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Arrestate le donne del boss

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Arrestate le donne del boss
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Mercoledì 14 marzo 2012
www.ilquotidianodellacalabria.it
Agricoltore freddato
a colpi di lupara
Riesplode la faida
Madre e figlia
recluse
per una rara
allergia
Lotta
al lavoro nero
con
una “centrale”
Agguato a Oppido Mamertina
10 giorni dopo un altro delitto
In una scuola
della Piana parte
una raccolta fondi
Strumento previsto
dalla legge
regionale
R. GANGI a pagina 17
A. MOLLO a pagina 11
MICHELE ALBANESE a pagina 10
L’auto su cui viaggiava la vittima al momento dell’agguato
La Dda di Reggio ordina 18 fermi contro i fiancheggiatori di “Micu u pacciu”
Arrestate le donne del boss
La moglie, le sorelle e la zia di Domenico Condello dietro la sua lunga latitanza
• La consorte
gestiva
i rapporti
con banche
e consulenti
CRISI, SUD E OCCUPAZIONE
Monti-Merkel
asse economico
Il premier
«Superata
la fase
più critica»
G.BALDESSARRO, C.CORDOVA
F. TIZIANO e C. TRIPODI
da pagina 6 a pagina 9 e in cronaca
di SIMONA DALLA CHIESA
Il segretario della Cgil a Reggio torna anche sulla questione della riforma del lavoro
LE ultime immagini del
film-documento che racconta la cattura di Provenzano scorrono sullo
schermo. Le luci si riaccendono e l'ansia angosciosa che ha attraversato la sala per più di un'ora
si scioglie in un applauso
liberatorio, salutando così il successo delle forze
dell'ordine sul latitante
più ricercato in Italia da
oltre 40 anni. E' un pubblico di ragazzi quello
che gremisce il palasport
di Folgaria, località turistica del Trentino. Ragazzi provenienti da diverse regioni italiane
giunti qui per trascorrere, tra queste splendide
montagne, una settimana di sport e di impegno
civile. E così il fascino arido e assolato delle colline
corleonesi si fonde con la
pura bellezza delle Alpi
ENRICO DE GRAZIA a pagina 13
continua a pagina 19
• La suocera
dell’assessore
destinataria
di due
pizzini
• Dati
in beneficenza
i trecento capi
di vestiario
sequestrati
A Folgaria
la speranza
in un applauso
La Fornero
sfida i sindacati
«Senza il sì
niente
paccata
di miliardi»
Il segretario della Cgil Susanna Camusso ieri a Reggio (foto Sapone)
Camusso: «Per lo sviluppo serve legalità»
Terribile incidente sulla Jonio-Tirreno a Cinquefrondi. Il mezzo pesante è andato fuori strada in galleria
Sombrero
Trattativa
CI fu una trattativa fra lo
Stato e l'antistato per eccellenza, Cosa Nostra. Alcuni studiosi dicono da
molti anni che le mafie
non possono resistere nel
tempo se non si accordano con pezzi dello Stato,
fino a confondersi con essi. Ma stavolta è una sentenza che lo attesta. La
strage dei Georgofili, e la
cessazione delle stragi,
trovano spiegazione in
quella vicenda. E pure
l'assassinio di Borsellino. Quel che colpisce, però, è che l'indagine poggia su pentiti, tutti appartenenti alla stessa
parte, la mafia. Dell'altra, dei politici, dello Stato, non si è pentito nessuno.
Il suo Tir si spezza in due, muore camionista
TERRIBILE incidente sulla
Jonio-Tirreno, a Cinquefrondi. Un camionista è morto. Il
mezzo pesante su cui viaggiava si è spezzato in due.
P. CATALANO e S. GERACE
a pagina 16
20314
9
771128
022007
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
ANNO 18 - N. 73 - € 1,20
In abbinata obbligatoria con Italia Oggi.
6 Primo piano
Primo piano 7
Mercoledì 14 marzo 2012
IL FILM
Mercoledì 14 marzo 2012
Giuseppa Cotroneo
Caterina Condello
Giuseppa Condello
Mariangela Amato
Margherita Tegano
Il ruolo delle donne
GIUSEPPA Coroneo è suocera del fratello di Domenico Condello. A lei il boss lasciò un pizzino per ringraziarla dell’ospitalità ricevuta durante la latitanza.
CATERINA Condello, è una delle due sorelle del latitante. Era
una delle titolari di “Pane, Pizza e Fantasia”, sequestrata dalla
Dda di Reggio Calabria.
GIUSEPPA Condello è la seconda sorella del super latitante. Eì
moglie del boss Nino Imerti, detto “Nano feroce”, ristretto da 20
anni in carcere.
MARIANGELA Amato è rimasta impigliata nella rete della Dda, in
quanto ritenuta la persona che aveva fornito di energia elettrica, tramite un collegamento artigianale, il covo del latitante.
MARGHERITA Tegano è la compagna di Domenico Condello era
lei a gestire gli affari e le attività commerciali della famiglia, anche se
risultava solo una dipendente.
IL RUOLO delle donne è stato spiegato alla stampa dal Procuratore
aggiunto Ottavio Sferlazza, dal comandante del Ros, Mario Parente, dal comandate Pasquale Angelosanto e dai suoi ufficiali.
Lo Moro sottolinea come in molti fanno la scelta giusta
Lotta al crimine
«Ma c’è chi si ribella»
La Dda reggina ordina 18 fermi contro
i fiancheggiatori del boss Mico Condello
Manette ai polsi
delle donne
Arrestate anche la moglie, le sorelle e la zia del padrino
sfuggito alle forze dell’ordine per oltre 20 anni
di GIUSEPPE BALDESSARRO
REGGIO CALABRIA - Ci sono le
donne dietro la lunga latitanza
del boss Domenico Condello, meglio noto come “Micu u pacciu”.
Ed erano sempre le donne a gestire molti degli affari della “famiglia”. Non è una novità assoluta, nella ‘ndrangheta le madri,
le figlie, le sorelle e le mogli, hanno sempre avuto un ruolo
nell’organizzazione criminale,
nel bene e nel male. L’operazione
“Lancio” che ieri mattina ha portato al fermo di 18 persone ha
quindi confermato un dato
emerso più volte. Tanto che gli
uomini del Comando provinciale
dei carabinieri (all’operazione
hanno lavorato il Ros, il Nucleo
investigativo e la territoriale)
hanno messo le manette ai polsi
a sei “signore” che nella vita del
clan Condello hanno avuto, per
dirla con le parole del Procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza,
«compiti di primissimo piano».
Così sono finite
in carcere su richiesta dei Pm
della Dda Giuseppe Lombardo e
Rocco Cosentino,
la moglie del super latitante Margherita Tegano,
le sue due sorelle
Margherita
e
Giuseppina Condello (questa è la
moglie di Nino Imerti) e Giuseppa Cotroneo (suocera di Pasquale Condello, fratello di Domenico
e ominimo del “Supremo). A queste quattro persone vanno aggiunte la stessa zia di “Micu u
pacciu”, Maddalena Martino, e
Mariangela Amato.
Tutte accusate, a vario titolo,
di favoreggiamento della latitanza. Grazie a loro, secondo la
Procura reggina, sono state protagoniste di quasi venti anni di
latitanza del ricercato numero
uno della ‘ndrangheta reggina.
Reato che è stato contestato
anche ad altri 12 uomini, tre dei
quali sono anche indicati come
Il ruolo
primario
svolto
da Pina
Cotroneo
componenti dell’associazione a
delinquere di stampo mafioso.
Una vera e propria casta familiare. Una dinasty, nella quale
ognuno faceva la sua parte. Le
donne innanzitutto.
Particolarmente importante il
ruolo di Giuseppa Cotroneo. I carabinieri hanno scoperto che a
lei erano indirizzati due pizzini
trovati rispettivamente in casa
della donna e in un covo nel quale Mico Condello aveva passato
un periodo della sua latitanza.
Bigliettini sui quali il Ris di Messina - come ha spiegato il colonnello Pasquale Angelosanto - ha
effettuato perizie calligrafiche
che ne comprovano l’originalità.
«Cara commare Pina», scriveva il boss. «Io me ne sto andando.
Mi diceva l’amico qui che ogni
tanto per un paio di giorni posso
venire. Lascio qui tutto quello
che mi avete mandato perchè se
torno mi può servire. Se avete bisogno mi fate sapere, salutate
tantissimo Bruna, se Dio vuole ci
rivedremo, vi ringrazio». Firmato, «compare M.». Il secondo
messaggio il latitante lo indirizza sempre alla Cotroneo a cui fa
gli auguri per la laurea in giurisprudenza della figlia Giampiera. Il biglietto porta la firma dei
coniugi Mimmo e Margherita,
che altri non sono che i nomi del
boss e quello della moglie.
Con la “commare Pina”, don
Mico Condello ha un legame antico. La donna infatti è la suocera
di suo fratello Pasquale (omonimo del boss detto il “Supremo”
arrestato nel febbraio del 2008)
che ne ha sposato la figlia Bruna
Nocera. Giuseppa Cotroneo ha
anche altre due figlie, una è appunto Giampiera, a cui era indirizzato il bigliettino di felicitazioni per la laurea appena conseguita e l’altra si chiama Maria
|
Ci sono anche
Lea Garofalo,
Giuseppina
e Maria Concetta
Uno dei due pizzini trovati nel covo di Condello (photo Sapone)
Angela. La prima convive con
Luigi Tuccio, assessore all’Urbanistica del comune di Reggio Calabria (figlio dell’ex giudice Giuseppe Tuccio, attualmente Garante dei diritti dei detenuti per
conto dell’amministrazione comunale). La seconda è la moglie
di Massimo Pascale, segretario
amministrativo dell’ufficio di
Gabinetto del governatore Giuseppe Scopelliti, già componente della segreteria dell’allora sindaco.
Un intreccio familiare complesso dunque. Di cui, anche in
quei casi per i quali non sono state rilevate condotte penalmente
rilevanti, gli investigatori hanno ben chiaro il quadro. Un puzzle che porta, tra l’altro, anche ai
collegamenti con Nino Imerti,
(detto nano feroce), storico boss
di Fiumara di Muro e alleato dei
Condello, in carcere da un ventennio a seguito della guerra di
L’ESORDIO DI SFERLAZZA
mafia che ebbe luogo a cavallo
della fine degli anni ‘80.
Pasquale Condello (Il supremo) oltre ad essere cugini di Domenico è infatti cognato di Nino
Imerti, a cui i carabinieri hanno
arrestato la moglie Giuseppina
Condello, considerata una delle
anime imprenditrici della cosca.
Con l’operazione di ieri gli inquirenti ritengono di avere ottenuto un doppio risultato. Il primo è relativo all’aggressione dei
beni. L’altro, ancora più importante, è quello di avere creato terra bruciata attorno al fuggiasco
che a questo punto sarà costretto
a ricostruire, ammesso che ci
riesca, una rete di fiancheggiatori in grado di continuare a garantirgli la latitanza. Ora Domenico Condello è stretto in una
morsa, caduta buona parte della
rete di protezione, gli investigatori puntano ad un suo passo falso.
|
Margherita Tegano manager della “famiglia”
Il ruolo della consorte di Nino Imerti nella gestione dei rapporti con consulenti e banche
Il procuratore facente funzioni Ottavio Sferlazza
dre e il fratello per l’omicidio del giovane di cui
si era innamorata. Un mese fa l’arresto della
madre di Cetta Cacciolla, morta suicida
nell’agosto del 2011, ha evidenziato la solitudine che accompagna la ribellione delle donne
che abbandonano l’omertà familiare, spesso
abbandonate se non addirittura vittime della
loro stessa famiglia, madre compresa».
«Alla luce dell’odierna operazione di polizia - conclude la parlamentare del partito democratico - che
coinvolge un numero significativo
di donne, il fenomeno delle donne
capaci di ribellarsi assume un’importanza anche maggiore perchè
dimostra che l’omertà non è un destino e che le donne possono diventare da punto di forza e di supporto
punto di debolezza delle cosche e
metterne in discussione le fondamenta. Alle donne che si schierano
contro la ’ndrangheta la società e lo Stato devono apprezzamento e sostegno. L’augurio
ovviamente è che il loro coraggio diventi contagioso e che prevalga in un numero sempre
crescente di donne, anche se inserite in famiglie di ‘ndrangheta, l’amore per la vita che è
negato dalla subcultura violenta e ‘ndranghetista».
REGGIO CALABRIA - «Siamo riusciti a
smantellare la fitta rete di fiancheggiatori
che in tutto questo tempo non solo ha protetto la latitanza di Domenico Condello, ma ha
partecipato attivamente alle attività della
cosca, distribuendo indicazioni, recapitando messaggi e voleri del ricercato». Lo ha
detto ieri il Procuratore aggiunto Ottavio
Sferlazza che ha esordito nel suo ruolo di
reggente dell’Ufficio di Procura in attesa
della scelta del nuovo capo degli inquirenti
reggini.
Sferlazza, ha anche tratteggiato il ruolo e
la figura di Giuseppa Condello, moglie del
boss Antonino Imerti, la quale «benchè formalmente estranea all’attività (di protezione del latitante) era il centro di imputazione
delle responsabilità gestionali delle attivita
imprenditoriali, intrattenendo relazioni sia
con studi commerciali che con istituti di credito».
«Margherita Tegano e Caterina Condello –
si legge nella nota dell’Arma – si interfacciavano solo ed esclusivamente con Condello
Giuseppa, che partecipava loro le decisioni
assunte o da assumere».
Secondo Sferlazza «La presenza ed il ruolo
attivo delle donne della famiglia Condello,
costituisce prova del loro coinvolgimento oltre gli aspetti operativi a servizio della cosca,
ovvero, sono portatrici di un modello culturale che testimonia la sudditanza nei confronti dell’uomo che vengano trasmessi anche ai figli».
Il procuratore aggiunto ha spiegato che
come in Sicilia con la Mafia, anche in Calabria, nella ‘ndrangheta, le donne hanno un
ruolo fondamentale e in molti casi persino
operativo». Sa da una parte quindi esiste
una responsabilità, per così dire culturale,
dall’altra affiora quella di carattere esecutivo.
La madre della compagna del politico avrebbe ospitato il super ricercato
La suocera dell’assessore e i pizzini
La donna, professionista con diversi incarichi, accusata di favoreggiamento
di CATERINA TRIPODI
REGGIO CALABRIA - Stavolta la spallata
alla sua credibilità istituzionale e politica è
davvero pesante e difficilmente l’assessore
all’urbanistica Luigi Tuccio salverà la sua
poltrona che in giunta si fa davvero sempre
più rovente. L’amministratore, già coordinatore della Grande Città del Pdl, uomo fidatissimo del Governatore tanto da essere
entrato in giunta da tecnico e non passando
per l’esito delle urne, appare più che lambito dall’operazione “Lancio”che ha visto tra i
diciotto fermi dei carabinieri, quello di sua
suocera, Giuseppa Cotroneo.
La donna, destinataria di due pizzini di
Domenico Condello (il super latitante “Mico u pacciu”), è infatti la madre della compagna di Tuccio, Giampiera Nocera, avvocato
e consulente “pigliatutto” del Comune di
Reggio Calabria.
La suocera dell’assessore, dunque, secondo quanto si legge nell’ordinanza dei
carabinieri avrebbe, addirittura “ospitato”
il super ricercato da vent’anni, in un casolare nella disponibilità propria e del marito
Antonino Nocera. Sempre la suocera
dell’assessore sarebbe stata destinataria di
un pizzino di ringraziamento in cui il boss
la definisce addirittura “commare”, la loda
per il comportamento tenuto e la invita a
fargli sapere se ha bisogno di qualche favore. «Cara Commare - scrive il “rispettoso”ed
educato boss Condello - me ne sto andando.
Lascio qui tutto quello che mi avete mandato perchè se torno mi può servire. Vi ringrazio di tutto. Salutatemi Bruna. Se avete bisogno fatemi sapere.... Vi abbraccio e se Dio
vuole ci rivedremo». Insomma questo scrive il boss alla suocera dell’assessore Luigi
Tuccio. La commare Giuseppina, però è
mamma di altre due figlie, Bruna e Maria
Angela. Bruna è sposata con Pasquale Condello (cugino omonimo del Supremo, cognato del superboss Nino Imerti), l’altra sorella, Maria Angela è la moglie di Massimo
Pascale, braccio destrodel Governatore del
quale fa parte dell’ufficio di Gabinetto alla
Regione e già segretario particolare negli
Luigi Tuccio
anni in cui Scopelliti era sindaco di Reggio.
Appare chiaro, quindi, dalla ricostruzione
del ramo familiare, che entrambi i fedelissimi di Peppe Scopelliti, e cioè sia l’assessore
Tuccio che Pascale siano i cognati di Pasquale Condello. Insomma una parentela
che fa tremare i polsi e fa diventare quasi solo un pallido ricordo l’imbarazzo planetario scatenato dall’assessore Tuccio con un
post su Facebook in cui definiva il Premio
Oscar, Roberto Benigni, “comunista
ebreo”. Una vicenda per la quale, a lungo ed
inutilmente, larga parte della città e della
politica, chiese a Tuccio le dimissioni dalla
giunta e ad Arena che gli ritirasse quanto
meno la delega all’urbanistica.
Ora questa nuova patata bollente che vede peraltro la compagna dell’assessore
coinvolta in prima persona.
Ai Nocera, che ospitarono Condello, infatti i carabinieri hanno ritrovato un biglietto per Giampiera Nocera. Alla compagna dell’assessore veniva indirizzato personalmente un biglietto di felicitazioni per
la propria laurea. Un augurio firmato
Mimmo e Margherita, quindi, esattamente
i nomi del boss latitante e quello della moglie. Insomma la ‘ndrangheta è familiarmente vicina a Giampiera Nocera, che badate bene però, non è solo la compagna
dell’assessore Tuccio ma fa politica attiva.
L’avvocato Nocera è stata a lungo consigliere di amministrazione della società mista del Comune “Fata Morgana”, quindi
dentro la cosa pubblica. Per il Comune di
Reggio Calabria e per le tre amministrazioni di centrodestra che si sono succedute a
Palazzo San Giorgio (Scopelliti, Raffa e
Arena) ha svolto, a tambur battente, ruolo
di avvocatoe consulente.La Noceraappare
direttamente coinvolta in politica, addirittura nella nascita della Lista “Scopelliti
Presidente”, dei quali è tra i soci fondatori.
Lo si rileva dall’atto costitutivo dell’associazione politica senza fini di lucro "Lista
Scopelliti Presidente". Nata a Reggio Calabria in via Filippini 33, il giorno 8 febbraio
2010 alle ore 20.00. Tra i soci fondatori l’avvocato Antonio Barrile, capo di gabinetto
del Comune di Reggio Calabria, Mario Caligiuri, Davide Rocca, Gaetano Picciotto e
Giampiera Nocera. Presidente venne eletto
Barrile. Giampiera Nocera vicepresidente
della Lista Scopelliti che «mira all’affermazione dei principi e valori del Centrodestra
Italiano ed Internazionale e tenderà a promuovere ogni forma di coordinamento con
i gruppi politici, facendo proselitismo in
tutta la Regione Calabria». Se la famiglia di
Giampiera Nocera appare ampiamente
coinvolta nelle vicende del clan di Archi, la
famiglia dell’assessore all’Urbanistica
Tuccio appareampiamente quindi“ospitata”dentro la casa comunale. Oltre alla compagna, avvocato di Palazzo San Giorgio, il
suo braccio destro all’urbanistica è Sandro
Dattilo, il cognato di suo cognato. Dal momento che la sorella di Tuccio ha sposato
Carmelo Stracuzzi, il revisore dei conti indagato per falso nell’ambito del caso Fallara, la sorella di Stracuzzi ha sposato proprio Sandro Dattilo, neo braccio destro di
Tuccio. Il padre di Tuccio, il magistrato
Giuseppe è fin dal 2006 il garante dei diritti
dei detenuti del comune di Reggio Calabria
e che, sembra, sia stato confermato garante
dei reclusi. Tra questi adesso c’è quindi,
adesso, ironia della sorte, anche la propria
consuocera.
| LA REPLICA |
«Non mi dimetterò
e difenderò il mio onore»
«ANTICIPO, per chi lo voglia intendere (killer e
mandanti) che non mi dimetterò da Assessore Comunale, non defletterò dal mio impegno politico,
ma soprattutto mi conserverò l’onore di un rapporto di fedeltà all’amicizia che dall’infanzia mi lega a
Peppe Scopelliti!». L’assessore Luigi Tuccio reagisce in maniera netta a quanto emerso dall’inchiesta
“Lancio” contro presunti favoreggiatori della latitanza di Domenico Condello. Ieri sera ha inviato una
nota nella quale definisce le notizie trapelate come
«strabilianti con un obbiettivo esclusivo, appetitoso
ed assolutamente irraggiungibile, attraverso strategie diffamatorie: l’accerchiamento del Governatore Scopelliti». Aggiunge Tuccio: Se si ritiene che,
colpendo il sottoscritto, si possa raggiungere tale
obbiettivo, di sicuro ci si avventura dalla parte sbagliata. Ed alloram sento il dovere di una compiuta
precisazione da non intendersi in ogni caso come rinuncia ad azioni giudiziarie. La mia compagna
Giampiera, trentuno anni, avvocato, è sorella della
Signora Bruna Nocera che oltre venti anni fa ha sposato, in carcere, il detenuto Pasquale Condello. A
quell’epoca Giampiera aveva appena undici anni!
Soltanto oggi ho appreso, a seguito del fermo della
Signora Cotroneo Giuseppa Santa, questa triste vicenda coniugale rispetto alla quale, la stessa Giampiera ha mantenuto un totale distacco, evidentemente per la delicatezza estrema della vicenda, ormai caduta nell’oblio ventennale, mentre il Condello –apprendo oggi –è detenuto in una casa circondariale del Nord. E’ comunque certo che Giampiera
non ha mai conosciuto l’anzidetto soggetto né appartenenti a qualunque livello al suo ambito familiare o amicale. Ma ciò premesso, assicuro che, con
fermezza e perseveranza azionerò ogni iniziativa a
tutela del mio nome, della mia reputazione e di una
Storia familiare intatta ed intagibile».
«La mia infanzia - conclude - è stata contrassegnata da esempi di elevatissimo valore per senso dello
Stato, sacrifici non comuni e riconoscimenti ad ampio raggio per un impegno, quello di mio padre, ancora oggi portato ad esempio. Avevo appena dodici
anni quando ho visto le macerie della nostra casa in
Gambarie, oggetto di un attentato dinamitardo. Pochi mesi prima mio padre aveva presieduto la Corte
che aveva condannato i rappresentanti i “casati”più
illustri di Reggio Calabria, Archi, Cannavò e poi ancora Gioia Tauro, Taurianova, Palmi, Rosario».
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
REGGIO CALABRIA - La presenza di sei donne tra i fermi dell’operazione della dda di Reggio Calabria, per Doris Lo Moro parlamentare
del Pd «conferma il ruolo fondamentale che
svolgono il contesto familiare e le donne nella
tenuta della ’ndrangheta, che poggia la sua
impenetrabilità sui vincoli omertosi e familistici».
«Le donne fermate – dice ancora
Doris Lo Moro – oltre ad avere favorito la latitanza di Domenico Condello, avrebbero svolto un ruolo di
primo piano nell’intestazione fittizia di beni che erano, di fatto, nella
disponibilità del boss. È una notizia
che non può passare inosservata
per il numero di donne coinvolte ma
anche perchè molto si è parlato nei
giorni scorsi di un altro tipo di donne, nate e cresciute nello stesso ambiente malavitoso, che hanno avuto
il coraggio di rompere i vincoli familistici e di
testimoniare in processi di ‘ndrangheta, pagando a caro prezzo la loro scelta di vita».
E ancora: «Giovani donne, come Lea Garofalo, Cetta Cacciolla e Giuseppina Pesce, che sono diventate il simbolo di un riscatto possibile
dalla ’ndrangheta, o come Simona Napoli che
nei giorni scorsi ha testimoniato contro il pa-
8 Primo piano
Mercoledì 14 marzo 2012
Primo piano 9
Mercoledì 14 marzo 2012
Il latitante che fece carriera Scovato nella frazione Pellaro
Lotta al crimine
La retata si intreccia con una precisa
strategia investigativa
Ore contate
per la cattura
L’inchiesta figlia della scoperta di un covo
ancora “caldo” in una villetta al rione Catona
La villetta
al rione Catona
dove l’11 gennaio
2010 è stato
scoperto un
rifugio “caldo”
del latitante
“Micu” Condello
|
NEL NASCONDIGLIO
|
Cyclette, champagne
e foto della Madonna
Parte del materiale sequestrato nel covo, tra cui una cyclette e immagini della Madonna
REGGIO CALABRIA - Una casetta autonoma
piccola e graziosa, con un ampio guardino alle spalle. Una villetta nel centro abitato di Catona, periferia nord di reggio Calabria attaccata a Villa San Giovanni, ed a pochi passi dal
mare. Un posto ideale per vivere tranquilli e
spensierati. Lì dentro, in quelle due stanze,
un cucinino ed un bagno, ha vissuto per un
lungo periodo Domenico Condello “U pacciu”, l'ultimo latitante di spicco della 'ndrangheta di Reggio Calabria che occupa ancora
oggi un posto nella lista dei trenta ricercati
più pericolosi a livello nazionale.
Quando l'11 gennaio 2010 scattò il blitz dei
carabinieri quella casetta che spunta al civico
numero “3” sulla via Nazionale Bolano-Catona diede un paio di risposte «significative» ai
segugi del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri: quello era un covo “caldissimo”e tra quellequattro mura c'era stato
proprio lui, Micu Condello, il cugino del “Supremo”, il padrino di Archi strappato ad una
infinita latitanza nel febbraio 2008.
Nel covo c'era di tutto. Il ricercato non si faceva mancare nulla. Ad ogni sua esigenza o
volontà ci pensavano i picciotti, gli stessi che
ieri sono finiti in manette nell'ambito della retata “Lancio”. I carabinieri hanno trovato occhialidavistae librisulcomodino.Ebottiglie
di champagne in frigorifero, la cyclette per
tenersi in forma, tante immagini della Madonna della Montagna, la venerata di Polsi
chetrova traisuoifedeli ogni'ndranghetista
ALL’OPERA DON ORIONE
In beneficenza trecento
capi di abbigliamento
SU autorizzazione della Procura della
Repubblica di Reggio Calabria i carabinieri hanno consegnato all’Opera Don
Orione al rione Sant’Antonio a Reggio
trecento capi d’abbigliamento (mai usati) sequestrati nel covo di Domenico
Condello, detto 'u pacciò, nell’operazione denominata Lancio.
«Cara comare io me ne sto andando.
Mi diceva l’amico qui che ogni tanto per
un paio di giorni posso venire. Lascio qui
tutto quello che mi avete mandato perchè se torno mi può servire. Se avete bisogno mi fate sapere, salutate tantissimo Bruna, se Dio vuole ci rivedremo, vi
ringrazio, compare M». Lo scritto, secondo gli inquirenti, è vergato di proprio
pugno dal boss latitante Domenico Condello, cugino del “Supremo”, Pasquale Condello, e latitante dal 1990. I carabinieri del comando provinciale e del Ros lo avevano
localizzato in contrada Bolano Catona, nella periferia nord di Reggio Calabria, qualche
anno fa, ma il ricercato era sfuggito appena in tempo alla cattura. Nel corso della perquisizione in quell'abitazione, i carabinieri avevano sequestrato anche quel foglietto a
quadri con cui Domenico Condello, prima di lasciare il covo, aveva avvertito 'l'obbligò
di ringraziare “comare Pina”. La donna, identificata successivamente, è nell’elenco dei
diciotto fermati dalla procura distrettuale: si tratta di Giuseppa Cotroneo, 66 anni
di grande o piccolo cabotaggio, e di San Pio.
