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La prima colazione sostenibile. Moda o realtà?

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La prima colazione sostenibile. Moda o realtà?
Documento 2014
“La prima colazione sostenibile.
Moda o realtà?”
Le sue declinazioni ambientali, culturali,
nutrizionali e socio-economiche
Indice
Introduzione .....................................................................................................................
3
Giuseppe Rotilio e Gian Vincenzo Zuccotti, Comitato di Presidenza del Breakfast Club Italia
Abitudini alimentari dei bambini e multiculturalità: i dati del sistema di
sorveglianza OKkio alla SALUTE .................................................................................
5
Paola Nardone, Marta Buoncristiano, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e
Promozione della Salute (CNEPS) - Istituto Superiore di Sanità (ISS), Giovanni Baglio, Società
Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM)
Una prospettiva critica sull’importanza di compiere scelte alimentari
corrette, per sé e per l’ambiente, a cominciare dalla prima colazione ..........
13
Lucrezia Lamastra, Facoltà di Agraria - Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza
La Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) e la comunicazione della
Sostenibilità alimentare ai consumatori: vizi e virtù.............................................
19
Ariela Mortara, Libera Università di Lingue e Comunicazione di Milano (IULM)
Quando le necessità di salute si confondono con le mode alimentari: il caso
della celiachia e le ricadute negative per chi è davvero costretto ad una
dieta senza glutine .........................................................................................................
28
Lucia Fransos, Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione (ANSiSA) e
Associazione Italiana Celiachia (AIC) Piemonte Valle d’Aosta
Il contributo della Ristorazione Collettiva e del Dietista alla Sostenibilità.
Il ruolo della prima colazione a scuola ....................................................................
Giovanna Cecchetto, Associazione Nazionale dei Dietisti (ANDID)
36
L’impatto ambientale della prima colazione ...........................................................
44
Agostino Macrì, Unione Nazionale Consumatori (UNC)
La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica per migliorare le scelte
di prima colazione, dal punto di vista della qualità nutrizionale e dell’ecocompatibilità degli alimenti .........................................................................................
52
M. Ambrogina Pagani, M. Cristina Casiraghi, Federica Manini, Miriam Zanoletti - Università degli
Studi di Milano
Sostenibilità del packaging degli alimenti per la prima colazione. L’esempio
concreto del succo d’arancia ......................................................................................
61
Marco Sachet, Istituto Italiano Imballaggio
Come la crisi economica e le esigenze di risparmio influiscono negativamente
sulle abitudini alimentari. Alcune soluzioni messe in pratica dai consumatori ..
66
Tina Napoli, Cittadinanzattiva
Conclusioni .......................................................................................................................
72
Comitato di Presidenza BCI e tutti i Soci autori
Bibliografia .......................................................................................................................
75
Introduzione
Perché il BCI ha scelto di parlare di Sostenibilità, tra evidenze scientifiche e falsi miti
Prof. Giuseppe Rotilio e Prof. Gian Vincenzo Zuccotti, Comitato di Presidenza BCI
Quello che vi presentiamo è il III Documento del Breakfast Club Italia, che intende descrivere, con il consueto
focus sulla prima colazione, luci ed ombre della sostenibilità, un concetto ombrello sotto al quale includere qualsiasi attività e prodotto, all’insegna del “tutto sostenibile, tutto buono”. Diventato quasi un marchio, un termine
così inflazionato da aver smarrito il suo significato autentico.
Continuare a parlare di prima colazione prendendo spunto da uno dei temi più in auge è stato il frutto di un percorso di crescita del Club che lo ha reso sempre più partecipe del dibattito tra gli stakeholder, un attore sempre
più consapevole e impegnato per il benessere collettivo e la qualità della vita.
Abbiamo scelto di parlare di sostenibilità a 360 gradi - ambientale, sociale, economica, culturale, etc. - per
comprendere come un nuovo (o antico?) modo di fare la prima colazione possa contribuire davvero a garantire
un utilizzo equo delle risorse del Pianeta.
La sostenibilità è un concetto che riguarda il presente e la nostra capacità (e impegno) di non privare le future
generazioni della loro legittima eredità di un pianeta sano e di una società vivibile. Come si può contribuire oggi
a raggiungere la sostenibilità, a partire dalla prima colazione?
Anche quest’edizione del Documento non manca di offrire ai lettori un’ampia varietà di contributi e di prospettive d’analisi.
Parliamo di multiculturalità, grazie a Paola Nardone, Marta Buoncristiano e Giovanni Baglio che, a partire dai più
recenti dati di OKkio alla Salute, hanno fotografato le abitudini alimentari del mattino dei bambini di madri di
varie nazionalità che frequentano la terza classe della Scuola primaria italiana.
Lucrezia Lamastra ci introduce alle basi teoriche della sostenibilità e a quali sono i criteri per misurarla. Ha
descritto alcuni esempi di prima colazione e, per ciascuna, ne ha misurato l’impatto sull’ambiente, con alcune
rivelazioni: in certi casi il comportamento apparentemente più sostenibile in realtà non lo è. Ad esempio, non
è detto che andare con la nostra auto in fattoria per comprare un litro di latte sia un’attività a meno emissioni
rispetto ad acquistare lo stesso latte al supermercato arrivato lì con il tir, che è vero che consuma di più, ma con
un solo viaggio porta un carico di centinaia di litri!
La sostenibilità è divenuta anche un vessillo del quale le aziende si fregiano alle volte con i consumatori, una
strategia di comunicazione. Ariela Mortara ci racconta storie virtuose e meno della Comunicazione dei prodotti
sostenibili o sedicenti tali (greenwashing), con un focus anche su come le aziende considerano la comunicazione della sostenibilità un’attività di educazione del consumatore che fa parte delle proprie strategie di RSI.
3
E quando sostenibilità vuol dire salute? Lucia Fransos ci parla di come il diffondersi della moda alimentare del
senza glutine stia rendendo insostenibile la vita quotidiana dei veri celiaci.
Giovanna Cecchetto descrive cosa i dietisti possono fare per la sostenibilità nell’ambito della ristorazione collettiva. I dietisti hanno un ruolo fondamentale nella preparazione dei menù a mensa, e seguono l’intero percorso
di realizzazione del pasto, quindi possono contribuire in diversi modi (e vedremo come) a questa causa. Le
esperienze di prima colazione nella ristorazione collettiva, specie a scuola, non sono diffuse, ma fare una prima
colazione adeguata incide proprio sulla sostenibilità del pasto successivo a mensa.
Una voce importante delle associazioni consumatori, Agostino Macrì, ci offre un compendio su cos’è e come
si misura la sostenibilità, e su come il consumatore può contribuire, anche con la prima colazione, al risparmio
delle risorse naturali.
E ancora, Ambrogina Pagani ci spiega come la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica operano per migliorare la qualità degli alimenti, inclusi quelli per la prima colazione, con una prospettiva sugli indirizzi futuri di
questa Scienza.
Il packaging, spiega Marco Sachet, è spesso considerato insostenibile ma sono tanti i pregiudizi nei confronti di
questo non prodotto: in alcuni casi un alimento non confezionato, e quindi non conservato né preservato, rischia
di essere uno spreco, e quindi un’occasione mancata per la salvaguardia dell’ambiente.
Chiude il Documento la prospettiva di Cittadinanzattiva sulla sostenibilità economica; l’associazione di cittadini
spiega come la crisi economica, in sé un fatto negativo, può innescare comportamenti virtuosi, con una serie
di iniziative per risparmiare senza rinunciare a fare una prima colazione di qualità (GAS, sharing economy, etc.).
Ah dimenticavamo, avete notato il colore scelto per la copertina del Documento di quest’anno? Anche nella
grafica il BCI diventa verde, con giudizio però.
A questo punto non ci resta altro che invitarvi a leggere il nuovo lavoro del Club, ci ritroveremo alla fine del
volume con le nostre Conclusioni!
Prof. Giuseppe Rotilio
Prof. Gian Vincenzo Zuccotti
4
Abitudini alimentari dei bambini e multiculturalità: i dati del sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE
di Paola Nardone, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNEPS) Istituto Superiore di Sanità (ISS)
Marta Buoncristiano, CNEPS-ISS
Giovanni Baglio, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM)
Parole chiave: OKkio alla SALUTE, alimentazione, prima colazione, stranieri, immigrazione in Italia
Introduzione
In Italia l’avvio del dibattito sull’immigrazione, intorno alla metà degli anni Ottanta, trovò un Paese ancora
largamente compreso nella sua storia di emigrazione. Del resto, gli oltre 3 milioni e mezzo di cittadini italiani
fuoriusciti dai confini nazionali e i quasi 60 milioni di persone di origine italiana nel mondo restituivano un
ritratto più simile a una terra di esodo che a una meta d’approdo.
Eppure i dati del censimento del 1981, per la prima volta e non senza sorpresa, mostravano chiaramente
che l’incremento demografico verificatosi nel periodo intercensuario non poteva essere attribuito a un saldo
naturale positivo, ma al fatto che le immigrazioni avevano superato in valore assoluto le emigrazioni. Era il
segno di un mutamento di scenario.
Da allora, il flusso immigratorio è cresciuto a ritmi esponenziali: nel 1990 gli stranieri regolarmente presenti
in Italia si attestavano intorno a 780 mila, mentre all’inizio del 2013 erano già saliti a 5 milioni, con un impatto sulla popolazione residente superiore al 7%1.
L’incremento della presenza straniera nel nostro Paese si è accompagnato a una forte propensione alla stabilità.
Ad attestarlo è innanzitutto il numero di soggiornanti di lungo periodo (con titolo di soggiorno a tempo indeterminato), che nel 2010 rappresentavano il 46% dei non comunitari e alla fine del 2012 erano cresciuti
al 54%, con picchi in alcune Regioni del Nord, quali il Trentino Alto Adige (66%) e il Veneto (63%). Anche le
città cambiano volto: a Milano, tanto per citare una curiosa statistica, la classifica dei cognomi più diffusi
vede tre cinesi nei primi dieci posti.
Un ulteriore elemento di stabilità si coglie nel riequilibrio del rapporto maschi/femmine e nella progressiva
“familiarizzazione” dei flussi migratori. Se nelle prime fasi, infatti, l’immigrazione si era connotata essenzialmente al maschile, oggi le donne rappresentano la metà della popolazione straniera, i loro tassi di fecondità
superano quelli delle italiane (2,1 figli per donna contro 1,3 delle italiane) e la percentuale di bambini nati da
1
Centro Studi e Ricerche IDOS, Immigrazione - Dossier Statistico 2013, IDOS, Roma, Ottobre 2013.
5
coppie straniere è passata dall’8,6% nel 2004 al 15% nel 2012.
E proprio la presenza dei bambini (e più in generale dei minori) rappresenta il tratto maggiormente caratterizzante del fenomeno. Nel complesso, fra nati in Italia e ricongiunti, gli immigrati al di sotto della maggiore età assommano a circa un quinto della popolazione straniera presente e a un decimo di tutti i minori
residenti nel Paese. Questo è probabilmente il dato più significativo a sostegno di una lettura multietnica
e multiculturale della società italiana: una società in cui le tradizioni, i sistemi di riferimento valoriali, gli
stili di vita, i costumi si intrecciano, tendono progressivamente a integrarsi, ma possono anche stridere e
finire per alimentare nel tempo quei differenziali di salute e di qualità della vita esistenti tra gruppi diversi
all’interno della popolazione generale.
Tutto ciò è tanto più vero se viene riferito alla sfera dell’alimentazione, in cui le tradizioni e gli usi attraversano
le generazioni, prima ancora che le culture, perpetuandosi in parte e in parte mutando, in un gioco sospeso
tra identità e assimilazione.
Proprio al tema delle abitudini alimentari e del confronto tra italiani e stranieri sono dedicate le pagine seguenti, a partire dai dati del sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE che da diversi anni raccoglie informazioni utili a monitorare lo stato ponderale dei bambini di diversa provenienza e gli stili di vita maggiormente
correlati all’obesità e al sovrappeso nell’infanzia.
Il sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE
OKkio alla SALUTE è un sistema di sorveglianza nazionale promosso e finanziato dal Ministero della Salute/
CCM e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che dal 2007 raccoglie informazioni su stato ponderale, abitudini alimentari, attività motoria e contesto scolastico dei bambini di 8-9 anni che frequentano la
terza classe delle scuole primarie2. La sorveglianza ha una cadenza di raccolta dati attualmente biennale e
finora ha prodotto quattro rilevazioni (2008/9, 2010, 2012 e 2014), in collaborazione con l’iniziativa Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) della Regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità3.
Le informazioni vengono raccolte tramite quattro questionari autocompilati e anonimi destinati al bambino, al
genitore, all’insegnante e al dirigente scolastico; inoltre, operatori sanitari appositamente formati effettuano le
misurazioni antropometriche dei bambini con strumenti e metodi standardizzati su tutto il territorio nazionale.
Le informazioni sulle abitudini alimentari considerate sono: la colazione, il consumo di frutta e/o verdura e il
consumo di bevande zuccherate e/o gassate.
2
Spinelli A., Lamberti A., Nardone P., Andreozzi S., Galeone D. (Ed.), Sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE: risultati 2010 (Rapporti ISTISAN
12/14), Istituto Superiore di Sanità, Roma, 2012.
3
Per approfondimenti su European Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) si rimanda al sito WHO European Childhood Obesity
Surveillance Initiative (COSI) http://www.euro.who.int/en/health-topics/disease-prevention/nutrition/activities/monitoring-and-surveillance/whoeuropean-childhood-obesity-surveillance-initiative-cosi
6
Per quanto riguarda la prima colazione, oltre a rilevare l’abitudine a farla o no, sulla base delle indicazioni
fornite dall’ex INRAN nelle Linee Guida per una Sana Alimentazione4, è stato definito l’indicatore “Colazione
adeguata” che corrisponde all’assunzione di alimenti contenenti proteine di elevata qualità biologica e carboidrati complessi o semplici. Inoltre, poiché le Linee Guida suggeriscono di assumere almeno 5 porzioni al
giorno di frutta e verdura, è stato costruito un indicatore sul consumo quotidiano di frutta e/o verdura.
Un ultimo aspetto considerato riguarda il consumo quotidiano di bibite zuccherate e/o gassate (cola, aranciata, tè, succhi di frutta), alla luce del fatto che in letteratura è stata evidenziata un’associazione tra il consumo
di bevande zuccherate e l’obesità nei bambini5.
Sono stati presi in considerazione anche gli alimenti che i bambini hanno asserito di aver assunto a colazione
il giorno della rilevazione, secondo le categorie:
• latte, anche accompagnato da cacao o orzo
• tè
• succo di frutta o spremuta
• cibi dolci, quali biscotti, brioche, cornetti, pane o fette biscottate con marmellata o nutella, merendine e torte
• cereali
• yogurt
• cibi salati, quali panini farciti, pizza, focaccia, grissini o cracker e uova.
Identificazione degli stranieri negli archivi di OKkio alla SALUTE
OKkio alla SALUTE rileva la nazionalità dei genitori ma non quella del bambino, quindi le eventuali differenze nelle abitudini alimentari dei figli sono analizzate a partire dalla nazionalità della madre, poiché
in letteratura è ormai consolidata l’idea che la madre sia il genitore che maggiormente influisce sulle
abitudini alimentari dei figli.
Le madri straniere sono state raggruppate a seconda dell’area geografica d’appartenenza6, distinguendo
inoltre tra Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) e Paesi a Forte Pressione Migratoria (PFPM). Laddove la numero-
Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), Linee Guida per una Sana Alimentazione, Revisione 2003, in http://nut.
entecra.it/649/Introduzione.html. Si ricorda che dal 2012 l’Istituto ha assunto la nuova denominazione di CRA-NUT. Per maggiori informazioni si
rimanda a http://sito.entecra.it/portale/cra_dati_istituto.php?lingua=EN&id=1004
5
James J., Kerr D., Prevention of childhood obesity by reducing soft drinks, in International Journal of Obesity, Vol. 29 (2005), S54-57.
6
L’area geografica di appartenenza del campione di OKkio alla SALUTE è stata determinata sulla base delle indicazioni fornite dall’Istituto
Nazionale di Statistica (ISTAT) in Elenco degli Stati esteri, delle aree e dei continenti al 31 dicembre 2013: http://www.istat.it/it/archivio/6747
4
7
sità dei bambini lo ha permesso, si è preferito mantenere le analisi al livello di singolo Paese piuttosto che di
intera area geografica, privilegiando il confronto tra gruppi di bambini al cui interno ci si aspetta un maggiore
livello di omogeneità e peculiarità nei comportamenti oggetto di studio.
Le abitudini alimentari dei bambini figli di donne straniere: risultati della rilevazione 2012
Il campione del 2012 ha incluso 2.622 classi della terza primaria, per un totale di 46.483 bambini e 48.668
genitori, distribuiti in tutte le Regioni italiane. Complessivamente, a conferma di quanto emerso nelle precedenti rilevazioni, persistono nei bambini abitudini alimentari favorenti l’aumento di peso: il 9% salta la prima
colazione e il 31% consuma una colazione non adeguata (ossia sbilanciata in termini di carboidrati e proteine); mentre il 22% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e/o verdura
e il 44% consuma abitualmente bevande zuccherate e/o gassate. Le cattive abitudini alimentari nei bambini
sono maggiormente diffuse nelle regioni del Sud Italia.
Sono stati coinvolti nella rilevazione 5.258 bambini figli di donne straniere, pari al 10,8% del campione. Le
madri provenienti dai PFPM europei sono di gran lunga il gruppo più rappresentato (2.561 donne, pari al
5,3%), seguono i Paesi africani7 (2,2%), i PFPM asiatici8 (1,4%) e quelli dell’America Latina (1,3%). I PSA,
naturalmente escludendo l’Italia, sono poco rappresentati nel campione (0,7%) e si tratta in larghissima
parte di Paesi dell’area europea.
Africa Settentrionale: 1,6%; Africa Centrale e Meridionale (insieme dei Paesi che secondo la classificazione Istat appartengono alle aree Africa
occidentale, Africa orientale e Africa centro meridionale): 0,6%.
8
Asia Centro Meridionale: 0,7%; Asia Orientale: 0,6%; Asia Occidentale: 0,05%.
7
8
La Figura 1 riporta la distribuzione delle madri straniere per Paese di provenienza9 e aggregazione in
aree geografiche.
Figura 1: Paesi di provenienza delle madri straniere incluse nel campione di OKkio alla SALUTE 2012
La Tabella 1 riporta i principali indicatori relativi alla prima colazione e al consumo di frutta/verdura e bevande zuccherate/gassate da parte dei bambini, per diversi Paesi o aree geografiche di provenienza.
A causa del numero esiguo di donne nel campione, sono stati esclusi dall’analisi i bambini figli di madri provenienti dall’Asia Occidentale e dai
PSA non europei e pertanto non sono rappresentati in Figura 1.
9
9
Tabella 1: Indicatori relativi alle abitudini alimentari desunti dal sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE.
Anno 2012
PFPM europei: Romania e Albania10
Rispetto ai figli di madri italiane, sono state rilevate alcune differenze nelle abitudini alimentari dei bambini
che hanno madre romena o albanese. In particolare, il 12,0% dei figli di donne romene non fa la prima
colazione, percentuale lievemente maggiore rispetto a quella dei figli di donne italiane (8,4%). Tra i bambini
con madre albanese si riscontra, invece, una quota più contenuta dei bambini che consumano una colazione
adeguata (51,8% contro 60,6% tra i figli di donne italiane).
Per quanto riguarda gli alimenti, la maggioranza dei bambini appartenente a questo gruppo assume latte,
cui associa cibi dolci (principalmente biscotti). Rispetto ai bambini con madre italiana, emerge un maggiore
consumo di cereali (Romania 22,7%; Albania 18,6%; Italia 15,3%).
Per entrambe le nazionalità si registra una quota più contenuta di consumo inadeguato di frutta e/o
Poiché all’interno del gruppo di PFPM europei ci sono due Stati fortemente rappresentati (Romania: 846 madri; Albania:766) si è preferito
circoscrivere le analisi a tali Paesi, considerandoli separatamente, piuttosto che analizzare l’intero gruppo.
10
10
verdura11; viceversa, il consumo quotidiano di bevande zuccherate e/o gassate è decisamente superiore
rispetto ai figli di donne italiane12.
PSA europei13
Le abitudini alimentari di questi bambini non sono molto distanti da quelle dei figli di donne italiane. Tuttavia, vi è una differenza statisticamente significativa nella percentuale di bambini che non fanno la prima
colazione, decisamente più contenuto in questo gruppo di bambini (4,4%). Sebbene la colazione “tipica”
sia costituita da latte accompagnato da un cibo dolce, in questo gruppo si ha il più alto consumo di cereali
(26,9%) e frutta (9,8%) al mattino. Il consumo di cibi salati, pur se marginale, è maggiore rispetto ai bambini
figli di donne italiane (circa 7% versus 3%).
PFPM africani
Per quanto riguarda i Paesi africani, le analisi delle abitudini alimentari riguardano i figli di donne marocchine, da una parte, e quelli di madri provenienti dall’insieme di tutti i Paesi dell’Africa Centrale e
Meridionale, dall’altra14.
Gli indicatori relativi alla prima colazione non mostrano differenze né tra i due gruppi né rispetto ai bambini
con madre italiana. La colazione tipica dei bambini non differisce, nel tipo di alimenti scelti, da quella dei
bambini figli di italiane, sebbene siano state rilevate alcune specificità: il più elevato consumo di tè (circa il
15% versus 7%) e di cibi salati (circa 10% versus 3%). Se si considerano, però, gli altri indicatori, le abitudini
alimentari dei bambini con madre marocchina sono fortemente peculiari sia rispetto all’Italia che alle altre
nazionalità: consumano più bevande zuccherate e/o gassate (l’81,8% delle madri marocchine dichiara che il
proprio figlio consuma almeno una bevanda al giorno) e anche frutta e/o verdura (assunzione di almeno una
porzione al giorno: 92,8%). L’elevato consumo di bevande zuccherate e/o gassate si conferma anche per i
Paesi dell’Africa Centro Meridionale (74,6%).
11
I bambini figli di madre romena o albanese che consumano meno di una porzione di frutta e/o verdura al giorno sono circa il 16%, tra i bambini
figli di italiane la quota è pari al 22,7%.
12
Le percentuali di consumo di 1 o più bevande al dì sono: Romania 57,9%; Albania 65,2%; Italia 41,2%.
13
L’82% delle donne appartenenti a questo gruppo proviene dai Paesi dell’Europa centro-settentrionale (specialmente Germania, Francia e
Regno Unito), mentre solo il 18% proviene dall’area del Mediterraneo.
14
La scelta di circoscrivere le analisi alle donne marocchine è dovuta al fatto che sono un gruppo numeroso (560) e costituiscono il 71% di
tutte le madri provenienti dall’Africa Settentrionale presenti nel campione. Viceversa, per il resto del continente africano la presenza è molto
frammentata e non consente di restringere l’area geografica di riferimento.
11
PFPM asiatici15
I dati di OKkio alla SALUTE evidenziano che l’abitudine a fare la prima colazione è più diffusa tra i figli di donne italiane rispetto a quelli provenienti dall’Asia Orientale (5,1% rispetto all’8,4%). Non si riscontrano, invece,
differenze nell’adeguatezza degli alimenti consumati; inoltre i bambini con madre proveniente dall’Asia Centro Meridionale prendono più frequentemente il tè rispetto ai figli di italiane (circa il 15% versus 7%); mentre
i bambini dell’Asia Orientale consumano colazioni salate in percentuale maggiore (circa 11% versus 3%).
Anche le madri asiatiche dichiarano livelli più alti di consumo di bevande zuccherate e/o gassate: il 60-65%
afferma che il proprio bambino assume quotidianamente almeno una bevanda. Viceversa, non emergono
differenze per il consumo di frutta e/o verdura.
PFPM dell’America latina16
Rispetto ai bambini con madre italiana, non emergono forti differenze negli indicatori relativi alla prima
colazione e al consumo di frutta e/o verdura. Viene, invece, confermata l’abitudine a un maggiore consumo
di bevande zuccherate e/o gassate (61,0%). Per quanto riguarda la tipologia di cibi consumati a colazione,
come per le altre nazionalità, si rileva un maggior consumo di cibi salati (circa 8% versus 3%).
Conclusioni
Il crescente numero di immigrati in Italia ha indirizzato la ricerca verso studi finalizzati a capire le condizioni
di vita, lo stato di salute e le abitudini alimentari degli stranieri che vivono in Italia17. Il sistema di sorveglianza
OKkio alla SALUTE, sebbene nato con altre finalità, contribuisce alla conoscenza del fenomeno nei bambini
in età scolare. In particolare, i dati 2012 hanno messo in luce alcune differenze nelle abitudini alimentari
dei bambini figli di donne straniere rispetto a quelli con madre italiana, evidenziando la maggiore presenza
di comportamenti sia salutari (consumo giornaliero di frutta e/o verdura) che non (assunzione giornaliera di
bibite zuccherate e/o gassate). Inoltre, non emergono rilevanti differenze nell’abitudine a fare la prima colazione che, per la maggior parte dei bambini è costituita da latte e cibi dolci. Si sottolinea, tuttavia, che per
tutte le nazionalità straniere considerate si registra un maggior consumo di cibi salati a colazione.
I bambini con madre asiatica sono stati suddivisi in due gruppi: Asia Centro Meridionale e Asia Orientale. Sebbene il primo gruppo sia costituito
in larga parte da donne indiane (58%) e pakistane (21%) e il secondo da cinesi (47%) e filippine (44%), l’esigua numerosità non ha consentito
di considerare singolarmente tali Paesi nelle analisi.
