sorveglianza e le tecnologie necessarie per far fronte al problema di una nuova epidemia; ma soprattutto, i viaggi internazionali per turismo o per lavoro, hanno abbattuto le barriere di spazio e di tempo che una volta potevano segregare o contenere agenti microbici. Milena Feilbach, classe 4^L Lucrezia Carboni 6 SCIENZIATI ITALIANI EMIGRATI Se da una parte l’Italia è meta di cittadini di paesi più poveri per chi cerca lavoro, dall’altra è punto di partenza di numerosissimi scienziati che sono costretti a lasciare il loro paese per portare avanti le loro ricerche. Tra questi i premi Nobel italiani per la fisica: Enrico FERMI (1901‐1954), nato a Roma, si dedicò alle ricerche nucleari, costruì la prima pila a uranio. Fu costretto a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti, non soltanto per la minaccia delle leggi razziali (la moglie di Fermi aveva origini ebree), ma anche perché in Italia non c’erano più le condizioni per continuare a fare ricerca in fisica nucleare ai massimi livelli: a causa dell'impegno italiano nella guerra di Etiopia, infatti, i finanziamenti alla ricerca subirono un drastico ridimensionamento. Emilio SEGRE’ (1905‐1938) fisico italiano, collaboratore di Fermi, scoprì l’esistenza dell’antiprotone per cui ottenne il premio Nobel. A causa delle sue origini ebree fu costretto, con l’emanazione delle leggi razziali, ad abbandonare l’Italia per gli Stati Uniti. Carlo RUBBIA (1934), nato a Gorizia, studiò al liceo di Udine e si laureò alla Normale di Pisa in Fisica. Nel 1960 lasciò l’Italia per intraprendere la carriera di ricercatore al CERN di Ginevra. Successivamente è rientrato in Italia e recentemente è stato nominato senatore a vita. Riccardo GIACCONI (1931), nato a Genova, ha studiato a Milano dove, su consiglio di un suo compagno di studi, prese la decisione di traferirsi negli Stati Uniti, dove nel 2002 è stato insignito del premio Nobel per la scoperta delle prime sorgenti cosmiche in raggi X. Attualmente è primo ricercatore del Chandra X‐ray Observatory della NASA. IRAGAZZIDIVIA PANISPERNA Enrico Fermi ottenne la cattedra di Fisica Teorica nel 1926 al Regio istituto di fisica dell'Università di Roma, che aveva sede in via Panisperna. Creò un laboratorio di ricerca, grazie alla collaborazione di alcuni giovani scienziati. Inizialmente i fisici Amaldi, Rasetti e Segré, ai quali si aggiunsero Pontecorvo, il matematico Majorana e, unico chimico del gruppo, D’agostino. Quest’ultimo per collaborare con Fermi, aveva lasciato il ruolo di ricercatore all’istituto parigino, dove, proprio in quegli anni i coniugi Curie studiavano il decadimento radioattivo. Grazie agli studi del gruppo, Fermi scoprì i neuroni lenti, conquistando il Nobel. Con l’emanazione delle leggi razziali, Segré, Rasetti e Fermi abbandonarono l’Italia per gli Stati Uniti. Pontecorvo si trasferì, invece, nell’Unione Sovietica. D’agostino e Amaldi rimasero in Italia. A quest’ultimo si deve la ricostruzione della scuola di fisica italiana. Avvolta nel mistero è invece la scomparsa di Ettore Majorana che si era particolarmente distinto nel gruppo in ambito teorico. Lucrezia Carboni 7 RECENSIONE DEL LIBRO <<OCCHIO AI VIRUS>> DI GIOVANNI MAGA L’evoluzione dei virus è, quindi, strettamente legata a quella delle cellule che infetta, tanto che si parla di coevoluzione. I virus, parassiti intracellulari obbligati, sembrano perseguitarci. Ogni anno se ne parla per pubblicizzare i vaccini contro l’influenza o per raccontare di epidemie che hanno un tasso di mortalità particolarmente alto. Già il nome, che in latino significa veleno, dovrebbe spaventarci e giustamente. Nelle cellule infatti sono presenti alcune proteine altamente specifiche alle quali si legano determinate molecola. I virus sono in grado di assumere le fattezze delle molecole a cui i ricettori cellulari si legano naturalmente. Il fatto che il legame sia altamente specifico, limita la capacità infettiva di un virus ad un numero molto ristretto di cellule. Il primo microbiologo ad usare la parola virus, l’ha usata per descrivere l’agente patogeno responsabile della malattia del mosaico del tabacco. Fin dagli inizi perciò i virus sono stati considerati dannosi per gli altri organismi. Nella difesa dai virus diventa fondamentale l’uso di moderne tecnologie. Per quelli però più ostinati che causano ancora tantissimi morti, come il virus dell’HIV, occorre una tecnologia più avanzata per costruire i farmaci: è ora possibile, infatti, determinare la struttura atomica delle proteine virali e cercare piccole molecole che possano aggregarsi ad