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Le novità dell`espropriazione presso terzi SOMMARIO: 1. Premessa

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Le novità dell`espropriazione presso terzi SOMMARIO: 1. Premessa
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ACHILLE SALETTI
Le novità dell’espropriazione presso terzi
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La PEC quale mezzo per procedere alla dichiarazione del terzo –
3. Le modifiche all’art. 548 c.p.c.: la nuova valenza della mancata dichiarazione del terzo.
- 4. L’ambito di applicazione della non contestazione e le sue ricadute sul procedimento
espropriativo. – 5. I limiti e la stabilità del riconoscimento “presunto”. – 6. I problemi in
tema di riunione di procedure e di impignorabilità. – 7. Il “nuovo” accertamento
dell’obbligo del terzo. – 8. Considerazioni conclusive.
1. – Alla vigilia di Natale 2012, a brevissimo tempo dall’ultima modifica (1), il legislatore
è nuovamente intervenuto sul codice di procedura civile, evidentemente non pago delle innovazioni apportate al processo civile nei mesi precedenti dell’anno 2012 (2). La legge di “stabilità”
(3) ha così contribuito ad aumentare “l’instabilità” del codice di rito, del quale, ormai, è necessario acquistare una nuova copia almeno bimestralmente (se non più di frequente), quasi fosse un
periodico, per tentare di essere aggiornati.
Le modifiche introdotte da detta legge, in materia processuale, sono numerose, ma qui vale la pena di occuparsi di quelle apportate all’espropriazione presso terzi, la quale è stata incisa
in maniera estremamente rilevante dal recente provvedimento normativo. Sono stati, infatti,
modificati gli artt. 543, 2° comma, 547, 1° comma, 548 e 549 c.p.c. Mentre per le prime due disposizioni si tratta di una semplice mise à jour, in relazione all’evoluzione in senso telematico
del processo civile, per le ultime due, integralmente riformulate, la situazione è molto diversa:
l’intervento in questione muta sostanzialmente la posizione del terzo, nel quadro di questa procedura.
Insomma, dopo il sostanzioso intervento effettuato con le riforme del biennio 2005-06,
l’espropriazione presso terzi cambia di nuovo faccia e in maniera ancor più radicale di quanto
avvenne a seguito di quelle riforme: è presto per dire se in meglio o in peggio, ma quel che si
può sicuramente affermare, senza tema di smentite, è che la posizione del terzo è sempre più delicata.
Se Stein lo definiva come “la persona più di ogni altro degna di essere compianta nel nostro mondo giuridico” (4) e Colesanti osservava, in merito a tale rilievo, che “è sufficiente riflettere brevemente sui vari doveri ed oneri imposti dalla nostra legge al terzo nel corso del procedimento (esecutivo, o anche cautelare) che si svolge presso di lui, e sottolineare i gravi pericoli
vuoi della mora vuoi di un duplice pagamento, per convincersi che nemmeno da noi la situazione del terzo debitore deve ritenersi invidiabile” (5), bisogna concludere che queste affermazioni
sono ancor più vere dopo la recente riforma. L’esigenza di salvaguardare gli interessi del terzo
sembra essere stata totalmente assente nelle considerazione del legislatore.
(1) L. 17 dicembre 2012, n. 221 (che ha convertito il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179).
(2) Principalmente con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, ma anche
(senza pretesa di completezza) con l. 27 gennaio 2012, n. 3; l. 17 febbraio 2012, n. 10 (che ha convertito il D.L. 22 dicembre 2011, n. 212); l. 24 marzo 2012, n. 27 (che ha convertito il D.L. 24 marzo 2012,
n. 1); l. 18 maggio 2012, n. 62 (che ha convertito il D.L. 24 marzo 2012, n. 29); l. 28 giugno 2012, n.
92; oltre che con la già citata l. 17 dicembre 2012, n. 221.
(3) L. 24 dicembre 2012, n. 228.
(4) Grundfragen der Zwangsvollstreckung, Tubinga, 1913, 24 (la traduzione è di V. Colesanti, Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, I, Milano, 1967, 1).
(5) Il terzo debitore, cit., I, 2.
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2. – Come dicevo, le modifiche degli artt. 543 e 547 c.p.c. non sono di particolare rilievo,
dal punto di vista sistematico: in entrambe le disposizioni, la legge riformatrice ha disposto che
la comunicazione del terzo tramite la posta elettronica certificata sia equipollente a quella effettuata tramite raccomandata. Si è voluto cosi cercare di agevolare la posizione del terzo, fornendogli un mezzo particolarmente semplice per rendere la propria dichiarazione.
In conseguenza, l’atto di pignoramento deve oggi contenere l’avviso che la dichiarazione
del terzo può essere fatta, alternativamente alla posta raccomandata, a mezzo di posta elettronica
certificata, ovviamente nel caso non si tratti di crediti di cui all’art. 545 c.p.c. (art. 543, 2° comma, n. 4, c.p.c.); e l’art. 547, 1° comma, c.p.c. sancisce la medesima regola, con riferimento alla
dichiarazione da effettuarsi dal terzo.
Sempre intervenendo sull’art. 543, 2° comma, c.p.c. la riforma ha modificato anche il n.
3, stabilendo che nell’atto di pignoramento va indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata
del creditore procedente; premessa necessaria onde il terzo possa procedere alla comunicazione
tramite PEC (6).
Per il resto, la situazione rimane immutata: nulla cambia con riferimento alle situazioni in
cui è possibile la dichiarazione solo all’udienza e quella in cui è possibile a mezzo posta, sia essa cartacea o telematica; né quanto al momento rilevante per la determinazione dei beni complessivamente pignorati, che è sempre quello dell’udienza, con la correlativa esigenza che il terzo compaia per integrare la propria dichiarazione, qualora vi siano dei fatti sopravvenuti rispetto
alla situazione dichiarata per posta raccomandata o certificata (7).
V’è solo da domandarsi quali siano le conseguenze della mancata indicazione
dell’indirizzo di posta elettronica certificata nell’atto di pignoramento, ai fini della procedura
esecutiva. La risposta deve essere nel senso che l’atto di pignoramento è comunque valido in
difetto dell’indirizzo di PEC, non ricorrendo nessuno dei casi di nullità di cui all’art. 156 c.p.c.;
né tale mancata indicazione fa venire meno il diritto del terzo ad effettuare la propria dichiarazione in via telematica, individuando, a sue cure, l’indirizzo PEC del procedente.
Ancorché quest’ultimo adempimento non appaia particolarmente oneroso in termini operativi – essendo per gli avvocati, ad es., l’indirizzo PEC normalmente pubblicato dai singoli ordini di competenza - è facile, però, immaginare che in tali ipotesi il terzo ricorrerà alle forme
consuete, quelle cartacee, per rendere la propria dichiarazione, frustrando, almeno in parte,
l’intento del legislatore a favore della scelta informatica nel processo civile. Forse sarebbe stato
meglio sanzionare specificamente l’omissione dell’indirizzo di posta elettronica certificata. Comunque, si tratta di questione di dettaglio.
3. – Passando alle questioni di sostanza, bisogna analizzare, in primo luogo, l’art. 548
c.p.c. La sua essenziale caratteristica odierna si può riassumere nel rilievo che il silenzio o
l’assenza del terzo all’udienza per rendere la propria dichiarazione hanno assunto un significato
ed una portata antitetica a quella avuta sino ad oggi. Infatti, la mancata dichiarazione del terzo,
che è sempre stata, nella vigenza dell’odierno codice, circostanza tale da impedire il perfezionamento del pignoramento per difetto di oggetto (salva la possibilità di procedere ad instaurare
il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo), ha acquistato, a seguito della recente riforma,
una portata totalmente opposta: il silenzio del terzo vale come riconoscimento della debenza
delle somme indicate dal creditore o della sussistenza delle cose pignorate.
Insomma, la situazione si è capovolta rispetto al passato. La mancata dichiarazione del
terzo è divenuta oggi un riconoscimento dell’esistenza dei beni indicati dal creditore nel suo atto
di pignoramento.
