Comments
Description
Transcript
Legge Beggiato: un ventennio speso bene
www.edit.hr Anno LXIII - N. 6 | 31 marzo 2015 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Legge Beggiato: un ventennio speso bene Interviste Reportage Echi del passato Jasmina Popović: «Staremo meglio quando saremo in grado di essere migliori» pp.8-13 Pietra Pelosa, il castello che vigila sul Brazzana nell’Istria centrale è salvo pp. 17-20 Dagli hospitalia agli odierni ospedali: avviate dai monaci Benedettini le prime assistenze pp. 33-36 sommario numero 6 | 31 marzo 3-7 | Anniversari. “Legge Beggiato: un ventennio speso bene” di Rosanna Turcinovich Giuricdin 25-29| Dossier Comunità. “Cittanova: una CI di antica costituzione” di Ardea Velikonja 37-38| “Novant’anni orsono Fiume divenne sede diocesana” di Marko Medved 8-13 | Interviste. “Staremo meglio quando saremo in grado di essere migliori”. Jasmina Popović, giornalista dell’HRT, commentatore attento e disincantato delle vicende croate di Diana Pirjavec Rameša 39| Made in Italy. “Nel cielo di Cervia la festa degli aquiloni” 14-15 | Attualità. “Dimissioni? Non ci penso nemmeno!” Lo afferma Goran Klemenčič, l’ex capo della Commissione anticorruzione di Stefano Lusa 40-41| Italiani nel mondo. “Vivit: nuovo portale per esportare il ‘sì’ ”. Coordinato dall’Accademia della Crusca a cura di Ardea Velikonja 16 | “Trivellazioni nell’Adriatico: una polemica infinita” a cura di Diana Pirjavec Rameša 17-20 | Reportage. “Pietra Pelosa,il castello è salvo”. Concluso il restauro del maniero sul Brazzana, nell’Istria centrale di Bruno Bontempo 21 | Eventi. “Un tocco dei Lussini a Roma” Presentato il “Vocabolario imperfetto della parlata dei Lussini” di Mirella Sartori 22-24 | Società. “Più cultura meno paura”, marcia per l’integrazione sociale a Porretta Terme di Marino Vocci 33-36 | Echi del passato. “Dagli hospitalia agli odierni ospedali” Fonti storiche affermano che le prime forme di assistenza pubblica in Istria furono avviate dai monaci Benedettini fin dall’Alto Medioevo di Rino Cigui 44-45| Cinemania. “Il dolore di un amore bruciato” Dal romanzo “Nessuno si salva da solo” all’omonimo film a cura di Diana Pirjavec Rameša 46-47 | Psicologia. “Programmazione neurolinguistica: cosa si cela dietro al nome altisonante” di Denis Stefan 50-51 | Salute. “Torna la stagione dei pollini e delle allergie” 52 | Curiosità. “To’ak, il cioccolato più costoso del mondo: 5.200€ al kg!!!!” a cura di Nerea Bulva 53 | Concorsi. “Premio Audax” 54-55 | Multimedia. “Smartphone in acqua. Cosa fare?” di Igor Kramarsich 56 | Fioralia. “La rosa, regina dei fiori” di Daniela Mosena 57 | Soste di Ulisse. “A Lokev tra i tanti scegli l’‘Ambasador’” di Sostene Schena 58 | Scacchi pillole. “Mikhail Nečemljevič Tal, il mago di Riga” di Sostene Schena 59 | Passatempi. Parole crociate di Pinocchio Progetto grafico-tecnico Sanjin Mačar REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-770 Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153 Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146 ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka) ISSN 1334-4692 Panorama (Online) Redattore grafico-tecnico Sanjin Mačar, Teo Superina TIPOGAFIA Helvetica - Fiume-Rijeka Versamenti: Per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT: PBZGHR2X. Numeri arretrati a prezzo raddoppiato INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn, retrocopertina interna 700,00 kn, pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia - retrocopertina 250,00 euro, retrocopertina interna 150.00 euro, pagine interne 120,00 euro. Collegio redazionale Nerea Bulva Diana Pirjavec Rameša Ilaria Rocchi Ardea Velikonja ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia: annuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa), semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa), una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 , semestrale (12 numeri) euro 31,30, una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00, una copia euro 1,89. PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare di Trieste Redattore capo responsabile Ilaria Rocchi [email protected] 2 30-32 | La storia oggi. “Fare storia contemporanea con il cinema e la letteratura” “Suite francese”, dal libro di Irène Némirovsky al film di Saul Dibb di Fulvio Salimbeni 42-43| Mostre. “Il secolo che ha cambiato la storia dell’arte” A Villa Manin di Passariano l’esposizione “Avanguardie russe - 1910-1930” di Erna Toncinich 48-49 | Tradizioni. “Equinozio di primavera, la festa di Pasqua” Panorama Ente giornalistico-editoriale Rijeka - Fiume Zvonimirova 20A Direttore f.f. Errol Superina Consiglio di amministrazione: Oskar Skerbec (presidente), Roberta Grassi Bartolić (vicepresidente), Roberto Bonifacio, Samuele Mori, Dario Saftich, Borna Giljević anniversari di Rossana Turcinovich Giuricin Q uesta è la storia di un percorso virtuoso stabilito da una legge del Veneto. Nel 1994 Ettore Beggiato, Consigliere regionale dal 1985, assessore dal 1993 con delega all’emigrazione, diritti civili, sport, enti locali, si fa promotore della 15/94 intitolata “Interventi per il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia”. Vent’anni dopo continua ad essere ancora, semplicemente, la “legge Beggiato”, sottolineando la portata di un’intuizione di stampo europeo. Simile ai progetti Interreg, che apriranno un nuovo scenario di collaborazione tra le Regioni e gli Stati, ma arrivando solo nel 2007. “Il primo incontro in Istria per ragionare sulla legge e avviare le iniziative - ricorda Beggiato -, si svolse a Rovigno, al Centro di Ricerche Storiche con il prof. Giovanni Radossi. Ci dovevamo muovere con tatto, coinvolgendo direttamente il Ministero agli Esteri, ogni azione era accompagnata da una marea di permessi, non sempre facili da ottenere. Oggi tutto è più semplice, Slovenia e Croazia, sono nell’Ue”. Uno scenario profondamente mutato, in una dimensione geopolitica pacificata anche da interventi come questo, che hanno costruito nuovi legami. L’eccezionalità della Legge, dopo vent’anni, è che continua a mantenere la sua incredibile freschezza ed attualità: il recupero del patrimonio storico ma anche dell’identità di una vasta area legata all’idea della Serenissima, emerge per aderenza ai principi di un’Europa delle persone unite in “comunità di destino”. Basta soffermarsi sul primo articolo della legge che ne ribadisce le Finalità, per scoprire la sua portata profetica: “la Regione, allo scopo di favorire nuovi e più stretti rapporti di cooperazione tra i popoli, riconosce, nella conoscenza, nella salvaguardia e nella valorizzazione del patrimonio storico e culturale di origine veneta presente nell’Istria e nella Dalmazia, uno strumento per l’affermazione dei valori di amicizia e di coesistenza pacifica, da sempre condivisi dalle popolazioni del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia”. In due decenni sono state finanziate 600 opere per un valore di quasi 7 milioni di euro, documentate anche attraverso eleganti volumi che rappresentano un vademecum delle azioni svolte. Si tratta di progetti di vario tipo, restauro del patrimonio artistico ed architettonico, eventi culturali, studi, gemellaggi, ricerche e pubbli- ccRenzo Vecchiato ed Ettore Beggiato Ettore Beggiato è stato il promotore della legge regionale che ha permesso il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia Un ventennio speso bene cazione di volumi, a volte anche in collaborazione con altri enti, tra cui l’Università Popolare di Trieste che in questo momento si sta muovendo soprattutto in Montenegro, come è stato rilevato al recente convegno svoltosi a Venezia, nel prestigioso Palazzo Franchetti, una delle sedi dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. I significati di un intervento lungo quattro lustri sono stati alla base delle relazioni che hanno caratterizzato la giornata Panorama 3 anniversari di studi, aperta con il saluto di Gian Antonio Danieli, presidente dell’Istituto Veneto, il padrone di casa, prima che prendessero il via le quattro sessioni dell’appuntamento relative al quadro di riferimento storico e normativo; attività di ricerca e culturali; attività didattiche, formative e di cooperazione; restauro architettonico. Quattro capitoli che comprendono l’area di interesse della legge stessa, il tutto moderato da Diego Vecchiato, direttore del Dipartimento Politiche e Cooperazione Internazionali del Veneto che è intervenuto a presentare i relatori ma anche a riflettere su ciò che la legge rappresenta per il futuro all’interno della politica del Veneto: la volontà di ampliare questa “buon prassi” anche ai Paesi della costa africana del Mediterraneo “per contribuire, attraverso la storia e la cultura, all’acquisizione di coscienza sul proprio ruolo, all’interno di un mondo di ricchezze che non si escludono a vicenda ma, nel riconoscimento dei comuni percorsi, amplificano le reciproche specificità”. Una strada lunga ma percorribile, che merita di essere affrontata anche come contributo alla pace. La percezione è chiara: la Legge Beggiato è stata una prova di cooperazione europea che emerge dai risultati ottenuti, come sottolineato da Robero Ciambetti, Assessore alla Cooperazione Transfrontaliera e Transnazionale, ovvero un processo virtuoso che ha permesso di ristabilire legami di amicizia e culturali. Si tratta di progetti di vario tipo, restauro del patrimonio artistico ed architettonico, eventi culturali, studi, ricerche e pubblicazione di volumi, in collaborazione anche con altri enti, tra cui l’UPT. E inoltre ripristino di scuole e asili a Buie, Cittanova e naturalmente Zara. Sentito il discorso di Vladimir Torbica, Asses- Franco Luxardo racconta la storia del progetto Tutto cominciò con gli aiuti umanitari “La Legge Beggiato mette d’accordo esuli e residenti, anzi nasce proprio da un’iniziativa dei Dalmati a Zara, l’input che poi porterà all’approvazione della legge”. A raccontarlo al Seminario di Venezia è stato Franco Luxardo, Presidente dell’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo che ha ricordato: “Nel 1992 in piena guerra civile ccFranco Luxardo jugoslava, avevamo avviato un programma di aiuti umanitari diretti a Zara, con la collaborazione della Croce Rossa italiana di Treviso. Ci rendemmo presto conto che non bastavano certo i container di viveri acqua e vestiti che spedivamo. Era necessario 4 Panorama guardare al futuro. Contattammo così enti pubblici lungo tutta la penisola. Il primo, e per lunghi anni, l’unico a rispondere con i fatti fu la Regione del Veneto. Il nostro primo interlocutore fu Paolo Cadroppi, docente Universitario di Padova. Il 18 febbraio ‘93 scaturì una iniziale proposta di legge regionale firmata da tutti i nove gruppi consiliari. Poco dopo Ettore Beggiato divenne assessore e prese di petto la questione, la fece sua, presentò un nuovo disegno di legge e lo fece approvare dalla giunta il 7 settembre dello stesso anno. Il Veneto era la prima regione italiana ad interessarsi ufficialmente dell’Adriatico orientale”. Luxardo ha voluto consegnare ad Ettore Beggiato, ma anche all’attuale assessore Roberto Ciambetti e al loro collaboratore Mauro Stefani, che da anni seguono l’evoluzione della legge, una medaglia molto particolare. Si tratta della riproduzione di quella coniata nel 1896 a Sebenico quando venne inaugurato il monumento a Niccolò Tommaseo eretto grazie ad una sottoscrizione di fondi che provenivano da tutta Europa. sore alla cultura della Regione Istriana, che ha ricordato i termini della collaborazione ringraziando tutti i soggetti che in vent’anni sono stati presenti: le Università, istituzioni culturali, gli enti locali, organizzazioni culturali internazionali, le Comunità degli Italiani, per una collaborazione che deve continuare. A sottolinearlo anche Maurizio Tremul, Presidente della Giunta UI, che ha confermato la disponibilità della Comunità italiana a favorire la presenza delle iniziative realizzate in collaborazione con la Regione Veneto. Negli ultimi anni, un’attenzione particolare viene data al Montenegro, così come ricordato dall’Ambasciatore in Italia, Antun Sbutega, impegnato a promuovere gli investimenti italiani nel suo Paese. Infatti, mente in un primo momento la Legge riguardava l’Istria e solo parte della Dalmazia, altri territori si sono aggiunti ad includere la cosiddetta Albania Veneta, ovvero Cattaro e territori limitrofi. Il Seminario ha proposto un bilancio di vent’anni d’attività ma è stato anche propositivo con un invito ad individuare ulteriori fondi per continuare lungo il cammino intrapreso. Dopo un inquadramento storico di Bruno Crevato Selvaggi che con Ortalli ha organizzato l’evento, si è parlato dei successi ottenuti da Coordinamento Adriatico con Davide Rossi, Società storica del Litorale di Capodistria con Salvator Zitko, Museo Civico di Pisino con Denis Visintin, Archivio Storico di Cattaro con Snežana Pejović, ma anche dall’Università Ca’ Foscari con Laura Amato-Eliana Biasiolo-Lia De Luca - a dimostrazione che la legge ha prodotto rapporti bidirezionali. Per gli studiosi di Venezia l’Adriatico orientale diventa palestra di studi e nuove ricerche che ampliano la definizione sul ruolo della Serenissima. E poi ancora l’Associazione Veneziani nel Mondo con Bruno Moretto, la Comunità di Zara con Rina Villani, l’Alida con anniversari Teobaldo Rossi, ancora la Regione Istriana con la Sovrintendenza ai beni culturali con Lorella Limoncin Toth. Mentre in Istria e parte della Dalmazia fino a Zara, gli interventi si affiancavano, sin dall’inizio, ad attività in parte già avviate o comunque ben focalizzate, la presenza del Veneto in Montenegro ha contribuito alla nascita di una nuova dimensione, sopita laddove non cancellata dall’inclemenza della storia. L’italiano è ritornato a sottolineare l’interesse non solo turistico delle genti delle Bocche di Cattaro, ancora legate a quel mito di venezianità riportato nel famoso verso “Ti con nu nu con ti” di Perasto che alla caduta della Serenissima rispondeva con un impegno di fedeltà “per sempre”. E proprio in Montenegro, come sottolineato dalla Pejović, il Veneto ha reso possibile la catalogazione dei documenti custoditi nella biblioteca di Perasto, la cui digitalizzazione permette di affrontare nuove fonti di studio. Ma non soltanto, i corsi d’italiano presso la Comunità, rappresentano l’eccezionale occasione di riallacciare i contatti con una realtà dissolta ma non sconfitta, perché la cultura, quella autentica, nel tempo riaffiora. In tanti ne hanno usufruito Denis Visintin, direttore del Museo Civico di Pisino, ribadisce l’importanza del lavoro svolto finora A ribadire l’importanza del lavoro svolto, anche Denis Visintin, direttore del Museo Civico di Pisino che afferma: “Beneficiari di questa legge sono stati le autorità regionali e municipali, le parrocchie, gli istituti e le associazioni della CNI, le scuole, e gli asili, enti ed associazioni culturali, Musei ed Università”. Alcuni esempi? “Si è voluto supportare il campo della ricerca storica, storico-artistica e dialettale, la cultura, le collaborazioni artistico-culturali e scolastiche, i restauri e le ristrutturazioni architettoniche, artistiche e di altri beni culturali, il recupero e la salvaguardia di usi, costumi, tradizioni e fondi librari antichi, l’editoria e le pubblicazioni, l’organizzazione di seminari, corsi di lingua e di dialetto, e di perfezionamento di vario tipo, i sostegni alle attività delle CI, l’allestimento di spettacoli teatrali, concorsi riservati alle scuole dell’obbligo, e la realizzazione di una scuola di lingua materna in lingua italiana a Zara. E inoltre il sostegno a convegni e pubblicazioni, al Festival dell’istroveneto. A Momiano spiccano gli interventi al recupero del campanile ed iniziative culturali e patrimoniali. A Verteneglio la pubblicazione di un volume sulla storia del territorio in epoca veneziana. A Parenzo il restauro delle Cinquecentine del locale Museo e della collezione archivistica veneziana presso l’Archivio diocesano. A Rovigno il progetto musicale ‘La compagnia de’ cantori di Francesco Spongia’: studio di manoscritti, esecuzione e registrazione, unitamente al Museo della batana ed alle pubblicazioni di carattere storico del CRS”. E per quanto concerne l’Istria centrale? “Il caso dell’Istria centrale dimostra l’estrema apertura della legge che non comprende solo territori d’insediamento veneziano ma anche quelli un tempo inclusi nell’asburgica Contea di Pisino. Il perché si spiega facilmente con lo spostamento di popolazioni e di mestieranti ed alla presenza di famiglie nobili e possidenti provenienti dall’area veneta. Di conseguenza si possono tuttora rinvenire delle testimonianze artistiche nonché tracce di cultura immateriale e popolare di matrice veneta sia tra la popolazione di lingua italiana che tra quella di lingua croata”. Che cosa è stato realizzato grazie alla Legge Beggiato? “Tre di questi progetti sono stati realizzati dal Museo civico di Pisino, uno dall’Archivio di Stato di Pisino, ed uno dal Museo etnografico dell’Istria, e precisamente: nel 2007 vide ccIl Castello di Montecuccoli di Pisino dopo la Seconda guerra mondiale ha ricevuto una destinazione museografica la luce il progetto espositivo ‘I matrimoni nei frammenti patrimoniali e dell’età contemporanea’, consentendo di rilevare tutta una serie di somiglianze anche con le aree altoadriatiche vicine, vedi ad esempio il Veneto e la Lombardia. Un secondo intervento ha riguardato gli ‘Altari lignei dal XVII alla fine del XIX secolo delle chiese dell’Istria centrale’. E terzo, ‘Monumenta funerary. Le lapidi sepolcrali dal XV al XIX secolo del Pisinese’, con la catalogazione delle famiglie: Schuel, Mojsjević, Chersano, Barbo, Mosconi, Scampicchio, Pamperg, Rampelli, ed altre ancora. Stilisticamente, esse risentono dell’influenza gotica, rinascimentale, manieristica, barocca e rustica. Perciò dette lapidi assumono un valore sia storico che culturale ed artigianale, nonché antroponimico, onomastico e toponomastico, diffuso nelle chiese e nei cimiteri. Con il lavoro di catalogazione sono stati annotati i diversi danni, per cui anche in questo caso l’opera compiuta risulta di notevole importanza, e la diversità culturale d’appartenenza delle singole famiglie”. Ma questi sono sono alcuni degli esempi, tra i tanti, che il Visintin ha voluto presentare in quest’occasione, sottolineando la ricchezza di un approccio aperto e lungimirante di cui oggi Istria e Veneto raccolgono i frutti attraverso questa bella collaborazione che inorgoglisce. Panorama 5 L’Istria è sempre stata punt e di fusione di tre grandi c È affascinante ripercorrere le tappe della presenza veneziana in Istria attingendo da una storia ancora facilmente individuabile con segni tangibili su tutto il territorio di dominazione della Serenissima. Al convegno, svoltosi a Venezia nel decennale, Lorella Limocin Toth ha proposto un “viaggio” attraverso questa storia di relazioni e contaminazioni che oggi rappresentano una ricchezza per il territorio. Non soltanto, molte di queste destinazioni sono quelle scelte insieme con la Regione Veneto per interventi di restauro e riuso. “Il tutto è legato alla favorevole posizione geografica dell’Istria - dice la Limoncin Toth -, che da sempre ha svolto un’importante funzione di collegamento fra l’area continentale mitteleuropea e quella del bacino adriatico di Venezia. È stata punto d’incontro e di fusione di tre grandi culture europee: slava, romanica e germanica, ognuna delle quali ha 6 Panorama lasciato tracce della sua particolare presenza. Tutto ha inizio con gli Istri che disseminarono sul territorio istriano i castellieri, molti dei quali divennero ‘castrum’ romani e successivamente borghi medievali (ne sono tipici esempi Montona, Portole, Piemonte, Grisignana, Pinguente e altri). Un radicale cambiamento politico-sociale nasce in seguito alla sottomissione della provincia da parte dei Franchi nell’VIII secolo, quando Carlo Magno introduce il sistema feudale. Nel X secolo l’Istria venne ceduta ai Patriarchi di Aquileia che la governarono fino alla fine del XIII secolo. Dopo quel periodo le città firmano le dedizioni alla Serenissima e l’Istria muta”. Oggi vediamo tanti esempi di questa presenza. Quali? “Parenzo conserva ancora degli edifici romanici d’impronta veneziana: l’antica Canonica presso la Basilica Eufrasiana; la pittoresca Casa Romanica, con le murature in pietra d’Istria e con loggiato in legno nel secondo piano, e la Casa dei due Santi, così detta per la presenza tra le finestre di statue romaniche con tre monofore arcuate al primo piano. Altra cittadina d’impronta romanica è quella di Montona. Proprio di recente, grazie ai lavori di restauro eseguiti sul Palazzo Pretorio, e cofinanziati dalla Regione Veneto, sono state rinvenute delle belle bifore romaniche finora sconosciute. Vi sono poi numerosi castelli e borghi fortificati, posti sulle alture che dominavano le vie di comunicazione e non particolarmente abitati. Ed è proprio in questo contesto storico-artistico che inizia l’espansione della Serenissima, che estese progressivamente la sua influenza politica fino a conquistare gran parte della penisola, con l’esclusione della zona orientale della Contea di Pisino, passata agli Asburgo. Questa suddivisione politico-amministrativa tra la Repubblica di San Marco anniversari to d’incontro culture europee della chiesa. A Valle va ricordato il maestoso palazzo Soardo-Bembo, con l’esempio unico in Istria di due quadrifore sovrapposte”. miglia veneziana dei Morosini che, dopo la ricostruzione del castello nel 1485, intraprende anche la costruzione della piazza, della chiesa e dei palazzi circostanti, seguendo le tendenze architettoniche più avanzate dell’epoca che prediligevano una pianificazione geometrica e razionale, basata sul concetto della città ideale teorizzata dai filosofi e artisti rinascimentali del XV e XVI secolo. Lo stile barocco veneziano viene tradotto nelle tipologie locali, sul balcone e sul parapetto riccamente decorato (Palazzo Battiala - Lazzarini ad Albona, palazzo Bradamante di Dignano ed altri). Altre opere d’interesse sono le porte cittadine di Rovigno, Albona, Barbana, Pinguente, le numerose logge di Albona, Montona, Portole e le cisterne pubbliche Visinada e Pinguente, le numerose “stanzie”, complessi rurali di Seghetto, Villa Polesini a S. Giorgio della Cisterna, Daila, Stanzia Grande presso Umago. E poi le chiese di S. Eufemia di Rovigno, S. Biago a Dignano, e le parrocchiali di Umago, Parenzo, Pinguente, Grisignana, Buie e Pimemonte che ben esprimevano il gusto locale e le possibilità economiche della società istriana all’epoca della loro costruzione”. Nel XV e XVI secolo, s’impone un’architettura difensiva. Un patrimonio che la Legge Beggiato ha contribuito a svelare? “Montona nel 1539 costruisce il bel torrione rinascimentale delle Porte Nuove, sormontato da bertesca, sul quale sono murati numerosi blasoni gentilizi e alcuni leoni marciani. Tardo rinascimentale è anche la bella chiesa a tre navate di S. Stefano del 1580. A Grisignana durante il XV sec., venne costruito il torrione con la Porta maggiore, dal quale veniva calato il ponte levatoio sopra il fossato che difendeva la cittadina. A ridosso della porta principale si trova la loggia rinascimentale del 1587”. “Fino a pochi anni fa, mancavano studi monografici, organici e sintetici sulla storia urbana e sulle architetture dell’Istria e dei suoi centri. Di recente invece, grazie anche all’impegno del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, della Regione Istriana, ma anche di numerosi studiosi italiani, croati e sloveni, sono state pubblicate importanti opere relative a determinati periodi artistici. Un nuovo impulso in questo senso si deve proprio alla Regione Veneto, grazie alla legge 14/95 che ha permesso di affrontare interessanti ed ambiziosi progetti di salvaguardia, recupero e rivitalizzazione del patrimonio storico e culturale di origine veneta presente nella penisola”. Il viaggio attraverso la storia di Lorella Limoncin Toth e la Contea di Pisino, darà vita anche alla suddivisione delle influenze artistiche provenienti, da un lato dalle zone centroeuropee, dall’altro, invece, da Venezia, dove il gotico viene caratterizzato da forme e raffinatezze orientali tipiche dell’arte bizantina”. Che cosa distingue l’arte veneziana in Istria, che cosa ci mette di suo? “La pietra a vista che veniva estratta nelle numerose cave della penisola, dove venivano anche in buona parte lavorate. A Parenzo ne sono un esempio Palazzo Zuccato, Casa Parisi-Gonan, il palazzo goticoveneziano più bello dell’Istria. Tra gli esempi più belli di architettura gotica in Istria spicca la chiesa di S. Francesco a Pola mentre uno dei borghi meglio conservati dell’epoca è sicuramente S. Lorenzo del Pasenatico, con una bella porta cittadina ad arco ogivale e un’elegante loggia veneziana appoggiata al fianco C’è una realtà che spicca sulle altre? “Sanvincenti. La cittadina, tramite complessi legami politici e familiari, nel 1384 diventa feudo della fa- Panorama 7 di Diana Pirjavec Rameša L a giornalista Jasmina Popović di settimana in settimana intervista per la Radiotelevisione croata personaggi noti e meno noti della scena politica nazionale, della società civile, del mondo dell’associazionismo, leader di partito e alte cariche del governo. Affronta con i suoi interlocutori argomenti di scottante attualità per cui conosce molto bene le vicende e i personaggi che in questi ultimi vent’anni hanno fatto la storia della Croazia. Ciò le permette di fare una sintesi lucida e disincantata delle difficoltà e delle sfide che, chi vive in questo paese, affronta. È una delle giornaliste più citate, un’operatore mediatico a cui si crede. La stima, tra i lettori di un prestigioso quotidiano in cui ha lavorato in passato e tra gli ascoltatori radiotelevisivi oggi, se l’è guadagnata grazie alla sua grande professionalità e al suo coraggio. Incontrarla ed ascoltarla è stato un po’ come assistere ad una lectio magistralis di cui per molto tempo serberemo un bel ricordo. 