16
Sebbene nel campione siano presenti 627 donne provenienti dall’America Latina, la forte frammentazione non ha permesso di individuare
un’area geografica più circoscritta e omogenea cui riferire le analisi.
17
Spada R., Scardella P., Piombo L., Morrone A., Alimentazione e migrazione: i percorsi dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute della
popolazione Migrante ed il contrasto delle malattie della Povertà, Rapporto Osservasalute 2009.
15
12
Una prospettiva critica sull’importanza di compiere scelte alimentari corrette, per
sé e per l’ambiente, a cominciare dalla prima colazione
di Lucrezia Lamastra, Ricercatore della Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza
Parole chiave: cementificazione, desertificazione, indicatori di sostenibilità, carbon footprint, water
footprint, ecological footprint, spreco alimentare
Introduzione
Sostenibilità e Sviluppo sostenibile sono termini che fanno parte del linguaggio comune ormai, ma qual è il
loro significato originario? Sostenibile deriva dall’inglese sustain, e indica il tasto del pianoforte che permette al
suono di durare nel tempo; quando è usato insieme al temine Sviluppo, indica un modello di crescita nel quale i
ritmi di utilizzo delle risorse naturali consentono loro di rigenerarsi. In francese e in tedesco sostenibile è espresso con il termine durevole, che sottolinea un altro aspetto importante, ovvero la capacità di durare nel tempo1.
Rockström et al. nel 2009 hanno definito i limiti entro i quali l’Umanità dovrebbe svilupparsi senza provocare
cambiamenti ambientali irreversibili; alcuni di questi valori sarebbero già stati ampiamente superati, in particolare: l’emissione di gas a effetto serra responsabili dei cambiamenti climatici2, la perdita di biodiversità e
l’interferenza con il ciclo dell’azoto3. Le conseguenze di questi cambiamenti stanno avendo effetti devastanti
sugli ecosistemi e i loro organismi4.
L’aumento della popolazione e la progressiva espansione delle aree urbane ha mutato la destinazione d’uso
di molti territori prima utilizzati per l’agricoltura, ed ha accelerato la cd. impermeabilizzazione del suolo,
meglio conosciuta come cementificazione, principale causa di degrado del suolo in Europa5. È inoltre au-
World Commission on Environment and Development, Our Common Future, Oxford University Press, New York, 1987.
Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Summary for Policymakers, in Climate Change 2013: The Physical Science Basis.
Contribution of Working Group I to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University Press,
Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 2013.
3
Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) and the Platform for Agrobiodiversity Research, Biodiversity for Food and
Agriculture Contributing to food security and sustainability in a changing world, Rome, 2011.
4
Secondo i dati FAO, delle 8300 specie animali conosciute l’8% sono estinte e il 22% è a rischio di estinzione. Il 75% degli stock ittici è
troppo sfruttato o impoverito: solo dieci specie forniscono circa il 30% della pesca di cattura marina e dieci specie forniscono circa il 50%
della produzione dell’acquacoltura. Oltre l’80% della dieta umana proviene da vegetali, ma solo cinque cereali forniscono il 60% dell’apporto
energetico e dal 1990 abbiamo assistito alla perdita di circa il 75% della diversità genetica delle colture agricole a livello mondiale. Per
approfondimenti si rimanda a FAO and the Platform for Agrobiodiversity Research, Biodiversity for Food and Agriculture Contributing to food
security and sustainability in a changing world, Rome, 2011.
5
La cementificazione aumenta il rischio di inondazioni, contribuisce al riscaldamento globale, minaccia la biodiversità; coprendo terreni agricoli
fertili e aree naturali e/o semi-naturali, la diffusione urbana contribuisce alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto
rurale. È considerato tra i fattori di impatto maggiori sul suolo, poiché determina la perdita totale o la compromissione della sua funzionalità tale
da limitare/inibire anche il suo insostituibile ruolo nel ciclo degli elementi nutritivi: vengono perse infatti le funzioni produttive dei suoli, così come
la loro possibilità di assorbire anidride carbonica, di fornire supporto e sostentamento per la componente biotica dell’ecosistema, di garantire la
biodiversità o la fruizione sociale.
1
2
13
mentata la frammentazione degli habitat, con il rischio di compromettere i corridoi migratori per le specie
selvatiche. Ed ancora, la cementificazione ha provocato il fenomeno della desertificazione, ovvero la minor
presenza di sostanze organiche.
Questi fenomeni, insieme all’aumento esponenziale della popolazione mondiale, rende prioritario garantire
sistemi di produzione e di consumo sostenibili, e fare in modo che in ogni parte del Mondo ci sia cibo sufficiente e sicuro per tutti.
La misura della sostenibilità
Per poter misurare la sostenibilità di un prodotto, di un processo, ma anche di un individuo o di un insieme di
individui (città, nazione, umanità) è necessario usare degli indicatori6. Lo strumento per misurare la sostenibilità più utilizzato è quello dell’impronta ecologica7 (Ecological Footprint), messo a punto dall’Organizzazione non Governativa Global Footprint Network. Altri indicatori ambientali ampiamente utilizzati, per quanto
parziali, sono l’impronta carbonica8 (Carbon Footprint) e l’impronta idrica9 (Water Footprint).
Tuttavia nessuno di questi indici di sostenibilità ha prodotto un cambio di mentalità e di comportamento tra
le Istituzioni e i singoli individui. I risultati di queste misurazioni infatti non vengono presi in considerazione
nell’ambito delle scelte politiche e regolatorie. Gli obiettivi di sostenibilità dipendono anche dalla somma dei
comportamenti individuali dei 7 miliardi di persone che abitano il Pianeta. Spesso, oltre che per ragioni di
opportunità personale, la mancata messa in atto di accorgimenti di sostenibilità dipende non già dalla mancanza di volontà, ma dall’impossibilità ad agire a causa dello stato di povertà nel quale vivono milioni di persone.
Pissourios A.I., An interdisciplinary study on indicators: A comparative review of quality-of-life, macroeconomic, environmental, welfare and
sustainability indicators, in Ecological Indicators, Vol. 34 (2013), pp. 420-427.
7
Elaborata nella prima metà degli Anni ’90, e poi diffusa dal Global Footprint Network (GFN), l’impronta ecologica esprime la quantità di
terra biologicamente produttiva necessaria per fornire le risorse e assorbire i rifiuti associati a un sistema produttivo. Il WWF, in collaborazione
con GFN, aggiorna periodicamente il calcolo dell’impronta ecologica nel “Living Planet Report” (vedi http://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/
one_planet_economy/living_planet_report/). La biocapacità è la capacità degli ecosistemi di produrre materia biologica utile e di assorbire rifiuti
generati dall’uomo, usando le pratiche agricole dominanti e la tecnologia prevalente. La “materia biologica utile” è quella usata dal sistema
economico, quindi ciò che è considerato utile può variare di anno in anno; per esempio l’uso di mais per la produzione di etanolo da cellulosa
rende il mais un materiale utile, e quindi contribuisce a incrementare la biocapacità del terreno agricolo coltivato a mais.
Un deficit ecologico si verifica quando l’Impronta di una popolazione eccede la biocapacità dell’area disponibile per quella popolazione, la quale
sta o importando biocapacità attraverso il commercio, o depauperando le proprie riserve ecologiche.
8
La carbon footprint indica le emissioni di gas ad effetto serra generate direttamente e indirettamente nel processo di produzione di beni e
servizi, e li esprime in termini di quantità di anidride carbonica (CO2) equivalente. Generalmente sono applicati due diversi tipi di approccio nel
calcolo della carbon footprint: uno prevede il calcolo dell’impronta carbonica a livello aziendale, ed include nella valutazione tutti i processi
correlati, più o meno direttamente, alla produzione dei beni/servizi. Per esempio, vengono valutate le emissioni relative a tutte le missioni di
lavoro compiute dal personale aziendale; il secondo approccio è rivolto a valutare l’impronta carbonica del prodotto, e vengono considerate tutte
le emissioni prodotte nei processi necessari alla produzione del bene.
9
Per water footprint si intende l’impatto di ogni processo produttivo e/o bene di consumo sulle risorse idriche. Questo indicatore è sempre più
tenuto in considerazione sia dalle aziende che dai consumatori, avviando così un processo di consapevolezza circa il come e il dove l’acqua venga
utilizzata. Sono considerate tre diverse tipologie di acqua: verde, ovvero l’acqua piovana impiegata nella produzione agricola; blu, ovvero l’acqua
dolce prelevata da un bacino idrico che non viene reimmessa, oppure vi ritorna ma in tempi diversi; grigia, per esprimere la contaminazione dei
corpi idrici in termini di volume, e indicare il volume “immaginario” di acqua necessario per diluire la contaminazione eventualmente prodotta.
6
14
Alcune considerazioni
Misurare il livello di sostenibilità dei beni/servizi e di ogni attività dell’uomo non è facile, sia perché è un concetto tridimensionale, che include fattori ambientali, sociali, economici, sia perché non è sempre fruibile per
il consumatore, e alcuni aspetti della sostenibilità vengono comunicati in modo poco chiaro e contradditorio.
Ciò nonostante, i consumatori sono sempre più sensibili al tema della salvaguardia dell’ambiente e ciò ha
sortito la diffusione dei cd. claim ambientali, per indicare il minore o ridotto impatto ambientale di determinati
prodotti e servizi. L’obiettivo di questo genere di comunicazione dovrebbe essere quello di aiutare i consumatori e i partner della catena di fornitura ad assumere scelte consapevoli e ad agire in maniera proattiva
per la tutela dell’ambiente, invece non sono rari i casi di greenwashing, ovvero l’ingiustificata attribuzione di
virtù ambientaliste a beni/servizi non corroborate da dati scientifici o, in alcuni casi, palesemente ingannevoli.
Nella valutazione dell’impronta degli alimenti, ad esempio, bisognerebbe includere anche l’impatto della catena del freddo, del trasporto, nonché della cottura. Non è facile. La cottura dipende dai gusti individuali, sia
nei tempi che nelle modalità; non solo, anche nella fonte energetica impiegata, che può variare da abitazione
ad abitazione ed anche da località a località in funzione del fornitore e dalla fonte di energia impiegata!
Allo stesso modo, nella valutazione dell’impatto ambientale della catena del freddo, bisogna tener conto
che i prodotti congelati per essere conservati richiedono temperature molto basse, anche per periodi lunghi.
Anche il concetto di prodotto a “chilometro zero”, oggi molto diffuso, richiede qualche precisazione. Comunemente si ritiene che i prodotti dell’azienda vicina a casa abbiano un impatto ambientale inferiore in
termini di emissioni di CO2, poiché hanno percorso meno strada per raggiungere il consumatore. Se questo
è senz’altro vero, bisogna però considerare il peso delle emissioni di CO2 del trasporto nel calcolo delle
emissioni complessive.
Alcuni studi dimostrano che la fase di trasporto è poco significativa in termini di emissioni di CO2 rispetto alla
fase di produzione10. Bisogna inoltre considerare che spesso i prodotti arrivano da lontano trasportati con tir
che percorrono migliaia di chilometri e bruciando litri di combustibile - è vero! - ma fortunatamente viaggiano
pieni! È per questo che l’elevato impatto ambientale del trasporto dovrebbe essere suddiviso per il carico
effettivamente trasportato, e questo farebbe emergere che le emissioni di questo genere di trasporto non
sempre sono superiori a quelle del consumatore attento che con la sua auto si reca direttamente all’azienda
agricola per comprare un solo kg di prodotto!
Non si può comunque - e non si deve - generalizzare; le variabili sono molte, dalla distanza al mezzo impiegato (aereo/nave/tir).
Trevisan M., Il costo ambientale degli alimenti, relazione illustrata in occasione del “Green Day 2012: la sostenibilità lungo la filiera alimentare
2012”, che si è svolto il 24 Maggio 2012 presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
10
15
Anche le scelte dei consumatori hanno un peso nel determinare l’impronta ambientale degli alimenti.
Gli ingredienti e le materie prime della nostra alimentazione implicano il consumo di acqua, suolo e la produzione di emissioni di gas serra, ma al tempo stesso apportano all’organismo micro e macronutrienti diversi
non solo in quantità ma anche in qualità.
Per esempio, il calcio contenuto nei latticini è fondamentale per la formazione delle ossa, favorisce la coagulazione del sangue, partecipa alle trasmissioni nervose, aiuta il rilascio dell’insulina e degli ormoni stereoidei, e i
Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN)11 raccomandano
per gli adulti un consumo quotidiano di calcio (variabile in funzione del sesso e dell’età) superiore a 800 mg.
Assumere la corretta dose di calcio tramite il consumo di latticini ha un impatto nel complesso minore
sull’ambiente rispetto al consumo di alimenti, in sé più sostenibili, ma necessari in maggiori quantità per
eguagliare il livello di calcio dei latticini.
Uno studio effettuato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore nell’ambito della Piattaforma per i Beni Alimentari (PBA) ha comparato il Life Cycle Assessment (LCA) di menù diversi - uno a base di carne, uno vegetariano e uno vegano - utilizzando 3 macro categorie di impatto: qualità dell’aria, qualità e consumo di acqua,
qualità e consumo di suolo. L’impatto ambientale del menù di carne può essere fino a 25 volte superiore a
quello di un’alimentazione a base di formaggi e legumi.
Da notare inoltre che l’alimentazione vegana non risulta a minor impatto di quella vegetariana, poiché le
maggiori quantità di legumi necessari a compensare l’assenza di proteine di origine animale non comporta
un risparmio in termini di impatto ambientale12.
Sarebbe opportuno valutare l’impatto sull’ambiente dei diversi stili di vita, dal livello di mobilità degli individui
al loro consumo di energia, e non limitarsi a quello dei singoli alimenti.
La sostenibilità inizia dal mattino
È interessante valutare quale impatto sull’ambiente possa avere la scelta degli alimenti che generalmente
compongono la prima colazione, e anche sfatare qualche “mito” sui cibi che fanno bene non solo alla propria
salute ma anche a quella dell’ambiente.
11
Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana - Revisione
2012, Bologna 2012.
12
Nijdam D., Rood T., Westhoek H., The price of protein: Review of land use and carbon footprints from life cycle assessments of animal food
products and their substitutes, in Food Policy, Vol. 37 (2012), Fasc. 6, pp. 760-770.
16
Nella tabella sono confrontate due diverse tipologie di prima colazione: quella tradizionale e quella solitamente proposta nei regimi alimentari “a zona”. Si tratta di un’esemplificazione, utile ad illustrare differenze ed
analogie sia dal punto di vista dell’apporto calorico che da quello dell’impatto sull’ambiente.
*Le informazioni sono tratte dal sito del Water Footprint Network (www.waterfootprint.org) e dalla Doppia Piramide 2012: favorire scelte alimentari consapevoli, di
Barilla Center for Food and Nutrition, 2012.
Sostituire i cereali con prodotti di origine animale comporta un aumento dell’impatto sull’aria e sull’acqua.
È importante notare però che i prodotti di origine animale presenti nella dieta “a zona” sono consigliati per
il loro contenuto proteico, che è differente da prodotto a prodotto (per esempio il latte ha un contenuto
proteico inferiore a quello della carne). È da considerare inoltre che le proteine di origine vegetale sono più
difficilmente assimilabili di quelle di origine animale. A questo proposito un’interessante articolo apparso
sulla rivista scientifica Food Policy nel 2012 riporta il diverso impatto in termini di impronta carbonica per kg
di proteine prodotte corrispondente a diversi alimenti, mettendo in luce i seguenti punti13:
1.la carne bovina ha il maggior impatto ambientale, sia in termini di emissioni di gas a effetto serra sia
di uso del suolo. Tuttavia l’allevamento intensivo del bestiame permetterebbe una riduzione dell’impatto ambientale poiché massimizza l’efficienza nella produzione (la produzione intensiva comporta
1/3 delle emissioni per kg di proteine rispetto alla produzione estensiva)
2.i prodotti avicoli e i prodotti vegetali hanno impatti decisamente più bassi della carne bovina (fino a 7
volte meno), ma simili a quelli dei prodotti di origine animale quali uova/latte
Nijdam D. et al, The price of protein: Review of land use and carbon footprints from life cycle assessments of animal food products and their
substitutes, in Food Policy, 2012, Vol. 37, Fasc. 6, pp. 760-770.
13
17
3.la sostituzione della carne con derivati di origine animale (uova/latte) abbassa l’impatto sull’ambiente in termini di emissioni di gas serra da 3 a 20 volte, mentre eliminare completamente i prodotti di
origine animale (ed usare alimenti completamente vegetali) comporta una riduzione ulteriore abbastanza limitata (da 6 a 60 volte rispetto alla carne bovina).
Al di là del regime alimentare prescelto, e quindi dei nutrienti che si assumono, è importante considerare che
coloro che intendono ridurre il proprio impatto ambientale anche tramite lo stile di vita e le scelte quotidiane,
devono prestare attenzione ad altri comportamenti responsabili, quali la riduzione dello spreco alimentare.
Secondo la FAO, infatti, 1/3 della produzione agricola mondiale viene sprecata e lo spreco è quasi egualmente distribuito tra la fase della produzione agricola e quella successiva alla raccolta (food-losses) e alla
lavorazione, distribuzione e consumo degli alimenti (food-waste). Si tratta di una quantità enorme di cibo,
che corrisponde complessivamente ad un’area coltivata di 1,4 miliardi di ettari. Inoltre le emissioni di gas
a effetto serra per produrre la quantità di cibo sprecato ogni anno sono pari a 2GT (tonnellate lorde) di CO2
equivalente. Solo Cina e Stati Uniti riescono ad emettere maggiori quantità di CO2! L’acqua consumata per
coltivare prodotti che diverranno rifiuti corrisponde a 250 km3 di acque blu, molto più di quanto impiega
annualmente l’India in agricoltura.
Un atteggiamento di rispetto per l’ambiente quindi non si basa esclusivamente sulla scelta degli ingredienti ma
deve prestare attenzione alla riduzione degli sprechi, responsabili di impatti ambientali altrettanto importanti.
Punti principali
• La sostenibilità ambientale può essere perseguita sia con l’adozione di politiche ad hoc da parte delle
Istituzioni di Governo a tutti i livelli, sia tramite i comportamenti quotidiani di tutti gli individui
• Il calcolo dell’impatto ambientale degli alimenti dovrebbe includere l’impronta della filiera alimentare
dopo la produzione, dal trasporto alla distribuzione e al consumo
• Intorno alla sostenibilità sono stati creati alcuni miti, quali il minor impatto in valore assoluto dei prodotti
a Km zero.
Proposte
• Gli sprechi alimentari incidono molto sulla sostenibilità. Perché non introdurre un meccanismo che valuti
l’impatto delle quantità di cibo gettato?
• La sostenibilità dovrebbe essere calcolata non soltanto per beni e sevizi, ma anche per gli stili di vita e
le abitudini quotidiane
• Le Istituzioni, il mondo scientifico e gli altri influenti dovrebbero aumentare il livello di informazione sulla
sostenibilità, anche per sfatare alcune credenze non sempre veritiere su questi temi.
18
La Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) e la comunicazione della Sostenibilità
alimentare ai consumatori: vizi e virtù
di Ariela Mortara, Ricercatore confermato in Sociologia dei consumi della Libera Università di Lingue e Comunicazione di Milano (IULM)
Parole chiave: comunicazione, sostenibilità, Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), greenwashing,
spreco alimentare
Introduzione
Negli ultimi decenni la sostenibilità è stata al centro del dibattito tra le Istituzioni e la società civile; le pratiche sostenibili stanno coinvolgendo un numero maggiore di soggetti, anche sulla scia della rilevanza che il
tema suscita nel sistema mediatico. Accogliendo la definizione della Commissione Brundtland1, “lo sviluppo
sostenibile si configura come quello sviluppo che soddisfa le necessità del presente senza esaurire le risorse
che serviranno alle generazioni future e quindi preservando l’ecosistema che consente il perdurare della vita
sulla Terra”.
Il tema dello sviluppo sostenibile è articolato in tre macro aree2:
• l’integrità ambientale, nel senso della preservazione degli ecosistemi, l’abbassamento dei livelli di
emissioni inquinanti, la conservazione delle risorse naturali, etc.
• l’efficienza economica, che nasce dalla consapevolezza che non è realizzabile la crescita continua, ed
è quindi necessario promuovere l’utilizzo di risorse rinnovabili, reperibili a livello locale, con un sistema
di distribuzione e di scambio basati su criteri di equità e solidarietà
• l’equità sociale, nella quale esercitano un ruolo di rilievo i modelli di consumo e il senso di responsabilità comune e condiviso.
Sul fronte della sostenibilità si può e si deve intervenire su piani diversificati:
• politico-istituzionale, a partire dall’adozione del Protocollo di Kyoto
• imprenditoriale, poiché la RSI3 è percepita ad oggi quale un’istanza imprescindibile
• individuale, ovvero i comportamenti dei consumatori orientati spesso al sottoconsumo4 o alla decrescita5.
Questo Capitolo offre una prospettiva sul tema della sostenibilità dal punto di vista delle imprese che, nell’ot-
1
World Commission on Environment and Development, Our common future, 1987, in http://conspect.nl/pdf/Our_Common_Future-Brundtland_
Report_1987.pdf
2
Angelini A., Sostenibilità. Lo stato dell’arte e gli ambiti di ricerca, in Russo V. (a cura di), Alimentazione, sostenibilità e multiculturalità. Azioni,
riflessioni e temi di ricerca, Arcipelago Edizioni, Milano 2009, pp. 299-307.
3
Molteni M., Responsabilità sociale e performance d’impresa. Per una sintesi socio-competitiva, Vita e Pensiero, Milano 2004.
4
Black I. R., Cherrier H., Anti-consumption as part of living a sustainable lifestyle: Daily practices, contextual motivations and subjective values,
in Journal of Consumer Behaviour, Vol. 9 (2010), pp. 437-453.
5
Mortara A., La decrescita per vivere in maniera sostenibile: le pratiche dei consumatori, in Studi di Sociologia, Vol. 3-4 (2013), pp. 345-354.
19
tica di “soddisfare in misura sempre crescente, al di là degli obblighi di legge, le legittime attese sociali e
ambientali, oltre che economiche, dei vari portatori di interesse (o stakeholder) interni ed esterni”6, sono
sempre più orientate ad assumersi responsabilità che vanno oltre quella tradizionale della generazione del
profitto7. Un’impresa socialmente responsabile tiene quindi in considerazione non solo le istanze dei suoi
azionisti, ma anche quelle dei rappresentanti istituzionali e della società civile, e si impegna inoltre a considerare gli eventuali problemi ambientali causati dai propri processi produttivi e dai prodotti, nella prospettiva
di perseguire uno sviluppo sostenibile.
La RSI in Italia
Le sempre più numerose imprese che nel Mondo Occidentale sono impegnate in attività di impegno responsabile perseguono questi obiettivi a titolo volontario e in maniera discrezionale, poiché si tratta di un impegno
non stabilito da alcuna norma imperativa.
In questo senso è utile fare riferimento alla nota piramide di Carroll8 che descrive i quattro livelli di responsabilità dell’impresa:
• economica - be profitable
• legale - obey the law
• etica - operate ethically
• filantropica - be a good corporate citizen.
Se i primi tre livelli sono in parte attesi dal contesto sociale, l’ultimo è discrezionale ma sempre più apprezzato e rappresenta la soglia oltre la quale l’impresa si trasforma da attore economico in attore politico9.
Dall’analisi della letteratura10 emerge che le imprese realizzano iniziative di RSI (o CSR se si utilizza l’acronimo inglese Corporate Social Responsibility) per rispondere alla domanda crescente di sostenibilità da parte
degli stakeholder (stakeholder driven CSR), o perché queste pratiche sono ormai parti integranti della strategia d’impresa (performance driven CSR); ancora, le attività di RSI possono muovere da fattori intrinseci, di
tipo etico, o estrinseci, quale la volontà di utilizzarle per fidelizzare i propri clienti (motivation driven CSR) 11.
Molteni M., Op. cit., p. 4.
Friedman M., Capitalism and freedom (Edition 2009), University of Chicago press, Chicago 1962.
8
Carroll A.B., The pyramid of corporate social responsibility: toward the moral management of organizational stakeholders, in Business Horizons,
Vol. 34 (1991), n. 4, pp. 39-48.
9
Gallinaro S., Dalla Corporate Social Responsibility alla Corporate Political Accountability, in Impresa Progetto-Electronic Journal of Management,
Vol. 2 (2012), pp. 2-23.
10
Basu K., Palazzo G., Corporate social responsibility: A process model of sensemaking, in Academy of management review, Vol. 33 (2008),
Fasc.1, pp. 122-136.
11
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a Campbell J. L., Why would corporations behave in socially responsible ways? An institutional
theory of corporate social responsibility, in Academy of management Review, Vol. 32 (2007), Fasc. 3, pp. 946-967.
6
7
20
In ogni caso la loro realizzazione dipende sia da fattori economico-organizzativi (se l’impresa è in difficoltà
sarà meno propensa a investire risorse in RSI), che da fattori istituzionali (norme vigenti, controllo da parte
di soggetti terzi).
Secondo il VI Rapporto sull’Impegno sociale delle aziende in Italia12, nel 2013 il 73% delle imprese italiane
con più di 80 dipendenti ha posto in essere una strategia di RSI (nel 2011, anno della rilevazione precedente, la percentuale era del 64%). La crisi economica ha ridotto nel 2013 le risorse investite in RSI del 25%
rispetto al 2011, ma le previsioni per il 2014 sono in crescita.
Nel 2013 sono stati spesi 920 milioni di euro, soprattutto dalle imprese del settore finanziario, del commercio, farmaceutico, manifatturiero e tecnologico/informatico.