esse, bloccandone il meccanismo di riproduzione. I farmaci oggi utilizzati contro patologie come l’AIDS sono stati realizzati in questo modo e hanno portato a un aumento del 70% della speranza di vita di chi ne soffre. Dai primi studi effettuati risulta, infatti, che per riprodursi necessitano di una cellula ospite di cui cambiano le funzionalità e fanno sì che, anziché riprodurre il genoma della cellula, vengano creati nuovi virioni con il materiale genetico del virus. Per il fatto che i virus non possano riprodursi senza una cellula, è in corso ancora oggi un dibattito sulla natura dei virus. Alcuni scienziati li considerano organismi vivi, in quanto capaci di organizzarsi a partire dall’informazione custodita nel proprio genoma, generarne copie e produrre nuovi esemplari di sé. La maggior parte dei biologi però, considerando che, al difuori della cellula, ogni virus perde la propria individualità e si presenta come un involucro di proteine contenente acido nucleico, non ritiene i virus esseri viventi. Occorre infine una presa di coscienza dell’uomo che non può disinteressarsi ai virus e deve finanziare la ricerca di nuovi farmaci e vaccini perché in un’era in cui gli spostamenti di masse di persone da un capo all’altro del mondo sono alla portata di mano, un virus di per sé innocuo fa presto a mettere in ginocchio il mondo con epidemie di grossa portata. I virus si sono sviluppati insieme alle prime cellule e hanno fin da subito instaurato un rapporto con loro, senza delle quali si sarebbero presto estinti. L’evoluzione che hanno subito i virus è strettamente legata alle cellule che infettano. Se una cellula diventa, per selezione naturale, in grado di debellare un virus, questo subirà una selezione in modo da poter continuare ad esservi ospitato. Lucrezia Carboni 8 Titolo:District9 Regista:NeillBlomkamp Nazione:USA Anno:2009 Genere:fantascienza Trama:Sudafrica,anno1982.Un'enormenavespazialealienasistaglianeicielidiJohannesburg,doverimanepersettimane, immobile,senzadaresegnidivita.Verosimilmente,l'astronavealienanonèingradodiripartire;aseguitodiciògliuomini delgovernosudafricano,snervatidall'attesa,incaricanounasquadrad'esplorazionediandareadispezionareilrelittoin cerca di risposte. All'interno della nave viene rinvenuta una colonia di esseri artropoidi allo sbando, sporchi, spossati e denutritichevengonocondottiinsalvosullaterraferma.Colpassaredeltempolaconvivenzatraesseriumaniealienisifa sempre più difficile. Gli alieni, incompresi e malvisti dalla popolazione locale, vengono isolati in un campo profughi denominato"Distretto9",doverimarrannosegregatiinregimediapartheidperisuccessivivent'anni. «Sefosseroumanipotreicapirlo.Manonsonodiqui.Vengonodaunaltropianeta».Èquestalafrase pronunciatadalprotagonista,chelegaquestofilm,apparentementedigeneresolofantascientifico,alle argomentazioniattualisull’immigrazione.District9èunfilmsulrazzismo,sullosterminiodimassa,con aspetti di fantascienza come gli alieni. Il regista sceglie come sfondo della vicenda la città di JohannesburgcapitaledelSudafrica,cheèstatoperoltrequarant’annigovernatodalleleggirazziali.Il Distretto 9, dove nel film vengono isolati gli alieni, riprende il Distretto 6, instituito nella capitale duranteilregimedell’Apartheidnel1867,pertuttelepersonedicolorechedovevanoesseretenutea distanzadallealtre. 9 Inquestotravolgentefilmilregistaintroducelafiguradell’alienochevienetrattatodagliesseriumani come un vero e proprio extracomunitario, imprigionato in un centro profughi, e chiamato in modo dispregiativo‘gamberone’.Risulta,infatti,evidenteilrimandoalmondoreale,quelloincuiviviamonoi “umani”,conimovimentiperidirittiumanichiamatiasorvegliarelasituazionevissutadaglialieni(nel filmprendeilnomediMNU),maltrattatidalleforzedell’ordine,picchiatieduccisisenzamotivo,senon addiritturagiustiziatiasanguefreddo.Ciòcheemergeparticolarmentedalfilmècheperunavoltanon sonoglialieniadattaccarcieadintimorirci,masiamonoi.Siamonoiicattividellasituazione,prontiad ammazzarcil’unl’altro,purdiarrivareatoccareconmanoarmimaivisteprima,capacidifarecose impensabili.Siamonoiadaverepauradeldiverso,avolercenedisfare,avolerlorinchiudere,indeiveri epropricampidiconcentramento.Questoaspettoinscenatonelfilmriproduceapienolasituazione odierna:gliimmigratichesbarcanosullecostedell’Italiamoltevoltenonsonobenaccettidanoiitaliani che vediamo in loro ‘il diverso’. Vogliamo anche noi segregare gli immigrati in un Distretto 9 o riusciremo a trovare forme di integrazione e di rispetto per la dignità umana? Questo film risulta fantascientificooattualeinunpaesecherespingeibarconipienidiextracomunitaririmandandolisenza