Una montagna di materiale ed una miniera
di informazioni per gli investigatori e per i
magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Intanto il materiale
sequestrato aiuta, ed anche tanto, sulle abitudini personali del latitante. Domenico Condello si tiene informato e conduce un certo tipo di vita. Soffre di colesterolo ed infatti su un
comodino un paio di scatole di “Primesin e
delle ricette del Sevizio sanitario nazionale intestate ad un prestanome finito sul registro
degli indagati
Leggeva e si informava il latitante. Nel rifugio decine di libri, romanzi e religiosi soprattutto, e diversi giornali nazionali e soprattutto locali. Se poi la stampa gli dedicasse
spazi e fotografie il ritaglio finiva nel cassetto. Nel covo c'era molta roba da mangiare, sia
fresca che in scatola. Il freezer scoppiava si
surgelati, mentre in frigorifero champagne
e formaggi per ogni palato esigente. E poi la
televisione, le immancabili sigarette marca
“Merit”ed accendini.
Indiversiarmadi capid'abbigliamento,sia
invernali che estivi, comprese le scarpe. Tra
questi trecento capi di abbigliamento nuovi
sono stati sequestrati e girati ad un istituto di
solidarietà della città. La conferma che si trattava di un covo utilizzato dalla primula rossa
della 'ndrangheta in diversi mesi dell'anno e
che considerava sicuro. Sicuro ma bruciato.
f. t.
Pasquale Condello
il padrino di Archi
incoronato da tutti
“Il Supremo”
REGGIO CALABRIA - È considerato la primula rossa della ‘ndrangheta reggina, latitante da 20 anni. La sua scheda personale lo
descrive come un criminale di vertice della
‘ndrangheta calabrese. Domenico Condello, alias “Micu u Pacciu”, 55 anni, è latitante
dal 1991, ed è inserito nell’elenco del Ministero dell’Interno dei trenta ricercati più
pericolosi in campo nazionale. Lo cercano
per fargli scontare l’ergastolo in virtù di un
provvedimento del 2004. Le cronache dicono che la sua ascesa nel panorama criminale coincide con la clamorosa scissione tra i
De Stefano e le famiglie Condello e Fontana
di Archicon ilconseguente transitodi queste ultime nelle fila del gruppo facente capo
a Nino Imerti, alias “nano feroce”. Un’alleanza mafiosa che, secondo i rapporti delle
forze dell’ordine, si rafforzò durante la
guerra di ‘ndrangheta anche attraverso il
matrimoni tra Nino Imerti e Giuseppina
Condello, sorella di Domenico. I due nuovi
gruppi (De Stefano - Tegano e Imerti Condello) nella
seconda metà degli anni
80, si contrapposero con i
relativi alleati in un sanguinoso scontro per il controllo delle attività illecite
nella città. Unoscontro armato che determinò l’egemonia nella zona nord della città del gruppo degli
Imerti.
Una stagione terribile,
durante la quale “Micu i
pacciu” ebbe un ruolo determinante. Ed infatti,
non solo partecipò alla seDomenico Condello
parazione dal gruppo malavitoso d’originema preseparte, il13 ottobre 1985, all’agguato che ad Archi portò
all’omicidio di Paolo De Stefano, capo incontrastato dell’omonima famiglia e
dell’autista Antonino Pellicanò. Episodio
che venne considerato la risposta al fallito
attentatonei confrontidiNino Imerti,verificatosi solo tre giorni prima a Villa San
Giovanni. Le cronache giudiziarie si occuparono di Domenico Condello proprio nel
1985 quando venne arrestato per un duplice omicidio. E’ solo la prima di una serie di
contestazioni che gli verranno mosse anche negli anni successivi. Il 19 novembre
del 1990, Mico Condello viene scarcerato in
quanto beneficiario di un provvedimento
di decorrenza del termine massimo della
custodia cautelare in carcere.
Secondo la ricostruzione investigativa
fatta negli anni, la lunga latitanza ha permesso a Condello non solo di evitare eventuali ritorsioni da parte dei De Stefano, ma
di acquisire, in virtù anche del vincolo familiare che lo lega tutt’ora ad Antonino
Imerti, una posizione apicale all’interno
della ‘ndrangheta. Un ruolo che si è ullteriormente consolidato con la cattura di altri esponenti di quella che all’epoca costituiva la cosca Imerti - Condello.
In questo senso basta ricordare che il 23
marzo 1993 erano stati tratti in arresto mentre trascorrevano insieme la propria
latitanza - il capo indiscusso della cosca Nino Imerti e Pasquale Condello (classe
1963), quest’ultimo fratello di Domenico.
L’ultimo evento è la cattura del cugino
Pasquale Condello , alias “il Supremo”, che
è del 18 febbraio 2008.
REGGIO CALABRIA - Quando viene arrestato dai carabinieri del Ros, il 18 febbraio
del2008,Pasquale Condellodevescontare,
in seguito a sentenze definitive, diversi ergastoli per omicidio, associazione mafiosa
e altri reati. Trentatrè anni prima però, nel
1975, Pasquale Condello è un giovane dai
capelli ricci che si sa far rispettare molto bene, Nel 1975, il 20 gennaio del 1975, non ha
nemmeno 25 anni.
Di strada ne farà tanta, ma, a quei tempi,
Condello non è ancora “Il Supremo”, non è
ancora il capo indiscusso della ‘ndrangheta. Lo è invece don ‘Ntoni Macrì, patriarca
di Siderno che, insieme con il proprio figlioccio, Mico Tripodo, rappresenta la vecchia ‘ndrangheta che, però, ben presto verrà scalzata dalle nuove generazioni che
fanno capo alla famiglia De Stefano. Il 20
gennaio del 1975 don ‘Ntoni Macrì viene assassinato a Siderno, nel
proprio regno. Aveva appena finito di giocare a
bocce, la sua grande passione. Pochi mesi dopo
toccherà anche a don Mico Tripodo, che verrà assassinato nel carcere di
Poggioreale dove è detenuto. Don ‘Ntoni Macrì
viene freddato da una raffica di piombo proveniente da un’Alfa Romeo rubata, nella zona del tribunale di Reggio Calabria, a un
medico.
E’ il pentito Giacomo
Pasquale Condello
Lauro a ricostruire, a distanza di vent’anni dal fatto, le dinamiche
del delitto di don ‘Ntoni Macrì. Lauro parla
e racconta che gli assassini del vecchio patriarca sarebbero Pasquale Condello e Giovanni Saraceno, con la copertura di Giuseppe Schimizzi e Giuseppe Cataldo, boss di
Locri.
E’ il primo, vero, atto eclatante di quello
che diventerà uno dei più carismatici boss
che la ‘ndrangheta abbia mai avuto. “Il Supremo” è ritenuto peraltro il mandante di
uno degli omicidi più eclatanti masi commessi in Calabria: quello dell’ex presidente
delle Ferrovie dello Stato, Lodovico Ligato,
assassinato a Bocale il 27 agosto del 1989.
“Il Supremo” verrà condannato all’ergastolo, in qualità di mandante, insieme con
Paolo Serraino, Santo Araniti e ai due Diego Rosmini. In qualità di esecutori materiali verranno condannati Giuseppe Lombardo, detto “Cavallino”, e Natale Rosmini.
E “Il Supremo” sarà, tra il 1985 e il 1991,
uno dei protagonisti della seconda guerra
di mafia di Reggio Calabria, che lo vedrà
contrapposto, insieme alla famiglia Imerti,
al cartello De Stefano-Tegano-Libri, in una
mattanza da oltre seicento morti ammazzati. Schieramenti che, secondo le risultanze
dell’indagine “Meta”, si sarebbero dissolti
con la pax in nome degli affari, gestiti totalmente dalle grandi famiglie mafiose. Una
convinzione che la Dda evince anche dalle
celeberrime frasi intercettate del defunto
boss Mico Libri, un tempo acerrimo avversario del “Supremo”, che definisce Condello: “E’ stato un mio carissimo amico, è stato
il più perfido nemico. Oggi, ringraziando a
Dio sono in buoni rapporti”.
di CLAUDIO CORDOVA
Antonino Imerti, da recluso, coinvolto nell’inchiesta per la gestione delle attività commerciali
Il ritorno in auge del boss “Nano feroce”
REGGIO CALABRIA - Nonostante sia detenuto da diversi lustri in carcere, il boss
Nino Imerti, noto a tutti come “Nano feroce”, riesce a entrare nell’indagine “Lancio” dei pm Giuseppe Lombardo e Rocco
Cosentino. Sebbene, dunque, sia ristretto
all’interno del carcere di Nuoro, Imerti è
tuttora considerato dagli inquirenti come
il vero e incontrastato capo della cosca originaria di Fiumara di Muro.
Insieme al latitante Domenico Condello, “Micu u pacciu”, il “Nano feroce” è posto
ai vertici dello storico sodalizio Condello-Imerti, già attivo negli anni della seconda
guerra di mafia. Le sue conversazioni in carcere, infatti,
saranno utilissime agli investigatori per ricostruire l’appartenenza del negozio “Pane, pizza e fantasie”, sala operativa delle famiglie Condello e Imerti.
Elemento
di spicco
del potente
cartello
condelliano
Antonino Imerti
Al pari di “Micu u pacciu”, dunque,
Imerti avrebbe beneficiato delle condotte
della rete di fiancheggiatori scoperta con
l’operazione “Lancio”. Ma la figura del
“Nano feroce”emerge soprattutto nella vicenda della presunta intestazione fittizia
della ditta “Pane, pizza e fantasie”, formalmente nelle mani di Giuseppe e Maddalena Martino ma, secondo gli inquirenti,
nelle mani delle famiglie Condello-Imerti:
“La sede legale ed operativa erano state fissate - non a caso - nell’immobile di residenza dei nuclei familiari di Condello Giuseppa, sorella del latitante e coniuge del noto
Imerti Antonino”. Nonostante la sua formale estraneità agli assetti societari, Giuseppa Condello avrebbe, di fatto, gestito
l’ordinaria e la straordinaria amministrazione della ditta, curando i rapporti con il
commercialista di riferimento, il dottor
Bruno Inuso, e con gli istituti bancari: “Mi
raccomando con i conti perché sei tu la responsabile …omissis… inquadra tutto,
inquadra, tutte, qualsiasi cosa, per qual-
siasi cosa stai attenta, mi raccomando perché sei tu la responsabile …omissis… si,
ma la responsabilità è tua”. A parlare è
proprio Nino Imerti, il “Nano feroce”, che
avverte la moglie Giuseppa Condello di
non lasciare nulla al caso nella gestione
fittizia del negozio. Un controllo che le
donne di ‘ndrangheta avrebbero messo in
atto “sotto l’attenta e costante regia
dell’Imerti”.
Un apporto fattivo quello del “Nano feroce”, che si preoccupa che tutto quadri,
soprattutto perché l’attività verrà aperta
solo nel 2003, molti anni dopo il suo arresto: “;’interesse dell’Imerti – scrivono gli
inquirenti - trova giustificazione non solo
nel vincolo parentale che lo lega alla Condello ma anche nel fatto che l’attività economica venne avviata quand’egli era già
detenuto e con fondi a lui riconducibili,
anche al fine di giustificare con i proventi
di attività lecita il proprio sostentamento e
quello del suo nucleo familiare”.
cla. cor.
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
denti ancheoccultate otenute inluogo didepodi FRANCESCO TIZIANO
sito».
L'inchiesta “Lancio”è figliadella scoperta di
REGGIO CALABRIA - Una retata che si intreccia in una precisa strategia investigativa. Per- un covo “caldissimo” di Domenico Condello. E'
chéi carabinieridelRos,i mastinidelcolonnel- l'11 gennaio 2010 quando i carabinieri sfondalo Stefano Russo, hanno deciso di radere al suo- no la porta d'ingresso di una villetta al civico
lo la cerchia dei fiancheggiatori del super lati- “3”dellavia Nazionale a Bolano-Catona,un antante Doemico Condello “Micu u pacciu”, il boss golo di Reggio nord al confine con Villa San
cugino del “Supremo”ed oggi l'unico ricercato Giovanni che rientra nel perimetro di dominio
di Reggio-città nella lista delle trenta “primule del casato Condello-Imerti. Pochi giorni prirosse”nazionali? Una scelta operativa evidente ma, forse poche ore prima, lì dentro c'era stato
che è stata confermata, seppure a denti stretti, “U pacciu”. C'è la prova che aveva vissuto in
dal generale Mario Parente, comandante del quella villetta come rilevato dagli esperti del
Raggruppamento operativo speciale dell'Ar- Ris di Messina che hanno rilevato il profilo gema. Colpire al cuore la rete dei picciotti ed agita- netico. Ma soprattutto in quel nascondiglio gli
uomini dell'Arma hanno ritrore l'universo che ruota intorno
vato una montagna di indizi,
al latitante. Non concedono affatto vantaggio i segugi dei ca- INTESTAZIONE FITTIZIA una caterva di imput che hanno
ristretto il cerchio d'azione per
rabinieri, non hanno affatto
agguantare il fuggiasco d'èlite
scelto di ricominciare da zero le
Sequestro
di
“Pa
n
e
della 'ndrangheta di Reggio Caindagini che porteranno alla
labria e soprattutto per incacattura di Domenico Condello: Pizza e Fantasie”
strare le basi del clan Condello,
sono lì in agguato a cogliere il
primo passo falso della nuova NEL provvedimento restrittivo familiari e picciotti, parenti e
organizzazione allestita per eseguito ieri è stato sottoposto fiancheggiatori.
E lì nel rifugio di Catona anmantenere in piedi la latitanza a sequestro per “intestazione
dorata al boss di Archi.
fittizia” l’attività commerciale che due “pizzini”, prove giganLa retata “Lancio”, il nome in “Pane Pizza e fantasie” per un tesche su chi operava a sostecodice dell'operazione che ha valore di circa un miione di eu- gno del capo.
Due messaggi, scritti di pusottoposto a fermo diciotto per- ro. L’attività commerciale sul
sone nell'orbita del casato Con- piano formale prevedeva un gno dal latitante: il primo per
dello, non solo è una strategia assetto societario che faceva “comare Pina”, che secondo gli
investigativa precisa e ponde- capo ai coniugi Maddalena e inquirenti sarebbe Giuseppa
rata, ma anche collaudata. Una Giuseppe Martino, zii materni Cotroneo, 66 anni, suocera di
prova di forza che proprio al del latitante. Gli investigatori Pasquale Condello, fratello del
Ros dei carabinieri fruttò la cat- dell’Arma dei carabinieri hanno latitante ed omonimo del “Sutura di Pasquale Condello, il ricordato che si tratta delle premo”; il secondo indirizzato
mammasantissima di Archi, stesse persone che nel corso al Giampiera Nocera, figlia di
storica roccaforte della 'ndran- di una perquisizione domicilia- “comare Pina” con il quale si
gheta a Reggio Calabria, nel re, eseguita lo scorso 22 giu- esprimevano felicitazioni per la
febbraio 2008. Un colpo da ma- gno, gli erano stati trovati laurea conseguita. Neltesto del
nuale che seguì la retata di po- 49.690 euro in denaro contan- primo “pizzino” ringraziamenchi mesi prima “Vertice”, quan- te, 52 mila euro e 10 milioni di ti per l'ospitalità; il secondo
do fu sradicato il cordone pro- lire in buoni fruttiferi. Giuseppa messaggio per la laurea di Notettivo eretto per consentire di- Condello, moglie di Antonino cera portavala firmadi Mimmo
ciotto anni di latitanza al capo Imerti il boss di Fiumara di Mu- e Margherita, quindi i nomi del
clan.
ro meglio conosciuto come boss latitante e quello della moTra i diciotto in manette una “Nano feroce”, «benchè for- glie. Entrambi i reperti sono
decina erano uomini e donne, malmente estranea all’attività stati inviati e analizzati dai Ris
tante donne, di fiducia del pa- era il centro di imputazione del- di messina che hanno anche
drino di Archi. C'erano infatti la le responsabilità gestionali, in- provveduto alla comparazione
moglie, gli zii, il nipote, il padre trattenendo relazioni sia con lo con altri messaggi rinvenuti
e le sorelle del ricercato. Giova- studio di consulenza commer- durante diverse perquisizioni.
ni ed anziani, tutti al servizio ciale sia con l’istituto di credi- Rimarca il colonnello Stefano
Russo: «Era la calligrafia del ladel latitante.
to».
Nell'ordinanza di fermo, a
Ed ancora, secondo la tesi titante,era laprova cheCondelfirma dei pm della Direzione di- degli inquirenti, Margherita Te- lo era stato lì dentro».
Un ruolo diverso, e da vertice,
strettuale antimafia di Reggio gano e caterina Condello, riCalabria, Giuseppe Lombardo e spettivamente compagna e invece era ricoperto da GiovanRocco Cosentino, si rimarcano sorella del latitante, «benchè ni e Giuseppe Barillà, e Francele accuse: «condotte di aiuto formalmente dipendenti si in- sco Genovese, i tre destinatari
consistite nell'attività di assi- terfacciavano solo ed esclusi- delfardello piùpesante diaccustenza morale e materiale, con vamente con Giuseppa Con- se: associazione mafiosa. Nel
la messa a disposizione di quan- dello, che partecipava loro le dettaglio per i pm Giuseppe
to necessario alla protrazione decisioni assunte o da assu- Lombardo e Rocco Casentino
evidenziano «fanno stabilmendello stato di latitanza ed alla mere».
te parte della “cosca Condello”,
creazionediuna retedisupporcommettendo una serie indeto e di tutelaanche mediante l'eliminazione dei sistemi tecnici di osservazione terminata di delitti contro la persona, il patrie controllo delle forze dell'ordine. Condotta po- monio e la Pubblica Amministrazione; acquisista in essere al fine di agevolare l'attività della re direttamente o per interposta persona fisica
cosca di appartenenza, quale preminente arti- o giuridica la gestione o, comunque, il controlcolazione territoriale della ramificata organiz- lo di attività economiche (finanziate in tutto o
zazione criminale di tipo mafioso denominata in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di
“'ndrangheta” - ed in particolare della sua arti- delitti), di concessioni, di autorizzazioni, apcolazione territoriale denominata “cosca Con- palti e servizi pubblici; impedire od ostacolare il
dello” oltre che avvalendosi del comportamen- libero esercizio del voto o procurare voti agli asto oggettivamente idoneo ad esercitare una sociati, ai concorrenti esterni, ai contigui; geparticolare coartazione psicologica sulle per- stire, attraverso il capillare controllo del terrisone in quanto dotato dei caratteri propri del- torio di competenza, un enorme bacino di voti
l'intimidazione derivante dall'associazione di da offrire ad esponenti politici compiacenti a
tipo mafiosoed armata,per averela immediata seconda degli accordi stipulati o dei favori acdisponibilità, per il conseguimento delle finali- cordati, o da accordare, all'associazione nel suo
tà dell'associazione, di armi e materie esplo- complesso o a suoi singoli compartecipi».
Mico Condello
primula rossa
dalla fuga nel 1991
e attuale reggente
Mercoledì 14 marzo 2012
La guerra della Piana
Ancora sangue a Oppido Mamertina
ammazzato un ex sorvegliato
Colpi di lupara per Ferraro
Quando i sicari hanno fatto fuoco l’agricoltore era in compagnia di due extracomunitari
L’ultimo fatto di sangue
Il 2 marzo freddato Bonarrigo
Magistrati senza tregua
LA strada dove ieri si è consumato il delitto di Vincenzo (Cècè)
Ferraro 42 anni, un ex sorvegliato speciale. L’agricoltore era in
compagnia di due cittadini stranieri.
IL 2 marzo a cadere sotto i colpi sparati dai killer fu Giuseppe
Bonarrigo, padre di Domenico, anche lui assassinato sempre
ad Oppido nel 1986.
SANGUE che sa di faida quello che sta scorrendo negli ultimi
tempi sulle strade di Oppido Mamertina. La Procura di Palmi
costretta agli straordinari per risolvere i fatti di sangue.
di MICHELE ALBANESE
OPPIDO MAMERTINA – Nuovo agguato di mafia ad Oppido Mamertina.
A distanza di una decina di giorni
dall’omicidio di Domenico Bonarrigo
caduto sotto i colpi della lupara ieri
mattina è stato il turno di Vincenzo (Cècè) Ferraro 42 anni, un ex sorvegliato
speciale a rimanere freddato anch’esso
sotto i colpi della lupara. Due fatti che
potrebbero essere legati tra di loro e che
fanno ripiombare nel terrore i cittadini
di Oppido Mamertina, città che sembra
essere tornata teatro di uno scontro
che non sembra conoscere fine.
Questi due ultimi fatti tragici fanno
ritornare, inutile negarlo, l’incubo della cruenta faida che qui tra gli uliveti
delle
colline
aspromontane
della Piana a visto
scorrere il sangue
a rivoli. Decine di
morti ammazzati
senza pietà in poco
meno di 20 anni.
Cecè Ferraro, sposato e padre di due
bimbe, agricoltore di professione e
titolare insieme al
fratello di un frantoio, ieri mattina
sistava recandoin
terreno di sua proprietà nella zona
di Oppido Vecchia
Vincenzo Ferraro
a bordo diuna Nissan Patrol. Insieme a lui due operai
extracomunitari
che Ferraro stava
accompagnando
in un uliveto. Dopo
aver percorso alcuni chilometri
nella stradina che
conduce in campagna è sbucato davanti alla Nissan
un individuo con il
volto coperto da passamontagna che
impugnava un fucile automatico dal
quale a distanza ravvicinata sono partiti almeno tre colpi caricati a pallettoni
che hanno inchiodato al sedile il Ferraro che è stato raggiunto dai pallettoni
al torace e alla testa rimanendo esamine. Illesi i due operai che erano con lui
che sono rimasti impietriti. Dopo aver
compiuto l’agguato il sicario dal sangue freddo si è dileguato nelle campagne circostanti. L’orologio segnava le
7 e 30 di mattina. Sono stati gli stessi
operai a lanciare l’allarme chiamando i
Carabinieri che quando sono giunti sul
posto hanno trovato Vincenzo Ferraro
in un lago di sangue senza vita. Poco
dopo sul luogo dell’agguato sono arrivati anche i militari del Nucleo Operativo della Compagnia di Palmi con il capitano Maurizio De Angelis e il sostituto
procuratore della Repubblica di Palmi
Gianluca Gelso che insieme al Procuratore Capo Giuseppe Creazzo coordina
le prime indagini. Infine il reparto di
Investigazioni scientifiche del comando provinciale dell’Arma e il medico le-
Similitudini
con il delitto
di Domenico
Bonarrigo
Il luogo
dell’agguato
a Vincenzo
Ferraro
gale. I primi accertamenti hanno fatto
emergere similitudini con l’omicidio di
Domenico Bonarrigo avvenuto undici
giorni prima nella località Madonna
dei Campi sempre ad Oppido: stesse
modalità e stessa arma usata. Sono ancora pochi ancora gli elementi per capire se l’omicidio sia legato ad una vendetta maturata nel contesto della faida
cittadina che punto potrebbe essere ritornata. Faida che nel corso degli anni
ha visto contrapposte le famiglie Zumbo, Ferraro, Polimeni,Mazzagatti, Rustico, Bonarrigo, Gugliotta e Tallarida, alcune di esse quasi sterminate o seriamente decapitate. A seguito di quei
fatti molti lasciarono la calabria trasferendosial nord.AncheaiFerraro ètoccata questa sorte: nel luglio del 1985
venne ucciso Giuseppe Ferraro zio di
Cecèvecchiocapomafia diOppidoenel
1996 anche suo fratello Raffaele allora
21 enne perse la vita in un agguato
compiuto in un bar di Oppido nel quale
venne ferito anche unsuo cugino di cognome Barbaro. Una famiglia direttamente coinvolta, dunque, in questo
sanguinoso scontro. Cecè Ferraro è anche cugino del latitante Giuseppe (Pepè) Ferraro uccel di bosco dal 1998 ed
attualmente ricercato. I Carabinieri
che conducono le indagini ovviamente
inquadrano questo omicidio ma anche
quello di Domenico Bonarrigo nell’ambito della faida pur non escludendo altre piste.
Quella che però sembra essere più
accreditata dalle altre è legata alla faida. Si sa che storicamente i Ferraro erano contrapposti ai Bonarrigo e quindi
non viene esclusa l’ipotesi che forse
l’uccisione di Pepè Ferraro possa essere la risposta all’omicidio di Domenico
Bonarrigo. Se così dovesse essere allora l’ipotesi che la faida di Oppido possa
essere nuovamente tragicamente ripresa sarebbe più che plausibile con
tutto il carico di inquietudine e di paura
che queste vicende si portano dietro.
|
LA RICOSTRUZIONE
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La faida sta prendendo forma
Il primo scontro di sangue avvenne negli anni Cinquanta
OPPIDO MAMERINA – E’ ripreso a scorrere il sangue tra
gli uliveti di Oppido Mamertina. Sangue che sa di faida, antica, tribale e spietata che qui
ai piedi dell’Aspromonte in
varie trance ha seminato morti a decine. Anche quest’ultimo agguato, quello di Vincenzo Ferraro secondo gli inquirenti, potrebbe costituire la ripresa dello scontro che forse
non si è mai spento. Il fuoco è
rimasto sotto la cenere proprio come accade ad un vulcano pronto ad eruttare quando
meno te lo aspetti. La terza fase della faida di Oppido quelle
che potrebbe essere iniziata
con l’omicidio di Domenico
Bonarrigo avvenuto il 2 marzo scorso e che è continuata
con l’agguato di ieri che ha lasciato sul selciato Vincenzo
Ferraro. Il primo scontro sanguinoso nella zona di Oppido
iniziò negli anni 50 quando si
affrontarono i Barbaro di Castellace ed i Mammoliti . Prima viene ucciso Francesco
Mammoliti, allora capobastone al quale succede il figlio
Vincenzo Mammoliti fino alla
sua morte avvenuta nel 1988.
Poi è la volta di Saverio Mammoliti che assume la leadership della ‘ndrina. I Barbaro
vengono sconfitti. La seconda
trance dello scontro arriva
nel luglio del 1985 quando cade sotto i colpi della lupara
Giuseppe Ferraro vecchio
boss di Oppido, zio di Vincenzo Ferraro la vittima di ieri . Il
clou della faida si registra a
partire dal 1992 con l’uccisione di Santo Gugliotta. In
quell’agguato rimasero feriti
anche i fratelli: Giuseppe, poi
ucciso il 30 aprile del 1995, assieme a Vincenzo Bonarrigo
ed Antonio, poi ucciso il 12
agosto 1997, assieme alla madre, Angela Bonarrigo 54 anni (feriti in quell’agguato:
Giuseppe Antonio Gugliotta
57 anni e Antonio Gangemi
29 anni. Mentre viaggiavano
a bordo di una mercedes i killer crivellarono l' auto con decine di colpi di pistola e di fucile. Da allora i morti si contarono su più mani. Sono decine
gli uomini, le donne e persino
i ragazzi che caddero uno dietro l’altro. Sangue chiama
sangue, vendetta segue vendetta. Una scia senza fine. Il
picco più alto dello scontro si
verifica la sera dell’8 maggio
del 1998. Un commando armato fino ai denti irrompe in
una macelleria uccidendo
Giovanni Polimeni, 22 anni, e
Vittorio Rustico, di 21. Durante la fuga il commando in-
crocia una Fiat Croma e scambiandola per un’auto di altri
parenti dei due ammazzati pochi prima apre ancora il fuoco
uccidendo la piccola Mariangela Ansalone il nonno Giuseppe Maria Biccheri. In quella circostanza rimasero feriti
gravemente il fratellino di
Mariangela, Giuseppe, la
mamma Francesca Ansalone
e la nonna Annunziata Pignataro. Le indagini di carabinieri e polizia hanno stabilito che
la strage e' stata una vendetta
della famiglia Gugliotta nei
confronti dei rivali Polimeni.
Nell'agosto del 1999 infatti, i
Gugliotta subirono un agguato dove morirono Antonio
Gugliotta, fratello di Giuseppe, una ragazza, Angela Bonarrigo, e il fidanzato di quest'ultima, Antonio Gangemi.