La crisi, secondo il 40% delle imprese interpellate, ha contribuito a focalizzare l’attenzione verso la RSI, che
viene vista sempre più in una prospettiva di strategia aziendale13.
Rispetto agli anni precedenti, si è verificato un cambiamento nelle strategie di RSI: prima si prediligevano
le donazioni, mentre a partire dal 2013 le aziende hanno orientato le proprie attività di RSI soprattutto alla
sostenibilità ambientale (il 65%14 ha investito nel risparmio energetico e nella riduzione degli sprechi e il 53%
nel contenimento dell’inquinamento e nello smaltimento dei rifiuti).
Grande attenzione è stata data anche al benessere dei dipendenti (55%), mentre alla solidarietà e al sostegno umanitario le imprese hanno destinato il 38% delle risorse investite in RSI.
È inoltre emerso un forte interesse per iniziative a favore dello sviluppo del territorio locale (42%). Le imprese
investirebbero in attività socialmente responsabili anzitutto per migliorare l’immagine dell’azienda (47%) e
attirare nuovi clienti (27%); ancora, il 27% del campione ha dichiarato che l’obiettivo della propria strategia
di RSI è migliorare il clima interno, mentre il 23% intende contribuire allo sviluppo sostenibile, tramite la
riduzione dell’impatto ambientale, la promozione del riciclo, etc. e come forma di responsabilità per le generazioni future (21%).
Il 17% vorrebbe migliorare i rapporti con le comunità locali.
Il 22% ha affermato che il rapporto con le Istituzioni è migliorato; il 21% ha verificato un aumento della notorietà dell’azienda e il 15% ha riscontrato un aumento delle vendite e della fidelizzazione dei clienti.
Osservatorio Socialis, VI Rapporto sull’Impegno sociale delle aziende in Italia, 2014, reperibile al seguente indirizzo http://www.osservatoriosocialis.
it/2014/07/01/litalia-volta-pagina-con-la-csr-aziende-e-dipendenti-insieme-per-lambiente/
13
McWilliams A., Siegel D. S., Wright P. M., Corporate Social Responsibility: Strategic Implications, in Journal of Management Studies, Vol. 43
(2006), pp. 1-18.
14
Il campione è rappresentato dalle 292 imprese che hanno investito in RSI (risposte multiple).
12
21
Secondo il 75% del campione15, per diffondere la RSI le Istituzioni dovrebbero adottare norme premianti,
quali sgravi fiscali, riconoscimenti, certificazioni, etc.; per il 40% nelle Università dovrebbero aumentare i
corsi per formare futuri manager più etici; per il 34% dovrebbe essere coniato un marchio di Responsabilità
Sociale per le aziende.
Anche i consumatori e l’opinione pubblica concorrerebbero alla diffusione dei comportamenti socialmente
responsabili delle imprese, così come il Terzo settore, i Comuni, le Istituzioni dell’Unione Europea, le Regioni,
le Università e, fanalino di coda, le Istituzioni nazionali.
I consumatori italiani e la Sostenibilità
Da tempo le ricerche effettuate tra la popolazione italiana hanno rilevato un atteggiamento favorevole verso
la sostenibilità. Dai dati della 2a edizione dell’Indagine sui comportamenti eco-sostenibili degli italiani16,
emerge che secondo l’84,9% degli intervistati è necessario puntare sulla green economy per favorire la
ripresa economica e il 59% sostiene che sia indispensabile contribuire alla tutela dell’ambiente. Il 66,4% è
disposto a spendere di più per avere un prodotto eco-sostenibile (era il 58,6% nella rilevazione precedente),
il 16,6% sostiene di non poterlo fare per ragioni economiche, mentre il restante 17% degli italiani dichiara
di non essere interessato all’acquisto di prodotti sostenibili.
Nel settore alimentare, il 79,8% del campione ritiene molto/abbastanza importante che un prodotto sia ecologico e/o biologico, mentre per i beni durevoli, quali elettrodomestici e automobili, il 90,3% è più interessato
al basso consumo energetico. Nel 39% dei casi le scelte d’acquisto di prodotti sostenibili sono motivate dalla
volontà di proteggere l’ambiente, nel 32,6% dei casi da preoccupazioni salutiste; il risparmio economico è
l’opzione prescelta dal 28,4% del campione.
L’83,6% degli intervistati dichiara di adottare quotidianamente almeno 6 pratiche sostenibili, prima fra tutte
l’utilizzo di lampadine a basso consumo (96,7%), l’attenzione al risparmio dell’acqua (93,7%) e la raccolta
differenziata (90,7%).
Un deciso clima di sfiducia nei confronti delle imprese e delle loro attività di RSI emerge da una recente ricerca condotta da Consumers’ Forum e Ipsos su un campione di consumatori di vari Stati UE17. In particolare, i
consumatori italiani ritengono che un’azienda sia etica quando18:
Stesso campione di 292, tre risposte consentite.
Fondazione Impresa, 2° edizione dell’Indagine sui comportamenti eco-sostenibili degli italiani, 2012, in http://www.fondazioneimpresa.it/
archives/3938
17
La ricerca è stata effettuata su un campione stratificato e casuale, selezionato in base alla zona di residenza secondo quote di sesso per età, di
3.013 individui tra i 16-60 anni residenti in Italia, Germania, Polonia, Francia, Regno Unito e Spagna. In Italia sono state condotte 1001 interviste.
Consumer’s Forum, Osservatorio sugli stili e sulle tendenze di consumo. Il consumerismo in Italia e in Europa. Il punto di vista dei cittadini, 2013
reperibile al seguente indirizzo http://www.consumersforum.it/ricerche.html
18
Domanda con risposte multiple.
15
16
22
• è rispettosa dei diritti dei propri lavoratori (39%)
• garantisce la qualità dei propri prodotti (33%)
• si impegna in difesa dell’ambiente (27%)
• impone un prezzo equo ai propri prodotti (26%)
• rispetta le regole e le leggi (27%)
• è trasparente nei confronti del consumatore (25%)
• difende le categorie sociali più deboli (11%).
Tuttavia, solo il 34% degli intervistati pensa che le imprese si impegnino davvero nella sostenibilità e nella
tutela dell’interesse generale; il 18% pensa che siano rispettati gli interessi della comunità locale, e il
17% ritiene che i lavoratori siano adeguatamente tutelati (questa percentuale bassa di fiducia è probabilmente correlata al perdurare della crisi economica che ha visto aumentare il numero dei licenziamenti),
così come l’ambiente.
Un recente report19 sul tema della RSI evidenzia il gap tra orientamenti espressi e comportamenti dei consumatori. In particolare, l’indagine Global Corporate Citizenship20 mostra che a fronte di un 36% di consumatori
europei che dichiara di essere disposto a pagare un premium price per prodotti e servizi di aziende che
hanno sviluppato programmi di responsabilità sociale, solo il 27% ha effettivamente acquistato, nei sei mesi
precedenti la rilevazione, almeno un prodotto o un servizio di un’azienda impegnata socialmente.
La comunicazione della Sostenibilità
Parallelamente al crescente interesse delle imprese verso i temi della RSI, è cresciuta l’esigenza di comunicare i temi della sostenibilità e della responsabilità sociale, sia quella legata alla strategia generale dell’azienda, sia quella riferita specificatamente al prodotto.
Potrebbe risultare vantaggioso per le aziende associare la propria corporate identity alle iniziative di RSI
intraprese. Ad esempio, potrebbe aumentare la capacità distintiva del brand 21, migliorare l’equity della marca22, far ottenere un vantaggio competitivo23 e migliorare la fedeltà dei clienti24.
Ma non sono da sottovalutare anche i rischi: primo fra tutti il crescente scetticismo dei consumatori nei
19
Nielsen, Consumers Who Care And Say They’ll Reward Companies With Their Wallets, August 2013, reperibile al seguente indirizzo
http://www.nielseninsights.it/consumer/2013/09/aziende-e-consumatori-socialmente-responsabili-qual-e-il-gap-tra-il-dire-e-il-fare/
20
Ibidem.
21
McWilliams A. Siegel D., Corporate social responsibility: a theory of the firm perspective, in Academy of Management Review, Vol. 26 (2001),
Fasc. 1, pp. 117-127.
22
Hoeffler S., Keller K.L., Building brand equity through corporate societal marketing, in Journal of Public Policy & Marketing, Vol. 21 (2002),
Fasc. 1, pp. 78-89.
23
Porter M.E., Kramer M.R. The competitive advantage of corporate philanthropy, in Harvard Business Review, Vol. 80 (2002), n. 12, pp. 56-68.
24
Bhattacharya C.B., Sen S., Consumer-company identification: a framework for understanding consumers’ relationships with companies, in
Journal of Marketing, Vol. 67 (2003), Fasc. 2, pp. 76-88.
23
confronti delle motivazioni delle aziende impegnate nella RSI, ovvero il timore che si tratti solo di un’attività
di facciata che non corrisponde ad un reale impegno delle imprese (fenomeno noto come greenwashing25).
Nel settore della produzione alimentare, in particolare, comunicare la RSI può risultare complesso per le
aziende produttrici, poiché il loro impegno è spesso correlato al processo di produzione (sostenibilità degli
stabilimenti, basse emissioni) più che al prodotto26, e si tratta di concetti meno concreti e meno verificabili
in maniera diretta. Secondo G. Festi27, le aziende alimentari hanno utilizzato tre modelli per comunicare la
sostenibilità: certificativo, dell’impegno e della partecipazione.
Nel caso della certificazione si ricorre all’uso di organismi esterni che attestino l’impegno sostenibile dell’impresa (ad esempio l’ISO 14024, le etichette biologiche volontarie quali l’Ecolabel UE28 o il Blaue Engel tedesco) e, implicitamente, la qualità dei suoi prodotti.
Il modello dell’impegno, adottato soprattutto dalle aziende di maggiori dimensioni, si concretizza in attività
quali la redazione di bilanci sociali e di rapporti di sostenibilità, i quali sono spesso diffusi sui siti aziendali e/o
tramite i social media. Meno utilizzato dalle aziende alimentari è il terzo modello, quello della partecipazione,
nel quale il consumatore è coinvolto direttamente nel percorso di sostenibilità dell’azienda. Diffuso soprattutto nel mondo delle associazioni e delle ONG, questo modello presuppone una posizione quasi paritetica
tra azienda e consumatore e un identico impegno.
Sull’onda dell’entusiasmo dimostrato dai consumatori nei confronti dell’impegno sostenibile delle imprese,
negli anni sono aumentate anche le pubblicità di prodotti che hanno fatto riferimento, in modo più o meno
diretto, alle loro caratteristiche di sostenibilità, a volte con dubbi risultati.
È il caso ad esempio della campagna pubblicitaria della Ferrarelle29 “Prodotto a Impatto Zero®. Rispetta la
natura”, realizzata nel 2011 e poi sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)
con una multa da 30 mila euro perché il claim ambientale utilizzato nei messaggi pubblicitari era risultato
essere ingannevole30.
Nel caso specifico l’azienda, tramite il progetto “Impatto Zero®” per ogni bottiglia prodotta aveva azzerato la
quantità di anidride carbonica liberata nell’atmosfera perché aveva contribuito alla tutela delle foreste esistenti
Furlow N. E., Greenwashing in the new millennium, in The Journal of Applied Business and Economics, Vol. 10. (2010), n. 6, pp. 22-26.
Taverna E., Nuovi modelli per comunicare la sostenibilità, 14-04-2013, reperibile al seguente indirizzo http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_
rp/ambiente/nuovi-modelli-per-comunicare-la-sostenibilit/notizia_rp/45666/2
27
Ibidem.
28
L’Ecolabel UE (Regolamento CE n. 66/2010) è il marchio dell’Unione Europea di qualità ecologica che premia i prodotti e i servizi migliori dal
punto di vista ambientale; l’etichetta attesta che il prodotto o il servizio ha un ridotto impatto ambientale nel suo intero ciclo di vita.
29
Albè M., Ferrarelle a impatto zero? Arriva la multa dell’Antitrust, 15 marzo 2012, reperibile al seguente indirizzo http://www.greenme.it/
consumare/acqua/7191-ferrarelle-impatto-zero
30
Per maggiori informazioni sul provvedimento sanzionatorio AGCM n. 23278 PS7235 “Ferrarelle a impatto zero” si rimanda al Bollettino AGCM
n. 6/2012, in http://www.agcm.it/component/joomdoc/doc_download/3096-6-12.html
25
26
24
e al rimboschimento di alcune aree. I materiali pubblicitari e il sito risultarono ingannevoli poiché inducevano
erroneamente il consumatore a pensare che tutte le bottiglie di acqua Ferrarelle fossero ecosostenibili. In realtà,
l’azienda aveva aderito al progetto “Impatto Zero®” solo per due mesi, e l’AGCM ha considerato questo impegno insufficiente ad annullare l’impatto ambientale complessivo delle acque in bottiglia Ferrarelle che erano
pubblicizzate con quel claim ambientale.
Un’analoga sanzione è stata comminata dall’AGCM31 all’azienda Fonti di Vinadio, che imbottiglia l’acqua
Sant’Anna32. Anche in questo caso si tratta di pubblicità ingannevole perché il claim ambientale affermava che
650 milioni di nuove “BioBottle” realizzate in Pla INGEO® “permettono un risparmio di 176.800 barili di petrolio
con cui riscaldare per un mese una città di 520.000 abitanti e riducono le emissioni di CO2 pari a un’auto che
compia il giro del mondo per 30.082 volte in un anno”, ma questa cifra, ha appurato l’AGCM, corrisponde a
tutta la produzione annuale mentre nel 2010 solo lo 0,2% di bottiglie di Sant’Anna era effettivamente BioBottle.
Anche Nestlé ha intrapreso alcune iniziative di sostenibilità sui prodotti a marchio Nespresso, sia tramite il
programma AAA Sustainable Quality Program, con il quale l’azienda si è impegnata ad ottenere il certificato
Rainforest Alliance per l’80% del caffè impiegato, sia con la campagna Ecolaboration33 nella quale i consumatori hanno un ruolo attivo, poiché sono incoraggiati a riportare i contenitori usati delle cialde di caffè nei punti
vendita Nespresso per il riciclo. L’alluminio verrà quindi recuperato e il caffè residuo utilizzato come concime
per coltivare riso.
Qualche anno fa suscitò polemiche la pubblicità McDonald’s che decantava l’alta qualità degli ingredienti del
panino McItaly, quali il Parmigiano Reggiano o la Bresaola della Valtellina, senza però nulla dire sul tipo di
carne utilizzata. Per ovviare a questa e ad altre polemiche legate spesso all’apporto calorico di un McMenu,
la multinazionale del fast food, all’inizio del 201434, aveva espresso il proprio impegno a preparare hamburger
sostenibili entro due anni. Non ha chiarito che cosa intendesse per sostenibilità, ma ha genericamente asserito
che l’hamburger sostenibile consentirà di ottimizzare l’impatto del bestiame sugli ecosistemi e sui cicli degli
elementi nutritivi, avrà delle ricadute positive sulla vita dei dipendenti e delle comunità in cui opera, e avrà cura
del benessere dell’animale dalla nascita alla macellazione.
La RSI come impegno contro lo spreco alimentare
Negli ultimi anni il tema della lotta allo spreco alimentare ha assunto una rilevanza crescente e sono molte
31
Per maggiori informazioni sul provvedimento sanzionatorio AGCM n. 24046 PS6302 “Acqua Sant’Anna BioBottle” si rimanda al Bollettino
AGCM n. 46/2012 in http://www.agcm.it/bollettino-settimanale/6267-bollettino-462012.html
32
Il Fatto Alimentare, Acqua minerale Sant’Anna: la bottiglia ecologica riguarda solo lo 0,2% della produzione. Bocciata la pubblicità, 3 dicembre
2012, reperibile al seguente indirizzo http://www.ilfattoalimentare.it/antitrust-pubblicita-ingannevole-acqua-santanna.html
33
Per maggiori informazioni si rimanda a http://www.nespresso.com/ecolaboration/uk/it/article/7/1736/capsules.html
34
Bonardi B., McDonald’s promette hamburger “sostenibili” entro due anni. Ma nessuno sa cosa siano: prevalgono dubbi e scetticismo, 20
gennaio 2014, reperibile al seguente indirizzo http://www.ilfattoalimentare.it/mcdonalds-carne-sostenibile.html
25
le imprese che hanno orientato le loro attività di RSI verso questo settore. In Italia, ad esempio, numerose
aziende hanno aderito alle iniziative promosse da Last Minute Market - Trasformare lo Spreco in risorse, che
dal 2003 è attiva su tutto il territorio nazionale con progetti per il recupero dei beni invenduti (o non commercializzabili) in favore di Enti no profit35. In particolare, il 5 Febbraio 2014 la società spin-off dell’Università
di Bologna ha organizzato, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, la I Giornata nazionale di prevenzione dello Spreco Alimentare36, che ha raccolto l’adesione di diverse
aziende fra le quali Metro, Ikea e Autogrill37. L’obiettivo era sensibilizzare i consumatori italiani all’importanza
di ridurre la quantità di cibo sprecato, infatti, secondo quanto emerge dal Rapporto 2014 Waste Watcher38,
ogni anno vengono gettati nell’immondizia alimenti per un valore complessivo di 8,1 miliardi di euro, se si
tiene conto di tutti i passaggi della filiera. Inoltre, il Rapporto evidenzia come per le famiglie questo spreco si
traduca in un costo pari a 6,5 euro ogni settimana.
Sulla stessa linea e con lo stesso obiettivo di sensibilizzare alla lotta allo spreco, si collocano le iniziative delle
aziende che hanno aderito a “Un anno contro lo spreco”39, la campagna annuale di sensibilizzazione lanciata
nel 2010 da Last Minute Market contro lo spreco delle risorse naturali: l’edizione 2011 è stata dedicata allo
spreco d’acqua, quella del 2012 allo spreco di energia e nel 2013 si è intitolata “SprecoZero”, “uno stimolo
per ridurre progressivamente il consumo di risorse e le emissioni nell’ambiente legate alle proprie attività”.
Le aziende hanno intrapreso alcune iniziative per comunicare ai consumatori quali comportamenti sostenibili
consentono di risparmiare e non sprecare risorse. Ad esempio Granarolo, in occasione dell’Anno europeo contro gli sprechi alimentari, proclamato nel 2014, ha lanciato una campagna di informazione e sensibilizzazione
tramite la diffusione di brevi messaggi, riportati sulle confezioni del latte, che incoraggiano quelle pratiche
responsabili che possono ridurre gli sprechi, quali ad esempio il riporre gli alimenti in frigorifero secondo un
ordine che renda più facile individuare prima gli alimenti vicini alla scadenza, in modo tale da consumarli prima.
L’azienda ha inoltre inserito, sulle confezioni dei propri formaggi e in particolare sulla ricotta, alcune ricette anti-spreco, e sulla sua pagina Facebook ha invitato gli utenti a postare le proprie riflessioni sul tema dello spreco.
I supermercati Simply (Gruppo Auchan) hanno realizzato, in collaborazione con WWF nell’ambito del programma “One Planet Food”, la campagna “Insieme per non alimentare lo spreco”40 nell’ambito della quale
sono forniti consigli e suggerimenti su come ridurre lo spreco alimentare in famiglia: dalla pianificazione
della spesa alla lettura delle etichette, all’importanza di utilizzare le giuste porzioni. L’iniziativa include anche
Per approfondimenti su Last Minute Market si rimanda a http://www.lastminutemarket.it/chi_siamo
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a http://www.minambiente.it/comunicati/il-5-febbraio-la-prima-giornata-nazionale-di-prevenzionedello-spreco-alimentare
37
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a http://www.greenbiz.it/food/gdo/9548-giornata-nazionale-sprechi-alimentari
38
Per il testo completo si rimanda a https://www.google.it/#q=rapporto+waste+watcher+2014
39
Per approfondimenti si rimanda a https://www.google.it/#q=un+anno+contro+lo+spreco
40
Per approfondimenti si rimanda a http://www.wwf.it/news/?8340/Insieme-per-non-alimentare-lo-spreco
35
36
26
“Viveri e Vegeti”, una serie di vignette ironiche che hanno per protagonisti dieci alimenti (cipolla, maionese,
pane, yogurt, etc.) tra i più sprecati dalle famiglie italiane che, poste all’interno dei punti vendita, intendono
esortare i clienti ad avere comportamenti responsabili41.
Punti principali
• Lo sviluppo sostenibile soddisfa le necessità del presente senza esaurire le risorse che serviranno alle
generazioni future e quindi preservando l’ecosistema che consente il perdurare della vita sulla Terra
• Sono sempre più numerose le aziende che intraprendono progetti di RSI in Occidente, soprattutto per
migliorare la propria immagine; spesso è una parte rilevante della strategia di comunicazione aziendale. I
consumatori sono favorevoli alla RSI, ma molti sono scettici sulle reali motivazioni che spingono le aziende
a investire in sostenibilità
• L’impegno delle aziende nel contrasto allo spreco alimentare ha assunto negli anni una rilevanza crescente
tra le iniziative di RSI.
Proposte
• Le attività di RSI dovrebbero essere incoraggiate dalle Istituzioni, con l’adozione di meccanismi premianti, sgravi fiscali, etc.
• Allo stesso tempo, l’impegno delle aziende in RSI dovrebbe essere più controllato, tramite certificazioni o
altro, per evitare il rischio che dietro le iniziative di responsabilità non si celino casi di cd. greenwashing
• Un messaggio importante per la comunità, che le aziende potrebbero fare proprio nella loro comunicazione sociale, è quello che lo spreco costa in termini anche puramente economici. Programma che
potrebbe trovare una sponda istituzionale di rilievo.
Una delle vignette della serie “Viveri e Vegeti” è visibile on line in http://www.wwf.it/news/?8340/Insieme-per-non-alimentare-lo-spreco.
Alcune sono state selezionate e stampate su shopping bag, e il ricavato delle vendite è stato donato a WWF.
41
27
Quando le necessità di salute si confondono con le mode alimentari: il caso della
celiachia e le ricadute negative per chi è davvero costretto a una dieta senza glutine
di Lucia Fransos, Consigliere dell’Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione (ANSiSA)
e Responsabile Alimentazione Fuori Casa dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC) Piemonte Valle d’Aosta
Parole chiave: glutine, celiachia, sensibilità al glutine non celiaca - gluten sensitivity, AIC,
mode alimentari
La Celiachia e la moda del senza glutine
Malgrado da decenni gli scienziati in Nutrizione siano impegnati nell’individuare l’alimentazione più idonea
sia per gli adulti che per i soggetti in età evolutiva, si è via via profilata una dicotomia tra le evidenze della
Scienza della Nutrizione e ciò che le mode alimentari propongono ed impongono1.
Da diverso tempo l’Associazione Italiana Celiachia - AIC (www.celiachia.it) ha lanciato l’allarme sul diffondersi della moda del senza glutine, ovvero la falsa credenza che il glutine faccia male di per sé e che di
conseguenza una dieta senza glutine sia più sana e leggera se non addirittura dimagrante e indicata per
tutta la popolazione.
In un articolo pubblicato da The New York Times a Giugno 20142, è riportato che un quarto della popolazione
USA ha deciso di eliminare il glutine dalla propria alimentazione, e tra questi solo una minima parte per reali
necessità di salute.
I più lo fanno per perdere peso, per evitare l’affaticamento post-pasto e altre forme di malessere, con la
grave conseguenza di svilire la dieta senza glutine, trasformandola da terapia a moda, impattando negativamente sulla vita delle persone celiache (davvero!).
Il glutine, inteso come parte proteica delle farine di grano, deve rientrare in una dieta equilibrata dei soggetti sani
non celiaci, per i quali i cereali (frumento, riso,mais, cereali minori) costituiscono la fonte principale di carboidrati, ma anche di quantità non trascurabili di proteine. La celiachia non può essere considerata una condizione alla
moda o un comodo ombrello che serve a spiegare la comparsa di malattie funzionali e psichiche3.
L’effetto più visibile è l’ulteriore espansione del mercato dei prodotti senza glutine4: 250 milioni di euro nel
Marion Nestlé, Professore del Dipartimento di Nutrizione, Alimentazione e Salute Pubblica dell’Università di New York, ha affermato: “Come
accademico della nutrizione mi trovo ogni giorno a venire alle prese con la contraddizione tra la teoria e la pratica”, in Nestlé M., Food Politics: How
the Food Industry Influences Nutrition, and Health, Revised and Expanded, California Studies in Food and Culture, Paperback - October 15, 2007.
2
Brambilla A., Gluten-Free Dining in Italy, in The New York Times, June 26, 2014, in http://www.nytimes.com/2014/06/29/travel/gluten-freedining-in-italy.html
3
Del Forno A., Celiachia e Dieta senza glutine: intervista alla prof.ssa Ciacci, in http://nonsologlutine.it/celiachia-e-dieta-senza-glutineintervista-alla-prof-ssa-ciacci/
4
Con la dicitura “prodotti senza glutine” si intendono gli alimenti che hanno un quantitativo di glutine <20 ppm (parti per milioni).
1
28
2012 in Italia, dei quali circa 180 per la cura dei soggetti affetti da celiachia per i quali la dieta senza glutine
è l’unica terapia ad oggi conosciuta.
L’AIC, che rappresenta dal 1979 i soggetti affetti da celiachia5, intende facilitare la quotidianità del celiaco
e la gestione della sua alimentazione tramite diverse iniziative, quali il progetto “Alimentazione Fuori Casa”,
la “Spiga Barrata”, il prontuario AIC degli alimenti6.
