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Magico Iran Magico Iran - Viaggi Avventure nel Mondo
(02-53)Articoli 2/2005 13-04-2005 11:45 Pagina 20 Iran Un viaggio nel paese blu, dove tutto sembra scaturire da questo colore Testo di Enrica Cavicchioli Foto di Viviana Guolo Magico Iran Yadz, nella moschea delle donne “M a sei matta a fare un viaggio in Iran, paese “canaglia”, finanziatore del terrorismo islamico,dove ti toccherà portare sempre il velo? Non avevi proprio un’altra meta da scegliere?” Così mi hanno apostrofato amici e conoscenti all’annuncio che sarei partita per l’Iran durante il periodo pasquale. Già da tempo avrei voluto visitare la mitica Persia, proprio quella dei grandi personaggi del passato, da Ciro il Grande, a Dario, ad Alessandro Magno, a Gengis Khan, a Tamerlano, re e condottieri che hanno contribuito a rendere famosa questa parte di Asia, incantando viaggiatori come Marco Polo. Con il mio solito bagaglio a mano, lo zainetto in spalla e questa volta il foulard in testa, come raccomandato, mi imbarco con il gruppo su un aereo dell’Iran Air alla volta di Teheran con l’entusiasmo di poter visitare un paese al di fuori delle solite mete turistiche. Dopo cinque ore di volo, già in fase di atterraggio la città si 20 presenta sotto un cielo blu, circondata da alte montagne innevate. Il traffico è allucinante e mi ricorda quello delle città indiane, con l’unica differenza che mancano mucche e cammelli per le strade. In aeroporto ho anche il primo impatto con donne rigorosamente vestite di nero e con il chador e ragazze che invece portano uno spolverino scuro sopra i pantaloni e dei foulard dalle tinte tenui in testa. Raggiungiamo l’albergo in posizione centrale, dove incontriamo Sohrab, la guida che all’unanimità avevamo già deciso di ingaggiare per tutta la durata del viaggio, sapendo che in Iran è molto difficile comunicare con la gente: pochi infatti conoscono l’inglese e anche se ce la saremmo cavata, nei villaggi non saremmo mai riusciti a capirci. Fra l’altro non avremmo avuto le molteplici ed esaurienti spiegazioni culturali e sociali che Sohrab ci ha dato. E’ infatti un iraniano colto, laureato in lingua e didattica dell’italiano a Perugia,innamorato della nostra cultura e del nostro Paese dove torna ogni anno. Il mattino seguente di buon’ora si vola a Shiraz (1600 metri di altitudine), capitale sotto varie dinastie, culla di culture, patria di poeti e mistici, famosa fin dall’antichità per i suoi giardini, le sue rose e il vino.“Il viaggiatore dimentica la sua patria quando a maggio viene a Shiraz” recita un verso del poeta Sa’di.Poiché il venerdì in città è tutto chiuso,decidiamo di fare l’escursione a Persepoli e Pasargade, visto che i siti archeologici sono aperti. Persepoli, che era una meraviglia del mondo antico, con tutte le costruzioni in basalto nero lucido,ricoperte di pietre preziose e oro, era stata fatta erigere dal grande Dario per festeggiare il Noruz, l’anno nuovo persiano, tuttora festeggiato il 21 o 22 marzo. In quell’occasione giungevano a Persepoli i rappresentanti delle nazioni che facevano parte dell’impero per rendere omaggio al re e per pagare i tributi. Lo scenario dei resti delle antiche dimore appare già da lontano e si riesce anche a vedere l’alto basamento di pietra lungo centinaia di metri salendo su una spettacolare scalinata, la stessa su cui salivano sudditi e notabili per rendere omaggio al Re. Sono ben visibili le sfilate di nobili, di soldati e di semplici portatori di regali scolpiti sulla pietra che fa da basamento alle parti alte della costruzione.Tutto il complesso,mai terminato,orgoglio e simbolo della Persia, fu distrutto in brevissimo tempo da Alessandro Magno, che però non riuscì a cancellare la memoria di quel passato, che mi ha affascinato moltissimo….Andiamo poi a visitare le tombe achemenidi di Naqshi-e-Rostam, scavate nelle pareti di arenaria dorata che si ergono sullo sterminato altipiano a 1900 metri di altezza. Colpisce in particolare quella che rappresenta l’imperatore romano Valeriano, vinto e catturato in battaglia, inginocchiato al cospetto del re Shapur. La tomba del grande Ciro sorge isolata su una specie di gradinata nella grande pianura di Pasargade. E’ semplicissima,senza decorazioni e fu risparmiata da Alessandro perché secondo la leggenda fu colpito dalla semplicità del grande re.Aggirandosi tra le rovine dei dintorni ci si imbatte in bassorilievi che ritraggono figure misteriose come quella di un uomo pesce dalla coda squamata o quella di un uomo dalle ali spiegate.Dopo queste immagini suggestive, in una splendida e calda giornata di sole, eccoci il giorno dopo in mezzo al caos e al rumore di Shiraz, l’antica capitale dei Safavidi. Il primo impatto visivo scioccante per le tonalità di blu e di altri colori, è la moschea Nasir-ol-Molk con i suoi svettanti minareti e le cupole perlate, ricoperte di maioliche policrome. Suggestivo anche il mausoleo Shah-Cheragh,dove è sepolto un martire del IX secolo, meta di pellegrinaggio per gli Sciiti. L’incredibile gioco di specchi in numerose stanze dell’interno mi lascia a bocca aperta, come pure l’interno della moschea Masied-E-Yakil (1773), vicina al bazar, con le sue decorazioni multicolori e una sala da preghiera invernale, supportata da 48 colonne a spirale con capitelli a foglie di acanto. E che dire dei famosi giardini di Shiraz, già tutti in fiore, alcuni dei quali contengono le tombe di personaggi (02-53)Articoli 2/2005 13-04-2005 11:45 Pagina 21 Iran famosi, come quella dei poeti Hafez e Sa’di? Il regime islamico non ama Hafez, perché alcune poesie invitano al vino, al sorriso, alla gioia di vivere, cose considerate licenziose! Solo nel 2001, dopo vent’anni, si è tornati a celebrare l’anniversario della sua nascita ed è diventato un simbolo per tutte le persone che,venendo a pregare sulla sua tomba, vogliono esprimere la gioia di vivere. Qui ho visto anziani, bambini, giovani e studenti di ogni estrazione sociale venuti da ogni parte dell’Iran per salutare il poeta, per toccare e baciare la sua pietra tombale, ma anche per incontrarsi e bere un the nel cortile all’ombra dei melograni, come abbiamo fatto anche noi. Proprio in questo giardino c’è stato il primo approccio con molte studentesse che, incuriosite dalla nostra presenza, hanno cercato di parlare con noi in un inglese stentato. Il giardino più bello,a mio parere,è quello di epoca cagiara Bagh-e-Delgosha, per la presenza di numerosi alberi di aranci e di aiuole fiorite che incorniciano la ricca residenza. Proseguendo il percorso a piedi ci siamo imbattuti in una scuola coranica nel cui cortile abbiamo intravisto degli studenti con il loro tipico abbigliamento,e poi in una cerimonia funebre, con l’Imam che predicava ad uno stuolo di donne rigorosamente nere accovacciate nel cortile di una moschea. Dell’immancabile visita al bazar non ho molto da dire,se non che è bello architettonicamente,stracolmo di brutti capi di abbigliamento, silenziosissimo, spento, diverso dalla vivacità dei bazar medio orientali, pieni di colori, odori, suoni, voci… E’ periodo di lutto stretto per la commemorazione della morte di Maometto, per cui ci sono drappi neri, grandi manifesti di “santi” bordati di nero appesi ovunque, ragazze e donne nere, silenziosi fantasmi che si aggirano negli stretti passaggi, pochi uomini, nessun colore, eccetto quello delle tante stoffe esposte. A conclusione dell’intensa giornata, ci attende un’ottima cena in un suggestivo ristorante ricavato da un antico hammam. Il giorno dopo, Pasqua 2004, ci attende una lunga marcia di trasferimento per Kerman, su una bella strada alberata in cui ci sono grandi cartelloni con le immagini dei capi religiosi.Sohrab ci dice che questa zona pianeggiante,ai bordi del deserto Dash-e-Lut, è una delle più aride dell’Iran, ma è ugualmente un susseguirsi di coltivazioni di cereali e di alberi da frutto (fichi, mandorli, melograni, e soprattutto pistacchi), protetti da altissimi muretti di fango per ripararli dai venti;possono sopravvivere grazie all’acqua succhiata dai ghanat, canali sotterranei molto profondi e lunghi chilometri che prendono l’acqua dalle falde delle montagne,portandola ai villaggi e alle coltivazioni.Vediamo anche molte greggi in marcia di trasferimento verso nuovi pascoli e gli accampamenti dei nomadi. Facciamo una sosta per visitare i resti di un complesso sassanide del V secolo in fase di restauro,il Sarestan,a pianta quadrata con quattro evan (archi), da