...

Legge Beggiato: un ventennio speso bene

by user

on
Category: Documents
83

views

Report

Comments

Transcript

Legge Beggiato: un ventennio speso bene
www.edit.hr
Anno LXIII - N. 6 | 31 marzo 2015 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Legge Beggiato:
un ventennio
speso bene
Interviste
Reportage
Echi
del passato
Jasmina Popović:
«Staremo meglio
quando saremo
in grado di essere
migliori» pp.8-13
Pietra Pelosa, il
castello che vigila
sul Brazzana
nell’Istria centrale è
salvo pp. 17-20
Dagli hospitalia agli
odierni ospedali:
avviate dai monaci
Benedettini le prime
assistenze pp. 33-36
sommario numero 6 | 31 marzo
3-7 | Anniversari.
“Legge Beggiato: un ventennio speso bene”
di Rosanna Turcinovich
Giuricdin
25-29| Dossier Comunità. “Cittanova: una CI di
antica costituzione”
di Ardea Velikonja
37-38| “Novant’anni orsono Fiume divenne sede
diocesana”
di Marko Medved
8-13 | Interviste.
“Staremo meglio quando
saremo in grado di
essere migliori”. Jasmina
Popović, giornalista
dell’HRT, commentatore
attento e disincantato
delle vicende croate
di Diana Pirjavec
Rameša
39| Made in Italy.
“Nel cielo di Cervia la
festa degli aquiloni”
14-15 | Attualità.
“Dimissioni? Non ci penso nemmeno!” Lo afferma
Goran Klemenčič, l’ex
capo della Commissione
anticorruzione
di Stefano Lusa
40-41| Italiani nel mondo. “Vivit: nuovo portale
per esportare il ‘sì’ ”. Coordinato dall’Accademia
della Crusca
a cura di Ardea
Velikonja
16 | “Trivellazioni nell’Adriatico: una polemica
infinita”
a cura di Diana Pirjavec
Rameša
17-20 | Reportage.
“Pietra Pelosa,il castello è
salvo”. Concluso il restauro del maniero sul Brazzana, nell’Istria centrale
di Bruno Bontempo
21 | Eventi.
“Un tocco dei Lussini
a Roma” Presentato il
“Vocabolario imperfetto
della parlata dei Lussini”
di Mirella Sartori
22-24 | Società.
“Più cultura meno paura”,
marcia per l’integrazione
sociale a Porretta Terme
di Marino Vocci
33-36 | Echi del passato.
“Dagli hospitalia agli odierni ospedali” Fonti storiche
affermano che le prime
forme di assistenza pubblica in Istria furono avviate
dai monaci Benedettini fin
dall’Alto Medioevo
di Rino Cigui
44-45| Cinemania.
“Il dolore di un amore
bruciato” Dal romanzo
“Nessuno si salva da solo”
all’omonimo film
a cura di Diana Pirjavec
Rameša
46-47 | Psicologia.
“Programmazione neurolinguistica: cosa si cela dietro al nome altisonante”
di Denis Stefan
50-51 | Salute.
“Torna la stagione
dei pollini e delle allergie”
52 | Curiosità. “To’ak, il
cioccolato più costoso del
mondo: 5.200€ al kg!!!!”
a cura di Nerea Bulva
53 | Concorsi.
“Premio Audax”
54-55 | Multimedia.
“Smartphone in acqua.
Cosa fare?”
di Igor Kramarsich
56 | Fioralia.
“La rosa, regina dei fiori”
di Daniela Mosena
57 | Soste di Ulisse.
“A Lokev tra i tanti scegli
l’‘Ambasador’”
di Sostene Schena
58 | Scacchi pillole.
“Mikhail Nečemljevič Tal,
il mago di Riga”
di Sostene Schena
59 | Passatempi. Parole
crociate
di Pinocchio
Progetto grafico-tecnico
Sanjin Mačar
REDAZIONE
[email protected]
Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-770
Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153
Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146
ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka)
ISSN 1334-4692 Panorama (Online)
Redattore grafico-tecnico
Sanjin Mačar, Teo Superina
TIPOGAFIA
Helvetica - Fiume-Rijeka
Versamenti:
Per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria
banka d.d. Rijeka.
Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka
7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22.
Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044
SWIFT: PBZGHR2X.
Numeri arretrati a prezzo raddoppiato
INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn, retrocopertina interna 700,00 kn, pagine interne 550,00 kn;
Slovenia e Italia - retrocopertina 250,00 euro, retrocopertina
interna 150.00 euro, pagine interne 120,00 euro.
Collegio redazionale
Nerea Bulva
Diana Pirjavec Rameša
Ilaria Rocchi
Ardea Velikonja
ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia: an­nuale (24 numeri)
kn 300,00 (IVA inclusa), semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA
inclusa), una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale
(24 numeri) euro 62,59 , semestrale (12 numeri) euro 31,30,
una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00, una
copia euro 1,89.
PANORAMA esce con il concorso finanziario della
Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene
parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno
del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra
Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare
di Trieste
Redattore capo responsabile
Ilaria Rocchi
[email protected]
2
30-32 | La storia oggi.
“Fare storia contemporanea con il cinema
e la letteratura” “Suite
francese”, dal libro di Irène
Némirovsky al film di Saul
Dibb
di Fulvio Salimbeni
42-43| Mostre.
“Il secolo che ha cambiato
la storia dell’arte” A
Villa Manin di Passariano
l’esposizione “Avanguardie
russe - 1910-1930”
di Erna Toncinich
48-49 | Tradizioni.
“Equinozio di primavera,
la festa di Pasqua”
Panorama
Ente giornalistico-editoriale
Rijeka - Fiume
Zvonimirova 20A
Direttore f.f.
Errol Superina
Consiglio di amministrazione:
Oskar Skerbec (presidente),
Roberta Grassi Bartolić (vicepresidente),
Roberto Bonifacio, Samuele Mori,
Dario Saftich, Borna Giljević
anniversari
di Rossana Turcinovich Giuricin
Q
uesta è la storia di un percorso
virtuoso stabilito da una legge del
Veneto. Nel 1994 Ettore Beggiato,
Consigliere regionale dal 1985,
assessore dal 1993 con delega
all’emigrazione, diritti civili, sport, enti locali, si fa promotore della 15/94 intitolata
“Interventi per il recupero, la conservazione
e la valorizzazione del patrimonio culturale
di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia”.
Vent’anni dopo continua ad essere ancora,
semplicemente, la “legge Beggiato”, sottolineando la portata di un’intuizione di stampo
europeo. Simile ai progetti Interreg, che apriranno un nuovo scenario di collaborazione tra
le Regioni e gli Stati, ma arrivando solo nel
2007. “Il primo incontro in Istria per ragionare sulla legge e avviare le iniziative - ricorda
Beggiato -, si svolse a Rovigno, al Centro di Ricerche Storiche con il prof. Giovanni Radossi.
Ci dovevamo muovere con tatto, coinvolgendo direttamente il Ministero agli Esteri, ogni
azione era accompagnata da una marea di
permessi, non sempre facili da ottenere. Oggi
tutto è più semplice, Slovenia e Croazia, sono
nell’Ue”. Uno scenario profondamente mutato, in una dimensione geopolitica pacificata
anche da interventi come questo, che hanno
costruito nuovi legami.
L’eccezionalità della Legge, dopo vent’anni, è
che continua a mantenere la sua incredibile
freschezza ed attualità: il recupero del patrimonio storico ma anche dell’identità di una
vasta area legata all’idea della Serenissima,
emerge per aderenza ai principi di un’Europa
delle persone unite in “comunità di destino”.
Basta soffermarsi sul primo articolo della
legge che ne ribadisce le Finalità, per scoprire la sua portata profetica: “la Regione, allo
scopo di favorire nuovi e più stretti rapporti
di cooperazione tra i popoli, riconosce, nella
conoscenza, nella salvaguardia e nella valorizzazione del patrimonio storico e culturale
di origine veneta presente nell’Istria e nella
Dalmazia, uno strumento per l’affermazione
dei valori di amicizia e di coesistenza pacifica,
da sempre condivisi dalle popolazioni del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia”. In due decenni sono state finanziate 600 opere per un
valore di quasi 7 milioni di euro, documentate
anche attraverso eleganti volumi che rappresentano un vademecum delle azioni svolte.
Si tratta di progetti di vario tipo, restauro del
patrimonio artistico ed architettonico, eventi
culturali, studi, gemellaggi, ricerche e pubbli-
ccRenzo Vecchiato ed Ettore Beggiato
Ettore Beggiato è stato il promotore
della legge regionale che ha permesso
il recupero e la valorizzazione del
patrimonio culturale di origine veneta
nell’Istria e nella Dalmazia
Un ventennio
speso bene
cazione di volumi, a volte anche in collaborazione con altri enti, tra cui l’Università Popolare di Trieste che in questo momento si sta
muovendo soprattutto in Montenegro, come
è stato rilevato al recente convegno svoltosi
a Venezia, nel prestigioso Palazzo Franchetti,
una delle sedi dell’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti. I significati di un intervento
lungo quattro lustri sono stati alla base delle
relazioni che hanno caratterizzato la giornata
Panorama
3
anniversari
di studi, aperta con il saluto di Gian Antonio
Danieli, presidente dell’Istituto Veneto, il padrone di casa, prima che prendessero il via le
quattro sessioni dell’appuntamento relative
al quadro di riferimento storico e normativo;
attività di ricerca e culturali; attività didattiche, formative e di cooperazione; restauro
architettonico.
Quattro capitoli che comprendono l’area di
interesse della legge stessa, il tutto moderato
da Diego Vecchiato, direttore del Dipartimento Politiche e Cooperazione Internazionali del
Veneto che è intervenuto a presentare i relatori ma anche a riflettere su ciò che la legge
rappresenta per il futuro all’interno della politica del Veneto: la volontà di ampliare questa “buon prassi” anche ai Paesi della costa
africana del Mediterraneo “per contribuire,
attraverso la storia e la cultura, all’acquisizione di coscienza sul proprio ruolo, all’interno di
un mondo di ricchezze che non si escludono
a vicenda ma, nel riconoscimento dei comuni
percorsi, amplificano le reciproche specificità”. Una strada lunga ma percorribile, che
merita di essere affrontata anche come contributo alla pace.
La percezione è chiara: la Legge Beggiato è
stata una prova di cooperazione europea che
emerge dai risultati ottenuti, come sottolineato da Robero Ciambetti, Assessore alla Cooperazione Transfrontaliera e Transnazionale,
ovvero un processo virtuoso che ha permesso
di ristabilire legami di amicizia e culturali. Si
tratta di progetti di vario tipo, restauro del
patrimonio artistico ed architettonico, eventi
culturali, studi, ricerche e pubblicazione di
volumi, in collaborazione anche con altri enti,
tra cui l’UPT. E inoltre ripristino di scuole e asili a Buie, Cittanova e naturalmente Zara.
Sentito il discorso di Vladimir Torbica, Asses-
Franco Luxardo racconta la storia del progetto
Tutto cominciò con
gli aiuti umanitari
“La Legge Beggiato
mette d’accordo
esuli e residenti,
anzi nasce proprio
da un’iniziativa dei
Dalmati a Zara,
l’input che poi
porterà all’approvazione della legge”.
A raccontarlo al
Seminario di Venezia
è stato Franco
Luxardo, Presidente
dell’Associazione
Dalmati Italiani
nel Mondo che ha
ricordato: “Nel 1992
in piena guerra civile
ccFranco Luxardo
jugoslava, avevamo
avviato un programma di aiuti umanitari diretti a Zara, con la
collaborazione della Croce Rossa italiana di
Treviso. Ci rendemmo presto conto che non
bastavano certo i container di viveri acqua
e vestiti che spedivamo. Era necessario
4
Panorama
guardare al futuro. Contattammo così enti
pubblici lungo tutta la penisola. Il primo, e
per lunghi anni, l’unico a rispondere con i
fatti fu la Regione del Veneto. Il nostro primo interlocutore fu Paolo Cadroppi, docente
Universitario di Padova. Il 18 febbraio ‘93
scaturì una iniziale proposta di legge regionale firmata da tutti i nove gruppi consiliari.
Poco dopo Ettore Beggiato divenne assessore e prese di petto la questione, la fece
sua, presentò un nuovo disegno di legge e
lo fece approvare dalla giunta il 7 settembre
dello stesso anno. Il Veneto era la prima
regione italiana ad interessarsi ufficialmente
dell’Adriatico orientale”.
Luxardo ha voluto consegnare ad Ettore
Beggiato, ma anche all’attuale assessore
Roberto Ciambetti e al loro collaboratore
Mauro Stefani, che da anni seguono l’evoluzione della legge, una medaglia molto
particolare. Si tratta della riproduzione di
quella coniata nel 1896 a Sebenico quando
venne inaugurato il monumento a Niccolò
Tommaseo eretto grazie ad una sottoscrizione di fondi che provenivano da tutta Europa.
sore alla cultura della Regione Istriana, che
ha ricordato i termini della collaborazione
ringraziando tutti i soggetti che in vent’anni
sono stati presenti: le Università, istituzioni
culturali, gli enti locali, organizzazioni culturali internazionali, le Comunità degli Italiani,
per una collaborazione che deve continuare.
A sottolinearlo anche Maurizio Tremul, Presidente della Giunta UI, che ha confermato la
disponibilità della Comunità italiana a favorire la presenza delle iniziative realizzate in
collaborazione con la Regione Veneto.
Negli ultimi anni, un’attenzione particolare
viene data al Montenegro, così come ricordato dall’Ambasciatore in Italia, Antun Sbutega,
impegnato a promuovere gli investimenti italiani nel suo Paese. Infatti, mente in un primo
momento la Legge riguardava l’Istria e solo
parte della Dalmazia, altri territori si sono
aggiunti ad includere la cosiddetta Albania
Veneta, ovvero Cattaro e territori limitrofi. Il
Seminario ha proposto un bilancio di vent’anni d’attività ma è stato anche propositivo con
un invito ad individuare ulteriori fondi per
continuare lungo il cammino intrapreso.
Dopo un inquadramento storico di Bruno Crevato Selvaggi che con Ortalli ha organizzato l’evento, si è parlato dei successi ottenuti da Coordinamento Adriatico con Davide Rossi, Società
storica del Litorale di Capodistria con Salvator
Zitko, Museo Civico di Pisino con Denis Visintin,
Archivio Storico di Cattaro con Snežana Pejović,
ma anche dall’Università Ca’ Foscari con Laura
Amato-Eliana Biasiolo-Lia De Luca - a dimostrazione che la legge ha prodotto rapporti
bidirezionali. Per gli studiosi di Venezia l’Adriatico orientale diventa palestra di studi e nuove
ricerche che ampliano la definizione sul ruolo
della Serenissima. E poi ancora l’Associazione
Veneziani nel Mondo con Bruno Moretto, la
Comunità di Zara con Rina Villani, l’Alida con
anniversari
Teobaldo Rossi, ancora la Regione Istriana con
la Sovrintendenza ai beni culturali con Lorella
Limoncin Toth.
Mentre in Istria e parte della Dalmazia fino
a Zara, gli interventi si affiancavano, sin
dall’inizio, ad attività in parte già avviate o
comunque ben focalizzate, la presenza del
Veneto in Montenegro ha contribuito alla
nascita di una nuova dimensione, sopita
laddove non cancellata dall’inclemenza della storia. L’italiano è ritornato a sottolineare
l’interesse non solo turistico delle genti delle
Bocche di Cattaro, ancora legate a quel mito
di venezianità riportato nel famoso verso “Ti
con nu nu con ti” di Perasto che alla caduta
della Serenissima rispondeva con un impegno di fedeltà “per sempre”. E proprio in
Montenegro, come sottolineato dalla Pejović,
il Veneto ha reso possibile la catalogazione dei documenti custoditi nella biblioteca
di Perasto, la cui digitalizzazione permette
di affrontare nuove fonti di studio. Ma non
soltanto, i corsi d’italiano presso la Comunità, rappresentano l’eccezionale occasione di
riallacciare i contatti con una realtà dissolta
ma non sconfitta, perché la cultura, quella
autentica, nel tempo riaffiora.
In tanti ne
hanno usufruito
Denis Visintin,
direttore del
Museo Civico di
Pisino, ribadisce
l’importanza del
lavoro svolto
finora
A ribadire l’importanza del lavoro svolto, anche Denis Visintin, direttore del Museo Civico
di Pisino che afferma: “Beneficiari di questa
legge sono stati le autorità regionali e municipali, le parrocchie, gli istituti e le associazioni della CNI, le scuole, e gli asili, enti ed
associazioni culturali, Musei ed Università”.
Alcuni esempi?
“Si è voluto supportare il campo della ricerca storica, storico-artistica e dialettale, la
cultura, le collaborazioni artistico-culturali
e scolastiche, i restauri e le ristrutturazioni
architettoniche, artistiche e di altri beni
culturali, il recupero e la salvaguardia di usi,
costumi, tradizioni e fondi librari antichi,
l’editoria e le pubblicazioni, l’organizzazione
di seminari, corsi di lingua e di dialetto, e
di perfezionamento di vario tipo, i sostegni
alle attività delle CI, l’allestimento di spettacoli teatrali, concorsi riservati alle scuole
dell’obbligo, e la realizzazione di una scuola
di lingua materna in lingua italiana a Zara. E
inoltre il sostegno a convegni e pubblicazioni, al Festival dell’istroveneto. A Momiano
spiccano gli interventi al recupero del campanile ed iniziative culturali e patrimoniali.
A Verteneglio la pubblicazione di un volume
sulla storia del territorio in epoca veneziana.
A Parenzo il restauro delle Cinquecentine del
locale Museo e della collezione archivistica
veneziana presso l’Archivio diocesano. A
Rovigno il progetto musicale ‘La compagnia
de’ cantori di Francesco Spongia’: studio di
manoscritti, esecuzione e registrazione,
unitamente al Museo della batana ed alle
pubblicazioni di carattere storico del CRS”.
E per quanto concerne l’Istria
centrale?
“Il caso dell’Istria centrale dimostra l’estrema apertura della legge che non comprende
solo territori d’insediamento veneziano ma
anche quelli un tempo inclusi nell’asburgica
Contea di Pisino. Il perché si spiega facilmente con lo spostamento di popolazioni
e di mestieranti ed alla presenza di famiglie
nobili e possidenti provenienti dall’area veneta. Di conseguenza si possono tuttora rinvenire delle testimonianze artistiche nonché
tracce di cultura immateriale e popolare di
matrice veneta sia tra la popolazione di lingua italiana che tra quella di lingua croata”.
Che cosa è stato realizzato grazie
alla Legge Beggiato?
“Tre di questi progetti sono stati realizzati
dal Museo civico di Pisino, uno dall’Archivio
di Stato di Pisino, ed uno dal Museo etnografico dell’Istria, e precisamente: nel 2007 vide
ccIl Castello di Montecuccoli di Pisino dopo la
Seconda guerra mondiale ha ricevuto una
destinazione museografica
la luce il progetto espositivo ‘I matrimoni nei
frammenti patrimoniali e dell’età contemporanea’, consentendo di rilevare tutta una
serie di somiglianze anche con le aree altoadriatiche vicine, vedi ad esempio il Veneto
e la Lombardia. Un secondo intervento ha
riguardato gli ‘Altari lignei dal XVII alla fine
del XIX secolo delle chiese dell’Istria centrale’. E terzo, ‘Monumenta funerary. Le lapidi
sepolcrali dal XV al XIX secolo del Pisinese’,
con la catalogazione delle famiglie: Schuel,
Mojsjević, Chersano, Barbo, Mosconi, Scampicchio, Pamperg, Rampelli, ed altre ancora.
Stilisticamente, esse risentono dell’influenza
gotica, rinascimentale, manieristica, barocca
e rustica. Perciò dette lapidi assumono un
valore sia storico che culturale ed artigianale, nonché antroponimico, onomastico
e toponomastico, diffuso nelle chiese e nei
cimiteri. Con il lavoro di catalogazione sono
stati annotati i diversi danni, per cui anche
in questo caso l’opera compiuta risulta di
notevole importanza, e la diversità culturale
d’appartenenza delle singole famiglie”.
Ma questi sono sono alcuni degli esempi, tra
i tanti, che il Visintin ha voluto presentare in
quest’occasione, sottolineando la ricchezza
di un approccio aperto e lungimirante di
cui oggi Istria e Veneto raccolgono i frutti
attraverso questa bella collaborazione che
inorgoglisce.
Panorama
5
L’Istria è sempre stata punt
e di fusione di tre grandi c
È
affascinante ripercorrere
le tappe della presenza
veneziana in Istria attingendo da una storia
ancora facilmente individuabile con segni tangibili su tutto il territorio di dominazione della
Serenissima. Al convegno, svoltosi
a Venezia nel decennale, Lorella Limocin Toth ha proposto un
“viaggio” attraverso questa storia di
relazioni e contaminazioni che oggi
rappresentano una ricchezza per il
territorio. Non soltanto, molte di
queste destinazioni sono quelle
scelte insieme con la Regione Veneto per interventi di restauro e riuso.
“Il tutto è legato alla favorevole posizione geografica dell’Istria - dice
la Limoncin Toth -, che da sempre
ha svolto un’importante funzione di
collegamento fra l’area continentale
mitteleuropea e quella del bacino
adriatico di Venezia. È stata punto
d’incontro e di fusione di tre grandi culture europee: slava, romanica
e germanica, ognuna delle quali ha
6
Panorama
lasciato tracce della sua particolare presenza. Tutto ha inizio con gli
Istri che disseminarono sul territorio istriano i castellieri, molti dei
quali divennero ‘castrum’ romani e
successivamente borghi medievali
(ne sono tipici esempi Montona,
Portole, Piemonte, Grisignana, Pinguente e altri).
Un radicale cambiamento politico-sociale nasce in seguito alla
sottomissione della provincia da
parte dei Franchi nell’VIII secolo,
quando Carlo Magno introduce il
sistema feudale. Nel X secolo l’Istria venne ceduta ai Patriarchi di
Aquileia che la governarono fino
alla fine del XIII secolo. Dopo quel
periodo le città firmano le dedizioni alla Serenissima e l’Istria muta”.
Oggi vediamo tanti esempi di questa presenza. Quali?
“Parenzo conserva ancora degli
edifici romanici d’impronta veneziana: l’antica Canonica presso la
Basilica Eufrasiana; la pittoresca
Casa Romanica, con le murature in
pietra d’Istria e con loggiato in legno nel secondo piano, e la Casa dei
due Santi, così detta per la presenza
tra le finestre di statue romaniche
con tre monofore arcuate al primo
piano. Altra cittadina d’impronta
romanica è quella di Montona. Proprio di recente, grazie ai lavori di restauro eseguiti sul Palazzo Pretorio,
e cofinanziati dalla Regione Veneto,
sono state rinvenute delle belle bifore romaniche finora sconosciute.
Vi sono poi numerosi castelli e borghi fortificati, posti sulle alture che
dominavano le vie di comunicazione e non particolarmente abitati.
Ed è proprio in questo contesto storico-artistico che inizia l’espansione
della Serenissima, che estese progressivamente la sua influenza politica fino a conquistare gran parte
della penisola, con l’esclusione della
zona orientale della Contea di Pisino, passata agli Asburgo. Questa
suddivisione politico-amministrativa tra la Repubblica di San Marco
anniversari
to d’incontro
culture europee
della chiesa. A Valle va ricordato il
maestoso palazzo Soardo-Bembo,
con l’esempio unico in Istria di due
quadrifore sovrapposte”.
miglia veneziana dei Morosini che,
dopo la ricostruzione del castello
nel 1485, intraprende anche la costruzione della piazza, della chiesa e
dei palazzi circostanti, seguendo le
tendenze architettoniche più avanzate dell’epoca che prediligevano
una pianificazione geometrica e
razionale, basata sul concetto della
città ideale teorizzata dai filosofi e
artisti rinascimentali del XV e XVI
secolo. Lo stile barocco veneziano viene tradotto nelle tipologie
locali, sul balcone e sul parapetto
riccamente decorato (Palazzo Battiala - Lazzarini ad Albona, palazzo
Bradamante di Dignano ed altri).
Altre opere d’interesse sono le porte cittadine di Rovigno, Albona,
Barbana, Pinguente, le numerose
logge di Albona, Montona, Portole e le cisterne pubbliche Visinada
e Pinguente, le numerose “stanzie”,
complessi rurali di Seghetto, Villa
Polesini a S. Giorgio della Cisterna,
Daila, Stanzia Grande presso Umago. E poi le chiese di S. Eufemia di
Rovigno, S. Biago a Dignano, e le
parrocchiali di Umago, Parenzo,
Pinguente, Grisignana, Buie e Pimemonte che ben esprimevano il
gusto locale e le possibilità economiche della società istriana all’epoca della loro costruzione”.
Nel XV e XVI secolo, s’impone
un’architettura difensiva.
Un patrimonio che la Legge Beggiato ha contribuito a svelare?
“Montona nel 1539 costruisce il bel
torrione rinascimentale delle Porte
Nuove, sormontato da bertesca, sul
quale sono murati numerosi blasoni gentilizi e alcuni leoni marciani.