8 Panorama Patrik Macek/PIXSELL Jasmina Popović, giornalista dell’HRT, commentatore attento e disincantato delle vicende croate ci aiuta a capire le sfide ed i retroscena dell’attuale momento politico Interviste Staremo meglio quando saremo in grado di essere migliori La Croazia, per chi guarda dal di fuori, risulta essere un paese profondamente diviso, e questa lacerazione è presente sia nel tessuto sociale che nella politica che vive soprattutto di confronti, di una continua contrapposizione tra il “noi “ e il “loro”. Va aggiunto che dietro alla miriade di polemiche che soffocano il cittadino comune non emerge un programma una visione, chiara e netta, su come uscire dalla crisi, affrontare il futuro, realizzare i tanto necessari cambiamenti... “La democrazia non è neanche riuscita ad affermarsi che ha già subìto gravi arresti. Il problema è che ci stanno convincendo che ciò sia del tutto normale, che una situazione di conflitto e confronto sia del tutto regolare ed accettabile. Ciascuno di noi ha il diritto di avere una propria visione delle cose, delle idee su come organizzare e strutturare lo Stato, in fondo ci sono parecchie opzioni presenti in politica, ciascuna con una propria piattaforma e in quanto tali portatrici di differenze e se vogliamo anche di divisioni. Ma la questione è che in Croazia non esiste il dialogo. Nella società contemporanea croata viene fatto un taglio netto tra il ‘noi ‘ e il ‘loro’, nel senso del ‘chi non è con noi è contro di noi’ “. fEtichettare tutto e tutti “Siamo testimoni di un continuo etichettare le persone nella vita pubblica e di una grande tensione, conseguenze queste della grave crisi economica e delle frustrazioni subite da chi ha problemi di sussistenza. È molto facile costruire l’odio sulla miseria e diffondere ‘tossicità’ nel tessuto sociale, problema che che coinvolge a catena un po’ tutti. La generazione di mezzo non riesce ad individuare prospettive di vita ed è troppo vecchia oramai per lasciare il paese. I giovani sono frustrati, amareggiati e vogliono andarsene a tutti i costi, e di fatto lo fanno. Poi ci sono gli anziani che sono oramai rassegnati e non possono godersi la loro età d’oro, né vantarsi della tanto meritata pace, perché non hanno sicurezza economica. Da questa situazione di grave disagio e di caos, in cui la politica dovrebbe avere, ma di fatto non ha, un ruolo risolutivo, non se ne esce in nessun modo, anche perché da questo ‘inquinamento’ del tessuto sociale a trarre profitto è proprio la politica che si impegna a sottovalutare, a sminuire le proposte della controparte. Alla politica oggi non interessa il dialogo, preferisce nutrirsi di confronti e di conflitti. Chi guarda la Croazia dal di fuori vede un paese profondamente deluso, frustrato che viene abbandonato da giovani con un alto grado di istruzione, mentre chi rimane è una fetta di popolazione che si rassegna e si lascia assorbire dall’odio e dall’insofferenza nei confronti dell’altro, a prescindere da chi poi sia l’’altro’”. I timori che una parte dei cittadini ha è che si stia rischiando di ripiombare in un ambito sociale e politico dei primi anni Novanta, caratterizzato da grandi tensioni. È una paura giustificata? “Dalla paura nascono cose brutte. Chi ha paura entra in un ambito di irrazionalità, reagisce d’istinto senza prendersi il tempo necessario per riflettere. In una situazione del genere è molto facile rendere i cittadini insofferenti, indirizzarli ad accettare con gran facilità ciò che gli viene propinato, far credere loro chi sia di fatto il vero nemico. L’élite politica croata, che in realtà non è nemmeno un’élite, nel senso che non è riuscita a formarsi e a strutturarsi in quanto tale, è la prima a potenziare queste divisioni e a trarne dei profitti, a far passare i propri regolamenti di conti come un qualche cosa che sia di vitale rilevanza per i cittadini. Prendiamo l’esempio del ParlaPanorama 9 to parlamentare dovrebbe essere un esempio di come dialogare, di come farlo in modo argomentato, Invece, ci vengono offerti esempi e modelli di come non si discute, di come, senza validi argomenti, si esclude la ragione dell’altro, di come l’appartenenza ad un branco possa creare dei seri limiti anche ad una persona che è in realtà ragionevole, ma che viene assorbita dall’intolleranza del gruppo d’appartenenza, del branco, che induce il deputato a dire cose in cui in realtà non crede. Questo è un pessimo messaggio e un comportamento inaccettabile che poi si riflette sulla società e sulle istituzioni. La responsabilità di questa situazione è riconducibile sia ai partiti al governo che all’opposizione”. Potremmo indicare almeno un comunicatore in grado di lanciare messaggi positivi? “Se anche esiste, non riesce ad emergere. Conduco una trasmisDamir Spehar/PIXSELL mento croato: se il cittadino comune decide di seguire i dibattiti in aula non riuscirà ad individuare nulla di importante per la propria vita, nulla che possa migliorare la sua condizione. Il linguaggio a cui assistiamo durante i dibattimenti è deplorevole. I deputati non agiscono di comune accordo, tenendo conto in tal modo di quello che è l’interesse comune. E invece dovrebbero farlo, visto che approvano leggi e documenti che riguardano indistintamente tutti. Se una proposta è valida allora questa andrebbe supportata da tutti, sarebbe la cosa più normale di questo mondo, ma ciò non accade. Il linguaggio a cui assistiamo durante le discussioni in aula è, il più delle volte, quello della strada. Questo modello comunicativo poi si riflette a livelli più bassi. Se in Parlamento qualcuno si permette di essere offensivo, volgare, perché ciò non potrebbe valere anche per tutti gli altri? Il dibattimen- sione radiofonica sulla RTV croata che si chiama ‘L’intervista della settimana’ e molto spesso ho l’onore di ospitare persone molto gradevoli, che dicono cose giuste e interessanti. Ma se analizziamo l’eco che queste interviste hanno, o se vogliamo il numero di citazioni che ottengono, allora ci si accorge che hanno meno successo di quando ai miei microfoni si presentano persone che si esprimono in modo offensivo, lesivo dell’altro, forzando posizioni di estremismo... Ecco sono queste le interviste che poi saranno citate dalla stampa e riportate con grandi titoloni. Se invece ho un interlocutore che propone: ‘sediamoci a tavolino, discutiamo serenamente del problema’... questo sarà un messaggio che verrà recepito solo da un modesto numero di ascoltatori. Noi come società siamo piombati in una situazione in cui ci interessano ed in cui reagiamo solo di fronte agli estremi. Anche quando si tratta di cose buone. Ed anche in quanto individui compiamo le nostre scelte il più delle volte solo ed esclusivamente nell’ambito di questa fiera di contrapposizioni ed esclusioni”. fLe aspettative e la grande disillusione cc“Il peggio che possa accadere ad un partito è di deludere i propri elettori, e l’SDP lo ha fatto” - sostiene la Popović -. “Ora bisogna vedere sino a che punto riuscirà a recuperare i consensi andati perduti” 10 Panorama “Le aspettative di democrazia che avevamo in passato, la speranza di poter scegliere tra le proposte migliori, più giuste e consoni alla situazione in cui viviamo, sono state nullificate, si sono ridotte ad una scelta tra due opzioni in cui l’una mette fuori campo e sottovaluta del tutto l’altra. Quello che i cittadini si aspettavano dalla democrazia, come il diritto di scegliere il meglio della proposta politica, il rispetto della diversità, l’accettazione della pluralità di proposte e idee, non si è realizzato. Siamo costretti a pensare in modo unisono, ad allinearci con l’uno o l’altro branco. A pagare l’alto scotto di questa mancanza di flessibilità, tolleranza e rispetto delle ragioni altrui, siamo in ultima analisi tutti noi”. Interviste eeMilan Bandić fI giovani? Preoccupati e tristi “I giovani in Croazia sono più preoccupati per l’atmosfera che regna nel Paese che per il fatto di non avere un lavoro. Molti ragazzi sostengono: ‘Voglio andarmene da qui perché non ce la faccio più a vivere in queste condizioni, non nel senso che non ho i mezzi finanziari sufficienti per vivere, ma proprio perché qui non si vive più’. E questa è forse la prima generazione, ma ciò riguarda anche l’Europa che vivrà peggio dei propri genitori. I nostri genitori hanno sperato per noi in un futuro migliore, così i genitori di oggi sperano lo stesso, ma ciò non si avvererà, bisogna spiegare ai propri figli che vivranno peggio dei loro genitori, in una situazione di caos e di insicurezza”. Le aspettative che i cittadini croati hanno avuto dall’ingresso della Croazia nell’Unione europea erano grandi, ma qualche mese dopo queste sono state disattese. Per avere luce verde all’ingresso è stato modificato l’assetto giuridico, sono state realizzate tutte le condizioni o, buona parte di quelle che l’Ue che aveva richiesto, ma poche cose sono cambiate. Cos’è andato storto? “Qui il problema riguarda le aspettative che i cittadini hanno avuto. Una parte della responsabilità va attribuita alla politica che per realizzare i propri intenti ha diffuso la tesi stando a cui, una volta entrati in Europa, le cose sarebbero cambiate, in meglio naturalmente. Nessuno ha avuto il coraggio di dire: staremo meglio quando noi stessi diventeremo migliori. I paesi membri sono 28, non esiste a Bruxelles un ‘buon uomo’ con il compito di prendersi cura di tutti e 28 gli stati e risolvere i loro problemi. Siamo entrati a far parte di un’organizzazione altamente burocratizzata, con proprie regole, molto precise. Noi queste condizioni le abbiamo accettate e abbiamo di conseguenza modificato il nostro assetto giuridico-istituzionale. Ma non basta adeguare le leggi e i documenti fondamentali all’acquis communitaire. Qui si tratta di vedere l’applicazione di queste leggi, l’operato delle istituzioni che mettono in pratica la legge, ed è qui che sono nati i problemi”. fBandić e la sua rete d’interessi trasversali “Prendiamo in esame il caso del sindaco di Zagabria, Milan Bandić, un politico che da piccolo ‘apparatchik’ è diventato potentissimo, costruendo negli anni la propria rete di clientelismo e di sostegno. La storia va avanti da 8-10 anni. Nel momento in cui questi è diventato influente, conquistando buona parte del corpo elettorale, sono partite speculazioni in merito alle sue attività. La domanda che ci dobbiamo porre è che cosa ha fatto in questi anni la Procura? Per me, in quanto cittadino, sarebbe stata molto importante una presa di posizione chiara e inequivocabile in cui si dice: sì ci sono 200 denunce a carico di Bandić, noi le abbiamo analizzate, abbiamo fatto delle inchieste e ci risulta che non ci siano elementi che confermino corruzione, clientelismo o illegalità. Può succedere, beninteso, che denunce presentate a carico di personaggi pubblici poi non abbiano fondamento, però in questo caso tutti hanno taciuto e le denunce sono state insabbiate, messe in qualche cassetto, nella speranza che finissero nel dimenticatoio. È un po’ come il caso dell’ex premier Sanader, o dell’ex presidente della Camera di commercio croata Nadan Vidosevic. Tutti erano a conoscenza del grande patrimonio di Vidosević, ma nessuna delle istituzioni preposte ha avuto la volontà di verificare la provenienza di tali ingenti beni... Si è preferito sorvolare la questione... anzi gli è stato permesso di essere per lunghi anni a capo di un’istituzione chiave per l’economia come la Camera di commercio nazionale, di candidarsi alla carica di Presidente della repubblica. Probabilmente ciò è successo perché a quei tempi era potente e incluso nell’HDZ, per cui tutti hanno preferito tacere. Oggi alcuni politici dell’HDZ sostengono di non aver saputo nulla delle malversazioni compiute da Sanader. Ci sono coloro che del caso Sanader hanno dichiarato: ‘non abbiamo osato parlare’... e ciò testimonia della situazione mentale Panorama 11 Patrik Macek/PIXSELL rete di interessi, non una rete basata sull’accettazione di un programma politico”. Lei condivide il parere che la rete tessuta dal sindaco di Zagabria Bandić sia stata più forte delle istituzioni? “Direi di sì. Il problema è che la rete si è dimostrata più forte della giustizia, ed è questo il motivo per cui i cittadini hanno perso la fiducia nella giustizia. Se una causa va avanti per dieci anni e non succede nulla uno perde la fiducia nel sistema della giustizia. Se ci sono politici che fanno colazione e cenano di continuo con giudici e magistrati, che poi a loro volta hanno ottimi rapporti con gli avvocati... per un Paese piccolo come la Croazia ciò rappresenta un problema. Inoltre, noi come società non abbiamo sviluppato i necessari meccanismi di controllo. In un paese in cui la democrazia è sviluppata è inaccettabile che un politico con sentenza passata in giudicato si possa candidare. Purtroppo qui tali regole non vengono rispettate”. Sono mesi che un gruppo di reduci croati sta campeggiando in via Savska a Zagabria lanciando continue minacce al governo. Chiedono la destituzione di alcuni ministri tra cui quello per i reduci Fred Matić, reclamano maggiori diritti, una Legge costituzionale per i difensori. Fino a che punto queste richieste sono giustificate? Quanto è stato importante il sostegno che hanno avuto dalla presidente Grabar- Kitarović? della nostra società. Nessuna delle persone coinvolte ha detto: ‘io non voglio prendere parte a questo sporco gioco, me ne ritorno a casa’, a costo di perdere la posizione di ministro o di altro funzionario. Se il politico, l’uomo pubblico, ma anche il cittadino, non hanno il coraggio di puntare il dito contro casi di corruzione, di violazione della legge non merita di figurare nelle liste elettorali. E invece ciò è accaduto. La rete di Bandić era una 12 Panorama “Tutti hanno il diritto di esprimere il proprio malcontento, manifestare chiedendo le dimissioni di coloro di cui non sono soddisfatti. In questo segmento la protesta dei reduci non è contestabile, non lo era nel giorno in cui è iniziata e non lo è nemmeno oggi a distanza di cinque mesi. La questione è capire sino a che punto la protesta sia di fatto finalizzata alla soluzione del problema dei reduci, considerato che altri gruppi di difensori croati sostengono che questa compagine né li rappresenta, né articola le loro richieste e quanto, invece, la protesta sia in funzione di un’opzione politica che usa i reduci per i propri interessi e finalità e non ne fa un segreto. Se pensiamo agli inizi della protesta, allora ricorderemo che le richieste sono state modificate, da occasione in occasione, che non sono state definite in modo chiaro e argomentato e che l’opinione pubblica le ha percepite come parte di un grande gioco pollitico a cui non vuole proprio partecipare”. fI difensori avrebbero potuto costituire un partito “I difensori avrebbero potuto costituire un proprio partito politico, come lo hanno fatto i pensionati e da quella sede articolare le proprie richieste. Invece, hanno puntato sulla carta Davor Puklavec/PIXSELL Interviste della grande lacerazione e della divisione della società croata. Da questo contesto hanno tratto, e continuano a farlo, la loro forza, richiedendo di essere considerati come il ‘quarto potere’, come un gruppo a cui bisogna rivolgersi per chiedere il parere, soprattutto quando si deve decidere. Il supporto che a costoro è arrivato dalla presidente Grabar Kitarović nella notte elettorale gli ha dato forza, con questo gesto la presidente si è nessa in modo inequivocabile a loro servizio. Ricordiamo che durante la campagna elettorale ha promesso che avrebbe tentato di risolvere il loro problema. Oggi è chiaro che questo non rientra nelle sue competenze e che l’offerta di assumere il ruolo di mediatore nella controversia tra una parte dei reduci e il governo non ha un vero e proprio peso e che i reduci dovranno risolvere le controversie con questo o un futuro governo”. ccLa presidente Kolinda Grabar Kitarović ha fatto visita all’accampamento dei reduci di guerra ubicato in Via Savska a Zagabria promettendo di aiutarli Il rating dell’SDP scende di giorno in giorno. Il partito è profondamente diviso e perde l’identità di forza politica socialdemocratica. Quanta responsabilità va attribuita al presidente Milanović? “Zoran Milanović, sin dal momento in cui ha assunto la carica di presidente dell’SDP, ha avuto dei problemi nel definire e imprimere al partito la matrice di forza socialdemocratica. Ciò ha deluso quella parte dell’SDP profondamente tradizionalista che vedeva l’SDP in primo luogo come un partito di sinistra. Questo il motivo per cui Milanović si deve assumere una parte delle colpe, soprattutto quella per la perdita di immagine e il calo del rating, come pure per aver perso le elezioni locali, quelle europee e quelle presidenziali. Un’altra parte delle responsabilità va attribuita ai tesserati del partito che hanno continuato a guardare con tranquillità come il loro partito si stava sgretolando sotto i loro occhi senza intervenire sul campo e senza intraprendere nulla nei confronti dei cittadini che in passato glia avevano dato la fiducia. Il peggio che possa accadere ad un partito è di deludere i propri elettori, e l’SDP lo ha fatto. Sarà interessante vedere se riuscirà, e sino a che punto, recuperare la fiducia dell’elettorato di sinistra prima delle elezioni parlamentari”. Nell’area di sinistra in Croazia sono in atto interessanti cambiamenti e si fanno avanti nuove forze. Mi riferisco a partiti come OraH, Živi Zid, o al tentativo dell’ex ministro Linić di raccogliere intorno a sé alcuni deputati indipendenti di sinistra e costituire un nuovo gruppo parlamentare. Fino a che punto questi partiti possono incidere sui futuri risultati elettorali dell’SDP? “L’area politica di sinistra in Croazia si è frantumata a causa dell’SDP che si è rivelato inefficiente e si è discostato dalla sua naturale identità e definizione. Lo smottamento a sinistra è la conseguenza dell’abbandono del partito di alcuni influenti membri che però non hanno rinunciato alla politica continuando ad essere attivi. È il caso di Slavko Linić il quale ha deciso di correre da solo alle elezioni, mentre al Sabor ha costituito un gruppo di parlamentari indipendenti di sinistra a cui hanno aderito i deputati Vuljanić e Vukšić, ex laburisti. Mirela Holy, un’altra fuoriuscita dell’SDP, ha costituito il partito OraH, definendosi come una sinistra ecologista, ma non è riuscita ancora a stabilizzare il partito e nemmeno il corpo elettorale, come neppure lanciare alcuni nomi importanti. Ivica Pančić dal canto suo ha dato vita all’’Iniziativa per la salvezza della sinistra croata’, perché è convito che l’SDP abbia perso tutta la sua credibilità. Mi risulta che anche l’ex presidente Ivo Josipović abbia intenzioni di avviare un’iniziativa con l’intento di coinvolgere il centro sinistra. Tutto ciò testimonia del fatto che i politici hanno valutato che nell’area della sinistra ci sia ampio spazio di manovra e numerose possibilità di impegno. Al momento però non sono usciti ancora con dei programmi ben definiti in grado di attirare i voti e l’interesse dei cittadini che condividono questo tipo di orientamento politico. In ogni caso queste iniziative rosicchiano il tessuto dell’SDP e il sostegno che questi ha avuto in passato. Ciò significa che di fronte a questo partito si prospetta una battaglia che dovrà condurre su due fronti se vuole vincere le prossime elezioni: quella contro l’HDZ e quella per riconquistare il corpo elettorale su di cui ha potuto contare in passato e che oggi, a causa di pessime scelte e dell’assenza di una chiara strategia di partito, ha perso”. Panorama 13 attualità Lo afferma Goran Klemenčič, l’ex capo della Commissione anticorruzione, che oggi ricopre la prestigiosa carica di Ministro della Giustizia nel governo Cerar Dimissioni? Non ci penso nemmeno! di Stefano Lusa L a bomba è scoppiata alcune settimane fa. I giudici hanno annullato il rapporto della Commissione anticorruzione che puntava il dito sull’allora premier Janez Janša. Nel documento si sosteneva che il primo ministro non poteva giustificare introiti per 210.000 euro. Un’analoga relazione aveva messo all’indice anche l’allora leader dell’opposizione Zoran Janković. Quando i documenti vennero resi pubblici i capi dei due partiti, che rappresentavano due terzi dell’elettorato, ne uscirono fortemente discreditati. Il governo di centro destra, a quel punto, iniziò a dissolversi. I suoi alleati presero in maniera sempre più netta le distanze da Janša e di lì a poco si aprì la strada ad una nuova maggioranza guidata da Alenka Bratušek, un’illustre sconosciuta, a cui Janković affidò il suo partito, Slovenia positiva, pur di consentire che si formasse una nuova coalizione. All’epoca il paese era entusiasta dell’operato della Commissione. Sui giornali vennero versati fiumi di parole contro una classe politica corrotta, arricchita ed incapace di giustificare i propri proventi. Tra i cittadini, da tempo, si stava rafforzando l’opinione, fortemente alimentata dalla stampa, che il paese fosse in mano ad una casta di privilegiati intenti a fare solo i propri interessi. Nella percezione dei cittadini la Slovenia era uno dei paesi più corrotti d’Europa. In effetti non è così, ma con la crisi la convinzione stava diventando sempre più forte. fJanša vuole che