tanticomplimentidadovesonovenuti?Sitrattasolodifantascienzaodiunatristerealtà? IlariaLimarzi,3B 10 A s you may have noticed this article will be in English. Why? Because it’s beautiful language, because we rarely get the opportunity to read things in English outside school context and basically because, well, why not? But in this particular situation I have one more reason for writing in English, a reason that you will understand soon. Some weeks ago, as you probably already know, many of us students went to see a movie at the cinema, in English. Actually it wasn’t a movie as the ones we are used to, it was the screening of a theatre play. As I said, many of you have already seen it and I don’t want to be boring and just repeat well known things, so hopefully I’ll tell you some new ones. The play we went to see was called “Frankenstein”, obviously one of the many adaptations of the famous book by Mary Shelley. A book that is considered to be one of the earliest examples of science fiction, if not the first one. A book written by a woman in 1818, which is even more remarkable. The Frankenstein we’ve seen is an adaptation directed by Oscar winning director Danny Boyle, who also directed the 2012 Summer Olympic Games’ impressive opening ceremony. The play has been performed at London’s National Theatre in a quite peculiar way: two were the main actors on stage, Benedict Cumberbatch and Jonny Lee Miller, one of them played the creature, the other was the Doctor, every night they switched roles, so actually there are two versions of the same play, one with Cumberbatch as the creature and Miller as the Doctor, the other with Cumberbatch as the Doctor and Miller as the creature. We saw the first version. The story is the well known one. The genius, Doctor Frankenstein, and his scientific breakthrough. He manages to bring a creature, a man, into existence . He manages to fully build him and give him the spark of life, but some unexpected consequences turn up, and he’s faced with something he couldn’t foresee. The “creature” is not merely a thing, a successful scientific experiment, but a person, clever, capable of thought and learning. So Frankenstein is scared and leaves him to die, he abandons his creature and makes him face the difficulties of life on his own, and life for this creature is not exactly easy. He looks different, he looks ugly, but he also feels different, he doesn’t know who he is or why he was born, he doesn’t understand why he’s alive. People can’t bear to look at him, the only kind words he gets come from a blind old man, but even this relationship doesn’t end well, and the creature finally turns to his master asking for help. But will he get it? What’s really extraordinary about this version of Frankenstein isn’t the story itself, it’s the point of view. We rarely get to see Mary Shelley’s story from the point of view of the creature. Often he’s just the source of Victor Frankenstein’s problems, a bad and ugly thing that shouldn’t be living, whose only purpose is harming his creator. But we may all agree that this creature is definitely the protagonist of this play, the very first thing we see is his birth, and his creator is there but then we forget about him, we follow the creature during his first days and months, discovering new things and getting excited about the world but also getting beaten by people who despise him. In my opinion this is probably the most brilliant part of the play, and the acting is superb. We could truly sympathize with him. We understand his doubts, his yearning for companionship, his longing for love, his fear of people and finally his rage, the boiling rage that completely changes him. If we are able to fully understand the characters, the director isn’t the only one we should thank. Benedict Cumberbatch and Jonny Lee Miller are two of the most talented actors that could be chosen for the roles. Cumberbatch’s portrayal of the creature is stunning, and you wouldn’t believe the work that has been done to bring it to life, studying disabled people and small children’s movements and behaviour. Miller’s Doctor is brilliant, he makes us feel his pain and doubts in a very personal way. And you may trust me, the other version of the play, with switched roles, is as amazing as the one we’ve seen. It’s really impossible to suggest one or the other, they’re equally fantastic and if you haven’t seen any of them, I hope this article made you a little bit curious. Giada Rossi, classe 4^E 11 Nella lunga lista delle