Da allora sia per i morti ammazzati che per le indagini
della Procura di Palmi che e
fece luce su molti omicidi arrestando numerose persone
poi tutte condannate gli eccidi terminarono. Ma non tutti
seppellirono definitivamente
la lupara. Qualcuno forse l’ha
tenuta ben oliata per usarla
successivamente. Un momento che forse è arrivato
adesso.
mi. al.
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10 Primo piano
24 ore
Mercoledì 14 marzo 2012
L’ incidente sulla Jonio-Tirreno, a Cinquefrondi. L’uomo era diretto allo stabilimento dell’acqua Fabrizia
Perde il controllo del Tir, muore
Vittima un camionista. Il mezzo pesante va fuori strada in galleria e si spezza
di SIMONA GERACE
e PIERO CATALANO
LA FAIDA DI SAN LUCA
Strage di Duisburg
Al processo di Locri
spunta la pista turca
CINQUEFRONDI - Una ennesima tragedia della strada
si è verificata nel tardo pomeriggio di ieri sulla bretella
che congiunge il Passo della
Limina con la Strada di Grande Collegamento Jonio-Tirreno. Un drammatico incidente che è costato la vita ad
un uomo, Giuseppe Fabbìo,
autotrasportatore di 54 anni,
residente a Misterbianco in
provincia di Catania. Lo sfortunato camionista lavorava
per la ditta di autotrasporti
“Seitral” di Santa Venerina.
Erano circa le 17 quando
l'uomo, che si trovava alla
guida di un autoarticolato
“Scania Tiner Transport”,
che stava portando in Sicilia
un carico di acqua minerale
“Fabrizia”, dopo averlo preso
nello stabilimento della località vibonese, probabilmente
a causa di un improvviso malore o di un guasto meccanico
al mezzo, ha perso il controllo
della situazione. In base ai
primi rilievi Fabbìo dopo aver
attraversato il Passo della Limina, mentre stava per immettersi sulla Sgc, sembrerebbe aver perso il controllo
dell'autoarticolato che ha
proseguito la sua corsa andando a sbattere con il gard
rail. Poco prima dell'arrivo in
galleria lo stesso forse per
evitare qualche mezzo, è andato a sbattere violentemente contro un muro. Sembrerebbe che a questo punto il pesante mezzo si sia spezzato: la
cabina di guida dopo aver urtato una Fiat “Punto” bianca
con alla guida due insegnanti di Taurianova, si è capovolta, contenendo al suo interno
il corpo ormai senza vita dell'uomo, mentre la parte mo-
Catanzarese a Torino
Nell’inchiesta sull’omicidio dell’elettrauto Pioli
Tenta
di riciclare
1,5 milioni
CATANZARO – Nullatenente per il fisco, ha tentato
di riciclare un milione e
mezzo di euro, proventi di
furti e truffe, facendoli
rientrare dall’estero attraverso lo “scudo fiscale”.
La Guardia di Finanza di
Torino lo ha scoperto grazie alla segnalazione di
un’operazione sospetta fatta da un istituto di credito
alla Banca d’Italia e ha sequestrato il denaro.
Nel febbraio 2010, all’uomo – Pino Mauro, di 55 anni, della provincia di Catanzaro – erano stati sequestrati immobili, auto e
gioielli per due milioni di
euro.
L'uomo aveva accumulato all’estero un patrimonio
milionario che voleva «rimpatriare» utilizzando lo
scudo fiscale.
Per questo motivo la sua
convivente, una donna russa incensurata, era pronta
a intestarsi i suoi beni. Il
tentativo di riciclaggio è
stato scoperto dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria Torino, coordinati
dalla procura della Repubblica di Torino che ha disposto il sequestro del milione e mezzo che era pronto per essere investito in
fondi azionari italiani ed
esteri.
Nel febbraio dello scorso
anno, le stesse Fiamme
gialle, insieme alla Procura della Repubblica di Torino, avevano già sequestrato all’uomo nove immobili
in Piemonte e Lombardia,
fra i quali un appartamento in pieno centro a Torino,
del valore di 800 mila euro,
disponibilità finanziarie
per 50 mila euro, una Bmw
da 70 mila euro, tre diamanti e quote di una società
immobiliare intestata alla
donna, che pure aveva dichiarato al Fisco redditi di
poche migliaia di euro.
Le bottiglie cadute giù dal camion che si è ribaltato sulla strada statale 106
trice carica di centinaia di
casse di acqua minerale ha
proseguito la sua corsa fino
alla fine della galleria, dove si
èpoi capovolta,incendiandosi. Sul posto sono i intervenuti i Vigili del Fuoco di Polistena guidati dal caposquadra
Santo D'Amico e i colleghi del
distaccamento di Siderno
guidati dal caposquadra, Sebastiano D'Agostino. Tempestivamente sono giunti anche la Polizia Stradale di Si-
derno, con il comandante Alberto Fossella, i Carabinieri
della locale Stazione, guidati
dal maresciallo Massimo
Miozzo e gli agenti del Commissariato di Polizia di Polistena, guidati da Pierfranco
Amati. Solo dopo diverse ore,
il magistrato ha dato parere
positivo per la rimozione del
cadavere, che è stato trasportato nella sala mortuaria dell'Ospedale di Polistena per l'identificazione.
Anche il figlio di Simona
vivrà sotto protezione
di DOMENICO GALATÀ
MELICUCCO - Simona Napoli ha riabbracciato il suo bambino. La 24enne di Melicucco, tra i protagonisti, suo
malgrado, della vicenda riguardante la scomparsa di
Fabrizio Pioli, è stata raggiunta dal figlioletto di cinque anni nella località segreta dove si trova da alcune settimane in seguito alla decisione di collaborare con le
forze dell'ordine.
L'input per far ricongiungere madre e figlio è partito
dalla Procura della Repubblica di Palmi, guidata dal
Procuratore
Giuseppe
Creazzo, che ha segnalato ai
magistrati del Tribunale dei
Minori di Reggio Calabria la
situazione in cui si trova la
donna, principale accusatrice del padre Antonio, tutt'ora
latitante, e del fratello Domenico, attualmente detenuto,
sospettati di aver ucciso e fatto sparire il corpo di Pioli.
Il procuratore Capo della
Fabrizio Pioli
Procura per i minori del capoluogo, Carlo Macrì, ha accolto la richiesta proveniente dagli uffici giudiziari di
Palmi, disponendo che il
bambino fosse prelevato e affidato alla madre. Una decisione che sarebbe stata materialmente eseguita sabato
scorso da parte dei Carabinieri. La risoluzione presa
dai magistrati allevia così la
solitudine della Napoli, completamente isolata dopo aver
aderito al programma di protezione proposto dagli inquirenti che stanno indagando
sulla scomparsa del 38enne
elettrauto di Gioia Tauro con
cui la donna aveva intrapreso una relazione extraconiugale.
A quasi tre settimane dalla
scomparsa di Pioli, intanto,
proseguono senza sosta le ricerche da parte dei militari
dell'Arma. Non c'è giorno in
cui i Carabinieri passano al
setaccio le campagne che circondano Melicucco, paese
dove Fabrizio è stato visto per
l'ultima volta. Ricerche che,
sino ad ora, hanno portato ad
un nulla di fatto, sia per
quanto riguarda il corpo di
Pioli che la sua automobile,
una Mini Cooper nera con il
tettuccio bianco con la quale
il 23 febbraio scorso si era recato a Melicucco per incontrare la Napoli.
Parallelamente, i Carabinieri sono sulle tracce di Antonio Napoli, “uccel di bosco”
sin dal primo giorno in cui è
avvenuta la vicenda. Anche
inquestocaso, lericerchesono per il momento vane.
al processo in Germania
di PASQUALE VIOLI
per i presunti autori delSIDERNO - Sulla strage l'eccidio. Ed in quelle
di Duisburg l'ombra del- carte la polizia tedesca
pare inserì anche l'ipotela pista turca.
E' quanto è venuto si investigativa di una
fuori nell'udienza di ieri resa dei conti della crial processo contro Giu- minalità turca nei conseppe e Sebastiano Nirta fronti degli italiani.
Una pista fino ad oggi
che si sta celebrando davanti alla Corte d'Assise rimasta chiusa nei casdi Locri presieduta da setti della procura tedesca e che è stata tirata
Alfredo Sicuro.
fuori ieri in
In
video
aula dall'avcollegamenvocato Antoto dalla Gernio Russo, dimania c'erafensore
di
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condannato Il ristorante “Bruno”
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fronti di GiuRusso ha anseppe e Sebache chiesto
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componenti del commando che se fosse a conoscenza di
nel ferragosto 2007 da- questi atti, l'investigatovanti al ristorante italia- re ha preferito parlare di
no "Da Bruno" uccisero quello che materialmenTommaso Venturi, 18 te ha svolto come attività
anni, Francesco Giorgi, investigativa. E in video
16 anni, Francesco Per- collegamento dalla Gergola, 22 anni, Marco mania i teste Shalk e BolPergola, 20 anni, Marco tz hanno riferito, riMarmo, 25 anni e Seba- spondendo anche alle
stiano Strangio, 39 an- domande del pubblico
ministero Federico Perni.
La mattanza secondo rone Capano, di avere efla Dda di Reggio Cala- fettuato dei rilievi sul
bria sarebbe da inqua- luogo del delitto immedrare chiaramente nella diatamente dopo la strafaida di San Luca tra i ge e di avere rinvenuto e
Pelle-Vottari e i Nirta- sequestrato poco distanStrangio. Immediata- te dal ristorante "Da
mente dopo la strage la Bruno", alcuni mozzicopolizia tedesca avviò le ni di sigaretta che seconindagini e dopo qualche do alcuni testimoni ventempo aprì un fascicolo nero lasciati qualche
contro Giovanni Stran- giorno prima dagli uogio, che subito dopo il 15 mini che compirono la
agosto 2007 risultò lati- mattanza mentre erano
tante. Un fascicolo che appostati a studiare il
avrebbe dovuto portare luogo dell'eccidio.
La difesa vuole
portare
nuovi atti
in dibattimento
Crotone. La decisione dei giudici nei confronti di imputati nordafricani. Disposte anche 13 assoluzioni
Dieci condanne per i trafficanti di esseri umani
di ANTONIO ANASTASI
CROTONE - Dieci condanne e 13 assoluzioni.
E’ il verdetto emesso ieri sera dal Tribunale
penale di Crotone nei confronti di imputati
nordafricani che erano stati coinvolti nell’inchiesta che, nel gennaio 2005, portò alla maxioperazione Salib, che avrebbe fatto luce sul
lucroso business del traffico di esseri umani e
su una presunta holding criminale che
avrebbe organizzato, dietro compenso, le fughe dal Centro d’accoglienza S. Anna di Isola
Capo Rizzuto. I reati che venivano contestati
agli imputati - per lo più provenienti dal Sudan e dall’Egitto ma in gran parte irreperibili
o latitanti - sono, a vario titolo, quelli di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di
esseri umani, riduzione in schiavitù, sequestro di persona e favoreggiamento dell’immi-
grazione clandestina. La pena più elevata è
stata inflitta al presunto capo dell’organizzazione, Aly Ayman: 26 anni di reclusione. Per
lui, ma anche per altri due imputati, il pm della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla aveva chiesto condanne a 30 anni. Le pene più
basse proposte dal pm non andavano al di sotto dei 9 anni, ma, a parte una a 17 anni, le condanne disposte dal collegio presieduto da
Massimo Forciniti non superano gli otto anni.
Folta la pattuglia dei difensori. Gli avvocati
Luigi Frustaglia, Domenico Pietragalla, Fabrizio Salviati, Viviana Iuliano, Maria Claudia Conidi, Mario Sero, Pasquale Le Pera e altri hanno tentato di smontare la tesi di un’associazione a delinquere, al centro dell’impianto accusatorio originariamente elaborato dal pm Luigi De Magistris. L’indagine, pe-
rò, era stata avviata sulla base di indizi relativi ad un’associazione sovversiva, sospettata
di legami con ambienti fondamentalisti islamici. La strategia dell’organizzazione criminale era, secondo l’accusa, volta non solo a organizzare i
viaggi della speranza sulle carrette
del mare ma anche quella di creare
il caos, con risse e rivolte, all’interno del Centro d’accoglienza per favorire le fughe. Una volta lasciato il
S.Anna, iniziava la compravendita
di esseri umani. Di 100, forse 150
euro era il riscatto chiesto alle famiglie dei disperati dagli aguzzini per
rilasciare gli ostaggi che venivano
sequestrati. A distanza di un anno dall’operazione Salib, analoghi scenari furono svelati
con un’altra maxiretata, denominata Abid.
Inflitti
26 anni
al capo
della gang
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16 Calabria
Nella Piana una raccolta di fondi promossa dalla preside di un istituto, contattata per un segno “divino”
Vita da recluse per una rara allergia
Madre e figlia affette da sensibilità chimica multipla curabile solo all’estero
di ROSITA GANGI
GIOIA TAURO - Vivere in un
ambiente senza solventi, disinfettanti, insetticidi, pesticidi, fumo di sigaretta, di
asfalto, di colle e vernici. Eliminare anche profumi,
spray per i capelli, lattice,
deodoranti o prodotti per le
pulizie di mobili e pavimenti. E nessuna presenza di
campi elettromagnetici. Un
ambiente così, nella vita
quotidiana, non esiste.
Ed è per questo che Elisa e
Raffaella (i nomi sono di fantasia), mamma e figlia di
Taurianova, una vita normale non possono averla.
Soffrono entrambe di una
rarissima forma di allergia
chiamata Mcs (Sensibilità
chimica multipla) che le rende intolleranti a diversi elementi provocando disturbi
che vanno dalle vertigini al
broncospasmo, dalle infiammazioni alle violente cefalee e dolori muscolari, orticaria e amnesia a breve termine. A questo si aggiunge
l'impossibilità di assumere
la quasi totalità di farmaci
che potrebbero alleviare tali
disturbi, per intolleranza
anche ai loro principi attivi.
Più che un'esistenza, un
calvario. Non esita a definirla così Elisa, questa vita in
cui si dibatte da quando, dopo decine di diagnosi errate,
ha scoperto che la sua malattia è rara. E come tale, poco
interessante agli occhi della
sanità pubblica. Basti pensare che in Italia è riconosciuta solo da alcune regioni
tra cui la Toscana, l'Emilia
Romagna, l'Abruzzo e il Lazio e solo in queste regioni,
graze ad un accordo con il
ministero della Salute, alcuni malati hanno già ottenuto
l'invalidità civile al 100%. E
in alcuni casi anche dei fondi
per le cure.
La donna ha dovuto lasciare il suo lavoro, ed è in attesa
del riconoscimento dello stato di invalidità. La figlia ha
dovuto lasciare gli studi e vive sotto una campana di vetro. In casa, gli ambienti sono sterilizzati e con schermi
protettivi seminati ovunque, dal computer alla televisione. Curarsi è ancora possibile, ma costa tanto. Per
dare un’idea, solo un colloquio con il direttore del cen-
La sede di Londra del Breakspear Hospital Hertfordshire House
tro londinese che si occupa
di queste patalogie, si paga
250 euro all’ora. E dopo la
diagnosi partono gli esami:
1800 euro solo per farne tre.
Le cure, poi, hanno un prezzo esorbitante.
Per questo Elisa chiede
aiuto. Ma prima che per lei,
lo fa per la figlia, che ha soli
17 anni, e potrebbe essere costretta a seguire questo buio
tunnel dell'isolamento e della solitudine, senza contatti
sociali, senza passeggiate
all'aperto, senza amici e senza lavoro.
Elisa ha pregato tanto per
avere una soluzione da Dio,
quella che gli uomini non
potevano offrirle, e un giorno ha creduto di vedere un
segno. Leggendo un articolo su un quotidiano siciliano
ha scoperto che una giovane
donna ragusana era affetta
dalla sua stessa malattia, e
quella giovane donna porta-
va lo stesso nome e cognome
di una preside che conosceva: Mariella Russo. Elisa ha
così deciso di chiedere a lei
aiuto per poter far partire
una raccolta di fondi che
permetterà a lei e a sua figlia
di potersi curare a Londra,
presso il Breakspear Hospital Hertfordshire House, diretto dalla dottoressa Jean
Monro, che è uno dei pochi in
Europa in cui questa malattia si cura.
E così ha preso penna e
carta (rigorosamente ecologica senza sbiancante e odori, perché anche quella è allergizzante) e ha scritto alla
preside, confidando semplicemente in quel segno, in
quell'omonimia. La preside,
che è persona combattiva e
sensibile, non ha perso occasione per dare la propria disponibilità e ha deciso di
aprire una sottoscrizione di
fondi per poter aiutare le due
donne in difficoltà. Per consentire loro di prendere
quell'aereo, che dovrà essere
un mezzo speciale dello Stato, del tutto privo di qualsiasi agente scatenante, così come certificato e richiesto dal
Policlinici Umberto I di Roma che segue la patologia di
madre e figlia, e partire alla
volta di Londra.
La preside Mariella Russo
ha quindi accolto la richiesta della donna e ha deciso di
aprire una raccolta di fondi
intestata all’Istituto d’istruzione superiore “R. Piria” di
Rosarno presso la Banca Popolare del Mezzogiorno - Sede di Gioia Tauro Codice
Iban IT80G052568137000
0000 902067.
L’appello è lanciato. Ora
tutto starà alla sensibilità
della gente di Calabria.
Il consiglio provinciale approva una mozione per non lasciarla sola
Anche Firenze si stringe
intorno ad Anna Maria Scarfò
di FEDERICA LEGATO
IL CONSIGLIO provinciale di Firenze «con
voto unanime si stringe attorno ad Anna
Maria Scarfò, la ragazza di San Martino di
Taurianova che ha avuto il coraggio di denunciare prima il branco che l'ha violentata per tre anni» e poi alcuni suoi conterranei, che a seguito della sua denuncia l'hanno minacciata ed ingiuriata. Su proposta,
infatti, della presidente della Commissione
Pari opportunità, Loretta Lazzeri, l'Assemblea ha approvato una mozione «per non far
sentire sola Anna Maria di fronte al branco
e ai cittadini che l'hanno maltrattata».
La coraggiosa donna, oggi 26enne, che
attualmente vive in località protetta, è «la
prima donna a cui lo Stato ha riconosciuto
la protezione per la legge sullo stalking».
Dopo anni di violenze, iniziate quando aveva appena 13 anni, Anna Maria ha intrapreso, circa 10 anni fa, «la sua battaglia per
riappropriarsi della sua vita, da sola e contro tutti». Anna Maria continua a combattere la sua lotta ed «è riuscita a far condannare, con sentenza definitiva in rito abbreviato, 6 dei suoi 12 stupratori. Per gli altri 6 è in
corso il processo d'appello (in primo grado
sono stati condannati anche loro). Inoltre, è
riuscitaafareammonire unadecinadipersone per stalking».
Nell'ultimo mese, semplici cittadini, associazioni, donne e uomini, provenienti da
tutta la Calabria, dalla Sicilia e dalla Campania si sono affiancate a lei, si sono mobilitati per rompere un silenzio lungo tredici
anni. E, da oggi, accanto ad Anna Maria, si
affianca anche la Provincia di Firenze.
Anna Scarfò
IN TV
Il procuratore
Macrì: «La mafia
ha sdoganato
i boss gay»
CATANZARO – «La mafia ha sdoganato i boss
gay. Ora non si nascondono più e se hanno potere le “cupole” li accettano».
Lo ha detto il procuratore generale di Ancona,
Enzo Macrì, ex Procuratore nazionale antimafia aggiunto, intervenendo a 'KlausCondicio», il talk show di
Klaus Davi in onda su
You Tube.
«Non è che un boss –ha
aggiunto il procuratore
Macrì – possa fare coming out in modo plateale. L’omosessualità
nella mafia è ancora un
tabù sotto il profilo del
costume, ma il grande
boss può permettersi di
essere omosessuale senza temere di essere ucciso. Dipende dai rapporti
di potere: i mafiosi di piccolo calibro devono tenersi nascosti altrimenti vengono espulsi anche in maniera violenta.
Ma se è un capo, allora se
lo può permettere. Nessuno osa toccarlo: questa la vera novità. Si può
essere gay e mafiosi».
Sul tema, sempre sollecitato da Klaus Davi, è
intervenuto anche il magistrato della Corte di
cassazione,
Raffaele
Cantone, ex pm della
Dda di Napoli. «La camorra – ha detto Cantone – è la meno omofoba
tra le varie organizzazioni. Anche se non c’è
una sola camorra. Diciamo che quella urbana è
la più “aperta” sessualmente, ricalcando in
questo senso un certo
spirito napoletano da
sempre tollerante verso
le minoranze».
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Calabria 17
24 ore
Mercoledì 14 marzo 2012
Mercoledì 14 marzo 2012
Operazione Lancio. Diciotto persone fermate con l’accusa di associazione mafiosa e favoreggiamento
Stroncata la rete di Condello
Terra bruciata dei carabinieri reggini intorno al superlatitante di Archi
IL PENTITO IANNÒ
di GIUSEPPE BALDESSARRO
GLI offrivano alloggi, vitto e supporto logistico. Ma anche un aiuto fondamentale per
la gestione degli affari, facendo da tramite
tra lui e gli affiliati o intestandosi i suoi beni. Erano le donne della cosca Condello che
per anni hanno aiutato il boss latitante Domenico, diventato il numero uno del clan
più potente della Calabria dopo l’arresto,
avvenuto nel febbraio 2008 dopo 11 anni di
latitanza, del cugino Pasquale Condello
detto «il supremo».
A svelare il circuito di relazioni e di sostegno economico e logistico a Domenico Condello, detto «mico u paccio», latitante dal
1991, condannato all’ergastolo e nell’elenco dei ricercati più pericolosi, è stata un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che
stamani ha portato i Carabinieri del Ros e
del Comando provinciale a sottoporre a fermo 17 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, procurata inosservanza della pena, favoreggiamento ed intestazione fittizia di beni, aggravati dalle finalità mafiose. Gli uomini del Colonnello Pasquale Angelosanto hanno messo assieme
un’inchiesta classica e solida. Fatta di pedinamenti, di cimici piazzate negli angoli più
nascosti e telecamere in grado di registrare anche i più piccoli spostamenti dei fiancheggiatori di Condello. Incastrando ogni
elemento ne è venuto fuori un puzzle complesso. I complici di “Micu u pacciu”, infatti
erano particolarmente accorti ed usavano
dei codici per comunicare tra di loro. L’inchiesta contiene il racconto di appuntamenti
fissati con un solo squillo di cellulare, di lunghi
viaggi in auto senza
proferire parola, di auto
nascoste su cui trasportare i familiari di Condello nascosti tra i sedili. Un dedalo di trucchi
che tuttavia non sono
serviti a nascondere
connivenze e contatti.
Tra i fermati nell’inchiesta che porta la firma dei pm Giuseppe
Lombardo e Rocco Cosentini, ci sono, come
accennato anche le donne. Secondo la Dda, per
come riferito anche dagli investigatori e dal
Procuratore aggiunto
Ottavio Sferlazza avevano un ruolo centrale
nella rete dei fiancheggiatori. Tra queste Giuseppa Condello, sorella
del latitante e moglie del
boss Antonino Imerti
«nano feroce». La donDomenico Condello
na, secondo gli investigatori, benchè formalmente estranea
all’attività di protezione del fratello, in realtà era al centro dell’apparato incaricato della gestione occulta delle attività imprenditoriali del boss intrattenendo relazioni sia
con studi commerciali che con istituti di
credito. Ed era sempre a lei, insieme ad altri
congiunti, che era intestato il forno «Pane,
pizza e fantasie», riconducibile, secondo
l’accusa, direttamente a Domenico Condello. Con Giuseppa Condello, inoltre, si interfacciavano la sorella Caterina e Margherita Tegano, compagna del boss latitante, alle quali comunicava le decisioni prese o da
prendere. In manette, oltre a loro, sono finite anche la zia di Condello, Maddalena Martino, Mariangela Amato (dalla cui abitazione era stato realizzato un allaccio elettrico
per un covo destinato ad ospitare il latitante scoperto nel 2011) e Giuseppa Cotroneo.
Quest’ultima avrebbe avuto un ruolo
centrale nel favorire la latitanza. E’ infatti
la suocera del fratello di Mico Condello, dal
boss ricevette anche un messaggio di ringraziamento.
«Cara commare – scriveva Domenico
Condello in un pizzino sequestrato – io me
ne sto andando. Mi diceva l’amico qui che
ogni tanto per un paio di giorni posso venire, e io l’ho ringraziato. Lascio qui tutto
quello che mi avete mandato perchè se torno mi può servire. Vi ringrazio di tutto».
L’operazione di oggi, però, non ha colpito
solo le donne, ma gran parte della famiglia
del latitante. In carcere, infatti, sono finiti
il padre, il fratello, lo zio ed il nipote.
Un’operazione che ha avuto anche un risvolto sociale. I Carabinieri, infatti, hanno
donato all’Opera Don Orione 300 capi d’abbigliamento mai usati trovati nel covo di
Condello. L’unico che è riuscito nuovamente a sfuggire, è proprio lui, Domenico Condello. Ma il cerchio intorno alla sua latitanza si fa sempre più stretto.
Giuseppa, donna
al servizio del clan
REGGIO CALABRIA - A riscontro di
quanto scoperto sul conto di Giuseppa
Cotroneo, gli inquirenti non hanno soltanto i pizzini indirizzati dal boss Mico
Condello alla donna. Nelle carte dell’inchiesta si trovano infatti anche le dichiarazioni del pentito Paolo Iannò. Il quale
spiega ai magistrati che la Cotroneo anche in altre occasioni si era resa disponibile ad accogliere i latitanti della cosca
Condello-Imerti.
Dice Iannò: «La Cotroneosi che abita a
Catona. E ci ha dato un appoggio una
volta in un attentato».
Ilmagistrato adulteriore confermadi
quanto esposto, chiedeva: “La signora?”. E Iannò confermava: «Sì. Non so se
al corrente lei ah, del fatto ma noi siamo
stati nella casa abbiamo messo la macchina rubata dentro il garage, una “Fiat
Uno”uguale bianca alla sua…».
Nella sostanza, negli anni della guerra di mafia, la cosca aveva programmato
un agguato, che poi tra l’altro non era
andato a buon fine (la vittima non si era
fatta viva) ed aveva ottenuto sostegno logistico dalla Cotroneo. In altri termini il
commando di killer si era sistemato in
un garage nella disponibilità della donna in attesa di entrare in azione.
Scrivono gli inquirenti: «Ad ulteriore
conferma dell’identità di Cotroneo Giuseppa, il collaboratore di giustizia aggiunge: “Ah, suo marito è ferroviere il
Cotroneo è ferroviere e noi siamo… Il
marito lavora in ferrovia, lei appoggiava
Nino Imerti quando mancava il marito si
trovava al lavoro, quando telefonava il
maritodicesta venendodomani,dacasa
non si poteva stare, noi abbiamo dormito
in una stanza sopra, che una stanza, oggi sarà una stanza grande a tipo ripostiglio, lei metteva le lenzuola ».
Gli indagati
comunicavano
con un
linguaggio
in codice
Margherita Tegano lascia la caserma dei carabinieri
Le cimici
scoperte
da Richichi
LAVORANO sodo i segugi del Ros per incastrare il latitante Domenico Condello. Tappa obbligato il monitoraggio
dei fiancheggiatori, dei
giovanotti delle 'ndrine
sul taccuino dei carabinieri perché ritenuti il
possibile gancio per arrivare alla cattura del
boss di Archi. Tra questi
Massimiliano Richichi
che in due occasioni, il
23 e 24 dicembre 2010,
evidenziano i pm nel decreto di fermo «individuava e disattivava tre
microspie installate su
tre autovetture (Hyundai IX35, Fiat Panda,
Fiat Croma) al fine di tutelare la latitanza di
Condello Domenico dai
controlli delle forze dell'ordine».
