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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO

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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO TIPICO E ATIPICO
Psicologia dello sviluppo => cambiamenti sistematici dell’evoluzione psicologica dell’individuo. Si occupa di
processi, non di prodotti. Visione dinamica, che riguarda l’intero ciclo di vita.
L’uomo è un organismo psico-biologico fin dall’inizio, lo sviluppo è caratterizzato dalla costante
compresenza di natura e cultura.
L’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP) indica gli obiettivi della valutazione clinica
in età evolutiva:



Identificare le ragioni che hanno portato il bambino alla valutazione
Ottenere un quadro del funzionamento evolutivo del bambino (punti di forza e di debolezza)
Comprendere i fattori individuali, familiari e ambientali che possono influenzare le difficoltà del
bambino o supportarle
DEVELOPMENTAL ASSESSMENT
o
o
Stabilire se è presente un’atipia dello sviluppo e nell’eventualità fare una diagnosi differenziale
Valutare se è necessario un trattamento e in caso sviluppare le linee guida di un percorso
terapeutico
La valutazione dello sviluppo orientata alla diagnosi può essere schematizzata in fasi.
1. Segnalazione
2. Colloquio clinici con i genitori (comprensivi dell’anamnesi), possibile raccolta di informazioni
attraverso incontri con altri adulti significativi
3. Esame psicodiagnostico del bambino (osservazione del bambino, delle dinamiche interattive
genitori bambino, colloquio clinico, somministrazione di test psicologici)
4. Analisi della valutazione e elaborazione della diagnosi
5. Stesura del report psicologico-clinico e restituzione dei dati ai genitori
1. segnalazione => primo contatto del clinico, spesso sono i genitori o altri adulti significativi ch e
interpretano come problema i segni di disagio del bambino e chiedono un consulto
2. colloqui clinici con i genitori => contributo essenziale alla valutazione. È costituita dall’anamnesi seguita
dalla comprensione di come questi vivano il problema manifestato dal figlio. Si tratta di una raccolta di dati
sia soggettivi che oggettivi. La finalità di questi colloqui è di comprendere il significato e l’impatto dei
sintomi in relazione al bambino, al suo sviluppo e al suo ambiente familiare.
Anamnesi =>
Storia del bambino: dati socio anagrafici (nome, età, posizione nella fratria, grado di
scolarizzazione); anamnesi fisiologica (informazioni sulle prime fasi dello sviluppo: gravidanza,
condizioni del parto, stato neonatale, tappe di sviluppo motorio, linguistico, affettivo, ritmi sonno-
veglia, abitudini alimentari, controllo sfinterico); tempo libero (attività preferite dal bambino
quando è solo o è inserito in gruppi ricreativi); anamnesi patologica (malattie dell’infanzia, malattie
con ospedalizzazione, ritardi di maturazione, reazioni di tipo regressivo); scolarità del bambino (età
di inserimento e eventuali difficoltà di apprendimento, nel comportamento individuale e nelle
interazioni con gli insegnanti e con i compagni).
Anamnesi familiare: dati socio anagrafici (età, condizioni socio economiche dei genitori, condizioni
fisiche e psichiche attuali e riferite alla propria infanzia e adolescenza. Adattamento e inserimento
della famiglia nella rete di relazioni sul territorio, condizioni di vita materiali, eventuali cambiamenti
di residenza); relazioni del bambino con i fratelli (età, salute, scolarità dei fratelli, eventuali rivalità,
conflitti, disaccordi); relazione dei genitori con il bambino (percezioni, distorsioni, atteggiamenti,
aspettative, stili educativi, accordo/disaccordo sul metodo educativo); storia familiare (storia delle
famiglie di origine dei genitori e del nucleo familiare attuale e relativamente a eventi stressanti e
dolorosi)
3. valutazione psicologica dello sviluppo => uso dei test per facilitare e approfondire l’assesment.
4. analisi e interpretazione => lo psicologo clinico integra i risultati ottenuti nei test, nelle osservazioni e nei
colloqui con i dati dell’anamnesi. Questa fase è volta alla comprensione articolata dei problemi del
bambino; comprende la diagnosi nosografica del disturbo, sulla base dei sistemi diagnostici di riferimento
(DSM V, ICD10) e la formulazione di una diagnosi psicopatologica dello sviluppo
5. relazione finale e restituzione => la relazione metterà in evidenza la diagnosi, l’organizzazione di
personalità e il funzionamento del bambino, la presenza di eventuali problemi di adattamento, le sue
risorse psicologie e il progetto terapeutico. I risultati vengono riferiti, condivisi e discussi con i genitori e
con il bambino. Lo psicologi clinico deve farsi carico della gestione emotiva della comunicazione ai genitori.
La presa in carico del caso verrà effettuata secondo modalità specifiche dei servizi.
Fare diagnosi in età evolutiva è un’operazione complessa: ciascun disturbo si trasforma e cambia in
relazione ai passaggi di fase e di età del bambino.
La diagnosi in età evolutiva presuppone un primo criterio basilare: un chiaro rapporto tra età cronologica
ed età di sviluppo: ogni età ha la sua configurazione tipica. Un secondo criterio riguarda l’uso della
classificazione nosografica basata su segni e sintomi, ovvero sulle manifestazioni osservabili oggettive e
riconoscibili e sulle manifestazioni soggettive, vissute dal soggetto.
I problemi più rilevanti nel fare diagnosi possono essere: uno stesso sintomo può far parte di quadri clinici
diversi; un sintomo in età evolutiva ha caratteristiche ambigue; un sintomo muta di significato a seconda
del contesto ambientale; un sintomo si trasforma nel tempo.
Il processo diagnostico in età evolutiva deve essere articolato al fine di formulare in modo dinamico,
integrato e flessibile
 una diagnosi nosografica che inserisce il sintomo all’interno di un quadro riconoscibile e
confrontabile tra clinici. Pone prevalentemente problemi di diagnisi differenziale tra disturbi globali
e settoriali
 una diagnosi funzionale o profilo di sviluppo, che costituisce il profilo dell’organizzazione delle
diverse linee di sviluppo delle competenze e che descrive la tipologia del disturbo attraverso
l’analisi dei rallentamenti e delle atipie, nonché dei complessi attivati
 una diagnosi psicopatologica che descrive i vissuti soggettivi tramite il profilo aggettivo, descrive la
progressiva trasformazione della personalità come esito dell’adattamento dinamico e continuo con
l’ambiente affettivo circostante
SVILUPPO PERCETTIVO E MOTORIO
Forte legame tra sviluppo percettivo e sviluppo motorio: le info percettive guidano l’azione e viceversa
l’azione guida la percezione => gli individui percepiscono al fine di muoversi e si muovono al fine di avere
percezioni.
Stretto rapporto tra sviluppo percettivo-motorio e sviluppo neurologico e reciproca e continua influenza tra
sviluppo percettivo-motorio e sviluppo congitivo
SVILUPPO PERCETTIVO
Distinzione tra sensazione (le info che i nostri organi sensoriali sono in grado di rilevare, riguarda
impressioni soggettive e immediate, corrispondenti e stimoli fisici di una data intensità) e percezione
(integrazione e interpretazione delle sensazioni, coinvolge soprattutto le aree della corteccia cerebrale)
Prima infanzia
Immaturità del sistema percettivo (maggiore facilità a individuare stimoli presentati perifericamente,
ridotta sensibilità al colore, stimoli percepiti se tra i 50 e i 20 cm di distanza dagli occhi) favorisce però la
selezione degli stimoli biologicamente e psicologicamente rilevanti per la sopravvivenza
Ricerche utilizzano la tecnica della preferenza visiva per studiare lo sviluppo percettivo nel neonato =>
vengono preferiti gli stimoli che determinano la massima attività neurale del sistema visivo. Preferenza per
gli stimoli che ricordano il volto umano
Fina dai primi giorni di vita il bambino mette in atto dei comportamenti che testimoniano la dua capacità di
prestare attenzione alla stimolazione, di discriminare gli stimoli e di preferirne alcuni
Sensibilità gustativa e olfattiva: manifestazioni facciali ben differenziate a odori o sapori piacevoli oppure
spiacevoli.
Sensibilità sonora: individuano l’origine del rumore orientando verso di esso gli occhi e la testa, sono in
grado di discriminare i suoni (fino a 6 mesi anche contrasti fonetici non presenti nella loro lingua madre, a
10-12 mesi questa abilità viene persa)
Fanciullezza
Incrementa la capacità di: focalizzare l’attenzione su un compito per periodi di tempo più prolungati
(mutamenti dell’attenzione sostenuta); selezionare gli stimoli ambientali in modo più sistematico e
selettivo ignorando gli stimoli distraenti (mutamenti dell’attenzione selettiva), pianificare la ricerca delle
informazioni al fine di identificare gli aspetti distintivi che differenziano gli oggetti e gli eventi (mutamenti
delle strategie di esplorazione visiva).
Sviluppo percettivo e cognitivo procedono parallelamente influenzandosi reciprocamente
SVILUPPO MOTORIO
Il comportamento motorio non deve essere considerato né come la conseguenza del manifestarsi di
processi di natura maturativa, né come la mera esecuzione di un piano cognitivo
Il repertorio motorio del neonato viene descritto in termini di riflessi, comportamenti più o meno complessi
che vengono prodotti in modo automatico in risposta a specifici stimoli, alcuni permangono, altri si
estinguono. Si è ipotizzato che alcuni dei comportamenti riflessi possano essere il frutto dell’adattamento
del feto all’ambiente uterino (i riflessi sarebbero allora un insieme di comportamenti automatici non
appresi, interamente pre specificati per via genetica; ma almeno alcuni possono essere considerati
comportamenti acquisiti tramite processi di apprendimento durante la vita fetale
Prima infanzia
Prensione => può essere suddivisa in due componenti: la sequenza di movimenti di raggiungimento
(reaching) e l’abilità di coordinare e modulare i movimenti della mano e delle dita (grasping).
L’afferramento è un comportamento volontario che il bambino mette in atto nel momento in cui incontra
uno stimolo visivo che sollecita il suo interesse e compare attorno al quarto mesi di vita. Già alla nascita
assistiamo al reaching precoce, una sequenza di movimenti finalizzati ad approcciare l’oggetto, anche se
non consentono di raggiungerlo, sono considerati un primo rudimentale abbozzo di coordinazione visuomotoria



4 mesi: tipologia di raggiungimento dell’oggetto a rastrello e pressione di tipo cubito palmare.
L’abilità di modulare l’atto di afferramento sulla base delle proprietà del bersagli è ancora poco
sviluppata
6 mesi: approccio parabolico, l’avvicinamento della mano all’oggetto traccia una sorta di parabola e
la prensione diventa radio palmare, il bambino afferra con il palmo e con la partecipazione delle tre
dita
9 mesi: approccio diretto, con la mano che si direziona verso l’oggetto in linea retta, la prensione
diventa radio digitale e emerge la presa a pinza
Nel corso della prima infanzia le modalità di esplorazione degli oggetti cambia radicalmente, diventando
progressivamente sempre più complessa.
Lo sviluppo del controllo posturale si sviluppa seguendo la legge encefalo caudale (il controllo del capo
precede quello dell’asse corporeo e cui segue il controllo degli arti). Il bambino dapprima in posizione
prona, solleva il mento, quindi solleva la testa e torace, poi è in grado d sollevarsi sugli avambracci e solo
successivamente, sarà in grado di usare le gambe per spostarsi, dapprima gattonando e poi camminando.
La postura seduta si sviluppa attraverso una serie di tappe intermedie: dapprima il bambino starà seduto
solo se il tronco è supportato da un adulto. In un secondo momento la postura seduta è caratterizzata per il
tronco inclinato in avanti e sostenuto da braccia mani, in seguito il bambino saprà sostenere il tronco senza
supporto delle mani che saranno quindi libere di esplorare l’ambiente (a partire dal 7 mese di vita)
La postura eretta viene raggiunta tra gli 8 e i 18 mesi
Agli esordi la locomozione autonoma è caratterizzata da una più larga base di supporto, una minor
lunghezza e una maggior frequenza dei passi, l’appoggio del piede di punta o di pianta, la maggiore
oscillazione del tronco e le braccia in posizione di guardia e prive di movimenti alterni. Con i progredire
dello sviluppo, il cammino autonomo assumerà sempre più le caratteristiche del cammino plantigrado
dell’adulto, con l’appoggio del tallone al contatto con il suolo.
Fanciullezza
All’età di due anni i bambini padroneggiano un’ampia varietà di competenze motorie (correre, salire le
scale, calciare la palla in maniera rudimentale). Tuttavia le abilità grosso motorie e fini continuano a subire
modificazioni fino all’adolescenza
A tre anni i bambini acquisiscono una crescente controllo delle abilità di corsa, sanno stare su un piede solo
e salire le scale alternando il pied d’appoggio.
Tre i 3 e i 6 anni le diverse abilità motorie diventano sempre più stabili, coordinate, accurate e
automatizzate, consentendo al bambino di acquisire una crescente autonomia nelle abilità quotidiane e di
pre-scrittura. I bambini acquisiscono poi una crescente consapevolezza delle loro capacità motorie, che li
porta a sperimentare sentimenti di orgoglio e autostima, o viceversa di inadeguatezza.
SVILUPPO PERCETTIVO ATIPICO
La presenza di alcuni deficit percettivi può influenzare il normale percorso dello sviluppo motorio. Lo
sviluppo percettivo motorio risulta compromesso, anche considerando il suo stretto rapporto con lo
sviluppo percettivo cognitivo.
Alcuni importanti mutamenti percettivi avvengono come conseguenza dell’incremento delle capacità
attentive, il bambino diventa in grado di concentrarsi su un compito per prolungati periodi di tempo. Nel
caso di bambini che hanno difficoltà a tenere attiva la loro attenzione a lungo e a sviluppare strategie
attentive pianificate (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), tale percorso di sviluppo risulta
compromesso. In modo analogo se nel corso dello sviluppo alcuni comportamenti motori non divengono
più automatizzati, il bambino dovrà concentrare tutte le sue risorse attentive nell’esecuzione del
movimento e non potrà rivolgerle ad altre attività.
Nello sviluppo percettivo atipico possono presentarsi danni a carico del sistema nervoso o deprivazioni di
alcune esperienze. Il disturbo percettivo può dipendere quindi da una difficoltà nella raccolta periferica che
nella trasmissione dei dati, dovuta a una lesione; sia a livello di deficit sensoriale elementare sia a livello più
corticale, oppure essere conseguenza di un problema legato alla rielaborazione dei dati (agnosia
percettiva) e al loro riconoscimento (agnosia associativa).
Un normale sviluppo percettivo necessita almeno di una quantità minima di stimolazione organizzata in un
particolar periodo dello sviluppo. Ripensare il concetto di periodo critico, sostituendolo con quello di
periodo sensibile
SVILUPPO MOTORIO ATIPICO
I disordini più importanti derivano da lesioni a carico del sistema nervoso (paralisi cerebrali infantili
congenite o acquisite). Le manifestazioni cliniche dipendono dalla sede, dal grado della lesione, e dal
periodo di sviluppo in cui la lesione è avvenuta. La tipologia più conosciuta di paralisi cerebrale infantile è
quella spastica (emiplegia, displegia, tetraplegia), ma ne esistono altre forme in cui sono presenti o
predominano sintomi come il tremore o i movimenti coreici.
Disturbo della coordinazione motoria: le prestazioni nelle attività quotidiane che richiedono coordinazione
motoria sono sostanzialmente inferiori sulla base dell’età cronologia e del livello intellettivo del bambino; il
disturbo interferisce con l’apprendimento scolastico o altre attività quotidiane; il disturbo non è dovuto a
una condizione medica generale, né a un disturbo generalizzato dello sviluppo; se il ritardo mentale è
presente, le difficoltà motorie sono significativamente superiori a quelle generalmente associate a esso
Una difficoltà di sviluppo delle abilità motorie può essere associato a ritardo mentale (sindrome di own o di
Williams)ed è secondaria all’incapacità di interagire con l’ambiente circostante, alla povertà di emozioni e
di iniziativa, alla difficoltà di formulare piani d’azione organizzati. I bambini con sindrome di Down sono più
lenti nel portare a termine movimenti di presa, la dinamica del movimento appare diversa e più variabile
rispetto a quella dei bambini normodotati. I bambini con sindrome di Williams invece hanno difficoltà nella
pianificazione dei movimenti
La diagnosi dei disturbo dello sviluppo motorio prevede l’integrazione di informazioni che derivano da
molteplici fonti: l’anamnesi familiare del periodo perinatale e dello sviluppo post natale; l’osservazione del
comportamento spontaneo; l’esame clinico e l’esame strumentale. L’analisi dei General Movements
permette di confrontare le caratteristiche dei General Movement con quelle della popolazione di
riferimento.
Nel primo anno d vita i bambini con disturbo motorio possono manifestare un tono muscolare
anomalo (in senso ipotonico o ipertonico). L’attività motoria del bambino è povera e la postura può
essere stereotipata. Le classiche tappe dello sviluppo motorio vengono raggiunte con marcato
ritardo.
Nel secondo anno di vita i bambini possono non essere in grado di afferrare oggetti utilizzando la
presa a pinza, persistendo nel tentativo di utilizzare la presa palmare.
Attorno ai tre anni, l’incapacità di saltare, dapprima sollevando entrambe le gambe e poi su una
gamba sola, può costituire un segnale a cui prestare attenzione diagnostica.
A 4/5 anni un segnale da osservare è invece quello relativo alla capacità di afferrare e utilizzare
adeguatamente una matita
LO SVILUPPO COGNITIVO
Lo sviluppo cognitivo comprende lo sviluppo della percezione, del linguaggio, della memoria,
dell’apprendimento e dell’azione.
Le diverse teorie dello sviluppo cognitivo risentono dell’eredità di approcci filosofici differenti:

Approccio empirista (Ockham, Bacon, Locke, Hume)
Vede la conoscenza come induttiva e derivata dall’esperienza attraverso associazioni; i concetti si
formano mediante l’apprendimento a discriminare percettivamente le caratteristiche degli oggetti;
sviluppo e apprendimento sono difficilmente distinguibili poiché lo sviluppo cognitivo non è altro
che l’accumularsi degli apprendimenti.
Anche alcuni approcci teorici cognitivisti risentono di questa matrice filosofica in quanto
privilegiano il ruolo del’esperienza e della maturazione

Approccio razionalista (gestalt)
Dimostra che i fenomeni psicologici comportano sempre strutture mentali più complesse in cui vi
sono relazioni sistematiche tra una totalità e le sue diverse parti.
Il più importante ricercatore della psicologia dello sviluppo cognitivo è Piaget, che ritiene che buona
parte dell’attività mentale consista nell’assimilazione delle informazioni alle strutture mentali. A
piaget è stato obiettato che i risultati di numerose ricerche suggeriscono che lo sviluppo cognitivo
non consiste in uno sviluppo di competenze logiche.
Piaget evidenzia che nei primi due anni di vita si assiste a uno sviluppo di comportamenti sempre
più complessi e intelligenti (dai riflessi a sequenze comportamentali più ampie e controllate)
In Piaget le idee sullo sviluppo cognitivo attingono direttamente all’epistemologia costruttivista in
particolare in quelle riguardanti l’acocmodazione e l’equilibrazione
STADIO
ETA’
DESCRIZIONE
Senso
0-2 anni
Il bambino comprende il mondo attraverso le azioni fisiche che
motorio
esercita su di esso
Pre
2-7 anni
Si rappresenta mentalmente gli oggetti e comincia a comprendere la
operatorio
classificazione in gruppi, comprende che esistono punti di vista
differenti e iniziano a comparire i primi giochi di fantasia e una
logica primitiva
Operatorio
7-12 anni
Esegue operazioni mentali a partire dall’esperienza concreta e
concreto
giunge a conclusioni non comprese nella situazione stessa,
compaiono nuove operazioni mentali
Operatorio
Dai 12 anni È capace di operare su idee e conoscenze astratta, organizza le
astratto
informazioni in modo sistematico e pensa in termini ipoteticodeduttivi

Teorie innatiste
L’idea di base è che la mente umana sia suddivisa già dalla nascita in moduli che presiedono ad
ambiti diversi di conoscenza. La mente è innata e alla nascita è già presente qualche forma di
rappresentazione elementare, a partire da qualche rappresentazioni, attraverso arricchimenti e
ristrutturazioni successive l’intero modulo prenderà forma
Gli è stato obiettato che le ricerche evidenziano importanti abilità percettive ma che non
dimostrano anche la presenza di rappresentazioni o competenze cognitive

Approccio costruttivista (Marx, Hegel)
Tema di fondo è la costruzione della conoscenza, che viene costruita dal soggetto attraverso le
proprie azioni sull’oggetto e quindi è il prodotto delle operazioni che il soggetto compie per
conoscere la realtà

Teorie neopiagetiane
Lo sviluppo del pensiero consiste nella capacità di elaborare una quantità crescente di informazioni.
Fondamentale è il concetto di una capacità limitata di memoria di lavoro o di risorse attentive,
propongono dei modelli secondo cui la crescita di tali capacità permette al bambino d elaborare i
dati dell’esperienza in modo da costruire strutture cognitive sempre più complesse. Attribuiscono
grande importanza all’azione pratica, alla soluzione di problemi e alle esperienze di situazioni di
conflitto cognitivo

Neo costruttivismo
La mente umana adulta è suddivisa in moduli che presiedono ad ambiti diversi di conoscenza, ma
nega che tale organizzazione modulare sia presente già dalla nascita. La modularità emergerebbe
attraverso i percorsi evolutivi in cui le varie parti del cervello si sviluppano e si specializzano