il ministro se ne vada Janša fece fuoco e fiamme e sin da subito cercò di ottenere, in tutti i modi, l’annullaeJanez e Janša, capo dell’opposizione in Slovenia, ha chiesto la testa di Klemenčićč 14 Panorama mento di quel documento. La sua tesi era che la Commissione anticorruzione non gli avesse dato modo di chiarire tutti i dettagli prima della pubblicazione dei dati. Ora i giudici hanno concordato con lui ed hanno invalidato quella relazione non per i suoi contenuti ma per vizio di forma. Un’analoga sentenza probabilmente arriverà anche per la relazione su Janković. Janša ed i suoi uomini hanno subito chiesto la testa di Goran Klemenčič, l’ex capo della Commissione anticorruzione, che oggi ricopre la prestigiosa carica di Ministro della giustizia nel governo Cerar. Klemenčič ha immediatamente precisato che l’idea non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello. La tegola sull’esecutivo, però, non è da poco visto che proprio Klemenčič è uno dei suoi uomini simbolo. Sotto la sua guida la Commissione era diventata una sorta di santa inquisizione, pronta a puntare il dito contro tutte quelle che si credeva essere manifestazioni di corruzione. In un clima crescente di caccia alle streghe era stato Klemenčič, con i suoi uomini, ad abbandonare l’organismo, con la motivazione che nel paese non si faceva abbastanza per combattere il dilagante fenomeno in tutte le sue forme. Klemenčič, in quel momento, era al massimo della popolarità e la sua commissione era l’istituzione, in assoluto, in cui gli sloveni avevano più fiducia. A quel punto era chiaro che per lui le porte della politica erano spalancate. La sentenza, secondo alcuni, è arrivata con una strana tempistica; proprio mentre il governo aveva dato ad intendere che voleva procedere sulla strada delle privatizzazioni. Si tratta dei propugnatori della tesi che nel paese esistono forze oscure, legate al precedente regime, in grado di muovere molti fili, che ora starebbero agendo contro il governo, nel momento in cui hanno capito che Miro Cerar non sarebbe stato un loro docile strumento nelle loro mani. A proposito di dialetto ccL’attuale Ministro della Giustizia, Goran Klemenčič Per un disguido tecnico in fase di redattura è saltato un pezzo dell’articolo di Stefano Lusa “Identità confuse e pura razza istriana” in atto un progetto di rivalutazione dell’istroveneto. Lo riportiamo qui sotto scusandoci con i lettori e con l’autore. La redazione Ad aggiungere legna sul fuoco c’ha pensato anche la magistratura. La polizia ha messo in scena una spettacolare azione, in cui sono stati convolti decine e decine di agenti. Perquisita la casa dell’ex premier Alenka Bratušek, gli uffici del suo gruppo parlamentare e la sede del governo. Gli inquirenti erano a caccia di prove a carico dell’ex primo ministro per l’accusa di abuso di ufficio e di interesse privato nella vicenda che aveva portato il suo governo a candidarla alla carica di commissario europeo. La proposta, finita miseramente per la Bratušek, aveva sollevato una vera e propria ondata d’indignazione nel paese. L’ex capo del governo era stata accusata di essersi autocandidata, di non aver rispettato le procedure ed anche di essere una perfetta incompetente. Subito si era mossa anche la Commissione anticorruzione, che aveva fatto scattare una indagine. La decisa azione della polizia non ha mancato di destare stupore. C’è stato chi si è chiesto se il tutto non fosse altro che un tassello nella lotta politica che si sta svolgendo nel paese, mentre altri si sono domandati se non sarebbe stato meglio impiegare un così ampio schieramento di forze per indagare su reati ben più seri. In ogni modo la vicenda si è riempita di tinte ancora più cupe quando è emerso che il giudice che aveva firmato l’ordine per far scattare le perquisizioni, in passato, non aveva mancato di lasciarsi andare, su twitter, a commenti poco edificanti proprio sulla candidatura della Bratušek alla funzione di commissario. Ottenuto l’ingresso nell’Unione europea, nell’euro, in Schengen e nella Nato, la Slovenia ha da tempo raggiunto quelli che considerava obiettivi strategici. In un momento in cui le ideologie paiono sono superate e il margine per politiche autonome è limitatissimo non resta che mettere in atto una guerra senza quartiere di tutti contro tutti. Di scrittura in quella “lingua” gli italiani d’Istria ne hanno prodotta tanta. L’hanno usata, fatto salvo rare eccezioni, per raccontare il loro piccolo mondo idilliaco di una volta: i ritmi della casa, della campagna, della pesca, le tradizioni, i gli usi ed i costumi. Tutta questa produzione è soprattutto servita a ribadire autoctonia e radici profonde messe sul territorio, ma anche a rimarcare la specificità di questa comunità. In tempo di globalizzazione la costruzione delle piccole patrie è un processo che sta prendendo piede da tempo in Europa, con risvolti spesso negativi. È accaduto recentemente anche nel Veneto, dove da alcuni anni si sta addirittura inventando un “popolo veneto”. In questo progetto non sono mancati nemmeno coloro che sognano il referendum e l’indipendenza. Anche per loro, come per altri leghismi italiani, proprio il dialetto sembra essere diventato il mito fondante su cui costruire la propria nuova identità diversa da quella italiana. Quelle ultime custodi del dialetto piranese, con cui sono cresciuto, avrebbero guardato a tutto questo con malcelato fastidio. Loro non si sentivano venete, istriane o italiane diverse, anche perché loro non avevano mai creduto di essere jugoslave di nazionalità italiana, come andavano dicendo il regime ed i suoi cantori. Ci avrebbero fatto capire, con garbo, che oggi - in una regione dove l’italiano è sempre più povero e sempre meno presente nella vita pubblica e privata - la vera e propria sfida non è quella di preservare il dialetto, ma quella di salvare l’italiano. Si sarebbero messe a ridere di fronte a chi pensa che elementi di dialetto dovrebbero essere insegnati anche nelle scuole e avrebbero detto che i bambini più che di radici hanno bisogno di ali per volare. Alla fine ci avrebbero spiegato che l’identità etnica non si trasmette con la scuola o per volontà politica, ma che passa semplicemente - come dimostrano fior di studi a riguardo - attraverso l’amore dei nonni. fScoperchiato il vaso di Pandora Sta di fatto che non è dovuto passare molto tempo prima che si abbattesse un’altra tegola sull’esecutivo. Proprio grazie ai dati pubblicati della Commissione anticorruzione è emerso che alcuni membri del governo, in qualità di professori universitari, avevano incassato negli scorsi anni compensi considerati da favola dai giornali. La ministra per l’istruzione, Stanka Setnikar Cankar, ha immediatamente rassegnato le proprie dimissioni, dopo che era emerso che in una decina d’anni aveva percepito guadagni extra per 636.000 euro. Di fronte ad un vero e proprio linciaggio mediatico difficilmente avrebbe potuto continuare ad operare in un settore dove stava chiedendo razionalizzazioni e tagli. Scoperchiato il vaso di Pandora la polemica ha coinvolto tutta la casta del mondo dell’università sloveno e quindi anche i membri del governo che escono dalle sfere accademiche. Nel mirino anche lo stesso Cerar e il suo arcigno ministro delle finanze Dušan Mramor. Quest’ultimo non ha mancato di liquidare chi gli chiedeva conto di quelle entrate, con la considerazione che bisognava rendersi conto che adesso si era nell’economia di mercato e che il comunismo era finito. Ne è seguito un vero putiferio. Cerar si è difeso dicendosi sorpreso del discredito che si stava cercando di gettare sul governo ed ha invitato i cittadini a giudicare il lavoro dell’esecutivo dai suoi risultati. Come fa da decenni Janša e come aveva fatto anche Pahor, ha subito rilanciato la tesi della presenza di poteri occulti: “Si aspetta un determinato momento - ha detto - e poi si piazzano determinati dati, che sono falsi o che vengono erroneamente interpretati”. Panorama 15 attualità L’Agenzia croata per gli idrocarburi (CHA) ha dovuto bloccare la firma dei contratti con le aziende pronte ad iniziare le esplorazioni nei fondali marini croati alla ricerca di gas e petrolio. A bloccare le operazioni sono le “preoccupazioni” emerse fra gli Stati confinanti, in particolare Italia, Slovenia e Montenegro, sull’impatto ambientale che le operazioni potrebbero provocare nelle coste e nei fondali A cura di Diana Pirjavec Rameša L a brutta sorpresa è arrivata proprio sui blocchi di partenza per quello che è stato definito il maggior progetto economico degli ultimi decenni in Croazia: l’Agenzia croata per gli idrocarburi (CHA) ha dovuto bloccare la firma dei contratti con le aziende pronte ad iniziare le esplorazioni nei fondali marini croati alla ricerca di gas e petrolio. Anziché ad aprile, dicono fonti riservate all’interno dell’agenzia, i contratti non saranno firmati fino a giugno, nella più ottimistica delle ipotesi. A bloccare le operazioni sono le “preoccupazioni” emerse fra gli Stati confinanti, in particolare Italia, Slovenia e Montenegro, sull’impatto ambientale che potrebbero provocare nelle coste e nei fondali dell’Adriatico. Secondo le normative europee ed internazionali, la Croazia dovrà dare il tempo necessario ai vicini di casa per presentare commenti e rimostranze circa ogni potenziale rischio ecologico intravisto nelle future attività. fI tempi si allungano Si allungano quindi i tempi di attesa per le compagnie che hanno ottenuto le licenze, e che avrebbero dovuto firmare i contratti ad aprile, esattamente un anno dopo il lancio della gara da parte di Zagabria. Il tender, chiuso a novembre 2014, è stato seguito 16 Panorama Trivellazioni nell’Adriatico: una polemica infinita dall’esame delle candidature da parte di una commissione apposita, che a gennaio ha deciso di affidare i lavori a 5 compagnie internazionali radunate in tre consorzi con la concessione di 10 licenze in totale. Una licenza è stata data al consorzio formato da Eni e dalla londinese Medoilgas. Sette licenze sono andate al consorzio tra la Marathon Oil di Houston e l’austriaca Omv, ed infine due licenze sono andate alla croata Ina e all’ungherese Mol. Il governo ha poi fissato al 2 aprile la scadenza per la firma degli accordi con i vincitori del bando. Le licenze hanno una copertura di due anni per le esplorazioni, estendibili ad altri tre a seconda delle valutazioni compiute nel corso dei lavori. Dopo il processo quinquennale, dovrebbe essere concessa una licenza di 25 anni per lo sfruttamento dei giacimenti. A gennaio il ministro dell’Economia di Zagabria, Ivan Vrdoljak, ha reso noto che le cinque compagnie investiranno, secondo quanto previsto, 520 milioni di euro in totale, con un pagamento in anticipo di 13 milioni di euro al momento della firma dei contratti. Un anno prima il ministro aveva annunciato altre “grandi cifre” dichiarando che le potenzialità estrattive sono di circa 3 miliardi di barili di petrolio - rileva l’agenzia Italintermedia. fE poi c’è la disputa sui confini L’affermazione non è riuscita a mettere d’accordo tutti gli esperti, ed è stata giudicata da alcuni decisamente troppo ottimistica. I ritardi, osservano ancora gli esperti più critici, potrebbero inoltre essere dettati solo all’ap- parenza da un irrefrenabile desiderio di tutelare l’ambiente: le vere ragioni potrebbero infatti risiedere, nel caso di Slovenia e Montenegro, nelle annose dispute sui confini che, se vinte a favore di questi due Paesi, potrebbero far partecipare anche Lubiana e Podgorica nella grande corsa all’oro nero dell’Adriatico. L’ambasciata slovena a Zagabria aveva fatto sapere, al momento dell’apertura del bando, di “non concordare” con la divisione tracciata sulle mappe sottomarine, perché fornirebbero una soluzione “anticipata” e soprattutto unilaterale ad una disputa che attualmente si trova ancora sotto procedura di arbitrato all’Aja. In attesa di una soluzione ora la Croazia punta sulle “esplorazioni di terra” in Slavonia dove si ricercano giacimenti di gas. reportage Pietra Pelosa Esaurita la quinta fase dei lavori di restauro e risanamento conservativo del maniero che vigila sul Brazzana, nell’Istria centrale il castello è salvo testo e foto di Bruno Bontempo N ccPietra Pelosa al tramonto e (in alto) vista panoramica da Mulinpiccolo egli anni passati assieme alla ‘Voce del Popolo’, Romano Farina mi parlava spesso dell’Istria, che stava setacciando da tempo con acume, passione e un’attenta scelta di percorsi meno consueti: stava nascendo la pregevole raccolta di “Itinerari istriani”, diventata poi un libro dell’Edit. Il Panorama 17 reportage racconto che ne uscì non mancò di stuzzicare il mio interesse e la mia curiosità per questo affascinante territorio, che mi riproposi di andare a conoscere da vicino quando gli avrei potuto dedicare più tempo... Ora un po’ di quel tempo lo sto rubando, inseguendo ogni occasione buona per lasciarmi guidare dal flusso della memoria di quelle narrazioni, alla ricerca di siti e località meno ovvi, ma altrettanto pieni di fascino e storia... E in questo ordine di valori si colloca a pieno diritto il severo castello di Pietra Pelosa, nel Pinguentino, preziosa testimonianza di architettura istriana del Medioevo, con oltre un migliaio d’anni alle spalle. Costruito per vigilare l’importante confluenza della valle del Brazzana con quella del Quieto e per controllare il tratto tra Portole e Pinguente, per grandezza è secondo soltanto al castello di Pisino e mai è stato distrutto completamente: la solidità delle sue mura sembra in stretta simbiosi con la natura dello sperone calcareo di 119 metri sul quale si innesta. La sua importanza secolare è dovuta alla posizione strategica: in cima a un colle, a strapiombo sul torrente, in un luogo perfetto per controllare i transiti della via che dalla pianura saliva a nord. Anche oggi, a quasi 300 anni dal suo abbandono, i resti del maniero si presentano imponenti e il luogo silenzioso evoca ricordi di armati e di cavalieri, mentre il sottostante pianoro tagliato dal corso del Brazzana, sembra fatto apposta per prestarsi a fare da teatro a giostre e tornei. E già si pensa ad una possibile destinazione a uso pubblico, che avrebbe anche lo scopo di implementare l’offerta turistica. Ma cerchiamo di avere pazienza e di non precorrere i tempi. È già un segno positivo il fatto che in questi ultimi anni in Istria si registri una rinnovata sensibilità per un approccio conservativo al restauro strutturale, finalizzato principalmente alla conservazione, al recupero ed alla valorizzazione dei caratteri di interesse storico-artistico, architettonico e ambientale. Ce lo conferma Nataša Nefat, alto conservatore presso la 18 Panorama Castello che vai, leggenda che trovi I castelli, si sa, sono ricchi di storia. E la storia, talvolta, diventa mito. Dal mito alla leggenda il passo è breve. Le leggende traggono spunto da vicende di una comunità, da fatti storici e da eventi che si presumono realmente accaduti. E Pietra Pelosa non poteva certo fare eccezione. Si racconta che nel 1625 i contadini della valle del Brazzana, legati alla signoria da rigidi e insostenibili legami di sottomissione (se per gli ex servi della gleba si erano attenuati quelli relativi alle persone, rimasero forti i vincoli che imponevano gli interventi dei proprietari sulla conduzione delle attività agricole), ad un certo punto avevano deciso di manifestare il loro malcontento. Mentre erano impegnati nello scavo di un fossato intorno al castello, inscenarono una sorta di sollevazione – tanto legittima quanto azzardata e coraggiosa per l’epoca - rallentando visibilmente il ritmo dei lavori. Accortosi di quanto stava succedendo, il padrone del castello, furibondo, salì a cavallo, deciso a dare una lezione ai coloni che avevano osato protestare e, come era d’uso all’epoca, voleva punirli con una serie di frustate. Si avvicinò all’orlo del fossato, ma commise l’imperdonabile errore di scendere da cavallo e saltarvi dentro, perdendo così in un attimo, non solo metaforicamente, la sua posizione di predominio, di signoria, di supremazia nei confronti dei suoi contadini. Incoraggiato da questa fortuita sequenza degli eventi, uno dei rivoltosi si scagliò contro l’odiato padrone, tagliandogli la testa con un secco colpo di pala, e scatenò il propagarsi della sommossa. Il castello finì in balia della rabbiosa vendetta dei coloni, saccheggiato e incendiato. Storia o leggenda? Acquistato dalla Repubblica di Venezia nel 1420, ultimo resto della signoria feudale dei patriarchi d’Aquileia in Istria, nel 1439 il castello era stato dato in feudo ai marchesi Gravisi di Capodistria, che lo mantennero fino al 1625 quando - secondo alcuni documenti - venne distrutto da un furioso incendio. Incidentale!? ccPietra Pelosa Soprintendenza per la tutela dei monumenti dell’Istria con sede a Pola, impegnata a seguire il progetto di restauro e conservazione del castello di Pietra Pelosa fin dai suoi inizi, che risalgono al 1995. “Su iniziativa della Città di Pinguente e del Museo Archeologico dell’Istria, il primo passo, dal ‘95 al 2000, ha riguardato la chiesa di S. Maria Maddalena, all’interno della quale sono stati ritrovati degli affreschi risalenti al ‘500, oggi conservati al Museo civico di Pinguente - ci ha spiegato l’alto consulente della Soprintendenza -. Soltanto nel 2003 furono intrapresi i primi interventi di manutenzione della struttura del castello, ma in assenza di un progetto specifico, venne a mancare anche un approccio sistematico. I primi lavori erano limitati al risanamento conservativo indirizzato al recupero statico. Dapprima è stato necessario provvedere alla messa in sicurezza delle mura della struttura, sulle quali erano state riscontrate serie lesioni diffuse. In accordo con la Sovrintendenza regionale, il restauro vero e proprio si è poi articolato in diverse fasi ma parallelamente si è proceduto alle indagini archeologiche, catalogazione dei dati, operazioni di restauro e musealizzazione dei reperti emersi dagli scavi. Un accordo di cooperazione importante, insomma, che ha come obiettivo finale rendere possibile una destinazione d’uso del complesso che possa essere capace di implementare l’offerta turistica”. ccIl prospetto del castello di Pietra Pelosa. A lato: la chiesetta di S. Maria Maddalena La chiesa di S. Maria Maddalena Parte integrante del maniero, forse cappella di corte, la chiesetta romanica di S. Maria Maddalena risale al periodo tra l’XI e il XIII secolo. Struttura a una navata, con un campanile a vela a una luce, è stata costruita con pietra da taglio, ridotta in conci regolari, all’interno intonacati e affrescati. Restaurata tra il 1999 e il 2003 nell’ambito del progetto di recupero di Pietra Pelosa, frammenti degli affreschi ritrovati al suo interno sono conservati al Museo civico di Pinguente fGrande contributo della Regione Veneto Il primo vero progetto di tutela di Pietra Pelosa risale al 2008, con la stesura della documentazione per gli interventi al palazzo del castello, per la messa in sicurezza delle sue parti più a rischio e per sanare le crepe che rischiavano di causare dei crolli con danni irreversibili. Parallelamente si è proceduto a una ricostruzione a tappe, seguita da una serie di ricer- che archeologiche che hanno aiutato a indirizzare gli interventi di risanamento strutturale. L’operazione è stata seguita dall’Istituto croato per il restauro con sede a Roveria (Dignano), con a capo il conservatore archeologo prof. Josip Višnjić (responsabile delle unità dislocate del Dipartimento di archeologia terrestre), che tanto si è appassionato al progetto, da sceglierlo come argomento della sua tesi di master universitario. “I lavori di scavo sul sito ed i ritrovamenti di cocci di ceramiche, oggetti di uso quotidiano e ornamentale, reperti metallici, di ceramica, numismatici, monete, denaro, ci hanno permesso di capire tante cose sullo sviluppo sociale ed economico e sullo stile di vita in queste terre nel periodo intercorso tra l’XI e il XVII secolo - ha precisato il prof. Višnjić -. Reperti che ora sono affidati al trattamento dei restauratori del nostro Istituto di Roveria. A lavori conclusi si valuterà lo stato di queste testimonianze e si deciderà Panorama 19 reportage Recupero e restauro, sei grandi progetti Pietra Pelosa è uno dei più importanti interventi di recupero in atto sul territorio istriano, assieme al Castello di Possert, le mura e il Palazzo Comunale di Montona, le mura di Fianona, il castello di Chersano e Duecastelli, progetto attivo ormai da una quindicina di anni se affidare i reperti al museo di Pinguente o a quello di Pola”. Karmen Medica, dell’assessorato comunale di Pinguente che cura la tutela del patrimonio culturale, ci ha fornito qualche ragguaglio sul quadro finanziario del progetto, “che soltanto dal 2008 è entrato in una significativa fase di pianificazione ed ha potuto contare su un flusso abbastanza continuo di stanziamenti. Mentre la municipalità di Pinguente e la Regione Istriana hanno assicurato 50 mila kune annue ciascuna, nel 2012 il progetto è stato inserito in un programma triennale del Ministero della Cultura, valore totale 1,5 milioni di kune, che alla sua scadenza, quest’anno, ha permesso di concludere la quinta fase di restauro e conservazione del castello di Pietra Pelosa, uno degli interventi più ambiziosi in corso di realizzazione sul territorio istriano”. Di grande rilievo anche il contribu- ccPietra Pelosa, mura merlate e feritoie del cortile del maniero to della Regione Veneto, dalla quale, nell’ambito della Legge regionale del 1994 per il “Programma degli interventi ed il conseguente riparto dei contributi per il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia”, è atteso un versamento di 60mila euro da aggiungere ai 50mila già versati qualche anno addietro. “Vorrei esprimere la nostra gratitudine alla Regione Veneto, senza i cui contributi finanziari il restauro di Pietra Pelosa sarebbe stato messo seriamente in forse. Sono molto felice di come procede la realizzazione del progetto - ha ribadito Nataša Nefat -, senza dubbio il più importante della mia esperienza lavorativa in questo campo, quello che mi ha dato le maggiori soddisfazioni, poiché in questi sei anni l’ho visto crescere di giorno in giorno, cambiare aspetto davanti ai miei occhi. Lodevolissimo è stato ccEx castelliere, fu trasformato in fortilizio pure il lavoro di preparazione della documentazione tecnica necessaria per l’acquisizione di intese, pareri, concessioni, autorizzazioni, licenze, portato a termine con estrema professionalità dal competente assessorato della municipalità di Pinguente. Al punto che siamo già pronti per affrontare le fasi, ancora in fase di studio, inerenti criteri e modalità per il futuro utilizzo del castello - a lavori ultimati - per manifestazioni, spettacoli e iniziative a carattere turistico”. ccL’ombra del Castello sulla valle del Brazzana. Sullo sfondo i monti della Ciceria 20 Panorama eventi ccL’introduzione svolta da Gianclaudio de Angelini ccMirella Sartori ha illustrato le finalità e i contenuti esemplari del Vocabolario Un tocco dei Lussini a Roma A ll’inizio di marzo, presso la biblioteca San Marco annessa alla chiesa del Villaggio Giuliano di Roma, si è svolta la presentazione del “Vocabolario imperfetto della parlata dei Lussini” di Mirella Sartori. L’evento è stato sponsorizzato, con autofinanziamento, dalla Mailing List Histria, l’Associazione per la Cultura Giuliana, Fiumana e Dalmata del Lazio e dalla Comunità degli Italiani di Lussinpiccolo. Sala piena: per alcuni presenti era la prima volta che partecipavano ad una iniziativa del genere. Mirella Sartori, di madre lussignana, ha trascorso lungo tempo nella bellissima isola