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il senso di comunità
RICERCA -SOCIALE
IL SENSO DI COMUNITÀ
Referenti: Dott.ssa. Silvia Cappelli, Dott.ssa. Edi Canestrini
Progetto a cura dell'Associazione di Promozione Sociale Laboratorio Mondo
Sede Legale: via Dragoni n° 52, 47122 Forlì,
C.F.92072030403,
Tel: 334/9124081
e-mail: [email protected]
INTRODUZIONE ALLA RICERCA.
Il presente lavoro ha lo scopo di indagare il senso di comunità negli immigrati e di verificarne le differenze in base
alle variabili socio demografiche e di esplorarne le relazioni con alcune variabili psicosociali nella popolazione
immigrata residente che vivono nel comprensorio cesenate sul territorio cesenate.
Un sotto-obiettivo è costruire uno strumento in grado di rilevare il senso di comunità nel particolare target ed
effettuare una sua prima validazione.
Per quel che concerne il primo obiettivo descritto, l’interesse a indagare il senso di comunità nella popolazione
immigrata in Italia nasce da due considerazioni: la prima è data dalla rilevazione di come il nostro Paese sia
stato, e sia tuttora, meta di flussi migratori che ne hanno cambiato il volto sociale; mentre la seconda fa
riferimento all’interesse per il costrutto del senso di comunità concettualizzato come indice di benessere socio
psicologico.
Verranno esposte più un dettaglio entrambe le argomentazioni.
A un livello di analisi più localistico l’attenzione si può spostare dall’analisi della società a quella della comunità,
concettualizzata come l’ambiente fisico in cui una persona vive e in cui hanno luogo gli scambi interazionali
significativi . Attraverso una molteplicità di relazioni l’immigrato può riconoscersi all’interno di una nuova
comunità e grazie a queste sperimentare quei sentimenti di: appartenenza, influenza, integrazione, connessione
e condivisione nei confronti del nuovo paese di approdo, propri del senso di comunità.
Si è ritenuto interessante andare a indagare il presente costrutto negli immigrati per rilevare quale sia il loro
rapporto con la comunità cesenate e rilevare al contempo le caratteristiche e i fattori che potrebbero essere a
esso associati.
Contesti
Si è deciso di attuare la presente ricerca nei territori del comprensorio cesenate e forlivese: più specificatamente
nei comuni di Cesena, Forlì, Civitella di Romagna e Galeata. La scelta di implementare la presente ricerca nei
suddetti comuni è stata dettata dall’analisi di come le percentuali d’immigrati rispetto alla popolazione residente
rilevate al 1° gennaio 2011 (Dati Istat, 2011), siano in tutti e tre più alte rispetto a quella nazionale, che si ricorda
si attesta sul 7,5%. Nel comune di Cesena tale percentuale è del 9,3%, mentre per il Comune di Forlì
dell’11,3%; sul comune di Civitella di Romagna la presenza di immigrati è pari al 16% sul totale della
popolazione residente, mentre a Galeata si attesta sul 22%, dunque una presenza importante. I comuni di
Civitella di Romagna e Galeata, sono stai scelti per effettuare un paragone tra realtà territoriali di ampiezza
diversa rispetto ai due capoluoghi di provincia.
Presentiamo qui alcuni dati riferiti alla provincia di Forlì-Cesena e dunque attinenti a tutti e tre i Comuni da noi
considerati nella ricerca, mentre verranno presentati di seguito alcuni dati relativi ai loro profili di comunità.
I dati provinciali sono stati reperiti nel presentazione a cura di Paolo Zurla (Zurla, 2010) della ricerca
sull’immigrazione promossa dalla Fondazione Ismu nell’anno 2009: questa ha indagato, attraverso la
somministrazione un questionario a domande sia chiuse che aperte, l’indice di integrazione nella popolazione
immigrata in Italia, mentre
i dati presentati da Zurla si riferiscono al solo Distretto Romagnolo. Verranno
presentati qui quelli relativi alla sola provincia di Forlì-Cesena ritenuti rilevanti per integrare l’argomentazione di
come la popolazione immigrata nella nostra provincia presenti alcune caratteristiche che la rendono orientata
verso la stabilizzazione.
Innanzitutto i ricercatori hanno rilevato come sia alto il tasso di immigrati che vive da almeno 5 anni e non oltre i
10 nella provincia di Forlì-Cesena, questo è rappresentato dal 39% del totale; è seguito da un 20%
rappresentante la fascia 2-3 anni; il 18% degli intervistati dichiara di risiedere in provincia da 11 anni e oltre;
ancora l’11,4% vi risiede da meno di un anno e un ulteriore 10,4% da almeno 4 anni e non più di 10.
Questi dati, uniti a quelli sulla composizione del nucleo familiare e dello stato civile che non verranno qui
presentati, sono la testimonianza, secondo i ricercatori di come ci si trovi di fronte ad una popolazione straniera
stabile in Provincia. Inoltre quando sono state indagate le previsioni per il futuro, il 36,7% degli intervistati ha
dichiarato di voler rimanere in Italia per un lungo periodo, Il 30,3% non si è espresso, mentre il 21,5% ha
espresso il desiderio di risiedere per sempre nel Paese e il restante 11,5% per un breve periodo; rilevando
come, se anche le dichiarazioni presentino un alto grado di incertezza, la tendenza per oltre il 50% del campione
sia quella di portare avanti un progetto duraturo e stabile in Provincia.
Uniamo a queste considerazioni la presentazione dei profili di comunità dei Comuni di Cesena, Forlì, Civitella di
Romagna e Galeata al fine di inquadrare il contesto territoriale e sociale in cui si è proceduto con le rilevazioni. I
dati sono stati ottenuti attraverso l’analisi: della documentazione cartacea inviata alla sottoscritta dall’Ufficio
Anagrafe del Comune di Civitella di Romagna, dei documenti a disposizione del cittadino sui siti web del
Comune di Cesena
e del Comune di Forlì , dei bilanci sociali presenti sul sito web della Regione Emilia -
Romagna e l’utilizzo del portale Demografia in Cifre Istat.
Il Profilo di comunità di Cesena
Cesena è un comune della provincia di Forlì-Cesena, la sua ampiezza è di 249,47km², con una presenza di
97.056 abitanti e una densità abitativa di 389 abitanti per km².
Sulla totalità della popolazione residente 9.043 abitanti sono immigrati, con un’incidenza del 9,3% sul totale.
La fascia d’età maggiormente rappresentata è quella 20-39 che da sola rappresenta il 45,7% del totale, seguita
da quella 40-59 in cui confluisce il 26,5% della presenza immigrata, la fascia dei giovanissimi 0-19 raccoglie il
21,8% della popolazione, mentre un 6% è rappresentato da chi ha compiuto i 60 anni.
In questa popolazione si evidenzia una distribuzione regolare per quanto riguarda il genere: sono 4.356 i maschi
(48,2%) e 4.687 le femmine (51,8%).
Per quanto riguarda le aree continentali di provenienza della popolazione immigrata si rileva come il 55,6% della
popolazione provenga dall’Europa, un 30,7% sia rappresentato da Africani, mentre un ulteriore 9, 6% sia
composto da immigrati provenienti dall’Asia e un restante 4,1% dall’America.
Se si analizzano poi le nazionalità di provenienza degli immigrati, le consistenze più numerose sono quelle
albanese (13,1%) e rumena (12,6%), seguite da quella marocchina (10,4%), bulgara (8,8%), polacca (6,7%) e
tunisina (6,6%).
Il trend migratorio del Comune di Cesena si rivela positivo e stabile nel 2010, il bilancio al 31 dicembre mostra
un incremento di 1.303 unità.
In particolar modo i dati rivenuti attraverso la documentazione regionale mostrano come il Comprensorio
Cesenate sia caratterizzato da un’immigrazione multietnica con la presenza di più di 100 nazionalità, anche se,
come già detto, quella più rappresentata rimane stabile negli anni ed è quella Albanese con 1.188 unità,
raggiunta dalla Romania che conta sul territorio una presenza di 1.141 unità.
La distribuzione dei Cinesi è particolarmente rilevante concentrandosi principalmente, l’86% del totale,
prevalentemente nel Distretto Rubicone-Costa e dunque con una presenza esigua sul Comune.
La ricerca del lavoro rappresenta la motivazione principale del fenomeno migratorio sul comune, a tale
dimostrazione vi sono i dati sui permessi di soggiorno, per cui due richieste su tre hanno come motivazione
quella lavorativa, mentre una su tre è il ricongiungimento familiare.
La presenza rispetto al genere si è via via livellata negli anni grazie all’arrivo di donne lavoratrici dall’Est Europa,
Romania, Polonia e Ucraina, mentre si assiste all’arrivo di una prevalenza di lavoratori uomini dai Paesi del Nord
Africa e dall’Albania, mentre per quanto riguarda i flussi dalla Cina questi mostrano un equilibrio rispetto al
genere.
Sebbene inizialmente lo straniero accetti qualsiasi tipo di lavoro, principalmente lavori denominati delle 5 “P”:
pesanti, precari, pericolosi, poco pagati e penalizzanti socialmente, si denota come superata la fase
dell’emergenza legata all’arrivo una buona parte degli immigrati cominci ad individuare con maggior chiarezza le
risorse da utilizzare e tenda verso l’imprenditorialità. I dati a disposizione mostrano come sul comprensorio
cesenate siano stati 1.757 gli immigrati titolari d’impresa nel 2006, 738 dei quali iscritti a Cesena.
Le attività economiche avviate sono, in ordine d’importanza, quelle delle costruzioni, del commercio e
dell’ingrosso e le attività manifatturiere. Ciò a dimostrazione di come la popolazione immigrata sia passata da
una logica di temporanea permanenza legata al bisogno lavorativo e di sussistenza a una di più lunga
permanenza e dunque di stabilizzazione.
Rimane per’altro alta la percentuale di coloro che sono impiegati nell’industria e degno di nota il terzo settore, in
cui trovano impiego molte donne dell’Est Europeo.
Per quanto riguarda l’intervallo di tempo trascorso dalla data di immigrazione, attraverso un’analisi del Comune
di Cesena si evince come siano sempre di più gli stranieri che mostrano il desiderio di stabilirsi con un progetto
di vita duraturo attraverso l’acquisto di un immobile o l’affitto di abitazioni idonee e non legate alla logica
dell’emergenza, la creazione di un nucleo familiare o il ricongiungimento con esso, e la nascita di figli. Inoltre, nel
merito dell’indagine promossa dall’Ismu (Zurla, 2010) si rileva come nella provincia sia alto il tasso (39%) di
residenti nella fascia oltre i 5 anni e non oltre i 10 anni; seguito da chi è presente da 2-3- anni, il 20% del totale,
e da un 18% che dichiara di risiedere in provincia da 11 anni e oltre.
Ciò denota a parere dell’amministrazione comunale un ulteriore importante passo da parte della popolazione
immigrata verso la disponibilità ad attivare un processo di convivenza positiva e d’integrazione sociale.
La città di Cesena si propone come una cittadina di origine medioevale: è presente il centro storico con la piazza
cittadina su cui si affacciano gli uffici del Comune alcuni esercizi commerciali. Il centro storico si sviluppa molto
raccolto intorno alla piazza con la presenza di molti esercizi commerciali e locali per il divertimento serale e
notturno. Intorno al centro si sviluppa la prima periferia, suddivisa in dieci quartieri ognuno dei quali dotato della
propria area verde e dalla conformazione urbanistica di una cittadina con abitazioni e palazzi non altissimi.
Per quanto riguarda la distribuzione della popolazione straniera sul Comune si nota come il 23% di essa risulti
risiedere nel quartiere Centro Urbano, un ulteriore 18,7% nel quartiere Oltre Savio, seguito dal Fiorenzuola
(15,7%) e dal quartiere Cervese Sud (12,7%); mentre nei i restanti quartieri le percentuali di presenza sono tutte
inferiori al 5%. La distribuzione mostra come la popolazione immigrata si sia stanziata principalmente nelle
adiacenze del centro abitato e utilizzi gli spazi pubblici a scopi ricreativi, in particolar modo le aree verdi,
condividendole con la popolazione italiana.
Attraverso una ricerca che si proponeva di approfondire alcuni aspetti relativi al rapporto che la popolazione di
Cesena mostra di avere con la propria città (Cicognani e Mazzoni, 2009)è emerso come il centro storico mostri
alcune caratteristiche che lo rendono idoneo alla popolazione immigrata. Innanzitutto i ricercatori hanno rilevato
come esso sia apprezzato per la sua piacevolezza estetica, inoltre l’abitare vicino al centro è funzionale in
quanto offre la possibilità di fruire della presenza dei negozi, del mercato cittadino e poiché vi è la possibilità di
svolgere vari tipi di attività ricreativo-culturali. Inoltre un’altra funzione emersa come importante è quella socioemotiva, ovvero la possibilità di ritrovarsi nel luogo fisico che permette e facilita il rapporto con gli altri
connazionali.