scienze ''sconosciute'' trova posto anche l'Etnomusicologia, ovvero lo studio scientifico e sociale della musica popolare e, in particolare, delle culture extraeuropee. Ma in realtà il suo ambito di studio è ben più ampio e abbraccia tutti quei fattori del mondo musicale prevalentemente legati alla tradizione orale, tanto che nacque col nome di musicologia comparata. Sulla fine dell' '800 iniziò a nascere, prima in ambito umanistico, in particolare etnologico, e in seguito anche in ambito musicale, un interesse per quella tradizione musicale fino ad allora ignorata. In questo contesto nascono quei compositori, come Béla Bartók e Zoltán Kodály tra i tanti, il cui interesse per la musica popolare li porterà a diventare, oltre che utilizzatori di questo patrimonio culturale, anche importanti studiosi. Kodály, ad esempio, nel 1905 partì alla scoperta dei canti dei villaggi più remoti dell'Ungheria, sua patria, che poi raccolse nel Corpus musicae popularis hungaricae. Da queste melodie trasse inoltre il materiale che rielaborò in circa un migliaio di composizioni corali che tutt'oggi rimangono un patrimonio fondamentale per l'istruzione musicale in Ungheria. Al di là dell'interesse scientifico ed etnografico, la musica popolare era già da tempo fonte di interesse per i musicisti. Il secondo '700 fu infatti l'epoca delle cosiddette Turcherie. In un epoca in cui l'impero Ottomano rappresenta ancora un importante tassello del quadro politico internazionale, gli artisti in genere ne utilizzano l'immagine per la creazione di effetti esotici. La differenza però è che i compositori dell'epoca non erano realmente interessati alla vera musica turca, che al contrario veniva definita ''offensiva per le orecchie'' dallo stesso Mozart (Breskin, "On the Periphery of a Greater World." pp. 100), che pur ne faceva uso. I metodi di studio. Il passaggio da musicologia comparata a etnomusicologia avviene negli anni '40, quando si ha una svolta nel metodo di indagine scientifica: mentre prima era scontato che il materiale fosse elaborato sul posto ma in seguito studiato da terzi, in questo periodo gli studiosi cominciano a capire la necessità della contestualizzazione delle varie forme musicali e quindi cominciano anche a sentire la necessità di vivere in prima persona l'esperienza delle esecuzioni. Così si afferma quello che tutt'ora è il metodo di studio dell'etnomusicologo. Come prima cosa vi è la registrazione del prodotto. A questo fine sarà estremamente importante per lo sviluppo di questo tipo di studi il fonografo, inventato da Thomas Edison nel 1878. Dopodiché lo studioso compie un'azione di trascrizione in notazione Europea, che in ambito musicale è usata ormai in tutto il mondo (e che rimane la più adatta alla trascrizione di qualsiasi tipo di musica). Segue uno studio dal punto di vista antropologico del contesto al quale il brano è destinato. Per ultime vi sono l'analisi del testo e l'analisi melodica. La prima consiste nell'individuare le ''logiche variazioni'' (concetto di Constantin Brăiloiu, creatore della metodologia di ricerca dell'etnomusicologia), ovvero le possibili varianti che alcune parti del brano possono avere nelle varie versioni. La seconda è l'analisi del brano da un punto di vista più strettamente musicale e tecnico, nonché del rapporto tra musica e testo, nel caso di brani cantati. Musicologia ed etnomusicologia. Quello che spesso è poco ricordato, è il contributo che la musicologia ''tradizionale'' ha ricevuto dall'etnomusicologia. Lo studio della musica extraeuropea, e quindi anche di quelle civiltà più ''primitive'' ha infatti aiutato la comprensione di due grandi interrogativi: la nascita della musica e la nascita della pratica polifonica (ovvero di sovrapporre due o più melodie indipendenti). Sull'origine della musica in sé hanno dibattuto grandissime menti fin dall'origine della civiltà, tanto che già Platone e Aristotele avevano proposto delle teorie. Lo studio etnografico moderno ha chiarito un'importantissima questione: è presumibilmente impossibile che un patrimonio così vasto e vario abbia avuto un'unica origine. Inoltre la scoperta delle musiche di culture così lontane ha anche permesso di vedere che la polifonia non è una pratica nata in Europa nel Medioevo, ma ha origini ben più antiche tanto che, a quanto pare, era una pratica nota già nella Gerusalemme delle testimonianze bibliche. Un altro contributo è all'organologia, scienza che studia la costruzione, il funzionamento e l'uso degli strumenti musicali. L'attuale classificazione scientifica degli strumenti musicali, che