E lo stesso Massimiliano Richichi è stato
pizzicato dai carabinieri
della sezione anticrimine insieme a un nipote di
Pasquale Condello “Il
Supremo”, presso l'aeroporto di Milano «dove
i due venivano prelevati
da Giulio Lampada che
con il fratello Francesco
emergeva nel corso dell'indagine convenzionalmente denominata
“Meta” quale soggetti
collegati all'organizzazione criminale Condello”.
f. t.
I FERMATI
Roberto Richichi
Pasquale Richichi
Massimiliano Richichi
Cosimo Morabito
Maddalena Martino
Mariangela Amato
Giuseppa Cotroneo
Bernardo Pedullà
Giuseppa Condello
Caterina Condello
Francesco Condello
Francesco Genoese
Giuseppe Martino
Giovanni Barillà
Giuseppe Barillà
Demetrio Romeo
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22 Reggio
La Squadra mobile chiude un’inchiesta partita dalla denuncia di un reggino cui era stato rubato il motorino
Cavallo di ritorno, 4 arresti
Gli agenti hanno verificato le pressioni per far ritrattare le dichiarazioni
E' STATA conclusa alle prime ore di ieri un'articolata
operazione della Polizia di
Stato, condotta dalla Squadra Mobile della Questura
di Reggio Calabria, diretta
da Gennaro Semeraro, che
ha interessato il territorio
di Reggio Calabria.
La prima esecuzione di
ordinanze cautelari in carcere emesse dal giudice per
le indagini preliminari
presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta
della locale Procura della
Repubblica, per i reati di
estorsione, furto, falsa testimonianza ed altro. In
manette sono finiti: Antonio Bevilacqua, reggino di
23 anni; Mario Bevilacqua,
43enne di Reggio Calabria;
Mohamed Benrachid, marocchino di 48 anni e Abdelmjid Hanoun nato in
Marocco di 38 anni.
Il provvedimento restrittivo cautelare si innesta
nella prosecuzione dell'attività investigativa condotta sempre dalla Squadra
Mobile che aveva portato il
5 maggio e l'11 maggio
2009 all'arresto di Mario e
Antonio Bevilacqua, per i
reati di ricettazione ed
estorsione ai danni del proprietario di un ciclomotore
al medesimo sottratto e restituitogli dietro compenso.
La dettagliata denuncia
della vittima, le cui dichiarazioni avevano già consentito l'arresto degli omonimi Bevilacqua, unitamente agli esiti delle indagini condotte da dalla Polizia determinavano l'emissione, e la conseguente
odierna esecuzione, di una
nuova misura cautelare
che consentiva l'arresto dei
soggetti prima menzionati
i quali, in più riprese, avevano mirato a spingere la
persona offesa affinchè ritrattasse le sue dichiarazioni in sede di incidente
Antonio Bevilacqua
Mario Bevilacqua
Abdelmjid Hanoun
Mohamed Benrachid
Per gli investigatori della polizia avrebbero preso di mira una rivendita di via Reggio Campi
Colpo in tabaccheria, in manette
Domenico Condello e Sacha Ubaldo Ruggeri finiscono dietro le sbarre
LA Squadra mobile di Reggio Calabria ha
chiarito i contorni della rapina alla tabaccheria di via Reggio Campi. La notte scorsa, infatti, gli uomini di Gennaro Semeraro hanno tratto in arresto Sacha Ubaldo
Ruggeri, giovane reggino di 20 anni e Domenico Condello, 21enne di Reggio Calabria.
I due indagati sono ritenuti responsabili del delitto di rapina effettuata con una
pistola giocattolo presso la “Tabaccheria
numero 9”sia in via Reggio Campi II tronco di Reggio Calabria.
Nello specifico, mentre Ruggeri avrebbe assunto il ruolo di palo, rimanendo al
di fuori del predetto esercizio commerciale al fine di coprire l'azione del complice,
Domenico Condello, con il volto coperto
da un cappellino ed una sciarpa, introdottosi nella tabaccheria, puntava l'arma
contro la cassiera intimandole di consegnare l'incasso di 600 euro.
Le indagini della Squadra mobile di
Reggio Calabria avrebbero accertato nei
confronti degli stessi ulteriori attività criminose tra cui condotte di furto aggravato ed utilizzo indebito di carte bancomat
provento di furti con le quali venivano effettuati, altresì, documentati prelievi di
danaro contante presso alcuni sportelli
bancari.
Dopo le formalità di rito gli arrestati sono stati associati presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria.
Domenico Condello
Rideterminata la pena per Antonio Pelle
Accolto l’appello dell’accusa
18 anni per la “mamma”
di CLAUDIO CORDOVA
ACCOLTO l'appello dell'accusa, la condanna per Antonio
Pelle, “la mamma”, passa dai
tredici anni inflitti in primo
grado ai diciotto comminati ieri pomeriggio dalla Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria.
Per Pelle, attualmente latitante dopo essere evaso alcuni
mesi fa dall'ospedale di Locri,
la Corte presieduta da Bruno
Finocchiaro,
al
termine di una camera di consiglio
di circa quattro
ore, ha riconosciuto la transnazionalità delle contestazioni mafiose, accogliendo così la
richiesta formulata il 24 gennaio
scorso dal sostituto procuratore generale Adriana Fimiani.
Pelle è evaso dall'ospedale di
Locri alcuni mesi fa, dopo la
scarcerazione avvenuta per
motivi di salute. La sua posizione venne stralciata dal maxiprocedimento “Fehida”, che
ha visto cadere una pioggia di
condanne sulle cosche di San
Luca. L'uomo, dopo una latitanza di oltre un anno, fu arrestato dalla Squadra Mobile di
probatorio, in relazione al
delitto di estorsione commesso dai Bevilacqua.
La Squadra mobile di
Reggio Calabria riusciva a
documentare che, in data
20 e 23 maggio 2009, gli
odierni arrestati, minacciavano la vittima dell'estorsione e la sua famiglia,
rubando altresì nuovamente il medesimo ciclomotore per costringere il
denunciante a ritrattare le
proprie dichiarazioni in sede di incidente probatorio,
che si sarebbe tenuto da li a
breve.
Infine, nel mese di giugno 2009, sempre gli odierni arrestati promettevano
alla vittima la somma di denaro di 1500 euro per indurlo a commettere il reato
di falsa testimonianza con
l'intento di essere scagionati dalle accuse di estorsione.
Reggio Calabria, a quei tempi
diretta da Renato Cortese, nell'ottobre del 2008.
E' ritenuto dagli inquirenti
il capo dello schieramento che
avrebbe portato all'omicidio di
Maria Strangio, avvenuto nel
giorno di Natale del 2006: il
bersaglio designato, il marito
della donna, Giovanni Luca
Nirta, si salvò, ma la faida di
San Luca, iniziata per futili
motivi all'inizio degli anni '90,
si riacutizzò con la mattanza di
Duisburg, avvenuta nel Ferragosto del 2007, allorquando sul suolo
tedesco rimasero
in sei, al termine,
probabilmente, di
un compleannoaffiliazione alla 'ndrangheta.
Dopo l'arresto,
Pelle ha trascorso
solo poco tempo in
carcere, avendo prima ottenuto gli arresti domiciliari e poi
la sospensione del procedimento a suo carico. Da qui la
scarcerazione e continui viaggi in ospedale per le precarie
condizioni fisiche, fino all'ultimo ricovero, non comunicato
ai Carabinieri, culminato con
la rocambolesca fuga. “La
mamma”, infatti, riuscì a tagliare la corda sfruttando uno
Gli era stata inflitta
una condanna
a undici anni
di reclusione
dei pochi attimi di distrazione delle forze
dell'ordine che, nonostante le condizioni di salute malmesse, lo tenevano costantemente d'occhio.
Pelle, infatti, è affetto da anoressia,
una patologia che il
boss si sarebbe procurato da solo, in
maniera intenzionale, proprio per ottenere gli arresti domiciliari. Stando ai L’arresto di Antonio Pelle
medici che hanno visionato la sua cartella clinica, primo che in secondo grado
però, dalla condizione iniziale per l'omicidio di Maria Strandi volontarietà, Pelle avrebbe gio, avvenuto nel Natale 2006.
Nello stralcio di abbreviati,
poi perso il controllo della situazione, finendo inghiottito Antonio Pelle fu il soggetto punito, in primo grado, con la
nel tunnel della malattia.
Una situazione che avrebbe condanna più pesante inflitta
compromesso anche alcune dal Giudice per le udienze predelle sue funzioni psicologi- liminari Francesco Petrone,
che. Dal momento della fuga, tredici anni di reclusione.
Al boss di San Luca, però, il
comunque, si sono perse totalmente le tracce dell'uomo, no- sostituto pg Fimiani, al terminostante fin da subito le forze ne della propria requisitoria,
dell'ordine si siano rimesse in aveva contestato l'aggravante
della transnazionalità, riformoto per riacciuffarlo.
Il processo a suo carico si ce- mulando dunque la pena con
lebra al cospetto della Corte la dura richiesta di diciotto and'Assise d'Appello vista la con- ni di reclusione. Una richiesta
testazione di omicidio nei con- che la Corte, prendendosi alcufronti di uno degli imputati, ne ore per la decisione, ha acSanto Vottari, assolto sia in colto in pieno.
Sacha Ubaldo Ruggeri
BREVI
LA PROCURA AL LAVORO
Indagini sulle frodi fiscali
NOVE Procure della Repubblica, tra le
quali quella di Reggio Calabria in azione
per una maxi operazione su scala europea
antriciclaggio e antifrode fiscale. L'indagine è della Guardia di finanza. A Palermo
sono coinvolti armatori che, attraverso
l'acquisto fittizio di 6 navi in Corea del Sud,
avrebbero ottenuto indebitamente un rimborso Iva di 20 milioni di euro. Il valore
complessivo della frode al fisco in Italia
viene quantificato in 100 milioni di euro.
A Palermo sono stati perquisiti gli uffici
degli armatori Pietro, Givoanni, Alfredo e
Federica Barbaro. Le Procura interessate
oltre a Palermo sono quelle di Genova, Bologna, Cagliari, Milano, Reggio Calabria,
Prato, Roma e Firenze, che hanno agito in
raccordo con i rappresentanti olandese e
italiano in Eurojust.
NOTA DELLA PREFETTURA
Presidenti di seggi e richieste
LA Prefettura di Reggio Calabria ha comunicato che, per le consultazioni amministrative del 6/7 maggio 2012 riguardanti i comuni di Africo, Antonimina, Bivongi, Bova Marina, Calanna, Campo Calabro,
Caraffa de Bianco, Caulonia, Ciminà, Ferruzzano, Grotteria, Laganadi, Laureana
di Borrello, Melito Porto Salvo, Motta San
Giovanni, Palmi, Placanica, Platì, Portigliola, Rizziconi, San Procopio, Sant'Eufemia in Aspromonte, Staiti, Terranova Sappo Minulio e Varapodio, gli iscritti all'albo
dei presidenti di seggio dei comuni sopra
elencati, interessati ad espletare tali funzioni, dovranno far pervenire la relativa
istanza all'ufficio elettorale della Corte di
Appello, perentoriamente dal 14 marzo
2012 al 23 marzo 2012.
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Reggio 23
Mercoledì 14 marzo 2012
Terminator 3. Al pm Luberto: «Non l’ho detto prima perché non mi è stato mai chiesto»
«Bruni ucciso da Lanzino»
Oreste De Napoli spiazza tutti e indica il latitante come uno dei due killer
20 MARZO
di ROBERTO GRANDINETTI
«FRANCESCO BRUNI è stato ucciso da Ettore Lanzino e Mario Gatto. I mandanti sono
stati lo stesso Lanzino e Cicero». Lo ha detto
ieri ai giudici della Corte di Assise di Cosenza
il collaboratore di giustizia Oreste De Napoli,
ascoltato in merito al procedimento “Terminator 3”, concentrato sull’omicidio dello stesso Bruni e dell’altro boss cosentino Antonio
Sena. De Napoli ha spiazzato un po’ tutti. Finora, infatti, non aveva mai indicato il latitante Lanzino come esecutore materiale
dell’assassinio del boss soprannominato
“Bella-Bella”. «Nessuno me lo aveva mai chiesto» ha risposto, giustificandosi, alla relativa
contestazione del pm Vincenzo Luberto, della
Dda di Catanzaro, titolare del procedimento.
Un piccolo colpo di scena, ora al vaglio dei giudici presieduti da Antonia Gallo. Nel corso
dell’udienzanon sonomancati momenticoncitati, che hanno visto oggetto di contestazione i collaboratori di giustizia. A Francesco
Amodio, che ha raccontato le sue verità prima
di De Napoli, il giudice Gallo ha ricordato i
suoi doveri di pentito: «Lei - ha più o meno detto ieri al collaboratore, che sembrava reticente - è pagato dallo Stato per dire quello che
sa...». Quindi ha sospeso per qualche minuto
l’udienza. Si è poi ripreso, con Amodio che
avrebbe dovuto deporre sul delitto Bruni. Alla fine si è però stabilito di non utilizzare le sue
dichiarazioni in merito, in quanto ritenute
intempestive. Gli è stata data così la parola solo inmerito all’assassiniodi Sena.E quiAmodio ha detto che l’omicidio fu deciso all’interno del Bar San Francesco
di piazza Europa. Il pentito ha aggiunto che la sera
prima dell’agguato mortale gli fu dato l’incarico
di seguire l’auto del boss.
Sena fu ucciso alle 12.30
del 12 maggio del 2000 a
Castrolibero. La sua auto, una Rover, fu affiancata da una Lancia Thema. “Don Antonio” fu ucciso a colpi di pistola, coi
killer che risparmiarono
la vita al figlio e al conducente. «L’omicidio - riferì
Amodio nel corso di un
interrogatorio reso il 29
gennaio del 2003 - è maturato per via dei rapporti che Sena aveva con i
Bruni. Si presumeva che
Sena doveva comparire
nelle copiate dei Bruni».
Così facendo «faceva riconoscere i Bruni in tutta
la Calabria, perchè il Sena aveva molte conoscenze.... Quindi l’omicidio di
Sena doveva rappresentare il sigillo finale al preEttore Lanzino
dominio della città di Cosenza...».Amodio haricordatodi esserestato
chiamato al telefono da Vincenzo Dedato, che
gli disse di recarsi al bar San Francesco: «Lì
ad attendermi - ha detto il collaboratore di
giustizia - trovai anche Benito Aldo Chiodo,
Franco Presta, Giuseppe Perri, Mario Gatto e
Tommaso Gentile». Ad Amodio fu detto - appunto - di andare sotto casa di Sena e di memorizzare la sua Rover bordeaux. «Una settimana prima che si doveva fare l’omicidio - ha detto Amodio ai magistrati della Dda - fui incaricato da Chiodo di andare a tagliare il lucchetto di un cancello di fronte all’auto demolizione dove Chiodo lavorava... Andai a tagliare il
lucchetto e l’indomani avvisai il Chiodo di
aver provveduto ... In quel capannone - ha
spiegato - si doveva custodire l’auto per effettuare l’omicidio...». Per l’occasione sarebbero
stati acquistati, dallo scomparso Carmine
Pezzulli, dei telefonini, da usare però solo il
giorno dell’omicidio.
Nel corso degli interrogatori a cui è stato
sottoposto, Amodio ha precisato che l’eliminazione di Sena, «episodio eclatante e che scrisse il gip Macrì nell’ordinanza di “Terminator” - avrebbe duramente segnato il gruppo Bruni», non fu deliberata unicamente in
seno al suo gruppo criminale, ma ebbe anche
l’assenso di altri noti esponenti della malavita cosentina, quali Carmine Chirillo, Ettore
Lanzino e Domenico Cicero.
Amodio ha raccontato che Dedato subito
dopo l’omicidio dovette andare a Reggio per
dare dei chiarimenti ai boss del posto.
Oltre agli omicidi dei boss cosentini “Terminator 3” contempla anche quello, particolarmente efferato, di Primiano Chiarello e il
tentato omicidio di Umile Esposito. Sei gli imputati: Francesco Abbruzzese; Ettore Lanzino, latitante dal settembre 2009; Nicola Acri;
Francesco Presta, originario di Roggiano
Gravina, latitante dal maggio 2009; Vincenzo Dedato e Francesco Bevilacqua, entrambi
collaboratori di giustizia.
Amodio
richiamato
dal giudice
«Lei è pagato
per collaborare»
Slitta la sentenza
“Terminator 2”
DA UN “Terminator” all’altro. Ieri pomeriggio - sempre dinanzi ai giudici della Corte di Assise presieduti da Antonia
Gallo - si è infatti svolto anche il processo
“Terminator 2”, quello sugli omicidi di
di Marcello Calvano e Vittorio Marchio.
Sotto accusa ci sono Ettore Lanzino, Domenico Cicero, e i collaboratori di giustizia Vincenzo Dedato, Francesco Amodio, Giuliano e Ulisse Serpa. I primi quattro dell’accusa di omicidio. I due Serpa di
estorsione ai danni di due imprenditori
del Tirreno. La particolarità di questo
processo è che, per quanto riguarda i
due omicidi, ci troviamo di fronte a persone accusate solo di aver deliberato e organizzato gli assassinii. Il pubblico ministero Vincenzo Luberto nelle scorse
udienze ha formulato le richieste di pena. In particolare ha sollecitato l’ergastolo per Ettore Lanzino e Domenico Cicero; quattordici anni con le attenuanti
generiche per Vincenzo Dedato,
vent’anni per Francesco Amodio, per il
quale ha chiesto l’arresto e la revoca della misura di protezione; quattro anni per
Giuliano e Ulisse Serpa. Ieri la Corte ha
accolto la richiesta degli avvocati Manna
e Garritano, disponendo la trascrizione
di alcune intercettazioni (datate 28 settembre del 2009) che vedono come protagonista Romeo Calvano. Il processo è
stato quindi rinviato al 20 marzo, giorno
della sentenza.
L’auto nella quale viaggiava Francesco Bruni, ucciso all’uscita del carcere
Delitti di mafia. La parola ripassa al pg Facciolla
Appello “Missing”, ultimate
le arringhe difensive
SI SONO svolte ieri, davanti ai giudici
della Corte di Appello di Catanzaro, le
ultime arringhe difensive del procedimento antimafia denominato “Missing”, con al vaglio una quarantina di
omicidi commessi durante la guerra di
mafia nel Cosentino. Hanno preso la parolagli avvocatiMarcelloManna eConcetta Santo. L’udienza è stata quindi
rinviata al prossimo 20 aprile per le repliche del pg Eugenio Facciolla. La Corte comunicherà poi la data della sentenza. In primo grado il processo si concluse il 17 maggio 2010 con quattro ergastoli e 32 condanne comprese tra i 12 e i
29 anni di reclusione e 11 assoluzioni.
Facciolla ha chiesto la conferma delle
condanne e il non luogo a procedere per
Osvaldo Bonata e Michele Bruni, deceduti. Chieste le conferme dell’ergastolo
per Romeo Calvano, Gianfranco Ruà,
Pasquale Pranno e Franco Perna. Facciolla ha poi chiesto l’ergastolo per
Giancarlo Anselmo (in primo grado
condannato a 25 anni per gli omicidi del
piccolo Pasqualino Perri e di Carmine
Luce), Lorenzo Brescia (in primo grado
condannato a 27 anni per tre omicidi),
Santo Carelli, per Franco Muto (che in
primo grado era stato assolto), Edgardo Greco (a 25 anni per il duplice omicidio Bartolomeo) e Giuseppe Ruffolo
(era stato condannato a 29 anni per
quattro omicidi). Le altre richieste
avanzate dall’accusa sono per Domenico Cicero 30 anni; per Mario Baratta 30
anni di reclusione; per Gianfranco Bruni 30 anni; per Pasquale Bruni 30 anni;
per Enzo Castiglia 30 anni; per Giulio
Castiglia 30 anni, per Silvio Chiodo 30
anni; per Salvatore D’Andrea 30 anni;
per Giuseppe Iirillo 30 anni, per Rinaldo Mannarino 30 anni; per Mario Musacco 30 anni, per Sergio Prezio 30 anni; per Fioravante Abbruzzese 30 anni,
per Giovanni Abbruzzese 30 anni. Con-
ferme di condanna
per l’ex boss dagli
occhi di ghiaccio
Franco Pino (14 anni e 6mesi). Conferme di pena anche
per i collaboratori
di giustizia: Aldo
Acri 15 anni e mezzo, Umile Arturi 14
anni; Nicola Belmonte 12 anni e mezzo;
Pierluigi Berardi 12 anni; Vincenzo Dedato 12anni; FrancoGarofalo 14anni e
mezzo; Dario Notargiacomo 12 anni;
Giuliano Serpa 13 anni; Francesco Tedesco 13 anni e mezzo; Ferdinando,
Francesco Saverio e Giuseppe Vitelli,
12 anni e mezzo, 19 e 18 anni e mezzo.
Molto folto il collegio difensivo, formato tra gli altri dagli avvocati Luca Acciardi, Aldo Cribari, Nicola Rendace,
Filippo Cinnante, Cesare Badolato,
Paolo Pisani, Piergiuseppe Cutrì, Rosario Maletta, e Rossana Cribari,
L’avvocato
Marcello
Manna ha
tenuto le
ultime
arringhe
insieme alla
collega Santo
Il processo. «Da allora non si è più ripresa. E’ stata toccata davanti al fratello»
Abusi dal maestro, parla il padre della vittima
«MIA FIGLIA non si è più ripresa dopo quegli abusi. Praticamente sviene ogni giorno
e le telefonate al 118 non si contano più. Al
più presto la porteremo a Pisa presso un
centro specializzato...», Lo ha detto ieri in
aula il padre di una di una delle due ragazzine sulle quali si sarebbero concentrate le
morbose attenzioni del maestro di musica
Salvatore De Marco,
32 anni di Belsito,
ora imputato a piede
libero dopo un periodo di privazione della libertà. L’udienza
si è svolta dinanzi ai
giudici deltribunale
collegiale di Cosenza (Garofalo presidente, Ferrucci e Cosenza a latere) e al
pm Tridico. Il genitore ha ricordato che
la figlia quattordicenne trovò il coraggio
di raccontare alla madre degli abusi (risalenti al settembre del 2008) solo nel maggio
del 2009. «Le inviò un sms con su scritto
“Luca e un maniaco”. Dopo aver parlato
con mia moglie, dalla quale ero separato, si
confidò anche con me. Ci disse che il maestro la toccava nelle parti intime e che si
strofinava su di lei. Il tutto accadeva durante le lezioni di musica, alle quali partecipava anche il fratellino, che però non si è
mai accorto di nulla. Il maestro, infatti, si
metteva di spalle e a volte portava mia figlia
in un’altra stanza con una scusa». In
udienza c’era anche De Marco. Difeso dagli
avvocati Maurizio Nucci e Gabriele Volpe,
si è sempre dichiarato innocente e vittima
di equivoci. Fu arrestato il 18 ottobre del
2009 dagli agenti della polizia giudiziaria,
in esecuzione di un’ordinanza di custodia
cautelare emessa dal gip del tribunale di
Cosenza, Piero Santese, su richiesta del pm
L’avvocato di parte civile Amelia Ferrari
Tridico.
I fatti contestati spaziano tra il settembre del 2008 e il maggio 2009. Le violenze
contestate si sarebbero verificate nella sede dell’ex Comune di Grimaldi, dove il professor teneva le sue lezioni pomeridiane
private di pianola, fisarmonica e quant’altro. Oltre alla quattordicenne (i cui familiari sisono costituiti parte civiletramite l’avvocato Amelia Ferrari) ci sarebbe un’altra
vittima. Ascoltata in incidente probatorio
ha anche lei confermato di essere stata “avvicinata”dal prof. Lei però non si è costituita parte civile. Come parte offesa compare
anche il Centro contro la violenza alle donne “Roberta Lanzino”, rappresentato
dall’avvocato Marina Pasqua. Il processo
riprenderà il prossimo 12 aprile. Come testi d’accusa compariranno la madre della
quattordicenne e il cognato della seconda
presunta vittima.
r. gr.
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Cosenza 27
Mercoledì 14 marzo 2012
Provincia
Mercoledì 14 marzo 2012
Acri. Non si esclude la matrice dolosa. Sul posto i vigili del fuoco. Indagano i carabinieri
Auto del comandante in fiamme
Distrutta la Panda del dirigente della polizia municipale, Ventarola
di PIERO CIRINO
ACRI – Un inquietante episodio ha turbato ieri il risveglio
degli acresi. Nellanotte tra lunedì e martedì infatti l'auto
del comandante della Polizia
Municipale, Antonio Ventarola, è stata distrutta dalle
fiamme. E' stata la centrale
operativa, intorno alle 3:40, a
sollecitare l'immediato intervento dei Vigili del Fuoco, sia
dei volontari di Acri che di
quelli di Cosenza.
Sono bastati pochi minuti
per spegnere le fiamme, anche se l'auto, una Fiat Panda
verde,4X4, vecchiomodello,è
andata completamente distrutta.
Sono intervenuti prontamente anche i Carabinieri della stazione di Acri, che, giunti
sul posto quasi in contemporanea con i Vigili del Fuoco,
hanno avviato le indagini del
caso.
Allo stato, sembra che la
matrice dolosa possa essere
presa in considerazione. Non
ci sono elementi che la possano escludere, ma, in attesa di
riscontri, non vene sono nemmeno che possano determinarla con certezza. L’auspicio
generale è che si sia trattato,
come già avvenuto anche nel
recente passato in altre circo-
Una sezione a Longobucco
Il luogo dove era parcheggiata la Panda del comandante della Municipale
stanze, di un problema legato
all’impianto elettrico dell’automobile o qualcosa di simile.
In ogni caso, per saperne di
più, bisognerà attendere gli
esiti degli esami sull’auto. Solo allora sarà possibile identificare con certezza le fattezze
di questo episodio.
Forse, proprio in virtù
dell’incertezza che caratterizza i contorni di questa vicenda, ieri nessuno ha voluto
commentarla ufficialmente.
Certo, la sola ipotesi di dolo,
in una comunità come Acri,
crea apprensione e forte inquietudine. Da queste parti
l'incendio di un'auto a scopo
intimidatorio è una notizia
quasi sempre collocabile in
contesti estranei, magari appresa dai media.
L'auto del comandante dei
Vigili Urbani era parcheggiata sotto casa, in via Cavour, in
una zona residenziale di nuova espansione, popolata da vil-
lette.
Antonio Ventarola è stato
nominato comandante facente funzioni dellaPolizia Municipale lo scorso 30 giugno, dal
sindaco Gino Trematerra.
Ha 57 anni, una lunga carriera alle spalle nella Polizia
Municipale ed è, dal 2007, Cavaliere dellavoro, connomina
firmata dal Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano.Suo figlioPino èconsigliere comunale di maggioranza.