A un’osservazione attenta è infatti possibile notare come alcuni luoghi, quali soprattutto i parchi cittadini e la
zona della Barriera, in centro storico siano luoghi assiduamente frequentati dalla popolazione immigrata e sa
quella italiana. Il senso di comunità indagato sempre nell’ambito di questa ricerca, sia negli italiani che negli
immigrati, in questi ultimi non ha mostrato differenze in base al genere e alla nazionalità, mentre è emerso come
Cesena sia in tutti i gruppi considerati nel campione una città apprezzata per la sua piacevolezza, il clima
rilassante , per i servizi che offre e per la cura del suo ambiente.
Il Profilo di comunità di Forlì
Forlì è un comune della provincia di Forlì-Cesena, la sua ampiezza è di 228,19km², con una presenza di
118.167 abitanti e una densità abitativa di 517,8 abitanti per km².
Sulla totalità della popolazione residente 13.338 abitanti sono immigrati, con un’incidenza dell’ 11,3% sul totale.
La fascia d’età maggiormente rappresentata è quella 20-39 che da sola rappresenta il 45% del totale, seguita
da quella 40-59 in cui confluisce il 26,3% della presenza immigrata, la fascia dei giovanissimi 0-19 raccoglie il
25,1% della popolazione, mentre un 3,5% è rappresentato da chi ha compiuto i 60 anni.
In questa popolazione si evidenzia una distribuzione omogenea per quanto riguarda il genere: sono 6.680 i
maschi e 6.658 le femmine.
Per quanto riguarda le aree continentali di provenienza della popolazione immigrata si rileva come il 53,1% della
popolazione provenga dall’Europa, un 28% sia rappresentato da Africani, mentre un ulteriore 16,4% sia
composto da immigrati provenienti dall’Asia e un restante 2,4% dall’America.
Se si analizzano poi le nazionalità di provenienza degli immigrati, la consistenza più numerosa è rappresentata
da immigrati rumeni (19,6%), albanesi (14,4%): da cinesi della Repubblica Popolare (12%), marocchini (10,7%)
ucraini e burkinabè (Burkina Faso n.d.r.) rappresentanti rispettivamente il 4,8% e il 4,5% sul totale degli
immigrati.
Per quanto riguarda il Comune di Forlì e il suo Comprensorio, il fenomeno migratorio si caratterizza rispetto ad
altre realtà regionali con alcune caratteristiche ben distintive.
Innanzitutto si è mostrato tardivamente, e in maniera particolarmente incisiva negli anni 2004-2008 con un
incremento della popolazione straniera, registrabile nel 2008, pari al 56,6%. Degni di nota sono due Comuni del
Comprensorio: Galeata che ha registrato negli anni l’aumento maggiore ed è il comune italiano che guida la
classifica sulla percentuale d’incidenza di stranieri sui residenti (22%) e Civitella di Romagna che mostra una
percentuale d’incidenza pari al 16%, di cui verranno illustrati i profili nei prossimi paragrafi. In secondo luogo
negli ultimi anni si è visto l’arrivo d’immigrate dall’Est Europa, soprattutto da: Romania, Polonia e Ucraina, che
ha portato a una distribuzione omogenea dei generi, sia attraverso i ricongiungimenti familiari, sia attraverso il
fenomeno delle primo migranti, ovvero lavoratrici autonome che arrivano attirate dall’ingente richiesta di
assistenti familiari da parte delle famiglie italiane.
A Forlì il fenomeno migratorio mostra le tendenze della stabilizzazione: sono cresciuti negli anni sia i
ricongiungimenti familiari, sia la quota d’immigrati che sceglie il rischio di fare impresa, i dati riferiti al 2008
mostrano come gli imprenditori stranieri siano 1.701.
Le imprese costituite dagli immigrati, principalmente Albanesi, Svizzeri, Marocchini, e Cinesi, si rilevano
soprattutto nei settori dell’edilizia, del commercio all’ingrosso e al dettaglio e nelle attività manifatturiere, anche
se permane alto il numero di lavoratori dipendenti soprattutto da parte d’imprese che assumono profili con
bassa professionalità soprattutto in comparti a bassa produttività o a carattere stagionale.
I dati relativi all’anno 2010 mostrano come, gli immigrati, siano impiegati principalmente nei settori dell’industria,
agricolo e nel campo della collaborazione domestica e dell’assistenza familiare privata.
A Forlì, gli immigrati mostrano di aver concluso le fasi della prima immigrazione senza traumi eccessivi per la
comunità, soprattutto grazie alla loro capacità che hanno dimostrato nell’accettare il modello di sviluppo italiano.
Tale modello costituito dal lavoro flessibile, autonomo e sommerso li ha resi indispensabili alle famiglie nei servizi
di cura alla persona, creatori di piccole imprese capaci di spostarsi sul territorio per seguire le esigenze di
mercato e risparmiatori per acquistare una casa propria.
Forlì si caratterizza come una città con un centro storico importante, ma che si è via, via impoverito nel corso
degli anni, molte attività commerciali hanno terminato le attività a favore della loro riallocazione all’interno di tre
grandi centri commerciali che sono stati costruiti negli ultimi dieci anni. Attorno alla piazza principale si snoda il
centro storico, con gli edifici comunali e le vie principali in cui sono presenti gli esercizi commerciali e alcuni locali
e bar. Molte abitazioni non storiche del centro, sono state date in affitto a immigrati e durante i primi anni di
flusso migratorio si è assistito a un’alta concentrazione di stranieri in questa zona oggi diminuita.
Dal centro poi si snoda un’ampia periferia suddivisa in sessantuno quartieri e tre circoscrizioni, essa mostra le
caratteristiche strutturali di una città industriale, con molti quartieri dominati da alti palazzi.
Non sono stati reperibili dati specifici circa la distribuzione abitativa degli immigrati sul comune, si evince però
dal piano territoriale di zona come questi da una prima collocazione all’interno del centro storico, si stiano
gradualmente spostando verso la periferia che offre condizioni abitative migliori, per lo stato strutturale e minori
oneri locatari.
Per quel che riguarda la frequentazione dei luoghi pubblici, si può osservare come questa mostra i caratteri
dell’eterogeneità: vengono frequentate sia le piazze principali, che gli spazi verdi pubblici maggiori, il Parco della
Vittoria e il Parco Urbano, che i giardini di quartiere. Sono presenti numerosi esercizi commerciati etnico dedicati, quali alimentari e call centre, che si configurano come luoghi di aggregazione per stranieri, nonché una
moschea per i praticanti musulmani.
Le offerte ricreative e quelle culturali sia diurne che serali non mancano in questa città, inoltre attraverso alcune
disposizioni comunali sono state avviate negli ultimi cinque anni nuove feste ed eventi al fine di animare il centro
storico che negli ultimi anni, come già ricordato aveva perso prestigio e interesse per la stessa cittadinanza.
Il Profilo di comunità di Civitella di Romagna
Civitella di Romagna è un comune della provincia di Forlì-Cesena, situato nel comprensorio forlivese. La sua
ampiezza è di 117,80 km², con una presenza di 3.870 abitanti e una densità abitativa di 32,8 abitanti per km².
Sulla totalità della popolazione residente 621 abitanti sono immigrati, con un’incidenza del 16% sul totale.
Le fasce d’età maggiormente rappresentate sono quelle 0-19 e 20-39 che raccolgono rispettivamente il 32,5%
e il 37,2% della popolazione immigrata. Un ulteriore 26,1% è raccolto nella fascia 40-50 e il restante 4,2% in
quella degli ultra sessantenni.
In questa popolazione si evidenzia una distribuzione omogenea per quanto riguarda il genere: sono 315 i maschi
e 306 le femmine rappresentando rispettivamente il 50,7% e il 49,3%.
Per quanto riguarda le aree continentali di provenienza della popolazione immigrata si rileva come la metà degli
immigrati sia di provenienza europea (50,5%), il 33,8% sia rappresentato da africani e un 15,6% da cittadini
asiatici.
Se si analizzano poi le nazionalità di provenienza degli immigrati, la consistenza più numerosa è rappresentata
da immigrati provenienti dal Marocco (27,2%), seguita da quelle: macedone (19,1%), albanese (12,7%), cinese
dalla Repubblica Popolare (10,1%), rumena (7,7%) e nigeriana (5,6%).
l trend migratorio a Civitella di Romagna è in positivo anche per l’anno 2010, il Comune registra trentadue nuove
iscrizioni, mostrando un andamento in positivo stabile dal 2005. L’eterogeneità della popolazione immigrata è
data dalla presenza di 24 nazionalità diverse, anche se si nota la presenza importante di quelle Marocchina e
Macedone che hanno creato due comunità forti e molto coese, tali da aver inciso sulla strutturazione sociale del
paese inizialmente improntato sulla segregazione e stabilizzatasi negli anni.
Rilevante è inoltre l’arrivo di stranieri dalla Repubblica Popolare Cinese, una presenza sempre più importante,
che passa dalle 21 unità del 2005 alle 63 odierne, ma che mostra di essere ancora alle prese con le dinamiche
tipiche di una prima immigrazione.
Dal 2005 si osserva un ulteriore tendenza: gli immigrati sul Comune iniziano a poter richiedere ed ottenere la
cittadinanza italiana, sono infatti 2 persone ad ottenerla in quell’anno, 4 nell’anno successivo, 11 nel 2009 e
infine 9 nel 2010; mostrando un andamento incrementale da cui si può dedurre che chi è arrivato da almeno 10
anni in Italia ed in particolare sul Comune vi si sia insediato . Attraverso poi alcune interviste realizzate con coloro
che hanno acquisito la cittadinanza italiana si è potuto constatare come questa abbia rappresentato un passo
importante per la definizione di sé stessi in quanto legittima la loro presenza e la loro appartenenza al Paese.
Le motivazioni che hanno portato a un aumento della popolazione immigrata sul comune sono riconducibili
principalmente a due fattori: il primo è dato dai ricongiungimenti familiari, mentre il secondo dall’attrattiva
lavorativa.
Per quanto riguarda l’offerta occupazionale, gli immigrati trovano facilmente lavoro soprattutto nei settori
agricolo e industriale.
A conferma di tale dato vi è il confronto dei tassi di disoccupazione della popolazione immigrata relativi al 2010
che mostrano come solo 9 immigrati su 100 sul Comune di Civitella di Romagna siano disoccupati, contro il
24,7%
riferito alla provincia di Forlì-Cesena. Questa disoccupazione poi mostra caratteristiche distintive: è
maggiormente riferita alla popolazione femminile, che non cerca lavoro perché impegnata in quello domestico e
nella cura dei figli. Se ne deduce che quest’area sia particolarmente favorevole all’inserimento lavorativo e al
mantenimento occupazionale per questa particolare popolazione e che dunque permetta agli immigrati di
garantirsi una stabilità economico-lavorativa che ne favorisce la stabilizzazione.
La progressiva stabilizzazione degli immigrati sul territorio comunale si evince inoltre dalle condizioni abitative
prescelte: molti di essi accendono contratti d’affitto per il nucleo familiare o anche da soli, nel caso di persone
non sposate e una sua parte ha acquistato immobili. Sono poi numerose le nascite di figli nelle famiglie
immigrate che mostrano la tendenza a progettare un futuro duraturo all’interno del Paese.
Civitella si presenta come un piccolo borgo medioevale, dalle dimensioni ridotte e una conformazione tipica.
Attorno alla piazza centrale si trovano gli esercizi cittadini e gli uffici comunali. Vi sono poi due zone residenziali:
quella adiacente al centro storico e una di recente costruzione posta fisicamente lontano dal centro. Nella zona
del centro si possono trovare un giardino pubblico, luogo di ritrovo e aggregazione soprattutto per giovani sia
italiani che stranieri, cinque bar di cui due sono frequentati principalmente da italiani, mentre i restanti due solo
mostrano un pubblico eterogeneo.
Altri luoghi di ritrovo sono la piazza frequentata la domenica giorno in cui vi si svolge il mercato cittadino, e i
loggiati adiacenti alla chiesa del paese, dotati di una panchina in cemento che percorre tutta la loro lunghezza e
luogo di ritrovo per molti immigrati durante tutta la settimana. Nella zona detta “villaggio” di recente costruzione i
luoghi frequentati dalla popolazione sono: il campetto da calcio aperto al pubblico e luogo di ritrovo per
giovanissimi, mentre tutto lo stradario si caratterizza come luogo di passeggiata e di ritrovo a tal scopo di parte
della popolazione femminile sia italiana che straniera.
Oltre ai bar prima menzionati non sono presenti altri luoghi ricreativi e/o culturali.
Un’attenta analisi del tessuto sociale mostra come, nella popolazione adulta sia ancora presente un alto grado
di non integrazione, questo si può evincere attraverso l’osservazione degli scambi sociali: principalmente si
notano gruppi sociali etnocentrici; la segmentazione nella fruizione degli spazi pubblici è molto evidente, dove vi
sono immigrati non si trovano italiani e viceversa. Interessante è l’analisi della frequentazione all’interno dei bar,
unici luoghi ricreativi presenti nel paese: qui se negli anni passati si era notata una rigida divisione tra bar per
italiani e bar per immigrati, oggi si nota una frequentazione più omogenea, anche se due di essi rimangono
principalmente frequentati dal solo pubblico italiano.