(6) Tale indirizzo non dovrà essere necessariamente quello della parte, ma potrà essere anche quello
dell’avvocato che l’assiste.
(7) In proposito mi permetto di rinviare al mio scritto L’espropriazione presso terzi dopo la riforma, in
questa Rivista, 2008, 283 ss.
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Da questo punto di vista, il peggioramento della situazione in cui si trova oggi il terzo rispetto alla situazione precedente non potrebbe essere più evidente. Se, per citare ancora Colesanti, si tratta di “una questione di misura, più precisamente di valutare come e in quale misura
gli interessi del terzo debitore sono tenuti presenti nella disciplina legislativa” (8), qui bisogna
dire che tali interessi appaiono assolutamente obliterati e che la posizione sostanziale del terzo –
è egli effettivamente debitore nei confronti del soggetto esecutato oppure no? – perde ogni rilevanza di fronte alla disciplina processuale, che può trasformare in un debitore quel terzo che non
lo è affatto, per il semplice fatto che non ha reso, scientemente o inscientemente, la propria dichiarazione. Un effetto pari a quello della cosa giudicata, che si forma però dopo un procedimento che presenta ben altre garanzie.
Venendo all’iter processuale, il novellato art. 548 c.p.c. dispone diversamente per il caso
che la dichiarazione concerna i crediti di cui all’art. 545, 3° e 4° comma, oppure cose o altri crediti.
Con riguardo alla prima ipotesi, il riformulato 1° comma di detta norma prevede che
“quando il terzo non compare all’udienza stabilita, il credito pignorato, nei termini indicati dal
creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata
sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553”.
Per le situazioni diverse da quelle testé considerate, il 2° comma statuisce, invece, che il
giudice deve fissare una nuova udienza, qualora il creditore gli renda noto, all’udienza, che non
ha ricevuto la dichiarazione del terzo. La relativa ordinanza va poi notificata al terzo almeno
dieci giorni prima della nuova udienza (art. 548, 3° comma). A quest’ultima, se il terzo compare
e rende la propria dichiarazione, in giudice procederà in funzione del contenuto di questa a dare
i conseguenti provvedimenti. Se, invece, il terzo non compare “il credito pignorato o il possesso
del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato a norma del primo comma” (art. 548, 3° comma, c.p.c.).
La nuova previsione normativa si conclude con un comma – il 4° - che vale per entrambe
le situazioni testé considerate: “Il terzo può impugnare nelle forme e nei termini di cui
all’articolo 617, primo comma, l’ordinanza di assegnazione dei crediti adottata a norma del presente articolo, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”.
Questo essendo il nuovo contesto normativo, numerosi sono i dubbi che si presentano.
Anzitutto ci si deve interrogare sul perché del diverso regime previsto per i crediti di cui
all’art. 545, 3° e 4° comma, c.p.c., da un lato, e di quello valido per tutti gli altri crediti e le cose
che possono essere aggrediti con il pignoramento presso terzi, dall’altro. Nell’un caso, infatti, è
indicativa della non contestazione del terzo la sua mancata presenza all’udienza, nell’altro, invece, non basta il mancato invio della comunicazione reso noto dal creditore procedente
all’udienza di “propalazione”, ma si richiede la fissazione di un’ulteriore udienza per verificare
il comportamento del terzo.
Non sembra, però, che tale disparità di regime possa essere tacciata di irragionevolezza.
L’esigenza di fissazione di una nuova udienza nel caso disciplinato dal 2° comma del nuovo art.
548 c.p.c. nasce esclusivamente dal fatto che, in queste situazioni, della mancata dichiarazione
del terzo – da inoltrarsi al creditore procedente - il giudice non ha cognizione diretta, le sue uniche informazione derivando da quanto gli dichiara all’udienza il creditore medesimo; dichiarazione, però, che potrebbe essere mendace (si pensi al caso di dichiarazione negativa del terzo,
che il creditore potrebbe essere interessato a “trasformare” in positiva, grazie al meccanismo
della non contestazione, dichiarando che la stessa non gli è pervenuta) o comunque inesatta. Per
prevenire questi inconvenienti il legislatore ha voluto, correttamente, che la non contestazione
sia verificata direttamente dal giudice. Sicché laddove la comparizione del terzo all’udienza di
“propalazione” non sia prevista, questa deve venir rinviata, di modo che il giudice possa consta(8) Il terzo debitore, cit., I, 2.
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tare direttamente quale sia il comportamento del terzo alla nuova udienza fissata ad hoc.
Se da questo punto di vista il meccanismo legislativo appare razionale, molto più perplessi lascia il fatto che la norma novellata non abbia previsto in alcun modo che il terzo venga informato delle conseguenze della sua mancata comparizione all’udienza così (ri)fissata. È facilmente immaginabile il caso di un terzo che possa - ad es., dopo avere effettuato una dichiarazione di tenore negativa, la cui esistenza, per i più vari motivi, non sia stata resa nota al giudice (9) ritenere superflua la sua comparire alla nuova udienza fissata ai sensi del 3° comma dell’art. 548
c.p.c., la cui finalità ignora; così incorrendo nelle serie conseguenze previste da detta norma.
Ma anche senza voler immaginare una situazione di questo tipo, non si comprende perché
il terzo debba avere un trattamento deteriore rispetto al convenuto nel processo di cognizione.
Se l’art. 163, 3° comma, n. 7, c.p.c. prevede che il convenuto debba essere avvertito delle conseguenze della sua mancata costituzione tempestiva, se l’ingiunto deve essere avvertito della
possibilità di fare opposizione (art. 640, 1° comma, c.p.c.), se l’intimato di sfratto deve essere
informato che la sua mancata comparizione comporterà la convalida del provvedimento contro
di lui richiesto (art. 660, 3° comma, c.p.c.), perché mai il terzo – che non è neppure parte
dell’espropriazione (10) - non deve essere informato che la mancata comparizione all’udienza
comporta la non contestazione di quanto affermato dal creditore procedente circa le somme di
cui è debitore o le cose che detiene?
Si tratta di una differenza di trattamento macroscopica, che è difficilmente giustificabile,
sicché non pare azzardato ipotizzare un dubbio di legittimità costituzionale nella prospettiva degli artt. 3, 24 e 111 Cost., per difetto di un’adeguata formulazione del 3° comma dell’art. 548
c.p.c., che al momento si limita a disporre la pura e semplice notificazione al terzo
dell’ordinanza che fissa la nuova udienza, senza prevedere che vengano esplicitate la portata e
le conseguenze della sua mancata comparizione.
Analoghe considerazioni valgono per il caso considerato dal 1° comma dell’art. 548 c.p.c.
Benché in esso non sia prevista la comunicazione con raccomandata, e quindi la situazione sia
più lineare dal punto di vista degli obblighi del terzo, il radicale cambiamento di prospettiva introdotto da detta disposizione circa gli effetti della mancata dichiarazione di questo soggetto avrebbe dovuto imporre sul punto la massima cautela, con un riformulazione dell’art. 543, 2°
comma, n. 4, c.p.c., per dare conto delle conseguenze della mancata comparizione alla udienza.
Altro dubbio concerne l’esatta portata della formula “non contestato” contenuta nelle
nuove disposizioni. Su di essa si potrebbe discettare a lungo, visto che l’obbligo di contestazione gravava, sino ad oggi, sulla controparte nel processo (11) e non su un soggetto che del proces-
(9) Ad es., anche senza voler immaginare il mendacio del creditore procedente, perché lo stesso non ha
ricevuto la comunicazione, non essendogli pervenuta, o perché l’ha smarrita.
(10) Che il terzo pignorato non sia parte del procedimento di espropriazione presso terzi, è assolutamente
pacifico: cfr., in giurisprudenza, Cass. 5 giugno 2007, n. 13069, in Guida al diritto, 2007, 32, 57; Cass.
16 settembre 2005, n. 18352; Cass., S.U., 18 dicembre 1987, n. 9407; Cass. 9 febbraio 1981, n. 798; e,
in dottrina, B. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, II ed., Torino, 2012, 201 s.; A. Frisullo, Il terzo, in Le espropriazioni presso terzi, opera diretta da F. Auletta, Bologna, 2011, 97; A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, III ed., Padova, 2012, 568 ss., ove riferimenti a conforme dottrina.