Approccio storico culturale (Vygotskij, Bruner)
La tesi centrale di Vygotskij è che la conoscenza e le funzioni psichiche superiori siano il risultato
dell’interazione sociale. La società insegna ai bambini l’uso di strumenti. Lo sviluppo cognitivo inizia
con i processi psichici elementari fino alle funzioni psichiche superiori, raggiunte tramite strumenti
culturali, tra cui linguaggio e cultura.
Bruner propone tra sistemi di codifica che compaiono in successione e che, una volta sviluppati,
coesistono:
RAPPRESENTAZIONE
RAPPRESENTAZIONE ICONICA
RAPPRESENTAZIONE
ESECUTIVA
(2-6/7 anni)
SIMBOLICA
(0-1 anno)
La realtà viene codificata
La realtà viene codificata
la realtà viene codificata
attraverso le immagini
attraverso il linguaggio e altri
attraverso l’azione
Evocare realtà assente, ma
sistemi simbolici astratti
la conoscenza è una sequenza
senza descrizione
È centrato sul pensiero, che
di azioni
Imitazione e osservazione
collega i simboli ai significati
sperimentazione pratica
attività fisiche
Bruner identifica due diverse modalità di pensare la realtà e di conoscerla:
o pensiero paradigmatico o logico-scientifico (si avvale di concetti e di categorie finalizzati
alla costruzione di un sistema teorico. Interessato alle cause degli eventi, alla loro
individuazione e verifica);
o pensiero sintagmatico o narrativo (si occupa delle intenzioni dell’uomo, della sua
soggettività e delle sue esperienze, è un modo per trasformare gli eventi in oggetto di
riflessione e analisi).
La ricerca conferma l’esistenza di due tipi di pensiero sin dal secondo anno di vita (Gardner):
bambini organizzatori (interessati all’esplorazione del mondo esterno e degli oggetti) e bambini
narratori (interessati alle persone e ai loro sentimenti)
L’influenza della cultura si realizza grazie alle relazioni sociali che il bambino stabilisce
precocemente con l’adulto, che assume il ruolo di scaffolding: fornisce l’impalcatura dello sviluppo
futuro
Lo sviluppo tipico
Stadio senso-motorio
Oggetto permanente => l’oggetto continua esistere anche quando il bambino on può vederlo, si sviluppa
progressivamente
Lo stadio senso motorio si sviluppa in sei sottostadi:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
(1 mese): riflessi
(1-4 mesi): reazione circolare primaria => prime assimilazioni reciproche tra schemi
(4-8 mesi): reazioni circolari secondarie => migliore coordinazione tra schemi senso motori
(8-12 mesi): coordinazione di schemi, emergono i primi mezzi e fini => comportamento intenzionale
(12-18 mesi): reazioni circolari terziarie => introducono variazioni all’azione per vederne gli effetti
(18-24 mesi): emerge la funzione simbolica => invenzione di mezzi nuovi per risolvere problemi
Età prescolare, stadio preoperatorio
Conquista della rappresentazione => imitazione differita, gioco simbolico, linguaggio
Tutte queste abilità si riferiscono a una realtà non percepito in quel momento, e la evocano
Linguaggio egocentrico (monologo collettivo, nel gioco) => differenzazione incompleta tra sé e il mondo e
tendenza a percepire e interpretare il mondo dal proprio punto di vista.
Pensiero intuitivo: è sottoposto al primato della percezione. Caratteristiche: finalismo (tendenza a
attribuire una finalità alle cose), animismo (tutte le cose che si muovono sono viventi), artificialismo (tutte
le cose sono create da qualcuno)
Teoria della mente =>
il bambino costruisce la propria conoscenza del mondo psicologico, arriva a comprendere sé e gli altri, si
costruisce allora una teoria ingenua su come funzionano gli esseri umani in quanto diversi dagli esseri
inanimati. Si tratta di rappresentazione dell’insieme di intenzioni, credenze, desideri che sottostanno ai
comportamenti degli esseri umani, ovvero di meta rappresentazioni
o
o
o
A 2 anni esiste una psicologia del desiderio che interpreta le azioni sulla base dei desideri e spiga le
reazioni emotive in base alla soddisfazione o meno del desiderio
A 3 anni i bambini padroneggiano una più complessa psicologia della credenza-desiderio, riescono a
prevedere che le azioni di una persona sono guidata anche dalle sue credenze e che esse possono
essere sia vere che false (compito sulla falsa credenza)
A 4 anni il bambino fornisce risposte corrette al compito della falsa credenza, emerge una
distinzione tra la realtà e la credenza, una differenzazione tra stato di cose effettivo e
rappresentazione mentale
Il disegno =>
Tra i 2 e i 5 anni la rappresentazione simbolica continua a svilupparsi diventando più ricca a complessa. Il
disegno deriva dallo scarabocchio, un’attività percettiva motoria che si manifesta tra il quinto e i sesto
stadio senso motorio. Solo intono ai 2 anni e mezzo comincia a emergere un’intenzione rappresentativa (a
volte il significato è dato dall’azione stessa di disegnare => rappresentazione attraverso l’azione) in questa
fase l’intenzione rappresentativa si manifesta in modo fluttuante e non si traduce in forme ben riconoscibili
dell’oggetto rappresentato. A 3-4 anni emerge il pupazzo testone, in cui una singola forma tondeggiante
rappresenta contemporaneamente la testa e il corpo.
Tra i fattori alla base della transizione dallo scarabocchio al disegno possiamo annoverare la guida da parte
degli adulti a comprendere il significato delle forme grafiche e la capacità dei bambini di coordinare in
memoria di lavoro l’immagine della forma che vogliono produrre, i segni grafici per farlo e il significato che
essa rappresenta.
Età scolare, stadio operatorio concreto
La scuola determina un impatto considerevole sullo sviluppo cognitivo (promuove il pensiero
decontestualizzato, l’astrazione, l’abilità tecnica e cognitiva, i processi di controllo). Il pensiero del bambino
diventa progressivamente più razionale e logico (cosa visibile anche dal cambiamento del linguaggio).
Uno degli aspetti più studiati riguarda le operazioni di classificazione, che comprendono la classificazione e
la seriazione. Un altro aspetto riguarda l’uso delle relazioni asimmetriche (consentono operazioni transitive
e di selezione). Acquisizione di concetti numerici e quantitativi. Il bambino acquisisce la conoscenza meta
cognitiva, ovvero la consapevolezza di come funzionano i nostri processi cognitivi.
Le azioni mentali isolate si coordinano tra loro e diventano operazioni concrete, strutture mentali
caratterizzate da reversibilità, segna l’inizio del pensiero logico
Rigidità del pensiero => centrazione (tendenza a concentrarsi su una sola caratteristica saliente dell’oggetto
ignorando le altre); tendenza a focalizzarsi sugli stati e non sulle trasformazioni, mancanza di reversibilità
(non è possibile invertire mentalmente una serie di trasformazioni)
Cognizione sociale limitata: giudica la correttezza di un atto sulla base di variabili esterne (gravità del danno
e presenza o meno della punizione), trascurando le variabili interne (intenzionalità della persona)
Adolescenza, stadio operatorio astratto
Il pensiero diventa di tipo ipotetico deduttivo => consente di compiere operazioni logiche su premesse
ipotetiche e di ricavarne conseguenze appropriate. Una volta individuati i vari fattori coinvolti in un
fenomeno, il ragazzo è in grado di variarli in modo sistematico per verificare quali causino quel fenomeno.
o
o
o
o
o
Pensiero ipotetico deduttivo: capacità sia di formulare ipotesi che di effettuare deduzioni
Analisi combinatoria: capacità di analizzare le singole variabili, unitamente alle possibili loro
combinazioni per effettuare un inventario completo delle diverse possibilità
Pensiero proposizionale: capacità di utilizzare la logica delle proposizioni per compiere inferenze
Mondo sociale: abilità a prendere in considerazione idee astratte, il giovane sogna il suo futuro e
discute di questioni morali e politiche
Capacità di riflettere sul proprio pensiero e su quello degli altri
o
Traccia di egocentrismo che permane: sottovaluta i problemi pratici coinvolti nel conseguimento di
un futuro ideale per sé e per la società
SVILUPPO COGNITIVO ATIPICO
Fino a qualche decennio fa per classificare i disturbi che potevano comportare limitazioni nel
funzionamento (disabilità), si faceva ricorso alla tripartizione tra minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali.
Di fatto già da tempo non si descrive più il ritardo mentale come un’entità nosologica unitaria, ma piuttosto
come un insieme di sintomi con caratteristiche differenziali importanti.
Oggi si tende a convergere sull’idea che la presenza di vincoli biologici e genetici non impedisca di ipotizzare
una forte influenza dell’ambiente sullo sviluppo.
L’ambiente e l’esperienza sono le principali determinanti del continuo rimodellamento dei circuiti neurali,
in questa prospettiva è evidente come aspetti biologici e ambientali interagiscano in modo dinamico
nell’orientare le traiettorie evolutive
Nel descrivere alcuni quadri deficitarii caratteristici occorre tener conto delle seguenti premesse:
o
o
o
Occorre distinguere di volta in volta le aree maggiormente preservate e quelle particolarmente
deficitarie
È importante assumere un approccio evolutivo
È importante trovare un equilibrio tra l’esigenza di descrivere dettagliatamente aspetti specifici
dello sviluppo cognitivo e quella di rendere conto del funzionamento cognitivo nel suo insieme
Ritardo mentale
L’approccio evolutivo allo studio delle disabilità intellettive ha dimostrato che le anomali genetiche o
cromosomiche implicate in diversi disturbi predispongano i bambini a diverse traiettorie evolutive e a esiti
disomogenei in varie aree dello sviluppo cognitivo.
Confronto tra sindrome di Down w sindrome di Williams. Nelle persone con trisomia 21 (sindrome di Down)
si evidenzierebbe una carenza specifica delle competenze verbali a fronte di competenze spaziali meno
compromesse. Nella sindrome di Williams (anomalia cromosoma 7) la competenza linguistica sarebbe in
genere migliore in rapporto al quoziente intellettivo, maggiormente danneggiate sarebbero invece le
competenze visuo-spaziali ad eccezione del riconoscimento dei volti. Ciò esemplifica la possibilità che, a
parità di deficit intellettivo globale, possano esistere profili di competenze molto diversi
Nelle situazioni di disabilità intellettiva, anche quando si parla di area preservata, molto raramente si fa
riferimento a un livello di sviluppo normale. Alcune caratteristiche sono soggette a cambiamenti nel tempo
e quindi non solo in assoluto tipiche di una sindrome, ma legate a una determinata tappa evolutiva; le
differenze riscontrate non vanno quindi interpretata in modo statico e definitivo. L’influenza degli aspetti
genetici sullo sviluppo degli individui non è lineare e quindi il profilo cognitivo degli adulti è spiegabile solo
esaminando il processo evolutivo nella sua complessità
Autismo
Si caratterizza per le anomalie qualitative dell’integrazione sociale e le anomalie nella comunicazione e nel
linguaggio, oltre che per la ristrettezza degli interessi e per la tendenza esasperata alla ripetitività.
I deficit linguistici pongono in molti casi ostacoli insormontabili al superamento di prove che richiedono la
verbalizzazione.
Gli studi epidemiologici recenti stimerebbero che meno del 50% delle persone con autismo presenti un QI
inferiore a 70. Per quanto riguarda le abilità cognitive si ritiene che le abilità basate sull’elaborazione visuospaziale siano migliori di quelle basate sul ragionamento verbale.
Diverse teorie hanno tentato di ridurre a un deficit specifico i problemi socio-cognitivi dell’autismo:



Carenza della teoria della mente: incapacità di rappresentare gli stati mentali propri e altrui, si
tradurrebbe in una sorta di cecità mentale alla base dei deficit sociali e comunicativi
Carenze della coerenza centrale: inabilità nell’integrare l informazioni quando un insieme
rappresenta più della semplice somma delle parti
Carenza delle funzioni esecutive: abilità di pianificare e organizzare l’azione, nell’inibire risposte
automatiche e nell’anticipare la progressione di un evento
Le scoperte neurologiche relative ai neuroni specchio e alla loro carente attivazione in persone autistiche
hanno rappresentato un importante passo avanti nella descrizione delle basi biologiche della sindrome e
hanno prospettato una nuova cornice interpretativa, inducendo a centrare l’attenzione sui deficit imitativi e
di simulazione incarnata, ossia sulle difficoltà nella condivisione immediata di uno spazio interpersonale
Malattia di Alzheimer
È una patologia degenerativa del cervello che insorge nel corso dell’invecchiamento. È caratterizzata da
morte dei neuroni, perdita di sinapsi, formazione di ammassi neuro fibrillari e di placche amiloidi. Si
registra un progressivo assottigliamento e atrofia di diverse aree della corteccia cerebrale. Il processo
colpisce anzitutto la corteccia entorinale e l’ippocampo e poi si diffonde al lobo temporale, a quello frontale
e spesso anche a quello parietale.
I primi sintomi della malattia consistono in occasionali manifestazioni di amnesia anterograda e una
diminuita abilità spaziale. Col progredire del processo degenerativo tuttavia di manifestano sintomi più
gravi e invalidanti.
Il declino è influenzato dalle caratteristiche cognitive e socioculturali del paziente
LA MEMORIA
Memoria: capacità di ricordare informazioni a breve o lungo termine; è una funzione
Fondamentale nella vita quotidiana e nessun processo di apprendimento sarebbe possibile senza il
funzionamento dei processi di memorizzazione.
Può essere suddivisa in memoria a breve e a lungo termine
Il modello è costituito da tre componenti:



La prima comprende magazzini sensoriali tampone (buffer), che conservano per un breve
lasso di tempo l'informazione proveniente dai diversi canali sensoriali;
Successivamente l'informazione sensoriale passa ad una seconda componente, il
magazzino a breve termine (MBT), dove può essere ricodificata e mantenuta attraverso la
reiterazione;
Infine una parte del materiale rielaborato può raggiungere la memoria a lungo termine
(MLT) dove viene conservata.
A partire da questo modello sono state proposte varie versioni alternative => Il modello più
conosciuto oggi è quello della memoria di lavoro di Baddley(1986):insieme atto a mantenere
temporaneamente e a manipolare l'informazione durante l'esecuzione di differenti compiti
cognitivi. Ha ipotizzato una sistema multicomponenziale che prevede tre diverse componenti:
Esecutivo centrale: sistema supervisore di controllo con capacità attentive, opera sui dati
provenienti dai due sistemi subordinati che elaborano materiale verbale e visuospaziale.
(selezionare le informazioni irrilevanti per il compito, focalizzare e dividere l'attenzione);
Loop articolatorio: ha due componenti: un magazzino fonologico di natura passiva, che
mantiene in memoria l’informazione linguistica per alcuni secondi, e un processo di
reiterazione di natura attiva basato sul linguaggio interno sub vocale (effetto di
somiglianza fonologica, effetto della lunghezza delle parole, effetto della soppressione
articolatoria);
Taccuino visuospaziale: componente che permette sia la ritenzione temporanea di
informazioni visive e spaziali in entrata, sia la visualizzazione e la manipolazione di
immagini mentali.
Episodic Buffer: capacità di immagazzinare informazioni episodiche situate nello spazio e
nel tempo, funziona da connessione temporanea tra i due sistemi subornati di memoria di
lavoro (aggiunto in un secondo momento per Le difficoltà riguardano soprattutto la
relazione tra memoria di lavoro e memoria a lungo termine, l'assenza di una componente
di interazione tra loop articolatorio e taccuino visuospaziale e la mancanza di un sistema
che rappresenti la consapevolezza dell'individuo.)
Altri modelli di mantenimento temporaneo dell'informazione=> si focalizzano sul ruolo
dell'attenzione e sui processi di attivazione, mentre mettono in secondo piano o addirittura in
dubbio la presenza di specifici magazzini di memoria.
Alcuni autori ritengono che i compiti che misurano la capacità della memoria di lavoro coinvolgano
un unico elemento, l'attenzione controllata, considerata fondamentale per modulare l'attivazione
e rimuovere le rappresentazioni non pertinenti dal focus attentivo, prevedendo quindi distrazioni
provenienti dall'ambiente o interferenze di informazioni presenti in MLT.
Pasqual Leone, utilizza espressione focus dell'attenzione o meglio Mcapacity (riserva di energia
mentale attenzionale che viene usata per l'attivazione degli schemi rilevanti per il compito), per
rifarsi al concetto di memoria di lavoro. Questa capacità sembra aumentare in funzione della
crescita maturazionale a partire dai 34 fino ai 15/16 anni.
Si stabilisce che tale capacità attentivo-mentale sia rappresentabile attraverso una funzione
algebrica:
In questa equazione «e» risulta costante, ovvero rappresenta la
quantità di operazioni mentali acquisite alla fine del secondo anno di età ed è fondamentale per
l'attivazione delle istruzioni e dei piani esecutivi per la soluzione del compito, mentre «K» cresce di
un'unità ogni due/tre anni, a partire dai tre anni fino almeno all'adolescenza (15 anni)
Il modello di Baddley e quello di Pasqual Leone condividono la convinzione che la memoria di
lavoro non possa essere definita come un sistema unitario. Esistono però delle differenze: Baddley
si è particolarmente concentrato sull'analisi e verifica del modello negli adulti mentre Pasqual
Leone si è rivolto all'età evolutiva, infatti la Mcapacity è definita in stretta relazione con lo sviluppo
degli stadi di Piaget.
Valutazione della memoria di lavoro => Si usa la procedura di span, per cui la quantità del
materiale da ricordare aumenta progressivamente, e la prova si conclude quando il livello di
prestazioni del bambino cade sotto il livello di accuratezza predefinito dal test. La prestazione di
memoria aumenta velocemente fino all’età di otto anni e poi manifesta un aumento più graduale.
Si utilizza anche la listening span, che mostra un costante sensibile sviluppo fino ai 16 anni di età.
Questo può indicare che gli span complessi, che coinvolgono maggiormente le funzioni
dell'esecutivo centrale e lo sviluppo dei lobi frontali, richiedono un tempo di sviluppo maggiore
rispetto ai compiti di span semplice con materiale visivo e spaziale
SVILUPPO DELLA MEMORIA
La memoria si sviluppa con l'età, meno chiari sono però i motivi e le cause di tale sviluppo.
Capacità della memoria => Si utilizza ancora come modello unitario per analizzare lo sviluppo e il declino
quello modale di Atkinson Shiffrin, che considera le capacità mnestiche come l’hardware della memoria,
ossia i magazzini a breve e lungo termine. I processi di codifica, mantenimento e recupero rappresentano
invece il software, ossia i processi che trasformano le informazioni in entrata, le trasferiscono nel
magazzino a lungo termine e ne facilitano il recupero. Già nei primissimi mesi di vita il neonato è in grado di
codificare e conservare delle esperienze.
l'aumento della capacità della memoria è molto rilevante, soprattutto nei compiti di rievocazione:
raggiunge all'incirca il 60% di incremento nei compiti di rievocazione e appena il 10% in quelli di
riconoscimento se si confrontano bambini di due e di 5 ani
Lo sviluppo delle strategie
Si studia il ruolo predominante dell'uso di strategie specifiche al compito che permette l'aumento della
quantità di informazioni che è possibile memorizzare.
Strategia: piano d'azione, in genere deliberato e controllato, che ha l’obiettivo di migliorare una
prestazione.
Prevede quattro fasi:
1. Deficit di mediazione: ossia persino quando sono istruiti sull'uso della strategia, la prestazione non
risulta essere migliorata dal suo uso.
2. Deficit di produzione: i bambini non si dimostrano in grado di usare spontaneamente la strategia,
ma sono in grado di usarla se viene loro suggerita.
3. Deficienza d'utilizzo, frequente nella fase iniziale di acquisizione di una strategia.
4. Nella fase finale i bambini sono in grado di utilizzare in modo maturo e sofisticato le strategie più
utili per uno specifico compito.
Alcune strategie per migliorare il ricordo sono: La ripetizione o reiterazione, che può essere intesa come un
processo di rivitalizzazione degli elementi presenti in memoria per impedirne il decadimento;
L'organizzazione del materiale; L'elaborazione profonda e significativa del materiale da ricordare.
Cambiamento nella capacità attentiva
Il cambiamento nella capacità attentiva riguarda la quantità di informazione che può essere contenuta
entro il fuoco dell'attenzione: può influenzare la prestazione. Le capacità attentive sono ritenute essere
legate all'attività dei lobi frontali, che raggiungono la piena maturazione solo nell'adolescenza. È quindi
probabile che il contributo dei processi attentivi raggiunga la massima influenza in tale fase di sviluppo.
Lo sviluppo della metamemoria
I risultati di numerosi lavori sono a sostegno dell'ipotesi che il basso livello di prestazione dei bambini più
piccoli sia determinato non tanto dai limiti nella capacità del sistema mnestico, quanto piuttosto dalla
capacità di utilizzarlo al meglio, attuando strategie deliberate. Si possono distinguere due aspetti: la meta
memoria come conoscenza dei propri processi mentali e la meta memoria come controllo, cioè
autoregolazione di questi processi.
La memoria degli anziani=>
è condivisa l'idea del declino nella capacità mnestica degli anziani. Le capacità degli anziani potrebbero
essere maggiormente compromesse in compiti di immagazzinamento e manipolazione di materiale verbale
rispetto a quello visuospaziale o, al contrario, solo in compiti di immagazzinamento e manipolazione di
materiale visuospaziale.
Con l'aumento dell'età si associa un decremento nella capacità della memoria di lavoro, in particolare se è
richiesto un processo attentivo e di controllo, indipendentemente dalla modalità del compito; ci sono
difficoltà con compiti di memoria di lavoro più attivi, con il ricordo di specifici nomi rispetto a fatti generali,
con il ricordo libero rispetto a compiti di riconoscimento.
Cause: Capacità di elaborazione cognitiva ridotta a causa dell’età; Difficoltà di controllo cognitivo, mentre la
capacità di elaborazione automatica rimane perlopiù intatta; gli anziani non hanno problemi a giudicare un
informazione come familiare, ma hanno difficoltà a richiamare i dettagli di un'esperienza.
L'invecchiamento si accompagna a una generale riduzione della velocità di elaborazione delle informazioni
che porta al declino di numerose funzioni cognitive, compresa la memoria, e ad una minore efficienza dei
meccanismi di inibizione fra i 60 e 70 anni.
Queste conclusioni sono in linea con l'ipotesi che i lobi frontali, e in particolare le regioni prefrontali, sono
implicate nel controllo dei meccanismi inibitori e sono maggiormente deteriorabili con il progredire
dell'età.
Memoria a lungo termine
Si distingue fra:
 Memoria esplicita: nel caso in cui il ricordo sia di tipo intenzionale e deliberato;
 Memoria implicita: nel caso in cui ricordo sia di tipo automatico e non intenzionale;
 Memoria semantica: si riferisce alla conoscenza quasi permanente che abbiamo in relazione al
mondo, ad esempio la comprensione del significato delle parole, la conoscenza del proprio nome;
 Memoria episodica: si riferisce alla memoria di specifici eventi, che possono essersi verificati
recentemente o più lontano nel passato, di cui manteniamo un vivido ricordo, che può essere
incompleto.
Il ricordo di eventi specifici, che ha luogo dopo molti anni, è denominato memoria autobiografica, ed è
riferita a sé stessi ed è accompagnata da interpretazioni personali.
L'interesse per la memoria autobiografica infantile si è notevolmente sviluppato in questi decenni vista la
sua rilevanza nella testimonianza infantile nel caso di processi, in particolare riferiti a casi di abuso sessuale.
Una caratteristica particolarmente rilevante della memoria autobiografica è il fenomeno conosciuto come
amnesia infantile: si ricordano eventi che hanno avuto luogo prima dei due anni d'età ed i ricordi del
periodo fra i due e i cinque anni sono relativamente scarsi.
Prima della comparsa del linguaggio i bambini non rappresentano l’organizzazione dei ricordi in forma
narrativa, coerente, tipica delle età successive: gli eventi non sono organizzati con il medesimo codice
linguistico che permetterà in futuro una buona chiave d'accesso ai ricordi.
Inoltre, affinché si formino dei ricordi autobiografici, è necessario aver sviluppato il sé cognitivo, cioè la
consapevolezza che l'individuo ha delle proprie capacità cognitive, che emerge solo attorno ai 18 24 mesi.
La testimonianza infantile:
Viene usato il paradigma della memoria episodica: il bambino vede lo svolgersi dell'azione di un evento
oppure sente una storia in cui egli non risulta essere il principale partecipante attivo. Vari studi concordano
sul fatto che i ricordi dei bambini più piccoli sono inferiori rispetto a quelli dei bambini più grandi e degli
adulti. L'implicazione è che i bambini piccoli hanno una memoria meno efficiente nella rappresentazione
degli eventi probabilmente derivata da una scarsa comprensione causale degli eventi stessi.
Usando il paradigma della testimonianza in cui il ricordo di un evento viene seguito da domande che
contengono informazioni inaccurate si è trovato che i bambini più piccoli (6 anni circa) sono più vulnerabili
alle distorsioni seguite all'esposizione di informazioni fuorvianti rispetto a bambini più grandi o agli adulti.
La semplice esposizione alle domande degli adulti in relazione a eventi che non hanno avuto luogo è
sufficiente, alcune volte, a creare dei falsi ricordi. Le cause alla base di questi effetti di suggestionabilità
sono ancora oggetto di discussione e dibattito. Si ritiene che nei bambini più piccoli sia presente uno scarso
livello di organizzazione e integrazione delle informazioni dell'originaria tra traccia mnestica, che la rende
particolarmente suscettibile a deformazioni e modifiche originate da successive informazioni fuorvianti.
E’ inoltre probabile che un elevato grado di influenzabilità sia derivato da processi inibitori meno efficienti:
per i più piccoli potrebbe essere più difficile inibire e cancellare i ricordi distorti suggeriti in un momento
successivo al verificarsi dell'evento. Un'ulteriore possibilità è che i bambini più piccoli abbiano particolari
difficoltà a discriminare la fonte originaria di una serie di ricordi: fanno, ad esempio, più errori rispetto ai
più grandi e agli adulti nel discriminare fra azione immaginate e azioni effettivamente eseguite.
I bambini sono maggiormente in grado di resistere alla suggestione nei casi in cui possono esplicitare le
fonti dell'informazione e comprendere qual è l'origine dei ricordi. I bambini più piccoli possono essere
indotti a pensare che se un adulto fa una domanda specifica inerente al ricordo di un evento è molto
probabile che quell'evento o particolare situazione abbia avuto luogo.
Si ritiene che durante le interviste relative alla testimonianza infantile l'uso di bambole o pupazzi possa
aumentare il ricordo ed anche compensare la carenza di comunicazione tipica dei bambini più piccoli.
Tuttavia si è osservato che nei bambini in età prescolare vi è difficoltà ad usare le bambole come
rappresentazione di sé stessi. L'introduzione di tali strumenti non garantisce quindi la maggior accuratezza
della valutazione della testimonianza infantile.
Inoltre ponendo delle domande, si deve accettare la possibilità che il bambino risponda «non so», cercando
di non forzare una risposta; questo permette di aumentare l'accuratezza del suo resoconto. Quindi persino i
bambini in età prescolare sono in grado di fornire ricordi attendibili se richiesti con modalità opportune.
SVILUPPO ATIPICO DELLA MEMORIA
Memoria di lavoro e disturbi dell'apprendimento
Difficoltà specifiche nell'apprendimento matematico.
I bambini con Disturbi dell'apprendimento hanno un livello intellettivo normale pari o superiore a 85,
valutando il QI con i classici test intelligenza. Individui con disabilità specifiche nell'area matematica
possono rivelare deficit nei processi di elaborazione e rappresentazione in uno o più domini della
matematica.
Il 58% di bambini in età scolare presentano deficit cognitivi o neuropsicologici che interferiscono con le loro
competenze nell'area matematica.
L’eziologia delle disabilità matematiche è multifattoriale; fra le cause di tipo cognitivo solo recentemente è
stato affrontato lo studio della possibile influenza determinante della memoria di lavoro dal momento che
assume un ruolo cruciale nelle calcolo e nella soluzione di problemi. Inoltre, si era osservato un deficit nella
memoria di lavoro negli individui che presentano disabilità di apprendimento matematico.
Si sostiene una ridotta capacità loop articolatorio sia alla base delle difficoltà matematiche. I risultati sono
comunque controversi.
Difficoltà nella soluzione di problemi aritmetici presentano prestazioni deficitarie in compiti volti a valutare
il loop articolatorio (ad esempio, prove di velocità articolatoria, eliminazione di fonemi e span di numeri
avanti). Al contrario, il loop articolatorio non rappresenta un deficit fondamentale per i bambini con bassa
abilità matematica.
Un'influenza distinta e separata del loop fonologico e dell'esecutivo centrale sui processi di calcolo mentale
è stata riscontrata: per il calcolo mentale il loop articolatorio ha un ruolo fondamentale nel mantenere
temporaneamente l'informazione (ad esempio i singoli numeri, i risultati parziali) mentre quando sono
necessarie operazioni di riporto è l’esecutivo centrale ad assumere un ruolo fondamentale.
Si ipotizza anche un deficit delle abilità visuospaziali. Il deficit si evidenzia nell'organizzazione spaziale delle
informazioni numeriche, di cui sono un esempio gli errori di scrittura di numeri, (ad esempio inversione di
cifre) e d’incolonnamento delle operazioni aritmetiche. Si ipotizza che il taccuino visuospaziale abbia un
ruolo rilevante nell'esecuzione dei calcoli mentali.
Molte ricerche sostengono l'ipotesi che un deficit dell'esecutivo centrale abbia un ruolo cruciale nell'abilità
matematica, in particolare nella soluzione dei problemi. La soluzione di un problema aritmetico richiede
innanzitutto la comprensione del testo. La completa comprensione di un problema richiede che il solutore
si costruisca una rappresentazione mentale, che comporta l'integrazione e il mantenimento delle
informazioni rilevanti per la soluzione.
Il deficit di memoria dei bambini con disabilità matematiche è connesso con le difficoltà nei processi
inibitori, e in particolare con una difficoltà a controllare e a eliminare le informazioni irrilevanti.
La sperimentazione di training riguardanti lo sviluppo dei processi cognitivi implicati nei processi di
apprendimento sembra essere particolarmente efficace. Tra questi ricordiamo gli studi che dimostrano che
un training di memoria visiva produce significativi miglioramenti nell'abilità di lettura di bambini di prima
elementare
Memoria di lavoro e comprensione del testo
Numerosi studi convergono nel dimostrare una chiara relazione tra memoria di lavoro e l’abilità di
comprensione del testo.
La relazione può essere spiegata dal fatto che nella comprensione di un testo il lettore non deve solo
mantenere l'informazione, ma soprattutto la deve elaborare attivamente e la deve integrare con le sue
conoscenze precedenti. Coerentemente con questa interpretazione le differenze individuali nell'abilità di
comprensione risultano essere particolarmente salienti nelle capacità tipiche dell'esecutivo centrale, ed in
particolare nel processo di inibizione.
Disturbo specifico del linguaggio
Limitazione significativa in uno o più ambiti della competenza linguistica riscontrata in assenza di deficit
sensoriali, cognitivi, motori, affettivi o associati a grandi problemi di ordine socio-ambientale.
II bambini con DSL presentano difficoltà di varia gravità nella comprensione,, produzione, utilizzo del
linguaggio, in una o più componenti linguistiche (fonologia, semantica, sintassi, pragmatica). Sebbene la
funzione del linguaggio sia la più colpita nei DSL, spesso accanto a tale deficit ci sono difficoltà nella
cognizione non verbale, nelle capacità motorie fini e nell''attenzione.
La prevalenza dei DSL in età prescolare e intorno al 68% mentre in età scolare scende fino al 12%..
Cause: riduzione della velocità di elaborazione delle informazioni. La ridotta capacità nella memoria di
lavoro fonologica è un'altra causa associata alla difficoltà di comprensione delle parole e allo sviluppo del
vocabolario.
Per convenzione vengono definiti come parlatori tardivi quei bambini nei quali la comparsa del linguaggio è
ritardata rispetto ai coetanei normali, e che presentano un vocabolario espressivo inferiore o uguale al 10º
percentile a 24 mesi e o assenza di linguaggio a 30 mesi.
Molti studi indicano che i parlatori tardivi facilmente sviluppano in tempi successivi specifici problemi di
linguaggio. Le produzioni fonologiche dei parlatori tardivi sono caratterizzate da un repertorio ristretto di
gesti articolatori, immaturità sillabica nelle Lallazioni e limitatezza nell'espressione dei fonemi.
Fattori di rischio extralinguistici vengono considerati: la familiarità per problemi del linguaggio, il genere (i
maschi sono i più colpiti) e le otiti ricorrenti nei primi anni di vita.
Vari studi hanno messo in luce l'importanza del comportamento comunicativo genitoriale sullo sviluppo
linguistico dei figli. Spesso si è osservato che i genitori di figli con DSL presentano un minor numero di
interazioni comunicative, evitano negoziazioni e tendono ad utilizzare stili comunicativi che privilegiano
punizioni e rimproveri.
I bambini con DSL presentano molti aspetti simili a coloro che soffrono di dislessia; tuttavia secondo vari
autori questi disturbi non possono essere considerati appartenenti ad uno stesso continuum.
I dislessici presentano difficoltà con gli automatismi della lingua scritta, ma buona padronanza della lingua
orale, che è al contrario carente negli individui con DSL. Inoltre i bambini dislessici e con DSL, con problemi
simili nell'elaborazione fonologica, hanno ulteriori deficit nell'area della semantica, della sintassi e
dell'elaborazione del discorso, il cui impatto sull'apprendimento scolastico è spesso sottovalutato a causa di
una tendenza a concentrarsi sulla lettura di singole parole piuttosto che sulla globalità del testo.
Un aspetto che accomuna però individui con DSL e dislessici è il deficit nella memoria di lavoro fonologica,
che ha una funzione rilevante nei processi di mantenimento dell'informazione linguistica, in quelli di
corrispondenza suono-lettera e di legame fra sequenze di lettere e fonologia ortografica. Furono tra i primi
a ritenere che alla base del DSL e delle difficoltà dell'apprendimento del vocabolario vi sia un deficit nella
memoria di lavoro fonologica.
Memoria di lavoro e ritardo mentale
Spesso il ritardo mentale dovuto a cause genetiche è associato a deficit di memoria, tuttavia i sistemi di
memoria possono essere deficitari o preservati a seconda del tipo di sindrome genetica. Vedremo quindi i
profili di memoria nelle sindromi genetiche più comuni associate alla ritardo mentale.
 Sindrome di Down (1:1.000)
Per quanto riguarda la memoria di lavoro, la componente dell'esecutivo centrale sembra essere
particolarmente deficitaria, in particolare in bambini con sindrome di Down che mostrano severe difficoltà
in compiti di memoria di lavoro che richiedono un alto livello di controllo e di manipolazione del materiale
da ricordare. La memoria di lavoro fonologica (compiti di span di numeri cifre in avanti) è carente specie se
confrontate con il loro livello intellettivo e la loro abilità linguistica. È possibile che tutto il sistema del loop
fonologico sia danneggiato oppure che lo siano solo alcune funzioni specifiche, quale ad esempio quella
relativa al meccanismo di reiterazione.
Per quanto riguarda le abilità di memoria visuospaziale, valutate in genere con il test di Corsi, esse
sembrano essere preservate se confrontate con quelle della memoria fonologica. Per quanto riguarda la
memoria a lungo termine, la loro prestazione è carente non solo se confrontata con quella di bambini con
sviluppo tipico, ma anche se comparata con quella di altri individui con ritardo mentale con differente
eziologia. Si è inoltre osservata una dissociazione tra memoria implicita e memoria esplicita: esse risultano
essere particolarmente carenti in compiti di memoria esplicita, ma hanno prestazioni simili a bambini con
sviluppo tipico in compiti di memoria implicita
 Sindrome di Williams (1:20.000)
Nonostante il ritardo intellettivo, gli individui con tale sindrome mostrano abilità sia di linguaggio sia di
ricordo di volti relativamente buone, mentre presentano seri deficit nelle abilità spaziali. Le abilità di
memoria fonologica sono considerate un loro punto di forza e sono in genere corrispondenti, o persino
superiori, al loro livello di età mentale. Al contrario sono severamente deficitarie le abilità di memoria di
visuospaziale.
C'è una dissociazione fra abilità di memoria di lavoro spaziale e memoria di lavoro visiva.
C'è discordanza per quanto riguarda la memoria a lungo termine: spesso le loro prestazioni sono carenti.
Nella memoria implicita essi presentano particolari difficoltà nell'apprendimento di nuove procedure.
 Sindrome di X fragile (1:4.000; 1:8.000)
Spesso gli individui con tale sindrome presentano difficoltà d'attenzione e comportamento impulsivo. La
memoria a lungo termine sembra essere meno gravemente deficitaria negli individui con sindrome di X
fragile. Vi è un deficit nell'esecutivo centrale, con conseguente carenza nei processi di controllo, di
pianificazione-organizzazione dell'informazione, e passaggio da un concetto ad un altro.
I moduli del loop fonologico e del taccuino visuospaziale, non sono chiari.i risultati non sono ancora chiari.
 Sindrome di Prader Willy (1:8.000; 1:20.000)
Riguarda il cromosoma 15 di origine paterna. I punti di forza sono nell'attenzione visiva paragonata a quella
uditiva, nella memoria a lungo termine confrontata con quella a breve termine; molti dati indicano inoltre
una loro notevole abilità nel risolvere i puzzle.
I punti di debolezza risultano essere nell'elaborazione uditiva di informazione verbale e sequenziale e nella
memoria di lavoro. In particolare, le difficoltà nella memoria di lavoro sono più elevati di quanto ci si
potrebbe aspettare in base al loro livello intellettivo.
Difficoltà sono particolarmente marcate nell'attenzione uditiva a causa di una disfunzione cerebrale o
un'infezione cronica del canale uditivo. Questo potrebbe causare particolari difficoltà soprattutto nella
memoria verbale.
SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO
Il linguaggio è un codice, dotato di un insieme di regole. È un mezzo per realizzare una varietà di funzioni
comunicative. Si può differenziare in diversi livelli:
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Livello fonologico: il modo in cui vengono prodotti i suoni
Livello lessicale: studio delle diverse categorie di parole e loro proprietà
Livello semantico: i significati trasmessi dalle parole e dalle frasi
Livello morfologico: modifiche della forma delle parole atte a portarne il significato
Livello sintattico: ordine e combinazione delle parole atte a costruire unità semantiche più ampie
Livello testuale: capacità di comprende significati di unità linguistiche più ampie
Livello pragmatico: usi concreti del linguaggio nei diversi contesti
Aspetti prosodici: l’accentazione di una data sillaba nella parola
Aspetti intonazionali: per rendere l’eloquio più comprensibile
Proprietà del linguaggio: arbitrarietà, produttività creativa, organizzazione modificabile, rapida
evanescenza, auto-referenzialità, non direzionalità, trasmissione per generazione, distanziamento,
relazionalità, convenzionalità, dualità, cotagorizzazione, referenzialità, oggettivabilità.
Solo nella specie umana queste caratteristiche sono presenti tutte assieme. Nell’architettura cognitiva
dell’essere umano, a partire dalla sua struttura neurofisiologica, deve esistere un’intrinseca capacità sia di
produrre che di comprendere il linguaggi.
Il linguaggio è un mezzo di comunicazione e di costruzione di reti sociali
Lo sviluppo linguistico può essere visto come la progressiva acquisizione di diverse proprietà:
il primo anno di vita
pianto = uno dei primi segnali di attaccamento. Altri segnali come il sorriso e le espressioni facciali delle
emozioni sono sistemi d segnalazione innati finalizzati a costruire una prima relazione di natura socio
affettiva.
È in questa fase che si costruisce la relazione diadica.
A partire dai 5 mesi l’interesse del bambino si rivolge all’ambiente, la coordinazione bi-manuale gli
permette di afferrare e esplorare gli oggetti.
Limite intrinseco: le prime manifestazioni comunicative sono determinate o da stati fisiologici del bambino
o da stimoli esterni; non sono ancora pienamente intenzionali. Non si può parlare di competenza
comunicativa ma solo di efficacia comunicativa
Vi sono tre posizioni riguardo allo sviluppo dell’intenzionalità comunicativa:



Ipotizza una stretta dipendenza dello sviluppo linguistico da quello cognitivo (modello piagetiano
secondo cui la distinzione tra mezzi e fini si strutturerebbe verso gli 8-10 mesi e si perfezionerebbe
verso i 10-12 mesi). Sono state individuate due tappe fondamentali nella capacità di utilizzare in
maniera intenzionale i segnali comunicativi: la prima attorno ai 8-9 mesi, prevede lo sviluppo di
forme proto-richiestive, in cui il bambino utilizza un oggetto sociale noto all’adulto per raggiungere
un dato scopo. Questa integrazione tra oggetti sociali e fisici è decisamente consolidata nella
seconda fase (10-12 mesi), che è definita proto-dichiarativa. Il tipico gesto è quello deittico (a
differenza di quello che accadeva nei primi mesi, adesso l’interazione tra madre e bambino è
centrata sul mondo esterno: nelle interazioni triadiche lo scopo comunicativo che il piccolo
persegue influenza gli stati mentali dell’adulto)
Non subordina lo sviluppo comunicativo a quello cognitivo, attribuendo si dalla nascita piena
intenzionalità alle azioni comunicative del bambino. L’integrazione progressiva tra l’ambito
esperienziale fisico e sociale, comporta il fatto che l’uno possa essere usato in funzione dell’altro,
consentendo lo sviluppo dell’intersoggettività secondaria
Sotolinea l’importanza dell’ambiente sociale nella progressiva consapevolezza che il bambino
acquisisce rispetto all’efficacia dei propri segnali e comportamenti comunicativi, in questo modo il
bambino può passare dalla scoperta del valore causale delle sue azioni ai un uso controllato e
finalizzato
Verso le prime parole: alla fine del primo anno i bambini possiedono circa una decina di parole. Tra i gesti
comunicativi della fase prelinguistica, oltre ai gesti deittici (mostrare e indicare), vi sono quelli referenziali. I
gesti referenziali hanno un’origine sociale, vengono appresi dall’uso che gli altri ne fanno. Al crescere del
numero di parole che il bambino possiede, la frequenza dei gesti diminuisce
Le lallazioni non sembrano avere una specifica funzione sociale, ma rispondono più a una logica d’esercizio
funzionale delle abilità vocali. Mentre nei primi mesi i suoni prodotti non hanno caratteristiche tipiche della
lingua di appartenenza, quelli prodotti a ridosso della comparsa delle prime parole ne condividono i tipi di
suoni e le forme delle sillabe.
Anche se la capacità di produrre suoni è biologicamente determinata, le influenze linguistico - culturali
hanno un loro peso nell’indirizzare progressivamente, ma rapidamente, la produzione di suoni verso le
caratteristiche della lingua a cui sono esposti
Da uno a tre anni
Forte valenza sociale nell’apprendimento dei nomi.
L’apprendimento di nuove parole non avviene solo in contesti ostensivi in cui l’oggetto viene indicato
tramite il gesto, ma anche in contesti in cui il bambino semplicemente assiste alle interazioni tra adulti.
L’ampliamento del vocabolario si realizza attorno ai 18 mesi e consiste nell’inserimento all’interno del
lessico di verbi, aggettivi, articoli, preposizioni,…
Solo grazie al linguaggio le categorie concettuali costruite su base percettivo- motoria si adeguano sempre
più alle ripartizioni categoriali tipiche della cultura di appartenenza (convenzionalizzazione)
Ora si può parlare di competenza linguistica e comunicativa
L’età prescolare e scolare
Verso i 3-4 anni l’acquisizione del linguaggio può dirsi terminata.
Il linguaggio viene usato soprattutto a scopo narrativo. Lo stile materno con cui un’esperienza viene
rivissuta assieme al bambino determina la modalità con cui essa verrà poi rievocata dal bambino stesso.
Quando il bambino raggiunge una sufficiente articolazione linguistica è in grado di utilizzare la forma del
racconto per esprimersi.
I termini psicologici esplodono nel lessico infantile attorno ai 3 anni, essi comprendono termini emotivi,
morali valutativi e dopo i quattro anni, anche cognitivi. La narrazione è sempre di natura comunicative e
sociale.
Con l’ingresso nell’età scolare la conoscenza tende a assumere una la forma di una pensiero più
paradigmatico, basato su criteri di interpretazione oggettivi e logici, non più solo personalistici e
esperienziali
La consapevolezza metalinguistica si sviluppa in età scolare
La competenza comunicativa => la comunicazione diventa riflessive e consapevole, regolata da norme
convenzionali, adattata ai contesti e agli interlocutori.
SVILUPPO COMUNICATIVO ATIPICO
I bambini nati pre termine hanno più alti tassi si problemi di funzionalità del linguaggio rispetto a quelli nati
a termine
Per quanto riguarda la comprensione linguistica, i disturbi si manifestano nell’incapacità di riconoscere i
suoni delle parole (livello fonologico), i significati (livello lessicale semantico) o le regole formali (livello
morfosintattico). Per quanto concerne la produzione, i disturbi si caratterizzano per l’emissione errata di
suoni, per l’incapacità di generare parole o di usare le regole morfosintattiche.
Se consideriamo le funzioni e i processi che i disturbo coinvolgono, essi possono essere di natura sensoriale
(sordità), oppure centrale (afasie)
Origine:
o
o
Acquisiti: manifestati dopo la comparsa normale del linguaggio, in seguito a traumi o affezioni
patologiche. Le normali funzioni linguistiche non hanno avuto modo di svilupparsi e la loro
successiva compromissione non pregiudica totalmente il funzionamento cognitivo comportamentale nel suo complesso
Evolutivi: manifestati fin dalle prime fasi dello sviluppo, in genere su base genetica. La mancata
evoluzione della funzione linguistica ha ripercussioni che coinvolgono tutto lo sviluppo
Sindrome di Down => L'estrema variabilità nel grado di deficit cognitivo permette capacità di
apprendimento anche buone e si accompagna a buone capacità sociali e comunicative, già a livello
prelinguistico. Il ritardo linguistico non è proporzionale a quello cognitivo, essendo il linguaggio un'area
particolarmente colpita; Per quanto riguarda lo sviluppo del lessico le prime parole compaiono in ritardo,
verso i 24 mesi, e il loro ritmo di acquisizione è piuttosto lento. Risulta più compromessa la sintassi e la
morfologia. In quest’ultima le difficoltà riguardano le parti più astratte e complesse del discorso, cioè i
funtori liberi (articoli, preposizioni, copula, pronomi).
Sindrome di Williams => Nella sindrome di Williams le capacità linguistiche di chi ne è affetto sono meno
danneggiate rispetto al ritardo cognitivo. In realtà, esso non risulta mai corrispondente alla loro età
cronologica, e le abilità verbali ai test standardizzati non raggiungono i valori delle popolazioni normative di
riferimento. I bambini con sindrome di Williams sembrano apprendere il linguaggio a memoria, cosa che
spiegherebbe la grande quantità di termini lessicali conosciuti, e la loro apparente fluenza verbale, ma al
tempo stesso la tendenza ad usare delle regole morfosintattiche in maniera rigida, non analizzata, cioè non
basata su una vera estrazione delle regole sottostanti.
Disturbi specifici del linguaggio (DSL)=> Questo disturbo colpisce circa il 7% della popolazione, in particolare
di genere maschile, e si caratterizza per l'assenza di ritardo cognitivo, di deficit auditivi o patologie
neurologiche, pur in presenza di capacità linguistiche alterate in produzione e in comprensione. Queste
alterazioni si manifestano con ritardo o addirittura arresto nell'acquisizione del linguaggio, con errori
fonologici, deficit nella sintassi, errori semantici anomie e sostituzioni di nomi e pragmatici. diverse ipotesi
interpretative, quella più accreditata lo imputa a specifici deficit nella memoria fonologica. L'immaturità
della struttura sillabica delle lallazioni e un inventario fonetico limitato sono indici predittivi di successivi
ritardi linguistici, ma il vero problema è capire quando i ritardi di linguaggio diventano successivi DSL o
quando possono essere recuperati. L’indice più predittivo è la difficoltà di comprensione.
Autismo => Nelle forme più gravi, il deficit linguistico si manifesta tipicamente con ecolalie (ripetizioni di
una stessa parola o frase appena udita) frasi fatte o significati particolari e anomali. Difficoltà linguistiche
hanno indotto a trovare forme comunicativo-espressive non esclusivamente vincolate all'interazione
verbale diretta, faccia a faccia. In questi testi, si ritrova una grande ricchezza lessicale, superiore a quella
dei testi prodotti dal facilitatore.
Disturbi specifici del linguaggio (Specific Language Impairment) => bambini con SLI presentano difficoltà
maggiori nei compiti a loro assegnati rispetto ai bambini con sviluppo tipico. Nelle persone adulte affette da
SLI si notano deficit di codifica che limitano l’aggiunta di forme di parole e significati al lessico.
Deficit si iperattività e di attenzione (ADHD) => difficoltà negli aspetti pragmatici del linguaggio, inclusi
parlare eccessivamente e interrompere gli altri. Questi problemi sono correlati con deficit nelle funzioni
esecutive.
Corea di Huntington e Morbo di Parkinson => In termini sintattici i pazienti con Corea di Huntington
producono frasi più corte e utilizzano meno proposizioni grammaticali. Rispetto ai loro coetanei con Morbo
di Parkinson, le persone con Corea di Huntington producono frasi più corte e sintatticamente più semplici.
LO SVILUPPO SOCIALE
Insieme dei processi attraverso cui l'individuo, da un lato acquisisce la capacità di interagire con gli altri e di
costruire relazioni e legami stabili, e dall'altro interiorizza le regole, i simboli e gli strumenti della cultura e
della società a cui appartiene.
Avviene su molteplici piani:
o
o
o
Intraindividuali: processi di comprensione, di attribuzione e di rielaborazione dei significati delle
esperienze vissute;
Interindividuale: all'influenza che le relazioni costruite con gli altri esercitano sulle esperienze
stesse
Socioculturale: le norme, le credenze e le rappresentazioni sociali che orientano l'azione, la
comprensione individuale e la costruzione di relazioni.
Sviluppo sociale e socializzazione sono dimensioni distinte ma complementari di un unico percorso
evolutivo. Poiché ogni individuo si colloca in modo peculiare nei propri contesti sociali, non è adeguato
ipotizzare un’unica direzione di socializzazione, bensì molteplici percorsi, alcuni definibili come tipici, altri
come atipici.
Competenza sociale: capacità di interagire efficacemente con l'ambiente, per il raggiungimento di ogni
obiettivo sociale. L'individuazione delle singole abilità che costituiscono la competenza sociale risente dei
modelli socio-culturali di riferimento. Un individuo è socialmente competente quando, piuttosto che
manifestare singolarmente determinate abilità, è in grado di coordinare e integrare tra loro, sui diversi
piani d'azione, delle emozioni e del pensiero, quelle dimensioni che appaiono centrali nella propria cultura
e società.
La socializzazione precoce: dalla consapevolezza di sé a quella degli altri
Durante la prima infanzia la competenza sociale del bambino si costruisce nel contesto della relazione con i
caregiver. Costruzione dei legami affettivi di attaccamento e realizzazione di una prima forma di
consapevolezza di sé, acquisizioni che rispondono a due fondamentali istanze evolutive:
 Bisogno di legarsi ad altri membri della propria specie, che garantisce la sopravvivenza
 Bisogno di separarsi dagli altri, che consente di esistere e di definirsi come entità differenziata.
Gli aspetti che consentono di approfondire la socializzazione primaria sono: L'esistenza di abilità sociali di
base.La costruzione di un legame di attaccamento.L'acquisizione della consapevolezza di sé.
Il piccolo, alla nascita, è già predisposto su tutti i canali sensoriali, all'incontro sociale con la propria madre,
grazie anche alla capacità di esprimere emozioni primarie e quella di partecipare a un vero e proprio
dialogo emotivo.
L’età prescolare: gioco e capacità rappresentativa
L'acquisizione della permanenza dell'oggetto e della capacità simbolica segnano di fatto il passaggio dalla
socializzazione primaria a quella secondaria, caratterizzata dall’ampliarsi delle relazioni con i pari anche al
di fuori del contesto familiare.
Nuove forme più ricche di interazione con gli altri, alla cooperazione e alla condivisione di regole e
significati sociali.
La seconda infanzia appare come una fase di costante ricerca della socialità, allo scopo di sperimentare le
nuove possibilità offerte dalle acquisizioni evolutive.
Le prime forme di gioco con i pari portano a:







Tollerare l'assenza dell'adulto;
Favorire le prime forme di intimità, costituite dalla condivisione di un mondo fantastico;
Costruzione dei significati condivisi degli eventi ed elaborazione di una cultura dei pari distinta da
quella degli adulti.
Vivere emozioni intense
Esercitare un controllo sulle proprie modalità espressive, adattandole alla situazione sociale e
relazionale;
Esercitare ruoli differenti;
Strutturare le prime forme di pensiero narrativo attraverso i monologhi.
La fanciullezza: l'età dell'amicizia
nella fanciullezza è ormai acquisita la consapevolezza della reciprocità delle relazioni, della connotazione
psicologica di sé e degli altri, della possibilità di costruire legami affettivi profondi, organizza le interazioni
con i compagni in funzione del criterio della preferenza sociale.
Nella fanciullezza le relazioni con i coetanei diventano più selettive e costituiscono un prodotto di scelte e
di preferenze. Gradualmente si viene a costruire, all'interno delle relazioni amicali della fanciullezza, una
sorta di senso del «noi», ovvero un'area di consapevolezza della reciprocità, del legame e della condivisione
dei significati, finalizzata a preservare l'esclusività del rapporto stesso e lo spazio di sicurezza, che da esso
deriva, ai singoli partner
La costruzione di un senso del «noi» predispone poi ad importanti acquisizioni sul piano dello sviluppo
morale. L'amicizia richiede un impegno nei confronti del partner e il rispetto del vincolo posto dalla
relazione stessa.
L'adolescenza: la costruzione del sé
La costruzione di un’identità autonoma costituisce il culmine di un processo che ora si articola in varie
direzioni, sia rispetto alla famiglia, in particolare alle figure genitoriali, sia rispetto ai nuovi punti di
riferimento, primo fra tutti il gruppo dei pari.
Uno dei principali nodi da sciogliere consiste nella possibilità di conciliare la propria appartenenza con il
bisogno di non fondersi, nel riuscire ad emergere, a distinguersi con un'identità autonoma, pur
continuando a sentirsi parte del contesto e gruppo connotato affettivamente.
Per poter accedere al compimento del processo, e quindi all'acquisizione vera e propria dell'identità,
l'adolescente deve impegnarsi, compiendo una scelta e soprattutto una sintesi originale tra le varie parti di
sé riconosciute nella precedente fase di esplorazione e identificazione. Tale processo di rielaborazione
avviene grazie al continuo confronto con i pari, alle pregresse relazioni familiari, ma richiede anche
momenti di solitudine e riflessione individuale talvolta ricercata volontariamente talvolta temuta e vissuta
con angoscia.
Il gruppo di aggregazione spontanea viene considerato l'espressione di socialità più tipica dell'adolescenza
di oggi, anche se in realtà si osservano varie modalità di vivere le relazioni tra pari: i legami amicali, che si
consolidano appunto in questa fase, i gruppi di tipo formale, più strutturati e guidati da un leader adulto, e i
gruppi istituzionali, al cui interno si formano legami di amicizia o piccoli gruppi di aggregazione informale.
L'esperienza sociale dell'adolescente comprende anche l'appartenenza gruppi sociali allargati, cioè a
modelli di cultura e comportamenti giovanili condivisi.
In una fase in cui si sta realizzando il processo di separazione dai genitori, le relazioni amicali sostengono
affettivamente, confermano la nuova identità emergente, aiutano a guardarsi dentro e a prendere
consapevolezza dei cambiamenti e consentono di condividere emozioni ed esperienze.
Il gruppo è stato definito come un laboratorio sociale, promuove una maggiore disponibilità a chiedere e ad
offrire aiuto, sia perché è protettivo sia perché consente di sentirsi parte di un tutto. Sul piano
emotivo/affettivo il gruppo dei coetanei si pone come una sorta di contenitore, e in questo modo fornisce
sicurezza emotiva: colma il vuoto derivante dal disinvestimento affettivo dei genitori, diventando un vero e
proprio oggetto sostitutivo.
Infine, sul piano socioculturale, l'appartenenza ad uno gruppo di pari permette di avvicinarsi, per
eventualmente poi farli propri, a modelli valoriali e culturali, alternativi a quelli familiari, e rappresenta un
confronto ed una verifica continua delle proprie esplorazioni.
L'età adulta e anziana: nuove sfide e tappe sociali
il focus dell'attenzione deve spostarsi dall'individuazione di cambiamenti di tipo maturativo alla
considerazione di più specifiche tappe sociali e culturali indotte da pressioni normative, condivise in parte
all'interno della società di appartenenza, anche se affrontate, ancora una volta, in modo del tutto
personale.
La capacità di affrontare e superare tali tappe sociali diventa un indicatore del passaggio fondamentale
avvenuto da una condizione di dipendenza o contro dipendenza, caratteristica dell'infanzia e
dell'adolescenza, ad una condizione di autonomia e indipendenza, tipica dell'età adulta.
L'età adulta è caratterizzata per la maggior parte degli individui dalla formazione di un legame di coppia di
tipo stabile. Il senso di intimità viene a coincidere con la consapevolezza della condivisione di stati affettivi,
ambientali e valoriali, pur nel mantenimento di una propria identità individuale, che incontra e si coordina
con l'identità dell'altro senza confondersi con essa. L'incontro con l’identità dell'altro non è casuale, in
quanto frutto di una reciproca scelta e in questo senso è l'espressione diretta dell'impatto che ciascun
partner ha avuto sull'altro, della sua possibilità di agire sull'ambiente e quindi del senso di autoefficacia.
La formazione di un legame di coppia stabile implica anche l'assunzione di nuove responsabilità verso sé
stessi e il partner: l'impegno del mantenimento della relazione, della fedeltà e del benessere reciproco.
Genitorialità => È un processo complesso che comporta la ridefinizione dei significati del proprio universo
relazionale, così come dell'identità personale. Occorre adeguare l'ambiente fisico-abitativo in funzione
dell'accoglienza del nuovo nato (accomodamenti): la genitorialità come compito di sviluppo implica
soprattutto due aspetti: la costruzione della relazione con i figli e l'acquisizione di una nuova identità
comprendente al suo interno la dimensione della generatività.
Nella terza età, la riduzione dell'autonomia e della libertà di movimento comporta un restringimento e una
ridefinizione delle relazioni interpersonali: vengono mantenute le amicizie più intime, a scapito dei rapporti
più superficiali così come vengono rafforzati e recuperati i legami all'interno della cerchia familiare.
sfida normativa del pensionamento => evento affrontato secondo percorsi differenti. Esso implica una
ristrutturazione delle proprie giornate, una riorganizzazione della vita di coppia in funzione del maggior
tempo libero condiviso e una ridefinizione della propria identità in senso non produttivo.
La morte di un familiare, così come la prospettiva della propria morte imminente, può avviare percorsi di
revisione dell'esistenza e a non comprendere il senso della propria esistenza, a non accettarlo e quindi ad
una condizione di disperazione.
In ogni caso l'accettazione della propria morte è l'esito di un processo che, come qualsiasi altra
separazione, attraversa fasi alterne di rifiuto, di rabbia, di contrattazione e di depressione. Pervenire
all'accettazione di essa, però, costituisce la forma più elevata di autoconsapevolezza e di conciliazione con
sé stessi.
SVILUPPO SOCIALE ATIPICO
L’infanzia
Ritiro sociale: condizione definita da una bassa frequenza di interazioni con gli altri e da un'alta frequenza di
comportamento solitario.
Vengono distinte 3 modalità diverse di esprimere una bassa frequenza di interazione con gli altri,
denominate:
Ritiro sociale passivo: si presenta come una condizione solitaria contraddistinta da attività
esplorativa e di costruzione, condotta in modo quieto e sedentario. I bambini che mostrano questo
tipo di ritiro sembrano preferire il «gioco solitario», ma non evidenziano difficoltà a intraprendere e
mantenere interazioni con i coetanei. Almeno in età prescolare il loro comportamento non è
associato ad indici di disadattamento ed è accettato da insegnanti e compagni. Costituisce una
sorta di orientamento verso gli oggetti più che verso le persone;
Attivo: la bassa frequenza di interazioni con i coetanei si accompagna a comportamenti chiassosi e
turbolenti, a giochi immaturi, prevalentemente di tipo funzionale e sensomotorio e, in qualche
caso, a giochi rumorosi di drammatizzazione svolti in disparte dai compagni. Questa forma di ritiro
riflette immaturità cognitiva e sociale ed è correlata ad aggressività e a disturbi di esteriorizzazione
già nell'età prescolare.
Reticente: è connesso ad inibizione e timidezza, ed è caratterizzato dal tipico comportamento da
spettatore. I bambini che rientrano in tale categoria appaiono mossi da un lato dal desiderio di
inserirsi nei gruppi di coetanei e di intraprendere interazioni, ma dall'altro sono bloccati da
inibizione e prudenza sociale eccessiva, che li conducono infine a rimanere in disparte, guardando
gli altri senza svolgere alcuna attività in particolare, per poi ripiegare spesso sul gioco solitario di
tipo passivo.
i fattori che, già in età prescolare, intervengono nel determinarne le condizioni di insorgenza:
Temperamento; Stile di attaccamento (di tipo insicuro ambivalente ed evitante); Credenze dei genitori
rispetto al comportamento sociale e lo stile educativo di tipo assertivo e intrusivo.
Tutti i soggetti caratterizzati da ritiro sociale mostrano, soprattutto dall’età scolare in poi, sia sintomi di
interiorizzazione, sia di esteriorizzazione quali ansia, bassa stima di sé, sentimento di solitudine, rifiuto
sociale, aggressività e isolamento.
la bassa frequenza di interazioni con i pari, oltre a costituire e definire la condizione stessa del ritiro, non
favorisce l'acquisizione delle necessarie competenze di tipo relazionale che garantiscono un corretto
sviluppo sociale ed agisce come ulteriore rinforzo di una condotta già di per sé a rischio.
Il ritiro sociale passivo appare, almeno in età prescolare, meno a rischio. Esso è associato alla modalità di
gioco solitario di tipo maturo che i piccoli conducono in modo sereno e quieto e che sembra presupporre in
essi la capacità di stare da soli, senza escludere la competenza sociale.
Adolescenza
Il nodo critico di questa fase, attorno a cui ruota il percorso di socializzazione, è il processo di separazioneindividuazione. Esso, si articola in una duplice direzione: Definizione di sé/Relazione con gli altri.
Percorsi atipici potrebbero dunque orientarsi nella direzione della diffusione dell'identità, una sorta di
continua esplorazione superficiale, che non comporta un impegno stabile ma transitorio, di esperienze
differenti, vissute come parti di sé non integrate.
Comportamenti atipici si realizzano attraverso la messa in atto di condotte pericolose per la salute fisica e
psichica, spesso devianti. Mossi dal desiderio di accedere al mondo adulto velocemente, alcuni ragazzi
farebbero propri atteggiamenti convenzionalmente e simbolicamente adulti, pur di ottenere un riscontro
identitario di crescita, non impegnandosi nell'assunzione di nuovi ruoli. In questi casi, il passaggio all'età
adulta, che si manifesta in modo del tutto superficiale, comporta di fatto la manifestazione di condotte di
tipo irresponsabile.
Anche rispetto alla direzione evolutiva della ridefinizione delle relazioni con gli altri non è semplice
individuare traiettorie tipiche o atipiche per l'adolescente. Tutte queste esperienze, sia oggettive sia
soggettive di solitudine, caratterizzano l'adolescenza poiché sono connesse da un lato ai normali processi
evolutivi in atto e dall'altro alle difficoltà incontrate in tali processi. In questa fase la solitudine è in parte
fisiologica, in parte patologica, e le modalità con cui essa si affronta possono prefigurare percorsi evolutivi
tipici, oppure a rischio.
Gli aspetti patologici della solitudine si accompagnano a processi evolutivi disfunzionali: si riferiscono al
sentimento di isolamento provato nei confronti dei pari con cui si fatica ad entrare in relazione, o da cui si è
rifiutati; oppure al senso di esclusione vissuto a scuola, poiché l'insuccesso scolastico non consente di
sentirsi parte del contesto; o ancora, al sentimento di non accettazione percepito in famiglia
Bambini maltrattati => Alcuni studi hanno dimostrato che, i bambini che vengono portati via dalla famiglia
di origine, nella quale venivano maltrattati, presentano disadattamento sociale e difficoltà sia
comportamentali che emotive.
Bambini con ADHD =>L’ADHD è associato a un funzionamento problematico in famiglia (stress, tassi più alti
di psicopatologia genitoriale) e comporta conflittualità relazionali e problemi di opposizione del
comportamento.
Schizofrenia=> La schizofrenia è associata a gravi deficit del funzionamento sociale. Deficit simili possono
essere riscontrati anche nelle psicosi infantili e adolescenziali. I risultati indicano che il cattivo
funzionamento sociale fa differenziare i bambini e gli adolescenti schizofrenici dai loro coetanei con
sviluppo tipico.
Età adulta e anziana
Genitorialità difficile => A volte una gravidanza si verifica in fasi della vita in cui l'individuo sta affrontando
altri compiti di sviluppo, come ad esempio nell'adolescenza: essa costringe i futuri genitori, soprattutto la
madre, a rivedere completamente i propri progetti di vita, ad intrecciare il percorso di costruzione di
un'identità adulta e autonoma con quello della definizione della maternità, inducendo spesso condizioni di
diffusione e di depressione che potranno ripercuotersi negativamente sullo sviluppo del bambino stesso.
Quando tutte le tecniche di procreazione assistita falliscono, l'ultimo tentativo per realizzare la condizione
di genitorialità è costituito dall'adozione. Si tratta di una genitorialità difficile, in quanto il percorso che
queste coppie devono affrontare, non solo per raggiungere il loro obiettivo, ma soprattutto per sentirsi a
tutti gli effetti genitori, è pieno di difficoltà. In altri casi ancora, a causa di fattori genetici, prenatali o
perinatali, il bambino viene alla luce con una malattia, una minorazione, in generale con una condizione di
svantaggio. Se in un primo momento i padri e le madri mostrano incredulità, shock, addirittura negano le
difficoltà del bambino, gradatamente si fanno strada vissuti emotivi diversi, che possono prefigurare
percorsi differenti di adattamento.
Pensionamento => può attivare risorse in termini di nuove progettualità, o, al contrario, enfatizzare il senso
di inutilità e di vuoto avvertito al di fuori della realtà produttiva lavorativa. L'individuo affronta con successo
un percorso che promuove benessere e cambiamenti anche sul piano dell'acquisizione di una nuova
identità personale. Alcuni anziani, invece, costretti ad abbandonare ruoli lavorativi di prestigio, nei quali
l'identità professionale e quella personale erano altamente identificate, di fatto non affrontano la sfida del
pensionamento e non rinunciano mai al loro lavoro. Tale percorso si configura come una sorta di blocco
dell'identità. Altri individui permangono in una condizione simile alla moratoria, esplorano cioè nuove
possibilità di impegno senza individuarne di soddisfacenti e rimpiangendo il loro lavoro che comunque
smettono di svolgere. Infine, alcuni anziani, le cui risorse sono limitate per motivi di salute o a causa di
difficoltà economiche, tendono a vedere nell'uscita dal mondo del lavoro un'ulteriore indicatore del proprio
declino, la conclusione inevitabile del loro ciclo produttivo e vitale, rinunciando ad affrontare i cambiamenti
ed accettandoli con estrema sofferenza. Si tratta del percorso maggiormente disattivo, in quanto nessuna
risorsa viene attivata per affrontare la sfida.
L’anziano e la morte => Per quanto riguarda l’ansia di morte, i risultati hanno dimostrato che la paura di
morte è più presente negli anziani che si trovano in una struttura ed è spesso associata a tassi più bassi di
autostima. La risposta alla morte del coniuge è stata esaminata concentrandosi sull’accettazione. Essa
risulta correlata con la ricerca del senso attraverso due temi temporali: il tempo della morte sponsale e la
percezione del tempo paradossale. Le diverse risposte al lutto hanno dimostrato che varia a seconda del
fatto che la morte sia improvvisa o meno e sulla natura delle esperienze di caregiver familiare. Ci può
essere un elevato rischio di isolamento sociale per le morti improvvise (maggiore che nei casi non
improvvisi).
LO SVILUPPO EMOTIVO E RELAZIONALE
Emozioni: risposte dotate di una loro specificità in grado di interrompere precedenti schemi di
funzionamento, richiamando le risorse individuali e indirizzandole verso uno o più scopi.
Noi mettiamo in atto dei processi valutativi di appraisal, ossia dei processi attraverso i quali diamo un
giudizio sugli eventi in maniera interessata, attribuendo loro un significato di natura personale, basato cioè
sul benessere soggettivo
Esse comprendono almeno tre livelli di funzionamento:



Fisiologico: interessa le modificazioni nell'attività del sistema nervoso
Espressivo: riguarda le manifestazioni e le condotte sia non verbali che verbali
fenomenologico cognitivo : riguarda il vissuto, la particolare situazione soggettiva che caratterizza
un’esperienza emotiva.
L'integrazione tra le diverse componenti delle emozioni è alla base della competenza emotiva, la capacità
individuale di utilizzare le emozioni come strategie, in modo organizzato e funzionale per realizzare un buon
adattamento sociale.
Precursori dell'emozione e sviluppo precoce
Il bambino sin dai primi momenti del suo sviluppo, è un essere attivo e organizzato, capace di inserirsi con
successo in una rete di scambi comunicativi con le persone che lo circondano.
Precursori:
o
o
o
Durante il terzo trimestre di gestazione il feto è in grado di connettersi naturalmente alla madre
sentendo e riconoscendo la sua voce. Ciò spiega come un insieme di dotazioni di natura biologica
siano in grado d dischiudere il mondo emotivo e relazionale della persona sin da momenti molto
precoci dello sviluppo. Tra i precursori molti studi sono stati diretti alle emozioni di base.
Risposta del sorriso: compare alla nascita come segnale riflesso, costituendo in tal senso una
risposta di carattere endogeno. A due mesi si trasforma in una risposta esogena, provocata da
alcuni stimoli privilegiati. Dal terzo mese il sorriso acquisisce la caratteristica di risposta
strumentale: il bambino sorride per raggiungere uno scopo. A partire dal quarto mese, esso viene
espresso in maniera coordinata e articolata.
Un altro segnale è l'imitazione: la caratteristica di accoppiamento con l'altro istintiva nel gesto
dell’imitare, in cui ciò che conta non è tanto la messa in atto dell’imitazione in quanto tale, bensì
l'esperienza emotiva di collegamento intersoggettivo che il piccolo sperimenta.
Le forme precoci di intersoggettività si articolano nel corso del primo anno di vita contribuendo a formare
un essere pronto e competente per lo scambio emotivo con l'altro significativo. Si tratta della rapporto con
i genitori e, in particolare, con la madre che costituisce la principale fonte di alimentazione della vita
emotiva del piccolo, attraverso l’interazione faccia a faccia.
E’ all'interno di quest'esperienza che il piccolo impara alcuni aspetti fondamentali per lo sviluppo della sua
sfera emotiva giungendo alla regolazione emotiva: capacità di modulare e gestire l’intensità dell’arousal o
attivazione emotiva.
Infanzia ed età prescolare
Fra i due e i tre mesi lo sviluppo dell'attenzione, della percezione, della sensorialità e della memoria
consentono al bambino di cominciare a costruire pattern di identificazione delle interazioni significative,
definendo in tal modo i precursori dell'attaccamento;
A partire dei sei mesi, l'accresciuta capacità del bambino di esprimere e comprendere una gamma più
ampia di emozioni si coniugherà con la comparsa del gioco con degli oggetti, che viene utilizzato come
elemento di mediazione nell'interazione con l'adulto. Il piccolo riesce ora a considerare oggetto d'interesse
l'attenzione dell'adulto per un oggetto condiviso => intersoggettività secondaria
Tra i sette e i nove mesi l'accresciuto interesse per il mondo esterno si dimostra nel prolungarsi del tempo
di gioco con l'adulto => il bambino manifesta la paura dell'estraneo, risponde con disagio se una persona
non conosciuta lo avvicina.
Dai nove ai 12 mesi consolida quest'orientamento proiettando il bambino in una crescente capacità di
iniziativa nell'ambito della condivisione degli stati affettivi, della regolazione emotiva, delle intenzioni
dell'adulto e della comunicazione intenzionale, fino ad arrivare alla definizione dei primi pattern di
attaccamento
Al secondo anno di vita, ossia con il compimento del primo anno di età, l'attaccamento è ormai consolidato
e il bambino ha acquisito un suo modo di sperimentare il senso di protezione e di aiuto da parte del
genitore.
Quattro sono le categorie legate all'attaccamento:
 Sicurezza (B) è caratterizzata da un buon equilibrio tra bisogno d'esplorazione ed attaccamento,
c’è una buona regolazione emotiva;
 Insicurezza evitante (A) si caratterizza per uno sbilanciamento a favore dell'esplorazione che
penalizza la ricerca dell’attaccamento;
 Insicurezza ambivalente resistente (C) si caratterizza per un'accentuazione dei comportamenti
d'attaccamento e di dipendenza a scapito delle capacità di autonomia;
 Disorganizzato (D) si assiste al collasso di una possibilità per il piccolo di mettere in atto una
strategia coerente per realizzare e mantenere la vicinanza protettiva con il caregiver, si assiste alla
disregolazione emotiva
L'età prescolare (3-6 anni) si caratterizza per: Il consolidamento dei pattern di attaccamento; la comparsa e
l'affinamento delle abilità linguistiche, del gioco simbolico e di un crescente senso di controllo e
padroneggiamento; diventano importanti i ruoli sessuali e l'identità di genere assume una sua
connotazione specifica, caratterizzando in modo diverso gli interessi e i giochi dei maschi e delle femmine.
Entrano nel repertorio individuale emozioni complesse come l'orgoglio, la colpa e la vergogna, stati emotivi
che segnalano come la consapevolezza dell'altro stia assumendo una crescente importanza nell'esperienza
emotiva del bambino.
L'età scolare
cinque punti i progressi fondamentali che contraddistinguono questo periodo dello sviluppo:
1. Autoregolazione: attraverso il linguaggio comincia a calmarsi e impara a regolare le emozioni;
2. La crescente abilità di sostituire le azioni impulsive con i pensieri, le parole, il gioco, e la fantasia; il
gioco diventa il principale mezzo di assimilazione delle regole e del rispetto dell'altro;
3. Il rapporto tra pari e il sentimento dell'amicizia, all'interno della famiglia si imparano le regole di
socializzazione delle emozioni e le relative regole di esibizione;
4. Il quarto punto è inerente i legami di attaccamento, che si sviluppano contemporaneamente con
più persone affettivamente significative.
5. Comprensione degli stati emotivi. i bambini iniziano a capire che i fattori mentali possono sia
determinare sia influenzare le emozioni. Intorno ai 9 anni si arriva a una piena comprensione delle
emozioni miste alla comprensione delle emozioni morali.
Pubertà e adolescenza
Questo periodo si caratterizza per il tempo che viene lasciato all'individuo perché acceda e si adatti, dal
punto di vista affettivo, cognitivo e sociale, al ruolo e all'identità di adulto.
Periodo particolarmente tumultuoso sia dal punto di vista emotivo sia dal punto di vista relazionale,
caratterizzato da instabilità o da crisi emotiva e dalla propensione a vivere le emozioni in maniera
estremizzata.
Tipico di questa fase è l’accentuarsi dell'interesse per il gruppo dei pari.
Il benessere emotivo dell'adolescente si gioca sulla capacità di trovare e di mantenere un equilibrio tra il
coinvolgimento emotivo con la famiglia e gli interessi per il gruppo degli amici. La creazione dei primi
legami sentimentali di coppia offre una nuova occasione di integrazione dei legami d'attaccamento i quali,
oltre che riferiti alla famiglia d'origine, diventano specifici nella relazione di coppia, arricchendo in tal modo
la gamma e l'articolazione delle risorse emotive e relazionali cui il giovane può attingere per regolare la
propria emotività.
Lo sviluppo emotivo che caratterizza questo periodo dello sviluppo si contraddistingue per l'acquisizione di
alcune abilità, che consentono agli adolescenti di essere consapevoli delle proprie emozioni, così come di
quelle altrui, di viverle in maniera piuttosto intensa, di utilizzare e padroneggiare un lessico emotivo ampio
e articolato, di saper collegare in maniera opportuna le emozioni a specifici ruoli sociali e, infine, di riuscire
a comprenderne le cause anche in termini di stati mentali, mostrando una crescente capacità di regolazione
e di controllo nei confronti della loro vita emotiva e relazionale.
Età adulta e invecchiamento
Si tratta di un'età in cui le emozioni vengono pienamente intese nella loro accezione di strumenti che si
possono utilizzare in forma di strategia per conoscere e intervenire sulle informazioni che provengono dagli
ambienti di vita in cui si fa esperienza. Il modo in cui ciascuno riesce ad utilizzare il proprio patrimonio di
conoscenze emotive dipende in gran parte dal modo in cui quest'ultimo si è strutturato nel corso del
pregresso periodo di vita.
La domanda da cui origina l'interesse per quest'ultima fase della vita riguarda la qualità e il livello delle
eventuali compromissioni dell'esperienza emotiva. Nell'anziano è presente un intatto funzionamento
relativo alla memoria emotiva, capacità che si associa a una buona capacità di regolare le emozioni in
generale. Si concorda sul declino di prestazione nella capacità di riconoscimento di alcune emozioni come la
paura e, in misura minore, la rabbia.
SVILUPPO EMOTIVO E RELAZIONALE ATIPICO
Resilienza : capacità di comportarsi in maniera competente in condizioni avverse o di riprendersi da
esperienze di natura negativa e traumatica in maniera rapida ed efficace. Si tratta di una competenza di
natura individuale, spesso a base temperamentale, la cui origine è intrinsecamente relazionale, in quanto
implica specifiche transazioni tra l'individuo e l'ambiente familiare, caratterizzate da una certa intensità,
frequenza e durata nel tempo.
Infanzia
L'esperienza traumatica dell'infanzia: l'attaccamento disorganizzato => Una certa percentuale di bambini
normativi intorno al 15% e una percentuale ben più elevata di bambini ad alto rischio tra il 50 e l'80% non
riesce ad organizzare uno stile coerente e unitario nel corso del primo anno di vita, manifestando un
attaccamento di tipo disorganizzato.
Il meccanismo responsabile di tale evento è rinvenibile in un atteggiamento specifico della figura
d'attaccamento in cui all'usuale disponibilità emotiva si è sostituita la paura o uno stato di spavento che
rende il genitore temporaneamente non disponibile per prestare quella cura e conforto richiesti dal
bambino in difficoltà.
È dunque l'esperienza del trauma che determina l'avvio di un percorso atipico nell'ambito
dell'attaccamento infantile, laddove per trauma si intende il verificarsi di uno o più eventi che in maniera
frequente e ripetuta creino nel soggetto uno stato di sopraffazione emotiva, con un vissuto di impossibilità
di trovare vie di fuga o alternative a tale soluzione. Si tratta di una condizione psicologica in cui la persona,
invece di governare e gestire la propria emotività, ha l’impressione di esserne sopraffatta e sente di vivere
uno stato di impotenza.
La disorganizzazione d'attaccamento infantile può avere un'origine traumatica solo a determinate
condizioni: nel caso in cui si subisce una perdita precoce di un genitore o si verificano episodi di
maltrattamento o abuso oppure, nella seconda tipologia, il trauma può avere una qualità eminentemente
relazionale.
In quest'ultimo caso la vulnerabilità del sistema risiede nella qualità della relazione con la figura di
attaccamento; non solo nelle azioni o nei comportamenti di quest'ultima che potrebbero ad esempio
essere manifestamente violenti o abusanti ma anche, in maniera più sottile, in una speciale forma di
trasmissione psicologica del trauma, dalla mente del genitore alla mente delle bambino.
Un genitore che non ha risolto o elaborato una propria esperienza traumatica, come un lutto o un abuso,
diventa così una potenziale fonte di trasmissione intergenerazionale di tale esperienza.
L'esperienza traumatica infantile trova due modalità principali attraverso cui influenzare un decorso atipico
dello sviluppo emotivo relazionale:
 La prima rimanda al verificarsi puntuale del trauma, cioè a situazioni di vita in cui il bambino
effettivamente subisce episodi e comportamenti di natura traumatica, che mettono a dura prova le
sue vulnerabilità individuale: tipicamente casi di perdita precoce di familiari significativi come i
genitori e, in particolare la madre, oppure esperienze di natura abusiva.
 La seconda modalità presenta invece una qualità soprattutto psicologica e si verifica attraverso un
meccanismo specifico di trasmissione tra le generazioni, in cui gli stati mentali del genitore
influenzano direttamente quelli del bambino attraverso la percezione delle emozioni.
Disturbo d’ansia da separazione => Il DSM V la definisce una paura o un’ansia eccessiva e inappropriata
rispetto allo stadio di sviluppo che riguarda la separazione da coloro a cui l’individuo è attaccato. È
frequente la richiesta di continua attenzione da parte dell’adulto. Tipico è il rifiuto di andare a scuola.
Quando sono separati dai genitori possono mostrare difficoltà di concentrazione, tendenza a evitare
rapporti interpersonali. Sovente questo tipo di angoscia si manifesta con una sintomatologia somatica:
cefalea, nausea, vomito, dolori addominali sono i sintomi più frequentemente usati, specie nei bambini più
piccoli. Nei più grandi si possono manifestare palpitazioni, vertigini, sintomi di svenimento. Frequente sono
disturbi dell’umore, orientato verso l’espressione.
Disturbo reattivo di attaccamento => disturbo inizia prima di cinque anni. Consiste in modalità di relazione
sociale disturbate e inadeguate rispetto all’età del soggetto. Si distinguono due tip i=> Tipo inibito: il
comportamento del bambino mostra incapacità di porsi in relazione con altri secondo le modalità che di
norma si riscontrano alla sua età, è eccessivamente vigile, resistente ai tentativi di approccio o
ambivalenza; Tipo disinibito: in questo caso il bambino si mostra eccessivamente socievole, incapace di
scegliere figure di attaccamento. È frequente in bambini istituzionalizzati o che non vivono in un contesto
familiare stabile.
Disturbi specifici del linguaggio e sviluppo emotivo atipico => bambini con SLI (disturbo specifico del
linguaggio) hanno problemi dal punto di vista emotivo.
Età scolare e adolescenza:
serie di difficoltà che vengono identificate come disturbi da esternalizzazione o esteriorizzazione.
Si tratta di comportamenti in cui è evidente una difficoltà nel controllare le manifestazioni impulsive e
aggressive rivolte nei confronti degli altri. bambini che mostrano questi comportamenti sono soggetti al
rifiuto da parte dei pari, a carriere scolastiche problematiche e a una speciale vulnerabilità nel periodo dello
sviluppo adolescenziale, in cui il disturbo può portare ad un disturbo antisociale e, talvolta, all'uso di
sostanze.
Si tratta di un disturbo relativamente stabile nel tempo, facilitato da una base temperamentale che
predispone a rispondere con eccessiva reattività agli stimoli ambientali e promosso da una serie di fattori di
rischio: basso livello socioculturale, genere maschile, genitorialità monoparentale, gravidanza precoce o
non pianificata, numerosità dei membri familiari, conflittualità familiare elevata, stile educativo di natura
incostante e incoerente con scarso monitoraggio e con un generale atteggiamento di tipo disimpegnato,
separazioni e divorzi.
L'attaccamento prevalente è quello di tipo disorganizzato, anche se sono presenti anche gli altri.
Consapevolezza delle proprie emozioni: i bambini esternalizzati hanno un accesso vincolato alla gamma
delle possibili esperienze emotive, e possono fare esperienza in maniera pervasiva di quelle emozioni, come
la rabbia, che li portano a proiettare verso l'esterno il loro disagio, mentre altre emozioni, come la paura e
la vergogna, vengono inibite, in quanto rappresentano segnali di vulnerabilità che non possono essere
riconosciuti. Un altro punto rilevante riguarda la capacità di comprendere le emozioni degli altri in maniera
adeguata, riuscendo a sviluppare una risposta empatica nei confronti dei comportamenti e delle esperienze
altrui.
La condivisione degli stati affettivi di tristezza e vulnerabilità, unita alla capacità di tollerare la frustrazione,
rappresentano aree di particolare deficitarietà nel funzionamento psicologico dei bambini con disturbo da
esternalizzazione.
L'altro aspetto riguarda le abilità di coping e le abilità di regolazione emotiva: queste risultano
particolarmente compromesse in questi bambini
Alcuni deficit nell'area della regolazione emotiva possono coincidere con i problemi di natura disinibitoria
propri del disturbo da deficit di attenzione e iperattività e possono altresì rappresentare un meccanismo
chiave nell'insorgenza di particolari forme di comportamento antisociale.
A partire dalla tarda adolescenza una parte di questi ragazzi può presentare un vero e proprio disturbo di
personalità, ossia una modalità di funzionamento mentale e comportamentale stabile e tipica, che
accompagna il soggetto lungo l'intero ciclo di vita, con una certa stabilità nelle manifestazioni di pattern
disfunzionali.
Disturbo di personalità antisociale => è quello che risulta più correlato a tali problematiche, in quanto
presenta alcune aree di funzionamento analoghe. Le persone con tale disturbo mettono in atto
comportamenti che non tengono in alcun conto i diritti e gli stati emotivi degli altri. La loro competenza
emotiva sembra particolarmente carente sotto il profilo dell’abilità di mettersi empaticamente nei panni
dell'altro, mostrando un chiaro deficit nelle capacità empatiche.
Per questo motivo l'emozione maggiormente carente è il senso di colpa, attraverso la quale l'individuo
accede allo spazio interpersonale. Queste persone risultano particolarmente irritabili e aggressive nei
confronti degli altri, incapaci di trovare adeguati sensi di colpa per le azioni dannose compiute e in genere
anche cinici e sprezzanti nei confronti dei sentimenti e delle sofferenze altrui.
Età adulta:
il disturbo borderline di personalità: Si tratta di un funzionamento deficitario della competenza emotiva che
solo parzialmente è sotto controllo della consapevolezza e della volontà e si attiva perlopiù in maniera
automatica e incontrollata.
Quando la disregolazione assume le caratteristiche della pervasività, riguarda cioè un notevole numero di
stati interni e di situazioni, il soggetto che ne soffre presenta una serie di problemi che si manifestano in
un'ampia gamma di stati emotivi sia negativi sia positivi e in un'ampia gamma di situazioni o contesti di
adattamento
Diversi studi hanno evidenziato che il disturbo Borderline può essere correlato con diagnosi di ADHD
infantili, con episodi di bullismo in età scolare o con esperienze traumatiche con il caregiver nel corso dello
sviluppo. Questi studi dimostrano che esistono problemi sociali, legati all’empatia, all’aggressività
interpersonale, oltre che problemi emotivi.
La disregolazione emotiva ha le sue radici in una specifica forma di vulnerabilità emotiva in cui sono
coinvolti tre componenti di base: la sensibilità agli stimoli emotivi, l'intensità della risposta e il lento ritorno
alla condizione di funzionamento di base.
o
o
La prima componente segnala una particolare sensibilità agli stimoli emotivi che, in questi soggetti,
assume le caratteristiche di una sorta di ipervigilanza agli stimoli in grado di provocare emozione,
con una propensione a coglierli in maniera veloce e intensa
La seconda componente riguarda la marcata reattività emotiva mostrata da questi soggetti, cioè un
modo di rispondere in maniera immediata e intensa ai segnali veicolanti emozioni. Ne consegue
che uno degli effetti più critici del disturbo è rappresentato dall'impossibilità di tollerare stati
emotivi così intensi e dolorosi e cercare di limitarli utilizzando modalità disfunzionali
o
La terza caratteristica riguarda la durata degli stati emotivi e si caratterizza per un funzionamento
emotivo costantemente attivato, senza possibilità di ritorno alla soglia di funzionamento di base.
Il soggetto borderline presenta dunque una modalità di disregolazione emotiva che coinvolge l'intera
gamma degli stati emotivi, rendendoli particolarmente intensi, dolorosi e di difficile sedazione. Ciò
comporta una disregolazione anche sul piano dei comportamenti ossia sul piano delle strategie d'azione
naturalmente collegate alle emozioni
SVILUPPO MORALE
Lo studio della morale indaga due questioni fondamentali: il benessere e la cura di altre persone e i diritti e
la giustizia nelle relazioni interpersonali.
L'organo della morale, è la coscienza, un insieme di processi cognitivi, affettivi e relazionali che influenzano
e guidano il modo in cui gli individui agiscono in relazione a degli standard di comportamento.
Già all’età di 2-3 anni, il bambino manifesta una capacità di preoccuparsi per gli altri ed è in grado di
valutare, secondo il proprio punto di vista, ciò che è giusto o sbagliato nelle interazioni umane.
L'approccio cognitivo-evolutivo
Lo sviluppo morale si evolve parallelamente allo sviluppo cognitivo del bambino, lungo una sequenza
ordinata di stadi di sviluppo comuni a tutti gli individui. Secondo questo approccio, l'ambito morale è
considerato una manifestazione del livello di organizzazione cognitiva del bambino, al pari di altri ambiti
dello sviluppo. Questo approccio si focalizza sulla dimensione del «giudizio» e del «ragionamento» morale,
Secondo Piaget tutte le manifestazioni cognitive sono interdipendenti fra loro, perciò anche lo sviluppo
morale rappresenta una funzione del più generale processo di organizzazione cognitiva che ha luogo nel
corso dello sviluppo.
Piaget era interessato a comprendere come i bambini si rapportassero alle regole, osservandoli durante il
gioco. =>