Diversa è la frequentazione giovanile: chi ha frequentato le scuole insieme mostra di frequentarsi ancora, così
che si possono vedere gruppi eterogenei sia nel parco cittadino che nel campo da calcio che in altri luoghi quali
le vie della nuova zona residenziale.
Se le possibilità offerte dalle strutture sul contesto sono esigue, un’analisi del mondo associazionistico mostra
come siano quattro le associazioni che svolgono attività nel paese: l’“A.V.I.S.”., l’“AUSER”, la cui mission è
creare momenti culturali e di socializzazione per la terza età, la “Diego Fabbri”, impegnata nell’organizzazione
degli eventi cittadini di grande rilevanza culturale e ricreativa quali la via crucis e lo storico carnevale con la
parata di carri allegorici in carta pesta. di attività ricreativo culturali; e
la “Laboratorio Mondo”, impegnata,
attraverso attività di formazione e ricreativo-culturali.
Le prime tre associazioni menzionate si rivolgono principalmente al pubblico italiano, mentre l’ultima è
impegnata, da circa due anni, nella promozione culturale e nell’integrazione sociale attraverso la realizzazione di
corsi di lingua e cultura italiana per stranieri e laboratori ricreativo-culturali aperti a tutta la cittadinanza e gratuiti. I
corsi d’italiano hanno registrato negli anni una notevole affluenza, mentre i laboratori implementati da quest’anno
stanno iniziando a riscuotere abbastanza successo e una partecipazione eterogenea.
Si configura così un paese in cui le possibilità ricreative e di socializzazione per la popolazione sono molto
limitate, così come le interazioni tra popolazione immigrata e italiana siano ancora saltuarie.
Il Profilo di comunità di Galeata
Galeata è un comune della provincia di Forlì-Cesena, situato nel comprensorio forlivese. La sua ampiezza è di
66km², con una presenza di 2.532 abitanti e una densità abitativa di 38,36 abitanti per km².
Sulla totalità della popolazione residente 550 abitanti sono immigrati, con un’incidenza dell’ 22% sul totale.
La fascia d’età maggiormente rappresentata è quella 20-39 che da sola rappresenta il 41% del totale, seguita
da quella dei giovanissimi 0-19 in cui confluisce il 28% della presenza immigrata, quella 40-59 raccoglie il 29%
della popolazione, mentre un 2% è rappresentato da chi ha compiuto i 60 anni.
In questa popolazione si evidenzia una distribuzione omogenea per quanto riguarda il genere: sono 287 i maschi
e 263 le femmine rappresentando rispettivamente il 52% e il 48%.
Per quanto riguarda le aree continentali di provenienza della popolazione immigrata si rileva come la metà degli
immigrati sia di provenienza africana (50,4%), il 37,2% sia rappresentato da europei e un 8,9% da cittadini
asiatici.
Se si analizzano poi le nazionalità di provenienza degli immigrati, la consistenza più numerosa è rappresentata
da immigrati provenienti dal Marocco (32,2%), seguita da quelle rumena (15,5%), senegalese (12,8%), albanese
(11%), cinese della repubblica popolare (7,4%) e macedone (2,5 %).
Il trend migratorio a Galeata è in positivo anche per l’anno 2010, il Comune registra 35 nuove iscrizioni,
mostrando un andamento in positivo stabile dal 2002. La presenza più importante è quella Marocchina, seguita
da quella Rumena e Senegalese. Rilevante è inoltre l’arrivo di stranieri dalla Repubblica Popolare Cinese, e dalla
Romania che fanno registrare, rispettivamente, 13 e 10 presenze in più rispetto al 2009. Negli anni Galeata ha
mostrato un incremento nel numero di cittadini stranieri residenti sempre positivo, dalle 279 presenze del 2003
gli aumenti sono di circa 40 unità tutti gli anni sino alle 35 presenze del 2010. Una particolarità di questi arrivi,
evidente dal 2005, riguarda la popolazione femminile, sempre maggiore che, di fatto, supera, se non raddoppia
in alcuni anni (2005, 2009) quella maschile.
L’impatto a livello sociale è evidente, in meno di 10 anni la popolazione immigrata rappresenta quarto un quarto
del totale residente.
Le motivazioni che hanno portato a un aumento della popolazione immigrata sul comune sono riconducibili
principalmente a due fattori: il primo è dato dai ricongiungimenti familiari, mentre il secondo dall’attrattiva
lavorativa.
Per quanto riguarda l’offerta occupazionale, gli immigrati trovano facilmente lavoro soprattutto nei settori
agricolo e industriale che caratterizza quest’area come particolarmente favorevole all’inserimento lavorativo e al
mantenimento occupazionale per questa particolare popolazione e che dunque permette agli immigrati di
garantirsi una stabilità economico-lavorativa che ne favorisce la stabilizzazione.
La progressiva stabilizzazione degli immigrati sul territorio comunale si evince inoltre dalle condizioni abitative
prescelte: molti di essi accendono contratti d’affitto per il nucleo familiare o anche da soli, nel caso di persone
non sposate e una sua parte ha acquistato immobili. Sono poi numerose le nascite di figli nelle famiglie
immigrate che mostrano la tendenza a progettare un futuro duraturo all’interno del Paese, mentre sono 40 in
totale i cittadini stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana, 12 nel 2010 e 15 nel 2011.
Galeata si caratterizza come una cittadina di origine medioevale che si sviluppa intorno al centro storico con la
piccola piazza cittadina e il comune. Sono stati recentemente costruiti alcuni complessi residenziali caratterizzati
da case indipendenti e villette a schiera che non ne mutano la caratteristica di piccolo paese montano raccolto
intorno al cento fulcro delle attività e della vita cittadina.
Nella zona del centro non sono presenti parchi o altri luoghi pubblici di aggregazione, vi sono al contrario diversi
bar frequentati dalla popolazione, alcuni mostrano un pubblico lievemente eterogeneo, mentre negli altri è
presente una suddivisione tra pubblico italiano e pubblico straniero. Il paese è dotato di un campo da calcio che
è affittato previa accettazione della richiesta e di un giardino pubblico, posto nelle vicinanze del centro
frequentato sia da adulti sia da ragazzi di ogni etnia.
Oltre ai bar prima menzionati non sono presenti altri luoghi ricreativi e/o culturali.
Un’attenta analisi del tessuto sociale mostra come, nella popolazione adulta sia ancora presente un alto grado
di non integrazione. I gruppi sociali, per quel che concerne la popolazione adulta, sono basati sulla suddivisione
tra immigrati e italiani: quelli d’immigrati sono principalmente multiculturali; mentre per quanto riguarda la
popolazione giovane è ravvisabile un maggior scambio sociale tra le varie etnie per cui i gruppi sono molto
eterogenei e mostrano di frequentare maggiormente gli spazi pubblici.
Non si ravvisa la presenza di attività di tipo associazionistico e o culturale attive, mentre, fino a qualche anno fa,
era attiva un associazione fondata da centro africani che si occupava di organizzare eventi legati alla
perpetuazione delle tradizioni e feste legate alla cultura d’origine e di porsi come luogo di frequentazione
informale durante i giorni di festa. I motivi che hanno portato alla sua chiusura sono legati al disinteressamento
degli organizzatori che hanno fatto decadere le attività.
Si configura così un paese in cui le possibilità ricreative e di socializzazione per la popolazione sono molto
limitate, così come le interazioni tra popolazione immigrata e italiana si mostrano ancora saltuarie, seppure tra i
soli immigrati queste si mostrino con una grande varietà etnica.
OBIETTIVI DELLA RICERCA.
L’obiettivo principale di questa ricerca è stato quello di studiare il senso di comunità negli immigrati presenti nel
territorio del comprensorio cesenate, indagandone le differenze in base alle caratteristiche socio demografiche e
analizzandone le relazioni con altre variabili psico-sociali.
Per quanto riguarda le variabili socio demografiche si volevano indagare le differenze nel senso di comunità in
base alle seguenti variabili: l’età, il genere, il titolo di studio posseduto, l’occupazione svolta, lo stato civile, la
convivenza familiare, il paese o città di domicilio, gli anni di residenza nell’attuale paese/città di residenza,
l’affiliazione a organizzazioni o associazioni e la loro tipologia. S’intendevano inoltre esplorare eventuali differenze
in base a variabili socio demografiche precedentemente non esaminate in letteratura quali: la nazionalità,
l’eventuale possesso di cittadinanza italiana, l’orientamento religioso, gli anni di permanenza in Italia, la
prospettiva rispetto alla durata del soggiorno in Italia, gli eventuali spostamenti residenziali effettuati sul territorio
italiano e il loro numero, nonché la tipologia di soluzione abitativa adottata.
Nel merito dei rapporti tra senso di comunità e variabili psico-sociali, si volevano approfondire le relazioni tra tale
costrutto e l’identità etnica, il supporto sociale percepito in riferimento alle figure significative, alcune
caratteristiche della rete sociale e la soddisfazione verso la propria vita.
Ulteriore obiettivo collegato ai precedenti, era quello di effettuare una prima validazione di una scala formulato ad
hoc per misurare il senso di comunità nella popolazione immigrata.
IPOTESI DI RICERCA.
Per quanto riguarda le caratteristiche socio demografiche è stato ipotizzato che in linea generale le differenze
confermassero quelle ottenute in precedenza da altre ricerche riportate dalla letteratura.
In particolar modo si prevedeva che il senso di comunità fosse maggiore: all’aumentare dell’età (Davison e
Cotter, 1986; 1991; Prezza e Costantini, 1998; Prezza et al., 2001, 2009), nei maschi (Chiessi, Cicognani e
Sonn, 2010; Prezza, 2001), in chi possiede un più alto titolo di studio e un più basso livello di educazione e
istruzione (Buckner, 1988; Campbell et al., 1976, Chiessi, Cicognani, Sonn, 2010; Prezza et al., 2009), tra), in
chi svolge lavori meglio remunerati e dallo status più prestigioso (Bradburn, 1969; Campbell et al., 1976), nelle
persone sposate (Prezza et al., 2001) e in chi vive con la propria famiglia (Prezza et al., 1999). Ancora si
supponeva che il senso di comunità fosse maggiore: in chi vive in un paese rispetto a una città (Moser, 1995;
Prezza e Costantini, 1998; Prezza et al., 2001), all’aumentare degli anni di residenza (Chavis et al., 1986;
Davidson e Cotter, 1999; Glynn, 1986; Prezza et al., 2001; Skjaveland, Gӓrling e Maeland, 1996) e in chi
partecipa alle attività di organizzazioni e associazioni (Nashville, Chavis e Wandersman, 1990, Long & Perkins,
2003, Prezza et al., 2009).
Nel merito delle relazioni non ancora confermate dalla letteratura, le differenze che erano ipotizzate rispetto alla
provenienza geografica contemplavano un maggiore senso di comunità nelle persone originarie dei Paesi
Asiatici, poiché provenienti da Nazioni caratterizzate da strutture societarie e culturali collettiviste. Tale ipotesi era
supportata da alcune considerazioni derivanti dalla letteratura, come suggerito da Sonn (2002), l’aver già fatto
esperienza del senso di comunità nel proprio Paese d’origine tende a configurarsi come un processo in grado di
agevolare l’adattamento e la nascita di sentimenti positivi nei confronti della nuova comunità. Così, ci si
aspettava che la pregressa appartenenza a società di tipo collettivistico, in cui molto risalto è dato alle pratiche
comunitarie e sociali, influisse sui processi sottostanti al senso di comunità negli immigrati provenienti da tali
Paesi.
Ancora si prospettava che il senso di comunità fosse minore tra coloro che provengono da Nazioni del Centro
Africa. Molte di queste sono inserite tra le prime 20 posizioni della “Lista di Paesi a rischio di conflitti violenti sul
fronte interno e di disgregazione sociale” in quanto negli ultimi anni sono state caratterizzate dalla presenza di
conflitti armati, guerre civili, forte povertà e presenza di regimi politici militari e dittatoriali che hanno portato alla
disgregazione del tessuto sociale con la conseguente perdita dei valori comunitari che possono minare la
costruzione di un senso di comunità nel nuovo contesto.
Un ulteriore supporto a entrambe le previsioni proveniva dalle evidenze emerse nel corso di una ricerca condotta
dalla Fondazione Ismu (Zurla, 2010), nella quale veniva rilevato come: la soddisfazione nei riguardi del vivere in
Italia è avvertita in maniera superiore da Asiatici e Latino Americani e in maniera sensibilmente inferiore dagli
Africani.
Per quanto riguarda il possesso della cittadinanza Italiana è stato ipotizzato che tale variabile potesse influire
positivamente sul senso di comunità e in particolar modo sulle dimensioni Appartenenza, Integrazione e
Influenza.