Tardo rinascimentale è anche la bella chiesa a tre navate di S. Stefano del
1580. A Grisignana durante il XV
sec., venne costruito il torrione con
la Porta maggiore, dal quale veniva
calato il ponte levatoio sopra il fossato che difendeva la cittadina. A ridosso della porta principale si trova
la loggia rinascimentale del 1587”.
“Fino a pochi anni fa, mancavano
studi monografici, organici e sintetici sulla storia urbana e sulle architetture dell’Istria e dei suoi centri. Di recente invece, grazie anche
all’impegno del Centro di Ricerche
Storiche di Rovigno, della Regione
Istriana, ma anche di numerosi studiosi italiani, croati e sloveni, sono
state pubblicate importanti opere
relative a determinati periodi artistici. Un nuovo impulso in questo
senso si deve proprio alla Regione
Veneto, grazie alla legge 14/95 che
ha permesso di affrontare interessanti ed ambiziosi progetti di salvaguardia, recupero e rivitalizzazione
del patrimonio storico e culturale
di origine veneta presente nella penisola”.
Il viaggio attraverso
la storia di Lorella
Limoncin Toth
e la Contea di Pisino, darà vita anche alla suddivisione delle influenze artistiche provenienti, da un lato
dalle zone centroeuropee, dall’altro,
invece, da Venezia, dove il gotico
viene caratterizzato da forme e raffinatezze orientali tipiche dell’arte
bizantina”.
Che cosa distingue l’arte veneziana in Istria, che cosa ci mette di
suo?
“La pietra a vista che veniva estratta
nelle numerose cave della penisola, dove venivano anche in buona
parte lavorate. A Parenzo ne sono
un esempio Palazzo Zuccato, Casa
Parisi-Gonan, il palazzo goticoveneziano più bello dell’Istria. Tra
gli esempi più belli di architettura
gotica in Istria spicca la chiesa di
S. Francesco a Pola mentre uno dei
borghi meglio conservati dell’epoca
è sicuramente S. Lorenzo del Pasenatico, con una bella porta cittadina ad arco ogivale e un’elegante loggia veneziana appoggiata al fianco
C’è una realtà che spicca sulle altre?
“Sanvincenti. La cittadina, tramite
complessi legami politici e familiari, nel 1384 diventa feudo della fa-
Panorama
7
di Diana Pirjavec Rameša
L
a giornalista Jasmina
Popović di settimana
in settimana intervista
per la Radiotelevisione
croata personaggi noti
e meno noti della scena politica
nazionale, della società civile, del
mondo dell’associazionismo, leader di partito e alte cariche del
governo. Affronta con i suoi interlocutori argomenti di scottante attualità per cui conosce molto
bene le vicende e i personaggi che
in questi ultimi vent’anni hanno
fatto la storia della Croazia. Ciò le
permette di fare una sintesi lucida
e disincantata delle difficoltà e delle sfide che, chi vive in questo paese, affronta. È una delle giornaliste
più citate, un’operatore mediatico
a cui si crede. La stima, tra i lettori di un prestigioso quotidiano
in cui ha lavorato in passato e tra
gli ascoltatori radiotelevisivi oggi,
se l’è guadagnata grazie alla sua
grande professionalità e al suo coraggio. Incontrarla ed ascoltarla è
stato un po’ come assistere ad una
lectio magistralis di cui per molto
tempo serberemo un bel ricordo.
8
Panorama
Patrik Macek/PIXSELL
Jasmina Popović,
giornalista
dell’HRT,
commentatore
attento e
disincantato
delle vicende
croate ci aiuta
a capire le sfide
ed i retroscena
dell’attuale
momento politico
Interviste
Staremo meglio
quando saremo
in grado di essere
migliori
La Croazia, per chi guarda dal di
fuori, risulta essere un paese profondamente diviso, e questa lacerazione è presente sia nel tessuto
sociale che nella politica che vive
soprattutto di confronti, di una
continua contrapposizione tra il
“noi “ e il “loro”. Va aggiunto che
dietro alla miriade di polemiche
che soffocano il cittadino comune
non emerge un programma una
visione, chiara e netta, su come
uscire dalla crisi, affrontare il futuro, realizzare i tanto necessari
cambiamenti...
“La democrazia non è neanche
riuscita ad affermarsi che ha già
subìto gravi arresti. Il problema
è che ci stanno convincendo che
ciò sia del tutto normale, che una
situazione di conflitto e confronto
sia del tutto regolare ed accettabile. Ciascuno di noi ha il diritto
di avere una propria visione delle cose, delle idee su come organizzare e strutturare lo Stato, in
fondo ci sono parecchie opzioni presenti in politica, ciascuna
con una propria piattaforma e in
quanto tali portatrici di differenze
e se vogliamo anche di divisioni.
Ma la questione è che in Croazia
non esiste il dialogo. Nella società
contemporanea croata viene fatto un taglio netto tra il ‘noi ‘ e il
‘loro’, nel senso del ‘chi non è con
noi è contro di noi’ “.
fEtichettare
tutto e tutti
“Siamo testimoni di un continuo
etichettare le persone nella vita
pubblica e di una grande tensione, conseguenze queste della grave
crisi economica e delle frustrazioni subite da chi ha problemi di
sussistenza. È molto facile costruire l’odio sulla miseria e diffondere
‘tossicità’ nel tessuto sociale, problema che che coinvolge a catena
un po’ tutti.
La generazione di mezzo non riesce ad individuare prospettive di
vita ed è troppo vecchia oramai
per lasciare il paese. I giovani sono
frustrati, amareggiati e vogliono
andarsene a tutti i costi, e di fatto
lo fanno. Poi ci sono gli anziani
che sono oramai rassegnati e non
possono godersi la loro età d’oro,
né vantarsi della tanto meritata
pace, perché non hanno sicurezza
economica. Da questa situazione
di grave disagio e di caos, in cui la
politica dovrebbe avere, ma di fatto non ha, un ruolo risolutivo, non
se ne esce in nessun modo, anche
perché da questo ‘inquinamento’
del tessuto sociale a trarre profitto
è proprio la politica che si impegna
a sottovalutare, a sminuire le proposte della controparte. Alla politica oggi non interessa il dialogo,
preferisce nutrirsi di confronti e di
conflitti. Chi guarda la Croazia dal
di fuori vede un paese profondamente deluso, frustrato che viene
abbandonato da giovani con un
alto grado di istruzione, mentre
chi rimane è una fetta di popolazione che si rassegna e si lascia assorbire dall’odio e dall’insofferenza
nei confronti dell’altro, a prescindere da chi poi sia l’’altro’”.
I timori che una parte dei cittadini ha è che si stia rischiando di
ripiombare in un ambito sociale e
politico dei primi anni Novanta,
caratterizzato da grandi tensioni.
È una paura giustificata?
“Dalla paura nascono cose brutte.
Chi ha paura entra in un ambito
di irrazionalità, reagisce d’istinto
senza prendersi il tempo necessario per riflettere. In una situazione
del genere è molto facile rendere i
cittadini insofferenti, indirizzarli
ad accettare con gran facilità ciò
che gli viene propinato, far credere
loro chi sia di fatto il vero nemico.
L’élite politica croata, che in realtà
non è nemmeno un’élite, nel senso che non è riuscita a formarsi e a
strutturarsi in quanto tale, è la prima a potenziare queste divisioni e
a trarne dei profitti, a far passare i
propri regolamenti di conti come
un qualche cosa che sia di vitale
rilevanza per i cittadini.
Prendiamo l’esempio del ParlaPanorama
9
to parlamentare dovrebbe essere
un esempio di come dialogare, di
come farlo in modo argomentato,
Invece, ci vengono offerti esempi
e modelli di come non si discute,
di come, senza validi argomenti,
si esclude la ragione dell’altro, di
come l’appartenenza ad un branco
possa creare dei seri limiti anche
ad una persona che è in realtà ragionevole, ma che viene assorbita
dall’intolleranza del gruppo d’appartenenza, del branco, che induce
il deputato a dire cose in cui in realtà non crede. Questo è un pessimo messaggio e un comportamento inaccettabile che poi si riflette
sulla società e sulle istituzioni. La
responsabilità di questa situazione
è riconducibile sia ai partiti al governo che all’opposizione”.
Potremmo indicare almeno un
comunicatore in grado di lanciare
messaggi positivi?
“Se anche esiste, non riesce ad
emergere. Conduco una trasmisDamir Spehar/PIXSELL
mento croato: se il cittadino comune decide di seguire i dibattiti
in aula non riuscirà ad individuare
nulla di importante per la propria
vita, nulla che possa migliorare
la sua condizione. Il linguaggio
a cui assistiamo durante i dibattimenti è deplorevole. I deputati
non agiscono di comune accordo, tenendo conto in tal modo di
quello che è l’interesse comune. E
invece dovrebbero farlo, visto che
approvano leggi e documenti che
riguardano indistintamente tutti. Se una proposta è valida allora
questa andrebbe supportata da
tutti, sarebbe la cosa più normale
di questo mondo, ma ciò non accade. Il linguaggio a cui assistiamo
durante le discussioni in aula è, il
più delle volte, quello della strada.
Questo modello comunicativo poi
si riflette a livelli più bassi. Se in
Parlamento qualcuno si permette
di essere offensivo, volgare, perché ciò non potrebbe valere anche
per tutti gli altri? Il dibattimen-
sione radiofonica sulla RTV croata che si chiama ‘L’intervista della
settimana’ e molto spesso ho l’onore di ospitare persone molto
gradevoli, che dicono cose giuste
e interessanti. Ma se analizziamo
l’eco che queste interviste hanno, o
se vogliamo il numero di citazioni
che ottengono, allora ci si accorge
che hanno meno successo di quando ai miei microfoni si presentano
persone che si esprimono in modo
offensivo, lesivo dell’altro, forzando posizioni di estremismo...
Ecco sono queste le interviste che
poi saranno citate dalla stampa e
riportate con grandi titoloni. Se
invece ho un interlocutore che
propone: ‘sediamoci a tavolino, discutiamo serenamente del problema’... questo sarà un messaggio che
verrà recepito solo da un modesto
numero di ascoltatori. Noi come
società siamo piombati in una situazione in cui ci interessano ed
in cui reagiamo solo di fronte agli
estremi. Anche quando si tratta di
cose buone. Ed anche in quanto
individui compiamo le nostre scelte il più delle volte solo ed esclusivamente nell’ambito di questa fiera
di contrapposizioni ed esclusioni”.
fLe aspettative e la
grande disillusione
cc“Il peggio che possa accadere ad un partito è di deludere i propri elettori, e l’SDP lo ha fatto” - sostiene la
Popović -. “Ora bisogna vedere sino a che punto riuscirà a recuperare i consensi andati perduti”
10
Panorama
“Le aspettative di democrazia che
avevamo in passato, la speranza di
poter scegliere tra le proposte migliori, più giuste e consoni alla situazione in cui viviamo, sono state
nullificate, si sono ridotte ad una
scelta tra due opzioni in cui l’una
mette fuori campo e sottovaluta
del tutto l’altra.
Quello che i cittadini si aspettavano
dalla democrazia, come il diritto di
scegliere il meglio della proposta politica, il rispetto della diversità, l’accettazione della pluralità di proposte
e idee, non si è realizzato. Siamo costretti a pensare in modo unisono,
ad allinearci con l’uno o l’altro branco. A pagare l’alto scotto di questa
mancanza di flessibilità, tolleranza e
rispetto delle ragioni altrui, siamo in
ultima analisi tutti noi”.
Interviste
eeMilan Bandić
fI giovani?
Preoccupati e tristi
“I giovani in Croazia sono più preoccupati per l’atmosfera che regna
nel Paese che per il fatto di non
avere un lavoro. Molti ragazzi sostengono: ‘Voglio andarmene da
qui perché non ce la faccio più a
vivere in queste condizioni, non
nel senso che non ho i mezzi finanziari sufficienti per vivere, ma proprio perché qui non si vive più’. E
questa è forse la prima generazione, ma ciò riguarda anche l’Europa
che vivrà peggio dei propri genitori. I nostri genitori hanno sperato
per noi in un futuro migliore, così
i genitori di oggi sperano lo stesso, ma ciò non si avvererà, bisogna
spiegare ai propri figli che vivranno peggio dei loro genitori, in una
situazione di caos e di insicurezza”.
Le aspettative che i cittadini croati hanno avuto dall’ingresso della
Croazia nell’Unione europea erano grandi, ma qualche mese dopo
queste sono state disattese. Per
avere luce verde all’ingresso è stato
modificato l’assetto giuridico, sono
state realizzate tutte le condizioni
o, buona parte di quelle che l’Ue che
aveva richiesto, ma poche cose sono
cambiate. Cos’è andato storto?
“Qui il problema riguarda le aspettative che i cittadini hanno avuto.
Una parte della responsabilità va
attribuita alla politica che per realizzare i propri intenti ha diffuso
la tesi stando a cui, una volta entrati in Europa, le cose sarebbero
cambiate, in meglio naturalmente.
Nessuno ha avuto il coraggio di
dire: staremo meglio quando noi
stessi diventeremo migliori. I paesi
membri sono 28, non esiste a Bruxelles un ‘buon uomo’ con il compito di prendersi cura di tutti e 28
gli stati e risolvere i loro problemi.
Siamo entrati a far parte di un’organizzazione altamente burocratizzata, con proprie regole, molto
precise. Noi queste condizioni le
abbiamo accettate e abbiamo di
conseguenza modificato il nostro
assetto giuridico-istituzionale. Ma
non basta adeguare le leggi e i documenti fondamentali all’acquis
communitaire. Qui si tratta di vedere l’applicazione di queste leggi,
l’operato delle istituzioni che mettono in pratica la legge, ed è qui
che sono nati i problemi”.
fBandić e la sua rete
d’interessi trasversali
“Prendiamo in esame il caso del
sindaco di Zagabria, Milan Bandić,
un politico che da piccolo ‘apparatchik’ è diventato potentissimo,
costruendo negli anni la propria
rete di clientelismo e di sostegno.
La storia va avanti da 8-10 anni.
Nel momento in cui questi è diventato influente, conquistando
buona parte del corpo elettorale,
sono partite speculazioni in merito alle sue attività. La domanda
che ci dobbiamo porre è che cosa
ha fatto in questi anni la Procura?
Per me, in quanto cittadino, sarebbe stata molto importante una presa di posizione chiara e inequivocabile in cui si dice: sì ci sono 200
denunce a carico di Bandić, noi le
abbiamo analizzate, abbiamo fatto
delle inchieste e ci risulta che non
ci siano elementi che confermino
corruzione, clientelismo o illegalità. Può succedere, beninteso,
che denunce presentate a carico
di personaggi pubblici poi non abbiano fondamento, però in questo
caso tutti hanno taciuto e le denunce sono state insabbiate, messe
in qualche cassetto, nella speranza
che finissero nel dimenticatoio. È
un po’ come il caso dell’ex premier
Sanader, o dell’ex presidente della
Camera di commercio croata Nadan Vidosevic. Tutti erano a conoscenza del grande patrimonio
di Vidosević, ma nessuna delle
istituzioni preposte ha avuto la volontà di verificare la provenienza
di tali ingenti beni... Si è preferito
sorvolare la questione... anzi gli è
stato permesso di essere per lunghi
anni a capo di un’istituzione chiave per l’economia come la Camera
di commercio nazionale, di candidarsi alla carica di Presidente della
repubblica. Probabilmente ciò è
successo perché a quei tempi era
potente e incluso nell’HDZ, per cui
tutti hanno preferito tacere. Oggi
alcuni politici dell’HDZ sostengono di non aver saputo nulla delle
malversazioni compiute da Sanader. Ci sono coloro che del caso
Sanader hanno dichiarato: ‘non
abbiamo osato parlare’... e ciò testimonia della situazione mentale
Panorama
11
Patrik Macek/PIXSELL
rete di interessi, non una rete basata sull’accettazione di un programma politico”.
Lei condivide il parere che la rete
tessuta dal sindaco di Zagabria
Bandić sia stata più forte delle
istituzioni?
“Direi di sì. Il problema è che la
rete si è dimostrata più forte della
giustizia, ed è questo il motivo per
cui i cittadini hanno perso la fiducia nella giustizia. Se una causa va
avanti per dieci anni e non succede
nulla uno perde la fiducia nel sistema della giustizia. Se ci sono politici che fanno colazione e cenano di
continuo con giudici e magistrati,
che poi a loro volta hanno ottimi
rapporti con gli avvocati... per un
Paese piccolo come la Croazia ciò
rappresenta un problema. Inoltre,
noi come società non abbiamo
sviluppato i necessari meccanismi
di controllo. In un paese in cui la
democrazia è sviluppata è inaccettabile che un politico con sentenza
passata in giudicato si possa candidare. Purtroppo qui tali regole non
vengono rispettate”.
Sono mesi che un gruppo di reduci croati sta campeggiando in via
Savska a Zagabria lanciando continue minacce al governo. Chiedono la destituzione di alcuni ministri tra cui quello per i reduci Fred
Matić, reclamano maggiori diritti, una Legge costituzionale per i
difensori. Fino a che punto queste
richieste sono giustificate? Quanto è stato importante il sostegno
che hanno avuto dalla presidente
Grabar- Kitarović?
della nostra società. Nessuna delle persone coinvolte ha detto: ‘io
non voglio prendere parte a questo
sporco gioco, me ne ritorno a casa’,
a costo di perdere la posizione di
ministro o di altro funzionario. Se
il politico, l’uomo pubblico, ma
anche il cittadino, non hanno il
coraggio di puntare il dito contro
casi di corruzione, di violazione
della legge non merita di figurare
nelle liste elettorali. E invece ciò è
accaduto. La rete di Bandić era una
12
Panorama
“Tutti hanno il diritto di esprimere
il proprio malcontento, manifestare chiedendo le dimissioni di coloro di cui non sono soddisfatti. In
questo segmento la protesta dei reduci non è contestabile, non lo era
nel giorno in cui è iniziata e non
lo è nemmeno oggi a distanza di
cinque mesi. La questione è capire
sino a che punto la protesta sia di
fatto finalizzata alla soluzione del
problema dei reduci, considerato
che altri gruppi di difensori croati
sostengono che questa compagine né li rappresenta, né articola le
loro richieste e quanto, invece, la
protesta sia in funzione di un’opzione politica che usa i reduci per i
propri interessi e finalità e non ne
fa un segreto.
Se pensiamo agli inizi della protesta, allora ricorderemo che le
richieste sono state modificate, da
occasione in occasione, che non
sono state definite in modo chiaro e argomentato e che l’opinione
pubblica le ha percepite come parte di un grande gioco pollitico a
cui non vuole proprio partecipare”.
fI difensori avrebbero
potuto costituire un
partito
“I difensori avrebbero potuto costituire un proprio partito
politico, come lo hanno fatto i
pensionati e da quella sede articolare le proprie richieste. Invece, hanno puntato sulla carta
Davor Puklavec/PIXSELL
Interviste
della grande lacerazione e della
divisione della società croata.
Da questo contesto hanno tratto, e continuano a farlo, la loro
forza, richiedendo di essere considerati come il ‘quarto potere’,
come un gruppo a cui bisogna
rivolgersi per chiedere il parere, soprattutto quando si deve
decidere. Il supporto che a costoro è arrivato dalla presidente Grabar Kitarović nella notte
elettorale gli ha dato forza, con
questo gesto la presidente si è
nessa in modo inequivocabile
a loro servizio. Ricordiamo che
durante la campagna elettorale
ha promesso che avrebbe tentato di risolvere il loro problema.
Oggi è chiaro che questo non rientra nelle sue competenze e che
l’offerta di assumere il ruolo di
mediatore nella controversia tra
una parte dei reduci e il governo
non ha un vero e proprio peso e
che i reduci dovranno risolvere
le controversie con questo o un
futuro governo”.
ccLa presidente Kolinda Grabar Kitarović ha fatto
visita all’accampamento dei reduci di guerra
ubicato in Via Savska a Zagabria promettendo
di aiutarli
Il rating dell’SDP scende di giorno in giorno. Il partito è profondamente diviso e perde l’identità
di forza politica socialdemocratica. Quanta responsabilità va attribuita al presidente Milanović?
“Zoran Milanović, sin dal momento in cui ha assunto la carica di
presidente dell’SDP, ha avuto dei
problemi nel definire e imprimere
al partito la matrice di forza socialdemocratica. Ciò ha deluso quella
parte dell’SDP profondamente
tradizionalista che vedeva l’SDP
in primo luogo come un partito
di sinistra. Questo il motivo per
cui Milanović si deve assumere
una parte delle colpe, soprattutto
quella per la perdita di immagine
e il calo del rating, come pure per
aver perso le elezioni locali, quelle europee e quelle presidenziali.
Un’altra parte delle responsabilità
va attribuita ai tesserati del partito
che hanno continuato a guardare
con tranquillità come il loro partito si stava sgretolando sotto i loro
occhi senza intervenire sul campo
e senza intraprendere nulla nei
confronti dei cittadini che in passato glia avevano dato la fiducia. Il
peggio che possa accadere ad un
partito è di deludere i propri elettori, e l’SDP lo ha fatto. Sarà interessante vedere se riuscirà, e sino
a che punto, recuperare la fiducia
dell’elettorato di sinistra prima delle elezioni parlamentari”.
Nell’area di sinistra in Croazia
sono in atto interessanti cambiamenti e si fanno avanti nuove
forze. Mi riferisco a partiti come
OraH, Živi Zid, o al tentativo
dell’ex ministro Linić di raccogliere intorno a sé alcuni deputati
indipendenti di sinistra e costituire un nuovo gruppo parlamentare. Fino a che punto questi partiti
possono incidere sui futuri risultati elettorali dell’SDP?
“L’area politica di sinistra in Croazia si è frantumata a causa dell’SDP che si è rivelato inefficiente
e si è discostato dalla sua naturale
identità e definizione. Lo smottamento a sinistra è la conseguenza dell’abbandono del partito di
alcuni influenti membri che però
non hanno rinunciato alla politica continuando ad essere attivi.
È il caso di Slavko Linić il quale
ha deciso di correre da solo alle
elezioni, mentre al Sabor ha costituito un gruppo di parlamentari indipendenti di sinistra a cui
hanno aderito i deputati Vuljanić
e Vukšić, ex laburisti.
Mirela Holy, un’altra fuoriuscita dell’SDP, ha costituito il partito OraH, definendosi come
una sinistra ecologista, ma non
è riuscita ancora a stabilizzare il partito e nemmeno il corpo
elettorale, come neppure lanciare alcuni nomi importanti. Ivica
Pančić dal canto suo ha dato vita
all’’Iniziativa per la salvezza della
sinistra croata’, perché è convito
che l’SDP abbia perso tutta la sua
credibilità. Mi risulta che anche
l’ex presidente Ivo Josipović abbia
intenzioni di avviare un’iniziativa
con l’intento di coinvolgere il centro sinistra. Tutto ciò testimonia
del fatto che i politici hanno valutato che nell’area della sinistra
ci sia ampio spazio di manovra e
numerose possibilità di impegno.
Al momento però non sono usciti ancora con dei programmi ben
definiti in grado di attirare i voti
e l’interesse dei cittadini che condividono questo tipo di orientamento politico. In ogni caso queste iniziative rosicchiano il tessuto
dell’SDP e il sostegno che questi
ha avuto in passato. Ciò significa
che di fronte a questo partito si
prospetta una battaglia che dovrà
condurre su due fronti se vuole vincere le prossime elezioni:
quella contro l’HDZ e quella per
riconquistare il corpo elettorale
su di cui ha potuto contare in passato e che oggi, a causa di pessime
scelte e dell’assenza di una chiara
strategia di partito, ha perso”.
Panorama
13
attualità
Lo afferma Goran
Klemenčič, l’ex capo
della Commissione
anticorruzione, che oggi
ricopre la prestigiosa
carica di Ministro della
Giustizia nel governo
Cerar
Dimissioni?
Non ci penso
nemmeno!
di Stefano Lusa
L
a bomba è scoppiata alcune settimane fa.
I giudici hanno annullato il rapporto della
Commissione anticorruzione che puntava il
dito sull’allora premier Janez Janša. Nel documento si sosteneva che il primo ministro
non poteva giustificare introiti per 210.000 euro.
Un’analoga relazione aveva messo all’indice anche l’allora leader dell’opposizione Zoran Janković.
Quando i documenti vennero resi pubblici i
capi dei due partiti, che rappresentavano due
terzi dell’elettorato, ne uscirono fortemente
discreditati. Il governo di centro destra, a quel
punto, iniziò a dissolversi. I suoi alleati presero in maniera sempre più netta le distanze da
Janša e di lì a poco si aprì la strada ad una nuova maggioranza guidata da Alenka Bratušek,
un’illustre sconosciuta, a cui Janković affidò il
suo partito, Slovenia positiva, pur di consentire
che si formasse una nuova coalizione.