Il dilagare della moda del senza glutine rischia di mettere in secondo piano la necessità che la celiachia sia
diagnosticata in maniera certa: la diagnosi non scientifica o peggio l’autodiagnosi della malattia e il ricorso alla
dieta senza glutine senza che sia stata accertata la patologia impedisce ai soggetti, potenziali pazienti, di sapere
se si è davvero celiaci e quindi se la dieta cui ci si è sottoposti sia indispensabile per sempre oppure no.
La mancata diagnosi della celiachia invece espone il potenziale celiaco a una dieta non corretta (che apporta
fonti non controllate di glutine o che viene interrotta periodicamente da momenti di trasgressione), che nel
lungo periodo può avere effetti anche molto gravi sulla salute. Questo a sua volta impedisce il riconoscimento
dello status di celiaco anche dal punto di vista sanitario, ed implica l’impossibilità di accedere al contributo
del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per l’acquisto degli alimenti, ai controlli periodici di follow-up e rende
anche meno semplice far emergere altri casi di celiachia tra i famigliari7. Il rischio è che la mancanza di
conoscenze adeguate porti a considerare di essere erroneamente affetti da celiachia.
L’imporsi di mode in fatto di alimentazione, dove tutto viene banalizzato e dove vale il motto “tutti malati,
nessun malato”, è dannoso e sta già sortendo effetti negativi8.
Oltre il pericolo delle mancate diagnosi, i celiaci sono esposti ai rischi causati dalla superficialità con la
quale alcuni operatori della ristorazione affrontano l’offerta di cibo senza glutine.
Alcuni ristoratori infatti credono che la dieta senza glutine sia solo una moda, e quindi non ritengono
necessario approntare tutti gli accorgimenti necessari per evitare il rischio di contaminazioni da glutine.
Per altro verso, coloro che dicono di essere celiaci ma non lo sono ed hanno volontariamente scelto di avere
5
L’AIC, presente su tutto il territorio nazionale con 20 Associazioni regionali e circa 55.000 iscritti, svolge assistenza socio-sanitaria ai celiaci
e alle loro famiglie, informa e sensibilizza l’opinione pubblica sulla celiachia e sulle sue problematiche, diffonde una corretta informazione su
questa patologia e altre correlate quali la dermatite erpetiforme, sensibilizza le Istituzioni a garantire il diritto alla normalizzazione della vita sociale
e lavorativa delle persone affette da celiachia. Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a Girardi A., Pilo C., Lottare per i diritti Il ruolo di AIC,
le leggi e i servizio offerti ai celiaci. Tutele che ancora oggi vanno difese, in Celiachia Notizie, n. 2/2014, pp. 20-22.
6
Il Prontuario AIC degli alimenti è disponibile on line alla pagina http://www.celiachia.it/dieta/dieta.aspx?SS=185 e anche tramite app
per smartphone.
7
I famigliari di primo grado dei soggetti celiaci hanno una probabilità di sviluppare la celiachia 10 volte superiore rispetto agli altri. Per questo
motivo, quando una persona viene diagnosticata celiaca, si procede a sottoporre ai test ematologici anche i famigliari più stretti. In questo modo,
possono emergere casi di diagnosi anche in pazienti che fino a quel momento non avevano ancora lamentato sintomi particolari.
8
AIC et al., Tutti malati nessun malato, in Celiachia Notizie, n. 2/2013, pp. 128-129.
29
una dieta gluten-free per seguire la moda alimentare o perché si sono auto-diagnosticati questa malattia,
possono dare informazioni scorrette al ristoratore, con il rischio che questi riceva dai clienti celiaci - veri e
presunti - informazioni contradditorie e fuorvianti.
È infatti frequente sentire al ristorante affermazioni quali “ho un basso livello di celiachia”, oppure “sono
celiaca, ma un po’ di pane posso mangiarlo”, etc.
Che cos’è la Celiachia
La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine9, sostanza proteica presente in avena10, frumento, farro,
grano khorasan, orzo, segale, spelta e triticale, che colpisce 1 individuo ogni 100 persone.
I celiaci, in Italia, potenzialmente sono quindi circa 600.000, ma ne sono stati diagnosticati ad oggi
circa 150.00011.
Nel soggetto geneticamente predisposto l’introduzione di alimenti contenenti glutine, quali pasta, pane, biscotti o anche tracce di farina ricavata da cereali vietati, determina una risposta immunitaria a livello dell’intestino, cui consegue un’infiammazione cronica con scomparsa dei villi intestinali. Le manifestazioni cliniche
della celiachia possono essere molto diverse. I sintomi intestinali sono comuni nei bambini nei primi due
anni di vita, i sintomi più frequenti sono: arresto di crescita, diarrea cronica, vomito, distensione addominale,
debolezza muscolare, anoressia e irritabilità12. Con l’aumento dell’età nella quale compaiono i sintomi della
celiachia sono stati riconosciuti sintomi di esordio extra-intestinale.
La diagnosi della celiachia è effettuata in prima battuta ricercando gli anticorpi celiaco correlati (anticorpi
anti-transglutaminasi + dosaggio IgA sieriche nell’adulto a cui, nel bambino di età inferiore ai 2-5 anni, si
aggiungono gli anticorpi anti-gliadina).
In caso di positività degli anticorpi, la diagnosi va comunque confermata con la biopsia duodenale prima di
iniziare la dieta.
La dieta senza glutine è il pilastro fondamentale ed imprescindibile del trattamento del soggetto celiaco;
se condotta in modo rigoroso e per tutta la vita è in grado di determinare la scomparsa di sintomi e stati
Shewry P.R., et al., The structure and properties of gluten: an elastic protein from wheat grain, in Philosophical Transactions of the Royal Society
B: Biological, Vol. 357 (2002), Fasc. 1418, pp. 133-42.
10
La tossicità dell’avena per i celiaci è ancora oggetto di studi e ricerche da parte della comunità scientifica. Recenti evidenze sperimentali e
trial clinici hanno concluso che l’avena è ben tollerata dalla maggior parte dei soggetti celiaci, anche se alcuni studi in vitro hanno evidenziato
una potenziale tossicità di alcune varietà. L’AIC, in base al principio di precauzione, attende una più accurata definizione delle specifiche
caratteristiche delle tipologie di avena maggiormente adatte alla dieta senza glutine, per poterne consigliare il consumo ai celiaci.
11
Marino F., I celiaci sono l’1% della popolazione, ed è boom dei cibi senza glutine, 7 Dicembre 2012, in http://www.linkiesta.it/glutine-celiachia
12
Rajindrajith S., Obesity and Functional Gastrointestinal Diseases in Children, in Journal of Neurogastroenterology and Motility, Vol. 20 (2014),
Fasc. 3, pp. 19 ss.
9
30
carenziali della malattia, di far scomparire le alterazioni istologiche intestinali e di prevenire il rischio di complicanze future tipico dei soggetti celiaci che non conducono una dieta corretta.
Diverse sono le prospettive terapeutiche alternative alla dieta oggi allo studio, ma non si prevede un’applicazione clinica sui pazienti in tempi brevi13.
Ingerire anche minime quantità di glutine o tracce provoca conseguenze negative per lo stato di salute del
celiaco, nonostante possano non presentarsi sintomi evidenti14.
L’esclusione dalla dieta di cereali quali il grano, l’orzo, la segale, il farro, etc., non deve in ogni caso prescindere dalle regole di base di un’alimentazione sana. Sono molti gli alimenti naturalmente privi di glutine, e tra
questi il riso, il mais, la carne, il pesce, la verdura, i legumi, la frutta, il latte, le uova, la soia.
Aderire alla dieta senza glutine in modo rigoroso e per tutta la vita richiede ai celiaci la modifica dello stile di
vita, l’acquisizione di conoscenze, competenze specifiche e successivi aggiornamenti.
La gluten-sensitivity: cosa si sa?
In occasione del 14th International Coeliac Disease Symposium che si è svolto ad Oslo nel Giugno 2011 è
stata presentata la nuova definizione delle varie forme di celiachia e dei termini correlati15. In particolare, la
cd. Sensibilità al Glutine non-Celiaca (Gluten Sensitivity, GS/SGNC)16, sarebbe una sindrome caratterizzata da
molteplici sintomi intestinali e/o extraintestinali correlati all’assunzione di glutine, che migliorano o scompaiono dopo l’eliminazione del glutine e che recidivano quando il glutine è reintrodotto nella dieta. È ancor oggi
una patologia poco definita, sulla cui esistenza non vi è l’accordo unanime della comunità scientifica ma è
in corso un acceso dibattito tra sostenitori della GS - soprattutto gli utenti del web e i produttori di alimenti
senza glutine - e detrattori, medici e scienziati che promuovono un approccio più prudente17.
Per la Comunità scientifica mondiale la GS è una potenziale sindrome ancora in via di dimostrazione
e di definizione.
Ad oggi sono stati condotti solo due studi clinici, che però hanno suscitato forti critiche sia per il metodo
utilizzato che per la significatività del grado di sintomatologia dei pazienti reclutati18.
Per un approfondimento sugli studi in corso, in Italia e nel Mondo, si rimanda alla lettura del Capitolo dedicato alle “Prospettive terapeutiche”
della Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia del Ministero della Salute, Roma, Dicembre 2013, pp. 17-19.
14
Young E. et al., A population study of food intolerance, in The Lancet, Vol. 343 (1994), Fasc. 8906, pp. 1609-1613.
15
Per approfondimenti, si rimanda ad esempio a Kumar V., Celiac disease: update from the 14th nternational Celiac Disease Symposium 2011,
in Expert Review of Gastroenterology & Hepatology, Vol. 5 (December 2011), Fasc. 6, pp. 685-687.
16
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a Tonutti E., Bizzarro N., Diagnosis and classification of celiac disease and gluten sensitivity,
in Autoimmunity Reviews, Volume 13 (April-May 2014), Issues 4-5, pp. 472-476.
17
Volta, U., Indagine su Sensibilità al Glutine Non Celiaca: risultati preliminari, in Celiachia Notizie, n. 1/2013, pag. 62.
18
Con questo sistema né lo sperimentatore né i soggetti coinvolti sono a conoscenza del trattamento assegnato (cioè entrambi sono in cieco, da
cui il termine “doppio cieco”) per ridurre la probabilità che ne siano influenzati. I pazienti potrebbero comportarsi in maniera diversa a seconda
del gruppo al quale appartengono e gli operatori sanitari potrebbero valutare diversamente le loro condizioni (ad esempio in senso migliorativo
se hanno molte aspettative nel trattamento sperimentale).
13
31
Sono stati recentemente pubblicati studi in base ai quali una dieta a basso contenuto di Fermentable Oligo-Di-Monosaccharides AndPolyols - FODMAPs19 sarebbe in grado di migliorare i sintomi della SGNC indipendentemente dall’introduzione degli alimenti contenenti glutine, come avviene già per l’IBS20, ma questi
risultati necessitano di trovare ulteriore conferma21.
L’AIC è impegnata “nel condurre un attento monitoraggio sociale, clinico e scientifico del fenomeno GS” e
ha costituito nel 2011 il Comitato scientifico ad hoc sulla GS (CGS); ha lanciato un appello alla cautela e a
trattare tutti i pazienti con serietà scientifica e non come potenziali consumatori di prodotti senza glutine. Ad
oggi vi sono alcuni preoccupanti segni direttamente o indirettamente correlati al messaggio “Senza glutine
per tutti”22.
Nel 2011 AIC e la Fondazione Celiachia, riuniti nel Comitato Gluten Sensitivity (CGS), hanno redatto un Documento che descrive la loro posizione ufficiale ed “intende essere uno strumento di orientamento sui temi
relativi alla sensibilità al glutine”23.
Il CGS ha promosso il primo studio multicentrico osservazionale prospettico sulla GS, da Settembre 2012
ad Ottobre 2013, con la partecipazione di circa 500 centri di diagnosi e presidi medici su tutto il territorio
nazionale. L’obiettivo era realizzare, tramite un questionario messo a punto dal CSG, un’analisi prospettica
della GS in Italia, indagando le caratteristiche epidemiologiche, cliniche e laboratoristiche.
Lo studio AIC, che ha ricevuto il consenso del Comitato Etico dell’Università degli Studi di Bologna, ha ottenuto importanti risultati preliminari già presentati in diversi congressi internazionali tra la fine del 2012 e il
2014, che hanno ricevuto apprezzamento da parte della comunità scientifica e i suoi risultati sono in corso
di pubblicazione sulla rivista scientifica BMC Medicine.
La prima colazione senza glutine
Se è vero che la vita quotidiana dei celiaci può essere resa difficoltosa dal dilagare della moda alimentare del
senza glutine, dall’altro lato bisogna evidenziare come negli anni sia maturato un elevato livello di attenzione
e consapevolezza di questa realtà.
19
I FODMAPs sono zuccheri contenuti non solo in alcuni cereali con glutine, quali il grano e la segale, ma anche nel latte e nei prodotti caseari,
nelle verdure cotte a foglia larga, nei legumi, scatenati da alimenti ricchi di zuccheri semplici a catena corta e polioli altamente fermentabili i quali
sono in grado di richiamare acqua e gas nell’intestino causando marcata distensione ed alterazioni della motilità. Per approfondimenti, si rimanda
a Canadian Digestive Health Foundation, Understanding FODMAPs, in http://cdhf.ca/bank/document_en/32-fodmaps.pdf
20
Catassi C., Sensibilità al glutine: glutine o fodmap, quali le cause?, in Journal for Health Care professionals, n. 2/2014, in http://www.drschaerinstitute.com/smartedit/documents/yourlife/dsif_02_2014_it_internet_ok.pdf
21
Volta U., New understanding of gluten sensitivity, in Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology, Vol. 9 (2012), Fasc. 5, pp. 295-299.
22
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, alla Deliberazione dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) n. 86/2013 del 29 Ottobre
2013, che ha censurato lo spot pubblicitario de “Le Bontà di Edo”, il quale diffondeva il messaggio “Lo sai che il glutine è dannoso per tutti?”.
Un estratto dell’ingiunzione IAP è disponibile in http://www.iap.it/2013/10/n-862013-del-29102013/
23
http://www.celiachia.it/public/bo/upload/aic/doc/documento%20del%20gruppo%20di%20lavoro%20aic%20sulla%20gluten%20sensitivity.pdf
32
Siti specializzati, blog e social network sono al contempo strumenti per la diffusione delle false credenze, ma
anche importanti alleati per i celiaci che vogliono essere informati e non incorrere nel pericolo di consumare
alimenti vietati, a rischio o contaminati.
Escludere in toto il glutine dalla propria alimentazione non è sempre facile: gli alimenti che contengono glutine sono numerosi, a partire da quelli che solitamente consumiamo per la prima colazione. Anzi proprio la
tradizione della prima colazione è particolarmente ricca di alimenti dove il glutine è presente.
Non è necessario tuttavia che il celiaco rinunci ad una prima colazione equilibrata: i cibi che naturalmente
non contengono glutine adatti alla prima colazione sono molti e per chi non intende rinunciare ai propri prodotti preferiti è sempre più ricca l’offerta sul mercato di alimenti riformulati gluten-free; questi prodotti sono,
in parte a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per i soggetti diagnosticati.
Vi è inoltre da aggiungere che il mondo culinario si è dimostrato molto attivo sul fronte dell’alimentazione
senza glutine ed ha creato e/o ri-creato numerose ricette per preparare cibi per la prima colazione senza
glutine: torte, frollini, crêpe a base di farina di grano saraceno, farina di mais, farina di riso, etc.
Da non escludere le proposte alternative a quella tradizionale: per la prima colazione consumare quindi
prodotti ricchi in proteine, quali, latte, yogurt e non dimentichiamo fibre e sali minerali contenuti in alimenti
naturalmente senza glutine come la frutta.
Le soluzioni non mancano neppure per i celiaci che si trovano fuori casa, o che non vogliono perdere l’abitudine di fare la prima colazione al bar. Numerose sono ormai le strutture ricettive in tutta Italia attrezzate
per offrire un’ampia scelta di alimenti senza glutine, preparati dall’industria o artigianalmente con farine ed
altri ingredienti adatti.
Vi sono anche molti bar che offrono prime colazioni senza glutine e che garantiscono l’assenza di rischi da
contaminazione nel loro punto vendita.
Certamente molto è ancora da fare ma tutte le azioni non possono prescindere da un’accurata formazione
e dall’aggiornamento dei gestori.
Anche in questo caso il web, e le app per smartphone (es. quella dell’AIC), sono la fonte di informazione più
facile e veloce per sapere dove andare quando si è fuori e si vuole consumare una colazione senza glutine,
per trascorrere le vacanze in una struttura che offre anche una colazione senza glutine o per gli appassionati
di cucina che vogliono sperimentare e cimentarsi a realizzare ricette per il pasto mattutino gluten free.
33
Punti principali
• La celiachia può avere conseguenze gravi per la salute, la Gluten Sensitivity ad oggi non è ufficialmente
riconosciuta dalla Comunità Scientifica internazionale
• Il consumo di alimenti gluten-free è frequente anche in soggetti per i quali non è dimostrata la reale necessità; questa moda rischia di essere dannosa per i celiaci, per cui la dieta senza glutine è l’unica terapia
• È dimostrato scientificamente che l’autodiagnosi, la falsa informazione e il conseguente uso indiscriminato di prodotti dietetici altera lo stato clinico dei celiaci non diagnosticati e preclude la diagnosi di
nuovi pazienti celiaci
• Il web può facilitare l’organizzazione quotidiana dell’alimentazione del celiaco: ad esempio, serve a
conoscere gli ingredienti esatti degli alimenti e capire quali sono vietati e quali no, segnala i punti della
ristorazione che offrono alimenti e/o pasti per celiaci, inclusa la prima colazione.
Proposte
• È importante proseguire la ricerca scientifica sulla Gluten Sensitivity, per comprovare l’esistenza o meno
di questa nuova patologia e scoprire marcatori diagnostici che consentano di identificare con certezza
questa condizione, la cui diagnosi al momento è solo basata su criteri di valutazione clinica e di esclusione di altra patologia (celiachia)
• Le Istituzioni competenti, con il contributo del mondo scientifico e quello delle associazioni, dovrebbero
informare sui pericoli delle mode alimentari e sulle possibili ripercussioni sulla salute di chi le segue.
Potrebbero inoltre supportare i celiaci con ulteriori facilitazioni, quali l’aumento dell’offerta di prodotti
senza glutine nella ristorazione collettiva e la maggiore distribuzione degli alimenti senza glutine anche
nei punti vendita della GDO.
34
Appendice
Quali sono gli alimenti idonei al celiaco?
• Alimenti naturalmente privi di glutine, non contengono glutine e non hanno subito alcuna lavorazione
o trasformazione. Ad esempio: riso, mais, carne, pesce, latte, uova, legumi (piselli, fagioli, ceci, soia, etc.),
verdura, frutta, utilizzati tal quali.
• Alimenti permessi perché appartenenti a categorie alimentari non a rischio di contaminazione da
glutine (es. formaggi tradizionali, oli vegetali, passata di pomodoro, tonno in scatola).
• Prodotti dietetici senza glutine (glutine <20ppm), che devono essere notificati ed autorizzati dal Ministero della Salute secondo le previsioni del Decreto Legislativo n. 111/1992. Sono versioni alternative
della versione classica dell’alimento, che in genere contiene glutine, ad esempio: mix di farine, pasta,
pane, basi per pizza, cracker, biscotti, prodotti da forno dolci e salati, etc. Li possiamo trovare nelle farmacie, ma anche nei supermercati e nei negozi specializzati. Sono erogati gratuitamente ai celiaci dal
Servizio Sanitario Nazionale, fino al limite del budget stabilito dalle Regioni.
• Prodotti del libero commercio recanti la dicitura “senza glutine”, che rientrano nell’ambito di
applicazione del Regolamento CE 41/20024, il quale ha stabilito che anche i prodotti “per tutti” possono
riportare in etichetta la dicitura “senza glutine”. Il Ministero della Salute richiede che l’azienda produttrice adegui il proprio piano di autocontrollo per garantire che il tenore residuo di glutine nei propri prodotti
dichiarati “senza glutine” non superi i 20 ppm.
• Prodotti con il marchio Spiga Barrata dell’Associazione Italiana Celiachia
Il marchio Spiga Barrata è di proprietà di AIC e viene dato in concessione d’uso alle
aziende che ne fanno richiesta e che dimostrano che il loro prodotto non contiene più
di 20 ppm di glutine. Tanti sono gli alimenti in commercio che hanno ottenuto questo
marchio, dai salumi e affettati, alle marmellate, cioccolato, piatti pronti, etc.
• Prodotti inseriti nel prontuario AIC degli alimenti che è una raccolta dei prodotti offerti sul mercato
a minor rischio di contenere glutine (es. farine, yogurt alla frutta, caramelle, budini, cioccolato, etc.). È
consultabile e scaricabile gratuitamente dal sito www.celiachia.it inclusi gli aggiornamenti e le eventuali cancellazioni.
Il Regolamento (CE) 41/2009 della Commissione Europea sulla composizione e l’etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine sarà abrogato a partire da Luglio 2016, e il settore sarà regolamentato dal nuovo Regolamento di Esecuzione (UE) n. 828/2014
della Commissione Europea del 30 luglio 2014 sulle prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla sua
presenza in misura ridotta negli alimenti, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 228/5 del 31 Luglio 2014.
24
35
Il contributo della Ristorazione Collettiva e del Dietista alla Sostenibilità. Il ruolo
della prima colazione a scuola
di Giovanna Cecchetto, past President dell’Associazione Nazionale Dietisti (ANDID)
Parole chiave: gradibilità dei pasti, scarti alimentari, bisogni nutrizionali, dietista, menù dietetici,
educazione, mense scolastiche
La ristorazione collettiva può apportare un contributo importante all’impegno verso la sostenibilità, nelle sue
diverse accezioni, poiché a seconda di come viene gestita e organizzata può concorrere alla riduzione de:
• l’impatto ambientale generato dalle materie prime alimentari e dalle fasi del confezionamento, trasporto
e distribuzione dei pasti
• la quantità di rifiuti generati, dalla fase di acquisto in poi
• il cibo residuo della consumazione.
Il contributo della ristorazione collettiva alla riduzione dell’impatto ambientale connesso alla qualità delle
materie prime utilizzate, si può realizzare ad esempio:
• utilizzando ingredienti che non contengono sostanze chimiche di sintesi, quali pesticidi e anticrittogamici,
ma provengono da coltivazioni biologiche e/o ottenute con metodologie di coltivazione a lotta integrata
• non utilizzando prodotti che contengono Organismi Geneticamente Modificati (OGM) e che siano di provenienza locale, secondo i parametri del cd. food miles (che calcolano l’impatto ambientale degli alimenti
sulla base dei chilometri da percorrere per trasportarli dal luogo di produzione a quello del consumo)1
• offrendo prodotti tradizionali e tipici, bevande a basso impatto ambientale (es. succhi d’ananas e d’arancia equo-solidali certificati)
• favorendo il maggior consumo di acqua proveniente dall’acquedotto anche tramite l’installazione nelle
sale mensa di isole di distribuzione di bevande (acqua microfiltrata naturale e/o gassata)
• offrendo alimenti freschi e/o minimamente processati e di stagione, non coltivati in serre riscaldate (nei
casi più sfavorevoli, infatti l’energia consumata per ottenere vegetali fuori stagione è anche 4 o 5 volte
superiore a quella impiegata nella loro normale stagione di crescita)
• non utilizzando, o quantomeno riducendo il consumo, di prodotti di IV Gamma2 (es. insalate pronte,
verdure per minestrone).
1
Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Proceedings of the International Scientific Symposium - BIODIVERSITY AND
SUSTAINABLE DIETS UNITED AGAINST HUNGER, FAO Headquarters - Rome, 3-5 November 2010.
2
Per approfondimenti sugli alimenti di IV gamma si rimanda al Decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF)
n. 3746 del 20 Giugno 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12 Agosto 2014.
36
Come limitare il consumo di risorse naturali in tutte le fasi della produzione dei pasti?
Dalla conservazione delle derrate, al confezionamento, trasporto e distribuzione dei pasti, gli interventi della
ristorazione collettiva per la sostenibilità sono orientati a:
• il risparmio idrico, energetico e l’utilizzo di fonti alternative
• il controllo dei reflui liquidi e gassosi
• l’abbassamento dei livelli di emissione di CO2 durante il trasporto
• la raccolta differenziata, ove consentito dal sistema di raccolta dei rifiuti
• sul territorio, e il recupero dei residui dei pasti
• la sanificazione3
• la scelta di stoviglie riutilizzabili, in alternativa ai set “usa e getta”.
La riduzione dei rifiuti nelle fasi di acquisto degli alimenti
È possibile adottare alcuni accorgimenti per ridurre la massa di imballaggio per unità di prodotto acquistato,
ad esempio:
• prediligere forniture di materie prime alimentari confezionate con la minore quantità di imballaggi
• acquistare forniture in unità d’imballo multiple e sostituire, se possibile, prodotti non prioritari nella
ristorazione, quali dessert e spuntini monoporzione “ad alta intensità di imballaggio”, con altri preferibilmente freschi (macedonia di frutta fresca, tranci di torta, etc.) che non sono confezionati
• ottimizzare la gestione dei rifiuti di imballaggio, ad esempio acquistando prodotti con imballaggio
a rendere o riutilizzabili, o parzialmente riciclati e/o facilmente riciclabili (cassette di plastica o
legno a rendere)4.