C’è evidenza scientifica rispetto al ruolo giocato dagli aspetti giuridici dell’esperienza migratoria nelle dinamiche
d’integrazione sociale: a tal proposito, essa mostra che chi possiede la doppia cittadinanza, o un permesso
europeo per cittadini comunitari, dichiara sentimenti di appartenenza e integrazione maggiori rispetto a chi ne è
sprovvisto (Cfr. Zurla, 2010). Inoltre le concrete possibilità politiche conseguenti l’acquisizione del diritto di voto si
supponevano connesse alla dimensione Influenza del senso di comunità.
Nel merito del rapporto tra orientamento religioso e senso di comunità non sono state avanzate ipotesi, ma ci si
limitava a uno studio esplorativo in quanto la letteratura ha già messo in evidenza come l’aspetto saliente legato
al senso di comunità si concentri sulle pratiche di partecipazione legate alla professione religiosa, non indagate
nella presente ricerca, piuttosto che sul solo credo spirituale (Miers e Fisher, 2002, Sonn, 2002).
Per quanto riguarda il numero di anni trascorsi da quando l’immigrato è in Italia, è stata ipotizzata una
correlazione positiva con il senso di comunità, simile a quello che è stato riscontrato in letteratura per la durata
di residenza nella comunità territoriale (Chavis et al., 1986; Davidson e Cotter, 1999; Glynn, 1986; Prezza et al.,
2001; Skjaveland, Gӓrling e Maeland, 1996).
Per quel che concerne la relazione tra numero di cambi domiciliari e senso di comunità è stato ipotizzato che il
senso di comunità fosse maggiore tra chi non ha effettuato spostamenti e, tra coloro che hanno cambiato la loro
residenza, in quelli che lo hanno fatto un minor numero di volte. Sebbene la letteratura non riporti dati su tale
relazione, si è ritenuto legittimo aspettarsi gli andamenti descritti in quanto: la minore variabilità nello stabilire il
proprio domicilio può essere ricondotta in primis alle garanzie concrete offerte dal luogo di residenza, quali ad
esempio l’offerta lavorativa e/o la presenza di particolari servizi per il cittadino, ricollegabili alla dimensione
Soddisfazione dei bisogni. In secondo luogo, vanno considerate caratteristiche presenti nella comunità quali, ad
esempio, la presenza di diffusi atteggiamenti multiculturali e accoglienti in grado di promuovere i sentimenti di
appartenenza e integrazione propri del senso di comunità come suggerito dalla letteratura considerata (Phinney,
Horenczyk, Liebkind e Vedder, 2001).
Indagando le proiezioni sul futuro, si prevedeva che a una più lunga prospettiva di permanenza in Italia
corrispondesse un senso di comunità maggiore. Sebbene in letteratura non siano stati riscontrati dati a
conferma di tale ipotesi, essa è stata formulata partendo dalla considerazione che: il desiderio di prolungare la
propria permanenza in una data comunità, sia connesso ai sentimenti positivi esperiti nei suoi confronti e tipici
del senso di comunità. In particolar modo si riteneva che, nell’immigrato, il desiderio di vivere in Italia per un
lungo periodo fosse legato: alla percezione di appartenere alla comunità e di esservi integrato in maniera
soddisfacente; alle percezioni positive in base alle quali egli ritiene che la comunità sia in grado di soddisfare i
suoi bisogni e sulla quale possa sentire di esercitare un’influenza diretta sulle condizioni legate alla propria vita e,
in ultimo, al desiderio di mantenere i legami significativi che ha creato nel tempo con le persone della comunità.
Alla tipologia di condizione abitativa adottata si accompagnava la previsione che il senso di comunità fosse
maggiore in chi abita in una casa di proprietà piuttosto che in chi ha scelto altre tipologie di sistemazione
abitativa, quali ad esempio, l’affitto o la convivenza con il proprio datore di lavoro. Le motivazioni addotte a
supporto di tale ipotesi sono le medesime indicate per quanto concerne la prospettiva di stabilizzazione in Italia,
poiché l’acquisto di un immobile si accompagna sovente al desiderio di collocare la propria vita in un luogo sia
fisico e territoriale sia sociale verso il quale è molto probabile si siano sviluppati sentimenti di appartenenza,
integrazione e soddisfazione caratterizzanti il senso di comunità.
Nel merito delle relazioni tra senso di comunità e variabili psico-sociali considerate sono state avanzate ipotesi
già confermate dalla letteratura e altre meno esplorate.
La prima ipotesi formulata tra identità etnica e senso di comunità postulava che quest’ultimo fosse maggiore tra
chi mostra un più alto grado d’identificazione etnica soddisfacente in accordo a quanto dimostrato dalla ricerca
(Kenyon e Carter, 2011) mentre la seconda
prevedeva che a maggiori punteggi forniti agli item relativi agli
atteggiamenti positivi nei confronti delle relazioni multietniche corrispondesse un senso di comunità più elevato.
A sostegno di tale affermazione vi era la conferma, proveniente dalla letteratura (Phinney, Horenczyk, Liebkind e
Vedder, 2001), di come l’adattamento delle minoranze ai nuovi contesti sia influenzato dell’interazione tra
atteggiamenti e caratteristiche degli immigrati e risposte fornite dalla società ospitante.
Per quanto riguarda il rapporto tra sostegno sociale percepito nei confronti di diverse figure significative e senso
di comunità è stato ipotizzato che un più alto grado di quest’ultimo si accompagnasse a un maggior sostegno
sociale proveniente dagli amici, mentre non si attendevano differenze in base a quello fornito da una persona
speciale, come suggerito dalla letteratura sia per quanto riguarda la relazione negli adulti (Prezza e Costantini,
1998; Prezza et al., 2009) che negli adolescenti (Cicognani, Albanesi e Zani, 2006; Cicognani, Pirini, 2007;
Chiessi, Cicognani e Sonn, 2010; Pretty et al., 1994, 1996). Inoltre è stato ipotizzato che il sostegno sociale
proveniente dalla famiglia esercitasse un’influenza positiva sul senso di comunità, in quanto la ricerca ha
mostrato che il supporto fornito dalla rete parentale influisce positivamente sul processo di adattamento della
persona immigrata nella nuova comunità (Sonn, 2002).
Per quanto riguarda il rapporto tra le caratteristiche della rete sociale e il senso di comunità è stato ipotizzato
che il possesso di una rete sociale più ampia, caratterizzata da rapporti più frequenti con le persone significative
e maggiormente varia dal punto di vista etnico influisse positivamente sul senso di comunità, come già
confermato dalla ricerca per quel che concerne le dimensioni ampiezza e frequenza (Hughey et al., 2002; Pretty
et al., 1994, 1996, Sonn, 2002). Per quanto riguarda la varianza delle etnie incluse nella rete, a supporto della
tesi vi era l’evidenza confermata dalla teoria delle reti migratorie (Ambrosini, 2005; Faist, 2000; Scidà, 2005),
dell’importanza per il soggetto di essere inserito all’interno di network variegati che permettono, grazie all’offerta
di supporto pratico, sociale e cognitivo, di affrontare in maniera più agevole il processo di adattamento al nuovo
contesto.
L’ultima ipotesi avanzata riguardava l’esistenza di un rapporto positivo tra soddisfazione per la propria vita e
senso di comunità. A sostegno di tale previsione vi erano i risultati ampiamente riportati in letteratura che hanno
confermato la forte relazione virtuosa tra i due costrutti (Davidson e Cotter, 1991; Pretty et al., 1994; Prezza e
Costantini, 1998; Prezza et al., 1999, 2001,2009).
METODOLOGIA
In questo capitolo si descrivono la metodologia, gli strumenti e le tecniche con cui è stata realizzata l’indagine
che ha prodotto i risultati che saranno presentati nel capitolo seguente.
Si presentano innanzitutto le procedure utilizzate per il campionamento, a seguire le caratteristiche del
campione, un breve report contenente i rifiuti ottenuti durante le somministrazioni correlati dalle loro motivazioni,
la metodologia attraverso la quale è stato costruito il nuovo strumento di indagine del senso di comunità e quella
adottata nella costruzione dello strumento d’indagine completo.
Il campione
I soggetti sono stati reclutati seguendo una procedura di campionamento non probabilistico. Le motivazioni che
hanno portato a questa scelta sono state diverse, innanzitutto trattandosi una prima somministrazione per
verificare l’affidabilità del questionario nel misurare il senso di comunità si è ritenuto opportuno non procedere ad
un campionamento probabilistico per l’alta spesa e i lunghi tempi che questo comporta, non personalmente
sostenibili e rimandare ad un successivo momento di verifica la sua affidabilità rappresentativa una volta che ne
siano state esplorate statisticamente le proprietà psicometriche.
Un successivo impulso alla bontà della scelta fatta è stato dato dalla riflessione di come non sia disponibile una
lista esaustiva degli immigrati stranieri residenti in un territorio, poiché qualsiasi informazione anagrafica sulla
popolazione straniera esclude necessariamente gli stranieri irregolari presenti su un territorio, comportando
necessariamente una sottostima della numerosità del campione (Pagoncelli, 2010).
Si è dunque ritenuto opportuno procedere con un campionamento casuale per centri di aggregazione e si sono
tenute in considerazione durante l’analisi dei dati le strategie operative raccomandate da Blangiardo e
dall’équipe di lavoro dell’università degli studi di Milano-Bicocca (Blangiardo, 1996, 2004), che ne hanno messo
a punto la metodologia.
Essa prevede che i soggetti siano intervistati nei luoghi di aggregazione sociale e successivamente per ridurre le
eventuali distorsioni che possono derivare da tale modalità di campionamento, ad esempio una sottostima di
una certa nazionalità meno mobile e/o meno integrata, si proceda con il calcolo dei pesi ponderali in riferimento
all’area territoriale considerata.
La percentuale di rifiuti alla compilazione si è rivelata del 30% circa.
Le persone che hanno espresso il desiderio di non partecipare hanno addotto diverse motivazioni: queste si
concentrano soprattutto nella mancanza di tempo necessario per la compilazione; nel non interesse personale
per l’argomento d’indagine e nella non sufficiente comprensione della lingua italiana sia scritta che orale.
Un limite dello strumento è riposto nella sua relativa lunghezza, occorrono circa 15 minuti per la sua
compilazione se l’intervistato ha buona padronanza della lingua italiana scritta, mentre ne occorrono da un
minimo di 25 se lo stesso viene letto al soggetto ed il ricercatore segna la risposta sul foglio di rilevazione. Si è
preferito non insistere con chi reputava i tempi necessari alla compilazione troppo lunghi in quanto si è ritenuto
che ciò avrebbe potuto portare ad acquisire dati non pertinenti.
Un altro limite è certamente nella sua proposta solo in lingua italiana: in taluni casi è stato possibile ovviarvi
attraverso la somministrazione orale, questa non è però stata possibile con chi non ha sufficiente padronanza
della lingua italiana parlata, sì è preferito in questi casi non procedere con la compilazione al fine di non ottenere
dati distorti dalla non comprensione delle domande.
Nel complesso sono stati raccolti cinque questionari incompleti, le motivazioni che hanno portato alla non
conclusione della rilevazione sono relative alla lunghezza del questionario, per cui ai due soggetti che hanno
dichiarato di essere stanchi e non avere più interesse alla compilazione è stato permesso terminarla al fine di
non ottenere dati non significativi. Ancora poiché le somministrazioni non sono state programmate con il
soggetto rispondente, è capitato nei restanti tre casi, che quest’ultimo abbia dovuto interromperla per motivi
personali legati alle attività che doveva svolgere.
Il campione è composto da 155 soggetti, di questi 43 sono femmine (27,7%) e 112 maschi (72,3%); l’età varia
dai 13 ai 59 anni (media 30.86; DS = 10.00); per poter effettuare le analisi comparative i soggetti sono stati
suddivisi in 4 fasce d’età: 13-19 anni (12,9%), 20-29anni (35,5%), 30-39anni (33,5%) e 40 e oltre (18,1%). Il
grafico 1 mostra la distribuzione per età dei partecipanti distinguendone il genere e ne riporta i valori assoluti.
Sono rappresentate all’interno del campione 30 nazionalità, la più presente è quella Marocchina (25,8%), seguita
da quelle: Albanese (13,5%), Eritrea (8,4%) e Bosniaca (6,5%). La tabella 1 mostra le 30 nazionalità presenti
all’interno del campione con i relativi valori assoluti e percentuali.
Sul totale del campione sono presenti 39 soggetti (25,2%), 20 maschi e 19 femmine, in possesso della
cittadinanza italiana.