cui prenderanno spunto gli architetti persiani per costruire le moschee.La strada continua in salita, siamo fra i 1500 e i 1900 metri di altezza, in un paesaggio aspro e selvaggio,dove rari alberi di fichi e mandorli spuntano tra le rocce dei pendii, ravvivati dai primi ciuffi di erba verde e da tanti fiori multicolori: spazi e silenzi sono tutt’uno e mi vengono in mente i versi del “Canto di un pastore errante per l’Asia” di Leopardi. Si prosegue fino a Neyriz, un villaggio dove visitiamo un’antica moschea con un altissimo arco un mirhab decorato con calligrafie e motivi floreali: è giorno di festa per la commemorazione della morte di Hussein, nipote di Maometto, per cui ci sono bandiere e drappi neri dappertutto (il lutto dura ben 40 giorni!!). Si sale ancora sull’altopiano (2300 metri) con un paesaggio di montagne aspre dai colori variegati, accentuati dalla pioggia e dalla presenza di erbe e fiori selvatici. Dopo nove ore di viaggio, eccoci finalmente a Kerman, sotto una pioggia battente; alloggia- mo nel confortevole albergo Akhavan,appena ristrutturato, dove siamo accolti calorosamente dai due proprietari che già conoscono i gruppi di AM. Il giorno seguente, non potendo visitare Bam perché distrutta dal terremoto del dicembre 2003, facciamo un’escursione a Neien, detta la piccola Bam, perché ha caratteristiche simili. E’ ancora in fase di restauro ed è molto suggestivo lo scorcio della cittadella di mattoni crudi ricoperti di paglia e fango secondo l’antica tecnica, con lo sfondo delle montagne innevate illuminate dal sole.La gente del vicino villaggio,non abituata a vedere turisti occidentali, ci guarda con curiosità. Dalla visione della cittadella e delle mura,in gran parte restaurate, mi faccio un’idea di che cosa doveva essere la suggestione di Bam. Raggiungiamo poi Mahan, una cittadina dove c’è uno stupendo mausoleo del santo fondatore della setta dei Dervisci, che conta ancora numerosi adepti che si ritrovano qui ogni anno. Sohrab ci dice che è gente pacifica, che crede nel raggiungimento della terra promessa attraverso la morte e che chiede l’elemosina per i poveri come faceva San Francesco. I due minareti e la cupola, già visibili da lontano, sono di un verde-blu strabiliante, in contrasto con il cielo azzurro e con il colore brullo delle montagne e del deserto circostante:uno spettacolo affascinante soprattutto dall’alto della cupola dove si può accedere attraverso uno stretto passaggio. Altro gioiello di Mahan,è il Bagh-Shahzade,dei giardini di epoca cagiara pieni di rose fiorite, di corsi d’acqua e piscine degradanti, che ricordano quelli della reggia di Caserta. Qui facciamo tenerissimi incontri con studentesse di scuola superiore in gita scolastica che ci chiedono foto con loro e ci lasciano i loro indirizzi. Mi ha veramente commosso la loro spontanea voglia di comunicare, di chiedere, di sapere, se pure in un inglese elementare. Rientriamo a Kerman, situata a 1860 metri di altezza, proprio ai margini del deserto, sull’antica rotta delle carovane, al confine con il Pakistan e famosa per i suoi tappeti. La città è molto accogliente e visitiamo la parte vecchia dove c’è il bazar,la Moschea del Venerdì e l’hammam,i tre elementi che caratterizzano le attività principali: il commercio,la preghiera e il relax.Il Bazar-E-Vakil è uno dei più antichi dell’Iran e la sua bellezza è dovuta anche al fatto che è stato costruito intorno ad un enorme cortile che voleva imitare in piccolo la bellissima piazza di Isfahan. Ho potuto assaporare, osservare e cogliere in tutta tranquillità la vita quotidiana di una piccola città iraniana: si vende di tutto e ci sono merci per tutti i gusti. Notevoli gli oggetti in rame. Bello e suggestivo è l’Hamman, fatto costruire dal governatore della città e ora museo: è decorato con piastrelle azzurre e blu e gli spazi sono divisi secondo la classe sociale. Qui si eseguivano massaggi, depilazione, taglio dei capelli e circoncisione. Finita la visita alcuni di noi si concedono un the nella più bella sala da the della città, ricavata da un hammam, con una fontanella interna, belle piante da arredamento e un’atmosfera veramente elegante. La prossima meta è Yads, a 300 chilometri di distanza e lungo il percorso vediamo