All’epoca il paese era entusiasta dell’operato
della Commissione. Sui giornali vennero versati fiumi di parole contro una classe politica
corrotta, arricchita ed incapace di giustificare
i propri proventi. Tra i cittadini, da tempo,
si stava rafforzando l’opinione, fortemente
alimentata dalla stampa, che il paese fosse
in mano ad una casta di privilegiati intenti
a fare solo i propri interessi. Nella percezione
dei cittadini la Slovenia era uno dei paesi più
corrotti d’Europa. In effetti non è così, ma con
la crisi la convinzione stava diventando sempre più forte.
fJanša vuole che
il ministro se ne vada
Janša fece fuoco e fiamme e sin da subito
cercò di ottenere, in tutti i modi, l’annullaeJanez
e
Janša, capo dell’opposizione in Slovenia, ha
chiesto la testa di Klemenčićč
14
Panorama
mento di quel documento. La sua tesi era che
la Commissione anticorruzione non gli avesse
dato modo di chiarire tutti i dettagli prima
della pubblicazione dei dati. Ora i giudici
hanno concordato con lui ed hanno invalidato
quella relazione non per i suoi contenuti ma
per vizio di forma. Un’analoga sentenza probabilmente arriverà anche per la relazione su
Janković.
Janša ed i suoi uomini hanno subito chiesto
la testa di Goran Klemenčič, l’ex capo della
Commissione anticorruzione, che oggi ricopre
la prestigiosa carica di Ministro della giustizia
nel governo Cerar. Klemenčič ha immediatamente precisato che l’idea non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello. La tegola
sull’esecutivo, però, non è da poco visto che
proprio Klemenčič è uno dei suoi uomini simbolo. Sotto la sua guida la Commissione era
diventata una sorta di santa inquisizione,
pronta a puntare il dito contro tutte quelle
che si credeva essere manifestazioni di corruzione. In un clima crescente di caccia alle streghe era stato Klemenčič, con i suoi uomini, ad
abbandonare l’organismo, con la motivazione
che nel paese non si faceva abbastanza per
combattere il dilagante fenomeno in tutte le
sue forme. Klemenčič, in quel momento, era
al massimo della popolarità e la sua commissione era l’istituzione, in assoluto, in cui gli
sloveni avevano più fiducia. A quel punto era
chiaro che per lui le porte della politica erano
spalancate.
La sentenza, secondo alcuni, è arrivata con
una strana tempistica; proprio mentre il governo aveva dato ad intendere che voleva
procedere sulla strada delle privatizzazioni. Si
tratta dei propugnatori della tesi che nel paese esistono forze oscure, legate al precedente
regime, in grado di muovere molti fili, che ora
starebbero agendo contro il governo, nel momento in cui hanno capito che Miro Cerar non
sarebbe stato un loro docile strumento nelle
loro mani.
A proposito
di dialetto
ccL’attuale Ministro della Giustizia, Goran Klemenčič
Per un disguido tecnico in fase di redattura è
saltato un pezzo dell’articolo di Stefano Lusa
“Identità confuse e pura razza istriana” in atto
un progetto di rivalutazione dell’istroveneto. Lo
riportiamo qui sotto scusandoci con i lettori e
con l’autore.
La redazione
Ad aggiungere legna sul fuoco c’ha pensato
anche la magistratura. La polizia ha messo in scena una spettacolare azione, in cui
sono stati convolti decine e decine di agenti. Perquisita la casa dell’ex premier Alenka
Bratušek, gli uffici del suo gruppo parlamentare e la sede del governo. Gli inquirenti
erano a caccia di prove a carico dell’ex primo
ministro per l’accusa di abuso di ufficio e
di interesse privato nella vicenda che aveva portato il suo governo a candidarla alla
carica di commissario europeo. La proposta,
finita miseramente per la Bratušek, aveva
sollevato una vera e propria ondata d’indignazione nel paese. L’ex capo del governo
era stata accusata di essersi autocandidata,
di non aver rispettato le procedure ed anche di essere una perfetta incompetente.
Subito si era mossa anche la Commissione
anticorruzione, che aveva fatto scattare una
indagine.
La decisa azione della polizia non ha mancato
di destare stupore. C’è stato chi si è chiesto se
il tutto non fosse altro che un tassello nella
lotta politica che si sta svolgendo nel paese,
mentre altri si sono domandati se non sarebbe stato meglio impiegare un così ampio
schieramento di forze per indagare su reati
ben più seri. In ogni modo la vicenda si è
riempita di tinte ancora più cupe quando è
emerso che il giudice che aveva firmato l’ordine per far scattare le perquisizioni, in passato,
non aveva mancato di lasciarsi andare, su
twitter, a commenti poco edificanti proprio
sulla candidatura della Bratušek alla funzione
di commissario.
Ottenuto l’ingresso nell’Unione europea,
nell’euro, in Schengen e nella Nato, la Slovenia ha da tempo raggiunto quelli che considerava obiettivi strategici. In un momento
in cui le ideologie paiono sono superate e il
margine per politiche autonome è limitatissimo non resta che mettere in atto una guerra
senza quartiere di tutti contro tutti.
Di scrittura in quella “lingua” gli italiani d’Istria
ne hanno prodotta tanta. L’hanno usata, fatto
salvo rare eccezioni, per raccontare il loro piccolo mondo idilliaco di una volta: i ritmi della
casa, della campagna, della pesca, le tradizioni, i gli usi ed i costumi. Tutta questa produzione è soprattutto servita a ribadire autoctonia e
radici profonde messe sul territorio, ma anche
a rimarcare la specificità di questa comunità.
In tempo di globalizzazione la costruzione
delle piccole patrie è un processo che sta prendendo piede da tempo in Europa, con risvolti
spesso negativi. È accaduto recentemente
anche nel Veneto, dove da alcuni anni si sta
addirittura inventando un “popolo veneto”. In
questo progetto non sono mancati nemmeno
coloro che sognano il referendum e l’indipendenza. Anche per loro, come per altri leghismi italiani, proprio il dialetto sembra essere
diventato il mito fondante su cui costruire la
propria nuova identità diversa da quella italiana.
Quelle ultime custodi del dialetto piranese,
con cui sono cresciuto, avrebbero guardato
a tutto questo con malcelato fastidio. Loro
non si sentivano venete, istriane o italiane
diverse, anche perché loro non avevano mai
creduto di essere jugoslave di nazionalità
italiana, come andavano dicendo il regime
ed i suoi cantori. Ci avrebbero fatto capire, con
garbo, che oggi - in una regione dove l’italiano
è sempre più povero e sempre meno presente
nella vita pubblica e privata - la vera e propria
sfida non è quella di preservare il dialetto, ma
quella di salvare l’italiano. Si sarebbero messe
a ridere di fronte a chi pensa che elementi di
dialetto dovrebbero essere insegnati anche
nelle scuole e avrebbero detto che i bambini
più che di radici hanno bisogno di ali per volare. Alla fine ci avrebbero spiegato che l’identità etnica non si trasmette con la scuola o per
volontà politica, ma che passa semplicemente
- come dimostrano fior di studi a riguardo - attraverso l’amore dei nonni.
fScoperchiato
il vaso di Pandora
Sta di fatto che non è dovuto passare molto tempo prima che si abbattesse un’altra
tegola sull’esecutivo. Proprio grazie ai dati
pubblicati della Commissione anticorruzione è emerso che alcuni membri del governo,
in qualità di professori universitari, avevano
incassato negli scorsi anni compensi considerati da favola dai giornali. La ministra
per l’istruzione, Stanka Setnikar Cankar, ha
immediatamente rassegnato le proprie dimissioni, dopo che era emerso che in una
decina d’anni aveva percepito guadagni
extra per 636.000 euro. Di fronte ad un vero
e proprio linciaggio mediatico difficilmente
avrebbe potuto continuare ad operare in un
settore dove stava chiedendo razionalizzazioni e tagli.
Scoperchiato il vaso di Pandora la polemica
ha coinvolto tutta la casta del mondo dell’università sloveno e quindi anche i membri
del governo che escono dalle sfere accademiche. Nel mirino anche lo stesso Cerar e
il suo arcigno ministro delle finanze Dušan
Mramor. Quest’ultimo non ha mancato di
liquidare chi gli chiedeva conto di quelle
entrate, con la considerazione che bisognava rendersi conto che adesso si era nell’economia di mercato e che il comunismo era
finito.
Ne è seguito un vero putiferio. Cerar si è
difeso dicendosi sorpreso del discredito
che si stava cercando di gettare sul governo ed ha invitato i cittadini a giudicare
il lavoro dell’esecutivo dai suoi risultati.
Come fa da decenni Janša e come aveva
fatto anche Pahor, ha subito rilanciato la
tesi della presenza di poteri occulti: “Si
aspetta un determinato momento - ha
detto - e poi si piazzano determinati dati,
che sono falsi o che vengono erroneamente interpretati”.
Panorama
15
attualità
L’Agenzia croata per
gli idrocarburi (CHA)
ha dovuto bloccare la
firma dei contratti con
le aziende pronte ad
iniziare le esplorazioni
nei fondali marini
croati alla ricerca di gas
e petrolio. A bloccare
le operazioni sono le
“preoccupazioni” emerse
fra gli Stati confinanti,
in particolare Italia,
Slovenia e Montenegro,
sull’impatto ambientale
che le operazioni
potrebbero provocare
nelle coste e nei fondali
A cura di Diana Pirjavec Rameša
L
a brutta sorpresa è arrivata proprio
sui blocchi di partenza per quello che è stato definito il maggior
progetto economico degli ultimi
decenni in Croazia: l’Agenzia croata per gli idrocarburi (CHA) ha
dovuto bloccare la firma dei contratti con le
aziende pronte ad iniziare le esplorazioni nei
fondali marini croati alla ricerca di gas e petrolio. Anziché ad aprile, dicono fonti riservate
all’interno dell’agenzia, i contratti non saranno firmati fino a giugno, nella più ottimistica
delle ipotesi. A bloccare le operazioni sono le
“preoccupazioni” emerse fra gli Stati confinanti, in particolare Italia, Slovenia e Montenegro,
sull’impatto ambientale che potrebbero provocare nelle coste e nei fondali dell’Adriatico.
Secondo le normative europee ed internazionali, la Croazia dovrà dare il tempo necessario
ai vicini di casa per presentare commenti e
rimostranze circa ogni potenziale rischio ecologico intravisto nelle future attività.
fI tempi si allungano
Si allungano quindi i tempi di attesa per le
compagnie che hanno ottenuto le licenze, e
che avrebbero dovuto firmare i contratti ad
aprile, esattamente un anno dopo il lancio
della gara da parte di Zagabria. Il tender,
chiuso a novembre 2014, è stato seguito
16
Panorama
Trivellazioni
nell’Adriatico:
una polemica
infinita
dall’esame delle candidature da parte di
una commissione apposita, che a gennaio
ha deciso di affidare i lavori a 5 compagnie
internazionali radunate in tre consorzi con
la concessione di 10 licenze in totale. Una
licenza è stata data al consorzio formato da
Eni e dalla londinese Medoilgas. Sette licenze
sono andate al consorzio tra la Marathon Oil
di Houston e l’austriaca Omv, ed infine due
licenze sono andate alla croata Ina e all’ungherese Mol. Il governo ha poi fissato al 2
aprile la scadenza per la firma degli accordi
con i vincitori del bando.
Le licenze hanno una copertura di due anni
per le esplorazioni, estendibili ad altri tre a
seconda delle valutazioni compiute nel corso dei lavori. Dopo il processo quinquennale, dovrebbe essere concessa una licenza di
25 anni per lo sfruttamento dei giacimenti.
A gennaio il ministro dell’Economia di Zagabria, Ivan Vrdoljak, ha reso noto che le
cinque compagnie investiranno, secondo
quanto previsto, 520 milioni di euro in totale, con un pagamento in anticipo di 13
milioni di euro al momento della firma dei
contratti. Un anno prima il ministro aveva
annunciato altre “grandi cifre” dichiarando
che le potenzialità estrattive sono di circa 3
miliardi di barili di petrolio - rileva l’agenzia
Italintermedia.
fE poi c’è la disputa
sui confini
L’affermazione non è riuscita a mettere d’accordo tutti gli esperti, ed è stata giudicata
da alcuni decisamente troppo ottimistica. I
ritardi, osservano ancora gli esperti più critici,
potrebbero inoltre essere dettati solo all’ap-
parenza da un irrefrenabile desiderio di tutelare l’ambiente: le vere ragioni potrebbero
infatti risiedere, nel caso di Slovenia e Montenegro, nelle annose dispute sui confini che, se
vinte a favore di questi due Paesi, potrebbero
far partecipare anche Lubiana e Podgorica
nella grande corsa all’oro nero dell’Adriatico.
L’ambasciata slovena a Zagabria aveva fatto
sapere, al momento dell’apertura del bando,
di “non concordare” con la divisione tracciata
sulle mappe sottomarine, perché fornirebbero una soluzione “anticipata” e soprattutto
unilaterale ad una disputa che attualmente
si trova ancora sotto procedura di arbitrato
all’Aja. In attesa di una soluzione ora la Croazia punta sulle “esplorazioni di terra” in Slavonia dove si ricercano giacimenti di gas.
reportage
Pietra
Pelosa
Esaurita la quinta fase
dei lavori di restauro e
risanamento conservativo
del maniero che vigila
sul Brazzana, nell’Istria
centrale
il castello
è salvo
testo e foto di Bruno Bontempo
N
ccPietra Pelosa al tramonto e (in alto)
vista panoramica da Mulinpiccolo
egli anni passati assieme alla ‘Voce del Popolo’, Romano Farina
mi parlava spesso
dell’Istria, che stava
setacciando da tempo con acume,
passione e un’attenta scelta di percorsi meno consueti: stava nascendo la
pregevole raccolta di “Itinerari istriani”, diventata poi un libro dell’Edit. Il
Panorama
17
reportage
racconto che ne uscì non mancò di
stuzzicare il mio interesse e la mia
curiosità per questo affascinante territorio, che mi riproposi di andare a
conoscere da vicino quando gli avrei
potuto dedicare più tempo... Ora un
po’ di quel tempo lo sto rubando,
inseguendo ogni occasione buona
per lasciarmi guidare dal flusso della
memoria di quelle narrazioni, alla ricerca di siti e località meno ovvi, ma
altrettanto pieni di fascino e storia...
E in questo ordine di valori si colloca a pieno diritto il severo castello di
Pietra Pelosa, nel Pinguentino, preziosa testimonianza di architettura
istriana del Medioevo, con oltre un
migliaio d’anni alle spalle. Costruito
per vigilare l’importante confluenza
della valle del Brazzana con quella
del Quieto e per controllare il tratto
tra Portole e Pinguente, per grandezza è secondo soltanto al castello di Pisino e mai è stato distrutto
completamente: la solidità delle sue
mura sembra in stretta simbiosi con
la natura dello sperone calcareo di
119 metri sul quale si innesta. La
sua importanza secolare è dovuta
alla posizione strategica: in cima a
un colle, a strapiombo sul torrente,
in un luogo perfetto per controllare
i transiti della via che dalla pianura
saliva a nord. Anche oggi, a quasi
300 anni dal suo abbandono, i resti
del maniero si presentano imponenti e il luogo silenzioso evoca ricordi
di armati e di cavalieri, mentre il sottostante pianoro tagliato dal corso
del Brazzana, sembra fatto apposta
per prestarsi a fare da teatro a giostre e tornei. E già si pensa ad una
possibile destinazione a uso pubblico, che avrebbe anche lo scopo
di implementare l’offerta turistica.
Ma cerchiamo di avere pazienza e
di non precorrere i tempi. È già un
segno positivo il fatto che in questi
ultimi anni in Istria si registri una
rinnovata sensibilità per un approccio conservativo al restauro strutturale, finalizzato principalmente alla
conservazione, al recupero ed alla
valorizzazione dei caratteri di interesse storico-artistico, architettonico
e ambientale. Ce lo conferma Nataša
Nefat, alto conservatore presso la
18
Panorama
Castello che vai, leggenda che trovi
I castelli, si sa, sono ricchi di storia. E la storia, talvolta, diventa mito. Dal mito alla
leggenda il passo è breve. Le leggende traggono spunto da vicende di una comunità, da
fatti storici e da eventi che si presumono realmente accaduti. E Pietra Pelosa non poteva
certo fare eccezione. Si racconta che nel 1625 i contadini della valle del Brazzana, legati
alla signoria da rigidi e insostenibili legami di sottomissione (se per gli ex servi della
gleba si erano attenuati quelli relativi alle persone, rimasero forti i vincoli che imponevano gli interventi dei proprietari sulla conduzione delle attività agricole), ad un certo
punto avevano deciso di manifestare il loro malcontento. Mentre erano impegnati nello
scavo di un fossato intorno al castello, inscenarono una sorta di sollevazione – tanto
legittima quanto azzardata e coraggiosa per l’epoca - rallentando visibilmente il ritmo
dei lavori. Accortosi di quanto stava succedendo, il padrone del castello, furibondo, salì
a cavallo, deciso a dare una lezione ai coloni che avevano osato protestare e, come era
d’uso all’epoca, voleva punirli con una serie di frustate. Si avvicinò all’orlo del fossato, ma
commise l’imperdonabile errore di scendere da cavallo e saltarvi dentro, perdendo così
in un attimo, non solo metaforicamente, la sua posizione di predominio, di signoria, di
supremazia nei confronti dei suoi contadini. Incoraggiato da questa fortuita sequenza
degli eventi, uno dei rivoltosi si scagliò contro l’odiato padrone, tagliandogli la testa con
un secco colpo di pala, e scatenò il propagarsi della sommossa. Il castello finì in balia
della rabbiosa vendetta dei coloni, saccheggiato e incendiato.
Storia o leggenda? Acquistato dalla Repubblica di Venezia nel 1420, ultimo resto della
signoria feudale dei patriarchi d’Aquileia in Istria, nel 1439 il castello era stato dato in
feudo ai marchesi Gravisi di Capodistria, che lo mantennero fino al 1625 quando - secondo alcuni documenti - venne distrutto da un furioso incendio. Incidentale!?
ccPietra Pelosa
Soprintendenza per la tutela dei monumenti dell’Istria con sede a Pola,
impegnata a seguire il progetto di
restauro e conservazione del castello
di Pietra Pelosa fin dai suoi inizi, che
risalgono al 1995. “Su iniziativa della
Città di Pinguente e del Museo Archeologico dell’Istria, il primo passo,
dal ‘95 al 2000, ha riguardato la chiesa di S. Maria Maddalena, all’interno
della quale sono stati ritrovati degli
affreschi risalenti al ‘500, oggi conservati al Museo civico di Pinguente
- ci ha spiegato l’alto consulente della
Soprintendenza -. Soltanto nel 2003
furono intrapresi i primi interventi
di manutenzione della struttura del
castello, ma in assenza di un progetto specifico, venne a mancare anche
un approccio sistematico. I primi
lavori erano limitati al risanamento
conservativo indirizzato al recupero
statico. Dapprima è stato necessario
provvedere alla messa in sicurezza
delle mura della struttura, sulle quali
erano state riscontrate serie lesioni
diffuse. In accordo con la Sovrintendenza regionale, il restauro vero e
proprio si è poi articolato in diverse
fasi ma parallelamente si è proceduto alle indagini archeologiche, catalogazione dei dati, operazioni di restauro e musealizzazione dei reperti
emersi dagli scavi. Un accordo di cooperazione importante, insomma,
che ha come obiettivo finale rendere
possibile una destinazione d’uso del
complesso che possa essere capace
di implementare l’offerta turistica”.
ccIl prospetto del castello di Pietra Pelosa.
A lato: la chiesetta di S. Maria Maddalena
La chiesa di S. Maria Maddalena
Parte integrante del
maniero, forse cappella di
corte, la chiesetta romanica
di S. Maria Maddalena
risale al periodo tra l’XI
e il XIII secolo. Struttura
a una navata, con un
campanile a vela a una
luce, è stata costruita con
pietra da taglio, ridotta in
conci regolari, all’interno
intonacati e affrescati.
Restaurata tra il 1999 e
il 2003 nell’ambito del
progetto di recupero di
Pietra Pelosa, frammenti
degli affreschi ritrovati
al suo interno sono
conservati al Museo civico
di Pinguente
fGrande contributo
della Regione Veneto
Il primo vero progetto di tutela di
Pietra Pelosa risale al 2008, con la
stesura della documentazione per gli
interventi al palazzo del castello, per
la messa in sicurezza delle sue parti
più a rischio e per sanare le crepe che
rischiavano di causare dei crolli con
danni irreversibili. Parallelamente
si è proceduto a una ricostruzione a
tappe, seguita da una serie di ricer-
che archeologiche che hanno aiutato
a indirizzare gli interventi di risanamento strutturale. L’operazione è stata seguita dall’Istituto croato per il restauro con sede a Roveria (Dignano),
con a capo il conservatore archeologo prof. Josip Višnjić (responsabile
delle unità dislocate del Dipartimento di archeologia terrestre), che tanto si è appassionato al progetto, da
sceglierlo come argomento della sua
tesi di master universitario. “I lavori di scavo sul sito ed i ritrovamenti
di cocci di ceramiche, oggetti di uso
quotidiano e ornamentale, reperti
metallici, di ceramica, numismatici,
monete, denaro, ci hanno permesso
di capire tante cose sullo sviluppo sociale ed economico e sullo stile di vita
in queste terre nel periodo intercorso
tra l’XI e il XVII secolo - ha precisato
il prof. Višnjić -. Reperti che ora sono
affidati al trattamento dei restauratori del nostro Istituto di Roveria. A
lavori conclusi si valuterà lo stato di
queste testimonianze e si deciderà
Panorama
19
reportage
Recupero e restauro, sei grandi progetti
Pietra Pelosa è uno
dei più importanti
interventi di recupero in
atto sul territorio istriano,
assieme al Castello di
Possert, le mura e il Palazzo
Comunale di Montona, le
mura di Fianona, il castello
di Chersano e Duecastelli,
progetto attivo ormai da una
quindicina di anni
se affidare i reperti al museo di Pinguente o a quello di Pola”.
Karmen Medica, dell’assessorato
comunale di Pinguente che cura la
tutela del patrimonio culturale, ci
ha fornito qualche ragguaglio sul
quadro finanziario del progetto, “che
soltanto dal 2008 è entrato in una significativa fase di pianificazione ed
ha potuto contare su un flusso abbastanza continuo di stanziamenti.
Mentre la municipalità di Pinguente
e la Regione Istriana hanno assicurato 50 mila kune annue ciascuna,
nel 2012 il progetto è stato inserito
in un programma triennale del Ministero della Cultura, valore totale
1,5 milioni di kune, che alla sua scadenza, quest’anno, ha permesso di
concludere la quinta fase di restauro
e conservazione del castello di Pietra
Pelosa, uno degli interventi più ambiziosi in corso di realizzazione sul
territorio istriano”.
Di grande rilievo anche il contribu-
ccPietra Pelosa, mura merlate e feritoie del cortile del maniero
to della Regione Veneto, dalla quale, nell’ambito della Legge regionale
del 1994 per il “Programma degli
interventi ed il conseguente riparto dei contributi per il recupero, la
conservazione e la valorizzazione
del patrimonio culturale di origine
veneta nell’Istria e nella Dalmazia”,
è atteso un versamento di 60mila
euro da aggiungere ai 50mila già versati qualche anno addietro. “Vorrei
esprimere la nostra gratitudine alla
Regione Veneto, senza i cui contributi finanziari il restauro di Pietra
Pelosa sarebbe stato messo seriamente in forse. Sono molto felice di
come procede la realizzazione del
progetto - ha ribadito Nataša Nefat -,
senza dubbio il più importante della
mia esperienza lavorativa in questo
campo, quello che mi ha dato le maggiori soddisfazioni, poiché in questi
sei anni l’ho visto crescere di giorno
in giorno, cambiare aspetto davanti
ai miei occhi. Lodevolissimo è stato
ccEx castelliere, fu trasformato in fortilizio
pure il lavoro di preparazione della
documentazione tecnica necessaria
per l’acquisizione di intese, pareri,
concessioni, autorizzazioni, licenze,
portato a termine con estrema professionalità dal competente assessorato della municipalità di Pinguente.
Al punto che siamo già pronti per
affrontare le fasi, ancora in fase di
studio, inerenti criteri e modalità per
il futuro utilizzo del castello - a lavori
ultimati - per manifestazioni, spettacoli e iniziative a carattere turistico”.
ccL’ombra del Castello sulla valle del Brazzana. Sullo sfondo i monti della Ciceria
20
Panorama
eventi
ccL’introduzione svolta da Gianclaudio de Angelini
ccMirella Sartori ha illustrato le finalità e i contenuti esemplari del Vocabolario
Un tocco dei Lussini a Roma
A
ll’inizio di marzo, presso la biblioteca
San Marco annessa alla chiesa del
Villaggio Giuliano di Roma, si è svolta la presentazione del “Vocabolario
imperfetto della parlata dei Lussini”
di Mirella Sartori. L’evento è stato sponsorizzato, con autofinanziamento, dalla Mailing List
Histria, l’Associazione per la Cultura Giuliana,
Fiumana e Dalmata del Lazio e dalla Comunità degli Italiani di Lussinpiccolo. Sala piena: per alcuni presenti era la prima volta che
partecipavano ad una iniziativa del genere.
Mirella Sartori, di madre lussignana, ha trascorso
lungo tempo nella bellissima isola e, dopo aver
raccolto e vagliato moltissimo materiale, ha pubblicato grazie alla Comunità italiana di Lussinpiccolo, questo godibilissimo Vocabolario. Sempre a
cura di Mirella e di suo figlio Corrado, si è potuto
anche visionare un bel documentario sull’isola, e
ascoltare il Coro della Comunità di Lussinpiccolo.