Luzzi. L’annuncio del Comune dopo l’approvazione dell’atto deliberativo
Una via per Dalla Chiesa
Lo slargo antistante alla nuova stazione dell’Arma avrà il suo nome
di ROBERTO GALASSO
LUZZI - Lo slargo antistante
alla nuova sede della stazione
dei Carabinieri di Luzzi sarà
intitolato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La notizia
è stata ufficializzata da un comunicato stampa di “Palazzo
Vivacqua”. Il commissario
straordinario dell’ente municipale, il viceprefetto Maria
Carolina Ippolito, ha approvato con un proprio atto deliberativo, immediatamente eseguibile, l’intitolazione del
tratto di strada comunale
compreso tra l’incrocio della
strada di circonvallazione di
Via Pedale e l’intersezione di
Piazza Kennedy, all’indimenticato generale. La decisione
di intitolare lo slargo al Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana,
nella ricorrenza del 30° anniversario della tragica scomparsa, è stata adottata anche
in considerazione dell’imminente inaugurazione della
nuova caserma della Benemerita. Sono ormai quasi ultimati, infatti, i lavori di adeguamento e ristrutturazione
dell’ex mercato ortofrutticolo
copertoche sorgeall’ingresso
della cittadina. Si avvia a conclusione, appunto, una problematica annosa che ha visto
imilitari dell’Arma operare in
una situazione di notevole
precarietà non solo per ciò che
concerne lo sfratto, esecutivo
dal 2005, quanto nell’indecenza e nell’inadeguatezza dei
locali che ora ospitano la caserma. Una dura battaglia in
tal direzione è stata portata
avanti in tutti questi anni in
particolar modo da Michele
Coppa, ex coordinatore cittadino del Pdl, affinché a Luzzi
si potesse godere ancora della
sicurezza e della legalità che
soltanto una stazione dei Carabinieri con la sua presenza
può dare. Coppa aveva altresì
chiesto nel 2006 rassicurazioni anche al Presidente della
Repubblica. Per il completa-
La nuova caserma dei carabinieri di Luzzi
mento della nuova caserma, il
cui iter aveva preso il via con
l’amministrazione dell’ex primo cittadino Gianfranco
D’Angelo, notevole e fondamentale è stato l’impulso in
questi ultimi anni dato
dall’esecutivo
municipale
guidato fino all’ottobre scorso
dal sindaco Manfredo Tedesco.A breve,quindi,l’inaugurazione e la consegna dei nuovi locali all’Arma. Nell’attesa
il tratto di strada antistante alla caserma è stato denominato
“Largo Carlo Alberto Dalla
Chiesa”. L’apposito atto è stato trasmesso al Prefetto Raffaele Cannizzaro per i successivi adempimenti.
Questa sera per la rielezione del consiglio direttivo
Gli avisini di Torano in assemblea
TORANO CASTELLO - L’assise straordina- senza cadere negli errori del passato che,
ria dell’Avis comunale è stata convocata per pur nella totale buona fede e con grande senoggi, alle 18, presso la sala polifunzionale di so di sacrificio di chi mi ha preceduto, hanno
Torano Centro, per la rielezione del consi- ingenerato grande confusione alimentando
glio direttivo. L’organismo dirigenziale del incomprensioni e malumori non degni di
sodalizio eletto a seguito dell’assemblea del un’organizzazione di volontariato”. Per il di14 giugno dell’anno scorso, infatti, è deca- namico presidente Amodio nel 2011 è stato
duto a seguito della mancata approvazione confermato a grandi linee l’importante traguardo dell’anno precedendel Bilancio 2011. Nel corso
te, incentrando le attività sul
dell’assemblea ordinaria del
principale obiettivo che è il
29 febbraio scorso, appunto, il
fondamento
stesso
documento contabile non è
nell’Avis, cioè il dono del sanpassato. “Un bilancio redatto
gue, la sua propaganda e il
tenendo conto di quello che è
conseguente incremento dei
stato il precedente e perciò che
donatori e delle donazioni
mi riguarda dalla giacenza di
che hanno raggiunto la quocassa alla data del mio insediata di 323 sacche. “Un risultamento - aveva spiegato il presito ottenuto grazie all’impedente Umile Amodio nella sua
gno di tutti i donatori attivi relazione - poiché la vita assopone l’accento il presidente
ciativa degli ultimi mesi ha suAmodio - e alla collaboraziobito un piccolo rallentamento Il presidente Umile Amodio
ne dei diversi soci sostenitonelle attività associative e burocratiche, è mia intenzione rientrare a regi- ri. Le attività di sensibilizzazione, svolte anme nel rispetto delle regole vigenti, soprat- che con il semplice passaparola hanno portutto nella gestione amministrativa e orga- tato ben 50 promesse di donazioni, per lo più
nizzativa dell’associazione, per le quali non fatte da giovani, cosa che fa particolarmente
si conoscevano le legittime indicazioni a far onore alla nostra associazione che conta tra i
bene ma solo del puro nozionismo acquisito donatori attivi numerosi giovani sotto i 30
sommariamente e sufficientemente appa- anni di età.
ganti le esigenze legislative del sodalizio;
r. gal.
Un momento del convegno con Occhiuto e Trematerra
L’Udc pronta
per le elezioni
di FRANCESCO MADEO
LONGOBUCCO - E’ stata
inaugurata alla presenza
del deputato Roberto Occhiuto e dell’assessore regionale all’Agricoltura Michele Trematerra la nuova
sezione dell’Udc a Longobucco. E’ avvenuto durante
il convegno-dibattito sul tema “L’Udc verso le elezioni
amministrative
2012”.
Hanno preso parte all’iniziativa, oltre a numerosi iscritti
e simpatizzanti, dirigenti e
amministratori del comprensorio, i giovani rappresentanti dei Movimenti per
le frazioni e per il centro.
«Abbiamo preferito un incontro pubblico per parlare
di politica – ha affermato
Giovanni Ioele, consigliere
comunale - e del percorso
che sta portando l’Udc alle
elezioni amministrative. La
presenza dell’Udc a Longobucco è un fatto
ormai consolidato e anche i risultati elettorali
negli anni sono
stati sempre lusinghieri. Questo ha fatto maturare in noi
l’idea di riaprire
la sezione per
avere un luogo
di incontro, di
confronto,
aperto a quanti
vogliono impegnarsi in una
politica di centro che guarda
soprattutto ai valori caratterizzanti il nostro partito, in
primis la famiglia e la solidarietà. Non essendo interessati ad occupare facili poltrone – ha affermato Ioele
parlando delle elezioni amministrative - abbiamo fatto
una proposta volta a creare
un’alleanza quanto più ampia possibile per il bene della
comunità. Abbiamo costruito una interessante civica
fatta dai giovani di Longobucco e delle frazioni, dagli
amici del Gruppo Democratici fino in fondo interno al
Pd, e con gli amici del Pdl. E
abbiamo scelto quale candidato sindaco Eugenio Celestino”. L’assessore Trematerra si è soffermato sui temi
della montagna e delle possibili direttrici di sviluppo
del territorio anche guardando al problema del dissesto idrogeologico, ricordando che è sempre meglio prevenire che curare, e di prevenzione idraulico-foresta-
le che negli ultimi anni ce n’è
stata fatta poca. Ha ricordato inoltre che «non solo il governo Loiero, ma anche i
precedenti, troppo spesso
non hanno affrontato in modo organico e risolutivo le
tante problematiche calabrese, non avendo mai avuto
il coraggio di scelte decisive,
o ancora la falsa risoluzione
dei problemi di Afor, Arssa
ecc, che con un rigo di Legge
Regionali
sono
stati,
dall’oggi al domani, commissariati e chiusi solo su
carta, con le conseguenze
che l’attuale Governo Regionale sta affrontando con
una nuova legge organica il
riordino degli stessi». Occhiuto ha accennato ad una
sua proposta di legge a favore dei giovani del meridione
che prevede aiuti ed incentivi alle imprese che assumono giovani disoccupati, mediante contratti di apprendistato finalizzati
poi ad avere dei
contratti a tempo indeterminato. Infine ha terminato il suo intervento
con
l’augurio e l’auspicio che questa
giovane
compagine,
supportata anche da componenti
provenienti dal Pd,
possa affermarsi alle prossime elezioni amministrative
e porsi alla guida del Comune di Longobuccco. Eugenio
Celestino - candidato a sindaco della lista “Per Longobucco Centro e Frazioni”- ha
ringraziato l’Udc per il lavoro svolto nei cinque anni di
opposizione sottolineando
l’impegno, la moderazione e
la coerenza dell’attività politica. Si è soffermato sulle caratteristiche principale che
contraddistinguono
lo
schieramento:
«dialogo,
confronto, democrazia, partecipazione, unità al fine di
costruire una nuova classe
dirigente che possa far rialzare la testa e recuperare
forza e speranze per chi ha
deciso di continuare a vivere
a Longobucco. Unità e condivisione nelle scelte fra
Centro e Frazioni; non più
divisi ma uniti! Anche per
questo si è deciso di puntare
su due giovani donne che
rappresentano l’asse portante della nostra alleanza e
della nostra comunità».
Le strategie
e le alleanze
del candidato
a sindaco
Celestino
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28 Cosenza
Provincia
Mercoledì 14 marzo 2012
Sersale. Il ricordo del padre: «Mio figlio era un bambino che giocava a calcio e amava l’allegria»
Lo sport avrà il nome di Dodò
Il centro polivalente sarà dedicato al piccolo di Crotone vittima della criminalità
di MARIA FRANCESCA BUFFA
SERSALE - Sono stati il
prefetto di Catanzaro Antonio Reppucci e i genitori
del piccolo Dodò Gabriele,
vittima innocente della criminalità organizzata, i testimoni
d’eccezione
dell’iniziativa “Io gioco leGale” attraverso la quale il
comune di Sersale è riuscito a farsi finanziare dal Ministero dell’Interno il progetto per la realizzazione di
un centro sportivo polivalente coperto.
Nell’ambito della manifestazione, il sindaco Vera
Scalfaro ha voluto ricordare Dodò Gabriele e specificare il senso dell’intitolazione alla sua memoria del
futuro centro sportivo e rivolgendosi ai genitori ha
asserito che «nessuna parola è adeguata per voi che
avete subito la più atroce
delle mutilazioni. Dedicare
questa struttura a vostro
figlio è un onore attraverso
il quale vogliamo rendere
omaggio alla pienezza dei
suoi anni, all’allegria, ai sogni interrotti e soprattutto
al suo amore per lo sport».
In risposta le parole semplici di Giovanni Gabriele,
papà del piccolo Dodò, il
quale emozionato ringrazia l’amministrazione per
aver pensato al figlio «un
bambino che giocava a calcio e amava lo sport e che il
25 giugno 2009, mentre
assisteva ad una partita di
calcetto, restava ferito insieme ad altre sedici persone per poi spegnersi in
ospedale tre mesi dopo».
«Per questo il mio messaggio va ai giovani che devono comprendere il valore
della legalità e ci auguriamo che questa intitolazione farà si che nostro figlio
non sia dimenticato».
A seguire, la presentazione del progetto da parte
del vicesindaco Salvatore
Torchia che ha illustrato
nel dettaglio la nuova
struttura e l’intervento del
consigliere Carmine Capellupo che ha sottolineato la
presenza del prefetto Antonio Reppucci, definito dallo stesso: «vero uomo di
strada, vicino alle problematiche della gente,
un caso di istituzione in grado di
dire no alle infiltrazioni criminose».
E proprio il
prefetto
Reppucci, partendo dalla vicenda che ha colpito la famiglia Gabriele ha specificato come «il progetto che
viene presentato deve essere un’occasione per parlare
di legalità, solidarietà e
senso civico. Il cittadino
non può assistere passivamente di fronte a determi-
nate situazioni, deve contribuire a creare una rete di
solidarietà che la criminalità non può spezzare. Se
riuscissimo a fare più
squadra, più sistema, una
terra come la Calabria riuscirebbe a fare un salto di
qualità» e prosegue «siamo di
fronte a una società che sta
perdendo i veri
valori e per questo noi dobbiamo suggerire ai
ragazzi le vie
virtuose per stare sulla terra, il sacrificio,
la fatica».ù Un incontro
fondamentale soprattutto
per i piccoli giovani sportivi che in conclusione hanno omaggiato il prefetto
con un simbolico gagliardetto del Sersale. Una cerimonia che resterà nel cuore di molti.
Presente
il prefetto
Reppucci
In prima fila i genitori del piccolo Dodò Gabriele, alle spalle il sindaco Scalfaro e il prefetto Reppucci
Le stilettate del gruppo di minoranza “Squillace nuova”
In piazza per protestare contro
la mancanza di illuminazione
SONO stati tanti i cittadini di Squillace lido scesi in piazza domenica sera
per protestare contro la mancanza di
illuminazione pubblica. La protesta
spontanea nasce dal profondo disagio
e pericolo a cui, da quasi un mese, sono
sottoposte le famiglie che risiedono in
diverse aree del quartiere marinaro,
lasciate letteralmente al buio. Il gruppo di minoranza Squillace nuova era
presente alla manifestazione di protesta popolare, con tutti i suoi cinque
consiglieri. Singolare la protesta inscenata dai cittadini , dotati di fiaccole
e candele hanno illuminato le strade
da troppo tempo lasciate nell’oscurità. Il corteo ha percorso tutte le vie pri-
ve del servizio di illuminazione esterna scandendo slogan e manifestando
la loro irritazione per lo stato di abbandono e di degrado in cui sono costretti
a vivere. «Abbiamo inteso assicurare
il nostro sostegno alle famiglie dimenticate dal Comune- ha precisato il
capogruppo Franco Caccia- perché riteniamo sia un dovere di chi amministra sapere ascoltare le istanze dei cittadini ed adoperarsi per risolvere i
problemi prioritari della popolazione .
Non riusciamo a comprendere e tantomeno a giustificare l’enorme ritardo con cui il Comune di Squillace ha affrontato il problema dell’illuminazione pubblica di Squillace Lido. Fra gli
slogan e gli interventi pronunciati
durante il corteo sia dai cittadini che
dai consiglieri di opposizione un tema
era ricorrente evitare sprechi di denaro pubblico per destinarlo per assicurare servizi ai cittadini».
«Un’amministrazione seria ed affidabile – aggiunge il consigliere di minoranza Pasquale Muccari- si misura
anche dal modo e dalla tempestività
con cui riescono ad affrontare e risolvere i problemi dei cittadini, specie se
causati da carenze dei servizi comunali». Fra le iniziative in programma
dalle famiglie in stato di protesta, anche una diffida al Comune per il disservizio.
Sellia Marina. I portalettere monitorano le consegne e gli arrivi con un palmare
Fare impresa, con la Posta si può
Aperto un ufficio postale privato grazie all’inventiva del giovane Cosentino
di ENZO LUCA’
SELLIA MARINA - Un investimento su una idea imprenditoriale per certi aspetti innovativa.
Un pallino fisso, il suo.
Un sogno che parte da lontano.
Coltivato da quando, più o meno,
anche in Italia cominciano a
prendere forma e concretezza i
servizi postali privati.
Una storia come tante, quella
di Antonio Cosentino, un giovane selliese con un diploma di ragioniere
in tasca. Due mesi addietro la sua decisione.
Aprire un ufficio di
servizi postali a Sellia
Marina.
Ha deciso di mettersi in gioco. Con
spirito imprenditoriale e con una idea
che spera sia vincente. Aveva studiato per fare
tutt’altro. Avrebbe potuto entrare nello studio di consulenza
aziendale del padre. Un’attività
ben avviata. E, forse, più redditizia e sicura. Invece ha deciso di
mollare tutto per una scelta più
rischiosa. Ha deciso di buttarsi
su un’attività che non sia, per lui,
un semplice lavoro. Lo attendono nuovi sistemi e nuovi ritmi.
Lo sa bene. Tutto, però, in piena
autonomia.
E si lavora
per i servizi
di conto
corrente
Antonio Cosentino con il collaboratore Luca Tallarico
L’occasione è partita da un contratto in franchising con due delle società leader del settore: la
Mail Express e la City poste.
Un’opportunità che Antonio Cosentino ha colto a volo. Detto fatto, da quando l’idea si è ufficializzata. Tempi da record, anche, per
adeguare i locali di proprietà.
Nel rispetto delle normative vigenti in materia. Anche e soprattutto in termini di sicurezza del
luogo di lavoro.
Martedì pomeriggio, Antonio
Cosentino ha dato appuntamento a tanti parenti e amici per
l’inaugurazione della sede in via
Mercato. Da lunedì mattina, si
parte. Tutti i servizi postali diventano operativi, tranne il servizio dei conto correnti per il quale l’avvio è previsto, al massimo,
entro trenta giorni.
Il servizio di recapito è assicurato anche a domicilio. Questo significa che, a richiesta, saranno i
collaboratori dell’ufficio a ritirate la posta da inviare, semplice o
per raccomandata, o i pacchi, in
Italia e all’estero, direttamente
presso le famiglie interessate.
A spiegare gli tutti vantaggi
del servizio postale privato è lo
stesso Cosentino. «Innanzitutto,
l’ufficio resterà aperto anche di
pomeriggio. Inoltre, i costi sono
assolutamente ridotti rispetto al
servizio offerto da Poste Italiane.
In più, tutto si svolge in maniera
telematica senza che l’utente perda tempo nella compilazione di
moduli cartacei o ricevute di alcun genere».
Inoltre, «i portalettere sono
sempre in possesso di un palmare che, al momento della consegna dei pacchi o della corrispondenza registrerà in tempo reale
luogo, data ed ora della posta
consegnata e visualizzata su
mappa. In paese, il recapito avverrà entro il giorno successivo.
Infine, a richiesta, sarà emessa
regolare fattura dei pagamenti
effettuati».
Insomma, un giovane selliese
che ha deciso di scoprirsi le spalle.
Con coraggio ed inventiva. E
con la speranza di poter dimostrare si saper trasformare una
idea in realtà.
Perchè oggi in un momento di
crisi economica generalizzata è
davvero difficile inseguire ancora la chimera del posto fisso, e allora spazio alle nuove idee.
A Squillace
Tecnologie
e sistema
viario
di SALVATORE GUERRIERI
SQUILLACE - “Nuove
tecnologie di qualità delle
infrastrutture stradali” è
stato il titolo del convegno organizzato da
Pr.As. consulting in collaborazione con Anas
compartimento della viabilità per la Calabria e la
partecipazione presso il
villaggio Club Porto Rhoca – Centro Congressi di
Squillace.
I lavori sono iniziati col
saluto del presidente della Provincia di Catanzaro
Wanda Ferro. «Le alluvioni che si sono succedute – ha detto il presidente
Ferro - in questi anni hanno fatto riscontrare che
molte
pavimentazioni
non erano all’altezza dei
lavori fatti». A seguire
Domenico Petruzzelli che
ha indicato come la prevenzione «dovrebbe essere prioritaria per evitare i
disastri», soffermandosi
sulle novità per quanto
riguarda la riparazione
delle buche con sistemi
innovativi che hanno
maggiore durata. Poi
l’intervento di Giovanni
Laganà che ha evidenziato come occorra ottimizzare le risorse, fare piani
di manutenzione seri,
sfruttare le nuove tecnologie, ricordando che la
regione ha messo in campo grandi progetti per la
viabilità, evidenziando
come l’Anas sia un’azienda seria e all’avanguardia. Quindi il sindaco di
Squillace Guido Rhodio,
che ha porto un grazie
all’Anas per la grande
collaborazione con il comune e per essere stata
vicina con tanti interventi importanti. «Speriamo,
si è augurato Rhodio, che
si apra presto lo svincolo
della nuova statale 106 e
che si avvii il traforo della
montagna di Stalettì». Infine il saluto di Salvatore
Saccà, presidente Ordine
ingegneri di Catanzaro,
che ha voluto sottolineare l’importanza della
nuova produzione tecnologica anche per la sicurezza della viabilità.
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28 Catanzaro
Mercoledì 14 marzo 2012
35
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Processo Pandora. Il collaboratore di giustizia indica alcuni esecutori dei due omicidi
«Ecco la risposta al bazooka»
Per il pentito Bonaventura il delitto Tipaldi è da collegare all’agguato agli Arena
di ANTONIO ANASTASI
L’OMICIDIO di Pasquale
Tipaldi, avvenuto a Isola
Capo Rizzuto nella tragica
vigilia diel Natale 2005? Fu
«la risposta» all’omicidio di
Mario Manfredi. L’omicidio di Carmine Arena, assassinato con un bazooka
nell’ottobre 2004? Sarebbe
stato commesso da Vincenzo Corda (defunto) e da «un
Capicchiano». Ha confermato quello che sa della
guerra di mafia di Isola Capo Rizzuto il pentito crotonese Luigi Bonaventura,
interrogato ieri, davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro, dal pm Antimafia
Pierpaolo Bruni. Deponendo in videoconferenza, Bonaventura ha detto che, secondo quanto riferitogli
dall’ex reggente del clan
Megna del quartiere Papanice, Luca Megna (assassinato anch’egli in un agguato di ‘ndrangheta la vigilia
di Pasqua 2008), il delitto
Tipaldi è stata «una risposta organizzata dalla cosca
Nicoscia». Il delitto fu eseguito volutamente la notte
di Natale «anche da un
componente della famiglia
Manfredi», in particolare
da un figlio di Mario Manfredi (il semilibero assassinato mentre rientrava in
carcere nel novembre
2005), del quale il pentito
non conosce il nome, anche
se nella fase delle indagini
preliminari ha fornito una
descrizione fisica che corrisponderebbe a quella di
Luigi Manfredi. Circa il delitto Arena, sempre secondo quanto riferitogli da Megna (sulle sue fonti di conoscenza il pentito è stato incalzato dagli avvocati Gregorio Viscomi e Giancarlo
Pittelli), Bonaventura ha
confermato che fu materialmente comesso da “Cecè” Corda e da «un Capicchiano», il cui fratello era
stato ucciso anni prima in
risposta al duplice omicidio di Rocco Corda e Bruno
ranieri, il primo figlio di
Cecè, ma anche come risposta all’omicidio di «un Capicchiano» avvenuto alcuni anni prima. La famiglia
Capicchiano, al momento
della frattura interna alla
cosca Arena, si era legata,
infatti, alla famiglia Nicoscia.
A
conclusione
dell’udienza il difensore
Bonaventura, l’avvocato
Giulio Calabretta, ha dichiarato che il suo assistito
continua ad essere scortato
soltanto per i suoi impegni
giudiziari da una località
all’altra in cui si svolgono i
processi nei quali sta testimoniando e che né lui né la
sua famiglia ricevono dallo
Stato una protezione adeguata ma, nonostante ciò,
Bonaventura continuerà a
collaborare con la giustizia.
Il pentito ieri ha sostanzialmente confermato il
contenuto di alcuni interrogatori svoltosi nell’aprile e nel maggio 2007. In
quei verbali Bonaventura
parla dei rapporti tra l’organizzazione
criminale
crotonese facente capo alle
L’auto su cui viaggiava il boss Carmine Arena perforata da un bazooka
famiglie Vrenna Bonaventura Corigliano e le famiglie Arena, Nicoscia, Capicchiano e Corda di Isola,
rapporti storici, al punto
che il boss Pasquale Nicoscia era presente al momento del battesimo di mafia del collaboratore di giu-
stizia.
Ma Bonaventura in quei
verbali parlò anche dell’alleanza tra i Nicoscia e la cosca Grande Aracri di Cutro,
nata in contrapposizione
all’alleanza tra gli Arena di
Isola e i Dragone di Cutro.
Una contrapposizione ar-
mata il cui inizio fu bagnato
nel sangue con l’omicidio di
Franco Arena, ucciso nel
marzo 2000 in un bar di Isola. In tale contesto, il pentito riferì della vicinanza del
gruppo facente capo a Pantaleone Russelli, boss scissiononista del quartiere
Papanice di Crotone, con i
Grande Aracri. Mentre il
gruppo Megna, la storica
famiglia che un tempo aveva il comando indiscusso a
Papanice, era alleato con
gli Arena Dragone.
Bonaventura si soffermò
anche sul duplice omicidio
Corda Ranieri del maggio
2004 (riferendo di essere a
conoscenza che a sparare
materialmente sarebbero
stati Franco Gentile e Paolo
Lentini detto “Pistola”, considerati dagli inquirenti
esponenti di spicco della cosca Arena, e, in particolare,
uomini di fiducia di Carmine Arena, reggente della
cosca essendo allora detenuto lo storico capo Nicola
Arena). Arena avrebbe deciso l’omicidio del giovane
Corda non solo perché affiliato ai Nicoscia, ma anche
perché aveva appreso che
lui stesso andava dicendo
che avrebbe ucciso personalmente Carmine Arena,
tutte circostanze riferite al
pentito da Vincenzo Marino, l’uomo che, all’interno
della consorteria a cui egli
stesso apparteneva, aveva
lo specifico incarico di
mantenere i rapporti con
gli Arena.
I delitti incrinarono le
trattative per la pax, appoggiata anche da “Zio Antonio Pelle”, di San Luca, detto anche la “mamma” (è il
boss della scenografica fu-
ga dall’ospedale di Locri)
che Bonaventura aveva conosciuto in carcere nel ’93.
Esponenti di potenti famiglie della ‘ndrangheta calabrese avevano presenziato
agli incontri riappacificatori, stabilendo che le fazioni si sarebbero dovute reciprocamente
astenere
dall’attaccarsi: «né uno può
aggredire all’altro né l’altro può aggredire all’altro».
Nel corso della prossima
udienza dovranno essere
sentiti altri collaboratori di
giustizia: Vincenzo Marino
e Domenico Bumbaca, che
si autoaccusano di far parte della cosca Vrenna Bonaventura
Corigliano
nell’ambito della quale Luigi Bonaventura avrebbe
scalato la gerarchia criminosa fino ad assumere la
reggenza del sodalizio, e
Angelo Cortese, che ha più
volte riferito di essere stato
il «braccio destro» del boss
di Cutro Nicolino Grande
Aracri.
Sono tre i processi scaturiti dall’operazione che nel
novembre 2009 decimò le
cosche di Isola con 35 arresti. Nel troncone dell’associazione mafiosa, lo scorso
7 marzo sono state nove le
condanne inflitte agli imputati; il processo celebratosi col rito abbreviato, invece, nel luglio scorso portò ad altre 14 condanne.
In un interrogatorio ripercorse le dinamiche criminali di Isola Capo Rizzuto
«Avvisai Megna del probabile agguato»
Bonaventura: So che hanLUIGI Bonaventura l’aveva
detto che i giorni di Carmine no usato un bazooka e dei kaArena «erano finiti». L’aveva lashnikov. So che a fare l’agdetto a Luca Megna durante guato fu un Capicchiano e Ceuna festa di matrimonio pro- cè Corda e altri. So che questo
prio nel giorno in cui al reg- Capicchiano rispondeva angente della famiglia di ‘ndran- che alla risposta di qualche algheta fu teso un agguato col tro… di un fratello che gli era
bazooka. Un’arma, secondo il stato ammazzato…
Pm: Anni pripentito, in dotama?
zione a molte coBonaventura:
sche del CrotoneTanti anni prima
se perché «segno
sì. La risposta fu
di potenza». Meall’omicidio del figna disse che non
glio diCecè Corda
era possibile. Ma
e del Ranieri, e in
la “zinnata” (nel
piùdi unaltroCagergo ‘ndranghepicchiano amtistico la soffiata)
mazzato anni priche Bonaventura
ma.
gli propose era
Pm: Senta, ma
fondata. Ecco alquesto bazooka
cuni stralci di un Luigi Bonaventura
sa di chi era, sa da
interrogatorio reso da Bonaventura nell’aprile dove veniva, chi l’aveva portato?
2007. (a. a.)
Bonaventura:No, non lo so
Pm:Lei ha fatto riferimento
all’omicidio di Carmine Are- questo.
Pm: Che lei sappia, lei ha
na come omicidio da collocare
nell’ambito di questa contrap- operato per tanto tempo nelle
cosche crotonesi, il bazooka
posizione tra queste fazioni.
Bonaventura: L’omicidio era un’arma chele coscheavedi Carmine Arena fu una ri- vano?
Bonaventura: Sì, che le cosposta anche all’omicidio del
figlio di Cecè Corda e del Ra- sche hanno.
Pm:E chi ce l’ha?
nieri.
Bonaventura: Ce l’ha la faPm:Ranieri Bruno?
Bonaventura: Sì. Non so il miglia Megna, ce l’ha la faminome, però so che è Ranieri, sì. glia Russelli, ce l’ha Nicoscia… Cioè il bazooka, il tubo
Fu una risposta.
Pm: Una risposta. E sa chi lo chiamano, anche se non
serve bisogna averlo per diha sparato?
mostrare che sei ben organizzato. Ormai è diventato un
qualcosa da avere, il kalashnikov e il bazooka. Il kalashnikov non viene usato perché
qualcuno ha il giubbino antiproiettile o la macchina blindata.
Pm: Come segno di potenza.
Bonaventura: Come segno
di potenza, esatto. So che per
parecchi anni li hanno reperiti da albanesi.
Pm: Ma in che zona di Italia
li andavano a prendere?
Bonaventura: Non lo so. Io
sapevo che gli albanesi erano
capaci… sono stati capaci di
fare arrivare a casse di kalashnikov a Isola.