chilometri e chilometri di coltivazioni di pistacchi, la pregiata noce del re di cui l’Iran è il maggior produttore del mondo. Prima di raggiungere la città, vediamo un caravanserraglio ben restaurato, per cui ci fermiamo per visitarlo. E’ diventato un bellissimo albergo a quattro stelle, che ci viene mostrato con molta ospitalità dagli inservienti afgani, dagli occhi ardenti e truccati col cajal. L’ambientazione è veramente suggestiva: ci sono splendidi tappeti kilim antichi per terra, lungo i corridoi e soprattutto appesi sulle pareti di mattoni.Alcuni fungono anche da tendaggi e da separé fra le camere arredate con grandi cuscini, tappeti e pochissime suppellettili. Confesso che a parecchi di noi non dispiacerebbe passare una notte in questo ambiente, soli in mezzo al deserto con il Una moschea a Kerman corollario delle catene montuose e tanto silenzio attorno… Dopo aver bevuto il the offertoci, a malincuore ci rimettiamo in marcia per Yads,dove arriviamo alla sera.La città sorge tra i due deserti Dasht-e-Lut, ossia deserto di polvere e il più terribile Dasht-e-Kebir, ai quali non si può sfuggire e anche se ci si addentra solo marginalmente, mi rendo conto di quanto sia duro e impenetrabile. La cittàoasi, che sorge a 1200 metri di altezza, fu un fiorente centro commerciale per la seta, i tessuti e i tappeti nei secoli XIV e XV, dato che si trovava sulla rotta tra l’Asia centrale e l’India.La città mi colpisce subito per il colore ocra delle sue case e le torri di ventilazione che spuntano dai tetti di ogni abitazione; queste catturano l’aria incanalandola in profondità in modo che si rinfreschi per poi distribuirsi negli ambienti.(Vengono tuttora costruite in luogo dei costosi impianti di condizionamento). Altra caratteristica del panorama della città, sono le immense cisterne d’acqua, sormontate da cupole fatte con mattoni di terracotta e paglia come la maggior parte delle abitazioni e i qanat, canali sotterranei che dalle sorgenti portano l’acqua per molti chilometri;ne vediamo uno nel cortile della moschea scendendo i 64 gradini che ci portano sottoterra. Nella città vecchia, oltre alle due moschee più imponenti per la loro architettura e le bellissime decorazioni, quella del Venerdì con il suo alto portale di trenta metri di altezza e lo stretto arco appuntito e quella di Amir con i suoi minareti, ricordo in particolare la moschea delle donne, vietata agli uomini.Appena entrate veniamo accolte con molta simpatia da donne di ogni età con i loro bambini che stanno facendo di tutto: alcune chiacchierano, altre pregano, altre bevono il the, altre cuciono, altre più curiose si avvicinano offrendoci dolci e frutta secca, che ovviamente non possiamo rifiutare.Una di loro,in uno stentato inglese ci chiede da dove veniamo,cosa facciamo, perché siamo in Iran, insomma le stesse domande che ci siamo sentite fare soprattutto dalle studentesse. Questo 21 (02-53)Articoli 2/2005 13-04-2005 11:45 Pagina 22 Iran Persepolis,“La Processione” è un periodo di gite scolastiche, per cui ne abbiamo incontrate a frotte in tutti i luoghi storici e religiosi più importanti, come nei pressi delle moschee, nelle case cagiare, nelle tombe di personaggi importanti, nei giardini e nei cortili dei palazzi. E’ stato un vero e proprio assalto di curiosità e di cordialità, che ci dimostra come in questi ultimi tempi ben pochi turisti occidentali vadano in Iran. Molto particolare è la facciata a tre piani del bazar nel centro della città, vicino al quale vediamo una grande costruzione in legno, chiamata palma, usata nelle processioni.Visitiamo un insolito mulino, dove non si macina farina, ma hennè, la cui polvere verde copre letteralmente il locale e gli operai dalla testa ai piedi,tanto che anch’essi sono verdi come marziani. Dimenticavo di dire che Yadz è anche la capitale zoroastriana, la millenaria religione che attualmente ha soltanto 25-30000 seguaci in tutto l’Iran e il cui profeta fu Zaraustra (Zoroastro in greco).Visitiamo il tempio del fuoco, la cui fiamma secondo la tradizione brucia ininterrottamente dal 470 a.C.. Il fuoco, simbolo della luce e della purezza, svolge un ruolo molto importante per i fedeli, tanto che gli Zoroastriani vengono anche chiamati gli adoratori del