(11) Nel senso che la non contestazione “trovi la sua radice nei poteri di disposizione di cui è dotata la parte nel processo”, v. B. Ciaccia Cavallari, La contestazione nel processo civile, II, Milano, 1993, 88. In
argomento cfr. anche A. Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano,
1995, passim, il quale mette in luce, con una ampia analisi storica, i fondamenti di tale principio, sempre collegato ai doveri delle parti. Sul principio della non contestazione v., da ultimo, F. De Vita, Non
contestazione (principio di), in Digesto delle discipline privatistiche – Sezione civile, Aggiornamento
V, Torino, 2010, 832 ss., e Onere di contestazione e modelli processuali, Roma, 2012, che pure configura il principio di non contestazione come operante solo per le parti del giudizio (151 ss.). In giurisprudenza cfr., sul rapporto tra principio dispositivo e onere di contestazione, Cass., S.U., 23 gennaio
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so parte non è, come il terzo debitore, ma nell’intento legislativo tale formula sembra dover
coincidere con quella di “riconoscimento” da parte del terzo di quanto affermato dal creditore
(12). V’è solo da domandarsi, visto l’andazzo legislativo, quali potrebbero essere le future applicazioni del principio qui affermato: forse stabilire che il testimone che non compare “non
contesta” i capitoli che dovrebbe confermare?
4. – Ma a questi dubbi, molti altri se ne aggiungono.
Il primo concerne l’esatto ambito in cui può operare la non contestazione.
L’art. 548, 1° comma, c.p.c., antecedentemente alla riforma considerava separatamente
l’ipotesi di mancata comparizione del terzo da quella del terzo che comparisce all’udienza e si
rifiuta di rendere la propria dichiarazione. Oggi, questa seconda possibilità non è presa in considerazione dal novellato art. 548, il quale disciplina solo il caso del terzo che non compare
all’udienza per rendere la propria dichiarazione; è dunque lecito domandarsi se, qualora il terzo
compaia all’udienza, ma non renda la propria dichiarazione, si applichi la regola della non contestazione sancita dalla nuova norma.
La risposta, a mio avviso, deve essere negativa, poiché tale estensione non pare accettabile. L’applicazione della regola della non contestazione introdotta dalle norme riformate ad un
soggetto che, come il terzo pignorato, non è parte del processo espropriativo in cui è chiamato a
rendere la propria dichiarazione, è eccezionale, sicché sembra da escludere la possibilità della
sua applicazione estensiva od analogica oltre i casi espressamente considerati.
Ma se la comparizione del terzo all’udienza senza, poi, effettuare la propria dichiarazione
si può considerare evento raro e quindi statisticamente irrilevante (resta il fatto che il codice del
1940 l’aveva puntualmente disciplinato, sicché non sarebbe stato difficile darsene carico anche
per il legislatore della novella), un’altra situazione problematica, quanto all’applicabilità della
regola della non contestazione, è destinata a manifestarsi assai più frequentemente nella realtà
quotidiana.
Essa nasce dalla difficoltà di raccordare la nuova regola con la genericità dell’atto di pignoramento.
Se tale atto indica specificamente il credito che si intende pignorare e il relativo importo,
nessun dubbio può aversi sull’oggetto della non contestazione. Nella realtà, peraltro, tale puntuale individuazione del bene che si vuole colpire esecutivamente si verifica di rado, essendo
normalmente gli atti di pignoramento generici, anzi estremamente generici. Questa indeterminatezza, in effetti, appare ammessa anche dal codice di rito - che richiede, nell’atto di pignoramento, “l’indicazione, almeno generica, delle cose e delle somme dovute” (art. 543, 2° comma, n. 2)
– ed è stata portata all’estremo dalla giurisprudenza, secondo la quale “tale indicazione può essere anche assolutamente generica, giustificandosi ciò con la difficoltà che ha il creditore procedente di conoscere i dati esatti concernenti tali somme o cose, a cagione della sua estraneità ai
rapporti tra debitore e terzo, e prevedendo il sistema tale genericità venga eliminata mediante la
dichiarazione che il terzo è chiamato a rendere a norma dell'art. 547 c.p.c.” (13).
Oggi, però, tale genericità può non essere più eliminata dalla dichiarazione del terzo, ove
questa si concreti in una non contestazione, sicché ci si deve interrogare se tale insegnamento
rimanga fermo, nel nuovo quadro normativo.
2002, n. 761, in Foro it., 2002, I, 2019, con nota di C.M. Cea, Il principio di non contestazione al vaglio delle sezioni unite.
(12) Sui rapporto tra non contestazione e riconoscimento, v. B. Ciaccia Cavallari, La contestazione nel
processo civile, cit., II, 30.
(13) Cass., 24 maggio 2003, n. 8239. In dottrina v., da ultimo, per una totale svalutazione dell’obbligo di
indicazioni dei beni da pignorarsi, G. della Pietra, Le vicende del pignoramento e dell’assegnazione dei
crediti, in Le espropriazioni presso terzi cit., 38, secondo il quale il requisito del n. 2 dell’art. 543 è
“privo di cogenza”.
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In linea di principio, si giustifica una risposta affermativa. Quando l’atto di pignoramento
viene redatto e notificato, la parte non è in grado di sapere quale sarà il comportamento del terzo, quindi se vi sarà una sua dichiarazione espressa o meno. Se non vi è ragione di discostarsi
dall’insegnamento tradizionale circa la (ammissibile) genericità dell’atto di pignoramento laddove la dichiarazione di terzo sia effettivamente resa, ciò vale anche nel caso di pignoramento
generico e di dichiarazione positiva del terzo meramente presunta. Non si può configurare, in
effetti, una nullità del pignoramento per incertezza assoluta del suo oggetto, vuoi in ragione del
fatto che la genericità del pignoramento è ammessa per legge, vuoi per il carattere sopravvenuto
ed eventuale di tale nullità, in ragione del comportamento del terzo, vuoi, infine, per il fatto che
l’individuazione dell’oggetto del pignoramento potrà sempre avvenire ai sensi dell’art. 549
c.p.c.
Ciò detto, una rilevante differenza sussiste, però, tra le due ipotesi testé considerate.
Nell’ulteriore corso del processo introdotto da un pignoramento generico, quando la dichiarazione non venga effettivamente resa, ma sia meramente presunta, non potrà operare la nuova regola della non contestazione, per difetto di oggetto della stessa. Non è dato immaginare, infatti,
cosa potrebbe assegnare o vendere il giudice dell’esecuzione quando rimanga incerto l’oggetto
del pignoramento e, quindi, dell’espropriazione presso terzi.
Ne consegue che la presunzione di riconoscimento rileva esclusivamente di fronte ad un
atto di pignoramento che indichi analiticamente i beni dovuti dal terzo; mentre laddove ciò non
sia (e manchi un’effettiva dichiarazione del terzo), nonostante il disposto del nuovo testo legislativo, la situazione oggettiva non consentirà al giudice dell’esecuzione di procedere ulteriormente.
L’aspetto più problematico attiene alla determinazione del grado di specificità dell’atto di
pignoramento, necessario perché possa funzionare il sistema di riconoscimento introdotto dal
legislatore. Se nessun dubbio può porsi di fronte ad un atto nel quale si proceda al pignoramento, per esempio, di “tutte le somme e le cose dovute da Tizio a Caio”, evidentemente inidoneo a
soddisfare la specificità necessaria per l’assegnazione o la vendita, incertezza può sussistere
qualora il creditore procedente individui il rapporto giuridico in ragione del quale il terzo è debitore nei confronti dell’esecutato, senza indicare la somma effettivamente dovuta.