La riduzione degli scarti nella preparazione e distribuzione dei pasti
Sotto il profilo organizzativo, gli elementi che possono influenzare la percentuale di spreco sono:
• la qualità delle materie prime: la freschezza e la resa degli ingredienti sono infatti determinanti durante
la preparazione dei pasti, così come le modalità di conservazione delle derrate
• la perizia degli operatori della ristorazione (dalle fasi di disimballaggio delle derrate, alla mondatura, pulizia, cottura degli alimenti, alla distribuzione, etc.), così come la flessibilità del servizio, il coordinamento
3
Per sanificazione si intendono le operazioni di pulizia e/o di disinfezione e/o di disinfestazione, il controllo e il miglioramento del microclima su
temperatura, umidità, ventilazione o anche quelle sull’illuminazione e il rumore degli ambienti.
4
Commissione Europea, Guidelines on the preparation of food waste prevention Programmes - As part of the study on the evolution of (bio-)
waste generation/prevention and (BIO-) waste prevention indicators - A project under the Framework contract ENV.G.4/FRA/2008/0112, in
http://ec.europa.eu/environment/waste/prevention/pdf/prevention_guidelines.pdf
37
e la collaborazione tra i diversi settori, i budget disponibili. Ad esempio, è importante che gli addetti alla
preparazione siano precisi nel rispetto delle porzioni previste dalle Tabelle nutrizionali, predisposte dai
dietisti a seconda delle caratteristiche degli utenti. Allo stesso modo, la distribuzione del pasto deve
essere accurata nel senso di garantire il rispetto delle porzioni programmate.
La riduzione degli scarti dopo la consumazione
La quantità di cibo residuo della consumazione varia a seconda della soggettività (o delle scelte individuali)
degli utenti.
Il cibo ha infatti significati ed implicazioni che vanno al di là della sua funzione biologica e nutrizionale e
appartengono alla sfera sensoriale, psicologica, affettiva e culturale.
La gradibilità del pasto, fortemente individuale, ha un’incidenza fondamentale sulla quantità complessiva del
cibo consumato e avanzato nelle mense.
Può dipendere da molteplici fattori, quali:
• la palatabilità e la presentazione degli alimenti nel piatto
• i gusti e i livelli di appetito individuali
• le abitudini e le tradizioni familiari e sociali
• i differenti modelli culturali e religiosi.
Nelle strutture ospedaliere e socio-assistenziali (quali ospedali, Residenze Sanitarie Assistenziali-RSA, comunità di anziani) è necessario che il servizio di ristorazione, oltre questi elementi soggettivi, tenga conto delle
condizioni fisio-patologiche transitorie o croniche che richiedono menù dietetici speciali per le varie patologie
e per le eventuali problematiche legate alla masticazione/deglutizione, facendo attenzione ad evitare i possibili rischi di malnutrizione (con appositi menù a consistenza modificata, ad alta densità energetica, etc.)5.
Gli utenti in questi caso potranno avere livelli di appetito e percezioni sensoriali variabili, alterati e/o associati a forti difficoltà ad autoalimentarsi. In questi casi il livello degli scarti alimentari è influenzato anche dal
soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali specifici, e dal coordinamento di tutte le professionalità coinvolte
(manageriali, amministrative, medico-assistenziali e di cucina).
Nelle mense scolastiche, le preferenze alimentari degli utenti sono tradizionalmente orientate verso:
• carne e salumi, piuttosto che pesce, legumi e uova
• metodi di cottura a base di grassi cotti (fritti e arrosti), piuttosto che altri più salutari (in acqua, al vapore,
brasati, etc.)
Ministero della Salute, Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale, Roma, 2010, in http://www.salute.gov.it/
imgs/c_17_pubblicazioni_1435_allegato.pdf
5
38
• snack dolci e salati, che sono preferiti a pane, frutta e prodotti da forno a basso contenuto in grassi e zuccheri
• alimenti ricchi in proteine e carboidrati, preferiti ad alimenti ricchi in fibra e vitamine/sali minerali
(frutta e verdura)
• bibite gassate e zuccherate.
Bisogna inoltre considerare che il livello di appetito degli studenti può essere condizionato/falsato dai cibi che
sono consumati a ricreazione, spesso ad alto contenuto energetico (merendine, panini, bevande zuccherate,
etc.) e/o dalla mancata abitudine di fare la prima colazione, oppure di farla in maniera insufficiente dal punto
di vista dell’apporto energetico-nutrizionale6.
Efficaci accorgimenti per aumentare la gradibilità dei pasti, sono:
• l’attenzione alla presentazione dei piatti, a come è apparecchiata la tavola, inclusa la scelta delle stoviglie, e al comfort della sala
• la disponibilità di ricette e piatti sia della tradizione locale che di quella multietnica
• il monitoraggio sulla qualità percepita (questionari e sistemi alternativi di verifica del grado di soddisfazione e gradimento)
• l’analisi quali-quantitativa degli scarti per individuare i cibi meno graditi e modificare eventualmente il
menù, secondo il criterio di flessibilità del servizio per il miglioramento continuo della qualità
• il coinvolgimento degli utenti nell’individuare le mancate soddisfazioni del servizio e nel fornire informazioni sulle caratteristiche nutrizionali dei menù e le scelte alimentari più salutari.
Nella ristorazione scolastica, è considerato fisiologico uno scarto del 25-35% del pasto offerto7.
Una delle tendenze recenti per ridurre questa percentuale è educare gli studenti all’importanza di avere
abitudini alimentari sane, in particolare tramite:
• il coordinamento tra i programmi scolastici, le attività didattiche e la tipologia dei piatti e delle ricette
previsti dai menù
• la sensibilizzazione e il coinvolgimento degli studenti, degli insegnanti e delle famiglie nella predisposizione dei menù; fornendo loro informazioni sulle caratteristiche nutrizionali dei piatti offerti, sui requisiti
di qualità e gli obiettivi del servizio, sulle necessità di bilanciare il pasto offerto a mensa con gli altri
consumati durante l’arco della giornata8.
Ministero della Salute, Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica, Roma, 2009.
Iapello A., Indagine quali-quantitativa dello scarto alimentare nella Refezione Scolastica, con particolare riferimento agli aspetti nutrizionali, in
La rivista di Scienza dell’alimentazione, Vol. 4, Ottobre-Dicembre 2011.
8
Centro Studi “Sereno Regis di Torino Ecoistituto del Piemonte “Pasquale Cavaliere”, Linee guida per la riduzione dei rifiuti nei servizi mensa
scolastici, Torino, 2004.
6
7
39
Le esperienze in questa direzione indicano che la partecipazione e la collaborazione tra scuola, studenti,
famiglie e altri soggetti, quali ad esempio i pediatri, favoriscono l’interesse e la curiosità verso la sperimentazione di nuovi gusti e sapori, fanno emergere il valore educativo del pasto a scuola e contribuiscono ad
aumentarne il gradimento e a ridurre gli sprechi.
Ci sono però alcune difficoltà pratiche, quali la rigidità dei programmi scolastici, dei tempi dedicati alle attività
didattiche e la mancanza di strumenti verificati e condivisi per il monitoraggio e la valutazione degli scarti.
Il contributo del Dietista: inter e multi professionalità
Il Dietista nella ristorazione collettiva svolge funzioni di coordinamento nell’organizzazione e gestione del servizio; si occupa del calcolo delle tabelle dietetiche, dell’elaborazione di diete speciali e relativi menù dietetici,
dell’educazione alimentare e dell’informazione agli utenti, della formazione degli altri operatori9, collabora
alla stesura dei capitolati per l’affidamento e la gestione del servizio. La sua specifica competenza implementa la comunicazione fra i diversi professionisti, gli utenti e le Istituzioni, favorisce una gestione funzionale
della complessità e il raggiungimento degli standard qualitativi del servizio.
Negli ultimi anni i dietisti italiani, grazie al supporto dell’ANDID che ha elaborato un position paper sul ruolo
del dietista nella sostenibilità alimentare10, sono diventati sempre più consapevoli e orientati ad introdurre
criteri di sostenibilità e a porre in essere azioni virtuose in tal senso11.
Conclusioni
Il settore della ristorazione collettiva ha un ruolo importante e di responsabilità sul consumo e sul controllo
delle risorse naturali; l’elevato volume di pasti distribuiti ogni giorno comporta l’utilizzo di grandi quantità
di cibo e un’inevitabile produzione di scarti e rifiuti con inevitabili ricadute sull’impatto ambientale e lo
spreco alimentare12.
L’obiettivo che la ristorazione collettiva potrebbe porsi è la riduzione degli scarti da consumazione entro il
20%, ma occorrono strumenti organizzativi, logistici, tecnici in grado di garantire una gestione funzionale ed
efficace del servizio.
Lang T. et al., Conference on “Future food and health” Symposium I:Sustainability and food security Nutrition and sustainability: an emerging
food policy, in Proceedings of the Nutrition Society (2013), pp. 1-12.
10
ANDID, Il ruolo del Dietista nella sostenibilità alimentare, 2011.
11
Tra le iniziative di ANDID sulla sostenibilità, si ricorda ad esempio il Corso di formazione per dietisti organizzato nel 2011 in collaborazione
con la Sezione Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Firenze e la
pubblicazione de Le regole per un’alimentazione sana e sostenibile in http://www.andid.it/upload/allegato-1178.pdf
12
Peregrin, T., Sustainability in Foodservice Operations: an update, in Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics, Vol. 112 (2012), Fasc. 5,
pp. 512-515.
9
40
Alcune esperienze di prima colazione sostenibile a Scuola - per l’ambiente, la società, il
bilancio familiare
La prima colazione fornisce un contributo fondamentale alla copertura delle esigenze nutrizionali degli utenti, sia
che il servizio di ristorazione fornisca un solo pasto giornaliero (quale mense scolastiche o aziendali), sia che li
fornisca tutti (strutture residenziali per soggetti sani e/o malati), sotto diversi punti di vista:
• costituisce la prima fonte di energia per iniziare le attività della giornata
• favorisce il ritmo regolare dei segnali di fame e sazietà durante la giornata
• se ben bilanciata, contribuisce al mantenimento dei livelli di peso e dei parametri metabolici entro i
valori di normalità
• costituisce un punto chiave delle diete ad alta densità energetica per i soggetti a rischio di malnutrizione
e in fase di ri-alimentazione, perché corrisponde al momento della giornata in cui si avverte il maggior
stimolo verso il cibo.
Pertanto poiché il livello di appetito degli studenti può essere condizionato dai cibi che sono consumati a
ricreazione, spesso ad alto contenuto energetico (merendine, panini, bevande zuccherate, etc.) e/o dall’abitudine di non fare la prima colazione, oppure di farla in maniera insufficiente dal punto di vista dell’apporto
energetico-nutrizionale, il consumo di una prima colazione equilibrata può contribuire a ridurre gli sprechi a
mensa durante il pranzo.
Per i servizi di ristorazione di comunità residenziali rappresenta quindi un pasto strategico, mentre per i
servizi di ristorazione scolastica o aziendale pur non rientrando solitamente nel novero dei pasti forniti, è
connessa come già detto con i livelli di gradimento e di consumo del pasto erogato.
Al pari degli altri pasti, per rispondere ai principi della sostenibilità, dovrebbe mirare a ridurre gli scarti da
consumo incompleto, gli sprechi in fase di produzione e i rifiuti provenienti dagli imballaggi.
In questa direzione vanno privilegiate:
• la qualità e la varietà degli ingredienti, nel rispetto dei modelli culturali e tradizionali locali, in modo da
garantire apporti nutrizionali ottimali e aumentare il gradimento
• la possibilità di scelta da parte degli utenti, anche attraverso adeguati ed efficienti sistemi di prenotazione del pasto
• la scelta dei prodotti in fase di acquisto, in relazione alla tipologia di imballaggio.
Un esempio di prima colazione sana e sostenibile può essere rappresentato da:
• thè, caffè, cacao (confezioni scelte secondo i criteri più sopra indicati alla voce “rifiuti generati dalla fase
di acquisto”)
41
• spremute di frutta, frutta, cereali, pane, fette biscottate, biscotti, torte, appartenenti alla tradizione italiana (confezioni scelte secondo i criteri più sopra indicati alla voce “rifiuti generati dalla fase di acquisto”)
• latte, yogurt, miele, marmellata (confezioni scelte secondo i criteri più sopra indicati alla voce “rifiuti
generati dalla fase di acquisto”).
In considerazione delle complesse e già citate difficoltà della ristorazione scolastica a fornire anche la prima colazione (oltre al pranzo e alle merende), sulla scorta delle positive esperienze educative basate sulla
partecipazione degli utenti e delle famiglie, esistono sul territorio italiano recenti progetti sperimentali volti a
coniugare le diverse accezioni del termine sostenibilità: l’educazione alla salvaguardia dell’ambiente e alla
riduzione degli sprechi, la solidarietà sociale, il rispetto della multiculturalità.
Ne sono un esempio:
• “L’alimentazione: la prima colazione” realizzato da due Scuole primarie della Provincia di Torino, a testimonianza di come la prima colazione a scuola possa essere al contempo l’occasione per gli studenti per
apprendere i principi di una sana alimentazione e le tradizioni alimentari delle diverse culture, all’insegna del “tutti i cibi sono giusti”, e per imparare i principi nutrizionali dei diversi cibi, scoprendo quali sono
gli alimenti che “vengono da lontano” come il caffè e quelli che “vengono da vicino” come il latte, etc.
• il progetto “A scuola #iomangiogiusto”, promosso da Actionaid, che propone una collaborazione tra i
soggetti coinvolti affinchè “entro il 2015, 15mila bambini possano avere accesso ad una mensa più
giusta e almeno 40mila, insieme alle loro famiglie, possano capire l’importanza di una dieta sostenibile,
che rispetta i diritti dei lavoratori, l’ambiente e i consumatori, più trasparente per bambini e genitori”.
Punti principali
• Il concetto di sostenibilità può coniugarsi ai bisogni di salute e alle diverse esigenze nutrizionali degli
utenti in tutte le aree della ristorazione: dalla scuola agli ospedali, alle RSA, alle comunità di anziani
• Nell’ambito scolastico si stanno diffondendo progetti educativi sulla prima colazione, che coniugano gli
aspetti della sostenibilità alimentare e della sostenibilità economica e sociale
• L’apporto che il dietista può fornire nel rendere la ristorazione collettiva sostenibile è fondamentale,
poiché con le sue competenze segue tutto il ciclo produttivo (dall’acquisto delle materie prime al confezionamento e distribuzione dei pasti) coniugando gli aspetti biologici, sociali, culturali, ambientali
dell’alimentazione.
42
Proposte
• Bisognerebbe estendere su tutto il territorio i progetti educativi sulla prima colazione in ambito scolastico e famigliare, così da coniugare sostenibilità alimentare e socio-economica
• La ristorazione scolastica dovrebbe porsi l’obiettivo del contenimento degli scarti del pasto da consumazione, entro il 20-25 % del totale fornito. I dietisti hanno ruolo fondamentale nel raggiungimento di
tale obiettivo, grazie alle loro specifiche competenze.
43
L’impatto ambientale della prima colazione
di Agostino Macrì, Consulente per la Sanità pubblica veterinaria e la Sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori (UNC)
Parole chiave: CO2, fotosintesi clorofilliana, civiltà industriale, coltivazioni intensive, zoopoli, filiera
della distribuzione, Life Cycle Assessment (LCA)
Introduzione
La produzione primaria degli alimenti si basa sulla capacità degli organismi viventi di trasformare gli elementi
inorganici in anidride carbonica, acqua, nitriti e nitrati in carboidrati, lipidi e proteine.
Questo lavoro viene fatto dagli organismi autotrofi quali i vegetali e, almeno in parte, dagli animali erbivori.
I vegetali, infatti, grazie al meccanismo della fotosintesi clorofilliana, sono capaci di trasformare la CO2
nell’atmosfera e l’acqua presente nel suolo in molecole organiche semplici, che vengono elaborate fino ad
essere trasformate in carboidrati complessi (zuccheri, amidi, cellulosa).
Dalla reazione della fotosintesi clorofilliana si libera l’ossigeno che è indispensabile per la respirazione degli
animali ed anche dell’uomo, entrambi organismi eterotrofi che per sopravvivere devono nutrirsi di proteine,
carboidrati, lipidi ed oligonutrienti provenienti dalle piante e/o da altri animali1.
Dai processi digestivi e metabolici degli animali si liberano CO2 ed acqua, la prima delle quali viene dispersa
nell’atmosfera con la respirazione e messa a disposizione delle piante.
Gli animali erbivori, e i ruminanti in particolare, si trovano in una situazione intermedia: grazie al loro apparato
digerente (in particolare, il rumine) hanno la capacità di utilizzare i carboidrati complessi (cellulose e amidi)
e l’azoto inorganico, che trasformano soprattutto in proteine e lipidi i quali a loro volta contribuiscono alla
costituzione dei tessuti muscolari e del latte.
Dai processi digestivi e metabolici dei ruminanti, oltre alla CO2, vengono prodotti anche il metano e l’ossido
di azoto, gas organici non utilizzati da altri organismi viventi che si disperdono nell’aria con effetti negativi
sull’ambiente.
Un corretto equilibrio tra acqua, ossigeno ed anidride carbonica nell’ambiente è di fondamentale importanza
per il mantenimento degli ecosistemi. Da alcuni decenni questo equilibrio si è però incrinato e si ritiene che
i cambiamenti climatici in corso possano essere causati proprio dall’eccesso di CO2, dalla conseguente
riduzione dell’ossigeno e dall’impoverimento delle risorse idriche.
Gli organismi eterotrofi si procurano le sostanze necessarie per la propria sopravvivenza tramite il cibo, e dipendono quindi da fonti esterne
per accumulare molecole che non sono in grado di produrre in modo autonomo. Gli organismi autotrofi invece, ovvero gli organismi unicellulari e
le piante, possono nutrirsi autonomamente perché in grado di produrre molecole organiche ricche di energia a partire da sostanze inorganiche.
1
44
Alcune cause degli squilibri ambientali
La civiltà industriale e l’enorme sviluppo demografico hanno provocato dei radicali cambiamenti nella gestione delle risorse naturali disponibili.
Fino a circa un secolo fa il calore e l’energia venivano prodotti quasi esclusivamente dal carbon fossile e
dalla legna, altre fonti erano l’acqua e il vento che azionavano i mulini; per il trasporto e il lavoro nei campi
venivano utilizzati per lo più gli animali, i primi treni a vapore alimentati a carbone risalgono al 1800.
La scoperta dell’energia elettrica, l’introduzione dei motori a scoppio e soprattutto l’applicazione su vasta
scala del petrolio come combustibile, ha creato le precondizioni per lo sviluppo di nuovi assetti sociali. In
molti Paesi si è assistito alla meccanizzazione delle attività umane, a partire dai sistemi di trasporto; si sono
inoltre diffusi nuovi servizi per i quali prima non esisteva neanche una domanda (l’acqua corrente e l’energia elettrica domestica, la telefonia, la climatizzazione degli ambienti, etc.). Le migliori condizioni di vita,
l’aumento della popolazione mondiale e dell’età media degli individui hanno provocato un incremento della
domanda di cibo, sia a livello di quantità che di qualità degli alimenti.
Tutto ciò ha portato ad un enorme incremento del consumo di combustibili di origine fossile.
Ma la combustione imperfetta provoca il peggioramento della qualità dell’aria, poiché libera nell’atmosfera
gas potenzialmente pericolosi, quali l’anidride carbonica, l’anidride solforosa, l’ossido di azoto, l’ossido di
carbonio, ed anche particelle incombuste responsabili di fenomeni come lo smog.
Anche se negli anni la qualità dei combustibili derivati dal petrolio è notevolmente migliorata, con la conseguenza di una forte riduzione delle emissioni di gas tossici, la ricerca scientifica non è riuscita a ridurre nel
processo la quantità di CO2 liberata dalla combustione, che quindi continua inesorabilmente ad aumentare
nell’atmosfera; questo è in parte dovuto alla presenza sempre minore di organismi vegetali, che non riescono
quindi ad assorbirla.
La produzione primaria2
Anche il modo in cui gli alimenti sono prodotti è stato profondamente trasformato. Nel passato le produzioni
agricole e zootecniche primarie erano di carattere prevalentemente estensivo “misto”: nella stessa azienda
venivano coltivati cereali, frutta e verdura, e allevate diverse specie animali. Tale sistema garantiva sì un livello di tutela sufficiente degli equilibri ambientali e della biodiversità, ma, e questo è l’aspetto negativo, non
2
Per la definizione completa di “produzione primaria” si rimanda all’art. 3 del Regolamento n. 178/2002/CE “che stabilisce i principi e i requisiti
generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza
alimentare”, il quale stabilisce che rientrano in questo concetto tutte le fasi della produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti
primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e la pesca e la raccolta
di prodotti selvatici.
45
consentiva di sfruttare le potenzialità produttive dei terreni e delle stesse aziende.
È per questo motivo che si sono diffuse le tecniche di coltivazione intensiva: vaste aree agricole dedicate ad
una sola produzione (es. frumento o mais o soia o insalata o mele, etc.).
Negli allevamenti intensivi gli animali sono concentrati in spazi ristretti, e questo permette alla singola azienda
di poter allevare centinaia di migliaia di polli, migliaia di suini, centinaia di bovini, all’ingrasso o in lattazione.
Per gli animali onnivori e i monogastrici (polli e suini in particolare) sono state create delle vere e proprie
zoopoli3, dove gli animali vengono alimentati con mangimi prodotti con materie prime non coltivate in loco,
nei pressi dell’allevamento, e in gran parte - e questo almeno per quanto riguarda l’Italia - importate.
Tra gli ingredienti vi troviamo cereali e leguminose utilizzati anche per l’alimentazione umana e quindi gli
animali da allevamento competono con l’uomo per il loro approvvigionamento; vi è però da considerare che
la trasformazione di alcuni vegetali in alimenti di origine animale fornisce carni di ottimo valore nutrizionale
che sono importanti per l’alimentazione umana.
Differente è la condizione dell’allevamento dei ruminanti, in particolare quelli destinati alla produzione di latte; vacche, pecore, capre e bufale hanno bisogno di alimentarsi con foraggi, freschi o conservati. La quantità
di mangime necessaria per alimentare questi animali è molto elevata e l’importazione ha dei costi di trasporto non facilmente sostenibili4. La soluzione auspicabile sarebbe quella di utilizzare foraggi non importati e
se possibile prodotti nelle vicinanze dell’allevamento o lasciare direttamente gli animali al pascolo.
È evidente che l’impatto ambientale delle produzioni alimentari primarie differisce in modo significativo a
seconda se siano estensive o intensive, con notevoli margini di variazione all’interno di uno stesso tipo di
produzione; ad esempio, la produzione di mais richiede una quantità di acqua nettamente superiore a quella
che viene richiesta per la produzione di frumento.
Per poter ricavare spazi sufficienti per l’agricoltura e la zootecnia intensiva, intere aree geografiche sono
state deforestate, con la conseguenza che è diminuita la possibilità di captare CO2 da parte dei vegetali5.
L’industria alimentare
Nel passato la nostra alimentazione si basava prevalentemente sul consumo di cibi ottenuti dalla lavorazione
di materie prime nelle cucine domestiche o dalle aziende artigiane (panetterie, pasticcerie, norcinerie, etc.).
Parte del mondo scientifico ritiene che gli allevamenti intensivi o zoopoli siano “generatori di varie emissioni gassose” tra cui il metano, e quindi
contribuiscano all’aumento del fenomeno dell’effetto serra, delle piogge acide e in generale del riscaldamento del Pianeta. Per approfondimenti
vedi ad es. Bevilacqua P., Un sapere cooperante per il governo dell’agricoltura sostenibile, in Biotecnocrazia, Vol. 9, Fasc. 10, pp. 276-291.
4
Per approfondimenti sull’impatto ambientale degli allevamenti si veda Cannas A., Atzori A.S., Allevamento zootecnico e ambiente: impatto
ambientale e sostenibilità dell’allevamento ovicaprino, in http://www.arasardegna.com/dati/ContentManager/files/Allegati%20ultime%20
notizie%20rss/Misura%20215%20annualita%202012/MATERIALE%20ZOOTECNCI%20MISURA%20215%202013DEFINITIVO%20bis.pdf
5
Battaglini L., Sostenibilità ed etica sistemi zootecnici, Relazione presentata a Torino, mercoledì 3 dicembre 2008 presso l’Università degli
Studi di Torino, Facoltà di Medicina e Chirurgia, nell’ambito delle Celebrazioni Ufficiali Italiane per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2008.
3
46
Oggi questa situazione è cambiata e consumiamo invece molti alimenti conservati, anche grazie alla catena
del freddo, ma soprattutto trasformati dall’industria alimentare, che offre al consumatore cibi con qualità
organolettiche, nutrizionali e di sicurezza almeno uguali a quelli artigianali.
Negli ultimi decenni, grazie ad una costante attività di ricerca, l’industria alimentare ha messo a punto tecniche
di produzione altamente sofisticate che permettono di valorizzare la qualità delle materie prime disponibili.
In molti casi è riuscita anche ad industrializzare e migliorare alcuni prodotti tipici. Non bisogna dimenticare
che molti alimenti, vanto del Made in Italy (ad es. panettoni, salumi, formaggi, vini, etc.), hanno potuto diffondersi nei mercati di tutto il Mondo a condizioni concorrenziali proprio grazie allo sviluppo di tecniche di
produzione industriale.
È impensabile che un salumiere artigiano di Parma possa competere con un prosciuttificio industriale dello
stesso territorio.
La ricerca industriale si è spinta fino alla produzione di alimenti di IV6 e V7 gamma, cibi pronti per il consumo o che necessitano di minime operazioni prima di essere consumati (ad esempio, le insalate pronte
- lavate ed asciugate - e i cornetti precotti pronti dopo un breve passaggio nel forno a microonde).