L’introduzione è stata svolta da Gianclaudio de
Angelini, che ha spiegato gli aspetti linguistici
dei dialetti istroveneti e romanzi dell’Adriatico orientale. Alla fine non poteva mancare
un pezzo delle famose “Maldobrie”, quelle
dello scartassin dei denti (uno per tutto l’equipaggio), da riparare perché troppo consunto.
Eufemia Giuliana Budicin ha invece trat-
Al Villaggio
Giuliano della
capitale italiana
si è svolta la
presentazione del
«Vocabolario
imperfetto
della parlata
dei Lussini» di
Mirella Sartori
teggiato la storia culturale di Ossero, rimarcando la continuità della lingua e
cultura latina della sua diocesi dopo la
caduta dell’Impero romano d’occidente.
ccEufemia Giuliana Budicin ha tratteggiato la storia culturale di Ossero
Ha quindi preso la parola Mirella Sartori che ha
illustrato le finalità e i contenuti esemplari del
Vocabolario, seguita da un attento pubblico che
nel frattempo aveva riempito tutta la sala. Alla
fine ha portato un saluto la prof.ssa Maria Ballarin, nata a Roma da genitori lussignani doc.,
che ha aggiunto altre interessanti informazioni
sull’isola incantata e la sua trimillenaria storia.
Tutti gli interventi hanno posto l’accento
sulla felice commistione fra le parlate dell’isola, per cui qualche parola allogena veniva
impiegata nell’istroveneto e moltissime
parole di matrice italica connotavano il
ciacavo locale, come d’altronde avveniva
in tutto il Quarnero e la costa dalmata. E
questo senza causare nessun particolare
problema nella popolazione che conviveva
pacificamente. Ne è seguito un dibattito,
con la partecipazione di un’altra lussignana
Adriana Martinoli e varie domande da parte
di un pubblico attento e molto interessato.
In conclusione, un brindisi con Malvasia
istriana e Sangue Morlacco per annaffiare
le squisite pinze fatte da Mirella e altri dolci
tipici confezionati dalle signore convenute.
ccLa prof.ssa Maria Ballarin
Panorama
21
società
«Più cultura meno pau
marcia per l’integrazione
di Marino Vocci
D
omenica 8 marzo è
stata una giornata
davvero particolare
e di grande bellezza.
Ho avuto infatti la
splendida opportunità di festeggiare la giornata della donna nel cuore
dell’Appennino tosco-emiliano, nella piazza della Libertà a Porretta Terme, quasi a metà strada tra Firenze e
Bologna, partecipando insieme ad
alcuni amici triestini, istriani e serbi
alla marcia per l’integrazione sociale: “Più cultura meno paura”. Una
marcia, così era scritto nel manifesto
d’invito, per l’integrazione sociale,
22
Panorama
pensata dopo i tragici eventi di Parigi e le stragi che quotidianamente
ci sgomentano, e nata dal bisogno di
guardarci negli occhi per superare
le differenze ed iniziare un percorso
che porti ad una vera conoscenza tra
le diverse persone.
La manifestazione godeva del patrocinio delle amministrazioni pubbliche locali e delle associazioni culturali toscane e emiliane, ma anche di
associazioni di immigrati e comunità islamiche ed è stata organizzata
da due donne. Anche e non solo per
questo, essere lì è stata una straordinaria occasione per ricordare l’ottomarzo. Infatti nel mio intervento ho
voluto ribadire che la terra MADRE
è di tutti, ripeto di tutti noi, donne e
uomini e donne, bambine e vecchie,
bianchi e neri, cristiani e mussulmani, ebrei e buddisti. La manifestazione è iniziata nel segno della Pace con
il saluto “la pace sia con Voi” eseguito da as-salām ‘alaykum (“la pace sia
su di voi”), il saluto che ogni musulmano rivolge, ed equivale all’italiano
“ciao” o “buongiorno”. Quello che
mi ha particolarmente toccato è stato che alla risposta wa ‘alaykum assalām “e con voi la pace”, l’Imam ha
pregato scandendo una Sura, termine arabo usato per indicare ognuna
delle 114 ripartizioni testuali (grossolanamente “capitoli”) in cui è diviso il Corano. Già questo, per molti
di noi, che non conoscono niente
del nostro prossimo mussulmano e
ura»
sociale
La manifestazione di Porretta Terme
è nata dal bisogno di guardarci negli
occhi per superare le differenze ed
iniziare un percorso che porti ad una
vera conoscenza tra le diverse persone
quindi anche del Corano, è stata una
cosa importante. Così come è stato
significativo che l’Imam abbia scelto
la Sura XIX, quella dedicata a Maryam, a Maria. Una Sura che è gesto
di pace, di amore, di riconoscenza e
di amicizia profonda nei confronti
della nostra Maria, madre del nostro
Dio. In quella fredda domenica di
marzo, “In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso” si
è voluto riscaldare il nostro cuore
e ricordare che: Maria è la donna
tramite la quale Allah - gloria a Lui
Altissimo (così stava scritto nel testo
in lingua italiana distribuito a tutti i
presenti n.d.r.) - ha voluto dare un
segno particolare: “In verità o Maria, Allah ti ha prescelta; ti ha puri-
ficata e prescelta tra tutte le donne
del mondo” e il segno è stato Gesù
il suo figlio, nato per volontà dell’Altissimo, divina creazione nella generazione umana: “… un segno per
le genti e una misericordia da parte
Nostra. Tutta la vicenda di Maria è
dolcemente contraddistinta dall’abbandono ad Allah e da una purezza
delle intenzioni che ne fa una figura
angelica;l’inviato di Allah (pace e benedizione su di lui) disse che Maria,
insieme a Fatima, Khadija e Asiya (la
sposa di Faraone che salvò Mosè dal
Nilo) è una delle signore del Paradiso. Una preghiera che è soprattutto
uno straordinario esempio di come si
dovrebbe favorire la reciproca conoscenza superando diffuse ignoranze,
stereotipi e pregiudizi e riconoscersi
reciprocamente. Così come ho trovato straordinaria la manifestazione di rispetto e amore profondo nei
confronti della donna, nell’intervento del rappresentante della Comunità Musulmana di Marzabotto. Che
ha definito la donna non come l’altra
metà del cielo, ma colei che dando la
Vita, è il Cielo intero.
Mi ha colpito poi la scelta dell’insegnate Raffaella Zuccari Guccini di
far leggere alle proprie studentesse,
donne cristiane e musulmane, immediatamente dopo la preghiera
dell’Imam, alcuni articoli della Costituzione della Repubblica Italiana.
Una delle Costituzioni migliori al
mondo, spesso offesa e non applicaPanorama
23
ccLa chiesa di Sambuca pistoiese
ta e che purtroppo si vorrebbe modificare e tradire. Una lettura piena di
valori anche simbolici, che ribadisce
la centralità della laicità dello Stato,
infatti se crediamo, e io lo credo fortissimamente, che si debba costruire una Comunità unita e aperta che
metta al centro l’individuo, lo Stato
deve garantire pari diritti e pari doveri e prima di tutto pari opportunità
a tutte le cittadine e cittadini, e proprio nei momenti di crisi non solo
economica ma soprattutto di valori, come quello che stiamo vivendo,
deve ascoltare i buoni maestri quelli
che difendono i valori dell’unità e
del convivium e rifiutare le brutali
e ignoranti semplificazioni e la violenza soprattutto quella verbale. Un
ottomarzo interessante che mi ha
fatto conoscere un pezzo bellissimo
e purtroppo abbandonato, del Belpa-
ccLe mura del Castello di Sambuca pistoiese
ese. Infatti non lontano da Porretta,
ho visto per la prima volta Pàvana
(proprio con accento sulla prima a)
un piccolo paese in cui uno dei più
grandi cantautori italiani di sempre,
Francesco Guccini, ha trascorso un
breve periodo nei suoi primi anni
vita “tirato su a castagne ed erba spagna” nella casa accanto al mulino di
famiglia e dove, da una decina d’anni, è ritornato a vivere.
E poi, Sambuca Pistoiese un Toscana, di cui Pàvana è la frazione più
importante e popolosa. Ma il luogo
che mi ha colpito di più è stato il piccolo e bellissimo paese di Sambuca,
oggi quasi completamente abbandonato. Il suo castello, immerso nei
boschi ricchi di conifere e castagni
che domina la valle del Limentra,
si trova proprio sul confine tra Toscana ed Emilia, lungo la via Fran-
cigena tra Pistoia e Bologna ed è
stato costruito nel 1055 dal vescovo
di Pistoia Martino per difendere
il territorio dalla minaccia di Bologna. Il nome di Sambuca deriva
proprio dal Sambuco (Sambucus
nigra) molto diffuso nei boschi di
quel territorio. Questo luogo racconta la storia dei conflitti di ieri
e anche una bella storia legata ad
una donna, Selvaggia Vergiolesi,
discendente da una nobile famiglia
ghibellina che visse nella Rocca di
“Poggio di Marco” vicino a Piteccio
fino a che il suo castello fu assediato
e incendiato dai Guelfi (…gli odiati
nemici!). Lei riuscì a fuggire grazie
ad un cunicolo, scoperto nei giochi
da bambina, e a raggiungere prima
il castello di “Batoni” e infine quello
di Sambuca, nel quale finalmente
potè sentirsi protetta per la nota
inespugnabilità di questo castello. Vi rimase fino a quando morì
nel 1313. Un tempo a Sambuca,
con la sua bella chiesa, il convento e la pretura vivevano centinaia
e centinaia di persone. In questo
ottomarzo 2015 tra le centinaia di
case con le imposte tutte chiuse, ad
accoglierci nel loro caldo ostello e
ristorante c’erano solo due persone:
il cuoco, l’eroico Andrea Lollini (già
assicuratore e sindaco) e sua moglie
Alessandra. Quale sarà il futuro di
questo luogo, di vita e bellezza o di
morte e abbandono, non è dato sapere. Forse questo pezzo bellissimo
della montagna, oggi abbandonata,
domani ritornerà a vivere proprio
grazie agli immigrati.
eeIl mulino di Francesco Guccini detto Chicon bisnonno
del cantautore e scrittore Francesco Guccini
24
Panorama
dossier
Comunità
Cittanova: una CI
di antica costituzione
Dispone di una delle più belle sedi con l’estivo
ed è situata nel centro storico della cittadina
conosciuta per il suo Mandracchio
Panorama
25
ccIl coro “Cittanova Vocalensemble”
ccLa presidente Paola Legovich Hrobat
C
di Ardea Velikonja
ittanova, una bella cittadina affacciata sul mare
e caratterizzata dal suo
Mandracchio, ha una
delle più belle sedi della
Comunità degli Italiani. Completamente rifatta nel 2010 è una delle poche che ha pure un estivo nel centro
storico. A dirigere la CI è Paola Legovich Hrobat che abbiamo incontrato
per farci raccontare la sua storia.
ccL’estivo che dovrebbe venir in parte coperto
26
Panorama
“La nostra Comunità ha una strana
genesi, nata come Società di calcio
‘Cittanovese’ nel 1948 fu attiva fino
al 1952 quando fu aperto il Circolo
Italiano di Cultura che ebbe come
fondatore e primo presidente Alfredo Zaccaron. Una CI quindi di
antica costituzione. L’attività vera e
propria inizia con gli anni Sessanta
quando nella dimora attuale, che
era sede dell’allora scuola elementare, soprattutto gli insegnanti e il
preside della scuola facevano attività anche per quanto riguardava
la Comunità. Quindi nella scuola
al pomeriggio c’era il gruppo filodrammatico, il coro e si tenevano
sempre i gruppi sportivi, non più
tanto il calcio quanto le bocce la
cui squadra oggi si presenta a tutti i tornei. Questa è la storia degli
anni precedenti. Mi ricordo che
quando frequentavo la scuola elementare appunto anche alla sera si
proiettavano dei film che arrivava-
no da altre comunità e questa era
un’attività molto gradita dai cittadini perché il cinema non era alla
portata di tutti e qui arrivavano
film un attimino più nuovi. Sotto
c’era anche una sala adibita a tutto
con la TV e molta gente passava la
sera qui a guardare la televisione
ed i più anziani facevano la loro
partitina a carte. Poi pian pianino
negli anni la scuola si è trasferita,
ha avuto la sede attuale e ci hanno
donato questa casa. L’estivo invece
ci è stato donato dalla Regione. Io
sono al quarto mandato come presidente e quando ho iniziato c’era
in atto il progetto per la ristrutturazione. Con molto lavoro, molte
peripezie, molti inconvenienti che
caratterizzano simili progetti, ce
l’abbiamo fatta. Nel 2010 abbiamo
inaugurato la nuova sede. Gli ambienti che prima erano aule scolastiche sono stati tutti trasformati
per le necessità della parte amministrativa, archivi, sale riunioni
e quindi tutte le sale adibite alla
nostra attività. L’inaugurazione è
stata una bella festa alla presenza
anche del presidente della Repubblica Ivo Josipović, che era appena
subentrato nella carica, e di tutti
i vertici dell’UI e dell’UPT. È stata una bella inaugurazione che ha
dimostrato che tutta la cittadinanza ci rispetta e ci valuta. Una festa
memorabile. E da allora usiamo
questa sede per le nostre attività:
sportive, che logicamente si svolgono esternamente, poi c’è il grup-
dossier
Comunità
Un fattore
fondamentale
della vita
sociale
po artistico, che si ritrovano due
volte alla settimana con il maestro
di pittura, poi c’è un gruppo fotografico molto attivo, attività che si
rispecchia nella Foto Ex Tempore
che è arrivata alla decima edizione, poi abbiamo un gruppo di attività creative come possono essere
il decoupage e altre lavorazioni
fatte per varie manifestazioni, per
allestire mercatini a scopo solidale. Abbiamo anche un laboratorio ecologico molto valido in cui
si preparano prodotti per l’igiene
della casa, tutti a base naturale,
con prodotti che non inquinano
e quindi rispettano l’ambiente, la
stessa cosa per quanto riguarda l’igiene personale, la cosmesi, e poi
fanno ancora saponi, deodoranti e
sono attivi da cinque-sei anni.
Stiamo cercando di far partire un
gruppo filodrammatico perché
non abbiamo abbastanza gente interessata. Poi c’è il coro che ha festeggiato 25 anni di attività e anche
loro sono regolarmente presenti in
Comunità. Abbiamo ancora dei
corsi di fotografia extra del gruppo fotografico, corsi di ballo, e poi
magari quando qualcuno viene e
proporci di fare un corso su qualcosa di attuale per noi è il benvenuto. Capitano spesso persone,
come per esempio pensionati italiani che si sono trasferiti qui, che
vogliono mostrare le loro attività
artistiche o culturali e diamo loro
spazio. Oltre ai due fiori all’occhiello, ovvero la Foto ex tempore
Sindaco di Cittanova è il connazionale Anteo
Milos e, come a tutti, gli abbiamo chiesto
come sono i rapporti tra la CI e il Comune e
cosa significa la Comunità degli Italiani per
Cittanova.
“La CI di Cittanova è uno dei fattori fondamentali della vita sociale e culturale della nostra
città. Le varie attività portate avanti in modo
professionale dalla Comunità sono un punto di ritrovo dei Cittanovesi, giovani e meno
giovani, ma anche di tanti cittadini italiani
residenti a Cittanova. La città è partner finanziario in molti di questi programmi ma non
solo, partecipiamo anche direttamente alle
manifestazioni organizzate assieme all’Ente
turismo. Questo è un connubio desiderato e
sostenuto fortemente da entrambe le parti.
L’espressione dell’italianità del territorio va
sostenuta tramite la cultura, il modo di vivere
e di fare le cose e credo che a Cittanova, come
anche in altre realtà istriane ci siamo riusciti.
Come sindaco appartenente alla minoranza italiana continuerò a supportare tutte le
attività della nostra Comunità e invito tutti
i cittadini di Cittanova a fare parte di questo
progetto comune per il benessere di tutti”.
e la Gara dei dolci, la nostra Comunità organizza, specie d’estate
dato che siamo nel centro di Cittanova che è una cittadina turistica,
spesso delle serate culinarie a cui
invitiamo anche i nostri produttori
di vino, olio e miele a presentarsi
ai turisti. E ogni serata è molto frequentata. Abbiamo anche la Slow
food e quindi si organizzano dei
corsi che finiscono con delle degustazioni. Quindi anche queste manifestazioni stanno per diventare
tradizionali.
Mi chiede quanti sono gli iscritti
alla Comunità: sono circa 800, i so-
Lo ha detto
il sindaco di
Cittanova, Anteo
Milos, parlando
della Comunità
degli Italiani
stenitori ancora un centinaio su una
popolazione di 4000 abitanti. Quindi siamo ad una buona percentuale, per essere una cittadina piccola
abbiamo una situazione soddisfacente. Quello che è il punto dolente,
come del resto credo lo sia in tutte
le altre CI, sono i giovani. Sono inclusi pochissimo nella vita comunitaria, abbiamo cercato di fare delle
riunioni con loro per capire che
cosa vorrebbero e di cosa hanno
bisogno di modo che la comunità
vedesse di dare questa possibilità,
ma non sapevano neppure loro che
cosa volessero. Volevamo creare
Panorama
27
qualcosa che stesse bene a loro per
averli con più sicurezza. Si parlava
di fare un club di bicicletta, oppure,
visto che siamo sul mare, un club di
vela, o di organizzare qualcosa. Eravamo partiti con buoni presupposti
però non siamo riusciti a realizzare
niente. Cittanova ha una popolazione abbastanza matura, i giovani
sono meno presenti proprio nell’età
in cui dovrebbero venire in Comunità perché magari studiano altrove
e quindi non possiamo averli qui.
E questo ci rattrista perché io, per
esempio, essendo al quarto mandato avrei bisogno pian pianino di
inserire qualcuno su questa strada
però purtroppo non c’è gente che
riesca ad essere presente costantemente. La scuola e l’asilo adesso vanno bene, con il cambio del
preside e dell’organizzazione sono
molto più presenti di quanto lo erano negli anni precedenti. Spesso li
invitiamo anche noi, facciamo delle
cose adatte ai bambini in base agli
accordi presi con le educatrici e con
il preside della scuola. Neanche un
mese fa il preside ha messo nel calendario scolastico la visita alla Comunità e abbiamo avuto qui i bambini delle inferiori, io ho presentato
loro la nostra CI e tutto ciò che facciamo, anche se alcuni lo sapevano
perché fanno parte dei Minicanti
che abbiamo ripreso da poco a organizzare. Quindi posso dire che è
meglio di quanto lo era negli anni
precedenti, però io direi che si può
fare sempre meglio ancora e anzi lo
speriamo perché se no qua la Comunità ha un destino poco invidiabile, come del resto in tutte le CI”.
ccI prodotti ecosostenibili creati dalle valenti mani delle attiviste
ccUna delle tante mostre del gruppo artistico
Come sono i rapporti con il Comune e il sindaco?
“Adesso stiamo vivendo un periodo molto bello, un rapporto molto efficace, collaborazione totale
proprio grazie alla presenza del
sindaco attuale che è di nazionalità
italiana e nell’ambito delle possibilità riesce sempre a trovare il modo
di aiutarci e poi anche noi facciamo le attività in base a quanto ci
dice, se abbiamo bisogno di altri
aiuti anche finanziari, creiamo del28
Panorama
ccI Minicanti hanno ripreso l’attività
dossier
le manifestazione assieme anche
all’Ente turistico e quindi direi che
è un momento buono e cerchiamo
di sfruttarlo il più possibile non
solo per ricavarne qualcosa ma per
creare quante più attività possibili. Purtroppo tutti i Comuni tutti
sono in crisi per quanto riguarda i
bilanci però nell’ambito delle possibilità troviamo sempre un buon
riscontro e poi la nostra sede si
presta ad attività e a presentazioni,
manifestazioni e riunioni di qualsiasi genere perché siamo ben attrezzati e quindi anche il Comune
sfrutta spesso la nostra sala multimediale per presentazioni anche di
progetti europei”.
Quali sono i desideri della vostra
Comunità?
“I nostri desideri sarebbero la realizzazione del progetto in atto
ovvero della copertura di parte
dell’estivo che ci farebbe molto
comodo per le attività nelle mezze stagioni perché la sala multifunzionale è troppo piccola per
contenere tutti gli interessati.
Ecco perché la Gara dei dolci che
doveva esser fatta in autunno l’abbiamo spostata perché c’è una tal
presenza di pubblico che non riusciamo a farla. Quindi per questo
estivo c’è già un progetto, un concorso, e siamo già da quattro anni
che tentiamo di iniziare i lavori,
Comunità
i finanziamenti ci sono ma non
riusciamo a decollare con questo
progetto. Ecco questo è il desiderio più grande e più immediato
che vorremmo realizzare. Poi c’è
quello di poter attirare i giovani,
ma non sappiamo come, e poi di
avere soci che si prestino di più
all’attività della Comunità perché
gli iscritti son tanti però al momento in cui bisogna lavorare e
creare sono sempre pochi. Quindi
mi appellerei a loro tramite voi ad
una miglior presenza in Comunità quando si fanno queste attività.
E poi, se il pubblico fosse maggiore in quanto a numeri ci farebbe
piacere”.
Due i fiori all’occhiello
Tra le tante manifestazioni che la Comunità
degli Italiani promuove a Cittanova ci sono
due fiori all’occhiello ovvero la Foto Ex tempore e la Gara dei Dolci, ambedue arrivate
alla decima edizione e quindi sono tradizionali. La dirigente del gruppo fotografico Miranda Legovich porta avanti ormai da dieci
anni il gruppo fotografico e organizza lei
l’Ex tempore. Non è una manifestazione da
poco, si parla di due-tre giorni di solito in cui
tutti i fotografi sono a Cittanova, poi viene
dato un tema che deve avere i soggetti per
le fotografie, bisogna preparare l’ambientazione, organizzare le trasferte.
La Gara dei dolci non ha un dirigente ma ha
un protocollo che negli anni si è perfezionato. Abbiamo iniziato con delle serate vicino
al camino perché nella sede prima avevamo
anche un camino e lì si invitavano le signore più anziane a raccontarci le storie di una
volta. E poi loro hanno iniziato a portare dei
dolci per questa serata “Vicin el camin” e da
li è sorta l’idea di una gara di dolci, di dolci
fatti in casa. E infatti nei primi anni c’erano
solo dolci fatti dalle nostre attiviste, solo
dolci tradizionali. Poi abbiamo visto che
pubblicizzando la cosa c’erano tantissimi
interessati e quindi c’erano tante leccornie
che abbiamo dovuto dividerle per categoria:
non erano solo i dolci tradizionali ma anche
quelli più belli, più buoni perché siamo arrivati ad avere anche 80 dolci con un pubblico
che faceva la fila per degustarli. Quindi abbiamo invitato anche le altre Comunità e si
sono presentati anche da Lussino, Fiume, Albona ecc. Negli ultimi due-tre anni abbiamo
ccLa Gara dei dolci
allargato anche alle scuole alberghiere in cui
hanno un corso di pasticceria e ai pasticceri della zona. Quindi abbiamo le categorie
delle casalinghe, dei professionisti e della
scuola. Nella giuria abbiamo sempre due
professionisti poi c’è stato anche il sindaco e
altri come giornalisti o chi vuole parteciparvi. Il tutto finisce con una gran degustazione. Quest’anno avremo anche i bambini che
in casa fanno dolci con le mamme o con le
nonne e saranno una categoria a parte. Speriamo di riuscire quest’anno a fare due gare
una primaverile e una in autunno magari
nel nuovo estivo.
eeL’Ex tempore di fotografia
Panorama
29
I
di Fulvio Salimbeni
l 2015 essendo non solo l’anno centenario dell’ingresso
dell’Italia nella Grande Guerra, ma anche il settantesimo
dalla conclusione del secondo
conflitto mondiale, il cinema ha riscoperto tale soggetto, dedicandogli
non pochi film, che in genere, come
ha notato il critico Paolo Lughi in un
intervento sul “Piccolo” di Trieste
dello scorso 21 marzo, hanno le vicende belliche soltanto come sfondo
storico, essendo incentrati piuttosto
su quelle private, di prigionia, d’onore, vendetta e perdono, arte e cultura
(The Monuments Men). In tale filone
si colloca pure Suite francese, diretto da Saul Dibb, da poco sui nostri
schermi e tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice ebrea Irène
Némirovsky (1903-1942), che aveva
potuto scriverne soltanto le prime
30
Panorama
due parti sulle cinque previste, nell’estate del 1942 essendo stata arrestata
dalla polizia francese e consegnata
ai tedeschi, che la deportarono ad
Auschwitz, dove poco dopo morì.
Il manoscritto fu scoperto dalle figlie nel 1992 e pubblicato nel 2004,
venendo tradotto in italiano da
Adelphi e poi ripubblicato dai principali editori nazionali (Feltrinelli,
Newton Compton, Garzanti), riscuotendo un immediato e meritato
successo.