Delle due soluzioni prospettabili - da un lato, inidoneità del riconoscimento ad operare, in
difetto di una completa individuazione da parte del pignorante del credito sottoposto ad esecuzione, anche per quanto concerne l’importo, dall’altro, idoneità della mancata dichiarazione del
terzo a permettere al processo espropriativo di proseguire - questa seconda mi pare preferibile,
per l’indubbia esistenza di uno specifico fatto ascritto al terzo, da questi non contestato. Ovviamente la non contestazione non potrà che operare nei limiti in cui è stato individuato dal creditore procedente l’ipotetico oggetto della sua espropriazione: ne consegue che la mancata comparizione del terzo opera il riconoscimento con riferimento all’esistenza del rapporto creditorio/debitorio, ma non quanto all’ammontare dovuto.
Non sembra possibile ritenere non contestata, alla luce dell’anzidetto comportamento omissivo del terzo, l’esistenza nel credito nei limiti della somma indicata dal pignorante quale
proprio credito o, addirittura, di questa somma maggiorata del 50%, ai sensi della previsione
dell’art. 546, 1° comma, c.p.c. Non vi è, infatti, alcun legame tra il credito enunciato dal pignorante – che costituisce la misura della sua pretesa esecutiva – e l’oggetto della dichiarazione del
terzo, che concerne la situazione debitorea del terzo.
Che l’oggetto dell’espropriazione venga determinato a seguito di una dichiarazione del
terzo o di un suo comportamento concludente, come l’omessa dichiarazione, non vale a modificare quello che è il tema dell’attività collaborativa richiesta a tale soggetto, cioè indicare se è
veritiera la situazione dei suoi rapporti con il debitore esecutato. È del tutto evidente che questa
situazione non ha alcun rapporto con quella che è la posizione creditoria del procedente.
Insomma, dall’individuazione, da parte di quest’ultimo soggetto, di un rapporto di debito/credito tra il terzo e il debitore esecutato, che deve ritenersi presuntivamente riconosciuto,
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nulla può desumersi circa il quantum dovuto in ragione di tale rapporto, tanto meno introdurre
un’equivalenza, sotto questo ultimo profilo, con il credito del pignorante. Il riconoscimento presunto del terzo concernerà l’esistenza del rapporto debitorio/creditorio (sia esso un rapporto di
lavoro, piuttosto che di deposito irregolare o di mutuo, ecc.), non certo l’ammontare delle somme dovute in ragione dello stesso.
Correlativamente, anche il provvedimento del giudice dell’esecuzione è condizionato dalla situazione così verificatasi, sulla quale dovrà modellarsi.
Il primo dubbio da risolvere, a questo proposito, è se il credito possa considerarsi immediatamente esigibile o non debba, invece, trovare applicazione la previsione del 2° comma
dell’art. 553 c.p.c. In difetto di ogni elemento in senso contrario, che avrebbe richiesto una dichiarazione espressa del terzo per manifestarsi, la soluzione pare dover essere quella
dell’immediata esigibilità, anche in sintonia con la previsione della prima parte del 1° comma
dell’art. 1183 c.c.
Conseguentemente l’assegnazione potrà essere disposta con riferimento al rapporto di cui
è stata riconosciuta l’esistenza, ma senza contenere l’indicazione della somma assegnata, similmente a quanto già avveniva quando tale provvedimento concerneva crediti di cui non era noto
il preciso ammontare, come, ad esempio, per il trattamento di fine rapporto. L’assegnazione,
quindi, avverrà fino a concorrenza del credito vantato dal creditore procedente, nella misura in
cui il debito del terzo sarà sussistente. Sarà poi il terzo - divenuto a questo punto debitore del
creditore procedente – che, di fronte alla pretesa di questi, potrà corrispondere solo la somma in
concreto dovuta; eventuali dissensi tra dette parti potranno trovare soluzione in un autonomo
giudizio, rappresentato da un’opposizione esecutiva piuttosto che da un processo di cognizione,
a seconda delle varie possibili situazioni.
Non sembra, al contrario, ipotizzabile la vendita del credito pignorato, quando questa sia
imposta dalla legge e sia rimasto ignoto l’ammontare del credito medesimo. Osta a questa soluzione il fatto che la vendita presuppone, da un lato, la determinazione del quantum del bene offerto al pubblico, che qui difetta; dall’altro richiede la determinazione del prezzo, parimenti impossibile da stabilire in mancanza della conoscenza dell’ammontare del credito che si mette in
vendita.
Qualora, poi, il pignoramento presso terzi colpisca cose del debitore che si trovano presso
il terzo, la nuova previsione sulla non contestazione trova, a mio avviso, ancor più limitata applicazione. Non sembra applicabile, infatti, il meccanismo del riconoscimento ad essa conseguente, se non nel caso di cosa individuata specificamente.
Il fatto che di questo bene deve essere possibile, in caso di vendita ex art. 552 c.p.c., la
stima e l’asporto, è indice della circostanza che un’individuazione generica del bene nell’atto di
pignoramento preclude la configurabilità della non contestazione, perché l’ipotetico riconoscimento non renderebbe tali attività possibili. Analogamente è a dirsi in caso di assegnazione:
l’art. 507 c.p.c. richiede che nell’ordinanza che la dispone vada indicato il bene assegnato, attività che non può realizzarsi se manca una descrizione dello stesso; né ne sarà possibile la consegna coattiva, imponendo l’art. 605 c.p.c. che l’atto di precetto, in questa procedura, contenga “la
descrizione sommaria dei beni” da consegnare. È evidente che un riconoscimento che non consentisse un’adeguata individuazione dei beni da sottoporre ad esecuzione, sarebbe privo di ogni
utilità.
In sostanza, l’individuazione dei beni mobili che risulta dall’atto di pignoramento, perché
possa operare il riconoscimento, dovrà contenere una descrizione dei beni stessi, ancorché
sommaria, secondo quanto richiede l’art. 605 c.p.c., ma tale da consentirne l’inequivoca identificazione.
5. – Bisogna, ora, interrogarsi sulla portata e la stabilità del riconoscimento “presunto”,
conseguente alla non contestazione prevista dalle nuove disposizioni.
Due le disposizioni che vengono in gioco. Una è contenuta nel 1° comma del novellato
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art. 548 c.p.c., laddove sancisce che la mancata comparizione all’udienza fa sì che il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato “ai fini del procedimento
in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione”. Identica regola vale, per
previsione del 3° comma di detta norma, laddove si tratti di pignoramento di crediti diversi da
quelli considerati dall’art. 545, 3° e 4° comma, c.p.c. o di cose. L’altra, è rappresentata
dall’ultimo comma del già citato art. 548, il quale ammette il terzo ad impugnare “l’ordinanza di
assegnazione di crediti adottata a norma del presente articolo, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore”.
Cominciando dall’art. 548, 1° comma, c.p.c., la parte iniziale della previsione non dà luogo a dubbi, sancendo il carattere tendenzialmente endoprocessuale della non contestazione, che
quindi è destinata a non poter essere invocata in altri procedimenti, cognitivi o esecutivi, diverso
da quelli in cui è intervenuta (salva l’eccezione di cui appresso).
Peraltro, il significato della disposizione sembra essere anche quello di “relativizzare” il
credito o la cosa oggetto dell’espropriazione presso terzi. In altre parole, il riconoscimento conseguente alla non contestazione pare operare con riferimento ad ogni singola procedura, in maniera del tutto indipendente dall’effettiva situazione debitoria del terzo. Concreta, cioè, il sorgere di un autonomo obbligo di detto soggetto in ogni procedimento espropriativa in cui la non
contestazione si sia avuta.
Tale conclusione sembra confermata da due dati.
In primo luogo, dal fatto che l’accertamento dell’obbligo del terzo avviene ormai, nella
prospettiva della riforma, solo incidenter tantum, come inequivocabilmente sancito dal novellato art. 549 c.p.c. Non venendo più in discussione l’effettiva situazione dei rapporti tra il debitore
esecutato e il terzo, quale esiste nella realtà, a prescindere dall’espropriazione che su di essi incide, da questa realtà si finisce con l’astrarsi.
Dall’altro, dalla seconda parte della disposizione in esame, che attribuisce alla non contestazione una valenza che supera i limiti del procedimento in cui è avvenuta, con riferimento alla
“esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione”.