Ventinove nazionalità sono state aggregate per le analisi in 6 macroaree di provenienza: Nord Africa, Centro
Ovest Africa, Centro Est Africa, Nord Europa, Est Europa, Asia e Ovest Asia. I criteri di aggregazione hanno
contemplato l’area fisica e geografica di provenienza e le peculiarità socio-culturali proprie di ogni Paese, quali la
differenza tra società collettiviste e individualiste, l’esistenza di pratiche comunitarie affini, l’orientamento religioso
predominante. Nei raggruppamenti è stata esclusa la nazionalità Argentina, 2 soggetti (1,3%), in quanto non
rispondente ai criteri geografici usati per l’aggregazione.
In tabella 2 sono riportate le nazionalità incluse in ogni macroarea, il numero dei soggetti e le percentuali di
incidenza sul campione totale; il grafico 2 ne mostra la distribuzione all’interno del campione.
Per quel che riguarda le condizioni di studio, si rileva come il 26,6% del campione dichiara di aver conseguito il
titolo di studio sino alla scuola dell’obbligo, il 34,8% sia in possesso di un diploma di formazione professionale, il
32,9% del diploma di scuola secondaria superiore, mentre il restante 9,7% ha acquisito la Laurea o un titolo
superiore (Grafico 3).
Sul versante lavorativo oltre la metà dei rispondenti (55,5%) dichiara di essere operaio, l’11,6% artigiano, l’1,9%
dichiara di essere casalinga e infine solo un soggetto è un imprenditore (Grafico 4).
Per quel che riguarda l’orientamento spirituale, le religioni maggiormente rappresentate all’interno del campione
sono quella Islamica, dichiarata dal 42,6% del campione, e quella Cristiana Cattolica dal 40,6%, il restante
16,8% si suddivide tra la religione Cristiano Ortodossa, quella Singh, l’Ateismo, la Teosofia e la Congregazione
Cristiana dei testimoni di Geova (Grafico 5).
In riferimento allo stato civile e alla condizione familiare degli intervistati, 97 di questi sono celibi/nubili (62,6%),
mentre 50 sono sposati (32,3%) ed i restanti 8 sono separati o divorziati (5,2%); ancora il 52,3% del campione
dichiara di vivere in famiglia, ed il 23,2% da solo, mentre poco rappresentato è chi vive con la famiglia allargata
(1,9%). La tabella 3 mostra l’incrocio tra stato civile e tutte le condizioni familiari considerate nell’indagine con i
relativi totali.
La soluzione abitativa adottata dagli intervistati è principalmente quella in locazione d’affitto (80%), il 14,2% degli
intervistati dichiara di abitare in una casa di proprietà, mentre 6 soggetti dichiarano di coabitare col datore di
lavoro, 2 si trovano negli alloggi popolari ed uno è senza fissa dimora (Tab. 4).
Per quanto riguarda la durata della permanenza in Italia il campione mostra una grande variabilità che va dai 4
mesi ai 38 anni; suddividendo i soggetti in base a fasce di permanenza quinquennali si nota come: il 41,3% del
campione si sia trasferito in Italia da non più di 10 anni, un ulteriore 51% da almeno 11 anni e non oltre i 20 ed il
restante 7,7% da oltre 21 anni. La tabella 5 mostra il dettaglio degli anni di permanenza suddivisi in fasce
quinquennali.
Settantasei intervistati (49%) hanno dichiarato di non aver mai cambiato residenza da quando sono Italia, nei
restanti è stato registrato il numero di trasferimenti effettuati (Grafico 6): la percentuale maggiore è registrata da
chi ha cambiato il proprio domicilio 2 volte (58,2%).
Per esaminare la relazione fra il numero di cambi domiciliari e le variabili considerate nell’indagine si è proceduto
accorpando in un unico gruppo chi aveva effettuato 3 o 4 cambi (24,1%), in un altro gruppo coloro che ne
hanno compiuti da 5 a 7 (8,9%) e lasciando invariati gli altri.
Settantasei intervistati (49%) hanno dichiarato di non aver mai cambiato residenza da quando sono Italia, nei
restanti è stato registrato il numero di trasferimenti effettuati (Grafico 6): la percentuale maggiore è registrata da
chi ha cambiato il proprio domicilio 2 volte (58,2%).
Per esaminare la relazione fra il numero di cambi domiciliari e le variabili considerate nell’indagine si è proceduto
accorpando in un unico gruppo chi aveva effettuato 3 o 4 cambi (24,1%), in un altro gruppo coloro che ne
hanno compiuti da 5 a 7 (8,9%) e lasciando invariati gli altri.
Per quanto riguarda i domicili considerati nell’indagine: 50 soggetti abitano a Civitella di Romagna, 35 a Galeata,
31 a Forlì e 39 a Cesena (un questionario a Cesena di un senza fissa dimora). Il grafico 7 mostra le frequenze in
base al genere e assolute per ogni Comune dell’indagine.
La residenza nei Comuni di rilevazione varia dai 4 mesi ai 38 anni; adottando una suddivisione per fasce di
permanenza della durata di 5 anni si evince come: il 30,3% dei rispondenti ricada nella fascia 0-5 anni, il 38,1%
in quella 5-10 anni, il 23,2% risiede da almeno 11 e non oltre i 15 anni, mentre sono 3 (1,9%) coloro che si sono
stabiliti da 26 anni o più. La tabella 6 mostra le frequenze e le percentuali di residenza sullo stesso Comune
relative ai quattro considerati nell’indagine e i totali cumulativi.
Sono state inoltre indagate le proiezioni sul futuro dei rispondenti in merito alla durata della loro permanenza in
Italia: la maggior parte di essi (39,8%) risponde di desiderare di rimanervi per sempre, il 32,3% per molti anni, e
in 6 (3,9%) rispondono pochi giorni (Grafico 8). Il 7,7% degli intervistati ha invece desiderato specificare la
propria inclinazione, così 9 soggetti hanno dichiarato di non saperlo esponendo spiegazioni di tipo religioso e
fatalistico, mentre in tre hanno dichiarato di voler rimanere fino a che non si saranno stancati date le condizioni
di recessione economica in cui si trova l’Italia in questo momento.
In ultimo è stata indagata la partecipazione ad attività associazionistiche o organizzative: il 40% del campione
(62 soggetti) dichiara di essere affiliato e di partecipare ad attività di varie associazioni. Nel merito della tipologia
di associazione frequentata dagli intervistati per il 18,7% si tratta di associazioni di tipo religioso, il 12,3% è
rappresentato da associazioni ricreative, mentre un 8,4% da associazioni socio-culturali e per un restante 6%s si
tratta di organizzazioni o associazioni di volontariato.
Lo strumento di rilevazione.
In questo paragrafo sarà presentato lo strumento di rilevazione utilizzato nella presente ricerca e le motivazioni
che hanno guidato la sua elaborazione. Poiché esso si compone di sei parti concettualmente distinte, queste
saranno presentate seguendo l’ordine che è stato adottato nella sua redazione.
Le diverse sezioni del questionario in ordine di comparizione sono le seguenti: nella prima sono raccolti i dati
socio anagrafici; nella seconda si trova il questionario per misurare il senso di comunità; successivamente si
presenta la scala per la misurazione dell’identità etnica unita a due domande aperte che esplorano le preferenze
relazionali del soggetto con persone appartenenti ad altre nazionalità e le eventuali attività svolte con persone
appartenenti ad un gruppo etnico diverso dal proprio; nella quarta sezione è indagato il supporto sociale
percepito; la quinta si propone di stimare la rete sociale del soggetto; mentre nell’ultima viene rilevata la
soddisfazione per la vita.
Nella costruzione dello strumento sono stati utilizzati strumenti già validati ed impiegati ampiamente dalla ricerca,
molti di essi sono stati modificati al fine di adattarli al particolare target di somministrazione e alle modalità di
rilevazione dei dati; verranno esposte in dettaglio le modifiche apportate agli strumenti utilizzati e le motivazioni
teorico- metodologiche che ne hanno guidato tale adattamento.
Dati socio-demogratici considerati.
La prima sezione del questionario, come già detto è dedicata alla raccolta di alcuni dati socio-demografici
ritenuti salienti ai fini della ricerca e si compone di quindici domande di cui cinque a risposta aperta e le restanti a
risposta chiusa.
Accanto ai dati solitamente rilevati nel merito delle ricerche precedenti sul senso di comunità quali: l’età, il
genere, lo stato civile, il titolo di studio e la città o il paese di residenza, la durata della residenza nella città o
paese in cui si è ora, ne sono stati aggiunti altri.
Vi si trovano così domande relative: alla nazionalità, al possesso della cittadinanza italiana, all’orientamento
religioso, all’occupazione lavorativa, alla composizione del nucleo residenziale e al tipo di locazione abitativa.
Ancora si è ritenuto fondamentale indagare: il tempo di residenza in Italia espresso in anni e mesi, la prospettiva
temporale relativa al tempo di permanenza in Italia, e il numero di cambi residenziali effettuati da quando si è in
Italia.
La scelta è stata guidata dalla riflessione di come, i fattori sopra elencati possano avere effetti sia sul sentimento
relativo alla nuova comunità, sia sulle altre dimensioni psicosociali rilevate dallo strumento.
Il questionario sul senso di comunità
Nella costruzione del questionario si è effettuata una profonda analisi degli strumenti e delle evidenze empiriche
presenti in letteratura e si è deciso di costruire il nuovo strumento partendo da due questionari già validati: la
Sense of Community Scale(SCS) di Davidson e Cotter (1986) e la Scala Italiana del Senso di Comunità (SISC) di
Prezza, Costantini, Chiarolanza e Di Marco (1999).
Inoltre sono stati utilizzati item emersi nel corso della costruzione di un questionario per la rilevazione del senso
di comunità nella popolazione adolescente italiana (Albanesi, Cicognani e Zani, 2005) e validati all’interno della
Brief scale of sense of community for adolescents (Chiessi, Cicognani e Sonn, 2010) e ne sono stati costruiti
sette nuovi.
La decisione di partire dalla scala di Davidson e Cotter (1986) e da quella di Prezza e colleghi (1999) e non dalle
altre disponibili in letteratura prende avvio dalla condivisione della dimensione locale considerata: esse utilizzano
come punto di riferimento la città/il paese come contesto definito politicamente e amministrativamente.
Effettivamente nella realtà italiana solitamente le città si sono sviluppate attorno ad un centro storico e la densità
abitativa è alta, per cui si presuppone che il senso di comunità sia riferibile, piuttosto che al quartiere o agli
isolati, all’intera città o paese.
Della SCS sono stati mantenuti dieci item dei diciassette totali, e più precisamente i numeri: 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11,
14, 16 e 17. L’item 3 “La gente in questo paese è gentile e cortese” è stato modificato in “La gente in questo
paese è molto gentile”, ritenendo che la parola cortese, sinonimo della prima comporti una difficoltà concettuale
in chi non ha ancora acquisito un vocabolario della lingua italiana ampio. L’item n. 7 “Non mi piacciono i miei
vicini” è stato modificato in “Mi piacciono le persone che abitano in questo paese”, ritenendo opportuno sia
riportare la dimensione all’intero contesto territoriale e togliere la negazione per facilitare la comprensione della
domanda.
Della SISC sono stati mantenuti quattordici item dei diciotto totali, i numeri: 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 14, 17e 21
comuni anche alla SCS; e i numeri: 13, 15, 18, 19 e 20 propri solo a questa.
Gli item 3 e 7 corrispondono ai numeri 3 e 7 anche in quella precedente e sono stati modificati nella
formulazione sopra esposta, l’item numero 15 “É difficile in questo paese avere buone relazioni sociali” è stato
cambiato in “É facile in questo paese avere buone relazioni sociali”, poiché all’interno della scala si è preferito
non inserire un unico item a punteggio invertito.
Sono stati inseriti due item simili a quelli utilizzati nella ricerca di Albanesi, Cicognani e Zani (2005), poiché privi di
una loro numerazione, ne daremo una in base a quella adottata all’interno del nuovo questionario: n.9 “Credo
che se ci impegnassimo di più sulle questioni sociali e politiche avremmo la possibilità di migliorare le cose che
non vanno per le persone di questo paese”, n.19 “Mi piace stare con le persone di questo paese” e n.24 “Sento
di poter condividere le mie esperienze e i miei interessi con gli altri che abitano qui”: il primo è sembrato
opportuno perche considera le opportunità d’influenza in relazione al disimpegno di chi sul nostro paese non ha
effettivamente influenza a livello politico, ma potrebbe contribuire alla sfera sociale e il secondo ed il terzo per
esaminare la qualità dei legami percepiti all’interno della comunità.
Sono stati formulati sette nuovi item avendo come quadro di riferimento la teoria di McMillan e Chavis (1986) al
fine di approfondire i dati riferibili alle dimensioni indicate dai due autori e ad altre considerate rilevanti e alle
prime connesse .