Pm: Noi stavamo parlando
dell’omicidio di Arena Carmine commesso, abbiamo detto,
da Cecé Corda e da un Capicchiano.
Bonaventura: E altri naturalmente. Non erano soltanto
due persone.
Pm:Ecco, sa quanti erano?
Bonaventura: No, non so il
numero.
Pm: Da chi lo ha saputo che
sono stati Cecè Corda…
Bonaventura: L’ho appreso sempre da Luca Megna, da
altri personaggi dell’ambiente, da Vincenzo Marino…Io su
queste notizie non posso essere abbastanza chiaro nel dire
dove le ho avute queste informazioni, il giorno tot… non è
cosÏ, perché si passano delle
novità frammentate.
Pm:Ha parlato anche di collegamento con un altro omicidio subito da uno della famiglia Capicchiano?
Bonaventura:Sì.
Pm: Dal fratello di questo
che ha sparato?
Bonaventura: Sì, un fratello sì.
Pm: Quindi questo collegamento con questo omicidio
gliel’ha fatto Luca Megna?
Bonaventura: Sì, Luca Megna è stata una delle fonti
principali. Anche se le devo dire che…unoche meneparlòil
giorno prima della morte di
Carmine Arena fu Pino Frisenda. Il Frisenda mi disse
che i giorni di Carmine Arena
erano finiti. Lui stava molto a
contatto con un certo Raffaele
Truglio di Isola…Infatti il
giorno della sua morte io andai al matrimonio di Antonio
Basile, sempre un altro membro della mia famiglia… era
invitato anche Luca Megna.
Io ne parlai nel primo pomeriggio con lui, e gli dissi: “Luca, guarda, senti, io ho avuto
una “zinnata”, dicono che i
giorni di CarmineArena sono
finiti”. Luca Megna disse che
era impossibile, apprezzava…vantava molto a Carmine
Arena e lo reputava molto forte, molto potente. In serata subì l’agguato dove nella macchina c’era pure l’altro cugino, Pino Arena, Tropiano, fratello di Franco Tropiano,
quello ucciso.
Pm: E sa se l’obiettivo era
soltanto Carmine Arena o se
volevano uccidere entrambi?
Bonaventura:Sì, sì, volevano uccidere entrambi.
COMUNE DI ISOLA DI CAPO RIZZUTO
SEZIONE PATRIMONIO
AVVISO PUBBLICO
Oggetto: Costituzione di una cooperativa sociale per la gestione dei beni
confiscati alla ‘ndrangheta.
E’ pubblicato, sul sito del Comune di Isola di Capo Rizzuto e del Comune di Cirò,
l’avviso di relazione pubblica - con allegati - relativo alla costituzione di una cooperativa sociale per la gestione dei beni confiscati alla “ ‘ndrangheta ”.
Le domande dovranno pervenire, entro il giorno 16/04/2012 – pena l’inammissibilità –, alla Prefettura di Crotone - Via G. Palatucci – 88900 Crotone.
Per informazioni rivolgersi allo 0962/797914.
Il Responsabile del Servizio
Firmato Dr. Agostino Biondi
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Crotone
dal POLLINO
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Freddato tra gli ulivi di Oppido
MERCOLEDÌ 14 marzo 2012 PAGINA 5
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Cinque fucilate contro Ferraro. E il paese ripiomba nell’incubo della faida
OPPIDO MAMERTINA (RC) Il
corpo è riverso sullo sterzo del suo fuoristrada, sul viso e sul torace i segni dei
pallettoni che l’hanno ucciso. Il teatro
è quello classico degli ultimi morti ammazzati a Oppido Mamertina, quegli
ulivi secolari che davano sostentamento a Vincenzo Ferraro, il bracciante
agricolo di 42 anni freddato nella mattinata di ieri, mentre si stava recando
al suo frantoio. Nell’agguato sono rimasti miracolosamente illesi due lavoratori rumeni che viaggiavano insieme a Ferraro sulla Nissan Patron grigia. È morto sul colpo, invece, il pregiudicato del piccolo centro aspromontano, ammazzato con 5 fucilate
calibro 12 che non gli hanno lasciato
scampo. E Oppido Mamertina, dopo
due morti in meno di due settimane,
ripiomba di colpo negli anni bui della
faida, quello scontro tra clan che per 10
anni aveva tenuto sotto scacco questo
piccolo centro che sembrava essere
tornato a una normalità, almeno apparentemente. Secondo gli inquirenti, infatti, sia Domenico Bonarrigo - ucciso
il 2 marzo scorso - che Ferraro, sarebbero legati al clan
Mazzagatti.
L’omicidio
del bracciante
“ricorda” quello
di Bonarrigo
di 14 giorni fa
L’agguato
tra gli ulivi
Come tutte le mattine, Vincenzo Ferraro anche ieri stava
percorrendo la piccola arteria interpoderale che dal centro
di Oppido Mamertina porta fino al sito archeologico di Mella. Una strada
sterrata, costretta tra gli uliveti che la
percorrono ininterrottamente fino alle rovine dell’antica città. Intorno alle
7.15, secondo la prima ricostruzione
dei fatti operata dai carabinieri, Ferraro era a bordo del suo fuoristrada insieme a due cittadini rumeni che lavoravano per il bracciante agricolo. Il suo
AGGUATO In alto la vittima,Vincenzo
Ferraro; a sinistra il fuoristrada a bordo
del quale viaggiava
insieme a due lavoratori rumeni
frantoio, infatti, dista solo 200 metri
circa dal luogo del delitto, avvenuto in
contrada Rocca, e a poco meno di un
chilometro dal centro di Oppido. Con
ogni probabilità, il killer stava aspettando la vittima acquattata nel canalone di scolo delle acque che percorre
sulla sinistra la strada in salita.
Pochi attimi, cinque colpi sparati da
distanza molto ravvicinata che hanno
attinto l’uomo al volto e al torace uccidendolo all’istante. A guardare la Nissan Patrol di Ferraro non si può credere che i due lavoratori stranieri siano
usciti incolumi dall’agguato. Il killer
ha sparato davanti, il terreno accidentato non permette infatti di guidare a
velocità sostenuta. I fori dei pallettoni
erano visibili sia sul parabrezza che sui
finestrini anteriori. Interrogati per tutto il pomeriggio di ieri dai carabinieri
della Compagnia di Palmi, coordinati
dal capitano Maurizio De Angelis e dal
comandante del Nucleo operativo Mario Ricciardi, i due rumeni avrebbero
sostenuto di non avere visto chi ha sparato. I militari dell’Arma di Oppido Mamertina, guidati dal maresciallo Marino,
che per primi sono giunti sul luogo dell’agguato, dopo circa un quarto d’ora dopo della sparatoria, li hanno trovati in
contrada Rocca sotto shock.
Le indagini
Intanto, anche i carabinieri di Palmi
hanno raggiunto Oppido Mamertina insieme ai colleghi del reparto scientifica
Sis di Reggio Calabria che hanno opera-
to i rilievi per cercare elementi utili agli
investigatori. Le indagini sono coordinate dalla procura di Palmi, diretta dal
procuratore capo Giuseppe Creazzo, e
affidate a sostituto procuratore Gianluca Gelso.
Il corpo senza vita di Vincenzo Ferraro è rimasto dentro la macchina per diverse ore, fino a quando intorno alle 11
è stato estratto dall’auto e coperto con
da un lenzuolo bianco. Secondo quanto
appreso ieri, gli investigatori escludono,
in base a come hanno ricostruito la sparatoria, che a fare fuoco sia stato più di
un uomo. Sulla scena del delitto, infatti, sarebbero stati trovati bossoli solo di
un’arma.
FRANCESCO ALTOMONTE
[email protected]
le indagini
OPPIDO MAMERTINA (RC) Se di faida si tratta lo potranno dire con certezza solo le indagini. Una cosa, però, appare chiara:
pare difficile anche agli investigatori che i due
omicidi avvenuti a meno di due settimane a
Oppido Mamertina non siano collegati tra loro. Così come sembra acclarato che sia Domenico Bonarrigo, sia Vincenzo Ferraro fossero legati al clan Mazzagatti, l’ultimo anche
da rapporti di parentela. Un legame che inquieta gli investigatori, che temono ormai il
ritorno al tragico valzer delle lenzuola bianche
e dei nastri bicolori. E a guardare il passato
delle due vittime, la strada che porta dritti alla riapertura della vecchia faida sembra essere più che un presentimento.
Il padre di Bonarrigo in quella faida era rimasto ucciso. L’assassinio di Giuseppe Bonarrigo fu inquadrato all’epoca nella scontro
che contrappose per diversi anni la famiglia
della vittima a quella degli Zumbo. Punto di
non ritorno fu la sparizione del boss Saverio
Zumbo, scomparso senza lasciare traccia. Più
lungo, invece, il rosario dei morti ammazzati nella famiglia di Vincenzo Ferraro, figlio
del presunto boss Giuseppe, deceduto per
Il clan Mazzagatti
accomuna i due delitti
morte naturale qualche tempo fa. Lo zio An- l’interno della Piana di Gioia Tauro che negli
tonio fu freddato nel 1986 nella frazione di ultimi anni stava tentando di ritornare alla
Trisilico, sotto la storica torre dell’orologio, normalità.
mentre suo fratello Raffele fu freddato daDue giorni fa, a seguito dell’omicidio di Bovanti a un bar nel pieno centro cittadino, a po- narrigo, l’amministrazione comunale e la parchi passi dal palazzo municirocchia avevano indetto una
pale. Era il 1996 e si combatfiaccolata per rigettare la vioLe vittime
tevano gli ultimi scampoli di
lenza. La violenza criminale,
degli
ultimi
quella faida che durò in tutto
però, ha risposto nella giorpiù di 10 anni. Una lotta sennata di ieri con altro sangue
due agguati
za regole che l’8 maggio 1998
alla richiesta di pace che veavevano
legami
mieteva le ultime due vittiniva dalla comunità. L’omicon la cosca
me, Mariangela Ansalone, di
cidio di Vincenzo Ferraro, ex
soli 8 anni, e suo nonno Giusorvegliato speciale, nipote
seppe Bicchieri, agnelli sacrificali immolati del latitante quasi ventennale Giuseppe Fersull’altare dello scontro tra clan per il domi- raro detto “Pepè”, rigetta nel panico un’intenio del territorio. La famiglia Ferraro, quin- ra città e allo stesso tempo preoccupa gli indi, è stata coinvolta in pieno nella faida che ha quirenti, per le possibile conseguenze che i
segnato per sempre in negativo la storia di due fatti di sangue potrebbero portarsi dietro.
Oppido Mamertina. Un piccolo centro delfral
Il luogo in cui è avvenuto l’omicidio
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MERCOLEDÌ 14 marzo 2012
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S T R E T T O
operazione “lancio”
RESTA SOLO
l’ultimo padrino
Margherita Tegano
Smantellata la rete che proteggeva Domenico Condello: 17 in manette
Si stringe il cerchio attorno al superboss reggino, latitante dal 1990
REGGIO CALABRIA
Mariangela Amato
Giovanni Barillà
Giuseppe Barillà
“Compare M.” contava molto su di
loro. Sapeva che erano gli unici in grado di garantirgli un’adeguata rete di
protezione. Ma i carabinieri del Ros e
del comando provinciale gli hanno fatto attorno terra bruciata. Ha ormai le
settimane contate il superboss della
’ndrangheta Domenico Condello alias
“u pacciu”, inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità. Nella
giornata di ieri, infatti, i militari dell’Arma hanno proceduto all’esecuzione di
un provvedimento di fermo d’indiziato
di delitto emesso dal procuratore Ottavio Sferlazza e dai sostituti Giuseppe
Lombardo e Rocco Cosentino. In manette sono finite 17 persone (Domenico Condello è ancora latitante) accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento aggravato ed intestazione fittizia di beni. L’operazione ISOLATO Domenico Condello
“Lancio”, questo il nome convenzionale, ha portato in cella la moglie, gli zii, i sta rete di favoreggiatori che ha concognati, il nipote, il padre e le sorelle sentito a “Micu u pacciu” di essere ad
del latitante. Tra gli indagati (ma non oggi ancora latitante. Erano tantissime
fermati perché già in carcere) vi sono le cautele adottate dai soggetti fermati,
anche i due cognati di “Compare M.”, volte a consentire a Tegano ed ai conossia Antonino Imerti (inteso “nano fe- giunti più stretti di poter far visita alla
roce”) e Bruno Tegano (tratto in arresto primula rossa della ’ndrangheta. Ne è
nell’ambito dell’operazione “Reggio un esempio tipico l’episodio dell’11 genNord”), il primo marito di una sorella di naio 2010, quando proprio seguendo
Tegano, i carabinieri
Mico Condello ed il sesono riusciti ad arrivacondo fratello della In cella la moglie
re al civico 3 di via namoglie dello stesso lae
i
parenti
del
zionale a Catona, al cui
titante. L’inchiesta, cointerno furono ritrovaordinata dal sostituto
capocosca
ti dei medicinali chiaprocuratore della Dda
Sequestrati auto
ramente riconducibili
Lombardo, è una nae locali
al latitante, nonché alturale prosecuzione di
cuni manoscritti, la cui
“Reggio Nord”, che
aveva messo in luce gli appoggi di cui perizia ha detto chiaramente che l’autogodeva Domenico Condello, ed i suoi re è proprio Domenico Condello. Tale
interessi economici per il locale “Il li- certezza è stata raggiunta anche grazie
moneto”, con tanto di intestazione fit- alla comparazione degli stessi con altri
tizia dello stesso. E dalle indagini del due manoscritti ritrovati nell’estate sucRos è emerso chiaramente come fosse- cessiva nella disponibilità di Giuseppa
ro costanti i rapporti che legavano Bru- Cotroneo, suocera dell’ergastolano Pano Tegano a Condello, così come è ap- squale Condello, in cui il mittente si
parsa in tutta la sua complessità la va- identifica ancora una volta in “Compa-
re M.”. Si tratta di uno scritto in cui
Condello ringrazia la donna per le utilità che gli aveva messo a disposizione;
l’altro, invece, è un messaggio di felicitazioni per la laurea di Giampiera Nocera, figlia della Cotroneo, con firma
“Mimmo e Margherita”, da identificarsi appunto nel latitante e sua moglie.
Ma i Ris di Messina hanno estrapolato,
da alcuni reperti, anche un profilo genetico che, posto a confronto con quello
del padre del ricercato, ha consentito
di capire con certezza che quegli oggetti sono riconducibili al latitante. Il covo “caldo” di Condello ha poi fatto capire che il rifugio era fornito di energia
elettrica, tramite un collegamento realizzato artigianalmente con l’immobile
sito al civico 1, e riconducibile al nucleo
familiare Amato-De Carlo. Il provvedimento restrittivo emesso ieri, inoltre,
riguarda anche l’ipotesi di “intestazione fittizia di beni” per quanto concerne
l’esercizio commerciale “Pane Pizza e
Fantasie”, di proprietà degli zii materni del latitante, ma di fatto nella disponibilità di Giuseppa Condello, moglie
di Antonino Imerti “nano feroce”. Il valore dell’attività commerciale sequestrata è di circa 1 milione di euro. Sigilli anche ad autovetture e motocicli, utilizzati dai fiancheggiatori per gestire la
latitanza di “Micu u pacciu”, che da ieri è un uomo isolato o quasi. Carabinieri e Dda gli stanno dando la caccia senza soluzione di continuità e hanno la
ragionevole certezza di poter arrivare a
lui in un tempo non troppo lontano.
L’aver fatto tabula rasa attorno ai suoi
favoreggiatori ricorda molto quanto fatto con il “Supremo” Pasquale Condello,
quando con l’operazione “Vertice” fu
messa a dura prova la sua resistenza.
Poco dopo, infatti, venne catturato. Gli
investigatori si augurano che questo sia
davvero il… “lancio” verso la cattura
dell’ultimo padrino dall’indiscussa caratura criminale rimasto alla macchia
dal lontano 1990.
Giuseppa Condello
Francesco Genoese
Giuseppe Martino, domiciliari
Maddalena Martino, domiciliari
CONSOLATO MINNITI
[email protected]
l’iniziativa
E i vestiti trovati nel covo finiscono in beneficienza
Trecento capi d’abbigliamento sono stati consegnati all’opera “Don Orione”
Caterina Condello
Francesco Condello, domiciliari
Cosimo Morabito
REGGIO CALABRIA Dalle indagini alla solidarietà so dell’incontro con la stampa, inoltre, i militari dell’Arma
concreta. È accaduta una cosa inusuale ieri nel corso della hanno avuto modo di illustrare la bontà dell’operazione porconferenza stampa convocata al comando provinciale dei tata a termine che ha di fatto azzerato i fiancheggiatori più
carabinieri. Il comandante del Ros, colonnello Stefano Rus- attivi del latitante. Dopo il saluto del neo procuratore capo
so, infatti, ha comunicato che il suo reparto, su autorizzazio- reggente, Ottavio Sferlazza, è stato il turno del colonnello Pane della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, squale Angelosanto, comandante provinciale dell’Arma, il
ha consegnato all’opera “Don Orione” di Reggio Calabria quale ha esaltato il ruolo dei suoi uomini e le sinergie opeben trecento capi d’abbigliamento sequestrati nel covo di rative che hanno permesso il raggiungimento di un traguardo così importante come l’aver tagliato tutDomenico Condello. Si tratta ovviamente
te le “risorse umane” a disposizione di Condi vestiario, di attrezzatura sportiva e di teL’annuncio
dello. È stato poi il vicecomandante del Ros,
sti vari, che non sono stati ritenuti utili per
durante la
generale Parente, a spiegare come questo tile indagini e che prima di essere consegnapo d’indagine sia fondamentale e propeti sono stati analizzati dagli esperti dell’Arconferenza al
deutica alla cattura dei latitanti più difficili
ma. Un momento nel quale la cittadinanza
comando
dei
da scovare.
si “riappropria” di qualcosa che le è stato
carabinieri
c. m.
tolto dall’azione della ’ndrangheta. Nel cor-
Bernardo Vittorio Pedullà
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operazione “lancio”
Massimiliano Richichi
Pasquale Richichi
Roberto Richichi
DONNA DI ’NDRANGHETA Margherita Tegano, la moglie del boss Domenico Condello, in manette (foto Cufari)
la cosca in rosa
Margherita e le altre
Tutte le donne di
“Micu u pacciu”
REGGIO C. Margherita, Mariangela,
Caterina, Giuseppa, Giuseppa Santa e
Maddalena. Sono loro il volto rosa della
cosca Condello. Sono mogli, sorelle o comunque parenti di boss e gregari di una
delle più potenti consorterie mafiose. A
volte ricevono direttive da impartire agli
altri associati, altre volte si preoccupano
solo di prestare assistenza, in qualche caso curano direttamente gli affari per conto dei loro prossimi congiunti. Sbaglia chi
pensa che le donne di ’ndrangheta svolgano dei ruoli marginali all’interno della
consorteria mafiosa a cui appartengono o
comunque sono vicine. C’è chi, come Margherita Tegano – moglie del latitante Domenico Condello – si reca da lui per fargli
visita, ma anche con finalità operative:
toccava a lei, secondo i magistrati, ricevere e mettere in circuito le direttive strategiche per la cosca. Su di lei ruotava un circuito di fiancheggiatori che le permettevano di arrivare al marito in tutta sicurezza.
Tanto che si utilizzavano spesso uscite secondarie, cambi di autovetture per vanificare i pedinamenti. Ma le quote rosa delle ’ndrine non svolgevano soltanto il ruolo di intermediarie. Mariangela Amato, ad
esempio, metteva a disposizione la fornitura di energia elettrica che permetteva al
covo del boss latitante di avere luce e comodità varie. E se questo sembra anche
poco, non bisogna dimenticare che ci sono poi pure le donne che gestiscono direttamente gli affari dei loro parenti. È il
caso dell’esercizio commerciale “Pane,
Pizza e Fantasie”, con sede ad Archi, quartier generale dei Condello, che seppur intestato fittiziamente a Maddalena e Giuseppe Martino, era di fatto gestito anche
da tre donne, Margherita Tegano, Caterina Condello e Giuseppa Condello, che
continuavano ad esserne i reali proprietari assieme a Domenico Condello e Francesco Condello. Un ruolo di primo piano,
dunque, è quello riservato al volto rosa.
Un ruolo fatto di attenzioni, decisioni e
responsabilità, abbandonando quell’assunto ormai arcaico secondo cui le donne
dovevano rimanere fuori dagli affari illeciti. (c. m.)
Demetrio Romeo
In carcere la suocera
dell’assessore Tuccio
Lui si difende: la mia compagna non sapeva niente
REGGIO CALABRIA Nuova grana
per i fragili equilibri politici in riva allo
Stretto. Dopo le indagini in corso sui conti del Comune, le inchieste sulla società
partecipata Multiservizi, l’arresto di un
consigliere comunale e l’arrivo della commissione d’accesso, l’operazione “Lancio”
fa finire agli onori delle cronache, e per la
seconda volta in pochi mesi, l’assessore
all’Urbanistica, Luigi Tuccio. Appena terminate le polemiche per aver apostrofato Roberto Benigni come “comunista ed
ebreo”, ieri mattina è stata arrestata sua
suocera, Giuseppa Santa Cotroneo. Per
lei un’accusa gravissima: quella di aver
favorito la latitanza di Mico Condello,
ospitandolo anche in una delle sue proprietà. La Cotroneo è la madre di Giampiera Nocera, attuale compagna dell’assessore a cui ha dato un figlio. Giampiera, legale parecchio stimata dalle parti di
palazzo San Giorgio, tanto da aver ricevuto numerosi incarichi fiduciari dall’ente,
ha due sorelle. Bruna, da oltre una ventina d’anni, è sposata con Pasquale Condello (omonimo del Supremo) e attualmente recluso nel carcere di Voghera. La
terza sorella, Maria Angela, è sposata con
un altro uomo vicino al centrodestra calabrese e al suo leader, Peppe Scopelliti,
Massimo Pascale, già segretario particolare del sindaco più amato dagli italiani,
e attualmente segretario amministrativo
dell’ufficio di gabinetto del governatore.
Ma la stessa Giampiera ha ricoperto un
ruolo attivo in politica. In passato è stata
vicepresidente della lista Scopelliti presidente che, per oggi, come reso noto dal
capogruppo in consiglio regionale Giovanni Bilardi, ha convocato una conferenza stampa a palazzo Campanella.
Giampiera, in occasione del conseguimento della sua laurea in giurisprudenza,
avrebbe ricevuto il biglietto d’auguri dallo stesso boss Mico Condello. Ma, incredibilmente, nella serata di ieri, è arrivata
anche una “strabiliante” nota da parte
dello stesso assessore Tuccio. Per lui
«fonti giornalistiche lanciano notizie strabilianti con un obbiettivo esclusivo, appetitoso ed assolutamente irraggiungibile, attraverso strategie diffamatorie: l’accerchiamento del governatore Scopelliti». In maniera del tutto singolare, poi,
Giuseppa Santa Cotroneo
Tuccio afferma di essere venuto soltanto
ieri a conoscenza di avere un cognato
(Condello, ndr) in carcere. «Soltanto oggi ho appreso, a seguito del fermo della signora Cotroneo Giuseppa Santa, questa
triste vicenda coniugale rispetto alla quale, la stessa Giampiera ha mantenuto un
totale distacco, evidentemente per la delicatezza estrema della vicenda, ormai caduta nell’oblio ventennale, mentre il Condello – apprendo oggi – è detenuto in una
casa circondariale del Nord. È comunque
certo che Giampiera non ha mai conosciuto l’anzidetto soggetto né appartenenti a qualunque livello al suo ambito familiare o amicale». Tuccio, annunciate azioni legali contro chicchessia, aggiunge:
«Non mi dimetterò da assessore comunale, non defletterò dal mio impegno politico, ma soprattutto mi conserverò
l’Onore di un rapporto di fedeltà all’Amicizia che dall’infanzia mi lega a Peppe
Scopelliti!» Intanto tra gli arrestati anche
Roberto Richichi, candidato al Comune
di Reggio nel 2007 nella lista di An.
Natale Iracà
Riccardo Tripepi
la lettera
Così la “primula rossa” ringraziava la Cotroneo per l’ospitalità
REGGIO C. «Cara commare io me ne sto andando». Con queste
parole il latitante Domenico Condello saluta Giuseppa Cotroneo, suocera dell’ergastolano Pasquale Condello cugino omonimo del “Supremo”. La lettera è stata rinvenuta all’interno dell’abitazione dove risiedevano la donna ed i suoi figli, tra cui anche Bruna Nocera (la moglie
di Pasquale Condello). Si tratta, secondo gli investigatori, di un formidabile riscontro al ruolo tenuto dalla Cotroneo, in seno alla consorteria mafiosa, quale soggetto che si sarebbe messo a disposizione degli
associati. E la lettera di Micu u pacciu non lascia molto margine di dubbio: «Cara commare io me ne sto andando. Mi diceva l’amico qui che
ogni tanto per un paio di giorni posso venire, e io lo ringraziato. Lascio
qui tutto quello che mi avete mandato perché se torno mi può servire.
Vi ringrazio di tutto. Se avete bisogno mi fate sapere, salutate tantissimo Bruna. Vi abbraccio e se Dio vuole ci rivedremo. Ciao. Compare
M…». I magistrati non hanno dubbi: la Cotroneo si è adoperata per fare avere del materiale utile a Condello e così un altro soggetto («l’amico qui») il quale – pur essendo non identificabile – aveva manifestato disponibilità ad accoglierlo negli stessi luoghi anche in futuro. Ecco
perché Condello decide di non portare con sé quanto dato dalla Cotroneo. E sulla donna vi sono anche delle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia, come Paolo Iannò e Rocco Buda, che la indicano quale persona a disposizione per ospitare i latitanti, trattamento riservato sia allo stesso Iannò, che ad Antonino Imerti ed al genero Pasquale Condello (classe ’63). (c. m.)
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il caso
MELICUCCO (RC) Dopo circa
una settimana Simona Napoli ha
potuto riabbracciare suo figlio. La
25enne, che nelle scorse settimane
grazie alle sue dichiarazioni aveva
mandato in galera suo fratello e accusato suo padre della scomparsa
di Fabrizio Pioli (nella foto), da venerdì scorso si è ricongiunta con il
figlio minorenne nella località protetta dove risiede dal giorno delle
sue rivelazioni ai carabinieri. La notizia è trapelata solo nella giornata
di ieri, segno della delicatezza della
situazione in cui si trova la giovane
di Melicucco e della serietà con cui
gli inquirenti stanno gestendo l’intera vicenda. La segnalazione per il
ricongiungimento era partita dal
Sotto protezione anche il figlio di Simona
Caso Pioli, il bambino ha raggiunto la madre in una località segreta
procuratore capo di Palmi Giuseppe Creazzo che aveva fatto presente al procuratore dei minori di Reggio Calabria Carlo Macrì la situazione del bambino. Questi ha presentato un’istanza al Tribunale dei minori che, in tempi molto stretti, ha
accolto la richiesta. Il bambino è
stato affidato, quindi, all’ufficio centrale di protezione, che venerdì sera della scorsa settimana, infine l’ha affidato alla madre.
Il movente dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere del
38enne di Gioia Tauro, per gli inquirenti sarebbe il “delitto d’onore”, l’impossibilità per Antonio Napoli di potere sopportare la relazione extraconiugale della figlia. I sospetti dell’uomo si sarebbero trasformati in realtà nel pomeriggio
del 23 febbraio scorso, quanto vide
la Mini Cooper di Pioli posteggiata
davanti all’abitazione di Simona.