li divide in Aerofoni, Cordofoni, Membranofoni e Idiofoni (recentemente è stata aggiunta la categoria degli Elettrofoni) nasce per mano di Erich Moritz von Hornbostel e Curt Sachs. Quest'ultimo la utilizzò per la prima volta in ambito scientifico nella sua opera Storia degli strumenti musicali, nella quale descrive, in base ai ritrovamenti archeologici e all'uso attuale, i vari strumenti musicali usati nelle varie epoche, dividendoli per regioni, così 12 da dare un fondamento etnologico ai suoi studi. La musica popolare nella musica occidentale. Uno dei fattori per cui oggi lo studio della musica popolare è fondamentale è il fatto che ormai le influenze popolari sono sempre più presenti nella musica di ogni genere. Quelli che infatti sono oggi i generi più ascoltati, Rock, Pop, Jazz, ecc..., altro non sono che sviluppi di generi popolari che oggi hanno raggiunto ogni parte del globo. L'influenza che questi generi hanno avuto nella musica colta è innegabile: grandi compositori come Fausto Romitelli, Riccardo Nova o Luca Francesconi, che rappresentano solo una piccola parte dell'orgoglio musicale italiano d'oggi, hanno sempre affermato che la loro musica nasce anche dalle influenze soprattutto delle sonorità del Rock degli anni '70. Christian Lauba, compositore francese famoso soprattutto per i Neuf études pour saxophones (Nove studi per Sassofono, che in realtà col tempo sono diventati 15), si ispira spesso al patrimonio musicale non colto, rifacendosi spesso al Jazz, con cui un confronto è inevitabile per l'uso del Sassofono, e alla musica africana, tanto che uno degli studi è intitolato Balafon, che è il nome di una percussione popolare africana. Infine la globalizzazione, anche in ambito musicale, sta dando i suoi risultati. In tutti il mondo sono ormai presenti e ben noti fior fiore di compositori che coniugano la musica di stampo occidentale con la musica del loro luogo di origine, come, per fare un esempio tra i tantissimi possibili, la compositrice e virtuosa della marimba giapponese Keiko Abe. della musica non colta ha avuto negli ultimi anni ha contribuito ad una sua crescita. Speriamo che la crescita di interesse degli specialisti nei confronti di questa materia possa tradursi in un futuro, più o meno prossimo, in un'apertura anche da parte dei non addetti ai lavori. Cesare Angeli, classe IV I. In conclusione, l'etnomusicologia è oggi una scienza pressoché sconosciuta, ma fondamentale per il panorama musicale e etnografico. Eppure, lo slancio che il panorama 13 In questo primo articolo della rubrica tecnologica vorrei trattare un argomento che probabilmente non vi sareste aspettati di trovare. Non parleremo di nuovi devices, software più o meno famosi, ma, almeno per questa volta, ci concentreremo su un fattore sociale molto importante: l’etica del lavoro, spesso trascurata dai big dell’hi‐tech. “L'unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate”, come poter smentire le parole pronunciate da Steve Jobs il 12 giugno 2005 durante la cerimonia di consegna dei diplomi all’università di Stanford? Eppure i recenti scandali sulle condizioni di lavoro in molte industrie di fama internazionale hanno acceso i fari su un fenomeno in forte crescita: lo sfruttamento dei lavoratori e le circostanze disumane in cui spesso sono tenuti ad operare. Le condizioni di lavoro rappresentano uno dei fattori che influenza maggiormente la qualità della vita di un popolo o di una nazione e, come spesso accade, anche in questo caso vi è un incredibile divario tra Nord e Sud del mondo. Nei paesi del “Nord”, cioè quelli più ricchi e civilizzati, l’etica del lavoro è al centro del dibattito politico e solitamente le leggi nazionali prevedono specifiche norme, spesso molto rigide, per la tutela dei lavoratori e dei loro diritti. Il “Sud” del mondo invece è abbandonato alla potenza dei capitali stranieri, quelle somme di denaro cioè, che i grandi marchi investono in queste aree, che, se paragonate a quelle necessarie per produrre in un paese ricco e tutelato, risultano incredibilmente irrisorie. Così, gli anni della crisi economica e del boom tecnologico hanno portato ad un sempre maggiore sfruttamento del lavoro soprattutto da parte delle grandi aziende del settore che hanno aperto nuovi stabilimenti in paesi in via di sviluppo, dove le leggi per la tutela dei lavoratori sono spesso insufficienti o pressoché ignorate. Vi siete mai chiesti dove e come vengano prodotti tutti i dispositivi elettronici che utilizziamo ogni giorno? Gli articoli 23 e 24 della “Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo” recitano: Articolo 23 1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. 