e, dopo aver raccolto e vagliato moltissimo materiale, ha pubblicato grazie alla Comunità italiana di Lussinpiccolo, questo godibilissimo Vocabolario. Sempre a cura di Mirella e di suo figlio Corrado, si è potuto anche visionare un bel documentario sull’isola, e ascoltare il Coro della Comunità di Lussinpiccolo. L’introduzione è stata svolta da Gianclaudio de Angelini, che ha spiegato gli aspetti linguistici dei dialetti istroveneti e romanzi dell’Adriatico orientale. Alla fine non poteva mancare un pezzo delle famose “Maldobrie”, quelle dello scartassin dei denti (uno per tutto l’equipaggio), da riparare perché troppo consunto. Eufemia Giuliana Budicin ha invece trat- Al Villaggio Giuliano della capitale italiana si è svolta la presentazione del «Vocabolario imperfetto della parlata dei Lussini» di Mirella Sartori teggiato la storia culturale di Ossero, rimarcando la continuità della lingua e cultura latina della sua diocesi dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente. ccEufemia Giuliana Budicin ha tratteggiato la storia culturale di Ossero Ha quindi preso la parola Mirella Sartori che ha illustrato le finalità e i contenuti esemplari del Vocabolario, seguita da un attento pubblico che nel frattempo aveva riempito tutta la sala. Alla fine ha portato un saluto la prof.ssa Maria Ballarin, nata a Roma da genitori lussignani doc., che ha aggiunto altre interessanti informazioni sull’isola incantata e la sua trimillenaria storia. Tutti gli interventi hanno posto l’accento sulla felice commistione fra le parlate dell’isola, per cui qualche parola allogena veniva impiegata nell’istroveneto e moltissime parole di matrice italica connotavano il ciacavo locale, come d’altronde avveniva in tutto il Quarnero e la costa dalmata. E questo senza causare nessun particolare problema nella popolazione che conviveva pacificamente. Ne è seguito un dibattito, con la partecipazione di un’altra lussignana Adriana Martinoli e varie domande da parte di un pubblico attento e molto interessato. In conclusione, un brindisi con Malvasia istriana e Sangue Morlacco per annaffiare le squisite pinze fatte da Mirella e altri dolci tipici confezionati dalle signore convenute. ccLa prof.ssa Maria Ballarin Panorama 21 società «Più cultura meno pau marcia per l’integrazione di Marino Vocci D omenica 8 marzo è stata una giornata davvero particolare e di grande bellezza. Ho avuto infatti la splendida opportunità di festeggiare la giornata della donna nel cuore dell’Appennino tosco-emiliano, nella piazza della Libertà a Porretta Terme, quasi a metà strada tra Firenze e Bologna, partecipando insieme ad alcuni amici triestini, istriani e serbi alla marcia per l’integrazione sociale: “Più cultura meno paura”. Una marcia, così era scritto nel manifesto d’invito, per l’integrazione sociale, 22 Panorama pensata dopo i tragici eventi di Parigi e le stragi che quotidianamente ci sgomentano, e nata dal bisogno di guardarci negli occhi per superare le differenze ed iniziare un percorso che porti ad una vera conoscenza tra le diverse persone. La manifestazione godeva del patrocinio delle amministrazioni pubbliche locali e delle associazioni culturali toscane e emiliane, ma anche di associazioni di immigrati e comunità islamiche ed è stata organizzata da due donne. Anche e non solo per questo, essere lì è stata una straordinaria occasione per ricordare l’ottomarzo. Infatti nel mio intervento ho voluto ribadire che la terra MADRE è di tutti, ripeto di tutti noi, donne e uomini e donne, bambine e vecchie, bianchi e neri, cristiani e mussulmani, ebrei e buddisti. La manifestazione è iniziata nel segno della Pace con il saluto “la pace sia con Voi” eseguito da as-salām ‘alaykum (“la pace sia su di voi”), il saluto che ogni musulmano rivolge, ed equivale all’italiano “ciao” o “buongiorno”. Quello che mi ha particolarmente toccato è stato che alla risposta wa ‘alaykum assalām “e con voi la pace”, l’Imam ha pregato scandendo una Sura, termine arabo usato per indicare ognuna delle 114 ripartizioni testuali (grossolanamente “capitoli”) in cui è diviso il Corano. Già questo, per molti di noi, che non conoscono niente del nostro prossimo mussulmano e ura» sociale La manifestazione di Porretta Terme è nata dal bisogno di guardarci negli occhi per superare le differenze ed iniziare un percorso che porti ad una vera conoscenza tra le diverse persone quindi anche del Corano, è stata una cosa importante. Così come è stato significativo che l’Imam abbia scelto la Sura XIX, quella dedicata a Maryam, a Maria. Una Sura che è gesto di pace, di amore, di riconoscenza e di amicizia profonda nei confronti della nostra Maria, madre del nostro Dio. In quella fredda domenica di marzo, “In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso” si è voluto riscaldare il nostro cuore e ricordare che: Maria è la donna tramite la quale Allah - gloria a Lui Altissimo (così stava scritto nel testo in lingua italiana distribuito a tutti i presenti n.d.r.) - ha voluto dare un segno particolare: “In verità o Maria, Allah ti ha prescelta; ti ha puri- ficata e prescelta tra tutte le donne del mondo” e il segno è stato Gesù il suo figlio, nato per volontà dell’Altissimo, divina creazione nella generazione umana: “… un segno per le genti e una misericordia da parte Nostra. Tutta la vicenda di Maria è dolcemente contraddistinta dall’abbandono ad Allah e da una purezza delle intenzioni che ne fa una figura angelica;l’inviato di Allah (pace e benedizione su di lui) disse che Maria, insieme a Fatima, Khadija e Asiya (la sposa di Faraone che salvò Mosè dal Nilo) è una delle signore del Paradiso. Una preghiera che è soprattutto uno straordinario esempio di come si dovrebbe favorire la reciproca conoscenza superando diffuse ignoranze, stereotipi e pregiudizi e riconoscersi reciprocamente. Così come ho trovato straordinaria la manifestazione di rispetto e amore profondo nei confronti della donna, nell’intervento del rappresentante della Comunità Musulmana di Marzabotto. Che ha definito la donna non come l’altra metà del cielo, ma colei che dando la Vita, è il Cielo intero. Mi ha colpito poi la scelta dell’insegnate Raffaella Zuccari Guccini di far leggere alle proprie studentesse, donne cristiane e musulmane, immediatamente dopo la preghiera dell’Imam, alcuni articoli della Costituzione della Repubblica Italiana. Una delle Costituzioni migliori al mondo, spesso offesa e non applicaPanorama 23 ccLa chiesa di Sambuca pistoiese ta e che purtroppo si vorrebbe modificare e tradire. Una lettura piena di valori anche simbolici, che ribadisce la centralità della laicità dello Stato, infatti se crediamo, e io lo credo fortissimamente, che si debba costruire una Comunità unita e aperta che metta al centro l’individuo, lo Stato deve garantire pari diritti e pari doveri e prima di tutto pari opportunità a tutte le cittadine e cittadini, e proprio nei momenti di crisi non solo economica ma soprattutto di valori, come quello che stiamo vivendo, deve ascoltare i buoni maestri quelli che difendono i valori dell’unità e del convivium e rifiutare le brutali e ignoranti semplificazioni e la violenza soprattutto quella verbale. Un ottomarzo interessante che mi ha fatto conoscere un pezzo bellissimo e purtroppo abbandonato, del Belpa- ccLe mura del Castello di Sambuca pistoiese ese. Infatti non lontano da Porretta, ho visto per la prima volta Pàvana (proprio con accento sulla prima a) un piccolo paese in cui uno dei più grandi cantautori italiani di sempre, Francesco Guccini, ha trascorso un breve periodo nei suoi primi anni vita “tirato su a castagne ed erba spagna” nella casa accanto al mulino di famiglia e dove, da una decina d’anni, è ritornato a vivere. E poi, Sambuca Pistoiese un Toscana, di cui Pàvana è la frazione più importante e popolosa. Ma il luogo che mi ha colpito di più è stato il piccolo e bellissimo paese di Sambuca, oggi quasi completamente abbandonato. Il suo castello, immerso nei boschi ricchi di conifere e castagni che domina la valle del Limentra, si trova proprio sul confine tra Toscana ed Emilia, lungo la via Fran- cigena tra Pistoia e Bologna ed è stato costruito nel 1055 dal vescovo di Pistoia Martino per difendere il territorio dalla minaccia di Bologna. Il nome di Sambuca deriva proprio dal Sambuco (Sambucus nigra) molto diffuso nei boschi di quel territorio. Questo luogo racconta la storia dei conflitti di ieri e anche una bella storia legata ad una donna, Selvaggia Vergiolesi, discendente da una nobile famiglia ghibellina che visse nella Rocca di “Poggio di Marco” vicino a Piteccio fino a che il suo castello fu assediato e incendiato dai Guelfi (…gli odiati nemici!). Lei riuscì a fuggire grazie ad un cunicolo, scoperto nei giochi da bambina, e a raggiungere prima il castello di “Batoni” e infine quello di Sambuca, nel quale finalmente potè sentirsi protetta per la nota inespugnabilità di questo castello. Vi rimase fino a quando morì nel 1313. Un tempo a Sambuca, con la sua bella chiesa, il convento e la pretura vivevano centinaia e centinaia di persone. In questo ottomarzo 2015 tra le centinaia di case con le imposte tutte chiuse, ad accoglierci nel loro caldo ostello e ristorante c’erano solo due persone: il cuoco, l’eroico Andrea Lollini (già assicuratore e sindaco) e sua moglie Alessandra. Quale sarà il futuro di questo luogo, di vita e bellezza o di morte e abbandono, non è dato sapere. Forse questo pezzo bellissimo della montagna, oggi abbandonata, domani ritornerà a vivere proprio grazie agli immigrati. eeIl mulino di Francesco Guccini detto Chicon bisnonno del cantautore e scrittore Francesco Guccini 24 Panorama dossier Comunità Cittanova: una CI di antica costituzione Dispone di una delle più belle sedi con l’estivo ed è situata nel centro storico della cittadina conosciuta per il suo Mandracchio Panorama 25 ccIl coro “Cittanova Vocalensemble” ccLa presidente Paola Legovich Hrobat C di Ardea Velikonja ittanova, una bella cittadina affacciata sul mare e caratterizzata dal suo Mandracchio, ha una delle più belle sedi della Comunità degli Italiani. Completamente rifatta nel 2010 è una delle poche che ha pure un estivo nel centro storico. A dirigere la CI è Paola Legovich Hrobat che abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia. ccL’estivo che dovrebbe venir in parte coperto 26 Panorama “La nostra Comunità ha una strana genesi, nata come Società di calcio ‘Cittanovese’ nel 1948 fu attiva fino al 1952 quando fu aperto il Circolo Italiano di Cultura che ebbe come fondatore e primo presidente Alfredo Zaccaron. Una CI quindi di antica costituzione. L’attività vera e propria inizia con gli anni Sessanta quando nella dimora attuale, che era sede dell’allora scuola elementare, soprattutto gli insegnanti e il preside della scuola facevano attività anche per quanto riguardava la Comunità. Quindi nella scuola al pomeriggio c’era il gruppo filodrammatico, il coro e si tenevano sempre i gruppi sportivi, non più tanto il calcio quanto le bocce la cui squadra oggi si presenta a tutti i tornei. Questa è la storia degli anni precedenti. Mi ricordo che quando frequentavo la scuola elementare appunto anche alla sera si proiettavano dei film che arrivava- no da altre comunità e questa era un’attività molto gradita dai cittadini perché il cinema non era alla portata di tutti e qui arrivavano film un attimino più nuovi. Sotto c’era anche una sala adibita a tutto con la TV e molta gente passava la sera qui a guardare la televisione ed i più anziani facevano la loro partitina a carte. Poi pian pianino negli anni la scuola si è trasferita, ha avuto la sede attuale e ci hanno donato questa casa. L’estivo invece ci è stato donato dalla Regione. Io sono al quarto mandato come presidente e quando ho iniziato c’era in atto il progetto per la ristrutturazione. Con molto lavoro, molte peripezie, molti inconvenienti che caratterizzano simili progetti, ce l’abbiamo fatta. Nel 2010 abbiamo inaugurato la nuova sede. Gli ambienti che prima erano aule scolastiche sono stati tutti trasformati per le necessità della parte amministrativa, archivi, sale riunioni e quindi tutte le sale adibite alla nostra attività. L’inaugurazione è stata una bella festa alla presenza anche del presidente della Repubblica Ivo Josipović, che era appena subentrato nella carica, e di tutti i vertici dell’UI e dell’UPT. È stata una bella inaugurazione che ha dimostrato che tutta la cittadinanza ci rispetta e ci valuta. Una festa memorabile. E da allora usiamo questa sede per le nostre attività: sportive, che logicamente si svolgono esternamente, poi c’è il grup- dossier Comunità Un fattore fondamentale della vita sociale po artistico, che si ritrovano due volte alla settimana con il maestro di pittura, poi c’è un gruppo fotografico molto attivo, attività che si rispecchia nella Foto Ex Tempore che è arrivata alla decima edizione, poi abbiamo un gruppo di attività creative come possono essere il decoupage e altre lavorazioni fatte per varie manifestazioni, per allestire mercatini a scopo solidale. Abbiamo anche un laboratorio ecologico molto valido in cui si preparano prodotti per l’igiene della casa, tutti a base naturale, con prodotti che non inquinano e quindi rispettano l’ambiente, la stessa cosa per quanto riguarda l’igiene personale, la cosmesi, e poi fanno ancora saponi, deodoranti e sono attivi da cinque-sei anni. Stiamo cercando di far partire un gruppo filodrammatico perché non abbiamo abbastanza gente interessata. Poi c’è il coro che ha festeggiato 25 anni di attività e anche loro sono regolarmente presenti in Comunità. Abbiamo ancora dei corsi di fotografia extra del gruppo fotografico, corsi di ballo, e poi magari quando qualcuno viene e proporci di fare un corso su qualcosa di attuale per noi è il benvenuto. Capitano spesso persone, come per esempio pensionati italiani che si sono trasferiti qui, che vogliono mostrare le loro attività artistiche o culturali e diamo loro spazio. Oltre ai due fiori all’occhiello, ovvero la Foto ex tempore Sindaco di Cittanova è il connazionale Anteo Milos e, come a tutti, gli abbiamo chiesto come sono i rapporti tra la CI e il Comune e cosa significa la Comunità degli Italiani per Cittanova. “La CI di Cittanova è uno dei fattori fondamentali della vita sociale e culturale della nostra città. Le varie attività portate avanti in modo professionale dalla Comunità sono un punto di ritrovo dei Cittanovesi, giovani e meno giovani, ma anche di tanti cittadini italiani residenti a Cittanova. La città è partner finanziario in molti di questi programmi ma non solo, partecipiamo anche direttamente alle manifestazioni organizzate assieme all’Ente turismo. Questo è un connubio desiderato e sostenuto fortemente da entrambe le parti. L’espressione dell’italianità del territorio va sostenuta tramite la cultura, il modo di vivere e di fare le cose e credo che a Cittanova, come anche in altre realtà istriane ci siamo riusciti. Come sindaco appartenente alla minoranza italiana continuerò a supportare tutte le attività della nostra Comunità e invito tutti i cittadini di Cittanova a fare parte di questo progetto comune per il benessere di tutti”. e la Gara dei dolci, la nostra Comunità organizza, specie d’estate dato che siamo nel centro di Cittanova che è una cittadina turistica, spesso delle serate culinarie a cui invitiamo anche i nostri produttori di vino, olio e miele a presentarsi ai turisti. E ogni serata è molto frequentata. Abbiamo anche la Slow food e quindi si organizzano dei corsi che finiscono con delle degustazioni. Quindi anche queste manifestazioni stanno per diventare tradizionali. Mi chiede quanti sono gli iscritti alla Comunità: sono circa 800, i so- Lo ha detto il sindaco di Cittanova, Anteo Milos, parlando della Comunità degli Italiani stenitori ancora un centinaio su una popolazione di 4000 abitanti. Quindi siamo ad una buona percentuale, per essere una cittadina piccola abbiamo una situazione soddisfacente. Quello che è il punto dolente, come del resto credo lo sia in tutte le altre CI, sono i giovani. Sono inclusi pochissimo nella vita comunitaria, abbiamo cercato di fare delle riunioni con loro per capire che cosa vorrebbero e di cosa hanno bisogno di modo che la comunità vedesse di dare questa possibilità, ma non sapevano neppure loro che cosa volessero. Volevamo creare Panorama 27 qualcosa che stesse bene a loro per averli con più sicurezza. Si parlava di fare un club di bicicletta, oppure, visto che siamo sul mare, un club di vela, o di organizzare qualcosa. Eravamo partiti con buoni presupposti però non siamo riusciti a realizzare niente. Cittanova ha una popolazione abbastanza matura, i giovani sono meno presenti proprio nell’età in cui dovrebbero venire in Comunità perché magari studiano altrove e quindi non possiamo averli qui. E questo ci rattrista perché io, per esempio, essendo al quarto mandato avrei bisogno pian pianino di inserire qualcuno su questa strada però purtroppo non c’è gente che riesca ad essere presente costantemente. La scuola e l’asilo adesso vanno bene, con il cambio del preside e dell’organizzazione sono molto più presenti di quanto lo erano negli anni precedenti. Spesso li invitiamo anche noi, facciamo delle cose adatte ai bambini in base agli accordi presi con le educatrici e con il preside della scuola. Neanche un mese fa il preside ha messo nel calendario scolastico la visita alla Comunità e abbiamo avuto qui i bambini delle inferiori, io ho presentato loro la nostra CI e tutto ciò che facciamo, anche se alcuni lo sapevano perché fanno parte dei Minicanti che abbiamo ripreso da poco a organizzare. Quindi posso dire che è meglio di quanto lo era negli anni precedenti, però io direi che si può fare sempre meglio ancora e anzi lo speriamo perché se no qua la Comunità ha un destino poco invidiabile, come del resto in tutte le CI”. ccI prodotti ecosostenibili creati dalle valenti mani delle attiviste ccUna delle tante mostre del gruppo artistico Come sono i rapporti con il Comune e il sindaco? “Adesso stiamo vivendo un periodo molto bello, un rapporto molto efficace, collaborazione totale proprio grazie alla presenza del sindaco attuale che è di nazionalità italiana e nell’ambito delle possibilità riesce sempre a trovare il modo di aiutarci e poi anche noi facciamo le attività in base a quanto ci dice, se abbiamo bisogno di altri aiuti anche finanziari, creiamo del28 Panorama ccI Minicanti hanno ripreso l’attività dossier le manifestazione assieme anche all’Ente turistico e quindi direi che è un momento buono e cerchiamo di sfruttarlo il più possibile non solo per ricavarne qualcosa ma per creare quante più attività possibili. Purtroppo tutti i Comuni tutti sono in crisi per quanto riguarda i bilanci però nell’ambito delle possibilità troviamo sempre un buon riscontro e poi la nostra sede si presta ad attività e a presentazioni, manifestazioni e riunioni di qualsiasi genere perché siamo ben attrezzati e quindi anche il Comune sfrutta spesso la nostra sala multimediale per presentazioni anche di progetti europei”. Quali sono i desideri della vostra Comunità? “I nostri desideri sarebbero la realizzazione del progetto in atto ovvero della copertura di parte dell’estivo che ci farebbe molto comodo per le attività nelle mezze stagioni perché la sala multifunzionale è troppo piccola per contenere tutti gli interessati. Ecco perché la Gara dei dolci che doveva esser fatta in autunno l’abbiamo spostata perché c’è una tal presenza di pubblico che non riusciamo a farla. Quindi per questo estivo c’è già un progetto, un concorso, e siamo già da quattro anni che tentiamo di iniziare i lavori, Comunità i finanziamenti ci sono ma non riusciamo a decollare con questo progetto. Ecco questo è il desiderio più grande e più immediato che vorremmo realizzare. Poi c’è quello di poter attirare i giovani, ma non sappiamo come, e poi di avere soci che si prestino di più all’attività della Comunità perché gli iscritti son tanti però al momento in cui bisogna lavorare e creare sono sempre pochi. Quindi mi appellerei a loro tramite voi ad una miglior presenza in Comunità quando si fanno queste attività. E poi, se il pubblico fosse maggiore in quanto a numeri ci farebbe piacere”. Due i fiori all’occhiello Tra le tante manifestazioni che la Comunità degli Italiani promuove a Cittanova ci sono due fiori all’occhiello ovvero la Foto Ex tempore e la Gara dei Dolci, ambedue arrivate alla decima edizione e quindi sono tradizionali. La dirigente del gruppo fotografico Miranda Legovich porta avanti ormai da dieci anni il gruppo fotografico e organizza lei l’Ex tempore. Non è una manifestazione da poco, si parla di due-tre giorni di solito in cui tutti i fotografi sono a Cittanova, poi viene dato un tema che deve avere i soggetti per le fotografie, bisogna preparare l’ambientazione, organizzare le trasferte. La Gara dei dolci non ha un dirigente ma ha un protocollo che negli anni si è perfezionato. Abbiamo iniziato con delle serate vicino al camino perché nella sede prima avevamo anche un camino e lì si invitavano le signore più anziane a raccontarci le storie di una volta. E poi loro hanno iniziato a portare dei dolci per questa serata “Vicin el camin” e da li è sorta l’idea di una gara di dolci, di dolci fatti in casa. E infatti nei primi anni c’erano solo dolci fatti dalle nostre attiviste, solo dolci tradizionali. Poi abbiamo visto che pubblicizzando la cosa c’erano tantissimi interessati e quindi c’erano tante leccornie che abbiamo dovuto dividerle per categoria: non erano solo i dolci tradizionali ma anche quelli più belli, più buoni perché siamo arrivati ad avere anche 80 dolci con un pubblico che faceva la fila per degustarli. Quindi abbiamo invitato anche le altre Comunità e si sono presentati anche da Lussino, Fiume, Albona ecc. Negli ultimi due-tre anni abbiamo ccLa Gara dei dolci allargato anche alle scuole alberghiere in cui hanno un corso di pasticceria e ai pasticceri della zona. Quindi abbiamo le categorie delle casalinghe, dei professionisti e della scuola. Nella giuria abbiamo sempre due professionisti poi c’è stato anche il sindaco e altri come giornalisti o chi vuole parteciparvi. Il tutto finisce con una gran degustazione. Quest’anno avremo anche i bambini che in casa fanno dolci con le mamme o con le nonne e saranno una categoria a parte. Speriamo di riuscire quest’anno a fare due gare una primaverile e una in autunno magari nel nuovo estivo. eeL’Ex tempore di fotografia Panorama 29 I di Fulvio Salimbeni l 2015 essendo non solo l’anno centenario dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, ma anche il settantesimo dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, il cinema ha riscoperto tale soggetto, dedicandogli non pochi film, che in genere, come ha notato il critico Paolo Lughi in un intervento sul “Piccolo” di Trieste dello scorso 21 marzo, hanno le vicende belliche soltanto come sfondo storico, essendo incentrati piuttosto su quelle private, di prigionia, d’onore, vendetta e perdono, arte e cultura (The Monuments Men). In tale filone si colloca pure Suite francese, diretto da Saul Dibb, da poco sui nostri schermi e tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice ebrea Irène Némirovsky (1903-1942), che aveva potuto scriverne soltanto le prime 30 Panorama due parti sulle cinque previste, nell’estate del 1942 essendo stata arrestata dalla polizia francese e consegnata ai tedeschi, che la deportarono ad Auschwitz, dove poco dopo morì. Il manoscritto fu scoperto dalle figlie nel 1992 e pubblicato nel 2004, venendo tradotto in italiano da Adelphi e poi ripubblicato dai principali editori nazionali (Feltrinelli, Newton Compton, Garzanti), riscuotendo un immediato e meritato successo. Se