Con questa previsione - che in14
direttamente avvalora ( ), in linea con il granitico orientamento della giurisprudenza sul punto
(15), la tesi dell’efficacia esecutiva, nei confronti del terzo, dell’ordinanza di assegnazione - il
legislatore ha sancito anche una deroga al carattere endoprocessuale della non contestazione, affermando che gli effetti della stessa si proiettano anche nell’eventuale processo esecutivo promosso in forza dell’ordinanza di assegnazione contro il terzo, divenuto, a questo punto, debitore
diretto dell’originario creditore. Con il che il legislatore sembra affermare che l’ordinanza di assegnazione non può essere messa in discussione in ragione delle modalità della sua formazione
– cioè, per il fatto di derivare non da un riconoscimento effettivo, ma meramente presunto – nel
processo esecutivo mobiliare, immobiliare o presso terzi instaurato contro il nuovo debitore, olim terzo pignorato, in forza dell’ordinanza di assegnazione pronunciata sulla base della sua non
contestazione.
Tali conclusioni trovano conferma nell’altra previsione di cui ho detto sopra, cioè quella
contenuta nell’ultimo comma dell’art. 548 c.p.c.
Quest’ultima, in verità, non è chiarissima, perché, se interpretata letteralmente, condurrebbe a ricollegare la mancanza di conoscenza, che legittima l’opposizione ex art. 617 c.p.c.,
all’ordinanza di assegnazione del credito. È chiaro che se la norma dovesse essere letta in questo
senso avrebbe una valenza molto limitata e sarebbe, anzi, assai difficile da giustificare. Non è,
infatti, dato immaginare perché, di fronte ad un ordinanza che costituisce, secondo il diritto vivente, titolo esecutivo nei confronti del terzo, questo dovrebbe fruire di una tutela inferiore a
quella di ogni altro debitore esecutando, vedendo limitata la sua possibilità di ricorrere
(14) Al pari della corrispondente previsione contenuta nell’art. 549 c.p.c.
(15) Cass. 18 settembre 2007, n. 19363; Cass. 18 marzo 2003 n. 3976; Cass. 24 novembre 1980, n. 6245.
Per riferimenti alle contrastanti opinioni dottrinali sul punto, v. A.M. Soldi, Manuale cit., 662.
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all’opposizione agli atti esecutivi solo qualora dimostri di non avere avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione, caso fortuito o forza maggiore dell’ordinanza di assegnazione medesima (invece che in tutte le situazioni in cui ciò sarebbe ordinariamente ammesso).
Al contrario, se la disposizione in questione viene riferita al pignoramento introduttivo del
processo in cui il terzo è chiamato a rendere la sua dichiarazione o alla comunicazione
dell’udienza fissata ai sensi dell’art. 548, 3° e 4° comma, c.p.c., essa acquista una precisa ragion
d’essere. Mira, cioè, a sanzionare ulteriormente il terzo per avere omesso di rendere la propria
dichiarazione. Non solo da tale comportamento deriva la non contestazione di quanto affermato
dal creditore procedente, con il conseguente riconoscimento, ma tale riconoscimento presunto
non può più essere messo in discussione, quando si sia realizzato in un procedimento cui il terzo
avrebbe potuto partecipare attivamente. La possibilità di mettere in discussione l’ordinanza di
assegnazione così pronunciata è circoscritta al caso che essa si sia formata in una espropriazione
presso terzi di cui il terzo non ha avuto possibilità di intervenire, per mancata conoscenza derivante da irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Il tutto con un evidente parallelismo con quanto dispongono, al 1° comma, gli artt. 650 e 668 c.p.c. (entrambi, si
noti, dichiarati incostituzionali proprio in relazione a tale punto (16)).
Se si accetta questa interpretazione correttiva, anzi “ortopedica” della norma, si conferma
la soluzione sopra prospettata, della sostanziale irrevocabilità della dichiarazione positiva del
terzo derivante conseguente alla non contestazione.
Un ultimo profilo, sul punto, va però segnalato. L’ultimo comma dell’art. 548 c.p.c. si riferisce alla sola assegnazione di crediti. Quid iuris di fronte ad un’assegnazione di cose?
Il carattere eccezionale della norma pare doverne preclude l’applicazione oltre ai limiti
nella stessa previsti, sicché la stabilità del provvedimento di assegnazione di cose è destina ad
essere inferiore rispetto a quello di assegnazione di crediti, non valendo la limitazione, quanto ai
rimedi esperibili, posta dalla disposizione in esame.
Venendo, a questo punto, al problema della possibilità di mettere in discussione la dichiarazione del terzo inesatta, si può ritenere che la nuova norma fornisca elementi, su un piano generale, a favore delle soluzioni più rigorose e penalizzanti per il terzo?
Indubbiamente vi sono degli elementi in questo senso, ma non può non osservarsi che la
riforma, sul punto, appare particolarmente equivoca.
Agli elementi che potrebbero giocare nel senso di un particolare rigore, se ne contrappongono altri di portata contraria. Anche a prescindere dall’incerto tenore dell’ultimo comma del
novellato art. 548 c.p.c., derivante dalla sua impropria formulazione, il fatto che la disposizione
in questione non consideri il pignoramento di cose – introducendo, così, una disparità di trattamento per la quale è assai difficile trovare una giustificazione – fa sorgere dei seri dubbi sulla
legittimità, da un punto di vista costituzionale, della previsione contenuta nell’ultimo comma di
tale articolo. Dubbi ulteriormente rafforzati quando si consideri la disparità di trattamento quanto ai rimedi che potrebbe esperire il terzo di fronte ad una ordinanza di assegnazione di crediti
pronunciata a seguito di una sua dichiarazione effettiva.
Non sembra dunque possibile trarre dal nuovo sistema un argomento di valenza generale a
favore di una soluzione preclusiva della possibilità del terzo di mettere in discussione le proprie
dichiarazioni inesatte, nel caso le stesse siano state effettivamente rese.
6. – Il nuovo regime della non contestazione appare, infine, foriero di problemi anche con
riferimento al sistema previsto dal codice per realizzare la riunione delle procedure esecutive.
Come è noto, l’art. 550, 1° comma, c.p.c. stabilisce che il terzo debba indicare i pignoramenti che sono stati eseguiti presso di lui. Nel momento in cui la dichiarazione del terzo sia meramente presunta, discendendo dalla mancata comparizione all’udienza e alla conseguente non
(16) Corte Cost. 20 maggio 1976, n. 120; Corte Cost. 18 maggio 1972, n. 89.
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contestazione, l’indicazione circa gli eventuali pignoramenti già eseguiti farà difetto.
Ne consegue che, in caso di pluralità di pignoramenti effettuati presso il terzo, il giudice
dell’esecuzione difetterà di ogni informazione per disporne la riunione, salvo che egli abbia conoscenza diretta dell’esistenza delle altre procedure espropriative, caso in cui potrà procedere
d’ufficio (17). Qualora ciò non accada, le varie esecuzioni saranno destinate a procedere separatamente, fino a giungere al relativo epilogo, che potrà essere quello dell’assegnazione del medesimo bene in favore di creditori esecutanti diversi.
V’è da domandarsi se, come si affermava tradizionalmente con riguardo a queste situazioni (18), il terzo possa essere ritenuto responsabile per i danni derivanti dall’omessa indicazione dell’esistenza di altri pignoramenti, ma la risposta deve essere negativa: mancando radicalmente, nel nostro caso, la dichiarazione del terzo, non ne è neppure configurabile
l’incompletezza, presupposta, invece, dai sostenitori della soluzione dell’obbligo risarcitorio di
detto soggetto.
Piuttosto, si ripropone qui l’interrogativo esaminato nel precedente paragrafo: da un lato,
se ritenere che il riconoscimento conseguente alla non contestazione operi, con riferimento ad
ogni procedura, in maniera del tutto indipendente da quella che sia l’effettiva situazione debitoria del terzo pignorato, concretando così il sorgere di un autonomo obbligo dello stesso in ogni
procedura espropriativa in cui la non contestazione sia intervenuta, nel qual caso ogni assegnazione del(l’unico) credito avrà autonoma efficacia e rimarrà impregiudicata; oppure se solo una
di tali assegnazioni possa rimanere ferma (19).