I numeri 19 “In questo paese ci sono molti eventi che coinvolgono le persone come me” e 20 “Questo paese mi
offre molte possibilità di divertimento” fanno riferimento alla soddisfazione dei bisogni e permettono di
considerare i bisogni legati all’offerta ricreativa; il numero 21 “Le persone di questo paese collaborano tra loro”
esplora ulteriormente il clima sociale e l’integrazione; i numeri n.23 “Questo paese rispetto ad altri ha molti
aspetti positivi” e 25 “Questo è un buon paese in cui vivere” fanno riferimento al sentimento di appartenenza;
mentre il numero 24 “Penso che le persone che abitano qui potrebbero cambiare le cose che non funzionano se
lo volessero” esplora l’influenza sociale percepita nel contesto; ed infine il numero26 “Sento di poter condividere
le mie emozioni con le persone di questo paese” indaga ulteriormente la dimensione della connessione emotiva
condivisa.
Il questionario così realizzato si compone di ventisei item così suddivisi: 8 relativi alla dimensione appartenenza;
4 a quella integrazione e clima sociale; 5 alla dimensione soddisfazione dei bisogni; 3 relativi a influenza; 4 alla
dimensione connessione emotiva condivisa; e infine 2 riguardanti la piacevolezza della propria casa e zona.
Si è ritenuto opportuno operazionalizzare una distinzione tra le dimensioni del senso di comunità al fine di
procedere successivamente con l’analisi fattoriale, eliminare gli item non discriminativi e osservare la coerenza
col modello teorico di riferimento.
Sono previste cinque possibilità di risposta su una scala Likert che vanno da 1=per nulla d’accordo a
5=completamente d’accordo.
Scala dell’identità etnica
La terza parte del questionario indaga l’identità etnica del soggetto rispondente. E stata inserita una versione
ridotta della Scala dell’Identità Etnica (SIE) elaborata da Schimmenti (2006), elaborata a partire dalla Moultigroup
Ethnic Identity Measure (MEIM) di Phinney (1992) e dal concetto di identità elaborato da Luhtenan e Crocker
(1992). La SIE misura, attraverso diciassette item,
quattro dimensioni dell’identità etnica: senso di
appartenenza, etnocentrismo, atteggiamenti positivi verso il proprio gruppo e interrelazioni tra gruppi etnici.
Date le ipotesi di ricerca essa appare idonea alla rilevazione del costrutto e delle relazioni che si vogliono
analizzare. In particolare oltre alle dimensioni appartenenza e atteggiamenti positivi verso il proprio gruppo, le
dimensioni etnocentrismo e interrelazioni tra gruppi potrebbero eventualmente spiegare un basso indice di
senso di comunità anche a fronte di una buona identificazione etnica.
Sono così stati inseriti nove dei quattordici item della SIE: quattro di questi sono contenuti anche nella MEIM e
fanno riferimento alle sottodimensioni conseguimento dell’identità etnica e impegno: il secondo item “Partecipo
ad attività sociali dove ci sono molte persone del mio gruppo etnico” fa parte della sottoscala appartenenza
della SIE; il quarto “Penso a come la mia vita dipenda dal gruppo etnico a cui appartengo”; il sesto “Ho un forte
senso di appartenenza al mio gruppo etnico”;ed infine il nono “Sono molto orgoglioso del mio gruppo etnico”
questo item è stato leggermente modificato nella SIE in “Sono soddisfatto della mia origine etnica” sono relativi
alla dimensione appartenenza.
Si sono poi uniti a questi cinque item della SIE: 3 relativi alla dimensione interrelazione tra gruppi etnici “Mi piace
incontrare e conoscere gente di gruppi etnici diversi dal mio”, “Sto bene con persone di gruppi etnici diversi dal
mio” e “Partecipo ad attività con gente di gruppi diversi”; e 2 relativi alla dimensione etnocentrismo “Penso che
si debba fare amicizia solo con persone del proprio gruppo etnico” e “Penso che sarebbe meglio se i diversi
gruppi etnici non si mescolassero”.
La scala definita annovera così 3 item che indagano l’appartenenza, 2 il grado di etnocentrismo, 3 le
interrelazioni con gli altri gruppi e solo uno gli atteggiamenti positivi verso il proprio gruppo. Si è deciso di non
inserire 6 item della scala: 2 riferiti all’appartenenza, 2 agli atteggiamenti positivi verso il proprio gruppo e uno
relativo alla dimensione etnocentrismo, le motivazioni che portano a tale esclusione sono riferibili alla necessità di
ridurre la lunghezza del questionario, riteniamo che il numero di item inclusi in ogni dimensione siano sufficienti
per ottenere degli indici significativi, e che anche se unico quello relativo alla dimensione atteggiamenti positivi
verso il proprio gruppo sia in grado di spiegare il minor senso di appartenenza.
Seguono la batteria due domande a risposta aperta volte a indagare la nazionalità delle persone conosciute e
frequentate se il soggetto ha risposto in maniera positiva agli item relativi alla dimensione interrelazioni tra gruppi
e le attività svolte con le stesse al fine di poter disporre di un dato qualitativo che aiuti nella comprensione della
qualità degli scambi etnico - sociali intrattenuti dal rispondente.
Scala del supporto sociale percepito
Per la rilevazione del supporto sociale percepito è stata adottata la Multidimensional Scale of Perceived Social
Support (MSPSS) di Zimet, Dahlen, Zimet e Farley (1988). Questo strumento è in grado di fornire tre indici di
supporto a differenza che questo provenga dalla famiglia, dagli amici e/o da una persona speciale, cioè
importante a livello affettivo per il rispondente.
I dodici item della scala sono stati tradotti in italiano e inseriti fedelmente mantenendone l’ordine, gli item sono
egualmente ripartiti nelle tre fonti di supporto .
Nella versione originale questi prevedono sette opzioni di risposta su scala Likert: da 1=davvero molto in
disaccordo davvero, 2= molto in disaccordo, 3= mediamente d’accordo, 4= neutrale, 5=mediamente
d’accordo, 6= molto d’accordo e 7=davvero molto d’accordo; in quella inserita all’interno del questionario si è
preferito uniformare la modalità di risposta con quella delle altre scale inserite utilizzando una scala Likert a 5
punti considerando anche le possibili difficoltà nella persona straniera nel cogliere le sfumature tra le risposte
che si collocano agli estremi di accordo.
Domande per la rilevazione della rete sociale
Nella quinta sezione del questionario si trovano una serie di domande per valutare la rete sociale rispetto a:
coinvolgimento o meno del soggetto in qualche associazione o organizzazione di diversa tipologia; diverse
tipologie di supporto sociale esperito e soggetti dispensatori; nazionalità delle persone incluse nella rete,
frequenza dei rapporti interpersonali Inizialmente vi è una domanda a risposta aperta nella quale si chiede al
soggetto di indicare se è coinvolto in qualche tipo di associazione e/o organizzazione e, nel caso di risposta
affermativa, di indicare a quale categoria appartenga. Nella domanda sono forniti degli esempi categoriali riferibili
ai diversi tipi di associazionismo: sociale, politico, religioso e volontaristico. Questa è stata inserita vista la
positiva correlazione che la partecipazione ad associazioni mostra con il senso di comunità (Nashville, Chavis e
Wandersman, 1990).
Le domande successive sono state costruite avendo come base di riferimento la Social Support Resources
(SSR) di Vaux e Athanassopulou (1987), un’intervista semistrutturata molto complessa attraverso la quale è
possibile indagare: ampiezza della rete amicale e familiare, frequenza dei rapporti, simmetria emotiva,
complessità della rete, reciprocità, densità della rete e tipi di legami all’interno della rete. Inoltre prevede di
rilevare le persone che offrono al soggetto diverse tipologie di sostegno: emotivo, affiliativo, pratico, finanziario e
informativo.
Ottenere tutti i dati che è possibile rilevare attraverso questo strumento esula dagli scopi della presente ricerca,
pertanto si è ritenuto opportuno utilizzarlo come traccia per formulare domande ad hoc utili nell’esplorazione
della rete sociale del soggetto rispondente.
Inizialmente viene chiesto al soggetto di indicare le persone a cui si rivolge o potrebbe farlo nel caso avesse
bisogno di aiuto o sostegno pratico, economico ed informativo. Tre domande sono relative al sostegno pratico,
una al sostegno economico e due a quello informativo; sono proposte 5 alternative di scelta, tra cui il soggetto
può indicare tutte quelle che ritiene opportune, esse sono: Familiari/parenti, Amici intimi (fidati), Persone con cui
fai attività nel tempo libero, Colleghi di studio e/o lavoro e Altre persone (specifica) in cui il soggetto può indicare
le persone cui si rivolge per ottenere un determinato tipo di aiuto o sostegno.
Si è deciso di dare spazio alla rilevazione delle tipologie di sostegno: pratico, economico e informativo piuttosto
che a quelle: emotivo e affiliativo in quanto si ritiene che per l’immigrato poter accedere a tali aiuti in una
comunità che non è quella di nascita sia fondamentale per poter sperimentare sentimenti positivi verso di essa e
che questi incidano sul suo sentimento di benessere e soddisfazione verso la propria vita. Inoltre il sostegno
emotivo appare già indagato attraverso la MSPSS, mentre di quello affiliativo si può avere una stima attraverso
le risposte date agli item 6, 9, 15, 18, 19 del questionario per misurare il senso di comunità e ai due item 7 e 9
della scala dell’Identità etnica.
Successivamente vengono presentati quattro quesiti volti ad indagare la nazionalità delle persone incluse nella
rete sociale, a cui il soggetto è chiamato a rispondere indicando tutte le alternative che ritiene giuste tra le tre
proposte. In particolare si deve indicare se le persone che rientrano rispettivamente nelle categorie: Amici intimi
(fidati), Persone con cui fai attività divertenti nel tempo libero, Colleghi di studio e/o lavoro e Persone che
frequentano la stessa associazione o organizzazione appartengono: alla stessa nazionalità del soggetto, a quella
italiana e/o ad altre nazionalità.
Grazie a questi dati riteniamo plausibile poter stimare con un buon margine di certezza: l’ampiezza della rete,
non nella sua numerosità peraltro stimabile, ma nella sua varietà etnico - culturale data dalle intersezioni tra
nazionalità e categorie sociali, più numerose sono queste e maggiore è variegata, e si suppone numerosa, la
rete sociale del rispondente.
Infine la frequenza delle relazioni interpersonali all’interno della rete sociale viene rilevata chiedendo al soggetto
di indicare quante volte parla al telefono o di persona con: i suoi parenti, gli amici intimi (fidati), le persone con
cui fa attività divertenti nel tempo libero, i colleghi di studio e/o lavoro, le persone che frequentano la stessa
associazione o organizzazione e altri che il soggetti può specificare. Il soggetto può scegliere tra cinque
possibilità di risposta: una volta al mese o meno, circa due volte al mese, circa una volta alla settimana, circa
due volte alla settimana e circa una volta al giorno o più.
Si è deciso di non indagare le caratteristiche di vicinanza tra le persone della rete poiché si ritiene che una stima
della prima sia possibile ottenerla attraverso le risposte date alla MSPSS, anche se parziale, dato che è riferibile
non a tutte le persone incluse all’interno della rete sociale dell’individuo ma alla famiglia, agli amici e ad una
persona speciale.
La simmetria percepita dal soggetto non è stata indagata in quanto non si ritiene sia utile ottenere questo dato
ai fini della ricerca.
Si riconosce peraltro che indagare in maniera profonda la rete sociale sicuramente permetterebbe di ottenere
dati utili al fine della comprensione delle dimensioni appartenenza e integrazione del senso di comunità.
Scala sulla soddisfazione della vita.
Per ottenere un indice di soddisfazione verso la propria vita e dunque di benessere si è inserita alla fine del
questionario la Satisfaction With Life Scale di Pavot e Diener (1993): tale scala permette di ottenere un indice
globale di soddisfazione verso la propria vita molto velocemente, si compone di soli 5 item. É stata tradotta in
lingua italiana e uniformata su una scala Likert a 5 punti anziché 7 come nell’originale. La scelta di limitare le
possibilità di risposta è stata ponderata attentamente poiché riducendo le possibilità di risposta si costringe il
soggetto ad una polarizzazione forzata verso l’indice o positivo o negativo, la considerazione del particolare
target di riferimento e le possibili difficoltà legate alla lettura delle possibilità di risposta ne hanno guidato tale
ridimensionamento.
Poiché si ritiene assodata la correlazione positiva tra qualità della vita percepita e senso di comunità, come
hanno dimostrato le ricerche che ne hanno esplorato la relazione, non si è ritenuto opportuno ampliare la
valutazione di questa dimensione.
I RISULTATI
In questa sezione verranno esposti i risultati emersi dalla ricerca. Presenteremo dapprima i risultati relativi alle
scale utilizzate (senso di comunità, identità etnica, supporto sociale percepito e soddisfazione per la vita),
seguendo l’ordine di comparizione nel questionario. Di ciascuna, verranno presentate
le analisi descrittive
(medie e deviazioni standard) e le analisi fattoriali eseguite per verificarne adeguatezza e validità, e
successivamente, le analisi mediante l’uso di t-test e ANOVA con test post-hoc Wallet – Duncan, condotte per
verificare le differenze nei punteggi in base alle variabili socio demografiche .