Se qui si parla della sua versione cinematografica, ben riuscita, grazie
alle brave attrici e attori, alla fotografia e alla suggestiva colonna sonora,
è perché dalla sua visione se ne possono ricavare numerosi interessanti
spunti storici, che sono in grado di
sollecitare l’attenzione dei giovani e
degli studenti, che di tali vicende ne
sanno poco o niente. Già altre volte
s’è avuto modo di rilevare come or-
mai vi sia uno specifico filone storiografico sui proficui rapporti tra cinema e storia, a partire dai pionieristici
lavori di Marc Ferro, e Suite francese
rientra in pieno in tale feconda prospettiva metodologica.
fIl soggetto storico
Tralasciando il risvolto estetico del
film, che in questa sede non interessa,
qui è al soggetto storico che si guarda. La vicenda si svolge nell’estate del
1940, al tracollo della Francia invasa
dall’esercito tedesco, iniziando con
la descrizione della fuga dei francesi
dalla capitale e dai territori minacciati dall’avanzata delle armate nemiche,
mettendo in primo piano il dramma
della popolazione civile, delle colonne di fuggiaschi mitragliati e bombardati dall’aviazione germanica, il
difficile adattamento con i provinciali che li vedono arrivare nei loro
la storia
eeLa versione cinematografica è ben riuscita grazie alle brave
attrici e attori, alla fotografia e alla suggestiva colonna sonora
Fare storia
contemporanea
con il cinema
e la letteratura
Suite francese, dal libro di Irène
Némirovsky al film di Saul Dibb
paesi, il che rimanda ad analoghe
situazioni sperimentate pochi anni
dopo dai profughi giuliani e dalmati
una volta riparati in Italia per sfuggire alle violenze dei partigiani di Tito,
come ha appena ricordato Silvia Polo
nel saggio, tra storia e letteratura, La
memoria in esilio, di cui parleremo
in uno dei prossimi interventi. Ed è
in provincia, a Bossy, che si dipana il
nucleo centrale del racconto, imperniato sulla vicenda sentimentale che
ha per protagonisti la francese Lucile
e il tenente tedesco Bruno von Frank,
acquartierato nella dimora nobiliare
della giovane, che viveva con l’aristocratica suocera, il marito essendo
prigioniero in Germania. L’ufficiale
si rivela ben presto persona sensibile e colta, amante della musica e del
pianoforte, sul quale suona appunto
la “Suite francese”, da lui composta,
che affascina la ragazza, donde l’avvio
d’una delicata quanto tormentata relazione sentimentale tra i due, osteggiata dalla suocera di lei. La trama
- che per molti versi ricorda il racconto Il silenzio del mare di Vercors
(pseudonimo di Jean Bruller), scritto
nel medesimo periodo, nel 1941 -,
che non ha in pratica azione, ma solo
dialoghi e riflessione, pone in evidenza come la realtà sia contraddittoria,
essendo impossibile tracciare una
netta linea divisoria tra Bene e Male,
tra Amico e Nemico, perché, quando
si scende dal proscenio della grande
Storia, per muoversi nella dimensione microstorica delle relazioni interpersonali, in un rapporto diretto a tu
per tu, si può scoprire che il “nemico” è un essere umano come te, con
cui si possono condividere passioni,
emozioni, interessi. A ragione Lughi
nel già menzionato intervento ha
richiamato, al riguardo, i precedenti
del dramma shakespeariano Giulietta e Romeo e del film Senso, di Luchino Visconti, in cui l’amore, sia pure
con esiti tragici, sboccia tra giovani
appartenenti a mondi avversi e ostili.
È, d’altro canto, noto che pure nell’Italia occupata dai tedeschi dopo l’8
settembre 1943 vi furono casi di fraternizzazione e perfino alcuni matrimoni tra soldati germanici e ragazze
italiane. Ora una simile impostazione
della narrazione è tanto più notevole
e ammirevole pensando che l’autrice
era ebrea, perseguitata dai tedeschi,
eppure capace di non generalizzare e
assolutizzare, sapendo trovare l’umanità pure dall’altra parte, comprendendo che la Germania non era automaticamente identificabile in blocco
con il regime nazionalsocialista e che
oggi
la sua ideologia perversa non aveva
ancora contaminato e corrotto tutti
i cuori e le menti. Qualche cosa del
genere, d’altronde, appare chiaramente pure in Diplomacy, di Volker
Schloendorff (2014), sulle trattative
per salvare Parigi dalla distruzione
ordinata da Hitler quando stava per
essere liberata dagli anglo-americani
dopo lo sbarco in Normandia, in cui
protagonisti sono il console svedese
Nordling e il comandante la piazza
Dietrich von Choltitz, che alla fine si
lascerà convincere a non eseguire il
folle ordine proveniente da Berlino,
dimostrando d’essere un militare di
vecchio stampo, legato a un austero
codice di comportamento, e che nella
Wehrmacht non tutti erano fanatici e
passivi esecutori degli ordini anche i
più aberranti.
fGli aspetti del vissuto
quotidiano
Il film, come il romanzo del resto,
di là da quest’aspetto centrale è interessante anche perché mette in luce
molti aspetti del vissuto quotidiano
francese durante l’occupazione tedesca, fatto di comportamenti condizionati dagli orrori della guerra,
dalla paura, dall’egoismo individuale, dalla viltà, dall’indifferenza, dagli
istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dalla crudeltà. In tale contesto
hanno risalto forme di collaborazionismo più o meno esplicito da parte
del ceto benestante, attento solo a
tutelare i propri interessi, le delazioni anonime al comando tedesco, che
il tenente von Frank deve prendere
in esame, in cui si denunciano ebrei,
comunisti, elementi sovversivi, così
come non si manca di rilevare l’egoismo di madame Angellier, la
suocera di Lucile, che, indifferente
alle difficoltà del momento, pretende il puntuale pagamento dell’affitto
e del dovuto dalle famiglie dei suoi
mezzadri pur in gravi ristrettezze
economiche, data l’assenza di molti
degli uomini, mobilitati. In questo
modo pellicola, e romanzo, riescono un documentato affresco della
realtà quotidiana della guerra, con
le sue miserie e grandezze umane,
Panorama
31
la storia
oggi
egualmente distribuite dall’una e
dall’altra parte, dal momento che
non si manca neppure di mettere
in evidenza che non tutti gli ufficiali
tedeschi erano come Bruno, molti
di loro essendo corrotti, violenti, infidi, sprezzanti verso la popolazione
civile.
Tutto ciò non fa altro che riprendere e confermare quanto già emerso
anni fa in altri due notevoli film
ambientati nella Francia dell’occupazione tedesca e del governo di Vichy, vale a dire Mr. Klein, di Joseph
Losey (1976), con Alain Delon, e
Arrivederci ragazzi, di Louis Malle
(1987). Nel primo, infatti, emerge in
primo piano l’affarismo di mercanti spregiudicati, pronti a sfruttare le
difficoltà degli ebrei per arricchirsi,
come fa Robert Klein, che poi, comunque, finirà coinvolto nella grande retata estiva del 1942 al Velodrome di Parigi, condotta con estremo
zelo dalla polizia francese per ordine delle autorità petainiste, ferocemente antisemite, e deportato in
Germania. Il secondo, invece, ispirato a un episodio della giovinezza
del regista, era incentrato sulla vita
degli studenti d’un collegio religioso nella Francia occupata del 1944,
in cui sotto falso nome erano stati
accolti dei giovani ebrei, per porli
al riparo dalla persecuzione, ma poi
scoperti, arrestati e deportati insieme con il superiore del collegio in
seguito alla denuncia d’un garzone
per vendicarsi d’essere stato licenziato, perché scoperto a rubare viveri
dalla dispensa.
fIl coraggio del cinema
Là dove la storiografia è spesso arrivata in ritardo e con forti difficoltà
ad affrontare tali questioni “esistenziali”, in particolare quella francese,
a lungo avendo dominato la tesi che
la Francia era stata compattamente
antinazista e tutta schierata con il
governo gaullista in esilio a Londra,
il cinema ha avuto il coraggio di
trattare simili temi scottanti, aprendo appassionati dibattiti in materia:
basta pensare a un altro bellissimo
film di Louis Malle, del 1974, Co32
Panorama
gnome e nome:
Lacombe Lucien, che
affrontava in maniera spregiudicata il tema del collaborazionismo nei suoi diversi risvolti.
Film, dunque, come Suite francese
- che ha pure il merito di far conoscere a un più ampio pubblico
una scrittrice quale la Némirovsky,
i cui principali romanzi e racconti sono tutti tradotti in italiano - e
gli altri qui presi in esame consentono d’affrontare in maniera più
coinvolgente alcune delle questioni
cruciali della storia della seconda
guerra mondiale, colta, tramite il
caso emblematico francese, nella
sua dimensione non tanto militare
quanto, piuttosto, antropologica,
ccIl romanzo della scrittrice ebrea Irène Némirovsky, che aveva potuto scriverne soltanto
le prime due parti essendo stata deportata
ad Auschwitz dove vi morì, ha riscosso un
meritato successo di pubblico
sociologica e in senso lato culturale, che è quella più produttiva e
didatticamente feconda, suffragando, infine, la denuncia della decadenza e corruttela del proprio paese, all’origine della Strana disfatta
del 1940, attuata da Marc Bloch
nell’omonima opera-testamento
del 1944.
echi del passato
Fonti storiche
affermano che le
prime forme di
assistenza pubblica
in Istria furono
avviate dai monaci
Benedettini
fin dall’Alto
Medioevo, per
proseguire, nei
primi secoli dopo
il Mille, grazie
all’impegno
profuso in tal
senso dall’ordine
di S. Giovanni e
dai Templari
ccDignano: il convento di S. Giuseppe
trasformato in ospedale militare
Dagli hospitalia
agli odierni ospedali
di Rino Cigui
L’
ospedale, inteso come
luogo generico per
ospitare l’umanità sofferente, ha le sue antiche radici in quel sentimento di “pietas” proprio della
solidarietà cristiana dell’alto medioevo, che trovò una sua più compiuta formalizzazione nelle regole
di molti ordini religiosi, alcuni dei
quali si specializzarono nell’assistenza ai malati.
Il precetto della carità cristiana affondava tuttavia le origini nei Vangeli. Secondo l’evangelista Matteo,
infatti, per ottenere la misericordia
di Dio ed entrare nel suo regno,
l’uomo doveva mettere in pratica le
“sette opere di misericordia corporale”: dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, vestire gli
ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi e i carcerati, seppellire i morti, in altre parole provare
pietà e fornire assistenza a chi ne
aveva veramente bisogno. Tale assistenza, che per il semplice fedele
costituiva un imperativo morale,
per il religioso divenne un obbligo
preciso, sancito da chiare e definite regole, e nel 325 il Concilio di
Nicea stabilì che ogni vescovato e
monastero dovesse istituire in ogni
città ospizi per pellegrini, poveri e
malati.
Ebbe così inizio, soprattutto nell’Oriente Cristiano, la diffusione di
questi “luoghi ospitali”, che divenne
sempre più ampia grazie anche alla
protezione degli Imperatori.
fNascono gli hospitalia
Fu così che nel Medioevo il principio evangelico dell’amore per il
prossimo si concretizzò attraverso
la creazione degli hospitalia (dalla
voce latina hospes, ospite), strutture destinate ad assolvere una molteplicità di ruoli, prevalentemente assistenziali, nelle quali le cure
mediche, più che contemplare un
vero e proprio progetto terapeutico,
consistevano nel nutrire chi aveva
Panorama
33
echi del passato
fame, alloggiare i senzatetto, i pellegrini, i viandanti, i vagabondi e
tantissimi altri che trovavano proprio in queste strutture un importante punto di riferimento. Chi vi
era ospitato veniva considerato non
necessariamente come un malato
quanto piuttosto come un povero,
che aveva bisogno di essere riscaldato, vestito, nutrito, curato nel corpo ma soprattutto confortato nello
spirito.
Tali istituzioni nacquero per iniziativa di un ente ecclesiastico o, più
spesso, per iniziativa di un privato
che lo promuoveva destinandovi
le sue risorse personali, e, dopo la
morte del fondatore, l’istituzione
era solita passare a un gruppo di
laici riuniti in confraternita oppure
a una struttura religiosa oppure alla
comunità.
fCondizioni igieniche
allucinanti
Gli hospitalia erano generalmente
di piccole dimensioni e di scarsa
funzionalità, nei quali le persone
ricoverate, malgrado le cure amorevoli e l’impegno dimostrati da
molte persone di buona volontà,
vivevano in condizioni igieniche
spesso allucinanti. “Le infermerie
- scrisse il prof. Enrico Ronzani a
proposito dell’igiene ospedaliera
- di solito erano allocate in locali umidi e scarsamente illuminati,
sprovvisti di locali annessi di servizio, salvo qualche primitiva latrina
(…) I ricoverati che erano d’ordinario dei poveri diseredati, poiché
le famiglie provviste di mezzi solevano curare in casa i loro malati,
erano degenti a due, quattro per
letto. I letti erano costituiti da enormi pagliericci, montati su cavalletti
od altri sostegni, spesso chiusi da
padiglioni o baldacchini, o anche
in alcove. In tali sale erano accolti
promiscuamente malati di forme
mediche, chirurgiche ed infettive.
Molti entrati per infermità leggere,
vi contraevano gravi infezioni, e la
mortalità, specialmente tra le puerpere ed i feriti era altissima. Tutti i
servizi, dai più intimi e delicati ai
34
Panorama
più malsani, si svolgevano in sala.
I cadaveri non di rado restavano
a lungo vicino al malato prima di
essere rimossi”. Molti hospitalia finirono addirittura per favorire più
che ostacolare il diffondersi di malattie, le quali, essendo numerosissime, contribuivano a tenere basso
l’indice medio della vita umana.
fXenodochi, lebbrosari,
lazzaretti
Di dimensioni ancora più piccole
degli hospitalia erano invece gli xenodochi (dal greco xénos, straniero,
ospite e dòcheion, ricettacolo), centri di accoglienza gestiti da monaci,
che offrivano vitto e alloggio gratuito principalmente ai pellegrini che
percorrevano le vie di pellegrinaggio devozionale e penitenziale. A
queste strutture di accoglienza si
affiancarono ben presto i lebbrosari
ed i lazzaretti, luoghi specifici destinati entrambi alla segregazione istituzionalizzata degli individui colpiti dalla lebbra e dalla peste. Sorti
come misura fondamentale di politica sanitaria, profilattica più che
curativa, i lebbrosari ed i lazzaretti
furono creati per isolare in luoghi
debitamente scelti, posti comunque
ai margini delle città, i portatori di
malattie contagiose, considerate un
grave pericolo per l’intera popolazione.
fGli hospitalia
si trasformano
in ospedali
Nel corso del Basso Medioevo gli
hospitalia si trasformarono in luoghi di cura per i malati, cioè in ospedali nei quali, accanto alle figure dei
medici, vi era sempre quella dei religiosi. All’epoca, infatti, si riteneva
che la guarigione dovesse cominciare con l’allontanamento della causa
scatenante la malattia, identificata,
nella mentalità del tempo, dal peccato; di conseguenza, la confessione
e la preghiera erano l’atto più urgente al momento dell’ammissione
in un ospedale, una circostanza che
poneva in primo piano la figura del
religioso ed emarginava, per così
dire, quella del medico, considerata
solo accessoria.
Negli ospedali gestiti dai religiosi
o sottoposti alla loro influenza, la
cura delle malattie avveniva attraverso il medicamentun simplex,
vale a dire mediante l’utilizzo di
erbe medicinali coltivate il più delle volte all’interno della struttura
ospedaliera stessa, un metodo terapeutico che si rifaceva all’antica
tradizione romana (Columella,
Dioscoride, Plinio) ma che nel corso del Medioevo fu contaminato
da una serie di elementi culturali
derivati dalla tradizione popolare
e superato solo parzialmente dalla
medicina erudita del tempo.
fPrime forme di
assistenza in Istria
Benché le fonti storiche a nostra
disposizione siano sostanzialmente
eCapodistria:
e
chiesa di S. Basso sede
dell’antico ospedale di S. Nazario
modeste, possiamo affermare che le
prime forme di assistenza pubblica
in Istria furono avviate dai monaci
Benedettini fin dall’Alto Medioevo, per proseguire, nei primi secoli dopo il Mille, grazie all’impegno
profuso in tal senso dall’ordine di S.
Giovanni e dai Templari.
Stando, infatti, alle affermazioni del
dott. Bernardo Schiavuzzi, i cavalieri del Tempio fondarono “case
ospitali” al passaggio del Risano e
del Quieto, alla Madonna dei Campi presso Visinada, al passaggio del
Canal di Leme ed a Pola, dove fuori
le mura della città eressero un ospizio per offrire ospitalità ai pellegrini, ricovero ai poveri e assistenza
ai malati (lo stabile passò in seguito all’ordine di S. Giovanni, che lo
trasformò in un ospedale trasferito,
nel 1357, entro le mura della città).
Venne a formarsi in tal modo una
catena di ospizi che da Trieste si
estendeva fino al porto di Pola ed al
Quarnero.
Al XIII secolo risale invece la fondazione degli istituti di ricovero di
S. Nazario a Capodistria, di S. Ermagora a Pirano, di S. Giovanni e
S. Biagio in quel di Parenzo. L’ospedale di S. Nazario nacque per iniziativa dei consoli giustinopolitani,
i quali fecero presente al vescovo
Corrado l’esigenza di assegnare un
riparo ai poveri della città. Accolta
l’istanza, nel 1262 furono concessi
ai consoli alcune case appartenenti al clero situate in contrada Ponte
piccolo, gestite inizialmente dagli
stessi. Con il venir meno delle rendite, però, l’ospedale fu aggregato
nel 1454 alla facoltosa confraternita
di S. Antonio Abate, i cui proventi si
spendevano “nelli usi dell’hospitale
et altre elemosine de panno, pane,
vino, carne et altre cose necessarie
a poveri miserabili et infermi della
città che sono fuori dell’hospitale
[...] per il medico e chirurgo che
medica i poveri dell’hospitale et per
far le spese a chi è nell’hospitale che
non possi andar fuori a procacciarsele mendicando”.
L’origine dell’ospedale di Pirano è
databile, invece, al 1222. Quell’anno, infatti, Domenico Murari e
sua moglie Pilizza vendevano una
porzione di casa e fondo in Porta
de Campo a Pirina moglie di Menesclavo, a Flora moglie di Mirsa
e a Riccarda moglie di Venerio de
Jopyra, con l’obbligo di fondare,
“honore Dei et pauperum in perpetuum”, un ospedale amministrato
dal comune. L’istituzione, intitolata a S. Ermagora, rimase in Porta
de Campo sino al 1433 quando fu
trasferita, sotto il titolo Hospitalis
Sancti Michaelis Novus, nelle vicinanze della chiesetta Sanctae Nivis
Mariae.
Antichissime erano altresì le origini dell’ospedale di Parenzo, documentate già al tempo del vescovo
Pagano II (1234 - 1251), il quale
concesse all’Hospitale di S. Giovanni oltre il mare la chiesa di S. Giovanni del Prato. L’esistenza di un secondo ospedale è attestata nel 1297,
quando si fa menzione di un certo
Dominus Rainerius, priore dell’ospedale “Sancti Blasij de Parentio”;
la sua collocazione era in prossimità della chiesa di S. Michele, ora
demolita.
Ad ogni modo, il primo ad avere
funzioni prettamente mediche fu
quello di S. Marco a Capodistria,
fondato nel 1323 o 1326 e utilizzato per isolare e curare gli appestati
della città.
fNecessità di aiutare
i bisognosi
La volontà da parte dei comuni
istriani di soccorrere gli indigenti
non venne mai meno e, tra il XV
e il XVII secolo, case di ricovero
adibite al sostegno e soccorso della
popolazione bisognosa di assistenza sorsero un po’ dovunque nella
penisola. Nel Quattrocento, ad
esempio, fu istituito l’ospedale di S.
Michele a Pirano (1433), quello di
Panorama
35
echi del passato
Isola, eretto per i poveri pellegrini
e per gli ammalati, e quello di Rovigno. Quest’ultimo fu fondato nel
1475 da Matteo Datario, gastaldo della Scuola della Madonna di
Campognana, con le rendite della
stessa confraternita. Egli destinò
un locale per gli uomini e uno per
le donne, nei quali erano accolti
gli indigenti, gli infermi e gli ammalati privi di mezzi, mentre nel
1482 vi aggiunse una chiesetta con
oratori separati e la dedicò alla B.V.
della Misericordia e a S. Lorenzo
martire. L’ospedale fu ingrandito
nel 1707 e nuovamente nel 1716
sul fondo donato dal conte Giovanni Antonio Califfi. La direzione
fu affidata dapprima a quattro e,
dal 1719, a sette direttori, uno dei
quali, nel 1724, ebbe il titolo d’infermiere. Ampliamenti successivi
si ebbero negli anni 1764 e 1780
grazie alle donazioni del canonico
dottor Oliviero Costantini.
fLa testimonianza
di Agostino Valier
Nel Cinquecento videro la luce
l’ospedale di Pirano (1517) e di
Albona (1561), nonché quello di
Pinguente (1597); nel 1576, invece, viene ricordato il restauro
dell’ospedale di Barbana. Una delle più antiche attestazioni della
presenza di un ospedale a Buie la
ricaviamo dalla visita pastorale
del cardinale Agostino Valier alla
diocesi emoniense compiuta nel
1580. L’ospedale, governato all’epoca dalla Confraternita del SS.mo
Sacramento, venne così descritto:
“Ha buona casa con uno appartamento a basso di un loco solo, con
quattro lettiere fornite di sacchi di
buona paglia, lenzuoli et coperte,
et un camino in mezzo al luoco per
far fuogo. Di sopra vi sono tre lochi con due camerette, una per la
priora che lo governa et una per i
poveri con una lettiera e materazzo
di lana buono et lenzuoli et coperte”. Sappiamo che nel 1650 il priore
dello xenodochio era Natalino Padovano.
Quattro, infine, furono le istitu36
Panorama
zioni assistenziali di cui abbiamo
notizia nel XVII secolo. Le prime
due furono costituite a Montona e
riguardavano l’antichissimo ospedale di S. Cipriano, amministrato
dalla stessa confraternita e completamente restaurato nel 1622 dal
podestà Girolamo Zorzi, e quello
altrettanto antico di S. Marco, che
fu in origine uno xenodochio per
l’accoglienza dei pellegrini, restaurato nel 1651 e amministrato,
come il precedente, dall’omonima
confraternita. Le altre erano la casa
di ricovero a Grisignana, sorta per
volontà testamentaria del reverendo Domenico Ermanis (1646), e
quella di Visinada.
fCambia la mentalità
Alla fine del Settecento, quantunque le Anagrafi Venete evidenziassero la presenza in Istria di ventuno istituti sanitari, questi avevano
perduto gran parte della loro rilevanza. Con l’inclusione, nel 1806,
dell’Istria ex - veneta nel Regno
d’Italia e la soppressione delle confraternite religiose (decreto napoleonico del 1806), che sino allora
avevano svolto funzioni spirituali
e d’assistenza, furono le Congregazioni di Carità, attivate in ciascun
comune, ad amministrare le fondazioni di pubblica beneficenza
del Dipartimento dell’Istria. E fu
proprio in questo frangente che
andò consolidandosi una nuova
mentalità nel campo dell’assistenza
sanitaria, che portò alla definitiva
separazione tra la pratica sanitaria
e quella assistenziale e alla concezione dell’ospedale non più secondo il modello medievale ma quale
istituzione pubblica e laica.
fOspedali militari
e civili
Con l’arrivo dei Francesi in Istria,
Dignano fu scelta quale sede della
guarnigione militare per tutta la
Polesana e, per soddisfare le esigenze sanitarie che una tale operazione comportava, le autorità
decisero di trasformare il vetusto
monastero dei capuccini (Convento di S. Giuseppe) in ospedale
militare, cui fece seguito l’apertura
di un secondo ospedale nell’abitazione della famiglia Frank. Con il
ritorno dell’Austria, l’ospedale di
S. Giuseppe fu utilizzato soprattutto per il ricovero dei malarici e
delle persone affette da altre malattie infettive, e come tale rimase
in funzione sino al 1894 quando,
in seguito al ritiro della guarnigione da Dignano, se ne decise la
soppressione. La località disponeva pure di ospedale civile per il
ricovero dei forestieri e degli abitanti del luogo, che fu abbattuto
nel 1821 per permettere l’erezione
del fabbricato ad uso delle scuole
elementari. Per colmare il vuoto
nel settore dell’assistenza sanitaria
dignanese, tra il 1887 e il 1890 fu
eretto l’Ospitale di Fondazione Cecon per i poveri di Dignano e della
provincia dell’Istria, trasformato
successivamente in ricovero per
anziani.
Anche Pola, nel corso del XIX secolo, si dotò di strutture ospedaliere civili e militari. Com’è noto,
verso la metà del secolo la città
dell’Arena divenne sede della marina da guerra austrica (k.u.k.