Quel pomeriggio attese l’uscita del
giovane, lo inseguì in auto bloccandolo nei pressi dell’uscita di Rosarno dell’A3. I particolari dell’inizio
della tragedia, che vede protagonista il 38enne elettrauto di Gioia
Tauro, sono raccontati dalla Napoli ai carabinieri della città del porto
e ai magistrati palmesi. Secondo il
racconto della giovane che passò in
auto dalla svincolo di Rosarno, Antonio Napoli impugnava una pistola mentre litigava con il suo compagno. Da quel pomeriggio si sono
perse le tracce dei due uomini e per
la donna. Proprio per questo motivo gli inquirenti, che ritengono
morto Pioli, avevano deciso di met-
tere sotto protezione Simona Napoli.
FRANCESCO ALTOMONTE
[email protected]
La “fuitina” della giovane romena
Ritrovata a Botricello una 17enne: viveva in una roulotte con il suo ragazzo
BOTRICELLO (CZ)
Quel che è certo è che questa fuga d’amore si concluderà con un rimpatrio che stavolta sarà applicato in maniera intransigente. Sospensione del Trattato di Schengen a parte, infatti, ad aggravare l’accaduto c’è la minore
età di uno dei protagonisti.
Lei appena diciassettenne,
P.M. di nazionalità rumena
appunto, lui connazionale di
ventisette anni. Qualche
tempo fa di lei nel suo paese
non si avevano più notizie.
Semplicemente sparita e
nessuna certezza sul dove
potesse essere ma forti sospetti sul motivo dell’improvvisa assenza. Motivo che
i carabinieri di Sellia, agli ordini del comandante Natale
Malagrinò, hanno accertato
proprio nei giorni scorsi nel
corso di un controllo ordinario. I due, infatti, vivevano in
una roulotte nel Comune di
Botricello e, giunti i militari
per la verifica dei documenti, la verità è venuta fuori:
una fuga d’amore appunto.
La minorenne si era infatti
allontanata dal suo Paese
proprio a causa del connazionale con cui intratteneva
una relazione, anche se ancora non è chiaro se i due siano partiti insieme o lei abbia
raggiunto lui qui in Italia, come sembra emergere finora.
A far luce sulla vicenda un
mandato di ricerca diramato a livello internazionale a
seguito della denuncia dei
genitori – a conferma che la
destinazione era rimasta fi-
andrà in una casa
famiglia
La ragazza è
stata trovata in
buone condizioni
Viveva grazie ai
lavoretti saltuari
del suo compagno
no ad allora sconosciuta nel
paese d’origine – che riguardava proprio la giovane rumena. Una ricerca conclusasi proprio in terra calabrese e
fortunatamente senza conseguenze peggiori. P.M. sta bene, è in buone condizioni di
salute e viveva grazie ai lavori saltuari del suo compagno.
L’autorità giudiziaria, però,
ha già disposto l’affidamento
ad una casa famiglia della
Provincia. È lì che si trova
ora la giovane in attesa che il
Tribunale dei Minori decida
sul da farsi e che i genitori
vengano a riprenderla.
Un mistero che si è dunque svelato in maniera inaspettata e che ha toccato da
vicino la comunità rumena
presente nella zona. Una fuitina in salsa internazionale
di cui nella zona ancora si sa
poco o nulla. Una comunità
abbastanza chiusa, quella rumena, che non aveva finora
lasciato uscir fuori nulla della vicenda, che ancora oggi
viene avvertita come cosa
estranea dagli abitanti stessi
“fuitina” in salsa
internazionale
La storia
tra i due potrebbe
non risolversi
con il classico
matrimonio
riparatore
Una roulotte (foto d’archivio)
del Comune. «Qui la comunità rumena è numerosa ma
di loro non si mai nulla», ci
spiega una residente. Quel
poco che si sa, a questo punto, è solo che la tanto famosa
fuitina non pare proprio patrimonio esclusivo del sud
Italia. E quanto sia vero che
tutto il mondo è paese, soprattutto in campo amoroso,
lo dimostra forse più di ogni
altra cosa questa singolare
storia scoperta quasi per caso in una regione che, insieme alla Sicilia, ha finora mo-
nopolizzato i racconti. Peccato che in questo caso appare difficile che la fuitina
possa aver messo fine alle resistenze dei genitori di lei ed,
al posto del matrimonio consumato di nascosto da tutti
che risolve le cose mettendo
tutti di fronte al fatto compiuto, questa volta pare che
la situazione per i due amanti fuggitivi sia leggermente
più complessa. P.M. certamente tornerà in patria e per
lui, oltre al danno – ma questo si vedrà - potrebbe esserci la beffa, visto che l’art. 537
del Codice penale prevede
proprio il reato di sottrazione di minore consenziente,
una fattispecie applicata già
in passato dal Tribunale di
Ancona.
EMMANUEL RAFFAELE
[email protected]
l’interrogatorio
Oggi sarà sentito Scopelliti
l’accreditamento dei centri socio riabilitativi per disabili, e la riconversione dei servizi Siad, relativi alla Fondazione Betania Onlus. Provvedimenti
assunti senza preventivo parere del
Tavolo Massicci.
Insieme al presidente Scopelliti
Indagati
risulta indagato
insieme
anche il Dirigente
Generale della
al governatore
Presidenza Frananche Zoccali
co Zoccali. Per la
e Orlando
convenzione con
l’Università Magna Grecia, risultano inoltre indagati il direttore generale del Dipartimento salute Antonino Orlando e per
la delibera relativa alla Fondazione
Betania, l’assessore al lavoro Francequisiti minimi per l’autorizzazione al scantonio Stillitani ed una dirigente
funzionamento e le procedure per del dipartimento.
Sanità, contestato al presidente il tentato abuso d’ufficio
CATANZARO Sarà interrogato
oggi il presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti, indagato dalla Procura di Catanzaro per il reato di tentato abuso d’ufficio in qualità di commissario ad acta per l’attuazione del
Piano di rientro della sanità. Scopelliti doveva essere sentito il 23 febbraio scorso ma l’interrogatorio era slittato perché il presidente era impegnato con i lavori del Consiglio regionale. A Scopelliti vengono contestati
la stipula del “Patto di Legislatura”
tra la Regione e l’Aiop, la delibera di
giunta relativa al rinnovo del protocollo d’intesa tra Regione Calabria e
l’Università Magna Grecia e l’appro-
vazione con delibera di giunta del regolamento attuativo contenente i re-
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REGGIO CALABRIA
La scure della corte d’assise d’appello si abbatte sul
fuggitivo Antonio Pelle, “la
Mamma”. Nella giornata di
ieri i giudici di piazza Castello hanno emesso il dispositivo di sentenza con il quale
hanno condannato l’uomo a
18 anni di prigione. È stata
quindi accolta pienamente la
richiesta del sostituto procuratore generale Adriana Fimiani che, nel corso della sua
requisitoria, aveva invocato
una condanna pesantissima
per il boss evaso dall’ospedale di Locri, dove si trovava ricoverato in ragione delle sue
condizioni di salute.
Sono servite poche ore di
camera di consiglio alla corte
d’appello per decidere sulla
colpevolezza di Pelle (difeso
dall’avvocato Giulia Dieni)
che, in primo grado era stato
condannato a 13 anni di prigione. Il pg Fimiani non aveva fatto sconti ed aveva chiesto a chiare lettere l’accoglimento dell’appello proposto
dal pubblico ministero. I giudici di prime cure, infatti,
non avevano riconosciuto la
trasnazionalità del reato di
associazione mafiosa, pur
trattandosi di un procedimento - “Fehida” - che riguardava anche la storia del-
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calabria
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Condannato a 18 anni
il boss fuggitivo Pelle
La corte d’appello accoglie le istanze del sostituto procuratore
A sinistra, il boss evaso Antonio Pelle, detto “la Mamma”. A destra, la dese della corte d’assise d’appello
la faida di San Luca culminata con la strage di Duisburg.
Ma sulla decisione dei giudici di piazza Castello ha pesato – e non poteva essere diversamente – l’evasione di
Antonio Pelle, avvenuta diversi mesi fa dall’ospedale di
Locri. Una fuga che ha destato stupore, perplessità ed anche qualche polemica. Secon-
do le certificazioni Pelle era
caduto in un regime di anoressia indotta che ne ha minato talmente tanto lo stato
fisico da essere posto, lui presunto boss e capo dell’omonima cosca, agli arresti domiciliari. L’uomo, infatti, sembrava non essere in condizione neppure di reggere pochi
giorni fuori da casa e dalle cu-
re dei suoi cari ed invece, da
quel che si capisce, Antonio
Pelle “la mamma” ha trovato
la forza di andare via ed iniziare un periodo di latitanza.
Del resto, le cartelle cliniche
parlavano chiaro indicando
una «patologia psichiatrica
ed internistica di natura ed
intensità grave; disturbo
d’adattamento con umore
depresso cronico (con intensità sintomatologia sovrapponibile al disturbo depressivo maggiore), deperimento
organico in condizioni di cachessia da disturbo del comportamento alimentare, polineuropatia assonale con deficit motorio agli arti inferiori, gastrite cronica con metaplasma intestinale». Una pa-
“La Mamma”
evase
dall’ospedale
di Locri dov’era
ricoverato
tologia molto pesante, che ha
addirittura convinto i giudici
d’appello a concedere al superboss gli arresti domiciliari. Ma, alla luce di quanto è
avvenuto, c’è da ritenere che
si sia trattato di una strategia
molto ben preparata, curata
nei minimi dettagli da Pelle
che ha veramente avuto un
dimagrimento fuori dalla
norma, con tanto di situazione certificata.
Secondo qualcuno, però,
quella strategia la si conosceva già. È per questo che la fuga di Pelle ha lasciato l’amaro in bocca agli inquirenti che
lo hanno visto “evaporare” in
grande stile. Di lui, infatti,
non vi è ancora nessuna traccia. Ora che sulla sua testa
pende una condanna pesantissima a 18 anni, le ricerche
saranno ulteriormente intensificate, anche se c’è da scommettere che il mammasantissima farà anche l’impossibile
pur di sfuggire alle maglie
della giustizia.
CONSOLATO MINNITI
[email protected]
Fortugno, il 3 ottobre l’udienza
Si svolgerà in Cassazione la tappa fondamentale del processo
REGGIO CALABRIA È stata litto che scosse l’opinione pubblica
fissata per il 3 ottobre prossimo in e richiamò in Calabria i massimi
Cassazione l’udienza del processo rappresentanti delle istituzioni. A
per l’omicidio del vicepresidente del distanza di qualche tempo le indaconsiglio regionale Francesco For- gini portarono ad individuare i pretugno. La data è stata decisa nei sunti responsabili del gravissimo
giorni scorsi dai giudici del Palaz- fatto di sangue. Dell’omicidio del vicepresidente del
zaccio. Sarà questa
una tappa fondaIl vicepresidente Consiglio regionale
furono
accusati
mentale nella storia
del consiglio
Giuseppe Marciagiudiziaria del pronò,
Alessandro
cesso nato dalregionale
Marcianò, Salvatore
l’omicidio che ha
fu ucciso il 16
Ritorto e Domenico
cambiato il corso
ottobre del 2005 Audino. Secondo
della politica in Cal’accusa fu Ritorto a
labria.
Era il 16 ottobre del 2005, quan- sparare e Giuseppe Marcianò ad acdo a palazzo Nieddu del Rio, a Lo- compagnarlo. Così come Audino
cri, in occasione delle primarie del- accompagnò il killer per gli appol’Unione, Fortugno veniva attinto stamenti precedenti all’omicidio.
da diversi colpi di arma da fuoco Per i quattro, dopo la decisione delche ne causavano la morte. Un de- la corte d’assise di Locri, arrivò an-
In alto, la sede della Cassazione, a sinistra, Fransceso Fortugno
che in appello la condanna alla pena dell’ergastolo, mentre il secondo grado ha riservato anche due assoluzioni ed una riduzione di pena.
Dall’accusa di associazione mafiosa furono assolti Carmelo Dessì
(in primo grado 4 anni) e Vincenzo
Cordì (in primo grado 12 anni) difesi dall’avvocato Giovanni Taddei.
Venne esclusa l’aggravante dell’agevolazione mafiosa nei confronti di
Domenico Audino e Antonio Dessì
(per i reati di minacce e favoreggiamento), con la conseguente condanna per Audino alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per
un anno e quattro mesi e per Dessì
a 5 anni e 8 mesi di reclusione e
1.370 euro di multa (in primo grado 8 anni).
Adesso, dopo le motivazioni che
hanno confermato come si trattò di
un omicidio politico-mafioso, sono
arrivati i ricorsi in Cassazione. Se
ne parlerà ad ottobre e quella sarà
l’ultima tappa, quella che potrebbe
segnare le condanne definitive.
cons. minn.
dalla prima
SE UN MAFIOSO È GAY CAMBIA QUALCOSA PER LA LEGGE?
(...) «L'omosessualità nella mafia - ha spiegato Macrì - è loro si nascondono per paura di esser licenziati, malmenaancora un tabù sotto il profilo del costume, ma il grande ti, discriminati. Invece i potenti, di tutte le caste e risme, posboss può permettersi di essere omosessuale senza temere di sono permettersi persino di difendere pubblicamente i valori tradizionali e conservatori, e poi fare nel
essere ucciso. Dipende dai rapporti di poteprivato ciò che vogliono, sapendo che mai
re: i mafiosi di piccolo calibro devono tener«Non capisco
nessuno li toccherà, li disturberà, anche se la
si nascosti altrimenti vengono espulsi anche
il nesso
loro omosessualità è ampiamente conosciuin maniera violenta. Ma se è un capo, allora se lo può permettere». Si tratta davvero
tra la condizione ta. Detto che preferirei non ci fossero omosesmafiosi, mi domando: il dato che ci siadi una notiziona. In sintesi se sei potente, fai
sessuale e le loro suali
no gay dentro mafia, ’ndrangheta, camorra,
quello che ti pare se invece non conti nulla,
azioni criminali» è rilevante dal punto di vista delle indagini?
devi nasconderti. Non è necessario in questo
Ci sono statistiche? Sì è indagato anche sulle
Paese esser mafiosi per vivere questa condizione, grazie alla politica, tutti gli omosessuali operai, me- preferenze sessuali dei boss e dei picciotti? E soprattutto perdici, studenti, idraulici, metalmeccanici, ecc. non sono tute- ché? Faccio queste domande perché queste continue dichialati, devono vivere in posizione di minorità, quindi, molti di razioni d’inquirenti un po’ m’inquietano, perché non capisco
il nesso tra la condizione sessuale di questi delinquenti e le loro azioni criminali. Il pregiudizio positivo per cui i gay sarebbero più sensibili e pacifici, oltre che a essere ridicolmente rassicurante per gli eterosessuali, è per fortuna una bufala. Così come la rappresentazione che ci vuole tutti effemminati, che poi fa equazione con deboli e inadatti può convincere i telespettatori distratti. Gli omosessuali sono guardie e ladri, cattivi e buoni, pelosi o glabri, come tutti,
rassegnatevi e andate oltre, anche nelle stanze dei Tribunali. Certo forse abbiamo buon gusto e ci laviamo di più, ma
non c’entra nulla l’orientamento sessuale, lo abbiamo imparato in millenni di oppressione, che seguire le regole dell’igiene e dell’estetica, un po’ allunga la vita.
Aurelio Mancuso
presidente di Equality Italia
15
MERCOLEDÌ 14 marzo 2012
calabria
ora
R E G G I O
Le misure adottate per non far arrivare gli investigatori al latitante
erano semplici ed efficaci: cambiare più volte mezzo, utilizzare delle
uscite secondarie, lasciare qualsiasi cellulare in luoghi lontani e mettere in atto quella che tecnicamente viene definita come attività di
“spedinamento”. In buona sostanza, i fiancheggiatori di Domenico
Condello mettevano in atto una serie di controlli per evitare di essere
seguiti dagli appartenenti alle forze
dell’ordine. Erano pochissimi i soggetti che potevano incontrare “Micu u pacciu”. Tra questi sicuramente la moglie, Margherita Tegano ed
il fratello Bruno Tegano, almeno fino al giorno del suo arresto nell’operazione “Reggio Nord”, altro
procedimento volto ad azzerare i favoreggiatori del latitante. Il modus
operandi era sempre lo stesso, anche se si avvaleva di più persone che
facevano una sorta di staffetta per
permettere all’intermediario di turno (Bruno o Margherita) di poter
arrivare senza grossi patemi ad incontrare l’uccel di bosco.
Ed uno degli incontri più significativi è sicuramente quello avvenuto l’11 gennaio 2011, quando ad allontanarsi è Bruno Tegano. È in
quel caso che gli inquirenti riescono
a scoprire un covo “caldo” dove aveva trovato rifugio il latitante.
«Uscito dall’abitazione alle ore
17.22 e risalito a bordo del proprio
veicolo – scrivono i carabinieri – il
Pedinamenti e satellite
Così fu trovato il covo
Ecco come si muovevano i fiancheggiatori di Condello
Massimiliano Richichi nel momento in cui viene trasferito in carcere
Tegano si recava nei pressi della facoltà di Giurisprudenza, sita nel
quartiere Cep di Archi e, parcheggiata l’autovettura nei pressi delle
cabine telefoniche, alle ore 17.27,
utilizzava l’apparato pubblico avente utenza n. 096545322, inviando il
seguente messaggio di testo a Massimiliano Richihi: “tesoro per la pizza andiamo domani perché mi sono
venute le mestu ai capito e non mi
sento bene ciao mi dispiace per tua
cognata a dopo tvb”. Sul punto venivano svolte le seguenti considerazioni: tra il Tegano ed il Richichi
sussisteva uno strutturato rapporto
personale che aveva loro consentito di prestabilire codici di cifratura,
come quelli utilizzati nel messaggio
in argomento.
Dopo una serie incredibile di giri
e scambi tra scooter e auto, con la
complicità di Massimiliano Richichi, Bruno Tegano, alle 18.15, dunque, giunge nei pressi dello svincolo che conduce all’attività commerciale denominata “Kalura” ed imbocca la via Nazionale Bolano, strada sterrata e priva di illuminazione.
«Alle ore 20.05 – annotano i carabinieri – personale di questo Reparto notava che dal primo cancello sito sul lato destro della via Nazionale Bolano - si tratta di quello relativo all’abitazione sita al civ. 1 - usciva un’autovettura Fiat Idea, con alla giuda Amato Mariangela, moglie
di De Carlo Pasquale, seguita immediatamente dallo scooter utilizzato dal Tegano». Dopo altri giri
volti a distogliere qualsiasi tipo di
sospetto i carabinieri giungono alla
conclusione che il latitante si trovi
nel punto dove Tegano si ferma dalle 18.15 alle 20.05 e per questo si effettuano numerose perquisizioni
domiciliari, culminate nell’individuazione del civico 3 in località Catona. Da quel sopralluogo si capisce subito che Condello è appena
riuscito a fuggire. La caccia continua, ma da ieri “Micu u pacciu” è
decisamente più solo.
Consolato Minniti
I Richichi e le tante microspie
Gli apparecchi furono rinvenuti dai due fratelli e poi distrutti
I Richihi non sapevano di
essere sotto controllo, almeno
fino a quando non scoprirono
che sulle loro auto vi erano installate delle microspie. Sono
soggetti molto interessanti dal
punto di vista investigativo.
Massimiliano, tra l’altro, secondo gli inquirenti diede supporto a Bruno Tegano in almeno due occasioni.
«La sera del 23 dicembre
2010 Richichi Massimiliano –
raccontano gli investigatori –
unitamente all’amico Gullì
Carmelo si recava a cena presso il pub - ristorante “Mamas”
sito in via Quattronari di Pellaro. Alle ore 23.10 i due giovani
salivano a bordo dell’autovettura Hyundai IX-35 e si dirigevano in direzione della via
Nazionale di quel quartiere.
Alle ore 23.17 il Richihi, alla
guida del mezzo, imboccava la
via Seconda Torrente Filici e
sostava per qualche istante nei
pressi dello stabile ove il 18
febbraio 2008 era stato tratto
in arresto Condello Pasquale
cl. 50. In quel frangente il Richihi raccontava le circostanze
che avevano portato alla localizzazione del luogo in cui il latitante si era rifugiato, non sottacendo il fatto di averlo incontrato per una decina di volte
durante la latitanza».
«Dopo la sosta, il Richihi si
dirigeva verso la zona nord
della città ed a bordo del veicolo venivano registrati commenti relativi al ritrovamento
di apparati di intercettazione.
Intorno alle ore 23.30, infatti,
il Richihi notava la presenza
del microfono della microspia
installata sull’autovettura. Dall’analisi del rilevamento della
posizione satellitare del veicolo era possibile accertare che
al momento esso era in sosta
in via Croce Cimitero di Archi.
Alle ore 23.37, il Richihi contattava, il fratello Roberto, al
quale in un primo momento
aveva chiesto dove si trovasse,
mentre alle ore 23.39, gli chiedeva di riferire al padre di non
utilizzare quel veicolo l’indomani. Veniva infatti intercettato l’invio del sms recante il
testo: “Scrivi a papà di nn
prendere la macchina domani!!!!!” e dopo pochi minuti
nuovamente: “è pienaaaaaa”.
La mattina seguente, Richihi
Massimiliano mostrava al padre la microspia rinvenuta».
cronaca
Rapina con pistola giocattolo
Arrestati due ventenni
Sasha Ubaldo Ruggeri
Domenico Condello
Sacha Ubaldo Ruggeri
(20 anni) e Domenico Condello (21) sono stati arrestati dal Polizia perché ritenuti responsabili della rapina
effettuata con una pistola
giocattolo nella “Tabaccheria nr.9” di via Reggio Campi II tronco, dove, mentre
Ruggeri faceva da palo, rimanendo al di fuori della tabaccheria al fine di coprire
l’azione del complice, Condello, all’interno con il volto
coperto da un cappellino ed
una sciarpa, puntava l’arma
contro la cassiera intimandole di consegnare l’incasso di 600 euro. Le indagini
hanno accertato nei confronti dei due ulteriori attività criminose tra cui condotte di furto aggravato ed
utilizzo indebito di carte
bancomat provento di furti
con le quali venivano effettuati, altresì, documentati
prelievi di danaro contante
presso alcuni sportelli bancari.
Nel pomeriggio, «dopo una
breve sosta, il Richihi si dirigeva presso la propria abitazione dove provvedeva a disinstallare l’apparato di intercettazione presente a bordo della
Hyundai IX-35 che, infatti, alle ore 15.26 cessava di funzionare».
c. m.
Roberto Rechichi
cronaca/2
Gli rubano la moto, denuncia
e gli impongono di ritrattare
Estorsione, furto, falsa testimonianza ed altro. Queste le accuse nei confronti di
Antonio e Mario Bevilacqua,
Mohamed Benrachid e Abdelmjid, destinatari di 4 ordinanze cautelari in carcere
emesse dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria,
su richiesta della locale Procura della Repubblica.
Il provvedimento restrittivo arriva al termine dell’attività investigativa della Squadra Mobile reggina che il 5 e
l’11 maggio del 2009 aveva
portato all’arresto di Mario e
Antonio Bevilacqua per i
reati di ricettazione ed estorsione ai danni del proprietario di un ciclomotore, al medesimo sottratto e restituitogli dietro compenso.
La dettagliata denuncia
della vittima, le cui dichiarazioni avevano già consentito
l’arresto dei due Bevilacqua,
unitamente agli esiti delle
indagini condotte dalla Poli-
zia determinavano l’emissione, e la conseguente esecuzione, di una nuova misura cautelare che consentiva
l’arresto dei due soggetti i
quali, in più riprese, avevano
provato a costringere la persona offesa affinchè ritrattasse le sue dichiarazioni in
sede di incidente probatorio,
in relazione al delitto di
estorsione commesso.
È stato accertato anche
che i due Bevilacqua il 20 e
il 23 maggio 2009, avevano
minacciavano la vittima dell’estorsione e la sua famiglia,
rubando nuovamente il medesimo ciclomotore per costringere il denunciante a ritrattare le proprie dichiarazioni in sede di incidente
probatorio, che si sarebbe
tenuto da li a breve.Infine,
nel mese di giugno 2009,
promisero alla vittima la
somma di denaro di 1500
euro per indurlo alla falsa testimonianza.
Mario Bevilacqua
Antonio Bevilacqua
MERCOLEDÌ 14 marzo 2012 PAGINA 23
l’ora della Piana
Piazza Primo Maggio 17, Palmi Tel. e Fax: 0966 55861 Mail: [email protected]
PORTO
AUTORITA PORTUALE
SANITÀ
0966 766415
CAPITANERIA DI PORTO 0966 562911
0966 765369
DOGANA
GUARDIA DI FINANZA
0966 51123
FARMACIE
OSPEDALE GIOIA TAURO
OSPEDALE PALMI
267611
OSPEDALE CITTANOVA
660488
OSPEDALE OPPIDO
86004
942111
POLIZIA DI FRONTIERA 0966 7610
CARABINIERI
0966 52972
OSPEDALE POLISTENA
VIGILI DEL FUOCO
0966 52111
OSPEDALE TAURIANOVA
ROSARNO
Una vera e propria stangata
quella disposta dai giudici della Corte dei conti di Catanzaro
nei confronti del gruppo imprenditoriale Vecchio di Rosarno. Una stangata arrivata in
seguito ad un’operazione della
guardia di finanza che si accorse dello strano giro di fatturazioni impazzite relative a due
differenti finanziamenti erogati nell’ambito del “Pacchetto
integrato agevolazioni” e che è
finita col costare quasi 8,5 milioni di euro di risarcimento
agli imprenditori coinvolti in
un fantomatico progetto per la
realizzazione di un stabilimento di produzione di ceramiche
con annesso avanzato studio
di “ricerca e sviluppo”, che
avrebbe dovuto rivoluzionare
il sistema stesso di produzione
delle ceramiche.
Una storiaccia, l’ennesima
in questo pezzo di meridione,
fatta di “prenditori” di finanziamenti e agevolazioni pubbliche, che dopo avere avuto
accesso ai fondi agevolati garantiti per i territori “depressi”
come nel caso della Piana di
Gioia Tauro, hanno utilizzato
gli stessi fondi, per fini che con
l’azienda in questione non avevano nulla a che fare. Una storiaccia che inizia nel giugno del
2009 quando, a seguito degli
arresti e dei sequestri preventivi sulle aziende del gruppo
Vecchio effettuati dalle fiamme gialle, il Procuratore regionale presso la Corte dei conti
ha citato in giudizio Giuseppe
Vecchio (in qualità di rappresentante legale della “Vecchio
prodotti in ceramica” e della
“Tourist residence”), Domenico Vecchio (come amministratore “di fatto” della prima società), Elisabetta, Rita, Luigi
Roberto Vecchio in qualità di
soci delle aziende, chiedendo
un risarcimento mostre di oltre 12 milioni di euro da rimborsare al Ministero dello sviluppo economico.
I magistrati contabili si sono
mossi su due piani paralleli, legati a due diversi finanziamenti, relativi ad un unico progetto che si è dimostrato però
completamente «truffaldino».
Fatture false, finti conferimenti per gli aumenti di capitale
(necessari per le ulteriori tranche di finanziamenti approvati dallo stesso ministero), fino
a compensi stratosferici erogati dalle società interessate dall’indagine e rivolti verso gli
stessi indagati in una Babele di
soldi, che finivano dovunque
meno che dove avrebbero dovuto essere investiti.