fuoco. Ma è appena fuori città, in cima a due colline, che ci sono le testimonianze di questo antico culto: Le Torri del Silenzio, grosse costruzioni circolari, dove fino a vent’anni fa gli Zoroastriani portavano i loro morti, che venivano esposti in cima alle torri, a disposizione degli avvoltoi e di altri rapaci, che, mangiandone le carni, non contaminavano la terra. Infatti, essendo i cadaveri considerati impuri, non dovevano contaminare i quattro elementi (terra,acqua,fuoco,aria),per cui non potevano essere né bruciati né seppelliti in terra o nell’acqua. E’ l’ora del tramonto, e trovarmi in cima a quella collina millenaria, da cui lo sguardo spazia sul deserto e sul villaggio sottostante, mentre il nostro silenzio è interrotto solo dal racconto della cerimonia funebre fatto da Sohrab,mi emoziona moltissimo.Il funerale zoroastriano non era triste, ma una vera e propria festa, accompagnata da canti e danze che si protraevano per una settimana. Rientriamo in città e dopo aver comprato dei favolosi dolci, andiamo ad assistere a un tradizionale spettacolo di ginnastica iraniana, dove ragazzi e adulti si esibiscono con grande abilità. Una giornata così intensa non poteva che concludersi con un’ottima cena in uno dei ristoranti più suggestivi della città ricavato da un mulino dove si macinava hennè. Il mattino ci attende una lunga marcia di trasferimento per Isfahan, la perla dell’Iran, con un bel sole e una temperatura elevata, 28 °C. E’ il 15 aprile, giorno del mio com- 22 pleanno e per l’occasione durante il tragitto si fa uno spuntino speciale con pane e parmigiano, portato da Gabriele, dolci e frutta secca. Mentre gli altri si appisolano, osservo dal finestrino gli spartitraffico che sono dei veri propri giardini, con alberi, arbusti, fiori, rose, tappeti erbosi, tutti ben curati e irrigati. La prima sosta è in un villaggio, Oghda, per visitare una scuola media femminile, moto dignitosa e ben fornita di materiale didattico.Lasciamo dei piccoli omaggi portati dall’Italia, dicendo che sono un segno dell’amicizia e della vicinanza fra i due paesi: le ragazzine sanno solo che l’Italia è un paese lontano e che ha buoni rapporti con l’Iran. Sono tutte rigorosamente vestite di nero e con il capo coperto, compostissime; non fiatano, non fanno domande, non si accalcano intorno a noi: che differenza dall’accoglienza vivace e festosa degli scolaretti di una scuola indiana! L’insegnante non sa una parola di inglese e ancora una volta è utilissima la presenza di Sohrab che ci fa da interprete. La sosta successiva è a Nain, famosa per la produzione dei tappeti, dove visitiamo una bellissima moschea del X secolo, ricoperta da decorazioni floreali in stucco, molto raffinata e insolita, suggestiva è la sala di preghiera sotterranea per l’estate e la preghiera notturna. All’uscita una donna ci invita a casa sua per mostrarci la sua abilità al telaio, dove sta annodando un tappeto seguendo un complicatissimo schema; ci offre dolci e frutta e ci chiede di fare una foto con tutta la sua famiglia. Uscendo dalla città,andiamo a visitare un laboratorio dove due anziani tessitori, 75 anni l’uno, 85 l’altro, tessono la lana di cammello che serve per confezionare i mantelli dei mullah. L’ambiente in cui lavorano è una buca sotterranea angusta e senza luce naturale e il rumore secco dei rudimentali telai affiora dalla terra. Mi fanno veramente pena! Sono tra i pochi rimasti, dato che i giovani si rifiutano oramai di svolgere il lavoro dei propri genitori e lasciano i villaggi per andare in città. Finalmente alla sera arriviamo a Isfahan, dove rimarremo due giorni. Mi è veramente difficile descrivere l’incanto di questa città, dove si concentrano più di mille anni di architettura persiana e dove la quantità e la qualità delle opere d’arte è strabiliante: sono il segno sublime della fede in Dio e della rappresentazione del Bello, operata dall’uomo con il suo lavoro. L’impatto con la Meidun, o piazza Imam Khomeini, seconda per grandezza solo a quella Tien-An-Men di Pechino, è a dir poco impressionante per lo spettacolo che mi si presenta davanti agli occhi: una fila di archi ciechi su due piani sovrapposti delimitano i quattro lati della piazza, a ridosso della quale si ergono le