Pratica della regola: fino ai tre anni i bambini cercano di accomodare i propri schemi motori alla
nuova esperienza del gioco. Fino ai cinque anni l'applicazione della regola è acritica e regolata
dall'esterno, da un adulto o da un compagno più esperto, senza capacità effettiva di cooperazione.
Solo nella fase del pensiero operatorio prevale l'interesse sociale del gioco, e il bambino cerca di
cooperare con gli altri impegnandosi attivamente nel trovare un accordo sulle regole da seguire per
stabilire chi sia il vincitore. Con il progredire dello sviluppo cognitivo, infine, i bambini non solo
incrementano la loro capacità cooperativa, ma si interessano alla regola in quanto tale, ingaggiando
talvolta dispute su quali siano le «vere» regole del gioco, se siano state effettivamente rispettate e
quali siano i criteri validi per assegnare i punti ai giocatori.
Coscienza della regola: in una prima fase, il bambino non ha alcuna coscienza né interesse per la
natura delle regole; in uno stadio successivo, coincidente con il pensiero preoperatorio, il bambino
imita le regole apprese dagli altri, ritenendo che esse siano immutabili, e pertanto rimane restio a
modificarle ritenendo un «errore» qualsiasi innovazione o variazione. L'origine della regola è
esterna al bambino (eteronomia). Le regole possiedono un certo alone di sacralità in relazione
all'autorità che le ha trasmesse. Solo in una successiva fase dello sviluppo, in genere verso i 10 anni,
la regola perde il carattere eteronomo ed è considerata il prodotto di un accordo reciproco tra i
giocatori.
Piaget riteneva che anche lo sviluppo delle regole morali seguisse un percorso evolutivo analogo. Fino
all'età di cinque anni, il bambino vive in una condizione pre-morale, non mostrando alcun interesse per
queste regole. Successivamente organizza le proprie idee sulla morale in due distinte forme: realismo
morale, prevalente fino agli 8-10 anni, e soggettivismo morale, che comincia a fare la sua comparsa dopo i
9-10 anni.
Realismo morale: tipico del periodo preoperatorio, le idee del bambino sulla morale sono dipendenti dalle
concezioni del realismo infantile che caratterizzano questo periodo. I doveri morali e l'obbedienza alle
regole sono visti come delle entità concrete, giuste in sé, rigide e immutabili, indipendenti dal contesto,
dalla situazione e dalla storia personale dell'individuo. Il concetto chiave è quello di eteronomia della
morale, secondo cui l'origine dei principi morali è esterna all'individuo e la loro validità è determinata
dall'autorità di chi li ha emanati.
Caratteristiche salienti di questa fase sono:
o
o
o
Responsabilità oggettiva: commisura la gravità della colpa in funzione del danno provocato.
Giustizia retributiva è la forma più primitiva di giustizia, stabilisce una proporzione tra meriti e
vantaggi, fra gravità della trasgressione e gravità della punizione.
Sanzione espiatoria presente fino all'età di 6-7 anni, si esprime in una concezione immanente della
giustizia, per cui, se ogni violazione delle regole implica una punizione, per simmetria, ogni
punizione è giusta perché essa non può essere altro che l'effetto di una violazione di regole.
Soggettivismo o relativismo morale: le regole morali non sono più considerate immutabili, ma fondate sulla
cooperazione e sulla reciprocità. Si assegna maggiore importanza alle intenzioni che sottendono l’agire e il
bambino considera diversi aspetti del contesto e della situazione nel formulare un giudizio morale. Il
concetto chiave è quello di autonomia morale, secondo cui la morale non viene più identificata con un
complesso di prescrizioni imposte dall'esterno, ma è percepita come un’istanza interiore che guida le azioni
dell'individuo, un imperativo interno risultante da una libera scelta del bambino.
Le caratteristiche salienti di questa fase sono:



Responsabilità soggettiva che lega il giudizio sui comportamenti all'intenzionalità dell'azione;
Giustizia distributiva che si fonda su un'idea di uguaglianza fra le persone e di reciprocità, per cui il
principio ispiratore è «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te»;
Sanzione per reciprocità che contiene il principio secondo cui la punizione debba adattarsi alla
natura e alla gravità della colpa in funzione di uno scopo.
Kohlberg rielaborò le intuizioni di Piaget organizzandole in una teoria sistematica sullo sviluppo morale
detta teoria stadiale dello sviluppo morale. L'idea di fondo è che il modo in cui lo sviluppo morale si evolve
sia analogo in tutti gli esseri umani. I principi del modello di Kohlberg sono i seguenti:



Universalità: tutti gli individui organizzano le proprie idee sulla morale utilizzando analoghi schemi
mentali;
Evoluzione degli schemi: si modificano nel corso della vita in relazione allo sviluppo cognitivo e
consentono il passaggio da un livello inferiore di moralità a livelli sempre più avanzati e maturi;
Serialità degli schemi: compaiono nel corso della vita secondo una sequenza coordinata e
invariante. L'enfasi posta sugli schemi mentali implica che anche la moralità includa sentimenti,
pensieri ed azioni, e soprattutto il ragionamento morale che qualifica le azioni come specificamente
morali.
Kohlberg identificò tre livelli di ragionamento morale e ognuno di essi identifica un particolare punto di
vista nei confronti delle convenzioni sociali (o prospettiva socio-morale), intesa come il sistema di regole e
di aspettative necessarie al funzionamento dell'ordine sociale.
1. Pre-convenzionale: è analogo a quello del realismo morale di Piaget ed è prevalentemente nei
bambini fino all'età di 9-10 anni. Le norme morali e sociali sono vissute come esterne al sé e non
sono oggetto di una riflessione da parte dell'individuo. Il punto di vista del bambino è quello di un
attore concreto che rispetta le regole con l'obiettivo di massimizzare i propri interessi, evitare guai
e soddisfare, per quanto possibile, i bisogni personali.
2. Convenzionale: gli obblighi, le regole e le aspettative sono sperimentati come componenti salienti
del sé. I soggetti che si trovano a questo livello, ossia la maggior parte delle persone di una società,
si identificano con un sistema più ampio di obblighi e di aspettative verso organismi sociali, sia di
tipo più ristretto, come la famiglia, il gruppo di amici, la comunità religiosa, sia verso la società
intesa in senso lato.
3. Post-convenzionale: i giudizi morali sono formulati a partire da principi generali di libertà, equità,
solidarietà. Sia i bisogni personali, sia la propria esistenza, che le stesse leggi della società, sono ora
subordinati a principi generali che trascendono i singoli individui o organizzazioni sociali, e si
pongono come riferimento normativo per tutti i membri dell'umanità.
La teoria degli ambiti: morale, convenzionale e personale
ritiene che il sistema di classificazione utilizzato tenda a confondere principi e regole di comportamento che
non appartengono propriamente solo all'ambito morale, bensì ad altri due ambiti, definiti rispettivamente
convenzionale e personale.
Ambito morale: si riferisce ai concetti di benessere, giustizia e diritti umani, che sono dipendenti dalle
caratteristiche intrinseche delle relazioni interpersonali. Le regole morali hanno origine quando il bambino
è in grado di valutare le conseguenze negative di una certa azione ai danni di una vittima; i bambini,
secondo questo approccio, riconoscono molto precocemente le implicazioni morali di alcune azioni, ma il
loro giudizio è del tutto indipendente da ciò che l'autorità prescrive, dal vantaggio personale o dalla
minaccia di essere puniti.



In questa prospettiva, le prescrizioni morali sono:
Obbligatorie: l'individuo percepisce un sentimento di obbligo interiore a seguire la regola;
Generalizzabili: la validità della norma deve essere generale e universale in tutte le situazioni
pertinenti;

Impersonali: la norma cui si fa riferimento è valida indipendentemente dai gruppi o dalle autorità
che l'hanno istituita e pertanto non è modificabile arbitrariamente da un individuo o da gruppi di
individui.
Ambito convenzionale: le convenzioni sono degli standard concordati riguardanti il comportamento sociale
e sono determinate dal sistema di riferimento in cui la persona è cresciuta. Non è l'azione in sé ad avere un
effetto intrinsecamente negativo, ma l'effetto varia in funzione del contesto sociale in cui queste norme
sono applicate. Gli standard convenzionali, essendo accettati e concordati, servono a regolare le interazioni
tra persone appartenenti a un sistema sociale.
Le regole convenzionali: Sono stabilite da autorità, Non sono universali, Non sono generalizzabili
Ambito personale: riguarda una serie di comportamenti e di regole le cui conseguenze ricadono
unicamente sul soggetto che li mette in atto. Riguarda questioni quali la scelta degli amici, il modo di
vestire, i gusti musicali e l'orientamento sessuale. Poiché spetta unicamente all'individuo decidere come
regolare la propria condotta in questo ambito, le regole possono essere cambiate a piacimento. Anche se
gli ambiti tendono spesso a sovrapporsi e non è sempre facile discriminarli, le ricerche hanno supportato la
validità della loro distinzione e dimostrato che i bambini sono in grado di distinguere precocemente, molto
prima di quanto non ritenessero Piaget e Kohlberg, ciò che concerne l'ambito morale o quello
convenzionale. Secondo la teoria degli ambiti, già all'età di due anni e mezzo si possiede un'embrionale
distinzione tra ambito morale e convenzionale e si sa distinguere tra ciò che si ritiene sbagliato in sé e ciò
che si ritiene tale perché disapprovato dai genitori.
Le radici affettive dello sviluppo morale => Nella dimensione cognitiva dello sviluppo morale è analizzato lo
sviluppo del giudizio e del ragionamento morale piuttosto che del comportamento o del sentimento
morale. L'esperienza morale non può essere pienamente compresa se ci si limita alla sola componente
cognitiva senza prendere in esame il vissuto emozionale che ad essa si accompagna.
Empatia e moralità => Gli studiosi che hanno indagato le origini affettive dello sviluppo morale hanno
identificato nell'empatia l'emozione che ne è alla base. Empatia: attivazione di processi psicologici che
fanno sì che una persona abbia sentimenti che sono più congruenti con la situazione di un'altra persona
piuttosto che con la propria.
Lo sviluppo dell'empatia
Le prime manifestazioni dell'empatia sono molto precoci e avvengono ben prima della comparsa del
linguaggio.
 Stadio zero: una prima testimonianza della corrispondenza empatica tra sé e l'altro è data dal
pianto reattivo del neonato. Questa modalità primaria, definita come contagio emotivo è attivata
da un meccanismo primitivo di imitazione motoria.
 Stadio uno: il primo stadio vero e proprio dell'empatia compare intorno ai sei mesi di vita ed è
quello dell'empatia egocentrica. A quest'età la risposta automatica del pianto tende a estinguersi e
il bambino reagisce in altro modo in presenza di un coetaneo che manifesti una condizione di
sofferenza: assume un'espressione triste, mostra segnali di disagio come mordersi il labbro e può
ricercare attivamente il grembo della madre nel quale trova protezione. Questo comportamento
indica che il bambino è entrato in sintonia con lo stato mentale dell'altro e cerca di consolare
soprattutto sè stesso dalla condizione di sofferenza emotiva che sta sperimentando.
 Stadio due: intorno al secondo anno di vita compare il secondo stadio dell'empatia, definito come
empatia quasi egocentrica. In questa fase si notano le prime connessioni con il comportamento
morale. In presenza di un pari che vive un disagio, il bambino potrebbe cercare di aiutarlo al fine di
alleviare la sua condizione. Lo fa, però, con modalità poco efficaci, a causa dei limiti di natura
cognitiva che lo rendono incapace di comprendere quali siano i veri bisogni dell'altro. Si tratta di
empatia quasi egocentrica, in quanto la distinzione tra sé e l'altro non è del tutto compiuta e il
bambino non riesce a decentrare del tutto il proprio punto di vista da quello di un'altra persona.
 Stadio tre: empatia in risposta alla situazione di un altro. È reso possibile da accresciute abilità
cognitive, in particolare dal consolidarsi di una teoria della mente che consente al bambino di
distinguere chiaramente i confini del sé da quelli dell'altro, rendendolo consapevole che i bisogni
dell'altro possono essere diversi dai propri. Hoffman la chiama empatia veridica, cioè aderente alla
reale situazione emotiva dell'altro che si consolida sempre più nel corso della crescita.
 Stadio quattro: l'empatia per la condizione esistenziale dell'altro è lo stadio più maturo dell'empatia
ed implica capacità astratte di pensiero. Non è necessario che l'altra persona stia effettivamente
sperimentando una condizione di disagio nella specifica circostanza per provare empatia, ma
l'identificazione empatica avviene in rapporto alle condizioni generali di vita dell'altra persona.
L'esperienza empatica è il motore che dà avvio al processo per la costruzione di un pensiero e un
comportamento morale. Perché ciò accada è necessario che essa si trasformi in simpatia, ossia in un
sentimento di preoccupazione per la condizione altrui che spinga a «prendersi cura» della persona
sofferente e ad aiutarla a risolvere le sue difficoltà. Se siamo vicini ad una persona che soffre, che sta
subendo un torto e, soprattutto, se riteniamo che questi sia vittima innocente di qualcuno o qualcosa, è
molto probabile che chi osserva questa situazione tenderà a provare un'emozione negativa simile a quella
della vittima. Questo tipo di attivazione viene chiamata da Hoffman distress empatico e può avvenire sia se
si è semplici osservatori della situazione sia se si è la causa volontaria o involontaria della sofferenza altrui.
La sperimentazione di uno stato d'animo negativo al contatto con la vittima rappresenta una spinta
motivazionale alla messa in atto di comportamenti riparativi di tipo morale e prosociale in quanto si aziona
un ragionamento quasi egoistico: «Se allevio la sofferenza della vittima allevierò anche la mia».
Il distress empatico tende a trasformarsi in simpatia, una risposta emotiva caratterizzata dall'apprensione e
dalla preoccupazione per lo stato emotivo dell'altro e che contribuisce alla promozione di più elevati livelli
di sviluppo morale.
La trasformazione del distress empatico in un sentimento altruistico non è per nulla scontata. Se il distress
empatico è troppo elevato, si verifica quello che viene chiamato effetto paradosso dell'empatia:
l'osservatore prova una sofferenza maggiore della vittima. Livelli troppo elevati di distress empatico si
trasformano anche in quello che viene chiamato personal distress, e agiscono in modo avversivo rispetto
alla messa in atto di comportamenti morali, in quanto il disagio provato è tale da indurre le persone a
evitare il contatto con la sofferenza altrui.
Questo fallimento del processo di trasformazione dell'empatia in un comportamento di tipo moraleprosociale è spesso imputabile a ridotta capacità di regolazione emozionale
L’orinetamento morale-prosociale.
Questo approccio parte dagli stessi presupposti del modello di Hoffman, integrandolo grazie a una
maggiore enfasi posta sulla differenza tra simpatia e empatia; la prima è una risposta affettiva che si genera
dalla seconda, anche se può derivare direttamente dalla capacità di assumere la prospettiva dell'altra
persona, e consiste in un sentimento di dispiacere o preoccupazione per un altro in condizioni di sofferenza
o bisogno.
Il disagio personale è valutato negativamente perché tende ad allontanare le persone dal comportamento
di aiuto. Sul piano evolutivo, il comportamento prosociale si manifesta, già nei primi anni di vita, e tende ad
aumentare durante gli anni della scuola primaria e secondaria fino all'adolescenza. I comportamenti prosociali aumentano soprattutto verso i coetanei e diminuisce la tendenza a sperimentare personal distress.
Riducendosi il disagio derivante dal contatto con la sofferenza altrui, viene favorita la propensione ad
aiutare l'altro. Alcuni studi longitudinali hanno messo in luce due importanti caratteristiche del
comportamento pro-sociale: la prima è che vi sono rilevanti differenze individuali, nel senso che alcuni
bambini si mostrano più pro-sociali di altri. La seconda è che questo comportamento tende a mantenersi
negli anni, ossia tende alla continuità: i bambini che lo usano con maggiore frequenza negli anni della
scuola elementare, lo faranno anche negli anni successivi
Interiorizzazione morale e coscienza
La socializzazione morale
L'internalizzazione di principi morali, che rappresenta il livello più elevato dell'orientamento morale
prosociale, fa riferimento a un processo secondo il quale i principi morali ai quali il bambino è esposto nel
proprio ambiente, inizialmente vissuti come esterni a sé, diverranno progressivamente parte del sé,
saranno percepiti dall'individuo come auto-generati e assumeranno un valore intrinseco indipendente dai
fattori contestuali. Questo processo è reso possibile dalla socializzazione morale, termine con il quale si
denotano i processi cognitivi, affettivi e sociali attraverso i quali i bambini assimilano e rielaborano nel
corso del processo di crescita i valori, i principi e le regole morali propri della comunità sociale di
riferimento. La socializzazione è un fenomeno ampio che non riguarda solo le regole morali, ma qualsiasi
comportamento come le pratiche alimentari, il modo di vestirsi, e così via.
Obiettivo della socializzazione morale è quello di far sì che il bambino metta in pratica le regole di condotta,
non per paura della punizione o per convenienza, ma per un’adesione convinta ai valori sottesi a un dato
comportamento. Perché ciò accada è necessaria la costituzione di una coscienza morale, intesa come un
meccanismo psicologico che guida le azioni dell'individuo in assenza del controllo da parte di agenti o
fattori esterni
La formazione della coscienza morale avviene in concomitanza con le vicissitudini del complesso edipico. Il
bambino, constatata l'impossibilità di competere con il padre, supera la conflittualità con quest'ultimo
attraverso un processo chiamato identificazione (se non posso essere te, allora sarò come te). I genitori
esercitano una straordinaria influenza sullo sviluppo della coscienza infantile. Tuttavia, i risultati delle
ricerche non supportano l'idea di una trasmissione meccanica e lineare dei principi morali, sia perché i
bambini non assimilano passivamente gli stimoli ambientali, ma li selezionano attivamente e li rielaborano,
sia perché altri fattori di moderazione intervengono nel processo di socializzazione favorendo o
ostacolando la trasmissione dei modelli valoriali da una generazione all'altra. Secondo Hoffman, i genitori
possono utilizzare tre diversi tipi di strategie disciplinari, ciascuna con un diverso impatto sul processo di
interiorizzazione morale.
La socializzazione morale non dipende solo dalle strategie genitoriali, ma anche dal modo in cui il figlio
percepisce e valuta i valori dei genitori. Gli studiosi della socializzazione morale hanno messo in luce alcuni
fattori che esercitano una decisa influenza sulla trasmissione dei principi morali:
o
o
o
o
o
Accuratezza della percezione: chiarezza con cui il figlio percepisce i valori dei propri genitori:
quanto maggiore è l'accordo nella coppia sugli insegnamenti da dare ai figli, tanto più questi li
percepisce chiaramente;
Ridondanza: riguarda la tendenza dei genitori a ribadire in più occasioni il proprio punto di vista ai
figli;
Coerenza tra i valori professati e il concreto comportamento;
Clima affettivo e relazionale positivo: nei contesti familiari caratterizzati da relazioni positive tra i
membri, il messaggio educativo raggiunge in modo più efficace i figli perché poggia su legami di
attaccamento sicuri che aumentano la fiducia del bambino verso le richieste genitoriali e lo
rendono più ricettivo ad esse;
Flessibilità genitoriale rispetto ai livelli di comprensione di bisogno del bambino: un atteggiamento
intrusivo e di controllo da parte dei genitori si associa di frequente a comportamenti di tipo
deviante.;
Il bambino accoglie attivamente i messaggi educativi dei genitori: li seleziona, li elabora, li trasforma e li
influenza nei modi e nei contenuti. Si parla di effetto bambino. Il carattere o il temperamento del bambino
può indurre i genitori ad assumere ora uno stile centrato sul potere, ora sul ritiro dell'amore, ora più
flessibile e di tipo induttivo.
La socializzazione morale può seguire diverse traiettorie di sviluppo e l’esito dipende soprattutto da quanto
i genitori saranno capaci di adeguare il proprio stile educativo alle specifiche caratteristiche del bambino e
sapranno comportarsi in modo appropriato nelle diverse circostanze. I bambini sono attenti osservatori del
comportamento e in grado di valutare la coerenza tra i principi che essi professano e l’effettivo
comportamento.
Le trasmissioni dei principi morali non vanno intese come mero trasferimento dei valori da una generazione
all'altra, ma piuttosto come un complesso processo che consente ad una generazione successiva di
appropriarsi dei valori delle precedenti, di assimilarli, ma anche di trasformarli in una nuova e più
complessa organizzazione.
Le origini della coscienza morale => Negli ultimi anni si è verificato un vero e proprio mutamento
paradigmatico, grazie soprattutto agli studi sulla teoria della mente che hanno mostrato il precoce
interesse dei bambini al mondo dei pensieri, dei sentimenti e delle credenze proprie e altrui.
Un primo modo di indagare la comparsa di una struttura di coscienza nel bambino è osservare gli effetti
emotivi e comportamentali in risposta alle sensazioni e alle ricompense degli adulti, così da valutare quali
siano le aspettative e gli standard di riferimento interno, in relazione ai diversi comportamenti. Oggetto di
queste ricerche sono due componenti della coscienza: le emozioni morali e la condotta morale.
Un passaggio cruciale nella formazione della coscienza morale avviene quando i bambini percepiscono sé
stessi come agenti causali e quindi responsabili delle proprie azioni. Ciò avviene in genere intorno alla
secondo/terzo anno di vita
I comportamenti di obbedienza alle richieste dell'adulto: in passato si riteneva che i bambini obbedissero
soprattutto per una forma di rispetto e timore dell’autorità, almeno fino all'età di 8-10 anni. Gli approcci
più recenti hanno invece dimostrato che ben presto si obbedisce, non solo per la paura di una punizione,
ma per la precoce adesione a principi morali standard interiorizzati.
All'età di un anno il bambino evita di mettere in atto dei comportamenti proibiti, forse perché associa quel
comportamento alla riprovazione dei genitori e all'ansia conseguente al rimprovero.
A due anni si può evitare di fare qualcosa perché si è osservato qualcuno che veniva rimproverato per un
certo comportamento, ma ancora non vi sono segni di interiorizzazione morale, in quanto in questa fase è
ancora centrale la funzione dell'adulto come riferimento sociale.
Tra i due e i cinque anni sembra compiersi il percorso che conduce allo sviluppo della coscienza, che
avviene in concomitanza all'emergere di una teoria della mente. E’ stato osservato come sia opportuno
distinguere i comportamenti di obbedienza in due tipologie:


Obbedienza centrata sulla situazione: il bambino è cooperativo ma non aderisce con entusiasmo
alle richieste dell'adulto, la sua disponibilità è limitata alle singole situazioni e la sua risposta
affettiva è neutrale.
Obbedienza centrata sull’impegno: il bambino collabora con entusiasmo alle attività familiari e
sembra aderire con partecipazione ai valori materni. È solo in questo caso che l'obbedienza
infantile può essere considerata un embrione di sé morale che si fonda sulla percezione di sé come
«buono», la cui comparsa viene quindi molto prima rispetto a quanto ipotizzato da Kohlberg.
SVILUPPO MORALE ATIPICO
nei casi di persone con disabilità intellettuale, si potrebbe non verificare una progressione degli stadi
evolutivi del ragionamento morale rapida come quella dei coetanei con sviluppo tipico, o raggiungere stadi
più avanzati.
Il bullismo tra bambini
Riguarda la messa in atto, nell'ambito del gruppo di pari, di ripetuti atti aggressivi verso qualcuno che non è
in grado di difendersi. Esso si configura come un sistematico abuso di potere nel quale un bambino o un
gruppo di bambini bulli, esercitano il loro potere in senso fisico, psicologico, sociale su altri individui più
deboli (vittime), al fine di infliggere loro un danno che può esprimersi sia attraverso forme dirette, come
aggressioni fisiche o verbali, sia indirette, come escludere un compagno del gruppo o mettere in giro delle
voci negative sul conto di qualcuno.
Il vantaggio che ne consegue per l'aggressore può essere: Materiale ( appropriarsi di soldi oggetti della
vittima) O Simbolico, il bullo accresce, o ritiene di accrescere, il proprio potere e prestigio all'interno del
gruppo dei pari. Quest'ultima notazione mette in luce la dimensione relazionale del fenomeno del bullismo.
L'osservazione del comportamento di bambini di scuola elementare durante la ricreazione in cortile ha
messo in evidenza come la maggior parte degli episodi di bullismo avvenga in presenza dei pari. Questo
risultato rinforza l'ipotesi che il bullo sia motivato da un forte bisogno di accrescere il proprio dominio
sociale sul gruppo e indica, al tempo stesso, che la comprensione del fenomeno del bullismo non può
essere circoscritta solo al comportamento dei due attori principali, il bullo e la vittima, ma deve essere
estesa all'intero gruppo dei pari. Una delle prospettive di ricerca e di intervento riguarda il ruolo dei
partecipanti.
È stato così osservato che oltre al bullo e alla vittima sono presenti sulla scena:
 Gli aiutanti del bullo, che non prendono direttamente di iniziativa ma sono pronti a sostenerlo
quando si tratta di passare all’azione;
 I sostenitori del bullo, che pur non partecipando direttamente all'aggressione verso la vittima, ne
incoraggiano l'azione (ad esempio deridendo le umiliazioni subite dalla vittima);
 Gli spettatori passivi, che sembrano neutrali e distaccati rispetto a ciò che accade in classe;
 I difensori che cercano di proteggere sostenere il compagno più debole (la vittima).
I comportamenti di prevaricazione possono essere intesi come una violazione dei principi morali,
trattandosi di azioni intenzionalmente volte a danneggiare e ferire una vittima, senza che vi sia stata una
precedente provocazione da parte di quest'ultima. Le ricerche che hanno indagato la relazione tra bullismo
e pensiero morale hanno messo in luce come i bulli utilizzino una modalità di ragionamento morale di tipo
egocentrico.
La maggior parte delle ricerche indica che la frequenza di atti di bullismo è persino più elevata (anche se
probabilmente meno grave) tra i bambini più piccoli che fra i più grandi. Questa maggiore frequenza può
essere attribuita alle ridotte capacità di autoregolazione del comportamento e a una minore abilità
nell'assumere la prospettiva dell'altro, che porta a non riconoscere la sofferenza inflitta alle vittime.
Un deficit nelle capacità empatiche e di perspective taking è considerato una tipica caratteristica
psicologica dei soggetti prevaricanti anche se, negli ultimi anni, si è attivato un vivace dibattito sulla reale
natura di questo deficit.
i bulli, non solo non difettino di empatia cognitiva, ma siano addirittura più abili dei propri compagni a
comprendere gli stati mentali dell’altro. Il loro limite risiede probabilmente in una minore capacità di
sintonizzarsi affettivamente con le emozioni dell'altro e questo li induce a non percepire, a livello emotivo,
il grado di sofferenza inflitto alla vittima. Al contrario, possedendo buone capacità di perspective taking,
grazie ad una più sviluppata teoria della mente, essi riescono a comprendere gli stati mentali delle loro
potenziali vittime, così da raccoglierne le debolezze e sottometterle più facilmente.
bullismo non è un fenomeno riconducibile alle sole caratteristiche personali dei soggetti coinvolti, ma ha
anche a che fare con il clima di gruppo. Lo school ethos (cultura etica della scuola) è uno dei fattori
maggiormente implicati nella diffusione del bullismo = > Progetti di intervento: trasformazione del clima
morale della scuola.
Antisocialità e delinquenza in adolescenza
Un generale atteggiamento positivo verso la violazione di norme sembra tipico dell'adolescenza, anche se il
più delle volte si tratta di violazioni riconducibili all'ambito convenzionale e personale, piuttosto che a
quello morale. Gli atteggiamenti di rottura verso le convenzioni durante l'adolescenza soddisfanno alcune
esigenze di crescita, quali: bisogno di affermazione e sperimentazione di sé, verifica dei propri limiti e
ricerca di sensazioni, nonché il bisogno di integrazione nel gruppo dei pari e di differenziazione dal gruppo
degli adulti.
Gli adolescenti coinvolti in attività delinquenziali possono presentare alcune specifiche caratteristiche
atipiche:
Ritardo nello sviluppo del giudizio morale: gli adolescenti che permangono ai due stadi inferiori della
classificazione di Kohlberg sono più frequentemente implicati in comportamenti delinquenziali, perché i
loro giudizi morali sono fondati sull'analisi dei costi e benefici personali o sulla reciprocità pragmatica, ma
non possiedono uno standard interno autoregolatorio di condotta.
Distorsione sistematica della realtà in chiave egocentrica: i giudizi morali dei giovani delinquenti sono in
genere molto superficiali ed esprimono una tendenza egocentrica, per cui il giovane delinquente, tende a
lamentarsi. Le inadeguate capacità di perspective taking, conducono a una visione particolare del mondo
interamente centrata su di sé,
L'adolescente delinquente opera alcune tipiche distorsioni cognitive della realtà sociale. Una di queste è la
tendenza a colpevolizzare gli altri per la propria immoralità, esemplificata da espressioni del tipo «è la vita
che mi ha reso così» oppure la tendenza a ipotizzare sempre il peggio, ad avere una prospettiva
dell'esistenza apocalittica e negativa, nella quale nessun miglioramento sociale è possibile se non a prezzo
di un rischio personale legato alle proprie trasgressioni.
Anche se i giovani delinquenti sembrano attestarsi ad un livello inferiore di sviluppo morale, non sempre la
relazione tra giudizio morale e con comportamento delinquenziale e così diretta.
Fattori di moderazione che facilitano il passaggio da un livello basso di sviluppo morale a un'azione
delinquenziale:
 Credenze e valori dominanti nel contesto di vita del soggetto: se un ragazzo con un basso livello di
sviluppo morale vive in un contesto socio-economico di povertà e di disoccupazione e in un
contesto culturale dove il ricorso a comportamenti delinquenziali costituisce la norma, la
probabilità che egli ricorrà a condotte devianti per conseguire obiettivi personali o risolvere
situazioni conflittuali sarà molto più elevata;
 Età dei soggetti: un ritardo nello sviluppo morale può avere un maggior effetto sul comportamento
delinquenziale nella tarda adolescenza piuttosto che nella prima adolescenza, come attesta la più
elevata incidenza di comportamenti devianti in quel periodo di vita;
 Intelligenza: è considerata un fattore di protezione rispetto alla messa in atto di condotte
delinquenziali, perché i soggetti con una maggiore abilità cognitiva hanno una maggiore possibilità
di incrementare il proprio livello di giudizio morale;
 L'istituzionalizzazione: l'esperienza carceraria sembra avere un’influenza rilevante sul
comportamento delinquenziale dei giovani che raramente traggono giovamento da una sanzione di
tipo reclusivo
I meccanismi di disimpegno morale in età adulta
i principi morali alle esigenze soggettive, riducendo il potenziale conflitto tra norme ideali e i concreti
comportamenti della vita quotidiana
Secondo Bandura, la condotta trasgressiva è regolata da due principali tipi di sanzioni: quelle sociali e quelle
internalizzate, che operano in modo anticipatorio rispetto al comportamento. Gli individui, prima di
mettere in atto un comportamento di trasgressione, anticipano mentalmente le conseguenze dell'azione.
Le sanzioni sociali espongono la persona a una punizione o a una censura da parte della società, mentre le
sanzioni internalizzate espongono a sentimenti di autocondanna e di riprovazione per il proprio
comportamento, diminuendo il senso di autostima e di autorispetto. Sono soprattutto le sanzioni interne a
determinare il comportamento individuale.
La capacità di agire moralmente è resa possibile da meccanismi di autoregolazione, grazie ai quali la gente
riesce a vivere generalmente in accordo con i propri principi morali.
Diversamente dai teorici dell’interiorizzazione, secondo i quali la coscienza morale sovraintende sempre il
comportamento messo in atto, Bandura ritiene che i principi morali non siano sempre attivi nel regolare la
condotta, bensì vengano attivati e/o disattivati a seconda delle circostanze e della convenienza personale.
Questa operazione è resa possibile dall'azione di alcuni meccanismi autoregolatori della condotta morale
chiamati meccanismi di disimpegno morale, la cui funzione è di disimpegnare temporaneamente la
condotta dai principi morali.
I vantaggi sono evidenti: se non si attiva la sanzione interna, l'individuo non vive il senso di biasimo per aver
trasgredito un proprio principio morale, l'autostima non ne risulta intaccata e in più vengono perseguiti una
serie di vantaggi personali.
INTERVENTO CLINICO E RIABILITATIVO DELLO SVILUPPO
La psicopatologia dello sviluppo è nata intorno agli anni 70 dall'incontro di diverse aree di ricerca: psicologia
generale dello sviluppo, psicologia cognitiva, psichiatria infantile, psicologia clinica, etologia. È stata definita
come una disciplina che si occupa dello sviluppo e delle sue deviazioni, studiando l'origine e l'evoluzione dei
pattern individuali di comportamento disadattato.
L'evoluzione a lungo termine di un individuo dipende dall’interazione tra gli eventi sfavorevoli da un lato e
favorevoli dall'altro, ossia tra i fattori di rischio e fattori protettivi. A seconda del prevalere degli uni o degli
altri il soggetto potrà presentarsi come un soggetto vulnerabile, non integrato, con manifestazioni di
disadattamento di vario tipo, oppure come una soggetto resistente, scarsamente vulnerabile con un buon
grado di integrazione e di adattamento sociale.
Multifattorialità dei disturbi dello sviluppo
Greenberg sottolinea che per la maggior parte dei disturbi non esista un'unica causa. Per cui anche quando
sia fortemente implicata una causa biologica, come ad esempio nell’autismo, anche l'intervento sulla
relazione genitore bambino può rappresentare un obiettivo importante di trattamento. La stessa
Greenberg propone un modello che evidenzia quattro generali domini di rischio:





caratteristiche interne al bambino: vulnerabilità biologica, funzioni neurocognitive, temperamento;
qualità delle relazioni primarie di attaccamento;
stile educativo parentale e strategie di socializzazione;
ecologia familiare: eventi vitali critici, stress e traumi della
vita familiare, risorse organizzative familiari, rete sociale
Più si intrecciano i fattori, più sarà presente un’evidenza clinica.
Continuare a immaginare che esistano uno sviluppo cognitivo, uno sviluppo affettivo sociale, ecc., ognuno
con sue fasi specifiche e con sue regole distintive, e quindi che il bambino possa essere «fatto a fette», con
tutti i vantaggi e il controllo delle diverse variabili in gioco che tali distinzioni possono aver offerto sul piano
della ricerca, costituisce una pesante limitazione per chi si occupa del bambino reale in ambito clinico ed
educativo.
Il sistema conoscitivo umano è un insieme organizzato di «schemi». Ciò ci aiuta finalmente a ricomporre
l'unitarietà del bambino e dei suoi processi di sviluppo. Un altro grande vantaggio di questa prospettiva
integrata è quello di ragionare più in termini di «itinerari di sviluppo», piuttosto che di fasi evolutive.
I sistemi di classificazione attualmente in uso per la psicopatologia infantile sono il manuale diagnostico
statistico dei disturbi mentali DSM-V (American Psychiatric Association, 2013), e la classificazione delle
sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali, ICD-10 (Word Health Organization, 1992) nella loro
organizzazione puramente descrittiva non riescono a render conto adeguatamente delle implicazioni di
carattere relazionale. Ciò che le manca è una teoria esplicativa dei rapporti che connettono e
disconnettono nella storia la biografia familiare con la biografia del bambino.
Il riferimento per definire i tipi di intervento è il modello medico: una patologia o una condizione anomala
creano una sofferenza o altri tipi di problemi, e lo psicologo, una volta definito il problema con una
procedura diagnostica, è chiamato a intervenire in termini preventivi, curativi o riabilitativi. Secondo la
terminologia medica, questi tipi di intervento sono definiti nei seguenti modi.
o
o
o
Intervento preventivo: viene distinto in diversi tipi, prevenzione primaria, secondaria, e addirittura
terziaria che peraltro coincide con la riabilitazione. La prevenzione primaria è un tipo di intervento
che si propone di proteggere i soggetti sani, annullando o riducendo il rischio di malattia. La
prevenzione secondaria è il tipo di intervento che agisce su un processo patogeno già in atto, in cui
i soggetti sono stati colpiti da un danno, che però non è ancora manifesto a livello clinico.
Intervento terapeutico (o clinico): un soggetto affetto da una malattia clinicamente evidente verrà
trattato in modo da eliminare la causa di malattia oppure bloccarne l'effetto, attenuare il processo
patologico e/o i suoi sintomi e limitare il danno da esso derivante
Intervento riabilitativo o abilitativo: si effettua sulle situazioni in cui la malattia ha danneggiato il
soggetto, sia in seguito a una decorso acuto, sia durante un decorso cronico
L'intervento volto a massimizzare il recupero delle autonomie e dei livelli di funzionamento premorbosi
viene definito intervento riabilitativo (o anche prevenzione dell'invalidità, vale a dire prevenzione terziaria).
Laddove non si possa parlare di malattia in senso stretto, bensì il soggetto si trova in una condizione atipica
statica, un intervento avente lo scopo di massimizzare il livello di funzionamento e di autonomia del
soggetto viene definito abilitativo. In senso stretto, infatti, non si può mirare a ristabilire un livello di
funzionamento che il soggetto non ha mai mostrato. Si può invece, agendo sulle abitudini di vita e sulle
caratteristiche dell'ambiente, modificare i parametri rilevanti per il livello di abilità/inabilità del soggetto.
Nei servizi pubblici per l'età evolutiva, è in effetti assai più ampia l'attività cosiddetta di primo livello,
ovvero di diagnosi e di consulenza, piuttosto che di terapie senso stretto. Quello della consulenza è un atto
molto complesso e particolarmente delicato, anzitutto, perché opera in uno spazio e in un tempo limitato,
veicolando un concentrato notevole di messaggi; inoltre, muovendosi spesso su un campo vergine
giudicare emozionali critiche emergenti del bambino e nel suo sistema familiare, può avere effetti
considerevoli nella definizione o con ridefinizione della situazione di crisi e nella sua futura evoluzione.
Qualunque tipo di intervento dovrà ovviamente essere preceduto e informato da un'attenta fase di
valutazione (assessment) o inquadramento diagnostico.
Sarà necessario pertanto un approccio globale integrato che comprenda un esame attento:
 del funzionamento psicologico del bambino, del ragazzo o dell'adolescente (delle sue
caratteristiche individuali, di sviluppo, auto organizzative, emotive, cognitive e sociali);
 delle caratteristiche del sistema di accudimento-cure (il funzionamento psicologico dei genitori e le
globali risorse del sistema familiare);
 dell'esperienza interpersonale e dei pattern interattivi tra il bambino e il caregiver nel loro
specifico contesto di vita.
la formulazione diagnostica si presenta come sintesi ragionata complessa delle conoscenze acquisite sul
caso dai diversi tecnici negli specifici campi e si configura come ipotesi atta guidare la pianificazione un
adeguato intervento terapeutico. Per ogni area occorre trovare strumenti di valutazione affidabili, capaci di
distinguere i comportamenti «normali» da quelli «devianti», in funzione dell'età.
Aree dell’intervento clinico
Le aree specifiche dell'intervento clinico si seguiranno lo schema multiassiale del ICD-10 molto utilizzato
nell'ambito dei servizi per l'età evolutiva e del DSM-V.
Per quanto riguarda l’ICD-10 la suddivisione multiassiale ci aiuta a meglio comprendere il disturbo.