Krigsmarine), una circostanza che
fece convergere verso Pola migliaia di persone in cerca di occupazione, rendendo assolutamente
necessario un adeguamento delle
obsolete strutture sanitarie esistenti alla nuova situazione. Nel
1861 fu pertanto inaugurato l’Ospedale di Marina, il quale accolse
sia il personale militare sia la popolazione civile impiegata nell’Arsenale, cui fece seguito, nel 1875,
l’inaugurazione del primo ospedale comunale. Tuttavia, l’espansione
urbana e demografica vissuta dal
capoluogo istriano nel secondo
Ottocento misero ben presto in
evidenza l’assoluta esigenza di un
complesso ospedaliero che fosse
capace di sopperire ai bisogni della
popolazione civile; nel 1896 venne
inaugurato il nuovo ospedale civico, trasformato in ospedale provinciale nel 1903.
ccLa chiesa gesuita di S. Vito diventa cattedrale nel 1925
Novant’anni orsono
Fiume divenne sede diocesana
A causa
dell’evolversi
di vicende
nazionalpolitiche
la storia
ecclesiastica
della terra di
San Vito dopo
la Prima guerra
mondiale è
rimasta perlopiù
ignorata
di Marko Medved
L
a città di Fiume divenne centro
diocesano dopo la Prima guerra
mondiale. Tentativi in questa
direzione erano stati intrapresi
anche prima, ma il mancato appoggio dell’autorità secolare non permise esiti
positivi. Lasciando da parte l’enigma ancora
insoluto della romana Tarsattica e della sua
possibile dignità episcopale (VII-VIII sec.),
nel tardo Medioevo la terra di S. Vito - appartenente alla diocesi di Pola sino alla fine del
Settecento poi a quella di Segna-Modruš - era
una parrocchia (l’Assunta) con una chiesa collegiata avente capitolo, arcidiacono e canonici.
A causa dell’evolversi di vicende nazionalpolitiche la storia ecclesiastica fiumana dopo
la Prima guerra mondiale è rimasta perlopiù
ignorata. Anche se in anni non remoti, date
e nomi degli ecclesiastici che ne furono pro-
tagonisti sono caduti nell’oblio. In quest’epoca i cattolici fiumani videro realizzate le
aspirazione dei loro antenati - l’autonomia
ecclesiastica. La situazione ecclesiale tra le
due guerre mondiali era simile ad altre Chiese plurinazionali (Gorizia, Trieste-Capodistria,
Parenzo-Pola) le quali dopo lo sfascio dell’impero asburgico furono attribuite all’Italia,
paese in cui stava affermandosi un regime
totalitario. Pertanto la comunità ecclesiale
fiumana era lacerata da tensioni su vari fronti
dovute alla composizione plurinazionale del
territorio.
fLe parrocchie entro la
Provincia dal Carnaro
La storia ecclesiastica di Fiume tra le guerre
mondiali ha nella costruzione della diocesi
un avvenimento di fondamentale importanza. Il 25 aprile 1925 con la bolla Supremum pastorale munus papa Pio XI creava la
Panorama
37
echi del passato
diocesi di Fiume comprendente 16 parrocchie
appartenenti alle diocesi di Segna-Modruš, di
Lubiana e di Trieste-Capodistria, seguendo i
confini dell’allora Provincia del Carnaro. Pertanto la diocesi comprendeva cattolici italiani,
croati e sloveni. L’erezione fu possibile dopo
l’annessione della città all’Italia avvenuta nel
1924 e grazie alla disponibilità economica
che all’uopo offrì il governo italiano. Infatti,
le condizioni politiche vigenti in Italia favorirono la creazione della nuova diocesi. Mussolini aveva bisogno dell’appoggio cattolico per
rendere più saldo il suo potere e più accettabile il nuovo regime che poco alla volta stava
instaurando nel paese. Promosse una politica
di avvicinamento, di “mano tesa” nei confronti della gerarchia ecclesiastica e della Santa
Sede. D’altra parte anche Pio XI era disposto
a collaborare col governo italiano per risolvere
una volta per tutte le questioni pendenti tra
Stato e Chiesa rimaste insolute dall’Ottocento.
La disponibilità economica del governo nei
riguardi dei bisogni dell’erigenda diocesi era
dovuta anche a interessi locali legati alla sua
ubicazione (situata al confine orientale italiano), cioè alla politica del regime italiano nei
confronti dei popoli sloveno e croato. Riassumendo, nell’erezione della diocesi l’interesse
dell’autorità ecclesiastica e quella politica si
incontrarono. Proprio da ciò derivano le ragioni per cui la storiografia ecclesiastica è stata
più propensa a sottacere tale periodo delicato,
anziché studiarlo criticamente.
fL’episcopato
di Antonio Santin
Nell’erezione della diocesi figure quali Cel-
ccIsidoro Sain (1869-1932),
primo vescovo di Fiume
so Costantini (1920-1922) e Isidoro Sain
(1922-1932) sono centrali. Nella cronotassi
diocesana nel periodo italiano vanno ricordati anche Antonio Santin (1933-1938) ed
Ugo Camozzo (1938-1947).
Come si è detto, la storia ecclesiastica della prima metà del Novecento è alquanto
ignorata. Eppure durante il periodo di amministrazione italiana di Fiume vennero
intrapresi passi importanti nel miglioramento della vita della comunità cattolica:
costruzione di chiese (Tutti Santi - Cosala,
Immacolata - cappuccini, S. Niccolò - Torretta, SS.mo Redentore - Giardin pubblico,
Maria Ausiliatrice - salesiani, S. Giuseppe benedettine, Sant’Antonio Cantrida, chiesa
del seminario - Belvedere, Annunciazione
- Abbazia, Cristo Re - Mattuglie), apertura
del seminario diocesano in Belvedere e del
palazzo dell’Arcivescovado, pastorale giovanile presso i salesiani, ecc.
Assieme alla formazione di nuove strutture
parrocchiali e diocesane la lingua liturgica
latina e la predicazione italiana vennero attuate dapprima a Fiume e poi nella riviera liburnica con la completa estromissione della
lingua croata dalla vita parrocchiale. Quasi
tutti i sacerdoti e religiosi non italiani vennero allontanati da Fiume, mentre i rapporti
dei vescovi italiani di Fiume con il clero sloveno dell’entroterra divenivano man mano
sempre più tesi.
Per la storiografia della plurinazionale diocesi fiumana di questo periodo il problema
principale è la questione dell’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica italiana verso il fascismo, in particolare rapporto alla
politica del governo italiano rispetto a croati
e sloveni. In questo ambito l’interesse degli
storici si volse soprattutto verso l’episcopato
di Antonio Santin che dopo Fiume per quasi
quattro decenni fu vescovo a Trieste. Ancor
oggi due storiografie, linguisticamente ed
ideologicamente contrapposte, si occupano di questo periodo. Quale condizione
principale per una oggettiva valutazione
storiografica, oltre naturalmente all’abbondono di preconcetti ideologici, si pone la
conoscenza di tutte e tre le lingue - italiana,
slovena e croata -, solo così può realizzarsi
una piena integrazione della bibliografia e
delle fonti.
Lo studio di questo periodo pone domande
sempre attuali tra le quali vanno ricercate
altresì le cause della insufficiente attenzione storiografica registrata sino ad ora. Qual
è il rapporto tra identità religiosa e quella
etnica? In quale lingua deve tenersi la liturgia e la cura pastorale nei territori plurinazionali? Come conciliare la religione e l’età
moderna? Cosa ha significato l’inculturazione in questi territori mitteleuropei? Come si
è posta la Chiesa in regimi totalitari? Quanto
siamo pronti (o quanto siamo coraggiosi) a
porre sotto esame il passato della propria
comunità etnica o religiosa? Abbiamo bisogno di purificare la memoria?
Il Novecento sconvolse gli equilibri nazionali
di Fiume in modo definitivo. Lo fece anche
all’interno della Chiesa. Va ribadito che il
nazionalismo è contrario al cristianesimo.
Infatti, il cristianesimo trascende la nazione
ed è proteso a creare un unico popolo che
va oltre le particolari appartenenze etniche. Tuttora non esiste un’unica storia del
cattolicesimo fiumano. Dopo il crollo delle
ideologie non è forse arrivato il momento
propizio per tentare di scriverla.
eeL’edificio dell’Arcivescovado a Fiume
38
Panorama
made in italy
Nel cielo di Cervia
la festa degli aquiloni
a cura di Ardea Velikonja
C
ome tradizione vuole, lungo un chilometro di spiaggia, dove il mare e la
pineta si affacciano come le quinte di
un palcoscenico immaginario, dal 24
aprile al 3 maggio prossimi a Cervia
avrà luogo la trentacinquesima edizione del
Festival Internazionale dell’Aquilone. Ad
incontrarsi sotto lo stesso cielo saranno 200
“Artisti del Vento” provenienti da tutto il
mondo per condividere momenti di gioco e
creatività all’insegna della pace e dell’amore
per la natura.
Dal 1981, ogni primavera, il festival attira in
Italia i più spettacolari artisti del vento dei 5
continenti che, consacrando Cervia “capitale dell’aquilone”, teatro ideale di un grande
incontro multietnico, ne trasformano per 10
giorni il cielo in un mirabolante circo di colori: è la festa della fantasia e della fratellanza
fra i popoli che, fondendosi nell’abbraccio in
un’eterogenea comunità artistica, celebrano
la filosofia della pace, l’elogio della creatività
e il rispetto della natura.
Tradizione consolidata in 30 anni di sogni affidati al vento, il Festival rappresenta un evento
irrinunciabile per migliaia di appassionati,
ed ospita ad ogni sua edizione delegazioni
ufficiali provenienti da 30 di paesi del Mondo. Oltre ad offrire una panoramica completa
sulle diverse discipline dell’aquilone, e ad introdurre per la prima volta il pubblico italiano
alle curiosità delle sue più remote tradizioni,
l’evento ha metabolizzato in maniera del tutto
originale l’energia creativa dei suoi protagonisti: in totale sintonia con lo spirito di libertà
che l’aquilone rappresenta, gli organizzatori
Il Festival
Internazionale
Artevento è uno
fra i raduni degli
artisti del vento più
famosi al mondo
che per dieci giorni
trasformeranno il
cielo in un circo di
colori
hanno scelto di consegnare alla spontaneità
del fare artistico anche il destino della loro
creatura che ha assunto nel tempo le sembianze di una grande performance. Il Festival
Internazionale dell’Aquilone è infatti un corale
work in progress, un’opera aperta che ha per
cornice il cielo e che parla anche il linguaggio
della musica, del teatro, della danza, della pittura e della scultura.
La quantità delle diverse tradizioni dell’aquilone etnico rappresentate ad ogni edizione lo
pongono sul podio dei festival internazionali
più importanti d’Europa, mentre l’attenzione
riservata all’aspetto artistico dell’aquilone lo
rende un evento unico nel suo genere, primo
festival dell’arte eolica nel mondo.
Lungi dall’essere solo un gioco per bambini,
l’aquilone stupisce per la versatilità dei suoi
significati, e seduce, per i motivi più diversi,
sognatori di ogni età. Il Festival di Cervia
ne soddisfa appieno le aspettative, proponendo un programma di appuntamenti e di
attività così vario da intrattenere in un’indimenticabile esperienza tanto i grandi che i
bambini. Accanto ai maestri più rappresentativi delle più antiche tradizioni dell’aquilone, ai più raffinati artisti del vento e agli
originali creatori che miscelando fantasia
e genialità stanno facendo la storia dell’aquilonismo contemporaneo, il Festival presenta i più sorprendenti campioni di volo
acrobatico, i maestri del combattimento,
gli atleti del power kiting e del kite surf, gli
interpreti della fotografia aerea, gli storici
dell’aquilone e persino gli scienziati che
in esso intravedono una possibile fonte di
energia alternativa.
Panorama
39
Coordinato
dall’Accademia
della Crusca,
costituisce uno dei
più ampi archivi
digitali integrati
di materiali
didattici, testi e
documentazioni
iconografiche e
multimediali
Vivit: nuovo portale
per esportare il «sì»
È
stato presentato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università
Roma Tre a Roma, il portale VIVIT-Vivi Italiano. Oltre all’Accademia della
Crusca hanno partecipato al progetto
diverse unità di ricerca.
Mario Panizza, Rettore dell’Università degli
Studi Roma Tre, intervenendo in occasione
della presentazione, ha dichiarato che “il
portale Vivit tocca un tema interessante e
centrale per l’attività di ricerca rientrando
nel quadro delle attività promosse dal Maeci, nella convinzione che sia fondamentale
investire sulle opportunità che promuovono
l’insegnamento dell’italiano all’estero”. “Il
settore umanistico - ha aggiunto Panizza - è
spesso tenuto ai margini del trasferimento
delle competenze italiane all’estero rispetto
ad esempio all’ambito prettamente scientifico e tecnologico, mentre è proprio nel campo
umanistico che si deve insistere per trasferire competenze e conoscenze utili sia per gli
stranieri che si trovano in Italia ma anche per
permettere agli italiani all’estero di recuperare il legame con il nostro Paese”.
40
Panorama
Per Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca: “Vivit rappresenta per
l’Accademia della Crusca un marchio di innovazione in linea sia con la vocazione internazionale dell’Accademia sia con le politiche
messe in atto dal ministero degli Affari esteri
e della cooperazione internazionale per promuovere la lingua e la cultura italiana al di là
dei confini del nostro Paese”.
Il progetto Vivit offre al pubblico internazionale una rete di percorsi di studio, ricerca e
attività didattiche, imperniati sulla lingua
italiana (strutture, storia, apprendimento),
come asse portante per la conoscenza delle
principali espressioni della cultura d’Italia e
della storia sociale italiana: letteratura, dialetti, alfabetizzazione, comunicazioni di massa, arte, moda, musica, gastronomia, emigrazione e immigrazione. Questi temi sono
trattati tenendo conto in particolare della
proiezione della realtà italiana nel mondo attraverso le grandi correnti migratorie. Come
strumenti di ricerca di ampia portata sono
presenti gli archivi digitali che comprendono
le numerose banche dati costituite dall’Acca-
demia della Crusca anche con altri centri di
ricerca.
“C’è un modo diverso di essere internazionali
- ha aggiunto Marazzini - che deve emergere
esportando la nostra lingua all’estero invece di demolirne l’importanza, relegandola
sempre in un angolino, rispetto ad esempio
all’inglese. L’italiano è infatti un elemento di
fondamentale importanza che ha un grandissimo peso, anche a livello economico, per la
bilancia della cultura italiana”.
Sottolineando poi l’investimento del portale
anche da un punto di vista informatico, il presidente della Crusca ha evidenziato “quanto
gli stranieri nel mondo stiano manifestando
un forte interesse nei confronti della lingua
italiana, capace di risvegliare una coscienza
dell’italianità diffusa nel mondo”. “In questo senso - ha concluso Marazzini - la classe
dirigente deve avere più fiducia nella lingua
italiana perché rappresenta un canale diretto
con l’universo degli italiani all’estero, ancora
profondamente legati ad un concetto di italianità che trova le sue più antiche origini in
una dialettofonia ancor oggi diffusissima”.
italiani nel mondo
Ulteriori tagli
per gli insegnanti
italiani all’estero
Secondo Ricardo Merlo sembrerebbe che le scuole non sono
una priorità. Si parla di una contrazione di 3,7 milioni nel 2015
e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017 per le indennità di servizio
M
odificare immediatamente
la
normativa che disciplina il settore
degli insegnanti
italiani all’estero. È quanto sostiene
Ricardo Merlo, presidente e deputato del Maie, in una interrogazione
al Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
“Dai provvedimenti sin d’ora assunti
dal Governo - scrive, critico, Merlo
nella premessa - sembrerebbe che le
scuole d’italiano all’estero non sono
una priorità, preferendo ridurre il
numero degli insegnanti, per ridurre le spese; il ridimensionamento del
personale era già stato previsto dalla
spending review; per gli insegnanti
italiani nel mondo sono previsti infatti circa 5 milioni di euro in meno
per i prossimi anni, che dovrebbero
significare una riduzione della busta
paga del 10 per cento per tutti; tagli
sono contenuti nella manovra per il
2015 e sono previsti non nel capitolo dedicato al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
ma a quello degli affari esteri e della
cooperazione internazionale, da cui
dipendono questi docenti”.
“In particolare - continua Merlo -,
si parla di una contrazione di 3,7
milioni nel 2015 e 5,1 milioni per
il 2016 e il 2017 sugli stanziamenti
per le indennità di servizio. Oltre
allo stipendio tradizionale, infatti,
gli insegnanti all’estero percepiscono
un assegno ‘extra’, che varia a seconda delle sedi di lavoro e che sino ad
oggi non veniva sottoposto a tassazione, se non per una minima parte
considerata reddito. Su questo trattamento ha deciso di intervenire il
Governo, quadruplicando l’imponibile; il provvedimento riguarda tutto
il personale all’estero: già decurtato
di 57 milioni tra il 2011 e il 2014;
il fondo per le indennità di servizio
passa da 212 a 170 milioni di euro
l’anno, con un taglio pari circa al 20
per cento. Il risultato è stato quello
di ridurre l’indebitamento netto di
circa 31 milioni di euro, ma a spese
dei lavoratori”.
“La spending review - ricorda il deputato eletto in Sud America - aveva
già deciso un taglio di quasi il 50 per
cento del contingente, passando dai
circa mille insegnanti del 2010 a 624.
Il ridimensionamento doveva essere
attuato entro il 2017, ma ci si è arrivati con due anni d’anticipo sulla
tabella di marcia, decidendo di non
rinnovare tutti i mandati in scadenza; dall’Algeria al Venezuela, da New
York negli Stati Uniti a Brazzaville
nella Repubblica Democratica del
Congo, le scuole d’italiano all’estero
sono 51, di cui otto istituti onnicomprensivi statali, e 43 istituti paritari,
a cui si aggiungono 79 sezioni italiane presso scuole straniere. In totale
ospitano circa 31mila alunni, di cui
il 90 per cento stranieri, proprio per
quella che è la loro funzione di promuovere la lingua e la cultura italiana nel mondo. I docenti però devono superare delle prove di lingua, e
poi inserirsi in graduatorie a punteggio divise per classi di concorso e
aree linguistiche. Sono queste liste spiega Merlo - a determinare la sede
d’assegnazione, ciascuna delle quali
prevede un coefficiente (sulla base di
vari criteri come la distanza da casa,
la pericolosità della regione, il costo
e la qualità della vita, e altro) per
calcolare l’importo dell’indennità di
servizio”. (aise)
Panorama
41
mostre
Il secolo che ha cambia
di Erna Toncinich
ccKazimir Malevič “Quadrato nero su fondo
bianco” (1914-15) uno dei dipinti del
periodo suprematista dell’artista
cc“Suprematismo” (1915)
42
Panorama
Q
uando si parla di
collezionisti - immediato il mio pensiero corre a certe cose
che non mi garbano
affatto. Penso - da fiumana e da
storico dell’arte - alla raccolta di dipinti che giace da oltre sessant’anni
nei depositi del Museo Marittimo
e Storico di Fiume. Giace e basta.
Apparteneva a personaggi danarosi, prima al castellano di Tersatto, il
feldmaresciallo Laval Nugent i cui
eredi si affrettano a frammentarla,
tuttavia il grosso delle opere viene
acquistato da un noto commerciante fiumano. Che le opere se le
gode per poco: già nei primi anni
Cinquanta del secolo scorso le autorità jugoslave gliele confiscano.
Incredibile ma vero che in quasi
settant’anni di queste opere non
è stato mai fatto un estimo vero e
proprio, da parte di un vero, ma
proprio vero esperto (se si eccettua
il lavoro fatto dallo storico dell’arte,
il croato Grga Gamulin che però ha
preso in considerazione solamente
alcune opere). Non è una vergogna? Qualche “esperto” della città
quarnerina ha sentenziato che si
tratta di sole croste. Quindi il problema è risolto!! Da quando si è cominciato a parlare della collezione
“sepolta” nell’ex Palazzo del Governo, abbiamo espresso i nostri dubbi
A Villa Manin
di Passariano
l’esposizione su
una delle grandi
eredità artistiche
del Novecento,
allestita secondo
dieci percorsi
tematici e un
ulteriore focus sulla
fotografia incentrato
su Aleksander
Rodčenko,
esponente del
costruttivismo
a questo riguardo: un Nugent, sposato a una Sforza, avrebbe adornato
la propria dimora - un castello! - di
croste? Da non dimenticare poi che
i dipinti provengono da varie collezioni di alcune aristocratiche casate
italiane. Allora?
Una collezione d’arte dal destino
migliore di quella succitata, che si
fa conoscere in più parti del mondo
- il Museo Statale di Arte Contemporanea di Salonicco è la sua sede
permanente e la collezione è il fiore
all’occhiello dell’istituzione - è stata
presentata di recente a Torino ed
è ora a Passariano, a Villa Manin.
Inaugurata il 7 marzo scorso, la
mostra rimarrà in atto sino al prossimo 28 giugno. Titolo: Avanguardie russe - 1910-1930.
Le due curatrici dell’esposizione,
ambedue dell’istituzione museale
proprietaria della ricca collezione
dovuta al felice intuito di George
Costakis, un autista dell’ambasciata greca che proprio perché acquistava - ovviamente per pochi soldi
ato la storia dell’arte
ccVladimir Tatlin “Il marinario-autoritratto” (1912)
- e non solo dipinti ma tutto ciò
che riguardava gli autori dei lavori, artisti russi del momento, artisti
d’avanguardia, veniva deriso. Di
lui si diceva: “un greco che raccoglie spazzatura inutile”. “Spazzatura” che oggigiorno porta i nomi di
Malevič, di Tatlin, della Gončarova,
di Larjonov, eccetera; “spazzatura”
che dimostra l’interesse degli artisti russi per un’arte nuova, che sin
dai primi decenni del secolo scorso
puntano lo sguardo verso quella che
è la mecca dell’arte moderna, Parigi,
e rifiutano il tradizionale realismo;
“spazzatura” proibita dal regime la
cui arte ufficiale è il Realismo Socialista, in altre parole tutta e solo enfasi e declamazione. L’arte che piace al
regime dittatoriale di Stalin.
Kazimir Malevič è il personaggio
principale dell’avanguardia russa.
Partendo dal Cubismo e operando
poi nella più pura essenzialità geometrica, realizza il suo primo lavoro
suprematista, l’anno è il 1913, l’opera Quadrato nero su fondo bianco.
I commenti sull’opera sono molto
sfavorevoli e l’artista risponde così
alle “accuse”: “Il quadrato non è una
forma subconscia. È la creazione
della ragione intuitiva, il volto della nuova arte! Il quadrato è un vivo
infante reale. Il primo passo della
creazione pura in arte. Prima di
lui c’erano ingenue brutture e copie
della realtà... Desideravo solamente
dimostrare come il Suprematismo
non si occupasse di oggetti, temi,
ma fosse semplicemente di natura
astratta, senza alcuna qualifica”. E
ancora, riferendosi al suo quadrato: “Mi sono trasformato nello zero
delle forme, e mi sono tirato fuori
dal ciarpame dell’arte accademica”.
Quello che fa il rivoluzionario
Malevič funge da stimolo ad altri
artisti interessati alle nuove tendenze. Al Suprematismo aderiranno Lazar El Lissitzky, artista
poliedrico, grafico, testimone di
fermenti rinnovatori che ha conosciuto durante i suoi innumerevoli
viaggi in Europa, autore, tra l’altro,
di un’opera architettonica distrutta
dai nazisti perché considerata “arte
degenerata”; Olga Rozanova e Olga
Popova, che si esprime con il linguaggio geometrico più puro della pittura suprematista non esente
di elementi del Costruttivismo di
Tatlin; Mikhail Lorionov e Natalia
Gončarova, sua moglie, seguono la
lezione cubista e futurista che sintetizzano nel Raggismo. La coppia
lascia presto la Russia e si stabilisce
ccNatalia Gončarova “Il ciclista” (1915)
in Francia dove Lorionov opererà
da scenografo per i balletti del celebre Djaghilev, la Gončarova invece
muterà il suo linguaggio, d’ora in
poi sempre più astratto.
Uno dei pionieri del Costruttivismo russo è Vladimir Tatlin, autore
mancato del monumento da erigere al proletariato internazionale,
un monumento altissimo, più alto
dei più alti grattaceli statunitensi
del tempo. Il Costruttivismo per gli
artisti russi d’avanguardia avrebbe
dovuto essere lo stile della Rivoluzione d’Ottobre, cosa che però non
è stato. La delusione degli artisti
in particolare e degli intellettuali
in genere è enorme, molti di essi
lasciano il Paese: El Lissitzki si trasferisce in Germania e così fanno
Kandinskiji e Gabo; Pevsner (fratello di Gabo) va a Parigi, Malevič e
Tatlin rimangono in patria.
Attraverso le trecento opere la mostra in atto a Villa Manin di Passariano ricostruisce il cammino delle
avanguardie russe nel ventennio
1910-1931, esplora l’opera di coloro
che ne sono stati i protagonisti delle
varie tendenze del Cubofuturismo,
del Suprematismo, del Costruttivismo. Artisti che hanno detto no al
Realismo Socialista.
Panorama
43
cinemania
Il dolore di un amore b
a cura di Diana Pirjavec Rameša
Dal romanzo
Nessuno si
salva da solo
di Margaret
Mazzantini
(Mondadori
2011)
all’omonimo
film di Sergio
Castellito (2015)
D
elia e Gaetano non si
amano più. Si ritrovano ad una cena che
si concedono forse
per incolparsi, ferirsi, amarsi ancora un po’. Forse non
lo sanno nemmeno loro perché
continuano a vedersi, o come sono
giunti a quel punto: lei costretta
a crescere da sola Cosmo e Nico,
figli lacerati e sbandati da questo
vortice di rabbia, che non hanno la
stabilità, la sicurezza per vivere nel
mondo; lui ferito e solo come un
cane, che vorrebbe solo non sentirsi fallito come suo padre.