Per quanto riguarda le scale, nel caso in cui l’analisi fattoriale abbia mostrato di misurare diverse dimensioni
dello stesso costrutto, vengono utilizzate le relative sottoscale, in caso contrario si è utilizzato l’indice globale.
Infine vengono presentati i risultati ottenuti alle analisi di correlazione bivariata tese a verificare le correlazioni
esistenti tra il senso di comunità (globale e nelle singole sottoscale) e le altre variabili psicosociali indagate.
Il questionario sul senso di comunità.
Il questionario utilizzato per rilevare il senso di comunità si componeva di 26 affermazioni alle quali i soggetti
erano chiamati ad esprimere il loro accordo su una scala a 5 punti dove 1 = Per nulla d’accordo e 5 = Molto
d’accordo.
Poiché lo strumento è stato costruito utilizzando item di scale diverse si è proceduto ad effettuare una prima
analisi fattoriale con metodo di estrazione delle componenti principali e rotazione Varimax, senza specificare il
numero dei fattori attesi. L’output ha riportato ben sette fattori con eigenvalue superiori a 1.
Poiché la struttura non è risultata chiaramente interpretabile si è proceduto ad una rilettura critica degli item
utilizzati dal punto di vista teorico e psicometrico e si è provveduto ad eliminare quelli che mostravano
saturazioni simili in più fattori, quelli con valori di saturazione molto bassi e poco discriminativi, e quelli che
evidenziavano un’alta saturazione in un fattore non pertinente dal punto di vista teorico.
Sono stati così eliminati 12 item e la nuova scala è stata sottoposta all’analisi fattoriale con estrazione delle
componenti principali e rotazione Varimax.. A questo nuovo test gli item sono risultati ricadere su 4 fattori diversi.
Le dimensioni estratte dalla scala così formulata sono state denominate: Integrazione, Appartenenza,
Soddisfazione dei bisogni e Influenza.
Nel primo fattore, Integrazione, afferiscono item che sembrano cogliere il grado d’integrazione attraverso il clima
sociale percepito, la possibilità di godere di eventi sociali in grado di coinvolgere personalmente l’individuo
attraverso l’espressione di una condizione di similarità “[...]ci sono eventi che coinvolgono le persone come me”
e che esprimono la soddisfazione verso il luogo e la comunità in cui si è inseriti “[...]sono orgoglioso di dire agli
altri dove vivo”; questo ultimo item, inizialmente incluso nella dimensione Appartenenza, a una rilettura critica
mostra di poter essere accolto in questo primo fattore, in quanto si ritiene che la soddisfazione verso il nuovo
luogo di residenza rimandi a sentimenti piacevoli legati sia luogo fisico, sia alla comunità sociale intesa nei
termini di inclusione e integrazione.
La validità interna calcolata attraverso l’alpha di Cronbach risulta infine buona, α = .762, e la dimensione è in
grado di spiegare il 18,8% della varianza totale.
Nel secondo fattore, Appartenenza, ricadono quattro item: tre propri della dimensione e come quarto l’item “Mi
piace la zona in cui vivo”; si ritiene che questo item possa essere incluso all’interno della dimensione in quanto i
sentimenti di piacevolezza legati al luogo di residenza non natio possono essere correlati alla nascita, allo
sviluppo e al mantenimento di un legame affettivo nei confronti del luogo fisico e sociale che contribuisce a
incrementare quelli di appartenenza ad una data comunità.
L’affidabilità mostrata da questi quattro item è buona, α = .743 e il fattore si dimostra in grado di spiegare il
17,4% della varianza totale.
All’interno del terzo fattore, si trovano quattro item relativi alla dimensione Soddisfazione dei bisogni, connessi
alle possibilità di usufruire di servizi pubblici per il cittadino, di opportunità d’azione concreta e un item
inizialmente appartenente alla dimensione Integrazione e Clima sociale, ma che per la sua stessa formulazione è
possibile includere all’interno di questa dimensione. Esso infatti, “É facile [...] avere buone relazioni sociali”,
rimanda al grado in cui i bisogni di tipo relazionale e sociale della persona sono soddisfatti all’interno della
comunità. Questo fattore è in grado di spiegare il 15% della varianza totale e la validità interna appare buona,
pari a α = .740.
Infine l’ultimo fattore estratto è relativo alla dimensione Influenza, qui vi ricadono due item: il primo misura il
grado d’influenza che il soggetto dichiara di percepire all’interno della comunità attraverso un giudizio sui suoi
membri: “Penso che le persone che vivono qui potrebbero cambiare le cose che non funzionano se lo
volessero” e il secondo la percezione del soggetto stesso di poter esercitare influenza sulla comunità “Credo
che se ci impegnassimo[...] avremmo la possibilità di migliorare le cose per le persone di questo paese”. I due
item si rivelano in grado di spiegare il 10,8% della varianza totale e mostrano una coerenza interna piuttosto
bassa: α = .472.
Si è ritenuto opportuno mantenerli all’interno della scala poiché punteggi alti a questi due item possono fornire
un indice in grado di quantificare quanto l’individuo percepisce sia possibile partecipare alla vita della comunità,
tenendo in considerazione il rapporto di disimpegno dell’immigrato nei confronti di una società in cui sovente
non gode di alcuni diritti politici quali, ad esempio, quello di voto. Il senso di comunità, come concettualizzato da
McMillan e Chavis (1986) prevede al suo interno la presenza di quattro dimensioni: Appartenenza, Influenza,
Integrazione e soddisfazione dei bisogni e Connessione emotiva condivisa. Rispetto a tale concettualizzazione
emergono delle differenze nella struttura della nuova scala: la dimensione Connessione emotiva condivisa non è
contemplata e l’originaria dimensione Integrazione e soddisfazione dei bisogni è scissa in due fattori distinti.
Per quanto riguarda l’assenza della dimensione Connessione emotiva condivisa questa è data dall’eliminazione
degli item relativi, tre in tutto, poiché non saturavano nello stesso fattore ma in fattori diversi senza evidenziare
un andamento coerente.
Si potrebbe supporre che la dimensione in questione non sia un aspetto centrale del senso di comunità per gli
immigrati. Ciò è coerente se si riflette sul fatto che la Connessione emotiva condivisa è definita non solo dalla
qualità dei legami che s’instaurano tra i membri della comunità, ma anche dalla condivisione di una storia e di un
passato comuni che garantiscono la sedimentazione del senso di appartenenza.
Nel caso del particolare target di riferimento, difficilmente persone che si sono stabilite in una nuova comunità
possono sviluppare sentimenti così profondi in un breve arco di tempo, ma al
contrario possono sentirsi legati alla comunità attraverso le caratteristiche presenti nella sua popolazione che li
fanno sentire inclusi nella sua struttura sociale.
La differenziazione degli item relativi alla Soddisfazione dei bisogni da quelli relativi all’Integrazione
trova
spiegazione nella considerazione che essi effettivamente fanno riferimento a due dimensioni diverse: la prima
focalizzata sulla soddisfazione di diverse tipologie di necessità attraverso la possibilità di usufruire di: servizi
pubblici per il cittadino,
opportunità d’azione concreta, ricreative e relazionali. Alla seconda dimensione,
Integrazione, afferiscono item maggiormente focalizzati sulle percezioni in merito alle relazioni sociali che
caratterizzano il rapporto dell’individuo con la comunità.
L’analisi della validità della scala totale composta da 14 item, misurata attraverso l’indice di affidabilità alpha di
Cronbach, mostra come essa sia piuttosto alta α = .835.
Si è ritenuto dunque possibile ottenere un indice affidabile del costrutto nel suo complesso e procedere con i
confronti tesi ad evidenziare differenze in base alle caratteristiche socio demografiche e le relazioni con quelle
socio psicologiche considerate nell’indagine.
A tal proposito le analisi effettuate per verificare le differenze nei punteggi del senso di comunità (globale e nelle
quattro sottoscale) in base alle caratteristiche socio demografiche del campione hanno messo in luce alcune
differenze significative.
Per quanto concerne il genere non emergono differenze, l’età al contrario mostra di incidere principalmente sulla
dimensione Integrazione (F(3,154) = 4.154, p < 0,01) (Tab. 8, Grafico 9). In particolare l’integrazione nella
comunità è minima nei giovani (3.08) e risulta aumentare in modo significativo passando dai 20-29 anni ai 30-39
anni (3.70).
La nazionalità discrimina sull’indice globale del senso di comunità (F(5,154) = 3.488, p < 0.001) e nelle
sottoscale Integrazione (F(5,154) = 3.513, p < 0,005) e Soddisfazione dei bisogni (F(5,154) = 4.453, p < 0.001).
Per quanto riguarda l’indice globale sono gli Asiatici a mostrare i punteggi più alti e a distanziarsi da tutti gli altri
gruppi fuorché quello degli Est Europei (3.59) (Tab. 9.)
Per quel che concerne le scale sottostanti si riporta che: alla dimensione Integrazione chi proviene dal Centro
Est Africa mostra punteggi inferiori (2.83) rispetto a chi proviene dall’Est Europa (3.56) e agli Asiatici (4.13) che
esprimono le medie maggiori (Tab. 10); mentre chi proviene dal Centro Ovest Africa (3.16), dal Nord Europa
(3.25) e dal Nord Africa (3.40) mostra medie significativamente minori rispetto a quelle di chi dall’Asia.
Per quanto riguarda la Soddisfazione dei bisogni chi proviene dal Centro Est Africa mostra medie
significativamente inferiori (2.16) rispetto a chi proviene dal Nord Africa (3.09), questi ultimi e chi proviene dal
Nord Europa (3.12) è distanziato ulteriormente rispetto a chi proviene da Nazioni Asiatiche (3.93) (Tab. 10).
Nell’insieme, pertanto, sembra di poter concludere che il senso di comunità è sistematicamente superiore negli
asiatici ed è inferiore in chi proviene delle zone orientali dell’Africa.
Il possesso della cittadinanza italiana fa registrare medie più alte relative alla sottoscala Influenza (F(2,153) =
1.602, p < 0.001).
Il titolo di studio raggiunto pare al contrario incidere non solo sull’indice totale (F(3,154) = 4.358, p < 0.01), ma
anche sulle sottodimensioni: Appartenenza (F(3,154) = 5.928, p < 0.01), Integrazione (F(3,154) = 6.500, p <
0.001) e Influenza (F(3,154) = 4.326, p < 0.01).
Per quel che concerne l’indice globale il senso di comunità sembra aumentare dal livello della formazione
professionale e secondaria alla laurea.
Alle scale Appartenenza e Integrazione vengono evidenziate le medesime differenze, ovvero un andamento
decrescente all’aumentare del livello di istruzione (dalla scuola elementare alla scuola secondaria), per poi
registrare i livelli più alti fra i laureati (Tab. 11)
Per quanto riguarda la dimensione Influenza, invece, l’andamento in base all’età risulta opposto, ovvero la
percezione di poter esercitare influenza sulla comunità aumenta all’aumentare del livello di istruzione
raggiungendo il massimo in chi è laureato (Tab. 12).
L’indice globale del senso di comunità appare differenziarsi in base al tipo di occupazione svolta (F(4,145) =
2.958, p < 0.005), così come le dimensioni: Soddisfazione dei bisogni (F(4,145) = 34.592, p < 0.005) e Influenza
(F(4,145) = 7.098 p < 0.001).
In merito ai punteggi ottenuti all’indice globale le differenze sono evidenti tra coloro che sono in cerca di
occupazione (3.09) e coloro che studiano (3.81) oppure studiano e lavorano (3.91) che totalizzano i valori più alti
(Tab. 13).
La dimensione Soddisfazione dei bisogni discrimina tra chi è in cerca di lavoro (2.50) e chi studia (3.50), e tra chi
è impiegato come artigiano/impiegato (3.01) e operaio (3.03) rispetto agli studenti lavoratori che raggiungono i
punteggi più alti (4.00) (Tab.13). Pertanto, coloro che studiano e lavorano ritengono più degli altri che la
comunità locale in cui vivono possa offrire soddisfazione ai propri bisogni, in particolare in misura superiore a chi
svolge una professione poco qualificata, mentre chi non ha occupazione riferisce minore soddisfazione di tutti.
Nel merito della dimensione Influenza i valori più alti si riscontrano negli studenti, seguiti dagli studenti-lavoratori
e chi ha un’occupazione, mentre i disoccupati ottengono valori inferiori a tutti gli altri gruppi (Tab. 14).
Per quel che riguarda lo stato civile si evidenziano differenze a livello di indice globale (F(2,154) = 5.395, p
<0.005), alla dimensione Appartenenza (F(2,154) = 8.298, p <0.001 ) ed a quella dell’Influenza (F(2,154) =
3.856, p <0.05).
Seppure il numero di divorziati/separati sia molto esiguo, si conferma ciò che altre ricerche precedentemente
hanno messo in luce, e cioè che sono le persone coniugate a mostrate punteggi medi significativamente
maggiori sia rispetto all’indice globale che alle due dimensioni sopracitate rispetto a chi è celibe/nubile, mentre
è il gruppo dei divorziati/separati ad ottenere quelli più bassi (Tab. 15).