moschee più belle del mondo islamico, come quella dell’Iman, interamente ricoperta sia all’interno che all’esterno di mosaici colorati, imponente per le sue dimensioni, di cui ci si rende conto solo quando si è all’interno. Se ci si mette esattamente al centro e si parla, l’eco si diffonde fino agli angoli più remoti e abbiamo sentito perfino l’eco di una banconota stropicciata: il che dimostra la perfetta conoscenza dell’acustica degli architetti del tempo.Anche la moschea dello Sceicco, meno appariscente della precedente, attira l’attenzione perché priva di spazi all’aperto e di minareti. E’ più intima, riservata solo ai sovrani e ai personaggi illustri, e le decorazioni all’interno sono splendide: il rosa pallido delle piastrelle invetriate, ornate di complicati arabeschi e di motivi floreali azzurri e verdi chiari, viene interrotto da colonne turchesi a torciglioni, che incorniciano gli otto archi di sostegno alla cupola. Rimango estasiata a naso all’insù.E poi anche la moschea del venerdì,quella delle quaranta colonne, i minareti oscillanti a nord della città, i bellissimi ponti sul fiume e infine il bazar mi hanno offerto tante emozioni. Ma è il contatto umano che mi ha affascinato, soprattutto nei pressi dei ponti dove c’è tanta gente in giro, perché è venerdì, giorno di festa. Ci sono inte- re famiglie che fanno i picnic nei giardini lungo il fiume,con tanto di barbecue e abbondanza di cibo.Anche noi ci sediamo sull’erba a mangiare i nostri panini, attirando l’attenzione della gente, perché siamo gli unici occidentali: bambini, ragazze e adulti si avvicinano per offrirci dolci e pistacchi e per scattare foto insieme a loro. Sono veramente commoventi, soprattutto le ragazze, che riescono a comunicare con un po’ di inglese.Assistiamo anche alla esibizione canora di due anziani che cantano antiche canzoni d’amore, esaltate dall’acustica che le arcate dei ponti amplificano. Rientrando verso l’albergo, chiedo di fare una sosta per visitare quello che è considerato il più lussuoso albergo dell’Iran, l’hotel Abassi, ricavato da un caravanserraglio di epoca safavide,fatto restaurare dai Francesi negli anni trenta. E’ molto suggestivo, di un lusso antico e romantico,fatto di sale di musica,corsi d’acqua,fontane e di uno splendido giardino fiorito, dove aiuole multicolori creano degli effetti cromatici bellissimi. Non può mancare, a conclusione dell’intensa giornata, una visita al bazar, considerato uno dei più belli dell’Iran, sia per la sua architettura, sia per i pregevoli prodotti artigianali in vendita.Siamo tra i pochi occidentali in giro e i venditori si lamentano della mancanza di turisti;ci pregano,al nostro ritorno in Italia, di dire che il paese è tranquillo e che non c’è alcun pericolo.Mi soffermo ad osservare tanti begli oggetti, ma soprattutto i tappeti, tanto che compero un piccolo kilim vecchio, fatto dai nomadi, di forma quadrata dai disegni geometrici e dai colori caldi: sembra quasi un quadro astratto e non un semplice tappeto.Ci aspetta poi una cena coi fiocchi in un famoso ristorante, non proprio in stile AM, lo Sherazade, affollato sia da Iraniani che da pochi turisti.Al ritorno attraversiamo la grande piazza illuminata, che è veramente suggestiva. Di Isfahan ricorderò anche la cattedrale armena,nel quartiere dove da quattro secoli vive una piccola comunità armena di religione cristiana.Annesso alla chiesa c’è un piccolo museo, che conserva le terribili fotografie del genocidio perpetrato dai Turchi nel 1915: alcune immagini sono veramente scioccanti, come quelle dei tagli delle teste, purtroppo di triste attualità, di torture, di gas asfissianti… Il mattino seguente, ci mettiamo in marcia per raggiungere i villaggi di montagna,con una sosta nel villaggio di Nurcekhort, dove visitiamo la cittadella in rovina, che a mio parere è architettonicamente più interessante della piccola Bam, sopra citata, per la successione di archi che delimitano gli stretti vicoli e le facciate delle case finemente decorate con motivi geometrici. In uscita, ci ritroviamo in un grande cortile dove c’è aria di festa: donne anziane e giovani stanno cucinando per la festa del giorno successivo, in occasione dell’anniversario della morte di Maometto, per cui invitano