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VAMPIRO E GENTILUOMO

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VAMPIRO E GENTILUOMO
Va' dove
ti porta il
business
Trend
Produzione
Il nuovo formale sceglie,
invece, forme destrutturate e
più morbide Pag. 18
Per battere la crisi un mix di
eccellenza e idee nuove da
tramutare in business. Pag. 31
Focus
Più che saturo è un mercato
maturo. Le nuove città da
conquistare. Pag.3
Retail
Come il negozio deve
interagire con i social
network, fondendo luogo
fisico e digitale. Pag.41
&
di Gordon Sorlini
Sarà sempre più casual, ma un casual elegante, l’uomo delle prossime stagioni. E dove va il gusto
segue il business. Ma quali sono
le reali prospettive per questa fetta importante di made in Italy che
deve fare i conti con una crisi che
dura da anni e non dà segnali rassicuranti?
Prima uno sguardo ai numeri. Secondo Claudia D’Arpizio, partner
della multinazionale della consulenza Bain, nel 2011 il mercato
“uomo” – inteso non solo come abbigliamento, ma anche “hard luxury” (gioielleria, orologeria), accessori in pelle, calzature, cosmetici,
fragranze e altri accessori – valeva
72 miliardi di euro a livello mondiale. Nel periodo 2011-14 questo
mercato è previsto in crescita del
9-11%; il solo segmento abbigliamento nel 2011 valeva 24 miliardi,
il 33% del mercato, e le previsioni
sono di un’espansione dell’8-10%
entro i prossimi tre anni. La crescita maggiore verrà dagli accessori in
pelle (+17-19% entro il 2014), che
partono però da una base più modesta (7 miliardi nel 2011, pari al
9% del totale del mercato uomo).
(segue a pagina 12)
VAMPIRO
E GENTILUOMO
Le fiere
delle vanità
(maschili)
Una babele di marchi, una giungla
di eventi, un intrecciarsi di presentazioni, sfilate, chilometri e chilometri
macinati nei corridoi dei saloni e
per saltare da una location all’altra.
Un totale di circa 1300 marchi di
abbigliamento e accessori non solo
da uomo, poiché anche le precollezioni donna giocano sempre più
d’anticipo. Il tour delle fiere italiane
parte da Firenze con un calendario
ricco di appuntamenti e guest sempre più qualificati, da Carven a Valentino, da Andrea Pompilio a Peter
Pilotto. Per arrivare a Milano con le
passerelle degli stilisti e le presentazioni, facendo tappa a White con
tante new entry fra cui Daniel Andresen, Fagassent, Isabel Benenato,
Cat’s by Tsumori Chisato. (pag. 15)
Abito a due bottoni, camicia bianca e cravatta sottile:
la divisa del giovane manager è firmata Gucci.
Come quella per Robert Pattinson in Cosmopolis.
Sono i film che influenzano la moda o viceversa?
Fatto sta che l’abito di
Gucci indossato da Robert Pattinson nel thriller
Cosmopolis presentato a
Cannes diventerà la divisa di lavoro dei giovani
manager rampanti. Poco
importa se non sono
belli e affascinanti come
l’ex vampiro adolescente
di Twilight. Quello che
conta è essere impeccabili
in un completo nero a due
bottoni (quello di Gucci è
il modello Signoria), con
taglio sartoriale, da abbinare alla più classica delle
camicie bianche e da accessoriare con una cravatta sottile, una cintura in
pelle con fibbia argento
e stringate rigorosamente nere. Niente di più
tradizionale e scontato
forse per i business men
che frequentano Wall
Street o Piazza Affari,
ma che regala fascino ai
giovani
arrampicatori
sociali. Poco importa se
quando si toglie la divisa
da lavoro l’uomo predi-
lige giacche morbide e
destrutturate, giubbotti realizzati in materiali
tecnici e performanti,
mocassini e stringate dai
trattamenti used, comode
borse al posto delle rigide 24ore o griffati porta
iPad. Perchè è in questa
direzione che ha virato
nelle ultime stagioni la
moda maschile, come dimostra il crescente spazio
riservato al casualwear
nella quasi totalità delle
collezioni. Ma come ha
detto Umberto Angeloni,
ceo di Caruso, nell’articolo a pagina 12 “dopo
anni in cui l’uomo si è
riempito il guardaroba
di capi informali, a poco
a poco ritornerà a investire nel formale. E’ una
questione di cicli”. Deve
averlo pensato anche la
costumista di Cosmopolis, Denise Cronenberg,
quando ha cucito addosso
a Eric Parker/Pattinson
quell’abito elegante e costoso, trovando in Gucci
il partner ideale per questa scelta.