qui si parla della sua versione cinematografica, ben riuscita, grazie alle brave attrici e attori, alla fotografia e alla suggestiva colonna sonora, è perché dalla sua visione se ne possono ricavare numerosi interessanti spunti storici, che sono in grado di sollecitare l’attenzione dei giovani e degli studenti, che di tali vicende ne sanno poco o niente. Già altre volte s’è avuto modo di rilevare come or- mai vi sia uno specifico filone storiografico sui proficui rapporti tra cinema e storia, a partire dai pionieristici lavori di Marc Ferro, e Suite francese rientra in pieno in tale feconda prospettiva metodologica. fIl soggetto storico Tralasciando il risvolto estetico del film, che in questa sede non interessa, qui è al soggetto storico che si guarda. La vicenda si svolge nell’estate del 1940, al tracollo della Francia invasa dall’esercito tedesco, iniziando con la descrizione della fuga dei francesi dalla capitale e dai territori minacciati dall’avanzata delle armate nemiche, mettendo in primo piano il dramma della popolazione civile, delle colonne di fuggiaschi mitragliati e bombardati dall’aviazione germanica, il difficile adattamento con i provinciali che li vedono arrivare nei loro la storia eeLa versione cinematografica è ben riuscita grazie alle brave attrici e attori, alla fotografia e alla suggestiva colonna sonora Fare storia contemporanea con il cinema e la letteratura Suite francese, dal libro di Irène Némirovsky al film di Saul Dibb paesi, il che rimanda ad analoghe situazioni sperimentate pochi anni dopo dai profughi giuliani e dalmati una volta riparati in Italia per sfuggire alle violenze dei partigiani di Tito, come ha appena ricordato Silvia Polo nel saggio, tra storia e letteratura, La memoria in esilio, di cui parleremo in uno dei prossimi interventi. Ed è in provincia, a Bossy, che si dipana il nucleo centrale del racconto, imperniato sulla vicenda sentimentale che ha per protagonisti la francese Lucile e il tenente tedesco Bruno von Frank, acquartierato nella dimora nobiliare della giovane, che viveva con l’aristocratica suocera, il marito essendo prigioniero in Germania. L’ufficiale si rivela ben presto persona sensibile e colta, amante della musica e del pianoforte, sul quale suona appunto la “Suite francese”, da lui composta, che affascina la ragazza, donde l’avvio d’una delicata quanto tormentata relazione sentimentale tra i due, osteggiata dalla suocera di lei. La trama - che per molti versi ricorda il racconto Il silenzio del mare di Vercors (pseudonimo di Jean Bruller), scritto nel medesimo periodo, nel 1941 -, che non ha in pratica azione, ma solo dialoghi e riflessione, pone in evidenza come la realtà sia contraddittoria, essendo impossibile tracciare una netta linea divisoria tra Bene e Male, tra Amico e Nemico, perché, quando si scende dal proscenio della grande Storia, per muoversi nella dimensione microstorica delle relazioni interpersonali, in un rapporto diretto a tu per tu, si può scoprire che il “nemico” è un essere umano come te, con cui si possono condividere passioni, emozioni, interessi. A ragione Lughi nel già menzionato intervento ha richiamato, al riguardo, i precedenti del dramma shakespeariano Giulietta e Romeo e del film Senso, di Luchino Visconti, in cui l’amore, sia pure con esiti tragici, sboccia tra giovani appartenenti a mondi avversi e ostili. È, d’altro canto, noto che pure nell’Italia occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 vi furono casi di fraternizzazione e perfino alcuni matrimoni tra soldati germanici e ragazze italiane. Ora una simile impostazione della narrazione è tanto più notevole e ammirevole pensando che l’autrice era ebrea, perseguitata dai tedeschi, eppure capace di non generalizzare e assolutizzare, sapendo trovare l’umanità pure dall’altra parte, comprendendo che la Germania non era automaticamente identificabile in blocco con il regime nazionalsocialista e che oggi la sua ideologia perversa non aveva ancora contaminato e corrotto tutti i cuori e le menti. Qualche cosa del genere, d’altronde, appare chiaramente pure in Diplomacy, di Volker Schloendorff (2014), sulle trattative per salvare Parigi dalla distruzione ordinata da Hitler quando stava per essere liberata dagli anglo-americani dopo lo sbarco in Normandia, in cui protagonisti sono il console svedese Nordling e il comandante la piazza Dietrich von Choltitz, che alla fine si lascerà convincere a non eseguire il folle ordine proveniente da Berlino, dimostrando d’essere un militare di vecchio stampo, legato a un austero codice di comportamento, e che nella Wehrmacht non tutti erano fanatici e passivi esecutori degli ordini anche i più aberranti. fGli aspetti del vissuto quotidiano Il film, come il romanzo del resto, di là da quest’aspetto centrale è interessante anche perché mette in luce molti aspetti del vissuto quotidiano francese durante l’occupazione tedesca, fatto di comportamenti condizionati dagli orrori della guerra, dalla paura, dall’egoismo individuale, dalla viltà, dall’indifferenza, dagli istinti di sopravvivenza e di sopraffazione, dalla crudeltà. In tale contesto hanno risalto forme di collaborazionismo più o meno esplicito da parte del ceto benestante, attento solo a tutelare i propri interessi, le delazioni anonime al comando tedesco, che il tenente von Frank deve prendere in esame, in cui si denunciano ebrei, comunisti, elementi sovversivi, così come non si manca di rilevare l’egoismo di madame Angellier, la suocera di Lucile, che, indifferente alle difficoltà del momento, pretende il puntuale pagamento dell’affitto e del dovuto dalle famiglie dei suoi mezzadri pur in gravi ristrettezze economiche, data l’assenza di molti degli uomini, mobilitati. In questo modo pellicola, e romanzo, riescono un documentato affresco della realtà quotidiana della guerra, con le sue miserie e grandezze umane, Panorama 31 la storia oggi egualmente distribuite dall’una e dall’altra parte, dal momento che non si manca neppure di mettere in evidenza che non tutti gli ufficiali tedeschi erano come Bruno, molti di loro essendo corrotti, violenti, infidi, sprezzanti verso la popolazione civile. Tutto ciò non fa altro che riprendere e confermare quanto già emerso anni fa in altri due notevoli film ambientati nella Francia dell’occupazione tedesca e del governo di Vichy, vale a dire Mr. Klein, di Joseph Losey (1976), con Alain Delon, e Arrivederci ragazzi, di Louis Malle (1987). Nel primo, infatti, emerge in primo piano l’affarismo di mercanti spregiudicati, pronti a sfruttare le difficoltà degli ebrei per arricchirsi, come fa Robert Klein, che poi, comunque, finirà coinvolto nella grande retata estiva del 1942 al Velodrome di Parigi, condotta con estremo zelo dalla polizia francese per ordine delle autorità petainiste, ferocemente antisemite, e deportato in Germania. Il secondo, invece, ispirato a un episodio della giovinezza del regista, era incentrato sulla vita degli studenti d’un collegio religioso nella Francia occupata del 1944, in cui sotto falso nome erano stati accolti dei giovani ebrei, per porli al riparo dalla persecuzione, ma poi scoperti, arrestati e deportati insieme con il superiore del collegio in seguito alla denuncia d’un garzone per vendicarsi d’essere stato licenziato, perché scoperto a rubare viveri dalla dispensa. fIl coraggio del cinema Là dove la storiografia è spesso arrivata in ritardo e con forti difficoltà ad affrontare tali questioni “esistenziali”, in particolare quella francese, a lungo avendo dominato la tesi che la Francia era stata compattamente antinazista e tutta schierata con il governo gaullista in esilio a Londra, il cinema ha avuto il coraggio di trattare simili temi scottanti, aprendo appassionati dibattiti in materia: basta pensare a un altro bellissimo film di Louis Malle, del 1974, Co32 Panorama gnome e nome: Lacombe Lucien, che affrontava in maniera spregiudicata il tema del collaborazionismo nei suoi diversi risvolti. Film, dunque, come Suite francese - che ha pure il merito di far conoscere a un più ampio pubblico una scrittrice quale la Némirovsky, i cui principali romanzi e racconti sono tutti tradotti in italiano - e gli altri qui presi in esame consentono d’affrontare in maniera più coinvolgente alcune delle questioni cruciali della storia della seconda guerra mondiale, colta, tramite il caso emblematico francese, nella sua dimensione non tanto militare quanto, piuttosto, antropologica, ccIl romanzo della scrittrice ebrea Irène Némirovsky, che aveva potuto scriverne soltanto le prime due parti essendo stata deportata ad Auschwitz dove vi morì, ha riscosso un meritato successo di pubblico sociologica e in senso lato culturale, che è quella più produttiva e didatticamente feconda, suffragando, infine, la denuncia della decadenza e corruttela del proprio paese, all’origine della Strana disfatta del 1940, attuata da Marc Bloch nell’omonima opera-testamento del 1944. echi del passato Fonti storiche affermano che le prime forme di assistenza pubblica in Istria furono avviate dai monaci Benedettini fin dall’Alto Medioevo, per proseguire, nei primi secoli dopo il Mille, grazie all’impegno profuso in tal senso dall’ordine di S. Giovanni e dai Templari ccDignano: il convento di S. Giuseppe trasformato in ospedale militare Dagli hospitalia agli odierni ospedali di Rino Cigui L’ ospedale, inteso come luogo generico per ospitare l’umanità sofferente, ha le sue antiche radici in quel sentimento di “pietas” proprio della solidarietà cristiana dell’alto medioevo, che trovò una sua più compiuta formalizzazione nelle regole di molti ordini religiosi, alcuni dei quali si specializzarono nell’assistenza ai malati. Il precetto della carità cristiana affondava tuttavia le origini nei Vangeli. Secondo l’evangelista Matteo, infatti, per ottenere la misericordia di Dio ed entrare nel suo regno, l’uomo doveva mettere in pratica le “sette opere di misericordia corporale”: dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi e i carcerati, seppellire i morti, in altre parole provare pietà e fornire assistenza a chi ne aveva veramente bisogno. Tale assistenza, che per il semplice fedele costituiva un imperativo morale, per il religioso divenne un obbligo preciso, sancito da chiare e definite regole, e nel 325 il Concilio di Nicea stabilì che ogni vescovato e monastero dovesse istituire in ogni città ospizi per pellegrini, poveri e malati. Ebbe così inizio, soprattutto nell’Oriente Cristiano, la diffusione di questi “luoghi ospitali”, che divenne sempre più ampia grazie anche alla protezione degli Imperatori. fNascono gli hospitalia Fu così che nel Medioevo il principio evangelico dell’amore per il prossimo si concretizzò attraverso la creazione degli hospitalia (dalla voce latina hospes, ospite), strutture destinate ad assolvere una molteplicità di ruoli, prevalentemente assistenziali, nelle quali le cure mediche, più che contemplare un vero e proprio progetto terapeutico, consistevano nel nutrire chi aveva Panorama 33 echi del passato fame, alloggiare i senzatetto, i pellegrini, i viandanti, i vagabondi e tantissimi altri che trovavano proprio in queste strutture un importante punto di riferimento. Chi vi era ospitato veniva considerato non necessariamente come un malato quanto piuttosto come un povero, che aveva bisogno di essere riscaldato, vestito, nutrito, curato nel corpo ma soprattutto confortato nello spirito. Tali istituzioni nacquero per iniziativa di un ente ecclesiastico o, più spesso, per iniziativa di un privato che lo promuoveva destinandovi le sue risorse personali, e, dopo la morte del fondatore, l’istituzione era solita passare a un gruppo di laici riuniti in confraternita oppure a una struttura religiosa oppure alla comunità. fCondizioni igieniche allucinanti Gli hospitalia erano generalmente di piccole dimensioni e di scarsa funzionalità, nei quali le persone ricoverate, malgrado le cure amorevoli e l’impegno dimostrati da molte persone di buona volontà, vivevano in condizioni igieniche spesso allucinanti. “Le infermerie - scrisse il prof. Enrico Ronzani a proposito dell’igiene ospedaliera - di solito erano allocate in locali umidi e scarsamente illuminati, sprovvisti di locali annessi di servizio, salvo qualche primitiva latrina (…) I ricoverati che erano d’ordinario dei poveri diseredati, poiché le famiglie provviste di mezzi solevano curare in casa i loro malati, erano degenti a due, quattro per letto. I letti erano costituiti da enormi pagliericci, montati su cavalletti od altri sostegni, spesso chiusi da padiglioni o baldacchini, o anche in alcove. In tali sale erano accolti promiscuamente malati di forme mediche, chirurgiche ed infettive. Molti entrati per infermità leggere, vi contraevano gravi infezioni, e la mortalità, specialmente tra le puerpere ed i feriti era altissima. Tutti i servizi, dai più intimi e delicati ai 34 Panorama più malsani, si svolgevano in sala. I cadaveri non di rado restavano a lungo vicino al malato prima di essere rimossi”. Molti hospitalia finirono addirittura per favorire più che ostacolare il diffondersi di malattie, le quali, essendo numerosissime, contribuivano a tenere basso l’indice medio della vita umana. fXenodochi, lebbrosari, lazzaretti Di dimensioni ancora più piccole degli hospitalia erano invece gli xenodochi (dal greco xénos, straniero, ospite e dòcheion, ricettacolo), centri di accoglienza gestiti da monaci, che offrivano vitto e alloggio gratuito principalmente ai pellegrini che percorrevano le vie di pellegrinaggio devozionale e penitenziale. A queste strutture di accoglienza si affiancarono ben presto i lebbrosari ed i lazzaretti, luoghi specifici destinati entrambi alla segregazione istituzionalizzata degli individui colpiti dalla lebbra e dalla peste. Sorti come misura fondamentale di politica sanitaria, profilattica più che curativa, i lebbrosari ed i lazzaretti furono creati per isolare in luoghi debitamente scelti, posti comunque ai margini delle città, i portatori di malattie contagiose, considerate un grave pericolo per l’intera popolazione. fGli hospitalia si trasformano in ospedali Nel corso del Basso Medioevo gli hospitalia si trasformarono in luoghi di cura per i malati, cioè in ospedali nei quali, accanto alle figure dei medici, vi era sempre quella dei religiosi. All’epoca, infatti, si riteneva che la guarigione dovesse cominciare con l’allontanamento della causa scatenante la malattia, identificata, nella mentalità del tempo, dal peccato; di conseguenza, la confessione e la preghiera erano l’atto più urgente al momento dell’ammissione in un ospedale, una circostanza che poneva in primo piano la figura del religioso ed emarginava, per così dire, quella del medico, considerata solo accessoria. Negli ospedali gestiti dai religiosi o sottoposti alla loro influenza, la cura delle malattie avveniva attraverso il medicamentun simplex, vale a dire mediante l’utilizzo di erbe medicinali coltivate il più delle volte all’interno della struttura ospedaliera stessa, un metodo terapeutico che si rifaceva all’antica tradizione romana (Columella, Dioscoride, Plinio) ma che nel corso del Medioevo fu contaminato da una serie di elementi culturali derivati dalla tradizione popolare e superato solo parzialmente dalla medicina erudita del tempo. fPrime forme di assistenza in Istria Benché le fonti storiche a nostra disposizione siano sostanzialmente eCapodistria: e chiesa di S. Basso sede dell’antico ospedale di S. Nazario modeste, possiamo affermare che le prime forme di assistenza pubblica in Istria furono avviate dai monaci Benedettini fin dall’Alto Medioevo, per proseguire, nei primi secoli dopo il Mille, grazie all’impegno profuso in tal senso dall’ordine di S. Giovanni e dai Templari. Stando, infatti, alle affermazioni del dott. Bernardo Schiavuzzi, i cavalieri del Tempio fondarono “case ospitali” al passaggio del Risano e del Quieto, alla Madonna dei Campi presso Visinada, al passaggio del Canal di Leme ed a Pola, dove fuori le mura della città eressero un ospizio per offrire ospitalità ai pellegrini, ricovero ai poveri e assistenza ai malati (lo stabile passò in seguito all’ordine di S. Giovanni, che lo trasformò in un ospedale trasferito, nel 1357, entro le mura della città). Venne a formarsi in tal modo una catena di ospizi che da Trieste si estendeva fino al porto di Pola ed al Quarnero. Al XIII secolo risale invece la fondazione degli istituti di ricovero di S. Nazario a Capodistria, di S. Ermagora a Pirano, di S. Giovanni e S. Biagio in quel di Parenzo. L’ospedale di S. Nazario nacque per iniziativa dei consoli giustinopolitani, i quali fecero presente al vescovo Corrado l’esigenza di assegnare un riparo ai poveri della città. Accolta l’istanza, nel 1262 furono concessi ai consoli alcune case appartenenti al clero situate in contrada Ponte piccolo, gestite inizialmente dagli stessi. Con il venir meno delle rendite, però, l’ospedale fu aggregato nel 1454 alla facoltosa confraternita di S. Antonio Abate, i cui proventi si spendevano “nelli usi dell’hospitale et altre elemosine de panno, pane, vino, carne et altre cose necessarie a poveri miserabili et infermi della città che sono fuori dell’hospitale [...] per il medico e chirurgo che medica i poveri dell’hospitale et per far le spese a chi è nell’hospitale che non possi andar fuori a procacciarsele mendicando”. L’origine dell’ospedale di Pirano è databile, invece, al 1222. Quell’anno, infatti, Domenico Murari e sua moglie Pilizza vendevano una porzione di casa e fondo in Porta de Campo a Pirina moglie di Menesclavo, a Flora moglie di Mirsa e a Riccarda moglie di Venerio de Jopyra, con l’obbligo di fondare, “honore Dei et pauperum in perpetuum”, un ospedale amministrato dal comune. L’istituzione, intitolata a S. Ermagora, rimase in Porta de Campo sino al 1433 quando fu trasferita, sotto il titolo Hospitalis Sancti Michaelis Novus, nelle vicinanze della chiesetta Sanctae Nivis Mariae. Antichissime erano altresì le origini dell’ospedale di Parenzo, documentate già al tempo del vescovo Pagano II (1234 - 1251), il quale concesse all’Hospitale di S. Giovanni oltre il mare la chiesa di S. Giovanni del Prato. L’esistenza di un secondo ospedale è attestata nel 1297, quando si fa menzione di un certo Dominus Rainerius, priore dell’ospedale “Sancti Blasij de Parentio”; la sua collocazione era in prossimità della chiesa di S. Michele, ora demolita. Ad ogni modo, il primo ad avere funzioni prettamente mediche fu quello di S. Marco a Capodistria, fondato nel 1323 o 1326 e utilizzato per isolare e curare gli appestati della città. fNecessità di aiutare i bisognosi La volontà da parte dei comuni istriani di soccorrere gli indigenti non venne mai meno e, tra il XV e il XVII secolo, case di ricovero adibite al sostegno e soccorso della popolazione bisognosa di assistenza sorsero un po’ dovunque nella penisola. Nel Quattrocento, ad esempio, fu istituito l’ospedale di S. Michele a Pirano (1433), quello di Panorama 35 echi del passato Isola, eretto per i poveri pellegrini e per gli ammalati, e quello di Rovigno. Quest’ultimo fu fondato nel 1475 da Matteo Datario, gastaldo della Scuola della Madonna di Campognana, con le rendite della stessa confraternita. Egli destinò un locale per gli uomini e uno per le donne, nei quali erano accolti gli indigenti, gli infermi e gli ammalati privi di mezzi, mentre nel 1482 vi aggiunse una chiesetta con oratori separati e la dedicò alla B.V. della Misericordia e a S. Lorenzo martire. L’ospedale fu ingrandito nel 1707 e nuovamente nel 1716 sul fondo donato dal conte Giovanni Antonio Califfi. La direzione fu affidata dapprima a quattro e, dal 1719, a sette direttori, uno dei quali, nel 1724, ebbe il titolo d’infermiere. Ampliamenti successivi si ebbero negli anni 1764 e 1780 grazie alle donazioni del canonico dottor Oliviero Costantini. fLa testimonianza di Agostino Valier Nel Cinquecento videro la luce l’ospedale di Pirano (1517) e di Albona (1561), nonché quello di Pinguente (1597); nel 1576, invece, viene ricordato il restauro dell’ospedale di Barbana. Una delle più antiche attestazioni della presenza di un ospedale a Buie la ricaviamo dalla visita pastorale del cardinale Agostino Valier alla diocesi emoniense compiuta nel 1580. L’ospedale, governato all’epoca dalla Confraternita del SS.mo Sacramento, venne così descritto: “Ha buona casa con uno appartamento a basso di un loco solo, con quattro lettiere fornite di sacchi di buona paglia, lenzuoli et coperte, et un camino in mezzo al luoco per far fuogo. Di sopra vi sono tre lochi con due camerette, una per la priora che lo governa et una per i poveri con una lettiera e materazzo di lana buono et lenzuoli et coperte”. Sappiamo che nel 1650 il priore dello xenodochio era Natalino Padovano. Quattro, infine, furono le istitu36 Panorama zioni assistenziali di cui abbiamo notizia nel XVII secolo. Le prime due furono costituite a Montona e riguardavano l’antichissimo ospedale di S. Cipriano, amministrato dalla stessa confraternita e completamente restaurato nel 1622 dal podestà Girolamo Zorzi, e quello altrettanto antico di S. Marco, che fu in origine uno xenodochio per l’accoglienza dei pellegrini, restaurato nel 1651 e amministrato, come il precedente, dall’omonima confraternita. Le altre erano la casa di ricovero a Grisignana, sorta per volontà testamentaria del reverendo Domenico Ermanis (1646), e quella di Visinada. fCambia la mentalità Alla fine del Settecento, quantunque le Anagrafi Venete evidenziassero la presenza in Istria di ventuno istituti sanitari, questi avevano perduto gran parte della loro rilevanza. Con l’inclusione, nel 1806, dell’Istria ex - veneta nel Regno d’Italia e la soppressione delle confraternite religiose (decreto napoleonico del 1806), che sino allora avevano svolto funzioni spirituali e d’assistenza, furono le Congregazioni di Carità, attivate in ciascun comune, ad amministrare le fondazioni di pubblica beneficenza del Dipartimento dell’Istria. E fu proprio in questo frangente che andò consolidandosi una nuova mentalità nel campo dell’assistenza sanitaria, che portò alla definitiva separazione tra la pratica sanitaria e quella assistenziale e alla concezione dell’ospedale non più secondo il modello medievale ma quale istituzione pubblica e laica. fOspedali militari e civili Con l’arrivo dei Francesi in Istria, Dignano fu scelta quale sede della guarnigione militare per tutta la Polesana e, per soddisfare le esigenze sanitarie che una tale operazione comportava, le autorità decisero di trasformare il vetusto monastero dei capuccini (Convento di S. Giuseppe) in ospedale militare, cui fece seguito l’apertura di un secondo ospedale nell’abitazione della famiglia Frank. Con il ritorno dell’Austria, l’ospedale di S. Giuseppe fu utilizzato soprattutto per il ricovero dei malarici e delle persone affette da altre malattie infettive, e come tale rimase in funzione sino al 1894 quando, in seguito al ritiro della guarnigione da Dignano, se ne decise la soppressione. La località disponeva pure di ospedale civile per il ricovero dei forestieri e degli abitanti del luogo, che fu abbattuto nel 1821 per permettere l’erezione del fabbricato ad uso delle scuole elementari. Per colmare il vuoto nel settore dell’assistenza sanitaria dignanese, tra il 1887 e il 1890 fu eretto l’Ospitale di Fondazione Cecon per i poveri di Dignano e della provincia dell’Istria, trasformato successivamente in ricovero per anziani. Anche Pola, nel corso del XIX secolo, si dotò di strutture ospedaliere civili e militari. Com’è noto, verso la metà del secolo la città dell’Arena divenne sede della marina da guerra austrica (k.u.k. Krigsmarine), una circostanza che fece convergere verso Pola migliaia di persone