Senza voler ritornare sul problema già affrontato, va detto che se il primo punto di vista
rende irrilevante per i creditori delle varie procedure esecutive la mancata riunione, dato che
ognuna di queste si troverà ad avere un autonomo oggetto (ma a prezzo di un incredibile aggravamento della posizione del terzo), nella seconda prospettiva la posizione dei creditori delle varie espropriazioni è nettamente deteriore rispetto a quanto era sino ad oggi, non avendo neppure
lo sfogo del risarcimento del danno. In ogni caso, una soluzione tale da lasciare insoddisfatti.
Ovviamente, qualora il pignoramento concerna non un credito, ma una cosa, la prima delle ipotesi sopra prospettate non può realizzarsi: i vari provvedimenti di assegnazione, dopo
l’esecuzione di uno di essi, non saranno più suscettibili di realizzazione, essendo venuto meno il
bene (unico) che ne costituisce l’oggetto: con la conseguenza che, dovendosi escludere che tale
fatto sia ascrivibile al terzo – il cui comportamento è stato meramente passivo, con conseguenze
predeterminate per legge - gli assegnatari insoddisfatti saranno privi di tutela.
Altro tema su cui soffermarsi concerne quello dell’impignorabilità, la quale, peraltro, suscita meno dubbi.
Laddove il credito sia assolutamente impignorabile, infatti, non v’è differenza per il fatto
che la dichiarazione del terzo sia stata effettiva piuttosto che presunta: non sta al terzo individuare il regime del credito sottoposto a pignoramento, sicché sarà il debitore esecutato legittimato
ad interloquire in proposito, ex art. 615, 2° comma, c.p.c. (20).
Quanto all’impignorabilità relativa, fermo il potere di reazione riservato al debitore esecutato, derivano indubbiamente delle difficoltà per il fatto che il terzo non precisi l’esatto stato del
(17) Sui poteri di riunione, v., di recente, Cass., 4 ottobre 2010, n. 20595.
(18) V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, III ed., III, Napoli, 1957, 207, il quale ritiene
prevalente l’assegnazione effettuata nella procedura promossa successivamente ed afferma che “i precedenti pignoranti hanno soltanto ragione di risarcimento verso il terzo che rese la dichiarazione incompleta”. In proposito v. anche S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano,
1959-65, 331 e, di recente, A.M. Soldi, Manuale cit., 631.
(19) Salvo individuare quale: se quella pronunciata per prima o quella pronunciata nell’espropriazione
presso terzi instaurata per prima. In proposito v. A.M. Soldi, Manuale cit., 631 s.
(20) La giurisprudenza è orientata a ritenere che l’impignorabilità non sia rilevabile dal terzo, ma solo
dall’esecutato (cfr. Cass. 23 febbraio 2007, n. 4212; Cass. 11 gennaio 2007, n. 387; Cass. 29 aprile
2003, n. 6667. In senso diverso v. Cass. 16 settembre 2008, n. 23727, in Guida al diritto, 2009, 1, 63).
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credito del lavoratore vantato nei suoi confronti, in ragione di precedenti pignoramenti o cessioni, ma tali difficoltà possono essere superate mediante un’idonea configurazione dell’ordinanza
di assegnazione.
Questa dovrà prevedere che l’assegnazione del quinto della retribuzione è fatta in quanto
vi sia capienza in ragione di precedenti assegnazioni: di talché l’eventuale assegnazione che sopravvenga dopo che la quota pignorabile della retribuzione sia già stata esaurita, sarà inefficace,
per la condizione in essa contenuta. Ove, poi, sorga controversia sul punto, essa sarà oggetto di
opposizione all’eventuale espropriazione promossa in forza dell’ordinanza (condizionata) di assegnazione.
7. – L’altra innovazione di sostanza introdotta dalla novella, concerne il nuovo regime
dell’accertamento dell’obbligo del terzo.
L’art. 549 c.p.c. sancisce oggi, sotto la nuova rubrica “contestata dichiarazione del terzo”,
che, qualora sorgano contestazioni sulla dichiarazione del terzo, queste sono risolte dal giudice
dell’esecuzione, previi i necessari accertamenti, con ordinanza che “produce effetti ai fini del
procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione”; ordinanza
impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c.
Così facendo la riforma si è ulteriormente spinta avanti nella riduzione dei giudizi incidentali di cognizione, necessari per consentire lo svolgimento del processo esecutivo; ha voluto,
in altre parole, potenziare il processo esecutivo, che si rivela meno tributario della cognizione.
Dopo le controversie in sede di distribuzione, anche la determinazione dell’obbligo del terzo
viene così sottratta al giudice della cognizione per essere risolta nell’ambito esecutivo.
La novità ha indubbiamente una sua logica nella prospettiva della ragionevole durata del
processo; dal punto di vista sistematico, però, non si può non osservare che tra le due figure –
quella della controversia in sede di distribuzione e quella dell’accertamento dell’obbligo del terzo – sussiste una notevole differenza.
Mentre la controversia in sede di distribuzione attiene alla fase conclusiva del processo
esecutivo, processo esecutivo la cui legittimità è stata previamente vagliata (o ha avuto la possibilità di esserlo) nelle forme previste dagli artt. 615, 616 e 619 c.p.c., l’accertamento
dell’obbligo del terzo attiene alle stesse possibilità di venire in essere del processo esecutivo,
concernendo la sussistenza del suo oggetto, cioè l’esistenza del debito del terzo verso
l’esecutato o la detenzione da parte del terzo di cose di questo, affermata dal creditore procedente. Ora, in questa prospettiva è agevole rilevare che le contestazioni sulla pignorabilità dei beni
– id est, sulla loro idoneità a costituire oggetto del processo esecutivo – come quelle
sull’appartenenza degli stessi – qualora un terzo affermi di esserne il vero proprietario – non sono affatto attribuite al giudice dell’esecuzione, ma continuano ad essere riservate a quello della
cognizione dagli artt. 616 e 619 c.p.c., sicché da questo punto di vista il sistema, come novellato, si appalesa squilibrato.
Se in una espropriazione mobiliare diretta un soggetto estraneo alla stessa afferma di essere proprietario della cosa pignorata in danno del debitore, la questione è assoggettata al vaglio
del giudice della cognizione, con tutte le garanzie così previste; ma se si discute della proprietà
di cose che si trovano presso un terzo pignorato – quindi, se si discute se quella certa cosa appartenga al debitore piuttosto che al terzo – nonostante l’identità della situazione con quella di
una controversia ex art. 619 c.p.c., le garanzie della cognizione scompaiono per essere sostituite
da un assai più spiccio accertamento ad opera del giudice dell’esecuzione.
L’impressione è che queste disparità di trattamento non siano state adeguatamente vagliate e che la finalità dell’accelerazione del processo esecutivo abbiano tratto in inganno il riformatore, creando anche qui una situazione di (assai) dubbia legittimità costituzionale.
Venendo, ora, all’esegesi della norma, essa risolve molti dubbi che si erano prospettati in
passato, con riferimento al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo disciplinato dal vecchio testo degli artt. 548 e 549 c.p.c.
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In particolare la dibattuta questione se il creditore procedente, promuovendo il giudizio di
accertamento dell’obbligo del terzo, agisca iure proprio piuttosto che utendo iuribus del debitore esecutato (21) appare risolta nel primo senso, come risulta dalla previsione della limitata valenza della decisione resa in argomento, la quale è circoscritta al procedimento in cui viene pronunciata e all’espropriazione che ne consegue in forza del provvedimento di assegnazione (22).
Quindi, oggetto dell’accertamento compiuto dal giudice dell’esecuzione (e, successivamente, dal giudice dell’opposizione agli atti esecutivi) appare essere il diritto del creditore di
procedere ad espropriazione forzata con riguardo ai beni pignorati; circostanza che esclude anche la possibilità che tale statuizione, al di fuori del processo esecutivo in cui è intervenuta (e
dell’eventuale espropriazione originata dall’assegnazione), possa avere l’efficacia di cosa giudicata tra i soggetti del rapporto pignorato, debitore esecutato e terzo pignorato.