Nessuno si salva da solo di Margaret Mazzantini (Mondadori 2011)
si legge in fretta, qualcosa si può
saltare ma lo schema è semplice. Si
legge di un fiato e ci si medita: la disfatta di un amore, quello sfaldarsi
di ogni cosa di cui non si ha chiaro sentore se non quando è tardi,
e chissà quale è stato il momento
in cui Gaetano e Delia si sono davvero lasciati; molte sfumature del
rapporto materno e paterno con i
figli, gli errori cruciali, delle coppie, le incurie reciproche, la tentazione del tradimento come chimera di nuova vita.
fUna narrazione
altamente empatica
ccIl film di Sergio Castellito mette a fuoco gli
errori di una giovane coppia con figli
44
Panorama
Questo è un romanzo altamente
empatico/emotivo, basato sulle
riflessioni, i drammi interiori, le
frustrazioni. I personaggi letteralmente si castigano, si trucidano, si
lasciano ferite addosso l’un l’altro
con manifestazioni di egoismo,
come se la loro persona fosse stata
troppo repressa dagli sforzi per tenere in piedi quella debole vita coniugale, quell’equilibrio precario.
I due sono anime sensibili, fragili
che inizialmente si attraggono proprio per questo; ma quasi è proprio
l’instabilità ciò che li fa scoppiare.
Delia è una donna tosta, scheggiata
dall’anoressia, con intelligenza pungente, spiccata. Gaetano è un uomo
che riserba molte sorprese; col carattere spensierato che col passare
del tempo si fa malinconico e irascibile. Erano partiti con l’idea di
essere diversi, d’innestare nei bambini che ci sarebbero stati una diversa consapevolezza delle cose, del
mondo, e sono finiti col vomitarsi
addosso la loro ira, a non capirsi
più. Dov’è finita la magia, quell’appartenenza che avrebbe dovuto legarli per sempre?! Non lo sanno... è
come se la storia fosse fatta a maglie
che si allentano piano e non fanno
più presa tra di loro.
La bellezza di queste pagine si
basa essenzialmente sul sentire. La
Mazzantini ha uno stile incalzante,
coinvolgente... e schietto. Ti travolge senza mezzi termini con discorsi
di una crudeltà truce, priva di sfumature e di pietà. Si esprime con
un’onestà netta, che non importa se
ti sega in due o ti lascia segni tangibili sulla pelle. Meglio, così non
dimentichi niente.
“Ma nessuno sa quanto, solo chi l’ha
vissuto sa quanto si sta male. (...)
Quando il bambino piccolo piange e
quello grande respira soltanto, come
un gatto che non deve farsi trovare.
(...) E tu nemmeno li guardi, i tuoi
figli, perché semplicemente non li
vuoi tra le palle. Perché non vorresti
avercele mai portate le tue palle nel
mondo”.
La narrazione passa così, come un
collage di frammenti di cena e flashback di errori; di situazioni in cui
nelle cadute si è strappata la pelle e
son penetrati i germi. Circostanze sbagliate al momento sbagliato,
quelle che una parola in più o una
in meno avrebbe cambiato l’intero quadro, quelle che poi rendono
troppo tardi tornare indietro o fare
qualsiasi altra cosa per recuperare. Si
scorrono continue immagini, frame
bruciato
di ricordi. Si ottiene come un impatto visivo delle vicende e ciò rende
tutto particolarmente confuso e nel
contempo lineare. Molto apprezzabili sono le analisi lucide, cristalline
di stati d’animo e sentimenti, la costante sensazione che vengano messe sotto una lente d’ingrandimento e
etichettate al dettaglio.
fArmonia e disarmonia
Da questo romanzo nasce un film
di Sergio Castellitto, marito della
Mazzantini, che in queste settimane
sta suscitando un grande interesse
di pubblico e della critica italiana.
I protagonisti sono Jasmine Trinca
e Riccardo Scamarcio nei ruoli di
Delia e Gaetano.
La macchina da presa di Castellito fa un buono lavoro di regia.
Sembra un compasso filmico che
punta sulla coppia e fa il giro intorno. Non è un cerchio perfetto
quello che traccia ma un rapporto
amoroso come tanti fatto di mare
calmo o tempeste. Aggravato dal
segno dei tempi, quella sfiducia
socio-economica che le generazioni di trenta-quarantenni oggi portano come fardello in dote. Una
botta e risposta che fa emergere la
difficoltà di una conquista che non
è mai scontata: l’armonia di coppia
e la condivisione.
Ingenui illuminati solo dal candore dei vent’anni, i due sono frutto
della creatività immaginifica di
Margaret Mazzantini. “Margaret
il libro l’ha scritto quattro anni fa
- spiega Castellitto - ma al film ci
ho pensato solo durante l’ultimo
anno. Avevo in mano il romanzo,
ne ho sfogliato a caso le pagine
fino a che mi sono imbattuto nella frase ‘L’errore è stato pensare di
poter trovare tutto in una sola persona’. Solo allora mi sono accorto
di quanto potesse essere contemporaneo e, con mia moglie, ho co-
ccIl libro è stato pubblicato
nel 2011, il film è del 2015
minciato a lavorare alla sceneggiatura”. Una sceneggiatura difficile, a
tratti pesante, a tratti familiare.
“Nessuno si salva da solo” è la storia di un amore consumato con
passione, con la fretta con cui la
fiamma brucia la candela. Ma il
lieto fine non c’è. Delia e Gaetano, dieci anni e due figli insieme,
si scoprono infelici. Non si amano,
non si stimano. Divorziano, poi
combattono. Nel ring offerto da
un tavolo di ristornate ripercorrono la loro storia, mentre l’occhio
di Castellitto veglia su di loro offrendo allo spettatore il quadro
disarmante del prima e del dopo.
Della bellezza culminata nel dolore, dello scontro con una realtà
amara, quella conosciuta solo con
l’ingresso nel mondo degli adulti.
E, nel caos creato dalla continua
sovrapposizione di passato e presente, il sesso diventa metafora
della loro relazione: c’è la passione
dell’inizio, la tenerezza della conoscenza, la nevrosi della fine e poi
più nulla. Nel film, il sesso scompare, insieme all’amore di Delia e
Gaetano lascia il copione per trasformarsi in una tensione erotica
capace di riemergere solo nelle
battute finali, quando il realismo
cede il passo alla speranza.
“Nessuno si salva da solo” visivamente sorprende: regia scattante, dinamica, che accompagna
gli umori vaganti dei protagonisti. Montaggio molto notevole
di Chiara Vullo e una scelta delle
musiche che fortifica l’espressione.
Punto forte sono anche le interpretazioni. Entrambi più che bravi, sia
Scamarcio che Jasmine Trinca.
Panorama
45
psicologia
Programmazione
neurolinguistica
cosa si cela dietro al nome alti
di Denis Stefan
N
egli anni ‘70, ad opera di uno studente di psicologia (Richard Bandler) e
un linguista (John Grinder) nacque
un tipo di “psicoterapia” se così si vuol
chiamarla, o tecnica di crescita personale chiamata dagli autori Modello Meta che
successivamente venne rinominata in Programmazione neurolinguistica (Neuro linguistic programmation). Perché questa denominazione?
Secondo gli autori la programmazione si riferirebbe alla modifica di una gamma predefinita
di comportamenti (programmi o schemi), che
funzionano in modo inconsapevole ed automatico (il cervello lo abbiamo tutti, ma per farlo
funzionare come vorremmo ci vogliono i programmi adatti); il neuro ai processi neurologici
del comportamento umano, basato sul come il
sistema nervoso riceve stimoli dagli organi di
senso e li elabora come e rappresentazioni e la
linguistica si riferisce al sistema con cui i processi mentali umani sono codificati, organizzati e
trasformati attraverso il linguaggio.
Certo, il tutto non fa una grinza, ma proprio per
questo è piuttosto scontato poiché al limite si
può riferire a tutto senza dire niente. Provo allora a definire la PNL vedendo un po’ quali ne
sono i fondamenti teorici e le pratiche che usa.
Si basa fortemente su: (1) la nozione di inconscio
come fattore che influenza costantemente parole
e azioni del cosciente; (2) il comportamento e il
linguaggio metaforici (anche il cosiddetto linguaggio del corpo), riprendendo il metodo usato
da Freud e (3) la terapia ipnotica sviluppata da
Milton Erickson. Ottiene dei risultati? Sì, ma non
migliori di altre tecniche simili, molto inferiori a
quello che promette.
Eccovi un esempio di pubblicità della PNL: ”La
PNL può valorizzare tutti gli aspetti della tua vita
46
Panorama
migliorando le tue relazioni con le persone che
ami, imparando a insegnare con successo, ottenendo un maggiore sentimento di autostima,
maggiore motivazione e una migliore comprensione nel comunicare, migliorando il tuo lavoro o
la tua carriera... e un enorme numero di altre cose
in cui entra in gioco il tuo cervello”. Sarebbe proprio bello... Il National Research Council americano, ha osservato: “Molte delle teorie considerate congruenti con la PNL sono metafore che
non hanno grande influenza o non sono accettate nella letteratura scientifica... Non c’è alcuna evidenza a sostegno della relazione tra movimenti oculari e rappresentazioni del pensiero
È un approccio
alla comunicazione,
allo sviluppo
personale e alla
psicoterapia
postulata dalla PNL... I fondamenti della PNL...
sono una serie di aneddoti e di fatti concatenati che non portano ad alcuna conclusione... La
descrizione dei processi biologici fondamentali
è piena di errori piccoli ma significativi... I riferimenti alla letteratura biologica e psicologica
sono obsoleti... e le citazioni di psicologia cognitiva ignorano gli ultimi venti anni di risultati
in questo campo... Inoltre: “La variabile dipendente usata nella maggior parte degli studi di
PNL è l’empatia tra cliente e terapeuta, misurata su una particolare scala... Non si tratta di un
indice soddisfacente per valutare l’efficacia del
terapeuta. In conclusione, le prove empiriche a
sostegno sia degli assunti sia dell’efficacia della
PNL sono praticamente inesistenti”.
Pertanto la PNL non è riuscita a mostrare di essere
basata in modo credibile sulla programmazione o
sulla linguistica o sulla neurologia. Si tratta di una
mancanza abbastanza grave per una disciplina
che si autodefinisce “Programmazione Neurolinguistica”. In definitiva mi sento di affermare che si
tratta di una pseudoscienza ben “truccata e ornata”. Eppure anche dopo quarant’anni dalla nascita
gode di una certa popolarità in diversi ambiti. Ci
fanno ricorso soprattutto persone che detengono
delle posizioni dirigenziali attratte dalla promessa che con la PNL si possono migliorare le abilità
comunicative, si possono conoscere più a fondo le
persone che ci circondano e si impara a ponderare
meglio le proprie decisioni e dirigere il comportamento degli altri. Non dubito che molti abbiano
tratto beneficio dalle sessioni di PNL seppur sono
numerose le false o discutibili assunzioni su cui
è basata. Affermare che gli esperti di PNL hanno
studiato il pensiero delle grandi menti e i modelli di
comportamento di persone di successo in modo da
trarne dei copioni (programmi) da trasferire ad altri
soggetti, è a dir poco azzardato.
È evidente che se anche ognuno di noi avesse
vissuto le stesse esperienze di Leonardo da Vinci
o di Mozart, non saremmo diventati come loro.
Senza avere i loro cervelli come base di partenza, ci saremmo sviluppati in maniera diversa da
loro. Non è possibile far credere che l’unica cosa che
divide le persone normali dai grandi dell’umanità è
la PNL. Questa affermazione è frustrante per tutti
coloro (la stragrande maggioranza) che si sono
approcciati alla materia senza trarne benefici.
Come spesso accade nelle pseudoscienze, non c’è
stata un’evoluzione successiva del sapere in senso
cumulativo, in compenso, ed anche questo è tipico,
cè stata uno scisma tra Bandler e Grinder, arrivato
fino alle aule dei tribunali, si tratta della questione
dei “marchi d’autore” su vari aspetti della PNL. Si
sono introdotte poi varie presunte tecniche terapeutiche perché alla fine “tutto fa brodo” ed oggi
i cultori della PNL propongono trattamenti un
isonante
po’ per tutti i gusti. Sembra che la PNL
si occupi di sviluppare modelli che non
possono essere verificati, dai quali
sono state sviluppate tecniche che
non hanno nulla a che vedere con
i modelli o le origini di tali modelli.
La PNL fa affermazioni riguardo
al pensiero e alla percezione che
non sembrano essere convalidate dalle neuroscienze. Ciò non
vuol dire che le tecniche non
funzionino. Potrebbero essere
valide e anche funzionare abbastanza bene, ma non c’è modo
di sapere se le affermazioni sui
loro fondamenti teorici siano
valide. Forse questo non conta.
La PNL stessa dichiara di agire
in modo pragmatico: quel che
conta è stabilire se funziona.
Comunque, come valutare
l’affermazione che “la PNL
funziona”? Aneddoti e testimonianze sembrano essere gli strumenti principali di misurazione.
Sfortunatamente, un tale
metro di misura rivela solo
l’abilità degli istruttori ad
insegnare ai loro allievi
a persuadere gli altri ad
iscriversi ai loro corsi.
Concludendo, la PNL promette tanto, forse un po’
di quello che promette,
lo mantiene, ma come scrivevo negli articoli dedicati alle
psicoterapie, probabilmente si tratta di
suggestione ed effetti “generici” dei trattamenti. Sicuramente ci guadagna proponendo terapie e corsi dai costi piuttosto salati, per coloro
che possono permetterseli.
Panorama
47
Celebra la resurrezione
di Gesù ma anche il passaggio
dall’inverno, dal letargo animale
e vegetale, al risveglio
della natura
a cura di Nerea Bulva
Equinozio di primav
la festa di Pasq
48
Panorama
vera
qua
tradizioni
L
a Pasqua è una delle Feste cristiane per
eccellenza, ma incorpora tradizioni precristiane legate alla primavera e alla fertilità. Per i greci antichi, infatti, il mito del
ritorno dal mondo sotterraneo alla luce
del giorno di Persefone, figlia di Demetra, dea
della terra, simboleggiava il rinascere della vita
a primavera, dopo la desolazione dell’inverno. I
frigi credevano che la loro divinità principale si
addormentasse all’arrivo dell’inverno e durante
l’equinozio primaverile celebravano cerimonie
con musiche e danze per risvegliarla.
Il nome “Pasqua”, deriva dal latino pascha e
dall’ebraico pesah, per effettuare un esame etimologico della parola, però, dobbiamo rifarci
al termine inglese “Easter” che ci riporterebbe
ad antichi culti legati al sopraggiungere della
primavera e in particolare ad una antica divinità
pagana, la Dea Eostre. Questa antica Dea della
mitologia nordica è messa in relazione alla primavera e alla fertilità dei campi. Infatti il nome
sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est,
dunque è una divinità legata al sole nascente e
al suo calore, all’equinozio di Primavera che veniva chiamato dai popoli celti “Eostur-Monath” e
successivamente di “Ostara”.
L’idea di resurrezione della natura diventò resurrezione di Cristo, e questo mito, in qualche
modo, fu “incorporato” nella nuova religione che
andava diffondendosi in antitesi al paganesimo.
Questa festa è mobile, poiché cade la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera (quest’ultimo per la Chiesa
cade sempre convenzionalmente il 21 marzo,
sebbene l’equinozio astronomico oscilli tra il
20 e il 21). Questo sistema venne fissato definitivamente nel IV secolo
dal Concilio di
Nicea I.
fL’uovo, simbolo
di rinascita
Va detto che, tra le tante tradizioni, quella
dell’uovo (da mangiare o da dipingere) si
ritrova un po’ in tutte le nazioni, probabilmente perché simboleggia la fecondità e
la speranza per il futuro. Nonostante abbia
origini antichissime, fu solo a partire dal XVI
secolo che nacque l’usanza di nascondere una
sorpresa nell’uovo.
In Germania, così come in Svizzera, si dice che
le uova vengano nascoste da un coniglietto
(simbolo della nuova vita che ritorna ogni
primavera) e il giorno di Pasqua i bambini
si divertono in una sorta di caccia al tesoro
che culmina nel ritrovamento delle uova. In
Russia le uova sode vengono colorate di rosso
e nella tradizione ortodossa viene preparato
il Kulitch, un panettone accompagnato da
ricotta dolce. In Inghilterra, invece, la Pasqua
viene festeggiata mangiando gli Hot cross
buns, piccole ciambelle.
Molto prima di Pasqua i bambini finlandesi
piantano dei semi in piccoli vasi e secondo la
tradizione, la notte tra il venerdì e la domenica di Pasqua le streghe escono dai loro nascondigli e volano in cielo (una sorta di Halloween finlandese!). Mentre in Grecia la Pasqua
è considerata come la festa più importante
dell’anno ed è celebrata con un pranzo a base
di riso alla greca e suopa mayeritsa.
In Francia ai bambini viene detto che il venerdì che precede la Pasqua le campane non
suonano poiché sono volate verso Roma, la
tradizione vuole che in passato l’uovo più grosso deposto dalle galline durante la Settimana
Santa spettasse al re. In questi giorni di festa,
in Olanda e in Danimarca domina il colore giallo: gli olandesi mettono in casa dei fiori gialli,
mentre i danesi apparecchiano la tavola con un
tovaglia e delle candele di questo colore.
In Italia, al di là delle consuete celebrazioni religiose, nel periodo pasquale si è soliti mangiare un
dolce a forma di colomba,
simbolo di pace. Questo
dolce fu creato nel 750
a.C. da un pasticcere
di Pavia che lo diede
poi in dono ad Alboino, re dei Longobardi.
Panorama
49
Bella la primavera ma...
L
a primavera astronomica è iniziata il 20 marzo,
quando il giorno aveva
uguale durata rispetto
alla notte (equinozio)
e le ore di luce aumentano gradualmente fino al solstizio d’estate,
giorno in cui le ore di luce avranno
raggiunto la massima durata. Con
l’arrivo della primavera le temperature tendono ad aumentare e la
natura si risveglia. Il nostro umore
migliora grazie all’aumentare delle ore di luce, ma non è tutto oro
quel che luccica. Per chi è allergico
questo è il periodo peggiore: tra
marzo ed aprile iniziano a fiorire
i cipressi, le mimose, gli ulivi, le
parietarie e le graminacee. I loro
pollini vengono dispersi nell’aria
provocando un’impennata delle allergie. Sono moltissimi
Torna la stagione
dei pollini e delle allergie
50
Panorama
salute
i giovani sotto i 18 anni che soffrono di asma e bambini affetti da
allergie nasali e pollinosi. Le allergie colpiscono le vie aeree per cui
è molto importante difendersi da
questo mal di stagione seguendo
pochi accorgimenti.
fCalendario delle
fioriture
Chi soffre di allergie deve conoscere le piante a cui è sensibile e,
in base al loro ciclo di fioritura,
evitare i periodi critici. Il periodo
di fioritura può variare a seconda
delle condizioni climatiche e per
questo motivo è bene informarsi
e osservare il bollettino dei pollini. L’inverno che sta giungendo al
termine è stato molto mite, il 6°
inverno più caldo degli ultimi 40
anni, e per questo motivo potrebbe
anticipare la stagione delle allergie.
Durante il periodo invernale o
pre-primaverile compaiono i pollini della betulla, nocciolo e cipresso seguiti dal frassino, dal pioppo
e salice. Tra marzo e aprile si os-
serva la presenza del polline di platano. In primavera oltre ai pollini
di betulla, platano, carpino, quercia, faggio, frassino, olivo, cipresso
e pino si rilevano anche pollini di
piante erbacee come le Urticaceae
e le Graminaceae. Scompaiono invece i pollini di Pioppo e Salice.
Durante la stagione estiva infine i
pollini più presenti sono quelli delle
piante erbacee, Urticaceae e Compositae (Ambrosia e Atremisia),
mentre i pollini delle piante arboree
sono quelli del castagno e del pino.
fMeteo e diffusione
La pioggia sembra avere un duplice
effetto sui pollini presenti nell’aria:
sebbene da un lato gli scrosci d’acqua aiutino a pulire l’aria, intrappolando i pollini in gocce d’acqua,
e quindi portando sollievo agli allergici, d’altro canto potrebbe avere
l’effetto opposto rompendo in più
parti i pollini che così, grazie alle
loro dimensioni ridotte, vengono
diffusi con più facilità nell’aria.
Le condizioni ideali per la presenza di pollini in atmosfera sono stimate con temperature tra i 25 ed
i 30 gradi ed un’umidità superiore
al 60%. Il vento, che aiuta il naturale processo di impollinazione,
aumenta allo stesso tempo la diffusione dei pollini nell’aria.
fConsigli
Chi soffre di allergia da pollini dovrebbe evitare di uscire nelle ore
mattutine e di passeggiare in parchi e giardini, soprattutto dopo che
è stata appena tagliata l’erba. Se si è
sportivi è meglio praticare le attività in ambienti chiusi come in palestra. Per chi invece non può fare a
meno di uscire meglio proteggere
gli occhi utilizzando occhiali, utilizzare un casco integrale in moto e
accendere il climatizzatore in macchina per filtrare l’aria.
Durante questo periodo, le mucose
delle vie aeree possono reagire anche ad altri stimoli, abitualmente
innocui: è bene quindi evitare l’esposizione a polveri, fumo o altre
sostanze irritanti. Infine è consigliato fare la doccia e lavare i capelli ogni giorno: non ce ne rendiamo
conto, ma i pollini possono rimanere intrappolati nei nostri capelli
e sui vestiti prolungando la reazione allergica.
Panorama
51
curiosità
Sicuramente non è
possibile trovarlo
negli scaffali
di un comune
supermercato
S
e siete amanti del cioccolato fondente sicuramente
sarete curiosi di provare
il cioccolato più costoso
del mondo. Se avete $260
da spendere ne potrete avere 50
grammi. Si chiama To’ak; i suoi creatori precisano che il
95% del cioccolato
viene fatto con
semi prodotti
in serie mentre il loro
viene fatto con rari semi di cacao
raccolti nella costa dell’Ecuador.
Questi semi, fermentati e convertiti in cioccolato liquido, vengono
successivamente modellati a mano
esclusivamente da quattordici
agricoltori del posto in barrette da
circa 50 grammi l’una.
Ogni barretta, in cui al centro è situato un seme di cioccolato, contiene l’81% di cacao e dal restante
19% di zucchero e richiede ben 36
passaggi prima di essere pronto
To’ak
il cioccolato più
costoso del mondo:
5.200€ al kg!!!!
52
Panorama
per essere venduto. Ogni anno ne
vengono prodotte un numero limitato; nel 2014 erano disponibili
574 barrette mentre quest’anno, ad
oggi, ne rimangono solo 183.
fBarrette preziose
come oro
La confezione della barretta, numerata e fatta con legno di olmo
spagnolo - lo stesso usato per far
fermentare i semi di cacao - contiene un paio di bacchette di legno
per prendere il cioccolato, in modo
da evitare che le dita, toccandolo,
ne possa alterare il sapore. Con le
bacchette si rompe la barretta lungo le incisioni, si prende il pezzetto di cioccolato, lo si annusa e lo
si lascia sciogliere in bocca senza
masticare, respirando con il naso
per godere a fondo del suo sapore.
“Produciamo il cioccolato con la
stessa cura e precisione che si usa
per il buon vino e i piccoli lotti di
whisky pregiato”, ha detto il cofondatore Jerry Toth.
concorso
PREMIO AUDAX
fPRINCIPI GENERALI
Art.1
La casa Editrice Audax, con sede a Moggio
Udinese, organizza il Premio Letterario
“Audax”per opere poetiche inedite. Il requisito fondamentale che deve avere il
candidato è che esso non abbia nessun titolo di studio accademico superiore (Lauree, Master, Dottorati, ecc) pena l’assoluta
esclusione dal premio. Lo scopo finale del
premio è incentivare e premiare l’autodidattismo e il libero artista e ricercatore
che lavora al di fuori dell’istituzione.
Le finalità del Premio sono a carattere filantropico ovvero di aiutare, incentivare,
promuovere e sostenere i tanti talenti e
artisti che non sono riusciti a frequentare il
percorso universitario per i più svariati motivi, vuoi perché senza i mezzi, vuoi perché
hanno compreso ormai in età avanzata il
loro talento, vuoi perché per motivi e impedimenti non sono riusciti e quant’altro.
Art.2
Si stabiliranno dei punteggi che, a parità
del valore dell’Opera candidata, daranno
vantaggio a chi ha meno titoli (inferiori e
di altri ordini, diplomi, attestati) in modo
che chi ha più titoli risulti svantaggiato
rispetto a chi ha meno o non ha del tutto
titoli. Se ad esempio la giuria stabilisce il
pari merito fra l’Opera del concorrente A
e l’Opera del concorrente B ma A ha il diploma di scuola superiore e B solo la terza
media risulterà vincitore B.