Il sistema di distribuzione degli alimenti è profondamente cambiato, il perno sul quale poggia è la Grande
Distribuzione, che spesso salta alcuni passaggi intermedi e riesce a far arrivare ai consumatori alimenti
direttamente acquistati dal produttore, senza passare per i soggetti intermedi della filiera distributiva.
Ci troviamo dinnanzi ad un sistema di produzione e commercializzazione degli alimenti che segue delle regole completamente diverse dal passato, ma che garantisce ottimi prodotti a costi relativamente contenuti.
L’intero sistema, o meglio l’intera filiera alimentare nel nostro Paese e nell’Unione Europea è regolamentata
da norme che garantiscono la più ampia sicurezza degli alimenti.
L’impatto ambientale degli alimenti
L’impatto ambientale della produzione e del consumo degli alimenti è oggetto di numerosi studi; la valutazione è quanto mai complessa e richiede un approccio multidisciplinare.
L’opinione pubblica esprime una sempre maggiore sensibilità verso questo tema, e ormai molti vogliono
saperne di più e chiedono informazioni sulle conseguenze che l’alimentazione e gli alimenti possono avere
sull’ambiente.
Questa domanda crescente di notizie, dati e informazioni, è in parte dovuta al fatto che il consumatore,
tradizionalmente visto quale ultimo anello della filiera che subisce le decisioni di chi sta a monte, in realtà
Si considerano alimenti di IV gamma le verdure e gli ortofrutticoli freschi che, dopo la raccolta, sono sottoposti a processi tecnologici minimi
per garantirne la sicurezza igienica e la valorizzazione, quali la frutta, la verdura e gli ortaggi freschi confezionati e pronti per il consumo.
7
Si considerano alimenti di V gamma gli ortaggi precotti, senza l’aggiunta di conservanti o condimenti.
6
47
possiede la facoltà di influenzare a valle le scelte della produzione alimentare attraverso le sue scelte di
acquisto. Il Comitato per la Bioetica Veterinaria (CBV) ha parlato in proposito della condizione di “Colpevole
innocenza del consumatore”, ovvero della sua “possibilità di incidere sulle produzioni alimentari e quindi
sulle vite di milioni di esseri viventi, umani e animali”8.
I movimenti ambientalisti sono tra i fautori di questa sensibilizzazione della collettività, insieme alle organizzazioni di consumatori, gruppi associati di vegetariani e vegani, animalisti, e anche gli stessi produttori di
alimenti, tutti accomunati dalla preoccupazione della tutela della salute e dell’ambiente.
Nel tempo il concetto di cibo sostenibile è stato correlato ad aspetti ambientali (biotecnologie e OGM, agricoltura e prodotti biologici, etc.), etici (differenza tra il Nord e il Sud del Mondo nella possibilità di accedere
al cibo), sociologici, etc.
È importante dunque che queste associazioni continuino a formare consumatori consapevoli e capaci di
acquisire le informazioni, gli strumenti e le competenze per operare scelte autonome e responsabili.
A questo, si aggiunge l’interesse di produttori e distributori di alimenti di rassicurare i consumatori e non che
i loro prodotti, oltre ad essere salubri, hanno anche un basso impatto ambientale o quantomeno inferiore a
quello di altri alimenti concorrenti.
Misura dell’impatto ambientale
Il Life Cycle Assessment (LCA)9 è il sistema di misura che consente di individuare l’impatto ambientale dei
diversi alimenti. I parametri presi in considerazione sono:
• Carbonfoot Printing, ovvero la quantità di anidride carbonica emessa lungo l’intera filiera produttiva di
ciascun alimento10
• Waterfoot Printing, che misura la quantità totale di acqua utilizzata nelle varie fasi di produzione, calcolata dalla somma dell’acqua “verde” (di origine piovana), “blu” (acqua sorgiva) e “grigia” (acque reflue)11
• Ecological Footprint, che corrisponde alla quantità di territorio necessario per la produzione di unità di
un singolo alimento12.
La letteratura scientifica è ricca di dati che in modo parziale o complessivo forniscono informazioni su quanto
8
Comitato per la Bioetica Veterinaria, La Colpevole innocenza dei consumatori, 2014, in http://www.comitatobioeticoperlaveterinaria.it/index.
php?a=pubblicazioni_e_documenti&s=documenti&lang=it
9
United Nations Environment Programme (UNEP), Global Guidance Principles for Life Cycle Assessment Databases - A Basis for Greener
Processes and Products, 2011, in http://www.unep.org/pdf/Global-Guidance-Principles-for-LCA.pdf
10
È un indicatore ambientale che misura gli effetti sul clima da parte dei gas serra - anidride carbonica, metano, ossido nitroso - generati
da una persona, un’organizzazione, un evento o un prodotto, sia esso un bene o un servizio, etc. Per approfondimenti si rimanda a Luciani R.,
Masoni P., Santino D., Indicatori di sostenibilità ambientale: la carbon footprint, in http://www.enea.it/it/produzione-scientifica/EAI/anno-2011/
indice-world-view-3-2011/indicatori-di-sostenibilita-ambientale-la-carbon-footprint
11
Di Maite M., Aldaya K., Chapagain A.Y., Hoekstra M., Mekonnen M., The Water Footprint Assessment Manual: Setting the Global Standard,
Earthscan, London - Washington D.C., 2011.
12
È un indice sintetico che rappresenta la quantità di terra e mare necessaria per sostenere i fabbisogni di una popolazione di riferimento.
Comprende: la superficie necessaria per rigenerare le risorse consumate, quella per lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalla popolazione stessa,
l’occupazione di territorio per l’allocazione di infrastrutture, impianti, abitazioni etc.
48
costa all’ambiente una bistecca, un litro di latte, un cocomero, un chilo di mais, etc. o anche una dieta vegetariana rispetto a quella onnivora.
Tuttavia, i dati illustrati non di rado risentono degli interessi di chi li ha elaborati e devono quindi essere
recepiti con prudenza e molta attenzione, per non incorrere nel rischio di diffondere notizie inesatte; non è
raro che i media interpretino in maniera errata questi dati e finiscano col favorire determinate produzioni
alimentari a scapito di altre.
Il sistema di misura LCA è stato recepito e reso operativo con l’entrata in vigore della normativa ISO
serie 1404013.
La metodologia della misurazione è di fondamentale importanza, poiché a seconda del metodo seguito dalla
stessa situazione possono essere rilevati ed elaborati dati completamente diversi.
Prima colazione e impatto ambientale
L’impatto ambientale della prima colazione varia a seconda degli alimenti che vengono consumati.
Una colazione frugale, diffusa soprattutto nei Pasi del Mediterraneo, con un cappuccino ed una fetta di pane
con burro e marmellata, ha un impatto completamente diverso dalla prima colazione con bacon, uova strapazzate, prodotti da forno, frutta, legumi, etc.
Ritornando al nostro esempio di colazione frugale, bisogna considerare che il latte e il burro sono gli alimenti
comunemente consumati al mattino che hanno il maggior impatto ambientale, seguiti dal pane, dalla marmellata e dalla frutta fresca.
Modelli diversi di prime colazioni, ad esempio quelle di tipo anglosassone, comprendono latte, yogurt, cereali,
prodotti da forno (lieviti, biscotti, dolci vari, etc.), marmellate, succhi di frutta, ma anche uova strapazzate,
bacon, salsicce, etc.
Si tratta di pasti nei quali sono presenti alimenti industriali, spesso prodotti sulla base delle evidenze della
ricerca scientifica per fornire ai consumatori prodotti di ottima qualità dal punto di vista organolettico e nutrizionale. Non sempre questi prodotti però sono rispettosi dell’ambiente. I processi di cottura, il trasporto e
gli imballaggi con i quali sono confezionati possono avere un costo ambientale non irrilevante; soprattutto gli
imballaggi esterni, che spesso assolvono a funzioni diverse dalla conservazione dell’integrità degli alimenti
(stoccaggio nella distribuzione, comunicazione al consumatore) e possono rappresentare un problema in
termini di smaltimento.
Il caffè è una bevanda consumata in vari tipi di prima colazione. Il suo costo ambientale è imputabile soprattutto al processo di torrefazione e al trasporto. È ormai molto diffusa la sua preparazione con macchinette
Per approfondimenti si rimanda al Decreto Legislativo n. 152 del 3 Aprile 2006, Norme in materia ambientale, in Gazzetta Ufficiale del 14
aprile 2006, n. 88, Supplemento Ordinario n. 96.
13
49
nelle quali inserire le cialde per ottenere una singola dose della bevanda!
In commercio ci sono diversi tipi di cialde, ed alcune sono realizzate con materiali (plastica e metallo) ad alto
tasso energetico; si pensi inoltre al fatto che una cialda pesa circa 8 grammi, se ne venissero consumate un
milione al giorno la quantità che finirebbe tra i rifiuti è di circa 8 tonnellate!
Molti alimenti per la prima colazione (prodotti da forno, creme spalmabili, etc.) sono prodotti con ingredienti
che includono l’olio di palma, che rispetto ai grassi animali ha il vantaggio di non contenere il colesterolo
e costa meno. Anche se ben si presta alla produzione alimentare industriale non bisogna dimenticare che
viene prodotto prevalentemente nel Sud-Est asiatico, dove per fare spazio agli alberi di palma si stanno
distruggendo intere foreste, mettendo a repentaglio preziosi ecosistemi14. Allo stesso tempo però bisogna
essere consapevoli del fatto che le aziende dell’alimentare che utilizzano l’olio di palma hanno dato vita ad
alcuni importanti progetti per garantire l’utilizzo sostenibile di questo olio vegetale, nell’ambito delle proprie
iniziative di Corporate Social Responsibility (CSR).
Ad esempio, la Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), organizzazione internazionale multi-stakeholder
che, tra l’altro, ha istituito uno Schema di Certificazione ad hoc per l’olio di palma prodotto secondo criteri di
equità sociale e nel rispetto degli equilibri ambientali15.
Sono sempre più numerose le industrie alimentari che hanno preso l’impegno di utilizzare solo olio di palma
certificato RSPO, l’unico strumento per esser certi che i propri fornitori abbiano comportamenti responsabili
e sostenibili.
Resta da calcolare quale sia l’impatto ambientale degli sprechi alimentari della prima colazione, i quali sono
spesso causati dai nostri comportamenti.
Sarebbe opportuno acquistare e mettere in tavola soltanto i cibi che saranno effettivamente consumati,
evitando gli eccessi alimentari. Ne beneficerebbero il nostro bilancio familiare, la nostra salute, e inoltre
faremmo un grande favore all’ambiente.
Conclusioni
La produzione di cibo ha conseguenze per l’ambiente, che possono essere modeste se le emissioni gassose
vengono riassorbite dai vegetali e la quantità di acqua captata nel corso dei cicli di produzione non eccede
le disponibilità del territorio. Le più recenti tecniche agronomiche e zootecniche hanno in molti casi consentito di aumentare le produzione di cibo, ma anche di alterare alcuni equilibri esistenti. Altre attività umane,
incluse la trasformazione e la conservazione del cibo, hanno contribuito ad aumentare l’emissione di CO2 e
il consumo delle risorse idriche.
14
Per approfondimenti si veda, ad esempio, Butler R.D., L’olio di palma principale responsabile della deforestazione in Indonesia, Trad. Paola
Donati, in http://it.mongabay.com/news/2014/it0903-rspo-vs-greenpeace-palm-oil-deforestation.html
15
Per approfondimenti si veda il sito RSPO http://www.rspo.org/
50
Le persone raramente si rendono conto di quali possano essere per l’ambiente le conseguenze di un’alimentazione eccessiva e alle volte ricercata. I cibi semplici sono quelli con minore impatto ambientale, mentre
quelli conservati, trasformati o particolarmente elaborati hanno dei costi ambientali maggiori.
Alle volte però ad un maggiore costo ambientale corrispondono alimenti con migliori caratteristiche nutrizionali; è il caso, ad esempio, degli alimenti prodotti per la prima colazione.
Non sempre quindi è possibile riuscire a consumare ottimi alimenti a basso impatto ambientale.
I consumatori, grazie a siti specializzati, blog, social network, sono sempre più informati e la prima colazione
deve essere considerata anche alla luce del suo impatto ambientale e delle possibili ripercussioni negative
sull’ambiente. Un corretto equilibrio e un consumo moderato di alimenti di origine vegetale (cereali, leguminose, frutta e verdura) e di origine animale (carne, latte, uova, pesce) nel corso della giornata garantisce
ottime condizioni di salute e consente di arrecare minimi danni all’ambiente.
Punti principali
• Le quantità di acqua, ossigeno e anidride carbonica devono essere equilibrate per salvaguardare l’ecosistema
• L’industrializzazione ha rivoluzionato anche la produzione di alimenti: dai cibi fatti in casa o artigianali
a quelli trasformati, con caratteristiche uguali o in alcuni casi superiori. Il loro impatto ambientale è
misurabile con il sistema del Life Cycle Assessment (LCA)
• L’impatto ambientale della prima colazione dipende dagli alimenti consumati: i più costosi sono il latte
e il burro. È auspicabile, non solo per la prima colazione, un corretto equilibrio tra alimenti di origine
animale e vegetale.
Proposta
• Bisogna approfondire l’impatto ambientale degli alimenti, quelli per la prima colazione e non solo, alla
luce di un approccio multidisciplinare. Inoltre, le analisi su questo tema dovrebbero includere il costo
ambientale degli sprechi alimentari.
51
La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica per migliorare le scelte di prima colazione, dal punto di vista della qualità nutrizionale e dell’eco-compatibilità degli alimenti
M. Ambrogina Pagani, M. Cristina Casiraghi, Federica Manini, Miriam Zanoletti - Dipartimento di Scienze
per gli Alimenti, la Nutrizione, l’Ambiente (DeFENS) dell’Università degli Studi di Milano
Parole chiave: cariosside, frumento, composti bioattivi, farina raffinata e integrale, sottoprodotti
della macinazione, fibra e arabinoxilani, amido lentamente digeribile, amido resistente, processi
biotecnologici, Life Cycle Assessment (LCA)
I cereali e gli alimenti derivati rappresentano ancora oggi, come noto, la principale fonte energetica a livello
mondiale. Nei Paesi d’Europa, il consumo di questi alimenti è di circa 130 kg/pro-capite/anno: il frumento
soddisfa da solo più dell’80% della domanda di cereali.
In Italia, l’assunzione media pro-capite di cereali e prodotti derivati si attesta attorno a 260 g/pro-capite/die,
garantendo circa il 65% dell’apporto quotidiano di carboidrati1. Se si focalizza l’attenzione sugli alimenti
per la prima colazione, nel nostro Paese sono comunemente preferiti prodotti da forno dolci, come biscotti,
brioche, etc.; molto più ridotto è ancora il consumo di flakes (da mais, avena, etc.) e di barrette ai cereali2.
La Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), autrice delle Linee Guida “Livelli di Assunzione di Riferimento
di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana” (LARN), nell’edizione 2012 ha consigliato di ridurre l’assunzione di zuccheri semplici e di aumentare il consumo di carboidrati complessi, dei quali 35 g/die dovrebbero essere fibra alimentare. Anche la prima colazione dovrebbe seguire questa indicazione3.
Per raggiungere le quantità di nutrienti consigliate, i consumatori dovrebbero orientare le loro scelte alimentari (per ogni pasto della giornata, inclusa la prima colazione) su alimenti a base di cereali ottenuti da sfarinati
integrali o wholemeal4; ancora meglio sarebbe l’assunzione di alimenti che contengono cariossidi intere di
cereali o wholegrain5.
Leclercq C., Arcella D., Piccinelli R., Sette S., Le Donne C., Turrini A. in rappresentanza dell’INRAN-SCAI 2005-06 Study Group, The Italian
National Food Consumption Survey INRAN-SCAI2005-06: main results in terms of food consumption, in Public Health Nutrition, Vol.12 (2009),
Fasc. 12, pp. 2504-2532.
2
Ibidem.
3
Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN) Revisione 2012, in http://www.sinu.it/documenti/20121016_LARN_bologna_sintesi_prefinale.pdf
4
Jenkins D.J.A., Wolever T.M.S., Leeds A.R., Gassull M. A., Haisman P., Dilawari J., Alberti K.G., Dietary fibre, fibre analogues, and glucose
tolerance: importance of viscosity, in British Medical Journal, Vol. 1 (1978), pp. 1392-1394.
5
Slavin J., Tucker M., Harriman C., Jonnalagadda S.S., Whole grains: definition, dietary recommendations, and health benefits, in Cereal Foods
World, Vol. 58 (2013), Fasc. 4, pp. 191-198.
1
52
Come raffigurato nella Figura 1, il chicco dei cereali, infatti, rappresenta una ricca, diversificata e sofisticata
fonte non solo di macronutrienti (amido, proteine, etc.) ma anche di fibra e composti bioattivi, funzionali per
il mantenimento dello stato di salute del nostro organismo6. Infatti, come evidenziano diversi studi7, l’assunzione di prodotti derivati da cereali integrali è associata alla riduzione di patologie croniche quali l’obesità,
la sindrome metabolica, il diabete di tipo II, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumori.
Questo effetto protettivo è stato associato all’elevato contenuto in fibra e alle proprietà antiossidanti e anti-cancerogene dei numerosi composti bioattivi presenti negli strati più esterni delle cariossidi dei cereali
(crusca e strato aleuronico), generalmente allontanati nel processo di macinazione come sottoprodotti destinati alla zootecnia.
Figura 1: Struttura e composizione della cariosside di frumento
Poutanen K., Past and future of cereal grains as food for health, in Trends in Food Science & Technology, Vol. 25 (2012), pp. 58-62.
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a: Van de Vijver L.P.L., Van den Bosch L.M.C., Van den Brandt P.A., Goldbohm R. A., Wholegrain consumption, dietary fibre intake and body mass index in the Netherlands cohort study, in European Journal of Clinical Nutrition, Vol.63
(2009), pp. 31-38; Sahyoun N.R., Jacques P.F., Zhang X.L., Juan W., McKeown N.M., Wholegrain intake is inversely associated with the
metabolic syndrome and mortality in older adults, in The American Journal of Clinical Nutrition, Vol. 83 (2006), pp. 124-131; De Munter J.S.,
Hu F.B., Spiegelman D., Franz M., Van Dam R.M., Whole grain, bran, and germ intake and risk of type 2 diabetes: a prospective cohort study
and systematic review, in PLoS Medicine, Vol. 4 (2007), p. e261; Mellen P.B., Walsh T.F., Herrington D.M.,Whole grain intake and cardiovascular
disease: a meta-analysis, in Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases, Vol.18 (2008) pp. 283-290; Schatzkin A., Park Y., Leitzmann
M.F., Hollenbeck A. R., Cross A.J., Prospective study of dietary fiber, whole grain foods, and small intestinal cancer, in Gastroenterology, Vol. 135
(2008), pp. 1163-1167.
6
7
53
Nel corso del processo di raffinazione dei cereali si disperde il 60% circa della fibra alimentare e quote
comprese tra il 60 e l’80% di minerali e vitamine8.
Tuttavia questa lavorazione consente di ottenere sfarinati più stabili durante la loro conservazione e commercializzazione, ma soprattutto migliori performance tecnologiche - è noto infatti che la farina integrale
compromette lo sviluppo in volume di un impasto durante la sua lievitazione e cottura - e la produzione di
alimenti più gradevoli al palato. Non va infine dimenticato che l’allontanamento sotto forma di crusca degli
strati più esterni del cereale consente la rimozione di regioni generalmente caratterizzate da una bassa
qualità igienico-sanitaria per la presenza di contaminanti biotici (microrganismi e loro metaboliti, quali le
micotossine) e abiotici (residui chimici, metalli pesanti, etc.)9.
Interventi tecnologici per valorizzare i sottoprodotti della macinazione
L’interesse crescente verso gli alimenti integrali con proprietà salutistiche sta stimolando alcune aziende
molitorie a proporre soluzioni tecnologiche per recuperare e valorizzare i sottoprodotti, salvaguardando i
pre-requisiti di salubrità delle materie prime. Questa strategia permette non solo di ridurre l’impatto ambientale dell’intera filiera (come sarà discusso più avanti) ma è anche profittevole per l’industria, poiché la
formulazione di “alimenti funzionali” ha consentito un nuovo tipo di offerta e aperto un nuovo mercato.
Gli sforzi tecnologici dell’industria si stanno concentrando ad ottenere sfarinati integrali (o wholemeal) da
utilizzare quali materie prime d’elezione per la produzione anche degli alimenti per la prima colazione; poco
indagate sono, al momento, le soluzioni proposte per ottenere alimenti basati su wholegrain.
In quest’ottica, al fine di ottenere frazioni cruscali non contaminate, sono sempre più numerose le aziende
molitorie che prevedono l’inserimento nel diagramma di processo di operazioni preliminari, utili ad eliminare
grani difettosi e/o alterati, mediante macchine sofisticate, quali le selezionatrici ottiche di altissima efficienza10. In aggiunta, i molini all’avanguardia prevedono un successivo trattamento di lieve abrasione/decorticazione del chicco con l’obiettivo di rimuovere, in maniera selettiva, gli strati più periferici che sono anche i più
contaminati. L’allontanamento di materiale non supera in media il 2-4% ed è frequentemente associato ad
un aumento delle rese di estrazione in farina, con interessanti vantaggi qualitativi ed economici11.
Azioni di abrasione più accentuate portano alla rimozione dei diversi strati che compongono i tegumenti del
chicco fino a raggiungere il cosiddetto strato aleuronico, frazione che circonda l’endosperma amilaceo
Truswell A.S., Cereal grains and coronary heart disease, in European Journal of Clinical Nutrition, Vol. 56 (2002), pp.1-14.
Bottega G., Caramanico R., Lucisano M., Mariotti M., Franzetti L., Pagani M.A., The debranning of common wheat (Triticumaestivum L.) with
innovative abrasive rolls, in Journal of Food Engineering, Vol. 94 (2009), pp. 75-82.
10
Pagani M.A., Marti A., Bottega G. Wheat milling and flour quality evaluation, in W. Zhou (Ed), Bakery products. Science and technology, WileyBlackwell, Chichester UK (2014), pp. 19-53.
11
Bottega et al., (2009).
8
9
54
(regione da cui si origina la farina) e che ricopre un ruolo chiave per le attività fisiologiche del chicco,
soprattutto durante la sua germinazione. Tutto questo si rispecchia nella composizione di tale strato, particolarmente ricco in proteine enzimatiche, tiamina (1.6 mg/100 g), niacina (32.9 mg/100 g) e folati (0.8
mg)12. L’aleurone è anche un’importante fonte di minerali (P, Mg, Mn, Fe) che, tuttavia, sono spesso resi
poco disponibili dalla contemporanea presenza di fitati. L’aleurone contiene anche numerosi antiossidanti, sotto forma di acidi fenolici (acido ferulico, acido p-cumarico, acido siringico, acido vanillico) e fenoli
complessi, come lignina e lignani.
Se la separazione meccanica è proponibile come via tecnologica per isolare l’insieme degli strati esterni
(crusca e strato aleuronico), sono attualmente allo studio processi nettamente più sofisticati per suddividere
selettivamente i singoli strati: a titolo d’esempio possiamo citare il complesso trattamento proposto da Bühler
AG, che sfrutta un approccio elettrostatico per la separazione dello strato aleuronico dalla crusca13.
Ritornando all’interesse verso un maggior utilizzo di crusca e aleurone nell’alimentazione per soddisfare il
fabbisogno giornaliero di fibra, è opportuno ricordarne la definizione formulata nella Direttiva 2008/100/
CE14: “La fibra comprende polimeri di carboidrati con tre o più unità monomeriche, che non sono né digerite
né assorbite nel piccolo intestino”15.
Viene generalmente classificata in due frazioni, solubile e insolubile, e questa distinzione è basata sia sulla
valutazione analitica dei componenti macromolecolari che sulle diverse proprietà chimico-fisiche16. Le fibre
insolubili tendono ad assorbire acqua e modulano positivamente la funzione intestinale: favorendo l’aumento
della massa fecale, infatti, favoriscono l’evacuazione e la riduzione dei tempi di transito, evitando inoltre che
composti potenzialmente cancerogeni possano permanere a lungo a contatto con la mucosa intestinale17.
Un ulteriore effetto positivo della capacità di trattenere acqua da parte della fibra insolubile è l’aumento di
volume del bolo alimentare che, grazie alla distensione delle pareti dello stomaco, promuove un maggiore
senso di sazietà18.
La frazione solubile, invece, grazie alla propria capacità di indurre viscosità nel lume intestinale, ha effetti anche a livello metabolico: rallenta lo svuotamento gastrico e l’assorbimento dei nutrienti, determinando effetti
Lopez H.W., Krespine V., Guy C., Messager A., Demigne C., and Remesy C., Prolonged fermentation of wholewheat sourdough reduces phytate
level and increases soluble magnesium, in Journal of Agricultural and Food Chemistry, Vol. 49 (2001), pp. 2657-2662.
13
Bohm A., Kratzer A., Method for isolating aleurone particles, in S. Bühler (Ed.), US patent (Vol. US7780101eB2, DE 10154462(20011108)), 2010.
14
Commissione Europea, Direttiva 2008/100/CE del 28 ottobre 2008 che modifica la Direttiva 90/496/CEE del Consiglio relativa all’etichettatura
nutrizionale dei prodotti alimentari per quanto riguarda le razioni giornaliere raccomandate, i coefficienti di conversione per il calcolo del valore
energetico e le definizioni, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 285/9 del 29 Ottobre 2008.