Vengono così meno i dubbi che si avevano circa la possibile litispendenza tra il giudizio
di accertamento dell’obbligo del terzo e quello in corso tra il soggetto esecutato e il terzo; come
quelli relativi al giudice competente o, ancora, alla possibilità del giudizio di accertamento
dell’obbligo del terzo di proseguire anche in caso di estinzione del processo esecutivo (23). Di
tutto ciò la riforma ha fatto tabula rasa: oggi la pendenza del processo esecutivo è imprescindibile perché il giudice dell’esecuzione possa compiere il suo accertamento circa la situazione debitorea del terzo, nessun problema si può porre circa la competenza di tale giudice anche se il
credito di cui si fa questione è di lavoro, né di rito (24); né, tanto meno, di litispendenza con il
processo in corso tra debitore e terzo, dato che qui si mira ad un accertamento di valenza limitata, per espressa previsione di legge, per di più su un oggetto diverso.
Se da questo punto di vista l’intervenuta modificazione è senza dubbio apprezzabile per la
semplificazione del quadro d’insieme che comporta, essa però è lungi dal risolvere ogni dubbio,
anzi ne introduce di nuovi.
In primo luogo, la nuova disposizione considera il caso di contestazioni circa la dichiarazione del terzo, ma non prevede più, come invece era in precedenza (vecchio art. 548, 1° comma, c.p.c.), né l’ipotesi di mancata comparizione del terzo, né quella del terzo che comparisca e
si rifiuti di rendere la propria dichiarazione. Indubbiamente la più ridotta previsione normativa
odierna è collegata all’idea che gli altri casi in precedenza regolati non possano più verificarsi:
se la mancata comparizione all’udienza provoca la non contestazione delle affermazioni del debitore – è stato presumibilmente il ragionamento del legislatore – l’unica ipotesi configurabile è
quella dell’esistenza di una dichiarazione, effettiva o presunta.
(21) Tema vivamente discusso: in argomento mi permetto di rinviare al mio scritto Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato, in Riv. dir. proc., 1998, 998 ss., nonché, per la più recente evoluzione di dottrina e giurisprudenza, a A.M. Soldi, Manuale cit., 675 ss.
(22) Previsione che mi pare consenta di escludere, oggi, la soluzione affermata da Cass., S.U., 24 giugno
2008, n. 25037, secondo la quale “le questioni di giurisdizione sono ammissibili nell'ambito del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, previsto dall'art. 548 c.p.c., atteso che, pur essendo promosso
dal creditore in forza di una propria legittimazione ad agire e non in via surrogatoria del debitore, non
ha rilevanza limitata alla sola azione esecutiva, ma - anche per motivi di economia e celerità processuale richiesti dai principi del giusto processo ex art. 111 Cost. - si conclude con una sentenza dal duplice
contenuto di accertamento: l'uno, idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale tra le parti
del rapporto, avente ad oggetto il credito del debitore esecutato (che, pertanto, è litisconsorte necessario) nei confronti del terzo pignorato; l'altro, di rilevanza meramente processuale, attinente all'assoggettabilità del credito pignorato all'espropriazione forzata, efficace nei rapporti tra creditore procedente e
terzo debitor debitoris e come tale rilevante ai soli fini dell'esecuzione in corso, secondo la forma
dell'accertamento incidentale ex lege”.
(23) Per un inquadramento di questi problemi, rinvio ancora al mio Il giudizio di accertamento
dell’obbligo del terzo pignorato cit., 1014 e 1019 ss.
(24) Avvenendo l’accertamento nell’ambito del processo esecutivo, la cosa esclude anche la possibilità
che possa venire in gioco l’art. 618 bis c.p.c.
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In realtà non è cosi: abbiamo visto (25) come possa mancare lo spazio per un riconoscimento presunto, vuoi per l’inidoneità del pignoramento a giustificare l’applicazione della regola
della non contestazione, vuoi per il fatto che, mentre la non contestazione è ancorata dalla norma alla mancata comparizione del terzo, ipotesi diversa è quella del terzo che compare, ma si
rifiuta di rendere la propria dichiarazione, con riguardo alla quale nulla è previsto.
Naturalmente, se appare ingiustificato applicare oltre ai casi espressamente considerati la
regola della non contestazione, bisogna, d’altro canto, evitare di aggravare immotivatamente la
posizione del creditore procedente. In questa prospettiva pare ragionevole interpretare estensivamente l’incipit dell’art. 549 c.p.c. – “se sulla dichiarazione sorgono contestazioni” – facendovi rientrare anche il caso che la dichiarazione del terzo, vera o presunta, sia mancata: in altre parole, intendendo il termine “dichiarazione” non in concreto, con riferimento a quella resa (effettivamente o in via presuntiva), ma in astratto, con riferimento al dovere di dichiarare, anche qualora sia rimasto inadempiuto.
Dunque, anche in questo caso – di mancata dichiarazione del terzo e, al contempo, di impossibilità di operare per la regola della non contestazione - il creditore procedente potrà avvalersi della facoltà di promuovere l’accertamento dell’obbligo del terzo, con le nuove modalità
previste dall’art. 549 c.p.c.
Passando ad altro aspetto, il vecchio art. art. 548, 1° comma, c.p.c. statuiva che al giudizio
di accertamento del obbligo del terzo potesse addivenirsi “su istanza di parte” (26), previsione
che non si rinviene più nell’odierno art. 549 c.p.c., il quale utilizza la ben più anodina formula
“se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell’esecuzione le risolve”, lasciando
così il dubbio che si possa procedere di ufficio. Ma anche un altro dubbio, e ben più grave, sorge subito spontaneo, se all’accertamento del giudice debba partecipare anche il terzo, che – non
si può dimenticarlo – per pacifico insegnamento non è parte del procedimento di espropriazione
previsto dall’art. 543 ss. c.p.c.
Ora, il primo interrogativo pare dover essere risolto nel senso che la nuova determinazione degli obblighi del terzo postula pur sempre, nonostante il mutato testo normativo, l’iniziativa
della parte perché il giudice dell’esecuzione possa provvedere a risolvere le contestazioni circa
l’asserita situazione debitorea del terzo. Il fatto che la disposizione in esame richieda che “sorgano contestazioni” circa la dichiarazione del terzo, evidenzia come la dichiarazione possa essere oggetto di accertamento solo qualora venga messa in discussione, il che consente di ravvisare
una iniziativa di parte quale presupposto dell’attività del giudice.
Se questo primo passaggio appare abbastanza chiaro, altrettanto evidente è che questa dichiarazione deve provenire dal creditore pignorante o dagli eventuali intervenuti muniti di titolo:
gioca in questo senso sia la genericità della formula legislativa, sia la considerazione che il potere in questione è manifestazione dell’azione esecutiva, sicché non può che appartenere a chi di
tale azione è titolare (27). Con conseguente esclusione dei creditori intervenienti sforniti di titolo,
nei limitati casi in cui possono ancora avvalersi del concorso esecutivo.
Assai più dubbio, invece, è come tale potere debba manifestarsi, se solo con
l’estrinsecazione di disaccordo rispetto alla dichiarazione del terzo o in una vera e propria domanda di accertamento degli obblighi di questo.
La risposta, stando al tenore letterale della norma, parrebbe dover essere nel senso di consentire un’istanza informale, ma è evidente che ciò non è possibile. Osta a tale soluzione il fatto
(25) Supra, § 4.
(26) Sui dubbi cui dava luogo questa previsione, rinvio al mio Il giudizio di accertamento dell’obbligo del
terzo pignorato cit., 1013 ss., nonché a A.M. Soldi, Manuale cit., 677 s. In giurisprudenza v., da ultimo,
Cass. 4 ottobre 2010, n. 20595.
(27) Ciò porta ad escludere che la contestazione possa essere sollevata dal debitore, che non ha interesse
ad un accertamento limitato, quale previsto dalla norma vigente, di cui non potrebbe comunque beneficiare.