in cerca di occupazione, rendendo assolutamente necessario un adeguamento delle obsolete strutture sanitarie esistenti alla nuova situazione. Nel 1861 fu pertanto inaugurato l’Ospedale di Marina, il quale accolse sia il personale militare sia la popolazione civile impiegata nell’Arsenale, cui fece seguito, nel 1875, l’inaugurazione del primo ospedale comunale. Tuttavia, l’espansione urbana e demografica vissuta dal capoluogo istriano nel secondo Ottocento misero ben presto in evidenza l’assoluta esigenza di un complesso ospedaliero che fosse capace di sopperire ai bisogni della popolazione civile; nel 1896 venne inaugurato il nuovo ospedale civico, trasformato in ospedale provinciale nel 1903. ccLa chiesa gesuita di S. Vito diventa cattedrale nel 1925 Novant’anni orsono Fiume divenne sede diocesana A causa dell’evolversi di vicende nazionalpolitiche la storia ecclesiastica della terra di San Vito dopo la Prima guerra mondiale è rimasta perlopiù ignorata di Marko Medved L a città di Fiume divenne centro diocesano dopo la Prima guerra mondiale. Tentativi in questa direzione erano stati intrapresi anche prima, ma il mancato appoggio dell’autorità secolare non permise esiti positivi. Lasciando da parte l’enigma ancora insoluto della romana Tarsattica e della sua possibile dignità episcopale (VII-VIII sec.), nel tardo Medioevo la terra di S. Vito - appartenente alla diocesi di Pola sino alla fine del Settecento poi a quella di Segna-Modruš - era una parrocchia (l’Assunta) con una chiesa collegiata avente capitolo, arcidiacono e canonici. A causa dell’evolversi di vicende nazionalpolitiche la storia ecclesiastica fiumana dopo la Prima guerra mondiale è rimasta perlopiù ignorata. Anche se in anni non remoti, date e nomi degli ecclesiastici che ne furono pro- tagonisti sono caduti nell’oblio. In quest’epoca i cattolici fiumani videro realizzate le aspirazione dei loro antenati - l’autonomia ecclesiastica. La situazione ecclesiale tra le due guerre mondiali era simile ad altre Chiese plurinazionali (Gorizia, Trieste-Capodistria, Parenzo-Pola) le quali dopo lo sfascio dell’impero asburgico furono attribuite all’Italia, paese in cui stava affermandosi un regime totalitario. Pertanto la comunità ecclesiale fiumana era lacerata da tensioni su vari fronti dovute alla composizione plurinazionale del territorio. fLe parrocchie entro la Provincia dal Carnaro La storia ecclesiastica di Fiume tra le guerre mondiali ha nella costruzione della diocesi un avvenimento di fondamentale importanza. Il 25 aprile 1925 con la bolla Supremum pastorale munus papa Pio XI creava la Panorama 37 echi del passato diocesi di Fiume comprendente 16 parrocchie appartenenti alle diocesi di Segna-Modruš, di Lubiana e di Trieste-Capodistria, seguendo i confini dell’allora Provincia del Carnaro. Pertanto la diocesi comprendeva cattolici italiani, croati e sloveni. L’erezione fu possibile dopo l’annessione della città all’Italia avvenuta nel 1924 e grazie alla disponibilità economica che all’uopo offrì il governo italiano. Infatti, le condizioni politiche vigenti in Italia favorirono la creazione della nuova diocesi. Mussolini aveva bisogno dell’appoggio cattolico per rendere più saldo il suo potere e più accettabile il nuovo regime che poco alla volta stava instaurando nel paese. Promosse una politica di avvicinamento, di “mano tesa” nei confronti della gerarchia ecclesiastica e della Santa Sede. D’altra parte anche Pio XI era disposto a collaborare col governo italiano per risolvere una volta per tutte le questioni pendenti tra Stato e Chiesa rimaste insolute dall’Ottocento. La disponibilità economica del governo nei riguardi dei bisogni dell’erigenda diocesi era dovuta anche a interessi locali legati alla sua ubicazione (situata al confine orientale italiano), cioè alla politica del regime italiano nei confronti dei popoli sloveno e croato. Riassumendo, nell’erezione della diocesi l’interesse dell’autorità ecclesiastica e quella politica si incontrarono. Proprio da ciò derivano le ragioni per cui la storiografia ecclesiastica è stata più propensa a sottacere tale periodo delicato, anziché studiarlo criticamente. fL’episcopato di Antonio Santin Nell’erezione della diocesi figure quali Cel- ccIsidoro Sain (1869-1932), primo vescovo di Fiume so Costantini (1920-1922) e Isidoro Sain (1922-1932) sono centrali. Nella cronotassi diocesana nel periodo italiano vanno ricordati anche Antonio Santin (1933-1938) ed Ugo Camozzo (1938-1947). Come si è detto, la storia ecclesiastica della prima metà del Novecento è alquanto ignorata. Eppure durante il periodo di amministrazione italiana di Fiume vennero intrapresi passi importanti nel miglioramento della vita della comunità cattolica: costruzione di chiese (Tutti Santi - Cosala, Immacolata - cappuccini, S. Niccolò - Torretta, SS.mo Redentore - Giardin pubblico, Maria Ausiliatrice - salesiani, S. Giuseppe benedettine, Sant’Antonio Cantrida, chiesa del seminario - Belvedere, Annunciazione - Abbazia, Cristo Re - Mattuglie), apertura del seminario diocesano in Belvedere e del palazzo dell’Arcivescovado, pastorale giovanile presso i salesiani, ecc. Assieme alla formazione di nuove strutture parrocchiali e diocesane la lingua liturgica latina e la predicazione italiana vennero attuate dapprima a Fiume e poi nella riviera liburnica con la completa estromissione della lingua croata dalla vita parrocchiale. Quasi tutti i sacerdoti e religiosi non italiani vennero allontanati da Fiume, mentre i rapporti dei vescovi italiani di Fiume con il clero sloveno dell’entroterra divenivano man mano sempre più tesi. Per la storiografia della plurinazionale diocesi fiumana di questo periodo il problema principale è la questione dell’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica italiana verso il fascismo, in particolare rapporto alla politica del governo italiano rispetto a croati e sloveni. In questo ambito l’interesse degli storici si volse soprattutto verso l’episcopato di Antonio Santin che dopo Fiume per quasi quattro decenni fu vescovo a Trieste. Ancor oggi due storiografie, linguisticamente ed ideologicamente contrapposte, si occupano di questo periodo. Quale condizione principale per una oggettiva valutazione storiografica, oltre naturalmente all’abbondono di preconcetti ideologici, si pone la conoscenza di tutte e tre le lingue - italiana, slovena e croata -, solo così può realizzarsi una piena integrazione della bibliografia e delle fonti. Lo studio di questo periodo pone domande sempre attuali tra le quali vanno ricercate altresì le cause della insufficiente attenzione storiografica registrata sino ad ora. Qual è il rapporto tra identità religiosa e quella etnica? In quale lingua deve tenersi la liturgia e la cura pastorale nei territori plurinazionali? Come conciliare la religione e l’età moderna? Cosa ha significato l’inculturazione in questi territori mitteleuropei? Come si è posta la Chiesa in regimi totalitari? Quanto siamo pronti (o quanto siamo coraggiosi) a porre sotto esame il passato della propria comunità etnica o religiosa? Abbiamo bisogno di purificare la memoria? Il Novecento sconvolse gli equilibri nazionali di Fiume in modo definitivo. Lo fece anche all’interno della Chiesa. Va ribadito che il nazionalismo è contrario al cristianesimo. Infatti, il cristianesimo trascende la nazione ed è proteso a creare un unico popolo che va oltre le particolari appartenenze etniche. Tuttora non esiste un’unica storia del cattolicesimo fiumano. Dopo il crollo delle ideologie non è forse arrivato il momento propizio per tentare di scriverla. eeL’edificio dell’Arcivescovado a Fiume 38 Panorama made in italy Nel cielo di Cervia la festa degli aquiloni a cura di Ardea Velikonja C ome tradizione vuole, lungo un chilometro di spiaggia, dove il mare e la pineta si affacciano come le quinte di un palcoscenico immaginario, dal 24 aprile al 3 maggio prossimi a Cervia avrà luogo la trentacinquesima edizione del Festival Internazionale dell’Aquilone. Ad incontrarsi sotto lo stesso cielo saranno 200 “Artisti del Vento” provenienti da tutto il mondo per condividere momenti di gioco e creatività all’insegna della pace e dell’amore per la natura. Dal 1981, ogni primavera, il festival attira in Italia i più spettacolari artisti del vento dei 5 continenti che, consacrando Cervia “capitale dell’aquilone”, teatro ideale di un grande incontro multietnico, ne trasformano per 10 giorni il cielo in un mirabolante circo di colori: è la festa della fantasia e della fratellanza fra i popoli che, fondendosi nell’abbraccio in un’eterogenea comunità artistica, celebrano la filosofia della pace, l’elogio della creatività e il rispetto della natura. Tradizione consolidata in 30 anni di sogni affidati al vento, il Festival rappresenta un evento irrinunciabile per migliaia di appassionati, ed ospita ad ogni sua edizione delegazioni ufficiali provenienti da 30 di paesi del Mondo. Oltre ad offrire una panoramica completa sulle diverse discipline dell’aquilone, e ad introdurre per la prima volta il pubblico italiano alle curiosità delle sue più remote tradizioni, l’evento ha metabolizzato in maniera del tutto originale l’energia creativa dei suoi protagonisti: in totale sintonia con lo spirito di libertà che l’aquilone rappresenta, gli organizzatori Il Festival Internazionale Artevento è uno fra i raduni degli artisti del vento più famosi al mondo che per dieci giorni trasformeranno il cielo in un circo di colori hanno scelto di consegnare alla spontaneità del fare artistico anche il destino della loro creatura che ha assunto nel tempo le sembianze di una grande performance. Il Festival Internazionale dell’Aquilone è infatti un corale work in progress, un’opera aperta che ha per cornice il cielo e che parla anche il linguaggio della musica, del teatro, della danza, della pittura e della scultura. La quantità delle diverse tradizioni dell’aquilone etnico rappresentate ad ogni edizione lo pongono sul podio dei festival internazionali più importanti d’Europa, mentre l’attenzione riservata all’aspetto artistico dell’aquilone lo rende un evento unico nel suo genere, primo festival dell’arte eolica nel mondo. Lungi dall’essere solo un gioco per bambini, l’aquilone stupisce per la versatilità dei suoi significati, e seduce, per i motivi più diversi, sognatori di ogni età. Il Festival di Cervia ne soddisfa appieno le aspettative, proponendo un programma di appuntamenti e di attività così vario da intrattenere in un’indimenticabile esperienza tanto i grandi che i bambini. Accanto ai maestri più rappresentativi delle più antiche tradizioni dell’aquilone, ai più raffinati artisti del vento e agli originali creatori che miscelando fantasia e genialità stanno facendo la storia dell’aquilonismo contemporaneo, il Festival presenta i più sorprendenti campioni di volo acrobatico, i maestri del combattimento, gli atleti del power kiting e del kite surf, gli interpreti della fotografia aerea, gli storici dell’aquilone e persino gli scienziati che in esso intravedono una possibile fonte di energia alternativa. Panorama 39 Coordinato dall’Accademia della Crusca, costituisce uno dei più ampi archivi digitali integrati di materiali didattici, testi e documentazioni iconografiche e multimediali Vivit: nuovo portale per esportare il «sì» È stato presentato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre a Roma, il portale VIVIT-Vivi Italiano. Oltre all’Accademia della Crusca hanno partecipato al progetto diverse unità di ricerca. Mario Panizza, Rettore dell’Università degli Studi Roma Tre, intervenendo in occasione della presentazione, ha dichiarato che “il portale Vivit tocca un tema interessante e centrale per l’attività di ricerca rientrando nel quadro delle attività promosse dal Maeci, nella convinzione che sia fondamentale investire sulle opportunità che promuovono l’insegnamento dell’italiano all’estero”. “Il settore umanistico - ha aggiunto Panizza - è spesso tenuto ai margini del trasferimento delle competenze italiane all’estero rispetto ad esempio all’ambito prettamente scientifico e tecnologico, mentre è proprio nel campo umanistico che si deve insistere per trasferire competenze e conoscenze utili sia per gli stranieri che si trovano in Italia ma anche per permettere agli italiani all’estero di recuperare il legame con il nostro Paese”. 40 Panorama Per Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca: “Vivit rappresenta per l’Accademia della Crusca un marchio di innovazione in linea sia con la vocazione internazionale dell’Accademia sia con le politiche messe in atto dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per promuovere la lingua e la cultura italiana al di là dei confini del nostro Paese”. Il progetto Vivit offre al pubblico internazionale una rete di percorsi di studio, ricerca e attività didattiche, imperniati sulla lingua italiana (strutture, storia, apprendimento), come asse portante per la conoscenza delle principali espressioni della cultura d’Italia e della storia sociale italiana: letteratura, dialetti, alfabetizzazione, comunicazioni di massa, arte, moda, musica, gastronomia, emigrazione e immigrazione. Questi temi sono trattati tenendo conto in particolare della proiezione della realtà italiana nel mondo attraverso le grandi correnti migratorie. Come strumenti di ricerca di ampia portata sono presenti gli archivi digitali che comprendono le numerose banche dati costituite dall’Acca- demia della Crusca anche con altri centri di ricerca. “C’è un modo diverso di essere internazionali - ha aggiunto Marazzini - che deve emergere esportando la nostra lingua all’estero invece di demolirne l’importanza, relegandola sempre in un angolino, rispetto ad esempio all’inglese. L’italiano è infatti un elemento di fondamentale importanza che ha un grandissimo peso, anche a livello economico, per la bilancia della cultura italiana”. Sottolineando poi l’investimento del portale anche da un punto di vista informatico, il presidente della Crusca ha evidenziato “quanto gli stranieri nel mondo stiano manifestando un forte interesse nei confronti della lingua italiana, capace di risvegliare una coscienza dell’italianità diffusa nel mondo”. “In questo senso - ha concluso Marazzini - la classe dirigente deve avere più fiducia nella lingua italiana perché rappresenta un canale diretto con l’universo degli italiani all’estero, ancora profondamente legati ad un concetto di italianità che trova le sue più antiche origini in una dialettofonia ancor oggi diffusissima”. italiani nel mondo Ulteriori tagli per gli insegnanti italiani all’estero Secondo Ricardo Merlo sembrerebbe che le scuole non sono una priorità. Si parla di una contrazione di 3,7 milioni nel 2015 e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017 per le indennità di servizio M odificare immediatamente la normativa che disciplina il settore degli insegnanti italiani all’estero. È quanto sostiene Ricardo Merlo, presidente e deputato del Maie, in una interrogazione al Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. “Dai provvedimenti sin d’ora assunti dal Governo - scrive, critico, Merlo nella premessa - sembrerebbe che le scuole d’italiano all’estero non sono una priorità, preferendo ridurre il numero degli insegnanti, per ridurre le spese; il ridimensionamento del personale era già stato previsto dalla spending review; per gli insegnanti italiani nel mondo sono previsti infatti circa 5 milioni di euro in meno per i prossimi anni, che dovrebbero significare una riduzione della busta paga del 10 per cento per tutti; tagli sono contenuti nella manovra per il 2015 e sono previsti non nel capitolo dedicato al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ma a quello degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da cui dipendono questi docenti”. “In particolare - continua Merlo -, si parla di una contrazione di 3,7 milioni nel 2015 e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017 sugli stanziamenti per le indennità di servizio. Oltre allo stipendio tradizionale, infatti, gli insegnanti all’estero percepiscono un assegno ‘extra’, che varia a seconda delle sedi di lavoro e che sino ad oggi non veniva sottoposto a tassazione, se non per una minima parte considerata reddito. Su questo trattamento ha deciso di intervenire il Governo, quadruplicando l’imponibile; il provvedimento riguarda tutto il personale all’estero: già decurtato di 57 milioni tra il 2011 e il 2014; il fondo per le indennità di servizio passa da 212 a 170 milioni di euro l’anno, con un taglio pari circa al 20 per cento. Il risultato è stato quello di ridurre l’indebitamento netto di circa 31 milioni di euro, ma a spese dei lavoratori”. “La spending review - ricorda il deputato eletto in Sud America - aveva già deciso un taglio di quasi il 50 per cento del contingente, passando dai circa mille insegnanti del 2010 a 624. Il ridimensionamento doveva essere attuato entro il 2017, ma ci si è arrivati con due anni d’anticipo sulla tabella di marcia, decidendo di non rinnovare tutti i mandati in scadenza; dall’Algeria al Venezuela, da New York negli Stati Uniti a Brazzaville nella Repubblica Democratica del Congo, le scuole d’italiano all’estero sono 51, di cui otto istituti onnicomprensivi statali, e 43 istituti paritari, a cui si aggiungono 79 sezioni italiane presso scuole straniere. In totale ospitano circa 31mila alunni, di cui il 90 per cento stranieri, proprio per quella che è la loro funzione di promuovere la lingua e la cultura italiana nel mondo. I docenti però devono superare delle prove di lingua, e poi inserirsi in graduatorie a punteggio divise per classi di concorso e aree linguistiche. Sono queste liste spiega Merlo - a determinare la sede d’assegnazione, ciascuna delle quali prevede un coefficiente (sulla base di vari criteri come la distanza da casa, la pericolosità della regione, il costo e la qualità della vita, e altro) per calcolare l’importo dell’indennità di servizio”. (aise) Panorama 41 mostre Il secolo che ha cambia di Erna Toncinich ccKazimir Malevič “Quadrato nero su fondo bianco” (1914-15) uno dei dipinti del periodo suprematista dell’artista cc“Suprematismo” (1915) 42 Panorama Q uando si parla di collezionisti - immediato il mio pensiero corre a certe cose che non mi garbano affatto. Penso - da fiumana e da storico dell’arte - alla raccolta di dipinti che giace da oltre sessant’anni nei depositi del Museo Marittimo e Storico di Fiume. Giace e basta. Apparteneva a personaggi danarosi, prima al castellano di Tersatto, il feldmaresciallo Laval Nugent i cui eredi si affrettano a frammentarla, tuttavia il grosso delle opere viene acquistato da un noto commerciante fiumano. Che le opere se le gode per poco: già nei primi anni Cinquanta del secolo scorso le autorità jugoslave gliele confiscano. Incredibile ma vero che in quasi settant’anni di queste opere non è stato mai fatto un estimo vero e proprio, da parte di un vero, ma proprio vero esperto (se si eccettua il lavoro fatto dallo storico dell’arte, il croato Grga Gamulin che però ha preso in considerazione solamente alcune opere). Non è una vergogna? Qualche “esperto” della città quarnerina ha sentenziato che si tratta di sole croste. Quindi il problema è risolto!! Da quando si è cominciato a parlare della collezione “sepolta” nell’ex Palazzo del Governo, abbiamo espresso i nostri dubbi A Villa Manin di Passariano l’esposizione su una delle grandi eredità artistiche del Novecento, allestita secondo dieci percorsi tematici e un ulteriore focus sulla fotografia incentrato su Aleksander Rodčenko, esponente del costruttivismo a questo riguardo: un Nugent, sposato a una Sforza, avrebbe adornato la propria dimora - un castello! - di croste? Da non dimenticare poi che i dipinti provengono da varie collezioni di alcune aristocratiche casate italiane. Allora? Una collezione d’arte dal destino migliore di quella succitata, che si fa conoscere in più parti del mondo - il Museo Statale di Arte Contemporanea di Salonicco è la sua sede permanente e la collezione è il fiore all’occhiello dell’istituzione - è stata presentata di recente a Torino ed è ora a Passariano, a Villa Manin. Inaugurata il 7 marzo scorso, la mostra rimarrà in atto sino al prossimo 28 giugno. Titolo: Avanguardie russe - 1910-1930. Le due curatrici dell’esposizione, ambedue dell’istituzione museale proprietaria della ricca collezione dovuta al felice intuito di George Costakis, un autista dell’ambasciata greca che proprio perché acquistava - ovviamente per pochi soldi ato la storia dell’arte ccVladimir Tatlin “Il marinario-autoritratto” (1912) - e non solo dipinti ma tutto ciò che riguardava gli autori dei lavori, artisti russi del momento, artisti d’avanguardia, veniva deriso. Di lui si diceva: “un greco che raccoglie spazzatura inutile”. “Spazzatura” che oggigiorno porta i nomi di Malevič, di Tatlin, della Gončarova, di Larjonov, eccetera; “spazzatura” che dimostra l’interesse degli artisti russi per un’arte nuova, che sin dai primi decenni del secolo scorso puntano lo sguardo verso quella che è la mecca dell’arte moderna, Parigi, e rifiutano il tradizionale realismo; “spazzatura” proibita dal regime la cui arte ufficiale è il Realismo Socialista, in altre parole tutta e solo enfasi e declamazione. L’arte che piace al regime dittatoriale di Stalin. Kazimir Malevič è il personaggio principale dell’avanguardia russa. Partendo dal Cubismo e operando poi nella più pura essenzialità geometrica, realizza il suo primo lavoro suprematista, l’anno è il 1913, l’opera Quadrato nero su fondo bianco. I commenti sull’opera sono molto sfavorevoli e l’artista risponde così alle “accuse”: “Il quadrato non è una forma subconscia. È la creazione della ragione intuitiva, il volto della nuova arte! Il quadrato è un vivo infante reale. Il primo passo della creazione pura in arte. Prima di lui c’erano ingenue brutture e copie della realtà... Desideravo solamente dimostrare come il Suprematismo non si occupasse di oggetti, temi, ma fosse semplicemente di natura astratta, senza alcuna qualifica”. E ancora, riferendosi al suo quadrato: “Mi sono trasformato nello zero delle forme, e mi sono tirato fuori dal ciarpame dell’arte accademica”. Quello che fa il rivoluzionario Malevič funge da stimolo ad altri artisti interessati alle nuove tendenze. Al Suprematismo aderiranno Lazar El Lissitzky, artista poliedrico, grafico, testimone di fermenti rinnovatori che ha conosciuto durante i suoi innumerevoli viaggi in Europa, autore, tra l’altro, di un’opera architettonica distrutta dai nazisti perché considerata “arte degenerata”; Olga Rozanova e Olga Popova, che si esprime con il linguaggio geometrico più puro della pittura suprematista non esente di elementi del Costruttivismo di Tatlin; Mikhail Lorionov e Natalia Gončarova, sua moglie, seguono la lezione cubista e futurista che sintetizzano nel Raggismo. La coppia lascia presto la Russia e si stabilisce ccNatalia Gončarova “Il ciclista” (1915) in Francia dove Lorionov opererà da scenografo per i balletti del celebre Djaghilev, la Gončarova invece muterà il suo linguaggio, d’ora in poi sempre più astratto. Uno dei pionieri del Costruttivismo russo è Vladimir Tatlin, autore mancato del monumento da erigere al proletariato internazionale, un monumento altissimo, più alto dei più alti grattaceli statunitensi del tempo. Il Costruttivismo per gli artisti russi d’avanguardia avrebbe dovuto essere lo stile della Rivoluzione d’Ottobre, cosa che però non è stato. La delusione degli artisti in particolare e degli intellettuali in genere è enorme, molti di essi lasciano il Paese: El Lissitzki si trasferisce in Germania e così fanno Kandinskiji e Gabo; Pevsner (fratello di Gabo) va a Parigi, Malevič e