Art.3
Il candidato dovrà presentare una autocertificazione di non possedere titoli di
laurea o superiori e fornire dichiarazione
dei titoli in possesso (diploma, attestati
o altro). L’organizzazione del premio si
riserva la possibilità di fare dei controlli a
campione dei dichiaranti.
Art.4
Le Opere presentate devono avere vasto
respiro per la collettività, devono essere
universali, e che quindi non riguardino
la “località” di una zona, di un paese,
regione o nazione. Devono avere carattere
di Universalità.
prega di contattare direttamente la casa
editrice)
Art.5
Indifferente sarà invece la condizione sociale e il patrimonio economico, ricco e povero,
uomo di levatura sociale o sconosciuto, potrà
partecipare al premio qualsiasi individuo di
qualsiasi religione, sesso, razza, ceto sociale,
nazionalità, purché abbia tutti gli altri requisiti per la partecipazione al Premio.
Art.10
La Giuria è composta dallo Scrittore Pino Roveredo (Premio Campiello 2005), dal Musicologo
e Scrittore Alessio Screm e da Emanuele Franz,
direttore e fondatore di Audax Editrice. Presidente di Giuria: Angelo Tonelli (Premio Montale 1998). Il Giudizio della Giuria è insindacabile.
Art.6
Il premio potrà essere elargito solo a individui
singoli, a nessun gruppo o insieme di individui, siano essi associazioni, società, o qualsiasi raggruppamento o collettività.
Art.7
Andranno premiate, preferibilmente, le Opere
che mirano al pensiero astratto, tanto più l’opera è inapplicabile sul piano pratico tanto più
avrà diritto a vincere il premio. Scopo del premio è mirare al pensiero “puro”. Le motivazioni
intrinseche dell’Opera devono essere la ricerca
del Pensiero Superiore e Immateriale. Coerentemente alla scelta di mirare all’universalità
del pensiero umano, pur non obbligatoriamente, saranno preferiti la scelta di temi a carattere universale come la Verità, la Conoscenza, la Ricerca della Verità, la Bellezza, Giustizia,
Libertà, la condizione Umana, e così via.
f CARATTERISTICHE DELLE
OPERE PRESENTATE E PREMI
Art.8
Il Premio consiste in una pubblicazione del concorrente vincitore con la casa editrice Audax.
Art.9
Si può partecipare con una raccolta di Poesie o con un Opera unica, indifferente lo stile
scelto purché coerente con i Principi sovra
esposti e in lingua italiana. L’Opera presentata non deve superare le 100 cartelle dattiloscritte e avere un minimo di 30 cartelle
dattiloscritte (2000 battute l’una), se invece
trattasi di una raccolta di poesie deve avere
un minimo di 30 poesie e un massimo di 100
(se l’Opera dovesse eccedere questi limiti si
Art.11
Ogni elaborato deve essere inviato in quattro copie cartacee, di cui una soltanto deve
recare il nome, il cognome e la firma. È necessario aggiungere la dichiarazione, firmata
dall’Autore, che ne confermi la paternità.
Le Opere non saranno restituite. È necessario allegare la scheda di partecipazione e la
ricevuta del pagamento di euro 10, a parziale copertura delle spese di segreteria del
premio.Tale quota dovrà essere versata mediante versamento su conto corrente: IBAN
IT66J0760105138282948382951 intestata a
Emanuele Franz, specificando come causale
“Premio Audax”. Il tutto deve essere spedito
alla sede della Casa Editrice Audax, via Ermolli
31, 33015 Moggio Udinese entro e non oltre
il 31 luglio 2015, farà fede il timbro postale. Gli esiti del Premio saranno comunicati ai
Partecipanti non oltre la fine del 2015.
Art.12
La sottoscrizione della scheda di partecipazione costituisce a tutti gli effetti liberatoria
alla pubblicazione dell’Opera, nel caso la
stessa risulti vincitrice tra quelle segnalate.
Art.13:
Il Premio Audax consta del solo Primo Premio
che avrà come vincita la pubblicazione dell’Opera con la Casa Editrice Audax, tale pubblicazione sarà completamente esente da spese
per l’Autore. La Giuria si riserva comunque la
facoltà di segnalare Opere meritevoli oltre al
vincitore. Per qualsiasi altra informazione si
può contattare la Casa Editrice Audax
attraverso i seguenti recapiti:
www.audaxeditrice.com
[email protected]
00393338760653
Panorama
53
multimedia
Kaspersky
Phound
S
l’antifurto
per smartphone
Se possediamo uno smartphone Android, oppure
un iPhone (a breve), con questa nuovissima app
potremo dormire sonni tranquilli in qualsiasi caso.
I più distratti non dovranno disperarsi troppo se
verranno derubati, o dovessero smarrire il proprio
smartphone, a patto che abbia il sistema operativo
Android o iOS. Questa nuova app ha tutte le caratteristiche per far parlare a lungo di sé.
Kaspersky Phound serve per salvaguardare i dati
sensibili, ma soprattutto i nostri telefoni, qualora dovessero finire in mani sbagliate. Per i ladri vita dura.
L’app in questione ha tra le sue funzioni quella
di inviare un messaggio da remoto al device, a
quel punto il telefono stesso emetterà un input
sonoro a tutto volume che potrà essere spento
soltanto inserendo il codice di accesso da parte
del titolare del telefono stesso. Inoltre, come già
fanno moltissime altre app ormai, è in grado di
indicarci la posizione del nostro telefono tramite
il GPS e può effettuare diversi scatti fotografici
per indicarci dove si trova in quel momento il
nostro smartphone, o meglio ancora fornirci una
bella istantanea di chi lo ha in possesso in quel
momento.
Ultima, ma non di certo in termini di importanza,
nota di questa interessantissima app quella che
permette di cancellare diversi dati sensibili presenti sul nostro smartphone in modo che, qualora non dovessimo riuscire a recuperare il nostro
smartphone, eviteremo di lasciare in mani poco
sicure i nostri dati sensibili.
54
Panorama
P
di Igor Kramarsich
urtroppo potrebbe
capitare ad ognuno di noi, per fretta
o per distrazione,
di vedere il nostro
smartphone cadere in acqua!
Se dovesse succedere una cosa
del genere, a parte il panico
del momento per la paura di
perdere, oltre ai soldi (e tanti
se dovessimo parlare di un top
della gamma da 600/700 euro!),
tutti i dati salvati all’interno del
nostro smartphone o della relativa scheda Sim, sappiate che
non tutto è perduto.
Se ci dovesse mai capitare di ve-
dere il nostro smartphone finire
dritto dritto dentro l’acqua ci
sono delle cose che non dovremo fare assolutamente per tentare di salvare il salvabile, ed invece altre che sono prettamente
consigliate. Non tutto è perduto
se seguiremo queste poche semplici regole secondo un’ottima
guida di AppNews.it.
Vediamo come muoverci
nel dettaglio:
1
una volta recuperato lo
smartphone dall’acqua come
prima cosa spegnere il telefono,
qualora dovesse essere rimasto
miracolosamente acceso, o non
Smartphone
in acqua
Cosa fare?
È una tragedia ma con con un pizzico di fortuna e molto
sangue freddo è possibile evitare che passi a miglior vita
tentare di riaccenderlo qualora si
fosse spento
2
non agitare lo smartphone nel
tentativo di far fuoriuscire il
maggior contenuto possibile di acqua, questo, oltre a mandare ancor
di più in circolo tutto il liquido presente all’interno, potrebbe attivare
l’indicatore LDI (quello relativo alla
rilevazione dei liquidi) e ciò potrebbe invalidare la vostra garanzia
3
evitate di soffiare sul telefono stesso e sulle uscite come
quelle per il caricabatterie o per
le cuffie, ciò non farebbe altro che
aumentare il circolo dell’acqua presente all’interno dello stesso
4
3
Adesso vediamo invece che cosa
è consigliato fare una volta recuperato il nostro smartphone:
4
evitate di posizionare lo
smartphone in questione sopra fonti di calore.
1
come prima cosa spegnere il dispositivo mobile, qualora non si
sia già spento nel contatto con l’acqua e mantenerlo in posizione verticale. Togliere la batteria (se è possibile rimuoverla), la scheda sim e la
micro SD se presente all’interno
2
utilizzare un panno morbido
e tamponare il liquido fuoriuscente
utilizzare, se si ha disponibile, un’aspiratore di liquidi
per togliere il più possibile l’acqua
presente in superficie
inserire lo smartphone in un
sacchetto pieno di riso (è risaputo che assorbe l’acqua) e tenerlo chiuso per almeno 48 ore
A questo punto le avrete tentate
proprio tutte! Provate a riaccendere il vostro telefono e vedrete se risponde correttamente
a tutte le funzionalità che gli
richiedete. Se così non dovesse
essere l’unica strada che vi resta
da seguire è il vostro centro assistenza.
Panorama
55
fioralia
Simbolo per eccellenza di
amore, devozione, ammirazione,
bellezza e perfezione, è uno dei
fiori di aspetto elegante più
apprezzati da secoli
La rosa
regina dei fiori
di Daniela Mosena
A
bbiamo pensato chissà quante volte di
scrivere della rosa ma l’argomento era
così complesso che abbiamo rimandato fino a oggi di parlare di un fiore che,
universalmente, è certamente il più
bello e ha interessato da sempre tanta gente di ogni
estrazione sociale, di ogni cultura, di ogni religione.
In epoca ellenistica la rosa simboleggiava il primo grado di iniziazione ai misteri di Iside. Nelle
Metamorfosi di Apuleio, il protagonista Lucio,
trasformato in asino per avere ceduto a una magia
malsana, prega la dea di restituirgli sembianze
umane. Iside gli appare avvolta in una tunica,
trascolorante dal bianco al giallo, al rosso del fior
di croco, al rosso acceso delle rose, sulla quale è
posta una veste nerissima. Una corona di fiori
variopinti le cinge il capo e in mezzo alla fronte
un disco piatto a forma di specchio, simbolo della
luna, sprigiona barbagli di luce. “Eccomi, sono qui
impietosita dalle tue disgrazie - gli dice - eccomi
a te soccorrevole e benigna. Il giorno che sta per
nascere è consacrato a me. In questo giorno cessano le tempeste dell’universo, si placano i flutti
tempestosi del mare e i miei sacerdoti mi dedicano una nuova nave offrendo le primizie del carico.
Guiderà la processione un sacerdote che per mio
volere porterà intrecciata al sistro una corona di
rose. Senza esitazioni fatti largo tra la folla e segui
la processione confidando in me; poi avvicinati
a lui come per baciargli devotamente la mano e
afferragli le rose. Vedrai che in un attimo ti cadrà
la brutta pelle di animale che anch’io da tanto
tempo detesto”. Così avviene: grazie alle rose della
dea, Lucio riacquista sembianze umane e si avvia
56
Panorama
dopo il pentimento sulla strada dell’iniziazione.
Iside era uno dei tanti nomi della Grande Madre
venerata da Egizi, Fenici, Greci e Romani. Nel
XII secolo la scuola dei filosofi cristiani, fiorita a
Chartres, aveva rielaborato il concetto classico
di Natura in cui si ritrovavano tanti aspetti della
Grande Madre precristiana. Chartres era allora un
santuario mariano e la Madre Natura di Bernardo Silvestre, Teodorico di Chartres e Guglielmo di
Conches andò assumendo a poco a poco i tratti
della Madonna nella quale furono trasposti gli
attributi che ornavano le dee dell’antichità: dalla
colomba alla conchiglia, dalla stella del mattino a
quella della sera. Diana e Iside le cedettero la falce
di luna, Cerere le spighe. Anche le piante consacrate alle dee furono ribattezzate in termini mariani: il Manto di Venere (Pallium veneris) diventò
Mantello della Madonna: il Piede di Cipria (Cypripedium) si trasformò in Pianella della Madonna;
il Capelvenere (Capillus veneris) mutò il suo nome
in Capelli della Madonna.
Nel suo trascolorare simbolico la rosa venerea diventò anche mariana. Nella canzone francese del
XIII secolo, di cui si sono citati precedentemente i
primi versi che alludevano al Cristo come rosa, anche la Vergine diventa rosa in una serie di allusioni
volutamente ambigue:
Il fiore nacque in quella Betlemme
che è bella, che è luminosa,
la rosa è Maria, regina del cielo,
e dal suo seno scaturì quel fiore.
Il primo ramo è pieno di forza,
e spuntò la notte di Natale:
le stelle brillavano lucenti su Betlemme,
e lucenti brillavano su di esso.
Il secondo ramo raggiunse l’inferno
per abbattere il potere dei demoni;
ccLe rose antiche conservano tutto il fascino
derivato loro dall’essere fiorite nei giardini dei
Greci e dei Romani
laggiù nessuna anima deve restare. etc.
Non ci si stupisca di questo trascolorare simbolico
che testimonia come ogni mariologia sia in sostanza cristologia poiché la Madre è venerata non
per se stessa, come avveniva nelle religioni precristiane, ma grazie al Figlio. Che sia fondata l’interpretazione della canzone medievale lo conferma
la predica di san Bernardo di Clairvaux sul versetto
del Cantico dei Cantici, “lo sono un fiore di campo,
un giglio delle valli”, in cui si afferma che quelle
parole si applicano non soltanto a Maria ma anche
a Gesù, secondo il contesto in cui sono inserite.
Talvolta non è una rosa ma addirittura un roseto
ad accompagnare l’immagine di Maria, come nella Madonna del roseto (1450) di Stephan Lochner.
Quel pergolato allude all’hortus conclusus del
“Cantico dei Cantici”, al giardino chiuso come simbolo dell’integrità verginale di Maria:
Giardino chiuso tu sei/
sorella mia sposa/
giardino chiuso, fontana sigillata.
(1 - continua)
soste di ulisse
di Sostene Schena
C
hi è nato nella prima metà del secolo ventesimo si ricorda dei piatti
della nonna; quelli nati dopo hanno
ricordi sbiaditi sia attraverso gli occhi che nelle papille gustative. Gli
anziani che frequentano il ristorante-pizzeria
“Ambasador”, a Lokev, riferiscono che il locale
è ancora quello di una volta ma soprattutto
che i profumi e i gusti sono rimasti quelli della
nonna. Piatti genuini, semplici, senza fronzoli i quali non ti fanno intendere che ci siano
state tante manipolazioni… chissà da chi e
chissà perché.
A Lokev, piccolo paesino della Slovenia, i ristoranti non mancano; c’è solo l’imbarazzo
della scelta e noi ci siamo considerati fortunati nell’affrontare il pranzo senza dover discutere con lo chef o con la cameriera su questo o
su quello; cosa che purtroppo ci capita spesso
e… non chiediamo la vita!
Le specialità della casa sono soprattutto le
carni (ma è possibile trovare anche del pesce)
cucinate alla moda italiana. Anche la pasta
(per chi non sa farne a meno) tiene conto del
gusto e delle abitudini italiane. I nostri ispettori hanno avuto impressioni diverse avendo
visitato il locale in momenti diversi della
giornata e in stagioni diverse ma non si sono
discostati dai nostri giudizi.
Il nostro piatto preferito è stato il “Plosca Ambasador” per due persone (23 euro per tre 34
€) con il quale peraltro si sarebbero potute
soddisfare sicuramente almeno tre commensali: sono previste quattro qualità di carne su
un letto di ottime patate al forno; funghi e
verdure.
Buono il vino della casa, sia il bianco (un sauvignon del Collio) che il rosso (refosco).
LA NOSTRA PAGELLA
Nome: AMBASADOR.
Località: Lokev (Sezana)
Gestione: Denis Kocjančič
Indirizzo: Krasks ulica 6c
Tipo di locale: ristorante, pizzeria, spaghetteria, grill
Coperti: 160 all’interno e 60 all’esterno
Aperto dalle 12 alle 23. Chiuso: mai
Numeri di telefono: +386 40 740 532
Lingue parlate: italiano, inglese e tedesco
Pagamento: credit cards
Prenotazione: consigliaile
Distanze: 6 km. dal confine italiano di
Basovizza; 6 km da Sezana.
Per arrivarci: da Trieste salite verso Basovizza e poi seguite la direzione Lipiza fino a
Lokev: Da Sezana seguire la direzione del
confine italiano di Basovizza. Grandi spazi
per il parcheggio
Ambiente 78
Atmosfera 79 Servizio 80 Qualità 86 Vino 81
Prezzo 78 Rapporto q/p 79
Giudizio finale
80
A Lokev tra i tanti
scegli l’Ambasador
Il locale è ancora quello di una volta
ma soprattutto i profumi e i gusti sono
rimasti quelli della nonna
Panorama
57
scacchi pillole
Noto per lo stile
imprevedibile
e famoso per le
sue combinazioni
brillanti nonostante
le limitazioni
imposte dalle
precarie condizioni
di salute
Mikhail Nečemljevič Tal
il mago di Riga
a cura di Sandro Damiani
«R
imasi sorpreso della sua capacità di immaginare e inventare complessissime varianti»:
così, Mikhail Botvinnik, uscito
sconfitto dal match, titolo in
palio, al Teatro Puškin di Mosca nella primavera
del 1960. Avversario, Mikhail Miša Nečemljevič
Tal (Riga, 9 novembre 1936 - Mosca, 28 giugno
1992). Risultato finale: 6-2 e 13 patte, per il giovane il Lettone, che dirà in seguito:“Prima d’allora
non ci siamo mai incontrati e l’Ingegnere ha sempre avuto problemi negli scontri diretti con chi
non aveva mai giocato in precedenza. Tant’è che
nella rivincita finì 10-5 e solo sei patte, per lui”.
Anche Tal, dunque, come Vasilij Smislov, è in vetta un solo anno. Ma come ci arriva? E una volta
discesovi? Ci arriva come un ciclone. Nel 1957,
ventunenne, pur essendo appena Maestro, viene
ammesso al campionato sovietico. Sbalordendo
tutti, più che per il risultato, per il gioco espresso,
vince. Ciò determina un fatto unico nel firmamento scacchistico: la FIDE d’ufficio gli riconosce
il titolo di Grande Maestro, facendogli saltare il
passaggio intermedio, il livello di Maestro Internazionale. Nel 1958, si ripete. Nello stesso anno
iniziano le gare da cui scaturirà il “pretendente al
trono”. Si impone all’Interzonale di Portorose e al
successivo torneo dei Candidati a Bled-Zagabria-
58
Panorama
Belgrado, con turno quadruplo: vi mette in fila
Keres, Petrosjan e Smislov e sbatacchia il diciannovenne, già forte, Robert Fischer (4-0).
Quando si presenta di fronte a Botvinnik, questi
in teoria sa con chi ha a che fare... ma la pratica
è ben altra cosa. Ha detto David Bronštejn: “Miša
non ha eguali nell’abilità e velocità di calcolo...
nessuno sa mettere in crisi l’avversario come lui”.
E Tigran Petrosjan: “È il giocatore che ha prodotto
il maggior numero di partite spettacolari nello
scacchismo del Novecento”.
Da dove deriva questo tipo di gioco sempre
all’attacco, fatto di “sacrifici”? Dalla concezione
stessa che Tal ha degli scacchi: “È un’arte!”. Ergo,
le conoscenze che se ne ha vanno messe al servizio della fantasia, dell’intuito, della bellezza”.
Scrive lo scrittore e giornalista Lev Khariton: “Tal
è il Mozart della scacchiera”. Nel match di ritorno
dell’anno dopo, però, non sarà sufficiente. Allora?
“Nella mia famiglia - è Miša che parla - erano tutti medici. Io ho tradito la tradizione e la medicina
si è vendicata”: è in quel 1961 infatti che hanno
inizio i suoi guai con la salute: i reni. Partenze a
razzo, stop and go, ritiri, ricoveri ospedalieri d’urgenza, operazioni, dialisi. Quindi, impossibilità di
trovare periodi medio-lunghi per poter lavorare
(studiare e partecipare alle gare), di concentrarsi
a dovere e tenersi fisicamente in forma.
Amatissimo come persona - dolce, simpatico,
affabile - sia nell’ambiente che fuori, durante i
tornei in URSS, nelle pause lo si vede circondato
da ragazzini con cui gioca. I giovani tifano per
lui nemmeno fosse Jašin o Strelcow. Ovunque
lo chiamino, ci va: incontri di esibizione, simultanee, partite alla cieca, tornei blitz: a 52 anni, nel
1988, diverrà campione del mondo della specialità, lasciando alle spalle i mostri del momento:
Kasparov e Karpov. E qui va messa la parola fine:
altre crisi e ricoveri, fino a quello del giugno del
1992, quando muore per emorragia all’esofago.
Non avesse avuto seri guai con la salute, a causa dei cui dolori prendeva morfina, e se non ci
avesse messo del suo con sigarette e alcol... Il
severo Botvinnik disse in un’occasione: “Se solo
facesse una vita regolare... sarebbe impossibile
giocarci contro”. Un complimento del genere,
da un Grande - in qualsiasi sport - non lo si è
mai sentito.
Difatti, quando sta meglio e si controlla... è inattaccabile, come nel 1972: vince il campionato
nazionale senza sconfitte e nel biennio successivo stabilisce il record di imbattibilità: 93 partite
consecutive.
Avevamo accennato ai primati di Tal. Il più difficilmente battibile: il miglior risultato individuale
complessivo alle Olimpiadi: 81,2% dei punti totali (+65 -2 =34), con 13 medaglie su otto partecipazioni (8 di squadra e 5 individuali) e 9 ori
ai sei Europei. Quando muore, in Lettonia è lutto
nazionale.
(11 - continua)
passatempi
1
2
3
4
15
5
6
16
21
24
29
10
22
30
34
11
31
33
36
37
40
43
45
46
49
50
54
63
ORIZZONTALI: 1. Pregiato cotone
egiziano – 5. Estremo bisogno –
12. Il liquore dei babà – 15. Comprende la festa dell’Assunzione
– 17. Costruirono il cavallo di Troia
– 18. Un mantello equino – 20. Fa
riprendere vigore – 22. Festevoli,
lieti – 23. Le scuse di mademoiselle – 24. Più che brutta – 26. Non
vuole o controvoglia – 28. Città
del Piemonte – 30. Il medico con
14
19
32
42
55
59
13
27
39
44
12
23
26
35
41
53
9
18
25
38
8
17
20
28
7
60
47
51
56
52
57
61
58
62
64
due lettere – 32. Ha lo sguardo
torvo – 33. In fondo all’oceano
Pacifico – 34. Assennati o sapienti
– 35. Perfettamente uguali – 37.
Rimorchio per il trasporto di cavalli da corsa – 38. Tenebrosa, oscura
– 39. La capigliatura dei leoni –
40. La produce il filugello – 41. I
52 di Roma antica – 42. Si accerta
con l’appello – 43. Vi si trova la
Villa Pisani – 44. Articolo per signorine – 45. Tela
Soluzione del numero precedente
resistentissima
– 46. Il mago di
un film con Judy
Garland – 47. Si
riempie per il derby – 49. Medicina
fasulla – 51. La
serpe che morse
Cleopatra – 53. Le
pecore col pastore
– 55. Prefisso per
48
65
sangue – 57. Donne frivole… col
naso adunco – 59. Ottone pittore
fiorentino – 60. Superiore nel monastero – 62. Il copricatena della
bicicletta – 63. S’immergono mascherati – 64. Più o meno gli anni
dei nati nel 1935 – 65. Impulso di
partenza.
VERTICALI: 1. Biagio, il poeta di
Grado – 2. Si godono con molto comodo – 3. Molti abitano a Priština
– 4. Città della Repubblica Ceca – 5.
Elevatore d’acqua – 6. Le iniziali di
Goldoni – 7. Deserto sabbioso con
dune nel Sahara – 8. Il nome di
Connery – 9. Manca all’impacciato
– 10. Nei cinesi sono uguali – 11.
I tarocchi dell’agrumeto – 12. Per
niente fitte – 13. Automobile della
FIAT – 14. Cittadina istriana – 16.
Caratteristiche le due di Bologna –
19. Si coltiva dietro casa – 21. Il cen-
tro di Rodi – 23. Frutto vellutato –
25. La capitale fondata da Menelik
II – 27. Il più lungo fiume di Francia
– 29. Si conservano nella pisside –
31. Un filtro umano – 33. La Cina di
Marco Polo – 35. La dea greca della
pace – 36. Rota compositore – 37.
Le decisioni della giuria – 38. La
gente che il cielo aiuta – 39. La…
firma degli analfabeti – 40. La pesa
col romano – 42. Furto letterario –
43. Vi si accede dal boccaporto – 45.
Nome di donna – 47. Stella alfa della costellazione della Vergine – 48.
Sono liriche alla Scala – 49. Si sollevano per sport – 50. Ha Mascate
per capitale – 52. Il simbolo dello
scandio – 54. L’uomo degli zingari
– 56. Il decimo mese nelle abbreviazioni – 58. Segue il bis – 60. Il
simbolo dell’astato – 61. L’Esercito
italiano su targa d’auto.
Pinocchio
Panorama
59
DOBRODOŠLI
BENVENUTI
Novigrad
Cittanova
Turistička zajednica Grada Novigrada-Cittanova
Ente turistico della Citta' di Novigrad-Cittanova
Novigrad-Cittanova Tourist Board
* Mandrač 29a, 52466 Novigrad-Cittanova (Istria/HR)
++385.(0)52.757.075
e-mail: [email protected]
web: www.coloursofistria.com
Fly UP