2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. 3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale. 4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. Articolo 24 Ogni individuo ha il diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite. Possiamo quindi affermare che, almeno sulla carta, l’impegno delle organizzazioni internazionali in questo delicatissimo ambito del tessuto sociale c’è. Ma nella realtà? Foxconn, una delle multinazionali che produce componentistica per le più grandi aziende internazionali come Hp, Asus, Microsoft, ma soprattutto Apple, è comparsa più volte negli ultimi anni sulle prime pagine dei giornali per eclatanti vicende di cronaca. 14 La denuncia da parte di ong e altri organismi internazionali è quella di turni di lavoro di 11/12 ore al giorno in ambienti con uno scarso livello di igiene e condizionati dalla fretta: l’azienda deve produrre il più possibile nel minor tempo possibile. Foxconn ed Apple erano state messe all’angolo da un’inchiesta del China Labor Watch, che monitora le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi. Un giornalista sarebbe entrato in uno degli stabilimenti in veste di operaio e avrebbe raccontato la sua esperienza all’interno di un diario nel quale recita: “La piastra posteriore di un iPhone 5 scorre davanti a me quasi ogni 3 secondi. Devo rispondere immediatamente alla piastra posteriore e segnare 4 punti di posizione con la penna a olio a base di vernice e rimetterlo sul nastro in esecuzione rapidamente entro 3 secondi senza errori. Dopo l'azione di ripetizione, durata diverse ore, ho un mal di collo terribile e dolori muscolari al braccio. Un nuovo lavoratore che sedeva di fronte era sfinito, e si è fermato per qualche istante. L'autorità di vigilanza lo ha notato e lo ha punito.” Quello di Foxconn è forse il caso più clamoroso ma anche un altro grande colosso dell’hi‐tech come Samsung non è estraneo a scandali di questo tipo. Il Governo Brasiliano ha citato in giudizio l’azienda coreana a causa delle condizioni di lavoro estreme cui sarebbero costretti i lavoratori dello stabilimento di Manaus, uno dei più grandi impianti Samsung. Si parla addirittura di 85 secondi per assemblare uno smartphone. Secondo il ministero del Lavoro brasiliano, gli operai lavorano fino a 15 ore al giorno, di cui 10 in piedi, e a volte fino a 27 giorni di fila. Le conseguenze per i lavoratori sono drammatiche, quasi il 50% soffre di tendiniti e problemi alla colonna vertebrale. 15 Non mancano poi le denunce per lo sfruttamento del lavoro minorile. Il China Labor Watch ha svelato un metodo che Samsung e altre aziende utilizzerebbero per far apparire legale il lavoro minorile ai controlli superficiali. I lavoratori giovanissimi infatti verrebbero assunti con i documenti d’identità di un operaio maggiorenne precedentemente licenziato. Il problema per i grandi marchi internazionali è che anche i paesi in via di sviluppo stanno lentamente adottando norme più rigide per quanto riguarda il mondo del lavoro, pertanto questi scandali sempre più frequenti rischiano di arrecare danni di immagine di dimensioni incredibili che le aziende cercano di limitare con apposite campagne a favore dell’istruzione e della tutela dei lavoratori, anche se talvolta solo di facciata e senza perseguire veramente lo scopo dichiarato. Fonte: apple.com Quello tecnologico non è l’unico settore accusato di sfruttamento del lavoro, ma sicuramente, per quanto spesso non ci pensiamo, è quello più vicino alla nostra quotidianità. Sicuramente le notizie che circolano su questo delicatissimo argomento vanno prese con le pinze perché a volte strumentalizzate da chi, per interesse economico, cerca di screditare l’una o l’altra azienda. Tuttavia questo tipo di sopruso esiste veramente ma, come spesso accade, continuiamo e continueremo a praticare le abitudini quotidiane ignorando il problema. Qualcuno però ha pensato ad un’alternativa: uno smartphone che promette, nella linea di produzione, di curarsi dei problemi sociali e dell’etica del lavoro. È il caso di Fairphone. Fairphone è una fondazione olandese nata nel 2011 proprio con lo scopo di creare un device “eticamente sostenibile”. Il risultato è stato uno smartphone Android 4.2 dual‐SIM di fascia media con processore da 1,2 Ghz, 16 GB di memoria interna, e 1 GB di RAM. Lo schermo da 4,3 pollici è protetto da un vetro Dragontrail Glass, e non mancano una fotocamera frontale e una posteriore, rispettivamente da 1,3 e 8 megapixel. La memoria si può espandere con scheda MicroSD e la batteria ha una capienza di 2000 mAh. Il prezzo di vendita è € 325. “La maggior parte delle miniere partner è certificata dalle ONG. Inoltre gli sviluppatori stanno lavorando con varie organizzazioni no‐profit per la produzione dello smartphone. I fornitori dei materiali utilizzati da Fairphone hanno l'obbligo di assicurare ai lavoratori delle condizioni di lavoro dignitose.” 