Tatlin rimangono in patria. Attraverso le trecento opere la mostra in atto a Villa Manin di Passariano ricostruisce il cammino delle avanguardie russe nel ventennio 1910-1931, esplora l’opera di coloro che ne sono stati i protagonisti delle varie tendenze del Cubofuturismo, del Suprematismo, del Costruttivismo. Artisti che hanno detto no al Realismo Socialista. Panorama 43 cinemania Il dolore di un amore b a cura di Diana Pirjavec Rameša Dal romanzo Nessuno si salva da solo di Margaret Mazzantini (Mondadori 2011) all’omonimo film di Sergio Castellito (2015) D elia e Gaetano non si amano più. Si ritrovano ad una cena che si concedono forse per incolparsi, ferirsi, amarsi ancora un po’. Forse non lo sanno nemmeno loro perché continuano a vedersi, o come sono giunti a quel punto: lei costretta a crescere da sola Cosmo e Nico, figli lacerati e sbandati da questo vortice di rabbia, che non hanno la stabilità, la sicurezza per vivere nel mondo; lui ferito e solo come un cane, che vorrebbe solo non sentirsi fallito come suo padre. Nessuno si salva da solo di Margaret Mazzantini (Mondadori 2011) si legge in fretta, qualcosa si può saltare ma lo schema è semplice. Si legge di un fiato e ci si medita: la disfatta di un amore, quello sfaldarsi di ogni cosa di cui non si ha chiaro sentore se non quando è tardi, e chissà quale è stato il momento in cui Gaetano e Delia si sono davvero lasciati; molte sfumature del rapporto materno e paterno con i figli, gli errori cruciali, delle coppie, le incurie reciproche, la tentazione del tradimento come chimera di nuova vita. fUna narrazione altamente empatica ccIl film di Sergio Castellito mette a fuoco gli errori di una giovane coppia con figli 44 Panorama Questo è un romanzo altamente empatico/emotivo, basato sulle riflessioni, i drammi interiori, le frustrazioni. I personaggi letteralmente si castigano, si trucidano, si lasciano ferite addosso l’un l’altro con manifestazioni di egoismo, come se la loro persona fosse stata troppo repressa dagli sforzi per tenere in piedi quella debole vita coniugale, quell’equilibrio precario. I due sono anime sensibili, fragili che inizialmente si attraggono proprio per questo; ma quasi è proprio l’instabilità ciò che li fa scoppiare. Delia è una donna tosta, scheggiata dall’anoressia, con intelligenza pungente, spiccata. Gaetano è un uomo che riserba molte sorprese; col carattere spensierato che col passare del tempo si fa malinconico e irascibile. Erano partiti con l’idea di essere diversi, d’innestare nei bambini che ci sarebbero stati una diversa consapevolezza delle cose, del mondo, e sono finiti col vomitarsi addosso la loro ira, a non capirsi più. Dov’è finita la magia, quell’appartenenza che avrebbe dovuto legarli per sempre?! Non lo sanno... è come se la storia fosse fatta a maglie che si allentano piano e non fanno più presa tra di loro. La bellezza di queste pagine si basa essenzialmente sul sentire. La Mazzantini ha uno stile incalzante, coinvolgente... e schietto. Ti travolge senza mezzi termini con discorsi di una crudeltà truce, priva di sfumature e di pietà. Si esprime con un’onestà netta, che non importa se ti sega in due o ti lascia segni tangibili sulla pelle. Meglio, così non dimentichi niente. “Ma nessuno sa quanto, solo chi l’ha vissuto sa quanto si sta male. (...) Quando il bambino piccolo piange e quello grande respira soltanto, come un gatto che non deve farsi trovare. (...) E tu nemmeno li guardi, i tuoi figli, perché semplicemente non li vuoi tra le palle. Perché non vorresti avercele mai portate le tue palle nel mondo”. La narrazione passa così, come un collage di frammenti di cena e flashback di errori; di situazioni in cui nelle cadute si è strappata la pelle e son penetrati i germi. Circostanze sbagliate al momento sbagliato, quelle che una parola in più o una in meno avrebbe cambiato l’intero quadro, quelle che poi rendono troppo tardi tornare indietro o fare qualsiasi altra cosa per recuperare. Si scorrono continue immagini, frame bruciato di ricordi. Si ottiene come un impatto visivo delle vicende e ciò rende tutto particolarmente confuso e nel contempo lineare. Molto apprezzabili sono le analisi lucide, cristalline di stati d’animo e sentimenti, la costante sensazione che vengano messe sotto una lente d’ingrandimento e etichettate al dettaglio. fArmonia e disarmonia Da questo romanzo nasce un film di Sergio Castellitto, marito della Mazzantini, che in queste settimane sta suscitando un grande interesse di pubblico e della critica italiana. I protagonisti sono Jasmine Trinca e Riccardo Scamarcio nei ruoli di Delia e Gaetano. La macchina da presa di Castellito fa un buono lavoro di regia. Sembra un compasso filmico che punta sulla coppia e fa il giro intorno. Non è un cerchio perfetto quello che traccia ma un rapporto amoroso come tanti fatto di mare calmo o tempeste. Aggravato dal segno dei tempi, quella sfiducia socio-economica che le generazioni di trenta-quarantenni oggi portano come fardello in dote. Una botta e risposta che fa emergere la difficoltà di una conquista che non è mai scontata: l’armonia di coppia e la condivisione. Ingenui illuminati solo dal candore dei vent’anni, i due sono frutto della creatività immaginifica di Margaret Mazzantini. “Margaret il libro l’ha scritto quattro anni fa - spiega Castellitto - ma al film ci ho pensato solo durante l’ultimo anno. Avevo in mano il romanzo, ne ho sfogliato a caso le pagine fino a che mi sono imbattuto nella frase ‘L’errore è stato pensare di poter trovare tutto in una sola persona’. Solo allora mi sono accorto di quanto potesse essere contemporaneo e, con mia moglie, ho co- ccIl libro è stato pubblicato nel 2011, il film è del 2015 minciato a lavorare alla sceneggiatura”. Una sceneggiatura difficile, a tratti pesante, a tratti familiare. “Nessuno si salva da solo” è la storia di un amore consumato con passione, con la fretta con cui la fiamma brucia la candela. Ma il lieto fine non c’è. Delia e Gaetano, dieci anni e due figli insieme, si scoprono infelici. Non si amano, non si stimano. Divorziano, poi combattono. Nel ring offerto da un tavolo di ristornate ripercorrono la loro storia, mentre l’occhio di Castellitto veglia su di loro offrendo allo spettatore il quadro disarmante del prima e del dopo. Della bellezza culminata nel dolore, dello scontro con una realtà amara, quella conosciuta solo con l’ingresso nel mondo degli adulti. E, nel caos creato dalla continua sovrapposizione di passato e presente, il sesso diventa metafora della loro relazione: c’è la passione dell’inizio, la tenerezza della conoscenza, la nevrosi della fine e poi più nulla. Nel film, il sesso scompare, insieme all’amore di Delia e Gaetano lascia il copione per trasformarsi in una tensione erotica capace di riemergere solo nelle battute finali, quando il realismo cede il passo alla speranza. “Nessuno si salva da solo” visivamente sorprende: regia scattante, dinamica, che accompagna gli umori vaganti dei protagonisti. Montaggio molto notevole di Chiara Vullo e una scelta delle musiche che fortifica l’espressione. Punto forte sono anche le interpretazioni. Entrambi più che bravi, sia Scamarcio che Jasmine Trinca. Panorama 45 psicologia Programmazione neurolinguistica cosa si cela dietro al nome alti di Denis Stefan N egli anni ‘70, ad opera di uno studente di psicologia (Richard Bandler) e un linguista (John Grinder) nacque un tipo di “psicoterapia” se così si vuol chiamarla, o tecnica di crescita personale chiamata dagli autori Modello Meta che successivamente venne rinominata in Programmazione neurolinguistica (Neuro linguistic programmation). Perché questa denominazione? Secondo gli autori la programmazione si riferirebbe alla modifica di una gamma predefinita di comportamenti (programmi o schemi), che funzionano in modo inconsapevole ed automatico (il cervello lo abbiamo tutti, ma per farlo funzionare come vorremmo ci vogliono i programmi adatti); il neuro ai processi neurologici del comportamento umano, basato sul come il sistema nervoso riceve stimoli dagli organi di senso e li elabora come e rappresentazioni e la linguistica si riferisce al sistema con cui i processi mentali umani sono codificati, organizzati e trasformati attraverso il linguaggio. Certo, il tutto non fa una grinza, ma proprio per questo è piuttosto scontato poiché al limite si può riferire a tutto senza dire niente. Provo allora a definire la PNL vedendo un po’ quali ne sono i fondamenti teorici e le pratiche che usa. Si basa fortemente su: (1) la nozione di inconscio come fattore che influenza costantemente parole e azioni del cosciente; (2) il comportamento e il linguaggio metaforici (anche il cosiddetto linguaggio del corpo), riprendendo il metodo usato da Freud e (3) la terapia ipnotica sviluppata da Milton Erickson. Ottiene dei risultati? Sì, ma non migliori di altre tecniche simili, molto inferiori a quello che promette. Eccovi un esempio di pubblicità della PNL: ”La PNL può valorizzare tutti gli aspetti della tua vita 46 Panorama migliorando le tue relazioni con le persone che ami, imparando a insegnare con successo, ottenendo un maggiore sentimento di autostima, maggiore motivazione e una migliore comprensione nel comunicare, migliorando il tuo lavoro o la tua carriera... e un enorme numero di altre cose in cui entra in gioco il tuo cervello”. Sarebbe proprio bello... Il National Research Council americano, ha osservato: “Molte delle teorie considerate congruenti con la PNL sono metafore che non hanno grande influenza o non sono accettate nella letteratura scientifica... Non c’è alcuna evidenza a sostegno della relazione tra movimenti oculari e rappresentazioni del pensiero È un approccio alla comunicazione, allo sviluppo personale e alla psicoterapia postulata dalla PNL... I fondamenti della PNL... sono una serie di aneddoti e di fatti concatenati che non portano ad alcuna conclusione... La descrizione dei processi biologici fondamentali è piena di errori piccoli ma significativi... I riferimenti alla letteratura biologica e psicologica sono obsoleti... e le citazioni di psicologia cognitiva ignorano gli ultimi venti anni di risultati in questo campo... Inoltre: “La variabile dipendente usata nella maggior parte degli studi di PNL è l’empatia tra cliente e terapeuta, misurata su una particolare scala... Non si tratta di un indice soddisfacente per valutare l’efficacia del terapeuta. In conclusione, le prove empiriche a sostegno sia degli assunti sia dell’efficacia della PNL sono praticamente inesistenti”. Pertanto la PNL non è riuscita a mostrare di essere basata in modo credibile sulla programmazione o sulla linguistica o sulla neurologia. Si tratta di una mancanza abbastanza grave per una disciplina che si autodefinisce “Programmazione Neurolinguistica”. In definitiva mi sento di affermare che si tratta di una pseudoscienza ben “truccata e ornata”. Eppure anche dopo quarant’anni dalla nascita gode di una certa popolarità in diversi ambiti. Ci fanno ricorso soprattutto persone che detengono delle posizioni dirigenziali attratte dalla promessa che con la PNL si possono migliorare le abilità comunicative, si possono conoscere più a fondo le persone che ci circondano e si impara a ponderare meglio le proprie decisioni e dirigere il comportamento degli altri. Non dubito che molti abbiano tratto beneficio dalle sessioni di PNL seppur sono numerose le false o discutibili assunzioni su cui è basata. Affermare che gli esperti di PNL hanno studiato il pensiero delle grandi menti e i modelli di comportamento di persone di successo in modo da trarne dei copioni (programmi) da trasferire ad altri soggetti, è a dir poco azzardato. È evidente che se anche ognuno di noi avesse vissuto le stesse esperienze di Leonardo da Vinci o di Mozart, non saremmo diventati come loro. Senza avere i loro cervelli come base di partenza, ci saremmo sviluppati in maniera diversa da loro. Non è possibile far credere che l’unica cosa che divide le persone normali dai grandi dell’umanità è la PNL. Questa affermazione è frustrante per tutti coloro (la stragrande maggioranza) che si sono approcciati alla materia senza trarne benefici. Come spesso accade nelle pseudoscienze, non c’è stata un’evoluzione successiva del sapere in senso cumulativo, in compenso, ed anche questo è tipico, cè stata uno scisma tra Bandler e Grinder, arrivato fino alle aule dei tribunali, si tratta della questione dei “marchi d’autore” su vari aspetti della PNL. Si sono introdotte poi varie presunte tecniche terapeutiche perché alla fine “tutto fa brodo” ed oggi i cultori della PNL propongono trattamenti un isonante po’ per tutti i gusti. Sembra che la PNL si occupi di sviluppare modelli che non possono essere verificati, dai quali sono state sviluppate tecniche che non hanno nulla a che vedere con i modelli o le origini di tali modelli. La PNL fa affermazioni riguardo al pensiero e alla percezione che non sembrano essere convalidate dalle neuroscienze. Ciò non vuol dire che le tecniche non funzionino. Potrebbero essere valide e anche funzionare abbastanza bene, ma non c’è modo di sapere se le affermazioni sui loro fondamenti teorici siano valide. Forse questo non conta. La PNL stessa dichiara di agire in modo pragmatico: quel che conta è stabilire se funziona. Comunque, come valutare l’affermazione che “la PNL funziona”? Aneddoti e testimonianze sembrano essere gli strumenti principali di misurazione. Sfortunatamente, un tale metro di misura rivela solo l’abilità degli istruttori ad insegnare ai loro allievi a persuadere gli altri ad iscriversi ai loro corsi. Concludendo, la PNL promette tanto, forse un po’ di quello che promette, lo mantiene, ma come scrivevo negli articoli dedicati alle psicoterapie, probabilmente si tratta di suggestione ed effetti “generici” dei trattamenti. Sicuramente ci guadagna proponendo terapie e corsi dai costi piuttosto salati, per coloro che possono permetterseli. Panorama 47 Celebra la resurrezione di Gesù ma anche il passaggio dall’inverno, dal letargo animale e vegetale, al risveglio della natura a cura di Nerea Bulva Equinozio di primav la festa di Pasq 48 Panorama vera qua tradizioni L a Pasqua è una delle Feste cristiane per eccellenza, ma incorpora tradizioni precristiane legate alla primavera e alla fertilità. Per i greci antichi, infatti, il mito del ritorno dal mondo sotterraneo alla luce del giorno di Persefone, figlia di Demetra, dea della terra, simboleggiava il rinascere della vita a primavera, dopo la desolazione dell’inverno. I frigi credevano che la loro divinità principale si addormentasse all’arrivo dell’inverno e durante l’equinozio primaverile celebravano cerimonie con musiche e danze per risvegliarla. Il nome “Pasqua”, deriva dal latino pascha e dall’ebraico pesah, per effettuare un esame etimologico della parola, però, dobbiamo rifarci al termine inglese “Easter” che ci riporterebbe ad antichi culti legati al sopraggiungere della primavera e in particolare ad una antica divinità pagana, la Dea Eostre. Questa antica Dea della mitologia nordica è messa in relazione alla primavera e alla fertilità dei campi. Infatti il nome sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est, dunque è una divinità legata al sole nascente e al suo calore, all’equinozio di Primavera che veniva chiamato dai popoli celti “Eostur-Monath” e successivamente di “Ostara”. L’idea di resurrezione della natura diventò resurrezione di Cristo, e questo mito, in qualche modo, fu “incorporato” nella nuova religione che andava diffondendosi in antitesi al paganesimo. Questa festa è mobile, poiché cade la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera (quest’ultimo per la Chiesa cade sempre convenzionalmente il 21 marzo, sebbene l’equinozio astronomico oscilli tra il 20 e il 21). Questo sistema venne fissato definitivamente nel IV secolo dal Concilio di Nicea I. fL’uovo, simbolo di rinascita Va detto che, tra le tante tradizioni, quella dell’uovo (da mangiare o da dipingere) si ritrova un po’ in tutte le nazioni, probabilmente perché simboleggia la fecondità e la speranza per il futuro. Nonostante abbia origini antichissime, fu solo a partire dal XVI secolo che nacque l’usanza di nascondere una sorpresa nell’uovo. In Germania, così come in Svizzera, si dice che le uova vengano nascoste da un coniglietto (simbolo della nuova vita che ritorna ogni primavera) e il giorno di Pasqua i bambini si divertono in una sorta di caccia al tesoro che culmina nel ritrovamento delle uova. In Russia le uova sode vengono colorate di rosso e nella tradizione ortodossa viene preparato il Kulitch, un panettone accompagnato da ricotta dolce. In Inghilterra, invece, la Pasqua viene festeggiata mangiando gli Hot cross buns, piccole ciambelle. Molto prima di Pasqua i bambini finlandesi piantano dei semi in piccoli vasi e secondo la tradizione, la notte tra il venerdì e la domenica di Pasqua le streghe escono dai loro nascondigli e volano in cielo (una sorta di Halloween finlandese!). Mentre in Grecia la Pasqua è considerata come la festa più importante dell’anno ed è celebrata con un pranzo a base di riso alla greca e suopa mayeritsa. In Francia ai bambini viene detto che il venerdì che precede la Pasqua le campane non suonano poiché sono volate verso Roma, la tradizione vuole che in passato l’uovo più grosso deposto dalle galline durante la Settimana Santa spettasse al re. In questi giorni di festa, in Olanda e in Danimarca domina il colore giallo: gli olandesi mettono in casa dei fiori gialli, mentre i danesi apparecchiano la tavola con un tovaglia e delle candele di questo colore. In Italia, al di là delle consuete celebrazioni religiose, nel periodo pasquale si è soliti mangiare un dolce a forma di colomba, simbolo di pace. Questo dolce fu creato nel 750 a.C. da un pasticcere di Pavia che lo diede poi in dono ad Alboino, re dei Longobardi. Panorama 49 Bella la primavera ma... L a primavera astronomica è iniziata il 20 marzo, quando il giorno aveva uguale durata rispetto alla notte (equinozio) e le ore di luce aumentano gradualmente fino al solstizio d’estate, giorno in cui le ore di luce avranno raggiunto la massima durata. Con l’arrivo della primavera le temperature tendono ad aumentare e la natura si risveglia. Il nostro umore migliora grazie all’aumentare delle ore di luce, ma non è tutto oro quel che luccica. Per chi è allergico questo è il periodo peggiore: tra marzo ed aprile iniziano a fiorire i cipressi, le mimose, gli ulivi, le parietarie e le graminacee. I loro pollini vengono dispersi nell’aria provocando un’impennata delle allergie. Sono moltissimi Torna la stagione dei pollini e delle allergie 50 Panorama salute i giovani sotto i 18 anni che soffrono di asma e bambini affetti da allergie nasali e pollinosi. Le allergie colpiscono le vie aeree per cui è molto importante difendersi da questo mal di stagione seguendo pochi accorgimenti. fCalendario delle fioriture Chi soffre di allergie deve conoscere le piante a cui è sensibile e, in base al loro ciclo di fioritura, evitare i periodi critici. Il periodo di fioritura può variare a seconda delle condizioni climatiche e per questo motivo è bene informarsi e osservare il bollettino dei pollini. L’inverno che sta giungendo al termine è stato molto mite, il 6° inverno più caldo degli ultimi 40 anni, e per questo motivo potrebbe anticipare la stagione delle allergie. Durante il periodo invernale o pre-primaverile compaiono i pollini della betulla, nocciolo e cipresso seguiti dal frassino, dal pioppo e salice. Tra marzo e aprile si os- serva la presenza del polline di platano. In primavera oltre ai pollini di betulla, platano, carpino, quercia, faggio, frassino, olivo, cipresso e pino si rilevano anche pollini di piante erbacee come le Urticaceae e le Graminaceae. Scompaiono invece i pollini di Pioppo e Salice. Durante la stagione estiva infine i pollini più presenti sono quelli delle piante erbacee, Urticaceae e Compositae (Ambrosia e Atremisia), mentre i pollini delle piante arboree sono quelli del castagno e del pino. fMeteo e diffusione La pioggia sembra avere un duplice effetto sui pollini presenti nell’aria: sebbene da un lato gli scrosci d’acqua aiutino a pulire l’aria, intrappolando i pollini in gocce d’acqua, e quindi portando sollievo agli allergici, d’altro canto potrebbe avere l’effetto opposto rompendo in più parti i pollini che così, grazie alle loro dimensioni ridotte, vengono diffusi con più facilità nell’aria. Le condizioni ideali per la presenza di pollini in atmosfera sono stimate con temperature tra i 25 ed i 30 gradi ed un’umidità superiore al 60%. Il vento, che aiuta il naturale processo di impollinazione, aumenta allo stesso tempo la diffusione dei pollini nell’aria. fConsigli Chi soffre di allergia da pollini dovrebbe evitare di uscire nelle ore mattutine e di passeggiare in parchi e giardini, soprattutto dopo che è stata appena tagliata l’erba. Se si è sportivi è meglio praticare le attività in ambienti chiusi come in palestra. Per chi invece non può fare a meno di uscire meglio proteggere gli occhi utilizzando occhiali, utilizzare un casco integrale in moto e accendere il climatizzatore in macchina per filtrare l’aria. Durante questo periodo, le mucose delle vie aeree possono reagire anche ad altri stimoli, abitualmente innocui: è bene quindi evitare l’esposizione a polveri, fumo o altre sostanze irritanti. Infine è consigliato fare la doccia e lavare i capelli ogni giorno: non ce ne rendiamo conto, ma i pollini possono rimanere intrappolati nei nostri capelli e sui vestiti prolungando la reazione allergica. Panorama 51 curiosità Sicuramente non è possibile trovarlo negli scaffali di un comune supermercato S e siete amanti del cioccolato fondente sicuramente sarete curiosi di provare il cioccolato più costoso del mondo. Se avete $260 da spendere ne potrete avere 50 grammi. Si chiama To’ak; i suoi creatori precisano che il 95% del cioccolato viene fatto con semi prodotti in serie mentre il loro viene fatto con rari semi di cacao raccolti nella costa dell’Ecuador. Questi semi, fermentati e convertiti in cioccolato liquido, vengono successivamente modellati a mano esclusivamente da quattordici agricoltori del posto in barrette da circa 50 grammi l’una. Ogni barretta, in cui al centro è situato un seme di cioccolato, contiene l’81% di cacao e dal restante 19% di zucchero e richiede ben 36 passaggi prima di essere pronto To’ak il cioccolato più costoso del mondo: 5.200€ al kg!!!! 52 Panorama per essere venduto. Ogni anno ne vengono prodotte un numero limitato; nel 2014 erano disponibili 574 barrette mentre quest’anno, ad oggi, ne rimangono solo 183. fBarrette preziose come oro La confezione della barretta, numerata e fatta con legno di olmo spagnolo - lo stesso usato per far fermentare i semi di cacao - contiene un paio di bacchette di legno per prendere il cioccolato, in modo da evitare che le dita, toccandolo, ne possa alterare il sapore. Con le bacchette si rompe la barretta lungo le incisioni, si prende il pezzetto di cioccolato, lo si annusa e lo si lascia sciogliere in bocca senza masticare, respirando con il naso per godere a fondo del suo sapore. “Produciamo il cioccolato con la stessa cura e precisione che si usa per il buon vino e i piccoli lotti di whisky pregiato”, ha detto il cofondatore Jerry Toth. concorso PREMIO AUDAX fPRINCIPI GENERALI Art.1 La casa Editrice Audax, con sede a Moggio Udinese, organizza il Premio Letterario “Audax”per opere poetiche inedite. Il requisito fondamentale che deve avere il candidato è che esso non abbia nessun titolo di studio accademico superiore (Lauree, Master, Dottorati, ecc) pena l’assoluta esclusione dal premio. Lo scopo finale del premio è incentivare e premiare