VI
Testo di FIAMMA SANÒ
Abbigliamento per bambini:
obiettivo 70/30
P
untare sull’export. Questo il principale obiettivo delle aziende della moda bimbo. In un (ennesimo) momento di difficile congiuntura economica la soluzione più a portata per la crescita
dei fatturati e l’espansione dei marchi è quella di guardare
oltre le frontiere del mercato italiano. Un mercato saturo
e stanco, a detta di molti, specialmente in confronto a due
grandi interlocutori come Russia e Cina. Mosca e i paesi
dell’ex Urss in particolare registrano crescite a 2 cifre già
dal 2011: con un +10% nell’import dell’abbigliamento e
oltre il 70% dei prodotti bimbo importati.
L’export in generale nell’ultimo anno ha registrato un
+11%, e il fatturato del comparto si è assestato a +4,1%
tra il 2010 e il 2011. I dati interni si mantengono stabili,
nonostante una flessione dello 0,6%. Le proiezioni 2012
sembrano confermare questa tendenza di un estero che
cresce e di un mercato italiano sostanzialmente stabile,
ma non portato verso il segno “+”.
Per un approccio fruttifero oltreconfine, la leva principale
è il brand.
Dice Barbara Donadon, Altana: “Se non si hanno marchi
internazionali l’export è comunque difficile. Però calcoliamo che in un’azienda come la nostra oggi abbiamo
toccato quota 40%, mentre fino a quattro, cinque anni
fa eravamo a un 15% di esportazioni rispetto al mercato
nazionale. Certo, non tutti i Paesi sono ugualmente importanti. Come Altana noi ci rivolgiamo in particolare
alla Russia, più propensa ad una distribuzione come la
nostra, esclusivamente multibrand: rappresenta l’80%
delle nostre esportazioni. In Cina e India la distribuzione
invece è più orientata al monomarca e quindi, per noi,
meno rilevante.
rant è tra le aziende italiane una delle più aggresG
sive verso l’estero. Spiega Mauro Serafini: “Oggi
l’export per noi rappresenta il 55% del fatturato, ma il
nostro obiettivo è di raggiungere quota 70-80% nel giro
di un anno”. Europa e Medioriente sono ancora i mercati
di riferimento dell’azienda, ma “presto l’Asia sarà fondamentale, da mercato di nicchia sta diventando il più
importante. In Cina abbiamo già 30 vetrine e i contatti
per fare il “grande salto”. È qui che contiamo di realizzare
quel 30% in più per raggiungere il nostro obiettivo”.
Anche per Simonetta il volume d’affari fuori Italia è in
netta crescita. Il presidente Roberto Stronati dice: “Nonostante il nostro interesse verso il mercato interno, non
possiamo negare che l’acceleratore va spinto sui mercati
esteri, Europa ma soprattutto gli extra Ue che al momento stanno dando risultati interessanti. L’ export sta
assumendo un peso sempre maggiore, nelle ultime due
stagioni la quota è cresciuta dal 50% al 60%. Il nostro
obiettivo è di arrivare nel 2013 al 70%”.
Sul Brasile gli imprenditori sono tutti d’accordo: un
mercato in espansione, da tenere sotto controllo, ma ancora di difficile ingresso a causa degli elevati dazi doganali. Con un’unica – per ora – via d’accesso: quella della
produzione in loco.