15
La Direttiva 2008/100/CE, al Considerando (5), stabilisce: “Le fibre alimentari sono tradizionalmente consumate come materie vegetali e hanno
uno o più effetti fisiologici benefici, consistenti ad esempio nel ridurre la durata del transito intestinale, aumentare la massa fecale, poter essere
fermentate dalla microflora del colon, ridurre la colesterolemia totale e la colesterolemia LDL, ridurre la glicemia postprandiale e l’insulinemia”.
16
Dikeman C.L., Fahey G.C., Viscosity as related to dietary fiber: a review, in Critical Reviews in Food Science and Nutrition, Vol. 46 (2006),
pp. 649-663.
17
James S.L., Muir J.G., Curtis S.L., Gibson P.R., Dietary fiber: a roughage guide, in Internal Medicine Journal, Vol. 33 (2003), pp. 291-296.
18
Slavin J., Dietary fiber and body weight, in Nutrition, Vol. 21 (2005), pp. 411-418.
12
55
positivi quali la riduzione dei livelli ematici di colesterolo totale, LDL e trigliceridi19. Ha inoltre effetti positivi
sul metabolismo glucidico: diete ad alto tenore in fibra solubile comportano, infatti, riduzioni significative dei
parametri ematochimici indici di controllo glicemico, quali la glicemia basale, quella post-prandiale e l’emoglobina glicata20. Le fibre solubili, inoltre, vengono fermentate dalla microflora del colon, determinando un
aumento della massa batterica e contribuendo quindi al mantenimento dell’ecosistema intestinale. Durante
il processo di fermentazione i batteri del colon producono acidi grassi a corta catena (acetato, propionato e
butirrato) che, assorbiti dalla mucosa intestinale, manifestano effetti sistemici e rappresentano un recupero
di energia a partire da substrati non digeribili. Il butirrato è il più studiato tra gli acidi grassi prodotti dalla
fermentazione grazie al suo ruolo fondamentale nel mantenimento della mucosa intestinale21. La produzione di acidi grassi a corta catena comporta infine l’abbassamento del pH di questo tratto di intestino, che
ostacola la crescita dei batteri proteolitici putrefattivi, dannosi per l’organismo, e migliora l’assorbimento di
alcuni minerali22.
Gli arabinoxilani (AX) sono una componente fondamentale della fibra alimentare dei cereali23, costituiti da
una catena lineare di xilosio alla quale possono innestarsi ramificazioni formate da arabino-furanosio. Questi
composti sono presenti nella crusca (circa 6-7%) e derivano principalmente dallo strato aleuronico24. Gli AX
sembra abbiano una funzione tecnologica importante nel definire la qualità finale di una farina e dei prodotti
derivati, poiché interagiscono con l’acqua e tendono a formare un reticolo con altre molecole di AX o con
proteine25. Dal punto di vista nutrizionale, gli AX solubili in acqua hanno un effetto positivo sulla risposta glicemica ed insulinemica, recentemente riconosciuto dall’EFSA con l’autorizzazione di un claim sulla salute26.
I meccanismi che spiegano la ridotta risposta glicemica non sono ancora completamente noti27. Tuttavia,
appare verosimile che la capacità degli AX solubili di incrementare la viscosità possa influenzare la velocità
Slavin J., Why whole grains are protective: biological mechanisms, in The Proceedings of the Nutrition Society. Vol. 62 (2003) pp. 129-134.
Murtaugh M.A., Jacobs D.R., Jacob B., Steffen L.M., Marquart L., Epidemiological support for the protection of whole grains against diabetes,
in Proceedings of the Nutrition Society, Vol. 62 (2003), pp. 143-149.
21
Hamer H.M., Jonkers D., Venema K., Vanhoutvin S., Troost F.J., Brummer R.J., Review article: the role of butyrate on colonic function, in
Alimentary Pharmacology & Therapeutics, Vol. 27 (2007), pp.104-119.
22
Greger J.L., Non digestible carbohydrates and mineral bioavailability, in Journal of Nutrition, Vol. 129 (1999), pp. S1434-S1435.
23
Van de Vijver L.P.L., Van den Bosch L.M.C., Van den Brandt P.A., Goldbohm R. A., Whole-grain consumption, dietary fibre intake and body
mass index in the Netherlands cohort study, in European Journal of Clinical Nutrition, Vol.63 (2009), pp. 31-38.
24
Selvendran R.R., Robertson J.A., The chemistry of dietary fibre: A holistic view of the cell wall matrix, in Royal Society of Chemistry, Cambridge,
UK 1990, pp. 27-43.
25
Finnie S.M., Bettge A.D., Morris C.F., Influence of cultivar and environment on water-soluble and water-insoluble arabinoxylans in soft wheat,
in Cereal Chemistry, Vol. 83 (2006), pp. 617-623.
26
EFSA. Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA), Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to arabinoxylan
produced from wheat endosperm and reduction of post-prandial glycaemic responses (ID 830) pursuant to Article 13 (1) of Regulation (EC) No
1924/2006, in EFSA Journal, Vol. 9 (2011), p. 2205.
27
Lu Z.X., Walker K.Z., Muir J.G., O’Dea K., Arabinoxylanfibre improves 493 metabolic control in people with Type II diabetes, in European
Journal of Clinical Nutrition, Vol. 58 (2004), pp.621-628.
19
20
56
di assorbimento del glucosio mediante un ritardo dello svuotamento gastrico28 e la modulazione dei processi
digestivi ed assorbitivi che hanno luogo nel lume intestinale. Recentemente, la ricerca scientifica si è incentrata sulle proprietà nutrizionali dei prodotti derivanti dalla degradazione enzimatica della frazione insolubile
degli AX. Dall’idrolisi di questi composti, infatti, si originano oligosaccaridi a minor peso molecolare con
proprietà antitumorali, antiossidanti ed ipocolesterolemizzanti. Diverse ricerche, inoltre, sottolineano l’effetto
prebiotico degli oligosaccaridi fermentescibili che, a livello del colon, stimolano selettivamente la crescita di
batteri intestinali importanti per il buon funzionamento dell’organismo29.
Sulla composizione di crusca e di altri sottoprodotti dell’industria molitoria ricchi in fibra alimentare, le attuali
ricerche in campo tecnologico sono orientate alla messa a punto di trattamenti per modificare il rapporto tra
fibra solubile ed insolubile (a vantaggio della prima) e incrementare la biodisponibilità di composti bioattivi,
riducendo la presenza di fattori antinutrizionali quali i fitati. Sono risultati particolarmente efficaci i trattamenti
enzimatici30 e fisici, basati sull’impiego di alte pressioni (HPP)31. Entrambi i processi hanno dato origine a
frammentazioni molecolari della fibra, lasciando intravvedere la concreta possibilità di proporre alimenti arricchiti con percentuali di fibra nettamente superiori a quelle finora ritenute compatibili con il mantenimento
di buone caratteristiche sensoriali. Il trasferimento di questi processi da scala pilota a scala industriale è
oggetto di ricerche attualmente in corso.
Altre proposte innovative, per ora sperimentate a livello pilota, dimostrano come la fermentazione della
crusca con l’aggiunta di lieviti e/o batteri lattici32 o sfruttando il microbiota endogeno della crusca stessa33,
determini un sensibile incremento delle proprietà nutrizionali. Durante la fermentazione, infatti, si assiste,
ad una serie di modificazioni positive quali l’incremento di biodisponibilità di alcuni composti bioattivi, ad es.
l’acido ferulico, la riduzione di fattori antinutrizionali quali l’acido fitico, e la trasformazione di una parte degli
AX insolubili in frazioni solubili, grazie all’attivazione di enzimi endogeni e microbici. Dal punto di vista tecnologico, l’impiego di crusca pre-fermentata nella formulazione di alcuni prodotti da forno sembra migliorarne
Jenkins D.J., Wesson V., Wolever T.M., Jenkins A.L., Kalmusky J., Guidici S., Csima A., Josse R.G., Wong G.S., Wholemeal versus wholegrain
breads: proportion of whole or cracked grain and the glycaemic response, in British Medical Journal, Vol. 297 (1988), pp. 958-960.
29
Per approfondimenti, si rimanda a Broekaert W. F., Courtin C. M., Verbeke K., Van de Wiele T., Verstraete W., Delcour J.A., Prebiotic and
other health-related effects of cereal-derived arabinoxylans, arabinoxylan-oligosaccharides, and xylooligosaccharides, in Critical Review in Food
Science and Nutrition, Vol. 51 (2011), pp. 178-194.
30
Marti A., Bottega G., Casiraghi M.C., Faoro F., Iametti S., Pagani M.A., Dietary fibre enzymatic treatment: a way to improve the rheological
properties of high-fibre-enriched dough, in International Journal of Food Science & Technology, Vol. 49 (2014a), pp. 305-307.
31
Marti A., Barbiroli A., Bonomi F., Brutti A., Iametti S., Marengo M., Miriani M., Pagani M.A., Effect of high-pressure processing on the features
of wheat milling by-products, in Cereal Chemistry, Vol. 91 (2014b), pp.318-320.
32
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a Poutanen K., Flander L., Katina K., Sourdough and cereal fermentation in a nutritional
perspective, in Food Microbiology, Vol. 26 (2009), pp. 693-699; Katina K., Juvonen R., Laitila A., Flander L., Nordlund,E., Kariluoto S., Piironen V.,
Poutanen K., Fermented wheat bran as a functional ingredient in baking, in Cereal Chemistry, Vol. 89 (2012), pp.126-134.
33
Manini F., Brasca M., Plumed-Ferrer C., Morandi S., Erba D., Casiraghi M.C., Study of the chemical changes and evolution of microbiota during
sourdough like fermentation of wheat bran, in Cereal Chemistry, Vol. 91 (2014), in press.
28
57
la qualità, in termini di texture, volume e shelf-life del prodotto.
La fibra, tuttavia, non è l’unico componente con riconosciute proprietà funzionali. L’amido, ad esempio,
è stato a lungo considerato solo una fonte di energia e quindi totalmente e velocemente digeribile. Oggi
è risaputo che i processi tecnologici possono modificare la struttura di questo polisaccaride, rendendolo
lentamente digeribile (frazione SDS) o addirittura non accessibile agli enzimi digestivi (frazione di amido resistente-RS)34. In diversi studi è stato evidenziato l’effetto funzionale del consumo di alimenti a base di cereali
ad alto contenuto di SDS, che contribuiscono a ridurre la risposta glicemica post-prandiale e la conseguente
risposta insulinemica. L’EFSA ha recentemente riconosciuto un rapporto di causa ed effetto tra il consumo di
SDS in prodotti derivati dei cereali, e la ridotta risposta glicemica post-prandiale, ed ha anche riconosciuto
la validità di un claim sulla salute su questo. Altri studi, infine, evidenziano come la frazione RS promuova
effetti positivi sull’ecosistema intestinale poiché in grado di stimolare sia la produzione di butirrato che la
crescita di bifidobatteri35. La natura dell’amido (origine botanica), il suo grado di gelatinizzazione o cristallizzazione, il rapporto amilosio:amilopectina, le dimensioni dei granuli, ma anche la presenza di fibra solubile,
di anti-nutrienti (ad azione inibitoria sugli enzimi digestivi), nonché la texture dell’alimento36, sono tutti fattori
che possono modulare la digeribilità dell’amido nonché essere modificati dalle trasformazioni tecnologiche.
La sfida tecnologica aperta da queste ricerche è quella che consente di ottenere prodotti caratterizzati da
elevate percentuali di SDS e RS e contemporaneamente da proprietà sensoriali paragonabili a quelle dei
corrispondenti prodotti convenzionali.
Un occhio all’ambiente
L’attenzione alle proprietà nutrizionali e funzionali degli alimenti che derivano dai cereali non deve tuttavia
prescindere da un esame critico dell’impatto ambientale della loro produzione, commercializzazione e consumo, tramite una valutazione oggettiva e rigorosa dei potenziali carichi ambientali legati all’intero ciclo di
vita del prodotto.
Tale scopo può essere raggiunto grazie all’applicazione della metodologia LCA (Life Cycle Assessment), un
approccio che, attraverso la quantificazione di tutti i flussi di materia ed energia associati alla produzione di
un bene o servizio, permette la restituzione di alcuni indicatori ambientali, come ad esempio la produzione
Englyst K.N., Englyst H.N., Hudson G.J., Cole T.J., Cummings J.H., Rapidly available glucose in foods: an in vitro measurement that reflects
the glycemic response, in American Journal of Clinical Nutrition, Vol. 69 (1999), pp. 448-454.
35
Birt D.F., Boylston T., Hendrich S., Jane J.L., Hollis J., Li L., McClelland J., Moore S., Phillips G.J., Rowling M., Schalinske K., Scott M.P., Whitley
E.M., Resistant Starch: Promise for Improving Human Health, in Advances in Nutrition, Vol. 4 (2013), pp. 587-601.
36
Brighenti F., Casiraghi M.C., Influenza dei processi di trasformazione sulla risposta glicemica di alimenti amidacei, in Giornale Italiano di
Nutrizione Clinica e Preventiva, (1992), Fasc. 1, pp. 80-87.
34
58
di gas serra, che contribuiscono al riscaldamento globale (Carbon Footprint) o il consumo di risorse idriche
(Water Footprint) richieste per tali attività.
I lavori più recenti relativi alla quantificazione della Carbon Footprint di pane e prodotti da forno, monodose
dolci e salati, indicano che la fase maggiormente responsabile delle emissioni di gas serra è legata alla
crescita in campo e alla raccolta del frumento. La coltivazione del cereale, infatti, incide per oltre il 50%
dell’impronta ambientale complessiva37 e, nel caso di materie prime importate (in Italia circa il 50% del
frumento macinato proviene da importazioni) è necessario sommare il costo ambientale del trasporto; le
fasi di produzione pesano rispettivamente il 20 e 15% delle emissioni totali38. Se si considera invece la
Water Footprint, ben oltre il 90% delle risorse d’acqua nella coltivazione dei cereali è impiegato per la sola
fase di coltivazione39.
La produzione e il consumo di alimenti integrali può apportare dei benefici non solo nutrizionali, ma anche
ambientali: infatti, rispetto agli stessi alimenti con farine raffinate, quelli integrali o wholemeal hanno un impatto ambientale di circa il 6% in meno, grazie alle più alte rese di macinazione e quindi ad un più efficiente
utilizzo della granella40. Anche la valorizzazione di sottoprodotti di molitura, quali germe e crusca, solitamente destinati alla mangimistica, può rappresentare una valida soluzione per l’incremento delle proprietà
nutrizionali di prodotti destinati ad esempio alla prima colazione, comportando al contempo uno sfruttamento
più interessante di queste risorse.
Punti principali
• Un introito giornaliero di 35 g/die di fibre alimentari è fortemente consigliato. È quindi da prediligere
il consumo di alimenti a base di cereali, soprattutto se wholegrain (con cariossidi intere di cereali). Le
proprietà positive delle fibre alimentari per la nostra salute sono riconosciute, anche dall’EFSA
• Sono in corso alcuni progetti su impianti pilota, nella prospettiva di applicarli su vasta scala a livello
industriale, per aumentare le quantità di fibra negli alimenti arricchiti, mantenendo intatte le caratteristiche sensoriali
• Gli alimenti integrali hanno un minor impatto ambientale, di circa il 6% in meno rispetto a quelli ottenuti
da farine raffinate, poiché hanno una maggiore resa di macinazione e comportano quindi un utilizzo più
efficiente della granella.
Espinoza-Orias N., Stichnothe H., Azapagic A., The carbon footprint of bread, in International Journal Life Cycle Assessment, Vol. 16 (2011),
pp. 351-365.
38
Per approfondimenti, si rimanda al sito www.environdec.com
39
Ruini L., Marino M., Pignatelli S., Laio F., Ridolfi L., Water footprint of a large-sized food company: the case of Barilla pasta production, in Water
Resources and Industry, Vol. 1-2 (2013), pp. 7-24.
40
Espinoza-Orias N. et al., (2011).
37
59
Proposta
• La ricerca tecnologica sugli alimenti derivati dai cereali, inclusi quelli per la prima colazione, deve proseguire nella produzione di alimenti funzionali per coniugare proprietà salutistiche e proprietà sensoriali. In
particolare, per la prima colazione, bisognerebbe valorizzare i sottoprodotti della lavorazione dei cereali,
quali il germe e la crusca.
60
Sostenibilità del packaging degli alimenti per la prima colazione. L’esempio concreto del succo d’arancia
di Marco Sachet, Direttore dell’Istituto Italiano Imballaggio
Parole chiave: packaging, urbanizzazione, comunicazione, consumatori, raccolta differenziata, spreco
Premessa
Nel Documento BCI 2012 “La prima colazione: un’introduzione alle sue specificità”, nel Capitolo “Il contributo del packaging alla prima colazione”1, è stato evidenziato come l’imballaggio sia lo strumento in grado
di contenere, proteggere, preservare e presentare nel tempo e nello spazio gli alimenti destinati a rendere
gratificante il momento della prima colazione.
In questo Capitolo sarà approfondita la relazione tra la capacità del packaging di svolgere al meglio le sue
funzioni e la sostenibilità2 di questo compito.
A questo scopo, illustreremo l’esempio pratico della spremuta, del succo e del nettare di arance.
Alcune credenze diffuse sul packaging
1.Il packaging è un prodotto a sé stante: FALSO. È uno strumento, un non prodotto che esiste solo se
c’è un contenuto. I produttori di packaging devono adeguarsi alle richieste dei clienti - in questo caso, le
industrie alimentari - le quali a loro volta mirano a soddisfare le aspettative del consumatore.
2.Il packaging è altro rispetto al contenuto (quindi è uno spreco perché è comunque destinato a diventare un rifiuto): FALSO.
In realtà, è evidente che l’alimento che si desidera acquistare deve essere disponibile nello spazio e
nel tempo secondo i valori di servizio che la società stabilisce autonomamente, con criteri non sempre
coerenti all’obiettivo della sostenibilità.
3.Il packaging è utile anche allo stoccaggio e alla distribuzione dei prodotti: VERO.
In Italia quasi metà della popolazione (44%) vive in comuni ad alta urbanizzazione3, e nonostante non
sia facile coltivare gli aranci in queste aree, è considerato normale ormai poter godere di una spremuta
o di un succo a colazione.
Il testo completo del Capitolo è disponibile in http://www.breakfastclubitalia.it/documento_atti/Documento_BCI_2012.pdf
Silvia Barbero, Sostenibilità e Packaging - Inquadramento generale sul ruolo della sostenibilità ambientale nel campo degli imballaggi,
Politecnico di Torino, Torino, 2012.
3
Eurostat, Regions: Statistical yearbook 2006, in http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/product_details/publication?p_product_
code=KS-AF-06-001
1
2
61
4. Il packaging condiziona gli acquisti: VERO E FALSO.
Le aziende alimentari utilizzano il packaging anche come strumento di comunicazione al consumatore,
ma in questo caso l’obiettivo è soprattutto fidelizzare il cliente. Di conseguenza hanno interesse a proporre prodotti in pack che trasmettano valori effettivamente presenti nel prodotto. Sono infatti ben consapevoli che anche un imballaggio di grande impatto non può trasformare “una zucca in una carrozza”.
E se anche ci riuscisse la magia avverrebbe per un solo acquisto.
Il packaging è divenuto ormai oggetto di studio e sperimentazione da parte degli esperti di design, e si sta
trasformando in uno strumento di comunicazione che non riguarda solo il prodotto che contiene, ma anche
altro. In futuro potrà, ad esempio, fornire consigli ai consumatori sugli stili di vita e sui profili di sostenibilità4.
Packaging, sostenibilità e prima colazione. Un esempio concreto: la spremuta (o il succo o il nettare)
d’arancia
Uno degli alimenti più diffusi per la prima colazione è sicuramente il latte. Del suo rapporto con il packaging
ne abbiamo già scritto nel nostro primo contributo al Documento BCI 20125.
Un alimento molto apprezzato per la prima colazione e che lo sta diventando sempre di più è la spremuta
d’arancia (quella mediterranea speriamo!). Oggi, la classica colazione sembra incompleta senza un bicchiere
di succo d’arancia, ma all’inizio del XX secolo non era affatto così. Questa è stata una novità.
Chi apprezzi una spremuta, o un centrifugato, di arance a colazione deve acquistarle per averle pronte
allo scopo quando è il momento. In alternativa, può acquistare il prodotto pronto e confezionato (succo,
nettare, etc.)
Cos’è più sostenibile? Una risposta valida in assoluto non c’è, ma qualche riflessione è comunque possibile.
Se scegliessimo di preparare noi la spremuta, dovremmo anzitutto considerare il diverso impatto ambientale
delle arance locali/nazionali e di quelle di importazione: più è lontano il luogo di produzione maggiore è
l’impatto ambientale.
Se scegliessimo solo arance italiane, questa scelta non sarebbe priva di controindicazioni, perché questo non è
un frutto disponibile tutto l’anno e il consumatore dovrebbe rinunciare alla sua spremuta anche per mesi.
4
5
Ceppa, C., et al., Food Pack Guidelines, 2008, in http://areeweb.polito.it/didattica/design/download/books/FP_Guidelines.pdf
Per approfondimenti si rimanda al Capitolo “Il contributo del packaging alla prima colazione”, alle pp. 72-78.
62
L’acquisto delle arance deve essere proporzionato alle occasioni di consumo della spremuta, allo spazio
disponibile per lo stoccaggio in casa e, non ultimo, al deperimento del frutto nel tempo. Naturalmente, deve
essere utilizzabile un magazzino casalingo idoneo a contenere questo numero di arance. Anche la dispensa
e il frigorifero sono infatti due piccoli magazzini e come tali dovrebbero essere gestiti. A questo fine, la regola
da applicare è semplice: l’arancia che per prima entra nel piccolo magazzino deve essere anche quella che
ne esce per prima.
E l’imballaggio delle arance, quanto pesa sulla sostenibilità del prodotto? L’imballaggio più sostenibile per
portare le arance dal punto di acquisto ai magazzini domestici è senza dubbio la “sporta della nonna”, basterebbe solo ricordarsene un po’ prima di arrivare alla cassa!
L’acquisto delle arance a peso è in linea generale più sostenibile rispetto a quello in “vaschetta” perché c’è
meno unità di imballaggio per unità di prodotto. Tuttavia, senza questa protezione qualche arancia potrebbe
essersi rovinata nel tragitto dal luogo di raccolta a quello di vendita o rovinarsi nella fase del consumo.
Ad ogni modo, ove riuscissimo a portare a casa integre le nostre arance e decidessimo di consumarne due
al giorno per preparare la spremuta, la cosa più sostenibile sarebbe svolgere questa operazione a mano, e
non con lo spremiagrumi elettrico.
Anche nella prima ipotesi, dovremmo stare attenti alla quantità di acqua consumata durante il lavaggio dei
nostri utensili.
E lo scarto della spremitura? Obbligatoria la raccolta differenziata, tra gli altri residui alimentari nella raccolta
della frazione umida.
Dovremmo infine avviare alla valorizzazione l’imballaggio che avrà finito di svolgere il suo compito. Il cittadino
è chiamato a dare un forte contributo di sostenibilità effettuando al meglio la raccolta differenziata dei rifiuti/
risorse di imballaggi per materiale. Grazie alla raccolta differenziata i rifiuti/risorse di imballaggio imboccano
tre vie di valorizzazione. Qualora siano idonei, possono essere riciclati in toto o in parte, oppure essere bruciati con il recupero dell’energia che è stata necessaria per produrli, oppure diventare terriccio. A quest’ultimo proposito è indubbio che se il sacchetto in cui abbiamo riposto le arance prima della pesatura fosse di
plastica biodegradabile e compostabile, potrebbe diventare il giusto contenitore della frazione umida.
E se invece decidessimo di acquistare un succo d’arancia - o un nettare o una spremuta - già pronto?
Avremmo solo l’imbarazzo della scelta: differenti tipi di arance, varie percentuali di frutto contenuto, succhi
63
e nettari di arancia con altri frutti, etc. E la stessa cosa si può dire per il packaging: bottiglia in vetro o in
plastica, lattina in alluminio o contenitore in cartoncino, etc.
Indubbiamente sarebbe molto più comodo, perché consentirebbe di saltare tutte le fasi precedenti della
preparazione della spremuta di arance.
Anche questa scelta, magari presa per comodità dal consumatore, potrebbe essere sostenibile sotto alcuni
punti di vista. Basti pensare che anche l’industria produttrice di succhi e nettari di frutta molte volte è attenta
a questi aspetti, ad esempio limitando al massimo gli sprechi e le perdite di prodotto durante la lavorazione,
acquistando le materie prime in prossimità degli stabilimenti6, etc.
Inoltre, i succhi e i nettari di arancia confezionati sono stati progettati e realizzati per essere riposti nei
magazzini domestici, in particolare nel frigorifero. Sono acquistabili in formati che rispondono alle esigenze
di consumo della persona singola o delle piccole comunità familiari. Sono quasi sempre richiudibili e ciò
permette una preservazione del prodotto più lunga anche a casa e la sicurezza nel trasporto in altri luoghi.
Quindi godetevi la vostra spremuta di stagione in tranquillità, prestando attenzione affinché i vostri comportamenti siano i più sostenibili possibile, ma non sottovalutate il contributo del packaging che vi permette di
gustare la vostra spremuta, nel modo più efficace e sicuro possibile anche quando dei frutti (italiani) non c’è
più disponibilità.
In termini di sostenibilità, il packaging è anche determinante per evitare la perdita di un prodotto alimentare. Infatti, può allungarne la vita e di conseguenza ridurre la probabilità che non venga consumato. Inoltre,
poiché è scientificamente dimostrato con studi di Life Cycle Assessment che per produrre un alimento si determina un alto impatto ambientale - mediamente 4 volte tanto quello del suo packaging - potrebbe essere
persino più sostenibile eccedere in packaging pur di evitare la perdita del prodotto.