16 Il consorzio universitario Almalaurea ha realizzato un breve questionario per aiutare gli studenti di 4^ e 5^ ad orientarsi tra le numerose facoltà universitarie. Al termine della compilazione dello stesso sarà possibile leggere il proprio profilo personale e le facoltà considerate più adatte in conformità con le risposte precedentemente fornite. Per poter affrontare il questionario basta collegarsi a questa pagina: http://www.almaorientati.it/orienta/ dove troverete anche altre informazioni, e cliccare su “individua i tuoi punti di forza”. Chiaramente i risultati non rappresentano la certezza che un determinato corso sia il più adatto, ma, insieme a tanti altri fattori, può aiutare a scegliere in caso di indecisione. Alessandro Lotti 4^I 17 I l 15 Agosto 2013 ho lasciato la mia casa, i miei amici, e la mia famiglia a Forlì e mi sono letteralmente “tuffata” in qualcosa che mi era assolutamente sconosciuto, mi sarei trovata nel giro di poche ore in un nuovo paese con nuove persone, una nuova famiglia che non avevo mai visto (se non in alcune foto), una nuova scuola..in poche parole una nuova vita in un nuovo mondo: la Norvegia. insegnanti, ho iniziato ad abituare il mio cervello a questa lingua che sembra incomprensibile, ma che oggi parlo anche nei sogni! Qui vivo a Nittedal, un paese fra boschi e montagne che dista 25 minuti di treno da Oslo, un posto magnifico che ora chiamo casa. Non pensavo che sarebbe stato possibile imparare una lingua così, ma mi sono semplicemente rilassata e ho lasciato entrare tutto nella testa, ho provato, ho sbagliato, ho detto cose molto imbarazzanti (“posso stendermi su di te” invece di “posso andare in bagno”), quando ci ripensiamo io e i miei amici ridiamo ancora! Il primo giorno di scuola me lo ricordo bene, non ero così nervosa dall`ultimo compito di matematica al liceo..continuavo a chiedermi come sarebbe stato non conoscere nessuno e non sapere una parola in norvegese a parte “sei bello/a” e “mela”. Mi sono persa mille volte a scuola e tornando a casa, sono caduta nel ghiaccio quattro o cinque volte, ma ho imparato a ridere di me stessa, ad essere rilassata, a sbagliare senza aver paura di essere giudicata, sono cresciuta e cresco ogni giorno. Quando entrai nella mia nuova classe, dopo aver deciso insieme alla preside quali classi avrei frequentato durante l`anno (matematica, fisica, norvegese, francese..), incrociai sguardi curiosi e sorrisi pronti ad accogliermi così com`ero: nuova, diversa e curiosa! Da quando sono qui mi vedo cambiare, non so in che modo, ma ogni tanto non so più chi sono, mi spiego meglio: sono bombardata ogni secondo da novità che né io né il mio corpo eravamo abituati a vivere. I volontari di Intercultura avevano informato noi exchange students che i Norvegesi sono abbastanza chiusi e timidi e non sarebbe stato facile integrarsi nei primi tempi, sono molto contenta di affermare che ho incontrato solo persone che volevano conoscermi e che avevano sincera voglia di stare con me Dopo le prime settimane dove passavo le mie ore in classe a fissare il vuoto o ascoltare senza capire un’ h di quello che dicevano gli La scuola qui è più rilassante e più simile ad un’ università, gli studenti scelgono in base alle loro preferenze che corsi seguire, perciò non c’è un’unica classe con la quale si hanno tutte le lezioni; credo che questo sia un buon metodo per responsabilizzare gli studenti che sono consapevoli di studiare ciò che gli piace. La mia famiglia è molto “Norvegese”: amano lo sci di fondo, andare a correre nel bosco dietro casa, mangiare carne di renna e bere the. 18 Gli voglio bene, sono una famiglia felice e sto cominciando a sentirmi una di loro, parte della famiglia, qui ho una sorella di 13 anni, che è 10 cm più alta di me e che dimostra 18 anni, l’ altra sorella (della mia età) è ora in Canada come exchange student, perciò io dormo nella sua camera e uso un po’ del suo armadio…ogni tanto anche qualche maglione di lana ! Si cresce da piccoli qui, sembra un controsenso, ma è così, bambini di 6 anni che vanno a scuola da soli con zaini più grandi di loro, ragazzi della mia età che si