D
ai negozi italiani, intanto, arriva un’ipotesi per dare
ossigeno al mercato interno: quella della collaborazione tra azienda e multimarca sotto forma di prodotti
in conto vendita. Ma che ne pensano le aziende? “Assolutamente no, manderebbe in crisi tutto il settore”, Serafini è categorico: “quello che non si vende, non si vende
neanche se viene dato gratis. Sarebbe un comportamento
non commerciale, inadatto in un mercato sano. Mentre
per esempio il cambio merce è un servizio normalissimo
e giusto, che tutte le aziende più importanti già hanno
adottato da tempo”. E provoca: “Non vogliamo piuttosto
parlare del budget imposto dalle griffe che da sempre
strangola i negozi? Lo trovo immorale, il cliente deve
poter comprare quello che pensano di potere vendere.
Noi non l’abbiamo mai fatto. L’imposizione dei budget
danneggia tutti e dovrebbe finire”.
Donadon considera il conto vendita come “preludio per
brutti scenari. E' anche un problema psicologico: non c’è
la spinta a vendere qualcosa che non viene pagato. Dobbiamo se mai pensare a un sistema fatto di flash e riassortimenti, cambi merce, sì, premiando per meritocrazia
le aziende con i migliori prodotti e servizi”.
Stronati, infine, a proposito di servizi e strategie per ravvivare il mercato, dice: “L’uscita anticipata delle collezioni in questo momento è divenuta una priorità assoluta.
Sarebbe quindi importante che anche le fiere anticipassero le date di apertura”.
Dai negozi italiani,
intanto, arriva
un’ipotesi per dare
ossigeno al mercato
interno: quella della
collaborazione tra
azienda e multimarca
sotto forma di prodotti
in conto vendita.
VII
Come sfruttano internet le aziende
di calzature?
Non c’è dialogo
fra aziende e
retail
Testo di FELIZIANO MARCUCCI
Fondatore di Effe Emme Studio
I 3 desideri dei negozi
FRANCESCA CASARI,
GIROTONDO,
BERGAMO
1. Il cambio merce. Tante
aziende già cercano di venirci
incontro: durante la stagione
il prodotto ha un feedback diverso a seconda delle zone, se le
aziende si rendono disponibili
alle sostituzioni, ci danno un
notevole contributo.
2. La merce in conto vendita,
un’utopia.
3. Il diritto di reso, con aziende
con cui si ha un certo tipo di
rapporto e di fatturato. Tanto
più che i loro rischi sono sempre minori: producono solo sul
venduto, (prima lo facevano
con margine), hanno i loro
monomarca, gli outlet e perfino
i negozi online. Un mercato
quest’ultimo, in cui il negozio
tradizionale non può competere.
MARGHERITA
GALLONI,
PETIT MONDE, TORINO
1. Il cambio merce: far girare
su base regionale i prodotti che
non funzionano localmente,
dandoci così la possibilità di
non lasciare fermo in negozio
quello che tanto non si vende.
2. Il budget frazionato: comprare di meno con 6 mesi di
I negozi si
lamentano
dei budget alti,
ma li hanno
sempre subiti.
viviamo in un periodo di
Ialtandubbiamente
crisi, ma questa si avverte meno nella fascia
di mercato. Certo, il carico psicologico è altissimo: ci sono consumatori che pur potendo
anticipo e avere a disposizione
flash più piccoli durante la stagione. Dopo 6 mesi le collezioni perdono di freschezza. Ben
venga piuttosto l’inserimento
di un pronto moda che sappia
cogliere le richieste del mercato. In questo senso il bimbo
è sempre più simile all’adulto,
è un’oasi felice solo fino agli 8
anni.
3. Il conto vendita – o qualcosa
di simile – che ci permetta di
sperimentare determinati capi,
specialmente quelli più fashion oriented, con il sostegno
dell’azienda, dividendo i rischi.
1. Il diritto di reso con credito
o con sostituzione, uno strumento utile che alcune aziende
– ma purtroppo non tutte –
hanno già adottato.
2. Il pronto da riassortire
durante la stagione, in base a
quello che è andato o non andato di moda.
3. La massima attenzione alla
qualità, compatibilmente con
un prezzo che non può superare
un certo tetto, anche nella fascia alta di mercato. Di offerta ce
n’è tanta, ma è ancora la qualità
quello che ci distingue dagli altri.
EMANUELA MORETTI,
BULLI E PUPE, ROMA
acquistare sono in un certo senso inibiti, preferiscono non apparire.