Nella paradossale vicenda
(approdata, almeno per la parte relativa all’industria di ceramiche, davanti al tribunale di
52203
618911
Rosarno
Ioculano
Rechichi
Tripodi
Alessio
Borgese
Cianci
Paparatti
51909
52891
500461
Palmi
Barone
Galluzzo
Saffioti
Scerra
Stassi
773237
712574
774494
773046
Taurianova
479470
22742
22692
22897
22651
Ascioti
Covelli
D’Agostino
Panato
Truffe alla 488
Il Gruppo Vecchio
risarcirà 8,5 mln
Rosarno, la Corte dei conti ha condannato
aziende a rifondere il ministero allo Sviluppo
Palmi) ci finisce, suo malgra- che dagli inerti dell’edilizia, e
do, anche l’Università della che si è invece miseramente riCalabria che avrebbe dovuto dotto ad un paio di ricerche generiche su Googarantire
gle e a qualche
le compeNell’inchiesta
relazione tecnica
tenze per il
sono
finiti
anche
curata dal figlio
reparto di
del professore
“ricerca e
un docente
Nastro (docente
sviluppo”
Unical e i suoi
Unical) che però
da cui i
due figli
il proprio percorVecchio
so di studi non
avrebbero
dovuto ricevere le tecnologie l’aveva ancora terminato, e ad
necessarie a sfruttare un nuo- altre relazioni orali a cura delvo modo di costruire cerami- l’altra figlia del professore. E
CINEMA
Gioia Tauro
ancora pagamenti gonfiati
sempre a favore dei membri
della famiglia Vecchio finiti
nella rete degli inquirenti, anche per prestazioni mai realmente effettuate: tutti “magheggi” finanziari che hanno
portato i giudici a condannare
Giuseppe e Domenico Vecchio
«al pagamento della somma
di 1,14 milioni di euro stante la
connotazione dolosa della
condotta resa evidente dalla ricostruzione dei fatti».
Una somma forte a cui si de-
643269
610700
611944
638486
Gioia Tauro “Politeama” 0966 51498
Chiuso
Cittanova “Gentile” 0966 661894
Chiuso
Polistena “Garibaldi” 0966 932622
Chiuso
Laureana “Aurora”
Chiuso
ve aggiungere il capitolo relativo all’altrettanto fantomatico
“Programma di industrializzazione” che prevedeva un finanziamento che superava i 21 milioni di euro per la realizzazione di un capannone industriale per la produzione di mattonelle in ceramiche, che era poi
strettamente collegato con il
reparto di Ricerca e sviluppo.
Ma anche in questo caso, la finanza prima e i giudici dopo,
hanno scoperto un’altra verità fatta di «una serie di ardite
triangolazioni finanziarie per
cui le somme percepite a titolo di anticipazione sono state
utilizzate per adempiere all’obbligo di aumento del capitale
sociale che doveva essere effettuato per ottenere le ulteriori
tranche di contributo, ovviamente utilizzando capitali propri mentre l’apporto effettivamente conferito si è attesta ad
un livello molto inferiore a
quello dovuto, 450 mila euro
in luogo di 4,35 milioni».
Fatti che, aggiunti alle altre
operazioni fittizie, sono costate al gruppo la condanna al risarcimento per 7,12 milioni di
euro ripartiti per metà a Giuseppe Vecchio (nella qualità
di amministratore di di diritto) e per metà al resto dei soci.
Vincenzo Imperitura
TAURIANOVA
Vandali in azione alla Monteleone
Oggi marcia di protesta di alunni e docenti lungo le vie cittadine
TAURIANOVA
Aule devastate, banchi capovolti,
estintori svuotati e scritte minacciose, è
questo lo scenario che si è presentato la
mattina del 13 marzo ai 500 alunni ed al
corpo docente della scuola elementare
Alessandro Monteleone di Taurianova.
E’ l’ennesimo raid vandalistico a danno
dell’istituto che ha seguito quello verificatosi nella notte di venerdì scorso. Tuttavia, in quest’ultima occasione, i danni
sono risultati molto più gravi tanto da
costringere gli insegnanti a riaffidare i
500 bambini della scuola ai propri genitori in quanto impossibilitati a tenere
regolarmente lezione.
Nella mattinata stessa i carabinieri
hanno svolto un sopralluogo e hanno
allertato anche il commissariato di polizia per gestire i controlli notturni con
maggiore frequenza. La dirigente dell’istituto, Aurora Placanica, ha sostenuto che la cosa più preoccupante è stato
leggere su alcune lavagne la scritta “deruberemo la scuola fino a quando non la
chiuderete”. «La scuola è un servizio alla comunità - ha dichiarato la dirigenteè per questo che l’atto va considerato in
tutta la sua gravità». Molte le dichiara-
DISASTRO Una delle aule devastate dal raid notturno di vandali
zioni di rammarico per la vicenda da
parte del mondo politico e dalla società
civile tra cui quella del sindaco di Taurianova Domenico Romeo e di Antonio
Marziale, presidente dell’Osservatorio
dei diritti sui minori, che ha commentato «attentare ad una scuola significa voler pregiudicare il futuro delle giovani
generazioni e ciò è da considerarsi un
atto indegno e deplorevole».
Nel corso del collegio straordinario
tenutosi nell’istituto, è emerso un forte
dispiacere per questo atto e la convinzio-
ne che chiunque abbia agito lo abbia fatto per distruggere e non per rubare. Per
la mattinata di oggi, è stato organizzato
un corteo alle 9.30 con i bambini, i genitori e gli insegnanti del Primo circolo
che partirà dall’istituto sino ad arrivare
alla sede del Comune. Al termine della
manifestazione è prevista la lettura di
una dichiarazione congiunta elaborata
nel corso del collegio degli insegnanti
riunitosi ieri pomeriggio.
VALENTINA AMUSO
[email protected]
CINQUEFRONDI
Camionista muore
dopo uno schianto
in galleria
Forse un colpo di sonno, forse un malore o
l’alta velocità: tante sono le ipotesi su cui sta
lavorando la Procura di
Palmi per capire le dinamiche alle base dello
spaventoso incidente
che ieri pomeriggio è costato la vita al cinquantaquattrenne Giuseppe
Fabio, autotrasportatore di Mister Bianco, cittadina a due passi da
Catania. Agli uomini
della stradale di Siderno
e dei vigili del fuoco di
Polistena che sono accorsi sulla provinciale
che collega Cinquefrondi alla strada di grande
comunicazione JonioTirreno si è presentato
uno spettacolo agghiacciante, con la cabina del
camion guidato da Fabio, andata completamente distrutta dall’impatto con il muro di una
galleria.
Dai primi rilievi condotti dalle forze dell’ordine, sembra che l’autotrasportatore abbia perso il controllo del mezzo
finendo prima su un’utilitaria (al cui interno
viaggiano due donne
che sono rimaste, fortunatamente, illese) e poi
sul muro portante del
traforo: un urto tremendo che ha causato il distaccamento del cassone dell’automezzo che
ha continuato la sua folle corse per oltre un centinaio di metri prima di
fermarsi. La strada è rimasta chiusa al traffico
per diverse ore, visto
che a causa della violenza dell’impatto, i vigili
del fuoco hanno impiegato diverse ora per
estrarre il cadavere del
malcapitato autista dalle lamiere contorte del
mezzo.
Ilario Filippone
Angelo Siciliano
29
MERCOLEDÌ 14 marzo 2012
P A O L A
-
C E T R A R O
calabria
-
S A N
Processo al clan Muto
I colloqui in albanese
COSENZA
Nominato un perito per trascrivere le intercettazioni
CETRARO
Sono una ventina (telefonate e discussioni) le comunicazioni intercorse tra alcuni albanesi e gli appartenenti al clan di
Franco Muto di Cetraro, registrate agli
atti dell’operazione denominata Azimuth che vede imputate quindici persone. Una situazione insolita che ieri mattina ha costretto il collegio penale del tribunale di Paola a nominare un esperto di
albanese per procedere alla trascrizione
di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Il perito sarà chiamato ad affincare
un altro esperto nominato dai giudici,
nell’iudienza del 7 marzo, per la traduzione delle restanti intercettazioni in lingua italiana. Il termine fissato per la consegna del materiale in tribunale, salvo
proroghe, era stato fissato, in quest’ultimo caso, in 90 giorni. Le operazioni, lo
ricordiamo, sono state in tutto tre (Goodfather, Stardust e, appunto, Azimuth).
La prima era partita nel mese di luglio
del 2001 grazie alla denuncia di un imprenditore. Da qui erano state avviate
tutte le indagini del caso che avevano
spinto gli investigatori a mettere sotto
controllo i telefoni dell’imprenditore e di
colui che gli aveva concesso il prestito
usuraio, nonchè di tutte le linee finanziarie di ambo le parti. Al termine di tut-
La costa cetrarese
ti gli accertamenti, nel 2002, scattò la
prima operazione. Poi, però, vi fu la denuncia ad opera di un altro imprenditore che tirò in ballo altri cravattari collegati, in qualche modo, a quelli già noti alle forze dell’ordine. Pertanto erano state
avviate nuove indagini che culminarono
in nuovi arresti. Infine, a seguito della
perquisizione effettuata all’interno di
una cartolibreria, vennero rinvenute
cambiali, assegni ed altri documenti utili per la riapertura del caso, culminato
PAOLA
“Il giardino che vorrei”
Iniziativa per le scuole
“Il giardino che vorrei”.
E’ questo il nome dell’iniziativa promossa dall’azienda
“Green service giardini” di
Paola che si terrà martedì 24
maggio presso la sede della
stessa. L’evento vedrà la premiazione della gara di creatività. «Si tratta di un’iniziativa da noi voluta per sensibilizzare i giovani e non solo
al rispetto dell’ambiente attraverso la cura degli spazi
verdi - spiega Francesco De
Luca responsabile della “
Green service giardini” - Infatti, nei mesi scorsi, abbiamo invitato gli istituti scolastici a partecipare ad una
grande gara di espressione
sul tema “il giardino che vorrei”. E’ stato chiesto agli
alunni di immaginare il
giardino dei loro sogni, così
come vorrebbero che fosse
lo spazio verde della scuola,
di casa o del quartiere, e descriverlo utilizzando la tecnica espressiva del disegno.
Il primo classificato vincerà
la realizzazione di un’ aiuola
o di uno spazio verde di
20mq, il più possibile simile a quello disegnato per la
propria scuola, realizzati dagli esperti della “Green service giardini” dopo un sopralluogo». Il 20 marzo è il termine ultimo per partecipare
alla gara, gli elaborati vanno
spediti a: Gara Green service giardini “Il giardino che
vorrei” via Calopietro, 40
proprio con l’operazione Azimuth. A giudizio per usura erano finiti: Franco Muto, Walter De Seta, Delfino Lucieri con la
moglie Carmelina Cesareo, Ariosto Artese, Mario Giuliano e la moglie Rosa Santoro, Carlo Drago, Angelo Mosciaro, Giuseppe D'Elia, Patrizia Cesario e Antonio
Di Dieco. Tra questi Franco Muto, Walter De Seta, Ariosto Artese e Carlo Drago insieme a Giuseppe Nigro, e Giovanni Giuseppe Vulcano.
Stefania Sapienza
Carta di credito clonata
Risarcito dalla Carime
La Banca Carime Spa
dovrà risarcire 2000 euro
e le spese processuali a un
suo cliente che ha subito la
clonazione della sua carta
di credito. Il tribunale di
Paola ha accolto il ricorso
presentato in appello dall’avvocato Pasquale Sciammarella. Il suo assistito, F.
V., titolare di un conto corrente nell’istituto di credito, si era accorto di una serie di prelievi da lui mai effettuati con il suo bancomat. I fatti risalgono al
2004 e i prelievi erano in
tutto otto da 250 euro ciascuno. La vittima della frode denunciò al direttore
della filiale Carime di San
Lucido l’uso “strano” della
sua carta di credito da parte di un terzo. Tutto questo
avvenne dopo che F. V.
aveva chiesto l’estratto
conto. E i numeri parlavano chiaro: nel periodo che
va dal 28/06/2004 e
l’11/08/2004 erano state
effettuati tali prelievi che
sono risultati subito sospetti per il cliente della
banca. Il responsabile della filiare consigliò alla vittima della frode di chiedere
ai familiari se avessero utilizzato la carta di credito.
Ma nessuno dei congiunti
era responsabile degli otto
Un’aula di giustizia
prelievi effettuati. Nel dispositivo si legge che il direttore ha consigliato al
cliente della banca di presentare «regolare domanda ai carabinieri, facendosene rilasciare una copia da
riportare in banca per la
procedura di rimborso».
Per il tribunale di Paola
F. V. ha «subito una una
frode sulla propria carta
Bancomat». I prelievi «erano stati sistematici ed eseguiti all’insaputa del titolare della carta di credito»
E pertanto condanna la
«Banca Carime Spa al pagamaento di 2000mila euro oltre agli interessi di mora maturati dal 2004 sino
al saldo effettivo».
Alfonso Bombini
Gli ex lavoratori: «Siamo stati abbandonati dalla Regione»
Un gruppo di disoccupati
del Tirreno cosentino, lamemntano di essere stati abbandonato dalla Regione Calabria.
«Avevamo intravisto la possibilità di un sostegno al reddito perchè dovevamo essere
impegnati nel progetto "Pia-
87027 Paola. I disegni non
devono superare le dimensioni di un foglio formato A3
(297 x 420mm), indicando
la classe, il nome della scuola, e dell’insegnante di riferimento, il telefono della
scuola. L’aiuola/spazio verde sarà allestita in ottobre,
dove i ragazzi, i veri protagonisti, affiancheranno i
giardinieri della “Green service giardini” nella realizzazione dello spazio verde. Altre 20 classi, scelte dalla giuria della Green service giardini, riceveranno il libro “Il
giardino delle farfalle”, contenente quattro tipi di semi
utili alla nutrizione e alla riproduzione delle farfalle.
Una giuria composta da
esperti paesaggisti, valuterà
i lavori pervenuti al concorso al quale hanno partecipato gli alunni delle scuole dell’infanzia, scuole primarie e
secondarie del comprensorio». (m. f. s.)
SAN LUCIDO
Disoccupati senza sostegno
CETRARO
Scorcio di Paola
ora
L U C I D O
no di inserimento occupazionale" promosso dalla Regione
Calabria - affermano i disoccupati in una nota - Ci eravamo illusi che l'avvio di questa
esperienza a dicembre 2011 ci
avrebbe dato una buona opportunità di riscatto, anche
sociale, e di intravedere finalmente uno spiraglio di pro-
spettiva per il nostro futuro.
Ma ci siamo sbagliati perchè
non siamo stati più richiamati e nessuno ci sa dare indicazioni sulle prospettive di ripresa del nostro impegno». Il
gruppo accusa l'assessorato
regionale al lavoro e dei suoi
più alti dirigenti «che, non utilizzano nel modo giusto i fon-
PAOLA/2
Memorial di calcio ai licei
in ricordo di Miki Monte dj
Ieri mattina, il Liceo di Paola (scientifico, pa. Il trofeo è stato donato alla madre di “Miclassico, linguistico, tecnologico) ha ricorda- kiMontedj” (Michelangelo era un appassioto Michelangelo Montefusco, giovane dj di nato di musica), unitamente ad un mazzo di
San Lucido, morto nel mese di febbraio del rose, mentre al fratello dello stesso, Riccardo
2011. Per l’occasione
Montefusco, è stato
è stato organizzato
consegnato un atteun Memorial dove
stato. Visibilmente
quattro squadre di
commossi i familiari
calcio si sono condello sfortunato lifrontate al campo
ceale. La mamma, in
sportivo ubicato nelparticolar modo, nel
la località Tina a
suo discorso, ha
Paola. I gruppi di
esortato i giovani
giocatori (divisi con i
presenti all’evento a
colori blu, nero, gialnon tenere nulla
lo e rosso) erano tutdentro di loro, a conti formati da studenfidarsi con i propri
ti del liceo, fatta ecce- Michelangelo Montefusco
genitori onde evitare
zione per la presenza
che, sulla scorta di
di qualche docende e di quattro figure femmi- problemi di poco conto, possano verificarsi
nili. Al termine delle partite la prima classifi- delle vere e proprie tragedie.
cata, ovvero la squadra blu, ha vinto una copStefania Sapienza
di messi a disposizione dalla
Comunità europea. Assistiamo solo a dichiarazioni di
principio ed a tanta propaganda mediatica mentre qui, sul
nostro territorio, ed in tutta la
Calabria aumentano disoccupazione e povertà. Noi non rinunciamo alla possibilità che
ci può essere data con quel
progetto e faremo di tutto per
riprendere quel nostro impegno lavorativo. Speriamo che
ci sia ancora qualche sensibilità nella Regione Calabria e
che almeno il Presidente si
renda conto del dramma che
tutti noi stiamo vivendo. Speriamo anche che il sindacato,
che ha sostenuto finora le iniziative per i disoccupati, prenda a cuore la nostra situazione
e spinga la Regione a promuovere iniziative per l'occupazione e soprattutto per la ripresa
del nostro progetto. Troppo
tempo sta passando inutilmente e noi stiamo pensando
che a questo silenzio dobbiamo rispondere con la mobilitazione e con azioni di lotta, se
necessario anche eclatanti,
presso l'assessorato al lavoro a
Catanzaro e presso la prefettura. Solo così - conclude il
gruppo - probabilmente sarà
possibile smuovere questa situazione stagnante. Speriamo
che il sindacato non ci lascerà
da soli in questa battaglia per
la nostra sopravvivenza e per
la nostra dignità».
Fiorella Squillaro
30
MERCOLEDÌ 14 marzo 2012
calabria
ora
AMANTEA - FUSCALDO - GRISOLIA
Clan, 4 testi dal giudice
Nepetia è al capolinea
COSENZA
Ieri la discussione sulla posizione di tre imputati
AMANTEA
Il processo “Nepetia-Enigma” è in dirittura d’arrivo. Ieri mattina, infatti, presso
il tribunale di Paola, innanzi il collegio penale, sono stati sentiti altri testimoni della difesa. Il 27 marzo, pertanto, si dovrebbe chiudere l’istruttoria dibattimentale,
come hanno evidenziato i giudici in aula.
Successivamente si darà spazio alla discussione conclusiva di pubblico ministero, parti civili e, infine, le arringhe della difesa. Sarà poi il collegio penale a sentenziare sui ventitrè imputati che stanno seguendo il rito ordinario. Ma, ritornando al
processo di ieri, sono stati sentiti in tutto
quattro testi, i quali sono stati chiamati
ad esprimersi sulla posizione di Roberto
Di Lauro, Armando Mendicino e Natale
Rizzo. Attraverso le loro domande, i difensori hanno fatto emergere come, negli
anni 2006/2007 (cioè quando è scattata
l’operazione “Nepetia-Enigma”), Di Lauro si trovasse al porto esclusivamente per
questioni di lavoro. Lo stesso, così come
hanno raccontato i testi, era responsabile
della biglietteria della Motonave Benedetta II che garantiva viaggi da e per le isole
Eolie durante il periodo estivo. Nessun
contatto diretto sarebbe mai avvenuto tra
il Di Lauro e gli appartenenti alla consorteria locale (Tommaso Gentile, Guido e
Il boss Tommaso Gentile
Massimo Africano, Pasqualino Besaldo).
Altra posizione oggetto di analisi è stata
quella del sovrintendete dell’Arma Armando Mendicino, accusato di aver fornito il proprio “contributo” alla cosca, consegnando al cap clan Tommaso Gentile
una lettera anonima ritrovata al di fuori
dell’esercizio delle sue competenze, contenente denunce contro alcuni affiliati al
FUSCALDO/2
Appello a Napolitano
per i diritti dei disabili
Il comitato “Mamme indispensabili” continua la sua
battaglia di civiltà e di tutela
dei diritti dei disabili e dei loro familiari che vedono continuamente calpestati i propri diritti ed i propri bisogni.
Proprio sul problema dei diritti dei disabili nei giorni
scorsi, la portavoce del Comitato “Mamme indispensabili” Stella Marcone ha rivolto un'accorata missiva,
direttamente al Presidente
della Repubblica Giorgio
Napolitano. «Tanti ed importantissimi i temi contenuti nella lettera - afferma la
portavoce del comitato Stella Marcone - dall'esigenza
di sempre più numerose
strutture per disabili ad una
maggiore tutela per quanto
riguarda l'inclusione nel
mondo lavorativo». Le famiglie del comitato, a nome del
loro portavoce, Marcone, si
sono rivolte anche al presidente del Consiglio Mario
Monti e all'onorevole Antonio Guidi, che da anni segue
con attenzione e disponibilità tutte le problematiche che
gli sono state sempre segnalate. «La lettera al Presidente,a cui si è chiesto anche di
ricevere una nostra delegazione per un costruttivo confronto, è un appello alle istituzioni affinchè esse siano
vicine e presenti alle problematiche della nostra Regione.E' importante mettere in
clan medesimo e collaborando con lo stesso per identificare il probabile autore».
Ebbene, il teste (un graduato appartenente sempre ai carabinieri) della difesa ha
sottolineato come tale stato di cose era già
stato segnalato dal Mendicino ad un suo
superiore, diverso tempo prima che gli venisse notificato l’avviso di garanzia per la
vicenda giudiziaria in corso. Infine, l’ultimo testimone, responsabile di una cooperativa di pescatori ad Amantea, è stato
chiamato a discutere sulla gestione del
Porto di Campora San Giovanni negli anni in cui lo stesso è stato attenzionato dalle forze dell’ordine (2006/2007). Dalla discussione è emerso che il primo ad essersi occupato dell’area portuale e di tutto ciò
ad essa connessa era stato tale Furgiuele
al quale ha fatto seguito Giannetti. Natale Rizzo, all’epoca dei fatti, si occupava degli ormeggi delle barche da pesca a da diporto. Il porto, a quei tempi, funzionava
bene. Oggi, invece, l’imbocco è insabbiato da ben sei mesi. Al termine dell’escussione dei testimoni il collegio penale si è
congedato ricordando che alla prossima
udienza saranno sentiti i testi per le posizioni di Tommaso Signorelli, Antonio
Coccimiglio, Beniamino Molinaro, Franco La Rupa e Concetta Schettini.
STEFANIA SAPIENZA
[email protected]
FUSCALDO
Gravina ricorda Silipo
deceduto in Canada
«La scomparsa dell’ex ministro canadese Tony Silipo
ci riempie di profondo dolore e di tristezza, anche e soprattutto in virtù del forte e
solido legame tra lo stesso,
nella sua qualità di presidente dei calabresi dell’Ontario, e la comunità di Fuscaldo». E’ quanto si legge
in una nota stampa redatta
dal movimento politico “Fuscaldo europea”, subito dopo aver appreso della prematura scomparsa di Tony
Silipo, già ministro dell’Istruzione canadese e presidente della federazione dei
calabresi della regione dell’Ontario. “Ricordiamo gli
anni in cui, per volontà della passata amministrazione
comunale guidata dal nostro
attuale capogruppo, Davide
Gravina, si era inteso dar vita ad un progetto di ampio
respiro internazionale che ci
portò a conoscere proprio
Tony Silipo e ad instaurare,
con lui - proclamato amico
della città di Fuscaldo e ricevuto ufficialmente in Municipio - un solido legame ed
una sinergica collaborazione che si concretizzò con la
visita e la permanenza, a Fuscaldo, di una folta delegazione di studenti provenienti dal Canada. Questo ambizioso progetto di scambio
L’ha nominata il Presidente della Repubblica. S’insedierà a breve
Maria Chiellino, Vito Laino
e Domenico Giordano sono i
componenti della Commissione straordinaria di liquidazione, del comune di Fuscaldo,
per l’amministrazione della fase di dissesto finanziario che,
lo ricordiamo, è stato votato,
nello scorso mese di novembre, dal consiglio comunale
per volontà della maggioranza consiliare e con i voti contrari delle minoranza. La nomina, per come viene sottolineato in una comunicazione
della Prefettura di Cosenza, è
giunta direttamente dalla Presidenza della Repubblica, at-
traverso il decreto firmato dal
Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. A renderlo noto è la
stessa amministrazione comunale di Fuscaldo ed il sindaco
Gianfranco Ramundo, il quale, nella giornata di ieri, ha
provveduto ad inoltrare la comunicazione di nomina dei
Commissari ai capigruppo
GRISOLIA
atto tutte le iniziative possibili per realizzare quanto ancora stiamo aspettando: una
maggiore partecipazione alla vita sociale e una maggiore collaborazione tra gli enti pubblici e le famiglie. Il
comitato raccoglie e fa proprio l'invito che giustamente il Presidente della Repubblica, lo scorso dicembre ha
rivolto a tutti: “vigilare affinchè la crisi economica non
riduca i diritti delle persone
con disabilità,delle strutture
e delle famiglie che li assistono». Il comitato “Mamme
Indipensabili”, con sede a
Fuscaldo continuerà ad attuare le finalità che si è proposto: sensibilizzare, coinvolgere e mobilitare l'opinione pubblica su queste tematiche fondamentali: il rispetto e lo sviluppo dei disabili.
Sul problema si attende, la
risposta del capo dello Stato.
m. f. s.
culturale (unitamente all’ottima intuizione del Borgo
della Sapienza), che vide la
comunità fuscaldese al centro e protagonista di percorsi internazionali sino allo
scorso anno, fu altresì merito della volontà, da parte
dell’amico di Tony e della
sua energica consorte, Anna
Maria Miraglia, di stringere
forti relazioni con la loro terra d’origine: la Calabria. Il
nostro ricordo per Tony Silipo, pertanto, è ricco di affetto e di eterna stima. Di lui
rammenteremo il fatto di
non aver mai rinnegato le
proprie origini calabresi e, in
particolare, l’orgoglio di sentirsi figlio di questa terra. Ci
stringiamo attorno alla sua
famiglia, alla moglie Anna
Maria ed a tutti coloro i quali hanno avuto la fortuna di
conoscerlo».
Giovanni Folino
Dissesto, c’è la commissione
FUSCALDO
Stella Marcone
Davide Gravina
Parco nazionale del Pollino
Sequestrati 18 cinghiali
Sequestri cautelativi sanitari nel Parco na- le stanno effettuando all’interno della area
zionale del Pollino e multe ai trasgressori per protetta calabro-lucana. I 18 cinghiali sono
20mila euro. Nei giorni scorsi gli uomini del stati rinvenuti in due distinte aziende, in una
comando stazione della Guardia forestale di 11 ed in un'altra sette, tutti privi degli obbliGrisolia hanno effettuato
gatori marchi auricolari.
due sequestri cautelativi
dai controlli è risultato
sanitari di 18 cinghiali
che gli animali erano non
privi di profilassi. Contierano stati sottoposti ai
nuano i controlli del Corprevisti piani di profilaspo forestale dello Stato alsi veterinaria. Le guardie
l’interno del parco Nazioforestali, pertanto, hanno
nale del Pollino. Nei giorprovveduto al sequestro
ni scorsi gli uomini del
cautelativo degli animali.
Comando Stazione di
I 18 cinghiali verranno
Grisolia hanno effettuato
ora identificati e sottopodue sequestri cautelativi
sti a prove diagnostiche
Gli
animali
nel
recinto
sanitari di 18 cinghiali.
da parte del servizio veteGli animali interessati a
rinario competente per
tale controllo sono stati rinvenuti in località territorio, mentre ai proprietari responsabili
“Mezzane” del comune di Grisolia in zona “1” le violazioni descritte sono stati elevati verbadel parco Nazionale del Pollino a seguito di li amministrativi per 20mila euro.
accurati controlli che gli uomini della ForestaMaria Fiorella Squillaro
consiliari Nicola Cosentino (La
Nostra Fuscaldo), Davide Gravina (Fuscaldo europea) e Giacomo Middea (Uniti per Fuscaldo). Nel decreto firmato
dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano si legge: «Considerato che il comune di Fuscaldo ha adottato la
deliberazione di dissesto e che,
pertanto, è necessario procedere alla nomina di una Commissione straordinario di liquidazione per l’amministrazione della gestione e dell’indebitamento pregresso e l’adozione di tutti i provvedimenti
per l’estinzione dei debiti e vista la proposta del Ministero
dell’Interno, si decreta la nomina del dott. Domenico Giordano (dirigente di seconda fascia), della dott.ssa Maria
Chiellino (funzionario economico e finanziario) e del dott.
Vito Laino (funzionario economico e finanziario) quali componenti della Commissione
straordinaria di liquidazione,
la gestione e dell’indebitamento pregresso, nonché per l’adozione di tutti i provvedimenti
per l’estinzione dei debiti dell’ente». La Commissione straordinaria di liquidazione, opera in posizione di autonomia e
totale indipendenza dalle
strutture dell’ente; è legittimata a sostituirsi agli organi istituzionali nell’attività propria
della liquidazione e, soprattutto, può auto-organizzarsi.
g. f.
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