trasferiscono in appartamenti in altre città per andare a scuola e ancora fratellini di 10 e 8 anni che prendono l’aereo da soli per andare a trovare la nonna che abita a 18 ore di macchina e 3 di aereo. Le attività che si possono fare in un paese dove il sole sorge alle 9 e tramonta alle 14 possono sembrare poche, ma come dicono i Norvegesi: non esiste cattivo tempo, solo cattivi vestiti, ci si attrezza di berrette, guanti e luci frontali e si va a correre, oppure, come nel mio caso ho iniziato a seguire corsi di ballo con le mie amiche, passiamo metà della lezione a ridere e l’altra metà a cercare di capire come fare certi passi. È appena passato il mio Natale “diverso”, con tutta la famiglia siamo “volati” a nord, moooolto a nord, vicino alle Svalbard. Suono in un’orchestra e in un gruppo di musica folk Norvegese che accompagna le serate di balli tradizionali: io mi diverto, la gente si diverte e passo del tempo con persone che condividono tutto. Da quando sono qui ho risposto circa 46238 volte alla domanda “Perché la Norvegia? Cosa c’è in Norvegia?” , beh, io in Norvegia ho trovato persone fantastiche: curiose, aperte a novità e semplici, pronte ad offrire tutto quello che hanno, amici che una volta “rotto il ghiaccio” ci saranno per sempre, amici per la vita. Abbiamo vissuto a casa della nonna materna, che mi ha rimpinzato di cibo dalla mattina alla sera e che ha fatto ai ferri maglioni per me e per mia sorella. In quel mini paese di 500 abitanti, che a destra viene bagnato dall’oceano e a sinistra viene protetto da alte e imponenti montagne, mi sono sentita piccolissima, con le balene e le orche e l’aurora boreale sopra la testa la notte di Natale.. è stato magico. Come ho scritto è stato un Natale diverso, senza la mia vera famiglia, la mia casa, i miei amici, ma è stato un Natale indimenticabile e che mi ha dimostrato che il Natale si vive prima nel cuore, con le persone alle quali si vuole più bene. Quest’esperienza assomiglia alle montagne russe, sconvolge e fa un po’ paura ogni tanto, ma quando “scenderò” sarò un’altra Giorgia. I Norvegesi sono 5 milioni, non sono tanti, e hanno un paese enorme, sono pronti ad aprirsi a nuove persone. Non abbiate paura, buttatevi, siate come pesci che escono dall’acquario e che si tuffano nell’oceano. Sono un popolo felice, forte e che ama la sua terra, troveranno sempre una soluzione, non si lamentano e hanno imparato a convivere con un territorio e un clima che ogni tanto sembra essere invivibile. Un abbraccio forte a tutti, vi voglio bene Giorgia Girelli, dalla Norvegia 19 LA BOTTEGHINA del ROMANZO Primo episodio Leonardo era un normalissimo ragazzo di 16 anni, che conduceva una vita normale, conosceva gente normale e frequentava una normalissima scuola milanese. Ma non sapeva che la sua vita si sarebbe trasformata per sempre. Dicevo, Leo era un ragazzo normale e come tutti i ragazzi normali odiava la storia. Quindi la gita che si sarebbe svolta il 22 febbraio al museo di storia rinascimentale, non poteva essere molto significativa per lui, anzi sarebbe stata per lui un’esperienza del tutto irrilevante. La guida spiegava, gesticolava, abilissima nell’attrarre l’attenzione del pubblico, che riusciva a rapire completamente, ma Leo non sentiva nulla. Le sue orecchie erano nascoste, già tappate da cuffie nere che si mimetizzavano molto bene con i suoi ricci capelli corvini, che molto spesso doveva scostare dagli occhi azzurri e cristallini, brillanti come le purissime sfumature del ghiaccio. La professoressa sembrava più intenta ad ascoltare la guida, che a controllare i ragazzi e Leo si sentiva tranquillo. Le note martellanti del basso si univano alla voce avvolgente e suadente del mitico Elvis, mentre la chitarra eseguiva accordi taglienti e il sax dava il ritmo. Leo si guardava intorno, fingendosi interessato, mentre nella sua testa esplodeva la musica, il suo mondo, al quale non poteva accedere nessuno, la cui porta si apriva solo con una chiave speciale: una chiave di violino, ma proprio durante il ritornello della sua canzone preferita, sentì che qualcuno gli batteva sulla spalla. Impallidì e si irrigidì. Immaginò la faccia inviperita della Prof. Pensò alla gogna a cui sarebbe stato sottoposto al suo rientro a scuola, al lungo corridoio che avrebbe percorso, quando sarebbe stato portato dalla Preside, alle parole tonanti, che avrebbero risuonato tra le pareti di vetro. Provò ad immaginare la rabbia dei suoi genitori, ma non ci riuscì. Molto lentamente si girò e………. Appuntamento alla prossima puntata …… di Eleonora Desidero, classe1^F 20