Però vedo che i negozi che seguono noi e altre
realtà basate più sull’identità che sulla massificazione soffrono meno anche in questo momento. È vero, si fatica di più rispetto a due
o tre stagioni fa: oggi bisogna essere flessibili,
proporre nuove idee e comunicare in modi diversi. Noi per esempio dedichiamo ampio
spazio anche a Facebook, uno strumento che
va senz’altro provato.
I negozi fanno bene a lamentarsi dei budget alti,
però mi chiedo: perché allora li hanno sempre
subiti? Il problema è che in Italia molti clienti
preferiscono lavorare con quei “soliti noti” a cui
hanno sempre permesso di condurre il gioco.
Sicuramente ci sarà un momento di selezione
nel mercato, il lavoro è diventato più sfidante
in tutti i settori. Bisogna puntare a capi interessanti con un prezzo corretto e ricordarsi che nel
bambino c’è ancora la componente fortunata
dell’acquisto emozionale. Che comunque ha
bisogno non solo di collezioni, ma anche di un
ambiente adeguato: con i nostri marchi siamo
in negozi bellissimi, i migliori d’Europa. Io mi
aspetto che il negozio bimbo sia curato tanto
quello donna, ma purtroppo spesso non è così.
Spesso si danno per scontati elementi come il
visual e l’accoglienza, fondamentali nella spinta
all’acquisto.
Per quanto riguarda le aziende, capisco il
guardare all’estero, ma non dimentichiamo
che in Italia c’è una cultura dell’abbigliamento
bimbo che pochissimi hanno e che non va
trascurato. Siamo un Paese di riferimento per
molti mercati. Per esempio il Giappone, dove
un marchio si vende se funziona bene anche
in Italia. Credo che in questo momento siano
necessari ottimismo e nuove strade per rimanere interessanti sul mercato.
e aziende hanno generalL
mente poca disponibilità a
comprendere le esigenze del mer-
cato, sia in termine di riduzione
dei prezzi di sell-in sia in termini
di aiuto concreto con qualche intervento sul credito, dove anzi si
riscontra generalmente una maggiore rigidità. Il mondo del bambino è il settore dove si sta avvertendo molto la crisi, per la presenza di
nuove realtà a prezzi competitivi
ma con un prodotto esteticamente ben fatto ( Zara, H & M, Ovviesse ), che comporta la flessione
nell’acquisto
di
articoli
griffati, poi
chè si tratta
di
prodotti
dall’uso limitato nel tempo. Per queste
ragioni, la rete
retail, in
Oggi si
gran parte,
spende
meno
nel settore
b a m b i n o nei prodotti
non
ha griffati per i
fatto gros- bambini
si investimenti sui punti vendita, creando
ancor meno desiderio nel cliente
finale di acquistare prodotti di target alto. La figura dell’agente ha
sempre più funzione di cuscinetto
fra le aziende e il trade, cercando
di spingere il cliente a creare più
appeal nel proprio negozio con
operazioni mirate quali ristrutturazioni o eventi che facciano
affluire più persone, e cercando di
intercedere con le aziende produttrici affinchè in questo momento
così complesso abbiano una maggiore comprensione e flessibilità
con i loro partner commerciali.
Importante è analizzare il problema della redditività dei clienti i
quali oggi si trovano con un enorme sbilanciamento di vendite nel
periodo di saldi o di promozioni.
Questo porta gli stessi ad avere
margini minini in quanto oggi
mediamente solo il 30% delle vendite avviene prima dei saldi con
una marginalità correta e la percentuale più corposa, circa il 50%,
è venduta nei saldi a marginalità
minima e mediamente un 20%
rimane in negozio e solitamente
venduto a stock.
Oggi solo le aziende che danno
servizio e marginalità ai clienti
hanno le carte in regola per diventare veri e propri partner del retail
e possono avere strumenti validi
per affrontare un mercato come
quello odierno.
Il credito oggi è argomento di
vendita importante per instaurare un rapporto di business con la
clientela sana, in quanto solo ed
esclusivamente a questi clienti
vanno concesse condizioni di pagamento coerenti con quelle che
sono le tempistiche di lavoro, diluendo le scadenze in base ai picchi delle stagioni.
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