a pranzo parenti, amici e anche gente di passaggio come noi.Tutte ci accolgono calorosamente, offrendoci patatine fritte e dolci,chiedendoci foto con loro e insistendo per farci fermare, ma dobbiamo proseguire. Questa loro ospitalità così semplice e spontanea mi commuove e anche ora che sto scrivendo ricordo benissimo alcuni dei loro volti sorridenti e festosi. Dopo questo piacevole intervallo proseguiamo fino a Natanz, dove visitiamo un convento derviscio turchese e blu,con cupole piramidali di stile armeno. Proseguiamo sull’altopiano in un paesaggio di montagne brulle, dalle cime tormentate, mentre il fondo valle attraversato da un corso d’acqua è verdissimo con orticelli e soprattutto alberi da frutto (peri,peschi ed albicocchi).Eccoci finalmente al primo villaggio, Abyaneth, a 2000 metri di altezza, caratteristico per il colore rossastro delle abitazioni, ben restaurate con i fondi dell’UNESCO,che si mimetizzano con il colore della roccia.Sembra un paese fantasma,perché si vedono soltanto donne,finalmente non vestite di nero,ma con costumi coloratissimi,vecchi e bambini,mentre gli uo- (02-53)Articoli 2/2005 13-04-2005 11:45 Pagina 23 Iran mini sono in gran parte emigrati per lavorare.Verso sera arriviamo a Kashan, la città oasi a 1600 metri di altezza, che si estende ai margini occidentali del grande deserto salato.E’ famosa non solo per i suoi tappeti,ma anche per le sete,le ceramiche,il rame lavorato e l’acqua di rose venduta ovunque. Fuori città riusciamo a visitare il famoso Giardino di Fin, dove ci sono due palazzi ben restaurati e una sorgente di acqua perenne, che porta l’acqua alle varie fontane, per poi scorrere in ruscelli usati per l’irrigazione. E’ il giardino-paradiso della cultura safavide, ben rappresentato negli antichi tappeti, dove ci sono scene di gioia, di piacere, di abbondanza e di cibo. In città visitiamo la bella moschea di Agha Bozug, con annessa scuola di teologia e svettanti minareti coperti da mosaici, poi una casa cagiara, aperta appositamente per noi, grazie all’intercessione di Sohrab. E’ raffinatissima, con decorazioni bianche su fondo grigio, cortiletti con giardino e fontana, sala di ricevimento con specchietti e elaborate decorazioni… un incanto. Infine, fuori città visitiamo l’interessante collina di Syalk, dove sono stati trovati importanti reperti preistorici. Prima di rientrare a Teheran, ci fermiamo a Qom, città santa degli sciiti e patria dell’ayatollah Khomeini, fondatore della repubblica islamica nel 1979. E’ la seconda città santa dell’Iran, dalla cui facoltà di teologia sono uscite numerose figure religiose e proprio da qui iniziò il movimento contro lo Shah e la conseguente rivoluzione islamica. Ci mettiamo in posizione strategica per osservare dall’alto la folla impressionante che anima la piazza e cercano di entrare nel grande santuario di Fatima, in occasione della festa religiosa per l’anniversario della morte di Maometto e dell’ottavo Iman, suo nipote. Dalle fogge degli abiti, si capisce che i pellegrini provengono sia dal medio oriente che dal Marocco e dall’Indonesia,oltre che dall’Iran.Anche al grandioso e megalomane mausoleo, dove sono sepolte le spoglie di Khomeini, c’è una folla impressionante di pellegrini sciiti: intere famiglie arrivate qui con ogni mezzo stanno facendo picnic sui prati, con bambini allegri e vocianti, e bambine, anche se piccole, tutte rigorosamente vestite di nero e avvolte nel chador, come le donne adulte. Se pure defilati, siamo guardati con la solita curiosità e con la richiesta di foto con noi. La giornata è stata veramente intesa e interessante, perché ho potuto rendermi conto della fede nel Profeta di tutta questa gente. A sera arriviamo a Teheran e per ingannare l’attesa della cena, accendo la TV dove vengono trasmesse solo cerimonie religiose, adunate di popolo, immagini di moschee e luoghi sacri, commentate da un’annunciatrice in lutto stretto… Il viaggio volge oramai al termine e ci rimangono due giorni per visitare la capitale. Cominciamo dai musei più importanti:prima il museo archeologico,che raccoglie gli splendidi reperti dell’impero persiano, poi il vicino museo islamico con bellissimi vetri,ceramiche e tappeti e il museo Reza Abbasi, che ospita una notevole