asse I: è relativa alla distinzione tra i disturbi da internazionalizzazione (disturbi di ansia)
esternalizzazione (disturbi oppositivi provocatori e della condotta e disturbi da deficit di attenzione
iperattività (DDAI);
asse II: disturbi dello sviluppo motorio, del linguaggio, dell'apprendimento, disturbi generalizzati
dello sviluppo;
asse III: ritardo mentale.
Per ciascuna di queste tre aree psicopatologiche è necessario individuare l’area di intervento preventivo; le
necessarie procedure e gli strumenti e relativi problemi diagnostici con i quali lo psicologo clinico deve
confrontarsi e infine le linee essenziali del percorso terapeutico e riabilitativo.
Asse I: i disturbi nello sviluppo emotivo, affettivo e relazionale
In quest'area le principali problematiche (motivo più frequente di consultazione nei servizi dell'età
evolutiva) possono essere raggruppate in due categorie fondamentali: disturbi da internalizzazione e i
disturbi da esternalizzazione.
Una delle caratteristiche distintive dei disturbi da internalizzazione è rappresentata dall'ipercontrollo sul
comportamento e dalla prevalenza di modalità rappresentative distorte e disfunzionali, quali
catastrofizzazione e autosvalutazione (distorsione cognitiva); mentre i disturbi da esternalizzazione si
manifestano usualmente con un ipocontrollo, scarsa riflessività, carenza nelle abilità di problem solving, e
di pensiero
La scala comportamentale più comunemente usata e scientificamente validata è la Child Behavioral
Checklist (CBCL). La scala d'ansia per l'età evolutiva, il Children’s Depression Inventory o la Child Depression
Scale. Nella osservazione e valutazione della qualità dei legami di attaccamento in atto tra il bambino e i
suoi caregiver, e dello stato mentale dei genitori (e quindi nell'analisi delle funzioni relazionali dei sintomi)
potranno essere utilizzati strumenti diagnostici diversi a seconda dell'età del bambino e delle
caratteristiche dei genitori.
Diversi programmi di tipo cognitivo comportamentale hanno mostrato una buona efficacia del lavoro
terapeutico con bambini e adolescenti con disturbi d'ansia. Tali programmi integrati di trattamento hanno
come obiettivo principale quello di aiutare il bambino a riconoscere i segnali dell'impellente arousal
ansioso, e fare in modo che questi servano come indicatori per l'utilizzo di adeguate strategie di gestione
dell'ansia.
Due tipi di intervento: uno più a orientamento pedagogico e di acquisizione delle abilità, in cui il bambino è
aiutato in modo semplice ad identificare le varie componenti della propria reazione ansiosa (somatiche,
cognitive, comportamentali) e successivamente a costruire efficaci abilità di coping riguardo a ciascuna di
queste componenti.
L'ampliamento del lavoro terapeutico con la coppia genitoriale del lavoro terapeutico quando risulta
possibile, consolidando la consapevolezza delle loro aree emozionali critiche, del loro modo di gestirle, di
comunicarle all'interno della coppia, può consentire in alcuni casi una migliore stabilizzazione dei risultati:
più stabile è la cornice rappresentata dalle possibili turbolenze emozionali che attraversano il sistema
d'accudimento-cure del bambino, più i diversi tasselli del puzzle terapeutico, le diverse abilità di coping che
il bambino stesso ha interiorizzato, saranno in grado di reggere l'impatto degli eventi critici futuri.
uno dei problemi terapeutici principali che si pone in tali quadri clinici, sarà quello di aiutare madre e
bambino a ripristinare un contesto di condivisione emotiva e di comunicazione sulle aree emozionali
critiche e inespresse (connessa all’ansia di perdita del legame piuttosto che a qualcosa di esterno:
usualmente la scuola) e sulla funzione svolta dal sintomo.
Offrire al genitore la possibilità di riconoscere e di esprimere emozioni connesse ad alcune dolorose
vicende nei propri legami primari di attaccamento, può restituirgli la capacità di riconoscere e sintonizzarsi
meglio sui bisogni emotivi e affettivi del proprio figlio, promuovendo nella sicurezza.
I disturbi da esternalizzazione: disturbi della condotta e disturbo oppositivo provocatorio
I disturbi della condotta e il disturbo oppositivo provocatorio costituiscono un importante problema clinico
nella consultazione presso gli ambulatori. Si tratta di disturbi relativamente stabili, che si possono porre in
continuità con il disturbo antisociale di personalità nell'età adulta e il cui costo sociale e tra i più elevati.
L'ottica preventiva sembra risultare la più valida nell’ostacolare l'organizzazione in comportamenti
aggressivi cronici, essendo stati ormai identificati con certezza alcuni fattori di rischio biologico,
psicosociale, familiare.
Le ricerche indicano l'importanza di diagnosticare precocemente i comportamenti aggressivi e i DC dal
momento che gli interventi precoci si sono dimostrati più efficaci in questo ambito, mentre tali disturbi si
sono rilevati estremamente resistenti al trattamento soprattutto in adolescenza.
bambini con diagnosi accertata di disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta hanno una
probabilità 3-4 volte superiore alla norma di trovare elementi di rischio in tutti e quattro i domini definiti
dalla Greenberg.
Nei DC, in effetti, è ormai indiscussa la maggiore efficacia terapeutica di interventi multimodali e multi
sistemici, che tengano conto dell'origine complessa del disturbo, cercando di influire sui diversi fattori che
contribuiscono all'emergere del comportamento deviante e prevedendo un livello di intervento individuale,
familiare, extra familiare ed eventualmente anche un intervento psicofarmacologico condotti da una
medesima équipe.
Più che di intervento psicoterapeutico in senso stretto, in effetti, in questi quadri psicopatologici sarebbe
più opportuno parlare di necessità di trattamento integrato.
Nei primi anni di vita sarà più opportuno ed efficace centrare l’intervento terapeutico sulla relazione madre
bambino e/o sulla coppia genitoriale. L'intervento potrà giovarsi, in questi casi, di una fase iniziale di
assessment che ponga una particolare enfasi sul processo di conservazione della relazione genitore
bambino e su un suo oculato utilizzo ai fini di un incremento di consapevolezza nel genitore delle proprie
modalità di accudimento-cura e di responsività ai segnali d'attaccamento del figlio.
In età prescolare anche successivamente, dovrà riguardare la gestione delle regole educative e nella
negoziazione dei bisogni, tramite contrattazione delle contingenze di rinforzo. I genitori dei bambini con DC
(soprattutto se è in comorbidità con un DDAI) hanno certamente bisogno di essere sostenuti insieme alla
gestione delle regole educative quotidiane, sia in una maggiore comprensione delle motivazioni
neurobiologiche e relazionali del comportamento del bambino.
attraverso specifici percorsi psico educativi di parent training individuale o di gruppo: si tratta di programmi
strutturati, volti alla promozione nei genitori di nuove competenze comunicative, educative, di gestione
delle regole e del conflitto. Il programma prevede diverse unità di lavoro con lo scopo di aiutare i genitori
su diversi aspetti della interazione con il figlio
Attraverso le tecniche di parent training, tendono a migliorare sia le abilità interpersonali del genitore che
quelle del bambino, con un risultato di un comportamento sociale più efficace, soprattutto nei disturbi di
tipo oppositivo provocatorio.
L'approccio cognitivo comportamentale classico ha messo a punto un insieme di procedure che si sono
dimostrate piuttosto utili nella terapia dei DC e che hanno in sé le potenzialità per promuovere molti di
questi obiettivi. Cominciare dai diversi programmi o training all'autocontrollo, nei quali i bambini vengono
supportati nell'individuare le esperienze o le sensazioni cenestetiche o fisiologiche che segnano la
comparsa di una reazione di rabbia, e incoraggiati a graduare i livelli di intensità dell'emozione avvertita.
Inoltre, si può agire sul dialogo interno aiutando il bambino ad identificare pensieri che possono aumentare
o ridurre l'attivazione emotiva della rabbia, condizionando i comportamenti.
Anger Coping Program: è un programma che si prefigge i seguenti obiettivi: aumento della consapevolezza
dei fenomeni neurovegetativi, affettivi e cognitivi legati all'attivazione della rabbia; potenziamento delle
capacità auto riflessive e di autocontrollo; incremento dei repertori comportamentali dei bambini di fronte
ai conflitti sociali, tentando di ridurre il loro deficit di abilità nel risolvere con successo i problemi
interpersonali, supportandoli nell'identificare le situazioni conflittuali come problematiche e
incoraggiandoli ad incrementare il loro repertorio di risposta a tali situazioni.
I disturbi da esternalizzazione: disturbi da deficit di attenzione e iperattività.
Per quanto riguarda il percorso diagnostico, lo psicologo ad un'attenta raccolta dei dati anamnestici
personali e familiari, dovrà affiancare una raccolta di informazioni del contesto scolastico e sui livelli di
apprendimento, insieme ad un accurato esame neuropsicologico del bambino che preveda quantomeno: le
competenze di pianificazione, monitoraggio e controllo dell'azione, delle capacità di inibire la risposta
anche se programmata (ad esempio, assenza di comportamenti di perseverazione), il grado di mobilitazione
delle risorse attentive (compiti di vigilanza, mantenimento dell'attenzione su un compito). I modelli di
trattamento più sperimentati sui problemi di inattenzione, impulsività e iperattività si focalizzano su 3
ambiti possibili di intervento:
il miglioramento delle abilità autoregolative del bambino (training delle autoistruzioni verbali
abbinato a problem solving ordine e tecniche di rinforzo);
il coinvolgimento delle figure genitoriali nel contenimento e della gestione educativa quotidiana
del bambino (parent training);
il sostegno agli insegnanti nel contesto scolastico, ambito entrò quale le risorse del bambino con
DDAI mostrano più chiaramente i loro limiti (Teacher training).
Asse II: disturbi specifici dello sviluppo
Questo asse comprende entità cliniche descrittivamente eterogenee: i disturbi della funzione motoria, i
disturbi della funzione linguistica, i disturbi dell'apprendimento scolare, le sindromi d'alterazione globale
dello sviluppo psicologico (autismi e sindromi correlate). Tuttavia questi disturbi di aree di sviluppo singole
o multiple presentano caratteristiche biologiche ed evolutive simili: hanno un esordio precoce dell'infanzia;
hanno un decorso naturale che tende alla cronicizzazione con un lieve miglioramento spontaneo al crescere
dell'età; sono disturbi funzionali fortemente correlati alla maturazione biologica del sistema nervoso
centrale e tuttavia non sono di solito correlati a una malattia neurologica né ad alterazioni macroscopiche
del sistema nervoso centrale; presentano una base familiare ereditaria per disturbi uguali o simili; sono
molto più frequenti nei maschi che nelle femmine.
Come criterio dimensionale utile per distinguere un disturbo specifico di sviluppo da un ritardo o da una
variazione fisiologica della funzione considerata, Rutter osserva che il ritardo di sviluppo della funzione è
severo rispetto agli standard normativi, anomalo sul piano qualitativo, associato sempre ad anomalie
comportamentali e a disadattamento sociale nel contesto di vita del bambino. Pertanto, per fare diagnosi di
disturbo specifico dello sviluppo, occorre disporre di strumenti anamnestici, osservativi e testologici capaci
di descrivere la severità del disturbo, la sua qualità intrinseca e in generare la sua indipendenza da malattie
del sistema nervoso centrale. A questo scopo occorre disporre non solo di strumenti psicometrici
standardizzati descrittivi della funzione in sviluppo (motoria, linguistica, scolare, psicologica), ma anche di
strumenti qualitativi e interpretativi che in genere sono forniti da modelli teorici esplicativi di sviluppo di
quella funzione.
Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria
Per diagnosticare tale disturbo, tuttavia, non vi deve essere una condizione neurologica diagnosticabile e
non deve coesistere un ritardo mentale con un QI inferiore a 70.
Ne consegue che sul piano diagnostico lo psicologo deve disporre in prima battuta di strumenti psicometrici
standardizzati che descrivano lo sviluppo della motricità grossolana, della motricità fine e della autonomia
personale sociale e delle attività quotidiane del bambino. Tali strumenti sono rappresentati dalle scale di
sviluppo psicomotorio infantile che in genere coprono la fascia di età 0-6 anni. Per rispondere alla
definizione diagnostica lo sviluppo del bambino ai test deve risultare inferiore alla -2 ds (due deviazioni
standard) nel settore motorio grossolano e/o fine e nell’autonomia personale e sociale. Per escludere una
malattia neurologica diagnosticabile, ovviamente, il bambino con disturbo della funzione motoria deve
sempre effettuare una visita medica neuropsichiatrica infantile per escludere la presenza all'anamnesi di
crisi convulsive e all'osservazione di anomalie di sviluppo del cranio, di segni neurologici focali e di anomalie
del tono muscolare.
Per quanto riguarda l'intervento, vanno tenuti distinti gli interventi nel disturbo della funzione motoria
grossolana e della funzione motoria fine in quanto funzioni con base biologica diversi e con modelli teorici
di intervento diversi.
Gli interventi sul bambino con disturbo motorio sono praticati dal fisioterapista. Parallelamente ai diversi
interventi riabilitativi e abilitativi, è di importanza cruciale che nel trattamento del bambino con disturbo
motorio (così come nei disturbi sensoriali: deficit uditivo o visivo) l’équipe curante ponga grande attenzione
alle implicazioni relazionali ed emotive che tali problematiche inevitabilmente comportano.
Disturbo specifico del linguaggio
Per diagnosticare il disturbo specifico di linguaggio, devono mancare: alterazioni neurologiche, sensoriali,
anatomiche; una sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico; una intelligenza non verbale
compromessa, ovvero se il QI non verbale del soggetto e inferiore a 70 non può essere fatta diagnosi di
disturbo specifico del linguaggio. Pertanto lo psicologo, di fronte a un bambino di età prescolare che dopo
due anni non parla o a un linguaggio incomprensibile, in prima battuta potrà utilizzare un test di linguaggio
standardizzato per la comprensione dell'espressione verbale semantica (vocabolario) e sintattica (frasi).
Peabody Picture vocabolary test e il test di ricezione grammaticale Trog di Bishop sono i più utilizzati.
Per escludere un disturbo della comunicazione associato a sindrome da alterazione dello sviluppo
psicologico, lo psicologo dovrà verificare che il bambino utilizzi la comunicazione gestuale, il gioco simbolico
e l'indicazione proto dichiarativa.
Infine, per escludere alterazioni neurologiche sensoriali, sarà necessario un esame neurologico, della acuità
visiva ed uditiva.
Un importante studio di meta-analisi ha dimostrato che leggere libri al bambino da parte del genitore fin
dai sei mesi di vita migliora significativamente sul suo sviluppo linguistico, in particolare del vocabolario e
delle competenze fonologiche.
In genere il trattamento riabilitativo del bambino con disturbo specifico del linguaggio è affidato alla figura
professionale del logopedista
I disturbi specifici di sviluppo del linguaggio ben si prestano, per la loro natura, ad un ragionamento
eziologico complesso e denso di più ricchi significati alla luce della psicopatologia dello sviluppo.
Cominciano ad accumularsi prove interessanti sull'influenza che i legami affettivi primari possono esercitare
sullo sviluppo e l'efficace utilizzo delle funzioni linguistiche e cognitive, in relazione ai livelli di sensibilità
materna e dell'efficacia del suo ruolo tutoriale verso il bambino.
I processi linguistici e d’apprendimento possono organizzarsi e svilupparsi in maniera armonica solo
all'interno di una relazione percepita come significativa, sicura e contenitiva
disturbo specifico di letto scrittura
Lo psicologo potrà ricorrere in prima battuta a strumenti standardizzati capaci di misurare la lettura delle
abilità di accuratezza (numero di errori nel leggere le parole) e di comprensione del testo letto, il dettato
nelle abilità di accuratezza (numero di errori di scrittura), e l'intelligenza (QI) e di mettere in correlazione i
valori standard di lettura e dettato con i valori standard dell'intelligenza. Si utilizzano in genere strumenti
compensativi e dispensativi che integrino le sue difficoltà.
Si pone come punto fermo l'idea del terapeuta base-sicura che declina il suo ruolo in sintonia con le
caratteristiche particolari del DA del bambino e con lo stile proprio del funzionamento familiare
A volte lo psicologo può assolvere già pienamente il suo ruolo esercitando un'attenta attività diagnostica e
condividendo con il bambino e i genitori le basi di evidenza sulle quali si fonda uno specifico programma di
trattamento e di abilitazione. Altre volte realizza il suo compito tentando di attenuare e gestire le
condizioni aggiuntive di rischio familiare. Altre volte ancora il terapeuta è chiamato ad utilizzare concezioni
e tecniche pertinenti ad un ben definito setting psicoterapeutico, laddove alla vulnerabilità
neuropsicologica si sommino variabili specifiche di rischio nell'area della regolazione emozionale e
comportamentale.
I disturbi generalizzati dello sviluppo
Oggi in questo ambito esistono alcuni strumenti standardizzati quali l’ADI per l'intervista semi strutturata ai
genitori e l’ADOS per l'osservazione comportamentale del bambino. Per prevenire l’autismo occorrerebbe
conoscere le cause.
Ora, a parte una bassa percentuale di casi in cui si individua una malattia neurologica o genetica, l’autismo
resta a eziologia ignota. In questo stato delle cose infatti si parla di sindrome, e non di malattia, ovvero di
un quadro comportamentale che potrebbe avere cause biologiche oggi non note o cause psico-sociali.
Oggi gli esperti concordano piuttosto sulla necessità di programmi di screening o di diagnosi precoce
dell'autismo per le seguenti ragioni: in primo luogo è disponibile uno strumento di screening assai affidabile
rappresentato dalla CHATT di Baron-Cohen e coll. In secondo luogo la diagnosi precoce consenta una presa
in carico tempestiva capace di migliorare la prognosi naturale del disturbo. Infine, in caso di figlio autistico, i
genitori devono conoscere la diagnosi per poter effettuare una rapida consulenza genetica
La chat è uno strumento semplice che costa di due parti: un questionario con 9 domande ai genitori e
un'osservazione diretta del comportamento del bambino da parte dello psicologo che si basa su 5 item. Le
domande e gli item critici per la diagnosi di sospetto autismo sono quelli relativi all'attenzione condivisa e al
gioco simbolico. I bambini autistici non presentano una delle due attività descritte.
Per quanto riguarda il trattamento vero e proprio i genitori devono sapere che non esistono cure,
tantomeno farmacologiche, che guariscono dall’autismo. Il trattamento dell’autismo è finalizzato a
ottenere miglioramenti nelle aree della comunicazione, dell'interazione sociale, degli interessi personali e
degli schemi d'azione.
Metodologie più conosciute:
 Metodo ABA (Applied Behavior Analysis): trattamento educativo basato sui principi della terapia
del comportamento, organizzato per almeno 20 ore alla settimana in individuale o in piccolo
gruppo, con il quale si tenta di insegnare al bambino comportamenti sociali, verbali, cognitivi e
motori attraverso l'osservazione sistematica, il rinforzo positivo e l'incentivo all'apprendimento,
passo a passo, di comportamenti specifici.
 Metodo TEACCH (Treatment Education of Autistic and Related Communication Handicapped
Children): apprendimento altamente strutturato e organizzato che prevede principalmente compiti
visivi e visuo-motori. Programma complesso e articolato, basato sui principi dell’individualizzazione
e della flessibilità. Obiettivo: la comunicazione spontanea, un aspetto tipicamente debole nei
disturbi generalizzati dello sviluppo.
 AAC (Augmentative and Alternative Communication): promozione della comunicazione con l'ausilio
di strumenti visivi e tecniche comportamentali di rinforzo.
Lo psicologo ha qui il compito di orientare l'intervento dei genitori e degli insegnanti tenendo conto del
livello di sviluppo raggiunto dal bambino, del suo contesto di vita quotidiano e delle sue propensioni.
Il trattamento dovrebbe prefiggersi: degli obiettivi comportamentali e comunicativi nei contesti di vita del
bambino che siano misurabili; che presuppongano un ambiente strutturato e routine; che prevedono tempi
con un educatore adulto con un rapporto 1:1; che siano individualizzati sull’osservazione e sulle
caratteristiche personali del bambino; che privilegino il canale visivo e visuo-motorio; che prevedano una
collaborazione continua tra genitori e professionisti
elementi predittivi di un'evoluzione positiva sono la presenza del linguaggio comunicativo entro i cinque
anni e capacità cognitive più elevate. I pazienti con più elevato funzionamento possono progressivamente
migliorare le loro competenze cognitive e comunicative, ma restano generalmente più evidenti le difficoltà
nell'interazione sociale.
Il ritardo mentale
La diagnosi di ritardo mentale è definita dal livello del quoziente intellettivo, misurato con una scala
psicometrica standardizzata sulla popolazione di appartenenza del soggetto.
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Ritardo mentale lieve: QI 50-69
ritardo mentale medio QI 35-49
ritardo mentale grave QI 20-34
ritardo mentale profondo QI<20.
La definizione di ritardo mentale comporta, oltre a una ridotta prestazione cognitiva, anche una diminuita
competenza sociale, che è sia diretta conseguenza del grado del ritardo mentale sia influenzata
dall'ambiente sociale e culturale di crescita.
Di solito il soggetto con ritardo mentale lieve in età giovane adulta raggiunge il pensiero operatorio
concreto di Piaget, impara a leggere e scrivere, sa usare la calcolatrice, il telefono, l'orologio, e in ambito
sociale sa adoperare servizi pubblici, acquisisce una buona autonomia delle routine quotidiane sul lavoro.
Il soggetto con ritardo mentale medio raggiunge il pensiero rappresentativo di Piaget, sa parlare e
comunicare, è autonomo nell'igiene personale e nel pasto, può essere inserito in un lavoro protetto.
Il soggetto con ritardo mentale grave si ferma al pensiero senso motorio di Piaget: non sa parlare, può
ricorrere alla comunicazione aumentativa alternativa non verbale, può vivere in comunità protetta con
supervisione e supporti continuativi.
Lo psicologo potrà proficuamente partecipare alla presa in carico terapeutica multidisciplinare. Da un lato
sarà necessario verificare che sia effettuato il monitoraggio evolutivo periodico con valutazione almeno
annuale delle prestazioni cognitive (QI) e dell'adattamento sociale (scala di maturità sociale di Sparrow).
Dall'altro potrà contribuire al piano educativo individualizzato, che ogni 6-12 mesi fissa gli obiettivi psico
educativi da raggiungere.
Il piano, è definito dalla famiglia insieme al team interdisciplinare composto solitamente da: pediatra,
psicologo o neuropsichiatria infantile, assistente sociale, insegnanti. Il piano determina chi fa che cosa e chi
è il referente del piano per la famiglia.
A seconda dei contesti organizzativi lo psicologo potrà costituirsi come referente del piano; essere
incaricato del counselling ai genitori (Parent Training individuale o di gruppo).
L'iniziale comunicazione della diagnosi è la difficoltà principale. Il lavoro clinico di tale contesto dovrà
muoversi armonicamente su due livelli: da un lato l'accoglienza, la condivisione empatica, il contenimento e
l'elaborazione delle emozioni in gioco; dall'altro un adeguato supporto sul piano della comprensione della
condizione del figlio, offrendo chiare informazioni sulla diagnosi sulle sue cause e sugli aspetti prognostici
futuri.
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