Il packaging alimentare è protagonista di una costante evoluzione delle sue funzioni, sempre più diversificate
e integrate tra loro: protezione dell’alimento dall’ambiente, ma anche protezione dell’ambiente dall’alimento,
veicolo di comunicazione e informazione, anche avanzata, verso il consumatore, servizio funzionale alle diverse modalità di consumo e ai sistemi distributivi, con un impatto sostenibile sull’ambiente.
Oggi il packaging dei prodotti alimentari assume dunque significati evoluti, in un’ottica di prodotto - servizio
che deve fornire una sintesi tra funzioni tradizionali di protezione, esigenze logistico-distributive, veicolo
Piergiovanni L., Gli imballaggi in plastica per l’industria alimentare tra innovazione e sostenibilità, Università degli Studi di Milano - DISTAM,
Milano, 2008.
6
64
info-promozionale, sostenibilità economica e adempimenti a tutela dell’ambiente, tutti ambiti dove la ricerca
e l’innovazione risultano fondamentali.
Proprio nell’ottica che il packaging dovrà svolgere sempre di più un compito essenziale nella riduzione dello
spreco alimentare, lo sforzo nell’innovazione tecnologica finalizzata a questo risultato è una delle priorità. Un
importante vantaggio ambientale può derivare dalla progettazione e dallo sviluppo di nuovi packaging per i
prodotti alimentari, in relazione alla loro capacità di ridurne le perdite e di estenderne la shelf life, grazie alle
loro specifiche proprietà.
Punti principali
• Il packaging alimentare serve a conservare/preservare gli alimenti nel tempo e nello spazio, e già questa
è un’azione di sostenibilità
• Allungandone la vita ma anche offrendo porzioni correlate alle occasioni di consumo e altri servizi di
utilità, il packaging riduce le perdite di alimenti
• La sostenibilità di un prodotto e del suo imballaggio non è un valore assoluto, ma può dipendere da
diversi fattori. Un esempio: nel confronto tra il succo d’arancia fatto in casa e quello pronto confezionato
bisogna tenere in considerazione tutte le fasi della preparazione, dall’acquisto della materia prima allo
smaltimento degli scarti.
Proposte
• Studiare soluzioni di packaging che allunghino la vita dell’alimento e contemporaneamente riducano
le probabilità di una sua perdita può diventare una priorità di sostenibilità per le aziende alimentari
e i loro fornitori. Ciò dovrà avvenire con packaging sempre più sostenibili dal punto di vista della loro
produzione e della loro valorizzazione post-consumo
• Andrebbe inoltre potenziata la funzione di comunicazione al consumatore del packaging. Ad esempio sui
diversi aspetti della sostenibilità di un prodotto, packaging compreso.
65
Come la crisi economica e le esigenze di risparmio influiscono negativamente sulle abitudini alimentari. Alcune soluzioni messe in pratica dai consumatori
di Tina Napoli, Responsabile politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva
Parole chiave: cibi freschi, discount alimentare, Gruppi di Acquisto Solidali, filiera corta, farmers’
market, sharing economy
Questo Capitolo offre alcuni spunti di riflessione su come la crisi economica nel nostro Paese stia influenzando le scelte di consumo, ma soprattutto di vita degli Italiani. Abitudini alimentari incluse.
Ecco qualche dato per descrivere il contesto attuale, estrapolato dalla ricerca che Cittadinanzattiva ha realizzato nell’ambito del progetto “Fasce deboli e servizi pubblici locali”1:
• una famiglia media italiana spende circa 14.845 euro l’anno, ai quali vanno aggiunte le spese per il cibo,
l’abbigliamento, il tempo libero, e altro, voci che assumono sempre più lo status di spese accessorie
• i dati Istat evidenziano che il reddito medio annuale netto è, per famiglia, di 29.956 euro. Il 39,5% dei
nuclei familiari non riesce a far fronte a spese impreviste e il 65,2% non riesce a risparmiare. Il 12%
ha bollette arretrate, il 5% è in ritardo con la rata del mutuo o dell’affitto, il 12% è in ritardo con il pagamento di altri debiti2.
La ricerca svolta da Cittadinanzattiva evidenzia le difficoltà delle famiglie italiane, ma anche l’insufficienza
e la debolezza delle misure ad oggi adottate a livello legislativo, per sostenere la famiglia media italiana,
divenuta negli anni sempre più un soggetto debole, stretta fra la crisi economica e il welfare nazionale non
più adeguato ad una società profondamente mutata.
Per far fronte a questa situazione, a livello di governo locale/territoriale, sono stati adottati alcuni provvedimenti che però si sono rivelati deboli, anacronistici e disomogenei e che, ad esempio, hanno ignorato le
nuove categorie di soggetti deboli, quali ad esempio gli immigrati.
In questo quadro, è emerso in maniera chiara che è proprio la famiglia ad esser diventata il soggetto debole
nel nostro Paese.
Si è creato un vero e proprio paradosso: le famiglie sono obbligate a finanziare i servizi sociali, ma questi
risultano insufficienti a tal punto che il cittadino, in alcuni casi, è costretto a ricercare soluzioni alternative ed
autonome; nascono così nuovi modelli di condivisione sociale e di risoluzione dei problemi.
1
I risultati della ricerca “Fasce deboli e servizi pubblici locali - quali tutele per una vita sostenibile delle famiglie” sono disponibili in http://www.
cittadinanzattiva.it/files/primo_piano/consumatori/fasce_deboli_servizi_pubblici_locali_presentazione.pdf
2
Istituto Nazionale di Statistica (Istat), Reddito e Condizioni di vita - Anno 2012, Roma, Dicembre 2013.
66
Qualche dato dall’Europa
I dati dell’indagine “Abitudini alimentari in Europa: acquisto e spreco di cibi freschi”3, possono stimolare
qualche considerazione sulle abitudini sul consumo di cibo, in Italia e non solo, in particolare:
• oltre la metà (58%) dei consumatori non consuma gli alimenti freschi che acquista ogni settimana, e
questo nonostante il 94% degli intervistati acquisti regolarmente ingredienti freschi per preparare i pasti
• utilizzare ingredienti freschi è importante, e circa un terzo degli Europei (il 33%) acquista cibi freschi più
di tre volte a settimana
• in Italia si acquistano più cibi freschi: quasi un quarto (il 23%) degli intervistati ha dichiarato di acquistare alimenti freschi almeno quattro volte a settimana. Sono seguiti da spagnoli, tedeschi, francesi e,
ultimi, gli inglesi: solo il 9% del campione del Regno Unito sarebbe disposto a fare la spesa quattro o
più volte a settimana.
Per quello che riguarda la propensione allo spreco, è emerso che:
• il 62% dei tedeschi getta cibo fresco nella spazzatura ogni settimana, aggiudicandosi il primo posto
nella classifica degli spreconi d’Europa, per il volume di alimenti freschi non consumati
• gli intervistati spagnoli sono invece al primo posto tra i risparmiatori, poiché il 50% degli intervistati non
getta mai cibo fresco. Anche gli italiani si distinguono per la loro parsimonia: il 42% della popolazione
non butta via cibo, inoltre le donne italiane sarebbero le più frugali d’Europa, poiché il 44% ha affermato
di non sprecare nulla, rispetto al 39% degli uomini
• in Italia la popolazione anziana è più attenta agli sprechi, poiché oltre la metà degli over 65 ha affermato
di non sprecare mai cibo fresco (rispetto al 28% dei giovani tra i 18 e 24 anni)
• in Francia si sprecano più soldi in cibo, nel senso che, in termini di valore economico del cibo sprecato, il
26% degli intervistati francesi afferma di sprecare 250 mila euro di cibo fresco ogni anno, che equivale
a circa 15 mila euro nell’arco di una vita.
Il comportamento dei consumatori in Italia
Cosa succede in Italia? Gli italiani hanno tagliato i consumi alimentari? Strette nella morsa della crisi, le famiglie italiane hanno ridotto la spesa per il cibo del 4% nel 2012 e di un ulteriore 2,9% nei primi tre trimestri
del 2013. Nell’ultimo anno la spesa per l’acquisto di generi alimentari ha registrato un calo del 3,3% (e nel
2012 era già diminuita del 2,8%). Più di tre quarti degli italiani intervistati acquistano alimenti confezionati
La ricerca è stata promossa da Panasonic nel 2013 e realizzata da ICM, su un campione di 5.000 soggetti distribuiti in 5 Paesi d’Europa,
per indagare sulla propensione all’acquisto di cibi freschi e al possibile spreco di questi alimenti. Per approfondimenti, si rimanda a http://www.
greenstyle.it/wp-content/uploads/2014/02/Infpgraphic_Fresh-food-hanits_ITA_MR.pdf
3
67
e/o in scatola a marchio: nel 2012 la produzione in questo settore è cresciuta del 5,3% in termini di volume
e il fatturato ha registrato un +2,1%, con un introito di quasi 7 miliardi di euro4.
Se la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) si conferma il punto vendita preferito per la spesa alimentare
(il 52% dalle famiglie afferma di fare la spesa prevalentemente o esclusivamente in un supermercato, ipermercato o discount), l’altra quasi metà di italiani preferisce acquistare nei mercati rionali o nei piccoli negozi.
Al momento dell’acquisto, l’elemento che più influenza le scelte d’acquisto è, per il 42% degli intervistati, la
chiarezza delle informazioni, seguita dalle caratteristiche nutrizionali, criterio indicato dal 37% del campione.
Sono tre gli aspetti di maggior rilievo che emergono dall’osservazione dei consumi alimentari nazionali ed
europei degli ultimi anni:
• il cambiamento delle abitudini alimentari
• la costante diminuzione degli acquisti
• la rinnovata attenzione alla qualità degli alimenti.
Sul cambiamento dei consumi alimentari, oltre la crisi economica, secondo Cittadinanzattiva ha inciso la
consapevolezza acquisita dal consumatore sull’importanza della propria salute e sui fattori, in campo alimentare, che possono influenzarla; questa nuova consapevolezza può considerarsi la conseguenza diretta delle
campagne di comunicazione sulle emergenze di salute correlate all’alimentazione.
Dalla lettura critica di questi dati si potrebbe azzardare che il consumatore, dinnanzi alla crisi economica, ha
reagito seguendo direttrici differenti:
• subisce la crisi e si concentra sulle necessità di consumo effettive, con un’attenzione particolare all’impatto ambientale degli alimenti e agli imballaggi
• va alla ricerca delle offerte migliori nei vari punti vendita, con l’obiettivo di mantenere la qualità e la
tipologia degli alimenti acquistati
• cambia completamente paradigma, partecipando ad esempio a Gruppi di Acquisto Solidali oppure andando alla ricerca delle produzioni agricole locali.
Insomma, le necessità di risparmio da un lato e la ricerca della qualità dall’altro rimangono ancora, nonostante la crisi economica, le due principali componenti di scelta negli acquisti alimentari.
Come sostiene Giampaolo Fabris, “la società della post-crescita ci sta portando, anche attraverso esperienze
Censis-Cia, Un futuro per l’Italia: perché ripartire dall’agricoltura, Roma, Maggio 2014. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=120949
4
68
come quelle che stiamo vivendo oggi, verso modelli di consumo più responsabili e sostenibili”5.
Purtroppo però questi modelli di consumo non sono sostenibili per tutti e rischiano di spaccare la società in
due parti: chi può permettersi cibo di qualità a costo elevato e chi è costretto a mangiare prodotti low cost,
spesso non sicuri.
Una terza via è possibile, a metà tra le prime due? Si, ad esempio con le filiere territoriali attrezzate, tramite
le quali il consumatore riesce ad acquistare alimenti sicuri e tracciabili. Si pensi alle denominazioni di origine
italiana ed europee (DOP, IGP, etc.).
Un altro esempio è rappresentato dai Gruppi di Acquisto Solidali (GAS). Sono formati da consumatori che
scelgono di acquistare le materie prime alimentari direttamente da chi li produce. Questo consente alle
aziende agricole di ottenere maggiori guadagni, e ai consumatori di acquistare il cibo a costi minori. La
convenienza deriva dal fatto che i prodotti sono acquistati all’ingrosso, da aziende locali (e quindi con minori
costi di trasporto) e senza alcuna intermediazione. I GAS sono una forma di “filiera corta” in cui i passaggi
dal campo alla tavola sono ridotti al minimo.
Un altro esempio è costituito dai farmers’ market italiani, che rappresentano un’esperienza significativa
anche sotto il profilo della sua diffusione sul territorio nazionale. Qui la vicinanza spaziale tra produzione e
consumo si concretizza nell’incontro presso un luogo dedicato. Ancora, è possibile risparmiare sulla spesa
alimentare acquistando i prodotti on line: si tratta di un modo interessante per moltiplicare offerta, informazione e comunicazione.
Qualche proposta per il futuro: sharing economy e una nuova idea di comunità
Ormai è comune sentir parlare di sharing economy, quasi una moda.
La sharing economy comporta un nuovo modo di organizzare domanda ed offerta, nel quale le persone
contano molto di più. Non vale il modello tradizionale che distingue tra produttori e consumatori, ma i soggetti che partecipano si mettono sullo stesso piano, si scambiano beni e servizi sulla base di reciproche
promesse, che diventano penalità nel caso in cui non vengano mantenute. In sintesi, la sharing economy
consiste nella possibilità di utilizzare un bene senza doverlo necessariamente acquistare o, come nel caso
degli alimenti, condividendolo con altri fin dalle fase della produzione.
5
Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Edizioni Franco Angeli, 2010.
69
Per molti studiosi questo cambiamento di paradigma pone in discussione consolidati modelli economici, in
quanto può segnare il passaggio dalla cultura del “possesso di beni e servizi alla condivisione”6.
I nuovi paradigmi di consumo degli alimenti coinvolgono anche la prima colazione, oggetto di questa pubblicazione, al pari degli altri pasti consumati nel corso della giornata.
Prima colazione e nuovi comportamenti di consumo
Secondo un’indagine dell’Associazione Difesa e Orientamento Consumatori (ADOC), nel 2012 sono aumentati i costi della prima colazione, sia quella al bar (5,1% rispetto al 2011) che quella preparata a casa
(4,6%)7. Mangiare a casa al mattino conviene ancora, poiché il costo della prima colazione al bar è circa
720 euro l’anno, mentre per la prima colazione a casa si spendono 240 euro all’anno.
Per quanto riguarda le abitudini, negli ultimi 10 anni, come descrive l’indagine Doxa “Io comincio bene”
commissionata da AIDEPI (Associazione Italiana Industrie della Pasta e del Dolce), è diminuito il numero di
quanti fanno la prima colazione: dal 92% si è scesi all’86%, mentre sono quasi raddoppiati quelli che la
saltano, definiti breakfast skipper.
Dal lato degli esercenti, molti si sono attrezzati per far fronte alla crisi economica. Ad esempio, sono sempre
di più i bar che offrono ai propri clienti la possibilità di acquistare “abbonamenti” per la prima colazione, dei
veri e propri pacchetti (10, 20 colazioni) che consentono al gestore del bar di avere un guadagno certo, e al
cliente di risparmiare.
E la GDO? Anzitutto sono aumentate le offerte commerciali sui prodotti per la prima colazione, ma non solo.
Molte catene di supermercati hanno intrapreso iniziative per educare in maniera specifica sull’importanza
della prima colazione, che diventano delle vere e proprie attività di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI):
giochi interattivi, test e tanti altri modi per migliorare la consapevolezza dei consumatori.
Sono molti i Gruppi di Acquisto Solidale che offrono la possibilità di acquistare alimenti che siamo soliti
mangiare al mattino: il latte (esistono anche dei GAS specifici per l’acquisto del latte in polvere), le marmellate fatte in casa, lo yogurt, la frutta di stagione, il cacao solubile, etc. La prima colazione, attraverso nuovi
Per approfondimenti si rimanda, ad esempio, a Fenomenologia della sharing economy, perché questo modello è vincente, in http://www.
startmag.it/canali/economia-start-up/410-fenomenologia-della-sharing-economy-perche-questo-modello-e-vincente
7
Per approfondimenti si rimanda a Adoc: colazione con la crisi, più amaro il caffè del mattino, in http://www.helpconsumatori.it/acquisti/adocla-colazione-con-la-crisi-piu-amaro-il-caffe-del-mattino/41880
6
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comportamenti di consumo e di vita di comunità, può diventare, ad esempio, un momento per apprendere i
luoghi di provenienza degli ingredienti alimentari, per conoscere e sperimentare anche le preparazioni casalinghe, per condividere nuovi modelli di socialità, sia per gli adulti che per i più piccoli. Insomma, attraverso
il cibo reinventarsi in mezzo agli altri e con gli altri, riscoprendo il piacere anche della condivisione collettiva,
di saperi, riflessioni e difficoltà. I GAS non sono soltanto un modo per acquistare bene e a meno, sono anche un’occasione per socializzare con persone che spesso abitano nel nostro stesso quartiere, ma che non
avremmo mai conosciuto in altro modo! Quindi dai GAS possono nascere nuove conoscenze, amicizie, ma
anche reti di reciproco aiuto, etc.
Allora sì, con la crisi economica, si potrà affermare che i cittadini-consumatori avranno maturato una rinnovata capacità di reazione e di volgere il mutamento a proprio vantaggio.
Punti principali
• La crisi economica ha modificato le abitudini di consumo in Italia e in Europa. Due le attuali tendenze:
si consuma in maniera più oculata, ma con un’attenzione particolare alla qualità, oppure si acquista la
stessa quantità di cibo ma low cost. In generale poi si spreca di meno
• Si sono diffuse forme di scambio/acquisto alternative al commercio tradizionale: Gruppi d’Acquisto
Solidali, farmers’ market, sharing economy. Si tratta di iniziative impostate sul principio della filiera
alimentare corta, che permettono risparmi perché il rapporto tra produttore e consumatore è diretto.
Proposte
• La crisi economica può trasformarsi in un’occasione per il consumatore di maturità e di acquisizione
della consapevolezza; è più attento a non sperperare le proprie risorse e a consumare bene. Dovrebbero
essere incoraggiate, sia con misure a livello di governo locale che centrale le nuove forme di scambio,
quali i GAS o i farmers’ market
• Le Istituzioni e gli altri soggetti coinvolti, quali il mondo dell’associazionismo, dovrebbero mettere in atto
ulteriori azioni per ridurre al minimo gli sprechi alimentari. Incoraggiare l’abitudine alla prima colazione,
e quindi evitare di acquistare fuori casa snack o altri cibi, potrebbe essere un buon sistema per risparmiare e per salvaguardare la propria salute.
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Conclusioni
a cura del Comitato di Presidenza BCI e di tutti i Soci autori
In questo Documento il BCI ha voluto evidenziare luci ed ombre della sostenibilità, con le caratteristiche che
ci contraddistinguono: il nostro focus di studio, ovvero la prima colazione, e la multidisciplinarietà dei punti
di vista illustrati.
Abbiamo cercato di comprenderne il significato autentico e la portata reale; non si tratta di un concetto né
astratto né irraggiungibile, ma semplice, per tutti noi. Con piccoli gesti quotidiani possiamo contribuire a far
sì che diventi realtà, piano piano, a partire dalla prima colazione.
Le nostre abitudini alimentari del mattino - cosa mangiamo e come - possono essere un elemento concreto
per il rispetto del Pianeta e per il benessere individuale e collettivo, nel senso più ampio possibile. Sostenibilità, in questo Documento, significa ambiente, società, salute, bilancio familiare, etc.
Lo sforzo che ognuno può profondere è tanto, e dalla somma dei comportamenti individuali apparentemente
poco significativi può nascere un’azione collettiva determinante. Ma la spinta a far ciò deve essere incoraggiata dalle Istituzioni e da ogni attore influente, dalle associazioni consumatori a quelle di advocacy, dal
mondo scientifico, etc.
Il Club ha individuato una serie di soluzioni possibili a partire dalle quali è possibile instaurare circoli virtuosi
di sostenibilità.
Dal Capitolo a firma di Paola Nardone, Marta Buoncristiano e Giovanni Baglio abbiamo compreso che le abitudini sulla prima colazione non sono così dissimili tra bambini figli di donne italiane e straniere, con pregi e
difetti. I dati a disposizione oggi non sono molti, e quindi il BCI propone che la ricerca scientifica prosegua nel
verificare l’evoluzione del comportamento alimentare degli stranieri in Italia, a partire dalla prima colazione,
per capire se le differenze culturali si annullano dinnanzi alle abitudini a tavola, e diventano anche fautrici di
una convivenza serena e di un’integrazione non solo possibile, ma naturale.
Lucrezia Lamastra propone di individuare un criterio anche per misurare l’impatto ambientale degli sprechi
alimentari. Questo è un terreno ancora poco esplorato dal mondo scientifico, perché non provare a partire
dal cibo che gettiamo al mattino?
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A proposito di cibo sprecato, Giovanna Cecchetto apre una prospettiva molto interessante sulla ristorazione
collettiva: se mangiamo bene al mattino, con una prima colazione equilibrata, non avremo bisogno di spuntini
a metà mattinata che per la fame diventano veri e propri pasti, e così arriveremo al pranzo a mensa con il
giusto appetito e non lasceremo avanzi. In tempi di crisi economica però, tra le famiglie meno abbienti, la
prima colazione comincia ad essere sempre più un pasto sacrificato. I bambini arrivano a scuola digiuni dalla
cena della sera precedente, e non hanno la giusta energia per sostenere le attività della mattina.
Per rimediare in alcune scuole, ad esempio nel Regno Unito ma anche in Italia, si va diffondendo questa
pratica, offrono la prima colazione a mensa.
Di sostenibilità economica ci ha parlato anche Cittadinanzattiva, che ha illustrato come la crisi economica
ha ingenerato pratiche positive di condivisione: dai Gruppi di Acquisto Solidali (GAS) alla sharing economy.
Ha inoltre ribadito l’importanza della prima colazione per la sostenibilità dei nostri bilanci familiari, poiché
consumare una prima colazione adeguata evita gli attacchi di fame e quindi ci consente di risparmiare in
snack ed altri fuoripasto.
Ariela Mortara ci ha raccontato vizi e virtù di comunicare la sostenibilità, ed ha evidenziato la nuova tendenza,
a nostro avviso da incoraggiare, da parte delle aziende di educare il consumatore ad essere lui per primo
responsabile, con una serie di messaggi sulla sostenibilità.
La prima colazione può diventare insostenibile per i celiaci che si trovano ad affrontare le conseguenze
negative del diffondersi dalla moda del senza glutine soprattutto negli ultimi anni, anche grazie alla velocità
con la quale Internet e i social media possono diffondere le informazioni. Questo vale però anche in positivo:
ad esempio, grazie ad Internet i (veri!) celiaci possono reperire informazioni, proprio nel caso della prima
colazione, su dove poter mangiare al mattino in sicurezza o su quali sono gli alimenti giusti per loro.
Agostino Macrì, voce importante delle associazioni consumatori, ci ha aiutati a far chiarezza sugli indicatori della
sostenibilità degli alimenti, e chiede - è un appello al quale ci uniamo! - maggiore chiarezza per i consumatori.
Ambrogina Pagani ci ha illustrato come la ricerca tecnologica sugli alimenti per la prima colazione, in particolare quelli derivati dai cereali, stia fornendo il suo contributo alla sostenibilità con la produzione di alimenti
funzionali per coniugare salute e gusto, e suggerisce, nello specifico per il primo pasto del mattino, di valorizzare i sottoprodotti della lavorazione dei cereali, quali il germe e la crusca.
73
Marco Sachet ci ha aiutato a comprendere che non si può parlare di sostenibilità degli alimenti a prescindere dal modo nel quale vengono confezionati e preservati dal deterioramento e dagli agenti ambientali.
Bisognerebbe rendere più palese il contributo alla sostenibilità del packaging, e diffondere informazioni che
consentano superare i preconcetti e di non arrivare a conclusioni affrettate sugli imballaggi.
Ecco allora il nostro decalogo di proposte per una colazione sostenibile:
1.Più studi su alimentazione e multiculturalità, per capire se e come sono cambiate le abitudini delle
popolazioni migranti per la loro prima colazione
2.Creare sistemi di certificazione di RSI per le aziende, per evitare il greenwashing
3.Aumentare l’offerta della prima colazione nelle mense scolastiche
4.Approfondire la ricerca scientifica sui derivati dei cereali (es. il germe e la crusca) per coniugare
Salute e Gusto
5.Più studi sulla Gluten Sensitivity, con un focus sulla prima colazione, e più impegno delle Istituzioni per
sensibilizzare ai pericoli delle mode alimentari
6.Diffondere la conoscenza sul contributo del packaging alimentare per la sostenibilità
7.Stabilire un sistema multidisciplinare per un corretto calcolo dell’impronta ambientale degli alimenti
8.Aumentare i GAS e le altre forme di economia condivisa per ammortizzare quanto possibile le conseguenze negative della crisi
9.Aumentare l’offerta e l’informazione ai consumatori su come fare una prima colazione sostenibile nella
GDO, bar, etc.
10.Diffondere la conoscenza sui benefici per la salute del consumo di alimenti integrali e/o funzionali, comunicando che è anche un gesto di responsabilità verso l’Ambiente.
Speriamo che le osservazioni e i suggerimenti di questo terzo Documento del Club siano accolti dalle Istituzioni competenti, e da tutti gli altri soggetti in grado di mobilitare le opinioni.
74
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Breakfast Club Italia®
Finito di stampare in Roma, Gennaio 2015
Stampato grazie a Kellogg Italia
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