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che il terzo, come già si è ricordato, non è parte del processo di espropriazione di cui all’art. 543
ss. c.p.c. Ora, se si potrebbe ammettere una semplice istanza nel caso di parti tutte già presenti
in giudizio, altrettanto non appare possibile quando colui nei cui confronti l’accertamento del
giudice deve operare non rivesta tale qualifica, come appunto nel caso del terzo. Terzo la cui
presenza è imposta, nel nuovo ruolo di parte, dalla considerazione che diversamente il sistema
sarebbe macroscopicamente in contrasto con il diritto di difesa di cui all’art. 24, 2° comma, e
111, 2° comma, Cost.
Quindi, nonostante la norma non disponga nulla in proposito, si impone la chiamata in
giudizio del terzo pignorato, la quale non potrà che avvenire mediante la sua citazione, nella
quale dovrà anche essere indicato in maniera specifica – e non genericamente come nel pignoramento – le somme e le cose che si assumono dallo stesso dovute. In conclusione, il giudice
dell’esecuzione, quando sorga contestazione sulla dichiarazione del terzo, provvederà a fissare
un termine per la chiamata in causa di tale soggetto; e solo una volta che questa sia avvenuta potrà procedere all’accertamento affidatogli dall’art. 549, nuovo testo, c.p.c., in contraddittorio oltre che con il terzo – questo punto divenuto parte - con gli altri soggetti del processo espropriativo, tra cui il debitore esecutato e gli eventuali intervenuti.
Del resto, che questa sia la soluzione preferibile (oltre che imposta dalle norme sul diritto
di difesa sopra considerate) risulta dal fatto che essa è la più conveniente anche per il creditore
pignorante. Questi, infatti, dovrà fornire – in relazione alla regola generale dell’onere della prova – la dimostrazione dell’esistenza del debito del terzo o della proprietà, in capo al debitore esecutato, dei beni detenuti dal terzo, essendo l’attività svolta dal creditore stesso prima di tale
momento meramente assertiva; nel momento in cui la prova di tali asserzioni non discenda dal
riconoscimento del terzo, compete all’esecutante fornirla, che a tanto potrà provvedere mediante
l’atto necessario per convenire il terzo nel processo esecutivo, facendogli assumere il ruolo di
parte, fino a quel momento mancante (28).
Nello svolgimento degli adempimenti probatori che gli competono, il creditore procedente
potrà avvalersi della regola dell’art. 2704 c.c., come di ogni altra regola che conceda dei privilegi probatori a chi non sia parte del rapporto che viene in discussione: la soluzione, che era già
ammessa dall’opinione prevalente, anche in ragione delle regole poste dagli artt. 2914 e 2917
c.c., trova conferma nella autonoma configurazione del nuovo accertamento dell’obbligo del
terzo (29).
Si aggiungono cosi agli accertamenti che il giudice dell’esecuzione è chiamato a svolgere
ex art. 512 c.p.c., quelli che dovrà svolgere in questa sede: con sempre maggiore commistione di
funzioni, certamente estranea alla configurazione di tale organo, quale originariamente immaginata dal legislatore del 1940.
Sulle modalità dello svolgimento dell’istruttoria, la norma nulla dice: è lecito immaginare
che potranno applicarsi nella specie le medesime regole che vengono utilizzate in sede di controversie sul riparto (30).
La decisione sarà resa con ordinanza, contro la quale sarà possibile, nei termini e con le
modalità previste dall’art. 617 c.p.c., l’opposizione agli atti esecutivi, istituto, anch’esso, che
conosce nuove fortune rispetto all’originaria configurazione.
La configurazione del giudizio di opposizione dovrà seguire le regole poste dall’art. 618
c.p.c.: ad una fase preliminare davanti al giudice dell’esecuzione, finalizzata alla sospensione
della procedura esecutiva ex art. 543 ss. c.p.c. (nel caso il giudice dell’esecuzione, in fase di de(28) Tale chiamata dovrà avvenire nei termini fissati all’uopo dal giudice dell’esecuzione. Sui problemi
che si ponevano in passato in argomento, cfr. A. Saletti, Il giudizio di accertamento dell’obbligo del
terzo pignorato cit., 1014 ss., nonché a A.M. Soldi, Manuale cit., 679.
(29) Su questi profili cfr. A Saletti, Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato cit., 1022.
(30) In proposito v., anche per gli opportuni riferimenti, A.M. Soldi, Il progetto di distribuzione e le controversie distributive, in questa Rivista, 2007, 72 s.
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terminazione dell’obbligo del terzo, abbia affermato l’esistenza del debito del terzo o la sua detenzione di cose dell’esecutato (31); qualora le determinazioni del giudice siano state in diverso
senso, la possibilità di ulteriore corso dell’espropriazione presso terzi non è configurabile, mancando essa di oggetto), dovrà seguire l’instaurazione del giudizio di merito, ai sensi dell’art.
618, 2° comma, c.p.c., da svolgersi innanzi ad un magistrato diverso da quello dell’esecuzione,
in ragione del disposto dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c.
In questa fase, il terzo potrà nuovamente beneficiare delle garanzie della cognizione, ma
la sentenza conclusiva del giudizio sarà non impugnabile, come dispone il 2° comma dell’art.
618 c.p.c. In realtà, il ricorso per cassazione è possibile, stante la previsione dell’art. 111, penultimo comma, c.p.c., sicché, in sostanza, rispetto al passato, si avrà la perdita del grado di appello. Soluzione che potrebbe essere condivisibile, considerato il carattere endoprocessuale della
decisione, se non fosse per il diverso regime previsto per l’opposizione all’esecuzione e per
quella di terzo, che possono concernere, come si è già sottolineato, situazioni del tutto analoghe
a quella che viene qui in gioco.
8. – Quale la valutazione complessiva della riforma?
Indubbiamente la finalità di accelerare lo svolgimento dell’espropriazione, quando manchi la collaborazione del terzo o le sue dichiarazioni non vengano ritenute appaganti dal creditore, di per sé merita approvazione. Quelle che lasciano a desiderare sono le modalità con cui tale
obiettivo è stato perseguito.
I numerosi dubbi di legittimità costituzionale che la nuova normativa suscita,
l’aggravamento della posizione del terzo, che vede le sue possibilità di difesa ridotte rispetto a
quelle previste per situazioni analoghe, il fatto che le nuove disposizioni legittimino il dubbio
che il terzo sia tenuto ad adempiere anche se, nella realtà, il suo debito non sussiste, sono tutti
elementi di forte perplessità in merito alla nuova disciplina. A tutto ciò si aggiunge che la scelta
di far gravare sul terzo le conseguenze della sua mancata collaborazione, è stata realizzata senza
neppure preoccuparsi di introdurre le più elementari precauzioni per preavvertirlo di quelle conseguenze.
Il terzo, insomma, finisce col divenire il capro espiatorio della lentezza della giustizia. I
suoi diritti vengono compressi per il semplice fatto di avere l’avventura (o meglio, la disavventura) di essere coinvolto in una procedura che non lo riguarda minimamente, avendo per soggetti un creditore che pretende di essere soddisfatto e un debitore inadempiente.
C’è un vecchio adagio, secondo il quale tra i due litiganti, il terzo gode; qui il legislatore
l’ha capovolto, sancendo che tra i due litiganti, il terzo paga dazio. L’esigenza
dell’accelerazione del processo è sacrosanta, ma non a spese di chi di quel processo non è neppure uno dei protagonisti: questo è il rimprovero più serio cui va incontro, a mio parere, la recente (e, da un punto di vista tecnico, affrettata) riforma.
(31) Non credo siano più prospettabili, oggi, i dubbi che si avevano in passato circa il momento in cui il
processo esecutivo poteva essere ripreso dopo l’accertamento dell’obbligo del terzo, se in forza della
sentenza di primo grado che tale obbligo avesse accertato o solo dopo il giudicato in argomento (per riferimenti in argomento, v. A. Saletti, Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato cit.,
1025 s.). Il fatto che oggi ci si trovi di fronte all’accertamento del giudice dell’esecuzione fa sì che
l’atto di questi, che accerta l’obbligo del terzo, goda del regime proprio a tutti gli atti di tale organo, in
linea di principio esecutivi, salvo la loro sospensione decisa in sede di opposizione.
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