collezione di dipinti, miniature, ceramiche, gioielli e calligrafie, che sono vere e proprie opere d’arte. Poiché il museo dei Gioielli è chiuso, mi consolo visitando con Viviana il piccolo ma interessante museo del Vetro e della Ceramica, che ospita pezzi eccezionali per varietà e raffinatezza. Interessante è stata anche la visita alla semplice casa dove aveva vissuto Khomeini: il servizio d’ordine è impressionante e prima di entrare veniamo tutti perquisiti.Si entra in un grande spazio coperto che funge da sala da preghiera, spoglio e privo di decorazioni, a eccezione dei soliti drappi neri e delle immagini di Khomeini ora che è venerato come un santo. L’ultimo giorno è dedicato all’impatto con la città e il bazar. Ci muoviamo a piedi, facendo lo slalom in mezzo ad un traffico impressionante e disordinato, perché nessuno rispetta le regole e attraversare la strada è un’impresa ardua.I marciapiedi sono brulicanti di persone che fanno acquisti negli innumerevoli negozi, dove sono esposte in quantità merci di ogni genere. Mi colpiscono i numerosi negozi del fai da te, di generi alimentari, soprattutto di frutta e dolci; sui marciapiedi del centro ci sono molti cambiavalute e negozi di numismatica, dove sono ben esposte le monete e le banconote con le immagini dello Shah.Viviana decide di acquistarne alcune e il venditore, con il quale scambiamo qualche parola in inglese, ci fa capire di rimpiangere lo Shah, sottolineando che Khomeini è stato un dittatore, affermazione fatta anche dal tassista che ci ha accompagnato poi al quartiere degli antiquari. Qui entriamo e usciamo in un sacco di negozi, che definirei non di antiquariato ma di robivecchi; la disponibilità dei proprietari ad accoglierci per mostrarci la loro merce senza insistere per l’acquisto, è veramente deliziosa.Arriviamo finalmente al Bazar,dulcis in fundo del viaggio: è enorme, caotico, superaffollato e stracolmo di merce, ma non certo caratteristico come i bazar del medio ed estremo oriente, per cui non rimaniamo a lungo. Di questa grande capitale, che conta 12 milioni di abitanti e si estende per circa quaranta chilometri quadrati, oltre ai musei, veramente notevoli, ricorderò soprattutto i parchi e i giardini, progettati con gusto estetico e funzionalità. Il verde brillante dell’erba, ravvivato dalle frequenti piogge, è interrotto dalle geometrie delle aiuole piene di fiori di stagione e rosai fioriti multicolori, che si alternano, si inseguono, si intrecciano creando degli splendidi effetti cromatici. Per non dire poi dell’abbondanza di fontane, getti d’acqua, vasche e ruscelli artificiali che ci sono negli spazi verdi. Questo amore e cura per il verde e i giardini è presente in tutto l’Iran che ho attraversato e non posso fare a meno di pensare all’incuria e alla mancanza di rispetto per il verde in tanti luoghi della nostra bella Italia. Dell’Iran in generale, invece, oltre alla bellezza dei luoghi e dei monumenti visitati, ricorderò i grandi manifesti degli Ayatollah in carica, affissi ovunque e quelli meno giganteschi dei martiri (morti nella guerra Iran-Iraq), che ti fissano negli occhi; i volti delle tante ragazze incontrate che cercano un saluto o la possibilità di comunicare; le sagome delle donne soprattutto all’interno del paese, chiuse come in gabbia nei chador, senza neanche osare di alzare lo sguardo da terra.Ricorderò l’Iran delle tradizioni e quello dei telefonini,quello del traffico caotico e del lento procedere dei nomadi, quello degli studenti delle scuole coraniche e delle comunità armene e zoroastraine,l’Iran del deserto e delle oasi, un paese dove vecchio e nuovo, passato e presente, si mescolano in modo quasi inestricabile, un paese bellissimo ed affascinante, che mi rimarrà nel cuore e che invito altri a visitare. Un ricordo affettuoso e un abbraccio a tutti i compagni di questa nuove avventura: a Viviana, la disponibile ed efficiente coordinatrice, al curioso e spiritoso Enrico-Telecom, a Gabriele dalla fame insaziabile, al preciso, rigoroso ed attento Ernesto, a Rita, medico prezioso nei momenti di crisi, alla silenziosa ed assorta Raffaella e infine alle due amiche romano-islamiche per il loro rigorosissimo abbigliamento, Nora e Lorella. Neien, “La piccola Bam” 23