l’autodidattismo e il libero artista e ricercatore che lavora al di fuori dell’istituzione. Le finalità del Premio sono a carattere filantropico ovvero di aiutare, incentivare, promuovere e sostenere i tanti talenti e artisti che non sono riusciti a frequentare il percorso universitario per i più svariati motivi, vuoi perché senza i mezzi, vuoi perché hanno compreso ormai in età avanzata il loro talento, vuoi perché per motivi e impedimenti non sono riusciti e quant’altro. Art.2 Si stabiliranno dei punteggi che, a parità del valore dell’Opera candidata, daranno vantaggio a chi ha meno titoli (inferiori e di altri ordini, diplomi, attestati) in modo che chi ha più titoli risulti svantaggiato rispetto a chi ha meno o non ha del tutto titoli. Se ad esempio la giuria stabilisce il pari merito fra l’Opera del concorrente A e l’Opera del concorrente B ma A ha il diploma di scuola superiore e B solo la terza media risulterà vincitore B. Art.3 Il candidato dovrà presentare una autocertificazione di non possedere titoli di laurea o superiori e fornire dichiarazione dei titoli in possesso (diploma, attestati o altro). L’organizzazione del premio si riserva la possibilità di fare dei controlli a campione dei dichiaranti. Art.4 Le Opere presentate devono avere vasto respiro per la collettività, devono essere universali, e che quindi non riguardino la “località” di una zona, di un paese, regione o nazione. Devono avere carattere di Universalità. prega di contattare direttamente la casa editrice) Art.5 Indifferente sarà invece la condizione sociale e il patrimonio economico, ricco e povero, uomo di levatura sociale o sconosciuto, potrà partecipare al premio qualsiasi individuo di qualsiasi religione, sesso, razza, ceto sociale, nazionalità, purché abbia tutti gli altri requisiti per la partecipazione al Premio. Art.10 La Giuria è composta dallo Scrittore Pino Roveredo (Premio Campiello 2005), dal Musicologo e Scrittore Alessio Screm e da Emanuele Franz, direttore e fondatore di Audax Editrice. Presidente di Giuria: Angelo Tonelli (Premio Montale 1998). Il Giudizio della Giuria è insindacabile. Art.6 Il premio potrà essere elargito solo a individui singoli, a nessun gruppo o insieme di individui, siano essi associazioni, società, o qualsiasi raggruppamento o collettività. Art.7 Andranno premiate, preferibilmente, le Opere che mirano al pensiero astratto, tanto più l’opera è inapplicabile sul piano pratico tanto più avrà diritto a vincere il premio. Scopo del premio è mirare al pensiero “puro”. Le motivazioni intrinseche dell’Opera devono essere la ricerca del Pensiero Superiore e Immateriale. Coerentemente alla scelta di mirare all’universalità del pensiero umano, pur non obbligatoriamente, saranno preferiti la scelta di temi a carattere universale come la Verità, la Conoscenza, la Ricerca della Verità, la Bellezza, Giustizia, Libertà, la condizione Umana, e così via. f CARATTERISTICHE DELLE OPERE PRESENTATE E PREMI Art.8 Il Premio consiste in una pubblicazione del concorrente vincitore con la casa editrice Audax. Art.9 Si può partecipare con una raccolta di Poesie o con un Opera unica, indifferente lo stile scelto purché coerente con i Principi sovra esposti e in lingua italiana. L’Opera presentata non deve superare le 100 cartelle dattiloscritte e avere un minimo di 30 cartelle dattiloscritte (2000 battute l’una), se invece trattasi di una raccolta di poesie deve avere un minimo di 30 poesie e un massimo di 100 (se l’Opera dovesse eccedere questi limiti si Art.11 Ogni elaborato deve essere inviato in quattro copie cartacee, di cui una soltanto deve recare il nome, il cognome e la firma. È necessario aggiungere la dichiarazione, firmata dall’Autore, che ne confermi la paternità. Le Opere non saranno restituite. È necessario allegare la scheda di partecipazione e la ricevuta del pagamento di euro 10, a parziale copertura delle spese di segreteria del premio.Tale quota dovrà essere versata mediante versamento su conto corrente: IBAN IT66J0760105138282948382951 intestata a Emanuele Franz, specificando come causale “Premio Audax”. Il tutto deve essere spedito alla sede della Casa Editrice Audax, via Ermolli 31, 33015 Moggio Udinese entro e non oltre il 31 luglio 2015, farà fede il timbro postale. Gli esiti del Premio saranno comunicati ai Partecipanti non oltre la fine del 2015. Art.12 La sottoscrizione della scheda di partecipazione costituisce a tutti gli effetti liberatoria alla pubblicazione dell’Opera, nel caso la stessa risulti vincitrice tra quelle segnalate. Art.13: Il Premio Audax consta del solo Primo Premio che avrà come vincita la pubblicazione dell’Opera con la Casa Editrice Audax, tale pubblicazione sarà completamente esente da spese per l’Autore. La Giuria si riserva comunque la facoltà di segnalare Opere meritevoli oltre al vincitore. Per qualsiasi altra informazione si può contattare la Casa Editrice Audax attraverso i seguenti recapiti: www.audaxeditrice.com [email protected] 00393338760653 Panorama 53 multimedia Kaspersky Phound S l’antifurto per smartphone Se possediamo uno smartphone Android, oppure un iPhone (a breve), con questa nuovissima app potremo dormire sonni tranquilli in qualsiasi caso. I più distratti non dovranno disperarsi troppo se verranno derubati, o dovessero smarrire il proprio smartphone, a patto che abbia il sistema operativo Android o iOS. Questa nuova app ha tutte le caratteristiche per far parlare a lungo di sé. Kaspersky Phound serve per salvaguardare i dati sensibili, ma soprattutto i nostri telefoni, qualora dovessero finire in mani sbagliate. Per i ladri vita dura. L’app in questione ha tra le sue funzioni quella di inviare un messaggio da remoto al device, a quel punto il telefono stesso emetterà un input sonoro a tutto volume che potrà essere spento soltanto inserendo il codice di accesso da parte del titolare del telefono stesso. Inoltre, come già fanno moltissime altre app ormai, è in grado di indicarci la posizione del nostro telefono tramite il GPS e può effettuare diversi scatti fotografici per indicarci dove si trova in quel momento il nostro smartphone, o meglio ancora fornirci una bella istantanea di chi lo ha in possesso in quel momento. Ultima, ma non di certo in termini di importanza, nota di questa interessantissima app quella che permette di cancellare diversi dati sensibili presenti sul nostro smartphone in modo che, qualora non dovessimo riuscire a recuperare il nostro smartphone, eviteremo di lasciare in mani poco sicure i nostri dati sensibili. 54 Panorama P di Igor Kramarsich urtroppo potrebbe capitare ad ognuno di noi, per fretta o per distrazione, di vedere il nostro smartphone cadere in acqua! Se dovesse succedere una cosa del genere, a parte il panico del momento per la paura di perdere, oltre ai soldi (e tanti se dovessimo parlare di un top della gamma da 600/700 euro!), tutti i dati salvati all’interno del nostro smartphone o della relativa scheda Sim, sappiate che non tutto è perduto. Se ci dovesse mai capitare di ve- dere il nostro smartphone finire dritto dritto dentro l’acqua ci sono delle cose che non dovremo fare assolutamente per tentare di salvare il salvabile, ed invece altre che sono prettamente consigliate. Non tutto è perduto se seguiremo queste poche semplici regole secondo un’ottima guida di AppNews.it. Vediamo come muoverci nel dettaglio: 1 una volta recuperato lo smartphone dall’acqua come prima cosa spegnere il telefono, qualora dovesse essere rimasto miracolosamente acceso, o non Smartphone in acqua Cosa fare? È una tragedia ma con con un pizzico di fortuna e molto sangue freddo è possibile evitare che passi a miglior vita tentare di riaccenderlo qualora si fosse spento 2 non agitare lo smartphone nel tentativo di far fuoriuscire il maggior contenuto possibile di acqua, questo, oltre a mandare ancor di più in circolo tutto il liquido presente all’interno, potrebbe attivare l’indicatore LDI (quello relativo alla rilevazione dei liquidi) e ciò potrebbe invalidare la vostra garanzia 3 evitate di soffiare sul telefono stesso e sulle uscite come quelle per il caricabatterie o per le cuffie, ciò non farebbe altro che aumentare il circolo dell’acqua presente all’interno dello stesso 4 3 Adesso vediamo invece che cosa è consigliato fare una volta recuperato il nostro smartphone: 4 evitate di posizionare lo smartphone in questione sopra fonti di calore. 1 come prima cosa spegnere il dispositivo mobile, qualora non si sia già spento nel contatto con l’acqua e mantenerlo in posizione verticale. Togliere la batteria (se è possibile rimuoverla), la scheda sim e la micro SD se presente all’interno 2 utilizzare un panno morbido e tamponare il liquido fuoriuscente utilizzare, se si ha disponibile, un’aspiratore di liquidi per togliere il più possibile l’acqua presente in superficie inserire lo smartphone in un sacchetto pieno di riso (è risaputo che assorbe l’acqua) e tenerlo chiuso per almeno 48 ore A questo punto le avrete tentate proprio tutte! Provate a riaccendere il vostro telefono e vedrete se risponde correttamente a tutte le funzionalità che gli richiedete. Se così non dovesse essere l’unica strada che vi resta da seguire è il vostro centro assistenza. Panorama 55 fioralia Simbolo per eccellenza di amore, devozione, ammirazione, bellezza e perfezione, è uno dei fiori di aspetto elegante più apprezzati da secoli La rosa regina dei fiori di Daniela Mosena A bbiamo pensato chissà quante volte di scrivere della rosa ma l’argomento era così complesso che abbiamo rimandato fino a oggi di parlare di un fiore che, universalmente, è certamente il più bello e ha interessato da sempre tanta gente di ogni estrazione sociale, di ogni cultura, di ogni religione. In epoca ellenistica la rosa simboleggiava il primo grado di iniziazione ai misteri di Iside. Nelle Metamorfosi di Apuleio, il protagonista Lucio, trasformato in asino per avere ceduto a una magia malsana, prega la dea di restituirgli sembianze umane. Iside gli appare avvolta in una tunica, trascolorante dal bianco al giallo, al rosso del fior di croco, al rosso acceso delle rose, sulla quale è posta una veste nerissima. Una corona di fiori variopinti le cinge il capo e in mezzo alla fronte un disco piatto a forma di specchio, simbolo della luna, sprigiona barbagli di luce. “Eccomi, sono qui impietosita dalle tue disgrazie - gli dice - eccomi a te soccorrevole e benigna. Il giorno che sta per nascere è consacrato a me. In questo giorno cessano le tempeste dell’universo, si placano i flutti tempestosi del mare e i miei sacerdoti mi dedicano una nuova nave offrendo le primizie del carico. Guiderà la processione un sacerdote che per mio volere porterà intrecciata al sistro una corona di rose. Senza esitazioni fatti largo tra la folla e segui la processione confidando in me; poi avvicinati a lui come per baciargli devotamente la mano e afferragli le rose. Vedrai che in un attimo ti cadrà la brutta pelle di animale che anch’io da tanto tempo detesto”. Così avviene: grazie alle rose della dea, Lucio riacquista sembianze umane e si avvia 56 Panorama dopo il pentimento sulla strada dell’iniziazione. Iside era uno dei tanti nomi della Grande Madre venerata da Egizi, Fenici, Greci e Romani. Nel XII secolo la scuola dei filosofi cristiani, fiorita a Chartres, aveva rielaborato il concetto classico di Natura in cui si ritrovavano tanti aspetti della Grande Madre precristiana. Chartres era allora un santuario mariano e la Madre Natura di Bernardo Silvestre, Teodorico di Chartres e Guglielmo di Conches andò assumendo a poco a poco i tratti della Madonna nella quale furono trasposti gli attributi che ornavano le dee dell’antichità: dalla colomba alla conchiglia, dalla stella del mattino a quella della sera. Diana e Iside le cedettero la falce di luna, Cerere le spighe. Anche le piante consacrate alle dee furono ribattezzate in termini mariani: il Manto di Venere (Pallium veneris) diventò Mantello della Madonna: il Piede di Cipria (Cypripedium) si trasformò in Pianella della Madonna; il Capelvenere (Capillus veneris) mutò il suo nome in Capelli della Madonna. Nel suo trascolorare simbolico la rosa venerea diventò anche mariana. Nella canzone francese del XIII secolo, di cui si sono citati precedentemente i primi versi che alludevano al Cristo come rosa, anche la Vergine diventa rosa in una serie di allusioni volutamente ambigue: Il fiore nacque in quella Betlemme che è bella, che è luminosa, la rosa è Maria, regina del cielo, e dal suo seno scaturì quel fiore. Il primo ramo è pieno di forza, e spuntò la notte di Natale: le stelle brillavano lucenti su Betlemme, e lucenti brillavano su di esso. Il secondo ramo raggiunse l’inferno per abbattere il potere dei demoni; ccLe rose antiche conservano tutto il fascino derivato loro dall’essere fiorite nei giardini dei Greci e dei Romani laggiù nessuna anima deve restare. etc. Non ci si stupisca di questo trascolorare simbolico che testimonia come ogni mariologia sia in sostanza cristologia poiché la Madre è venerata non per se stessa, come avveniva nelle religioni precristiane, ma grazie al Figlio. Che sia fondata l’interpretazione della canzone medievale lo conferma la predica di san Bernardo di Clairvaux sul versetto del Cantico dei Cantici, “lo sono un fiore di campo, un giglio delle valli”, in cui si afferma che quelle parole si applicano non soltanto a Maria ma anche a Gesù, secondo il contesto in cui sono inserite. Talvolta non è una rosa ma addirittura un roseto ad accompagnare l’immagine di Maria, come nella Madonna del roseto (1450) di Stephan Lochner. Quel pergolato allude all’hortus conclusus del “Cantico dei Cantici”, al giardino chiuso come simbolo dell’integrità verginale di Maria: Giardino chiuso tu sei/ sorella mia sposa/ giardino chiuso, fontana sigillata. (1 - continua) soste di ulisse di Sostene Schena C hi è nato nella prima metà del secolo ventesimo si ricorda dei piatti della nonna; quelli nati dopo hanno ricordi sbiaditi sia attraverso gli occhi che nelle papille gustative. Gli anziani che frequentano il ristorante-pizzeria “Ambasador”, a Lokev, riferiscono che il locale è ancora quello di una volta ma soprattutto che i profumi e i gusti sono rimasti quelli della nonna. Piatti genuini, semplici, senza fronzoli i quali non ti fanno intendere che ci siano state tante manipolazioni… chissà da chi e chissà perché. A Lokev, piccolo paesino della Slovenia, i ristoranti non mancano; c’è solo l’imbarazzo della scelta e noi ci siamo considerati fortunati nell’affrontare il pranzo senza dover discutere con lo chef o con la cameriera su questo o su quello; cosa che purtroppo ci capita spesso e… non chiediamo la vita! Le specialità della casa sono soprattutto le carni (ma è possibile trovare anche del pesce) cucinate alla moda italiana. Anche la pasta (per chi non sa farne a meno) tiene conto del gusto e delle abitudini italiane. I nostri ispettori hanno avuto impressioni diverse avendo visitato il locale in momenti diversi della giornata e in stagioni diverse ma non si sono discostati dai nostri giudizi. Il nostro piatto preferito è stato il “Plosca Ambasador” per due persone (23 euro per tre 34 €) con il quale peraltro si sarebbero potute soddisfare sicuramente almeno tre commensali: sono previste quattro qualità di carne su un letto di ottime patate al forno; funghi e verdure. Buono il vino della casa, sia il bianco (un sauvignon del Collio) che il rosso (refosco). LA NOSTRA PAGELLA Nome: AMBASADOR. Località: Lokev (Sezana) Gestione: Denis Kocjančič Indirizzo: Krasks ulica 6c Tipo di locale: ristorante, pizzeria, spaghetteria, grill Coperti: 160 all’interno e 60 all’esterno Aperto dalle 12 alle 23. Chiuso: mai Numeri di telefono: +386 40 740 532 Lingue parlate: italiano, inglese e tedesco Pagamento: credit cards Prenotazione: consigliaile Distanze: 6 km. dal confine italiano di Basovizza; 6 km da Sezana. Per arrivarci: da Trieste salite verso Basovizza e poi seguite la direzione Lipiza fino a Lokev: Da Sezana seguire la direzione del confine italiano di Basovizza. Grandi spazi per il parcheggio Ambiente 78 Atmosfera 79 Servizio 80 Qualità 86 Vino 81 Prezzo 78 Rapporto q/p 79 Giudizio finale 80 A Lokev tra i tanti scegli l’Ambasador Il locale è ancora quello di una volta ma soprattutto i profumi e i gusti sono rimasti quelli della nonna Panorama 57 scacchi pillole Noto per lo stile imprevedibile e famoso per le sue combinazioni brillanti nonostante le limitazioni imposte dalle precarie condizioni di salute Mikhail Nečemljevič Tal il mago di Riga a cura di Sandro Damiani «R imasi sorpreso della sua capacità di immaginare e inventare complessissime varianti»: così, Mikhail Botvinnik, uscito sconfitto dal match, titolo in palio, al Teatro Puškin di Mosca nella primavera del 1960. Avversario, Mikhail Miša Nečemljevič Tal (Riga, 9 novembre 1936 - Mosca, 28 giugno 1992). Risultato finale: 6-2 e 13 patte, per il giovane il Lettone, che dirà in seguito:“Prima d’allora non ci siamo mai incontrati e l’Ingegnere ha sempre avuto problemi negli scontri diretti con chi non aveva mai giocato in precedenza. Tant’è che nella rivincita finì 10-5 e solo sei patte, per lui”. Anche Tal, dunque, come Vasilij Smislov, è in vetta un solo anno. Ma come ci arriva? E una volta discesovi? Ci arriva come un ciclone. Nel 1957, ventunenne, pur essendo appena Maestro, viene ammesso al campionato sovietico. Sbalordendo tutti, più che per il risultato, per il gioco espresso, vince. Ciò determina un fatto unico nel firmamento scacchistico: la FIDE d’ufficio gli riconosce il titolo di Grande Maestro, facendogli saltare il passaggio intermedio, il livello di Maestro Internazionale. Nel 1958, si ripete. Nello stesso anno iniziano le gare da cui scaturirà il “pretendente al trono”. Si impone all’Interzonale di Portorose e al successivo torneo dei Candidati a Bled-Zagabria- 58 Panorama Belgrado, con turno quadruplo: vi mette in fila Keres, Petrosjan e Smislov e sbatacchia il diciannovenne, già forte, Robert Fischer (4-0). Quando si presenta di fronte a Botvinnik, questi in teoria sa con chi ha a che fare... ma la pratica è ben altra cosa. Ha detto David Bronštejn: “Miša non ha eguali nell’abilità e velocità di calcolo... nessuno sa mettere in crisi l’avversario come lui”. E Tigran Petrosjan: “È il giocatore che ha prodotto il maggior numero di partite spettacolari nello scacchismo del Novecento”. Da dove deriva questo tipo di gioco sempre all’attacco, fatto di “sacrifici”? Dalla concezione stessa che Tal ha degli scacchi: “È un’arte!”. Ergo, le conoscenze che se ne ha vanno messe al servizio della fantasia, dell’intuito, della bellezza”. Scrive lo scrittore e giornalista Lev Khariton: “Tal è il Mozart della scacchiera”. Nel match di ritorno dell’anno dopo, però, non sarà sufficiente. Allora? “Nella mia famiglia - è Miša che parla - erano tutti medici. Io ho tradito la tradizione e la medicina si è vendicata”: è in quel 1961 infatti che hanno inizio i suoi guai con la salute: i reni. Partenze a razzo, stop and go, ritiri, ricoveri ospedalieri d’urgenza, operazioni, dialisi. Quindi, impossibilità di trovare periodi medio-lunghi per poter lavorare (studiare e partecipare alle gare), di concentrarsi a dovere e tenersi fisicamente in forma. Amatissimo come persona - dolce, simpatico, affabile - sia nell’ambiente che fuori, durante i tornei in URSS, nelle pause lo si vede circondato da ragazzini con cui gioca. I giovani tifano per lui nemmeno fosse Jašin o Strelcow. Ovunque lo chiamino, ci va: incontri di esibizione, simultanee, partite alla cieca, tornei blitz: a 52 anni, nel 1988, diverrà campione del mondo della specialità, lasciando alle spalle i mostri del momento: Kasparov e Karpov. E qui va messa la parola fine: altre crisi e ricoveri, fino a quello del giugno del 1992, quando muore per emorragia all’esofago. Non avesse avuto seri guai con la salute, a causa dei cui dolori prendeva morfina, e se non ci avesse messo del suo con sigarette e alcol... Il severo Botvinnik disse in un’occasione: “Se solo facesse una vita regolare... sarebbe impossibile giocarci contro”. Un complimento del genere, da un Grande - in qualsiasi sport - non lo si è mai sentito. Difatti, quando sta meglio e si controlla... è inattaccabile, come nel 1972: vince il campionato nazionale senza sconfitte e nel biennio successivo stabilisce il record di imbattibilità: 93 partite consecutive. Avevamo accennato ai primati di Tal. Il più difficilmente battibile: il miglior risultato individuale complessivo alle Olimpiadi: 81,2% dei punti totali (+65 -2 =34), con 13 medaglie su otto partecipazioni (8 di squadra e 5 individuali) e 9 ori ai sei Europei. Quando muore, in Lettonia è lutto nazionale. (11 - continua) passatempi 1 2 3 4 15 5 6 16 21 24 29 10 22 30 34 11 31 33 36 37 40 43 45 46 49 50 54 63 ORIZZONTALI: 1. Pregiato cotone egiziano – 5. Estremo bisogno – 12. Il liquore dei babà – 15. Comprende la festa dell’Assunzione – 17. Costruirono il cavallo di Troia – 18. Un mantello equino – 20. Fa riprendere vigore – 22. Festevoli, lieti – 23. Le scuse di mademoiselle – 24. Più che brutta – 26. Non vuole o controvoglia – 28. Città del Piemonte – 30. Il medico con 14 19 32 42 55 59 13 27 39 44 12 23 26 35 41 53 9 18 25 38 8 17 20 28 7 60 47 51 56 52 57 61 58 62 64 due lettere – 32. Ha lo sguardo torvo – 33. In fondo all’oceano Pacifico – 34. Assennati o sapienti – 35. Perfettamente uguali – 37. Rimorchio per il trasporto di cavalli da corsa – 38. Tenebrosa, oscura – 39. La capigliatura dei leoni – 40. La produce il filugello – 41. I 52 di Roma antica – 42. Si accerta con l’appello – 43. Vi si trova la Villa Pisani – 44. Articolo per signorine – 45. Tela Soluzione del numero precedente resistentissima – 46. Il mago di un film con Judy Garland – 47. Si riempie per il derby – 49. Medicina fasulla – 51. La serpe che morse Cleopatra – 53. Le pecore col pastore – 55. Prefisso per 48 65 sangue – 57. Donne frivole… col naso adunco – 59. Ottone pittore fiorentino – 60. Superiore nel monastero – 62. Il copricatena della bicicletta – 63. S’immergono mascherati – 64. Più o meno gli anni dei nati nel 1935 – 65. Impulso di partenza. VERTICALI: 1. Biagio, il poeta di Grado – 2. Si godono con molto comodo – 3. Molti abitano a Priština – 4. Città della Repubblica Ceca – 5. Elevatore d’acqua – 6. Le iniziali di Goldoni – 7. Deserto sabbioso con dune nel Sahara – 8. Il nome di Connery – 9. Manca all’impacciato – 10. Nei cinesi sono uguali – 11. I tarocchi dell’agrumeto – 12. Per niente fitte – 13. Automobile della FIAT – 14. Cittadina istriana – 16. Caratteristiche le due di Bologna – 19. Si coltiva dietro casa – 21. Il cen- tro di Rodi – 23. Frutto vellutato – 25. La capitale fondata da Menelik II – 27. Il più lungo fiume di Francia – 29. Si conservano nella pisside – 31. Un filtro umano – 33. La Cina di Marco Polo – 35. La dea greca della pace – 36. Rota compositore – 37. Le decisioni della giuria – 38. La gente che il cielo aiuta – 39. La… firma degli analfabeti – 40. La pesa col romano – 42. Furto letterario – 43. Vi si accede dal boccaporto – 45. Nome di donna – 47. Stella alfa della costellazione della Vergine – 48. Sono liriche alla Scala – 49. Si sollevano per sport – 50. Ha Mascate per capitale – 52. Il simbolo dello scandio – 54. L’uomo degli zingari – 56. Il decimo mese nelle abbreviazioni – 58. Segue il bis – 60. Il simbolo dell’astato – 61. L’Esercito italiano su targa d’auto. Pinocchio Panorama 59 DOBRODOŠLI BENVENUTI Novigrad Cittanova Turistička zajednica Grada Novigrada-Cittanova Ente turistico della Citta' di Novigrad-Cittanova Novigrad-Cittanova Tourist Board * Mandrač 29a, 52466 Novigrad-Cittanova (Istria/HR) ++385.(0)52.757.075 e-mail: [email protected] web: www.coloursofistria.com