Considerando i punteggi nelle singole sottoscale, si osserva che per quanto concerne la dimensione
Appartenenza le differenze significative (F(3,154) = 3.920, p < 0.01) sono simili a quelle registrate nel punteggio
globale, ovvero si evidenziano tra chi vive con fratelli e/o sorelle (3.42) e chi vive in altre tipologie abitative (Tab.
17).
Alla dimensione Integrazione (F(3,154) = 4.802, p < 0.005) le differenze emergono tra chi vive con fratelli e
sorelle (3.03) o solo (3.06) che mostrano medie inferiori e chi vive con amici, che mostra i punteggi maggiori
(3.88) (Tab. 17).
In ultimo, alla dimensione Soddisfazione dei bisogni le differenze (F(3,154) = 5.650, p <0.001) compaiono tra chi
vive con fratelli e/o sorelle (2.19) e tutti gli altri gruppi (Tab. 17).
Nel merito del tipo di locazione degli intervistati non emergono differenze significative, si può però notare come
chi vive in una casa di proprietà mostri punteggi maggiori alle dimensioni Appartenenza e Soddisfazione dei
bisogni rispetto a chi è in affitto o coabita col proprio datore di lavoro.
La partecipazione alle attività di un’organizzazione o associazione influisce positivamente sulle dimensioni
Soddisfazione dei bisogni (F(2,153) = 2.074, p < 0.05) e Influenza (F(2,153) = 2.764, p < 0.005).
Analizzando la tipologia di associazione frequentata e mettendola in relazione con l’indice globale della scala e
con quelli parziali si notano differenze significative in tutte le dimensioni. Per quanto riguarda l’indice totale, le
diversità nelle medie (F(2,61) = 8.138, p <0.001) sono tra chi indica di frequentare associazioni socio – culturali
(2.75) e chi indica quelle di tipologia religiosa (3.52) o ricreativa (4.06).
Le stesse considerazioni vanno riportate per le dimensioni: Appartenenza (F(2,61) = 9.784, p < 0.001) e
Integrazione (F(2,61) = 11.046, p < 0.000) (Tab. 18). Nel caso delle dimensioni Soddisfazione dei bisogni (F(2,61)
= 3.171, p < 0.05) e Influenza (F(2,61) = 4.015, p < 0.05) le differenze sono presenti tra chi partecipa ad attività
di tipo socio-culturale e chi a quelle di tipo ricreativo i cui partecipanti esprimono medie più alte, mentre la
partecipazione ad associazioni di tipo religioso ottiene punteggi intermedi rispetto alle altre due (Tab. 19).
Per quanto concerne le differenze nel senso di comunità in base agli anni di permanenza in Italia l’ANOVA ne
rileva di significative alla dimensione Integrazione (F(5,152) = 2.912, p <0.05): coloro che abitano in Italia da oltre
26 anni riferiscono i valori più alti (4.00) (Tab. 20).
L’aver o meno cambiato il proprio domicilio nel corso della propria permanenza in Italia non produce differenze
sui punteggi espressi.
Il numero di cambi domiciliari effettuati discrimina nei punteggi alle dimensioni Appartenenza (F(3,78) = 3.023, p
< 0.05) e Influenza (F(4.615) = 4.615, p <0.005).
Per quanto riguarda la dimensione Appartenenza, anche qui chi ha cambiato un maggior numero di volte il
proprio domicilio mostra punteggi significativamente più bassi (3.25) rispetto agli altri (Tab. 21).
Anche alla dimensione Influenza, i punteggi diminuiscono all’aumentare del numero dei cambi di residenza (Tab.
21).
Si evidenziano differenze significative anche in base al paese o città di residenza, anche se di segno opposto
rispetto a quanto riportato in letteratura.
Infatti, sono i residenti delle due cittadine (Cesena e Forlì) a mostrare medie più alte (Tab. 22) sia nell’indice
globale (F(2,152) = 1.191, p < 0.001), che alla dimensione Appartenenza (F(2,152) = 11.029, p < 0.01).
Per quanto riguarda la durata del domicilio nel paese attuale di residenza, essa mostra di produrre differenze sia
all’indice globale (F(3,154) = 4.371, p < 0.01) che alle dimensioni: Integrazione (F(3,154) = 3.397, p < 0.05),
Soddisfazione dei bisogni (F(3,154) = 2.954, p <0.05) e Influenza (F(3,154) = 3.252, p <0.05).
Per quanto riguarda l’indice totale esso mostra una tendenza incrementale per cui all’aumentare degli anni di
residenza aumentano anche i punteggi forniti dai soggetti; le differenze nelle medie si evidenziano tra chi risiede
da meno di 5 anni (3.19) nei confronti di chi vanta dagli 11 ai 15 anni di permanenza (3.74) e chi oltre i 15 anni
(3.77) (Tab. 23).
Le medie alla scala Appartenenza seguono lo stesso andamento incrementale con la differenza che le medie
sono significativamente diverse tra chi risiede da meno di 5 anni nel paese di residenza (3.84) rispetto a coloro
che vi si sono stabiliti da oltre 15 anni (4.44) (Tab. 23)
I punteggi forniti alle scale Integrazione e Influenza aumentano anch’essi progressivamente all’aumentare degli
anni di permanenza nella comunità locale considerata (Tab. 24).
Infine analizzando la relazione tra prospettiva di permanenza in Italia e senso di comunità si evidenziano delle
differenze significative sia in merito all’indice globale (F(4,154) = 6.535, p < 0.001) che a quelli delle dimensioni:
Appartenenza (F(4,154) = 9.149, p < 0.001), Soddisfazione dei bisogni (F(4,154) = 3.879, p < 0.005) e Influenza
(F(4,154) = 4.088, p < 0.005).
Per quel che concerne l’indice totale, all’aumentare della durata della prospettiva temporale anche il punteggio
all’indice della scala aumenta; le differenze nelle medie sono evidenti tra chi esprime il desiderio di rimanere
pochi giorni o mesi (3.00) rispetto a chi indica di voler rimanere per sempre (3.86). Coloro che hanno riferito di
non poter effettuare una previsione in quanto la permanenza in Italia è legata al proprio destino di vita,
totalizzano punteggi alti (3.54) (Tab. 25).
La stessa tendenza è riscontrabile in relazione alla dimensione Appartenenza: le differenze si evidenziano tra chi
desidera rimanere pochi giorni o mesi (3.29) e chi dichiara molti anni (3.96), e ancora tra chi dichiara di voler
restare pochi anni (3.70) rispetto a chi indica per sempre (4.52). (Tab. 25).
Anche i punteggi relativi alla dimensione Soddisfazione dei bisogni aumentano in maniera omogenea
all’aumentare della prospettiva di permanenza: sono coloro che esprimono di voler rimanere pochi giorni o mesi
a esprimere punteggi significativamente più bassi (2.44) rispetto a coloro che indicano di voler vivere per sempre
in Italia (3.52) (Tab. 26).
Alla dimensione Influenza sono gli indecisi a ottenere punteggi superiori a tutti gli altri gruppi (4.46) (Tab. 26).
La scala dell’identità etnica
La scala dell’identità etnica si compone di nove item totali verso i quali il soggetto è chiamato a esprimere il suo
livello di accordo attraverso cinque possibilità di risposta che vanno da 1 = Per nulla d’accordo a 5 = Molto
d’accordo.
Come mostrato in tabella 27, complessivamente il campione mostra di avere medi livelli rispetto alle dimensioni:
Appartenenza e Etnocentrismo, mentre sono alte le medie relative agli item delle dimensioni: Atteggiamenti
positivi verso il proprio gruppo e Interrelazioni fra gruppi.
I bassi punteggi relativi al secondo e al terzo item della dimensione Appartenenza possono trovare spiegazione
in parte nella difficoltà riportata da molti rispondenti nella comprensione stessa della prima affermazione “Penso
a come la mia vita dipenda dal gruppo etnico a cui appartengo” e per quanto riguarda il secondo, “Partecipo ad
attività sociali dove ci sono molte persone del mio gruppo etnico”, nella mancanza riportata dagli intervistati di
Civitella di Romagna e Galeata di occasioni sociali in cui poter effettivamente frequentare esclusivamente
persone appartenenti al proprio gruppo etnico; la deviazione standard è comunque alta a mostrare come vi sia
una notevole variabilità nelle risposte date.
Per quanto riguarda le medie dei punteggi alla dimensione Etnocentrismo queste risultano basse con deviazione
standard non elevata a dimostrazione di come non vi siano complessivamente nel campione in oggetto
tendenze di chiusura verso il proprio gruppo etnico; tale atteggiamento è confermato anche dalle medie
ottenute dagli item della dimensione Interrelazioni fra gruppi alte, tutte superiori al 4, la cui deviazione standard
non supera l’1,194.
L’analisi fattoriale eseguita sugli item attraverso il metodo delle componenti principali e rotazione Varimax (Tab.
28), ha estratto tre fattori con eigenvalue superiore a 1. Nel primo fattore estratto ricadono tre item relativi alle
interrelazioni fra gruppi, esso è in grado di spiegare il 26,14% della varianza totale e l’affidabilità è pari a α = .
714.
Nel secondo fattore saturano due item relativi alla dimensione Etnocentrismo, e due relativi all’Appartenenza;
esso si mostra in grado di spiegare il 19,14% della varianza totale con una sufficiente affidabilità α = .625.
Mentre nell’ultimo fattore saturano l’item relativo agli atteggiamenti positivi verso il proprio gruppo “Sono
soddisfatto della mia origine etnica”
e uno relativo alla dimensione appartenenza “Ho un forte senso di
appartenenza al mio gruppo etnico”.
Considerando che entrambi gli item rimandano ad aspetti cognitivi relativi alla soddisfazione percepita verso le
proprie origini e all’identificazione con il proprio gruppo etnico, si è ritenuto opportuno mantenerli separati da
quelli relativi alla dimensione Etnocentrismo e Appartenenza, i quali colgono principalmente gli aspetti
comportamentali derivanti dall’adesione al proprio gruppo etnico e unirli in una nuova dimensione denominata
Identificazione positiva il cui coefficiente di coerenza interna è più che sufficiente, α = .714, e risulta in grado di
spiegare il 18,07% della varianza totale della scala.
In media il campione mostra avere una buona identificazione etnica positiva col proprio gruppo etnico (3.88; DS
= 1.292), accompagnata a un basso grado di etnocentrismo (2.18; DS = 0.947) e ben disposta verso le
interrelazioni multietniche (4.24; DS = 0.835).
Le analisi effettuate per verificare le differenze nelle dimensioni della scala in base alle variabili socio
demografiche mostrano come non vi siano differenze significative in nessuna delle tre dimensioni in base al
genere, al possesso della cittadinanza italiana, allo stato civile, al tipo di locazione e al tempo di residenza nello
stesso paese di domicilio attuale.
Tutte le dimensioni mostrano differenze in base all’età (Tab. 29): in particolare sono i più giovani a mostrare i
punteggi più bassi (3.60) di tutti per quanto riguarda la dimensione Interrelazioni fra gruppi (F(3,154) = 4.995, p <
0.01); mentre per quanto riguarda la dimensione Etnocentrismo e Appartenenza (F(3,154) = 10.788, p < 0.001)
il gruppo degli adolescenti si distingue per il fatto di ottenere i valori più alti, in particolare rispetto al gruppo dei
giovani con un’età compresa tra i 20 e i 29 anni che ha i valori più bassi (1.81).
Per quanto concerne le differenze nella dimensione Identificazione positiva (F(3,154) = 6.766, p < 0.001) sembra
emergere una tendenza verso l’incremento dei punteggi all’aumentare dell’età.
Per quanto riguarda la provenienza, la sola dimensione che mostra differenze significative (F(6,154) = 6.547, p <
0.001) è quella dell’Interrelazioni fra gruppi: sono i Nord Europei a mostrare i punteggi più bassi rispetto a tutti
gli altri gruppi (Tab. 30).
La comparazione delle medie effettuata tra orientamento religioso e dimensioni dell’identità etnica mostra come
l’appartenenza alla religione Cattolica e Islamica si accompagna a punteggi più alti di Interrelazioni fra gruppi (F
(2,154) = 12.088, p < 0.001), mentre rispetto all’etnocentrismo, spiccano gli Islamici per i valori più alti, mentre i
Cristiano Cattolici mostrano i livelli più bassi (F(2,154) = 5.833, p < 0.01) (Tab. 31).
Il titolo di studio discrimina nelle dimensioni Interrelazioni fra gruppi (F(3,154) =2.251, p <0.001) e Etnocentrismo
e Appartenenza (F(3,154) = 9.817, p <0.001) mostrando come siano i laureati ad ottenere punteggi più alti
(4.76) nella prima dimensione; mentre alla dimensione Etnocentrismo e Appartenenza è il gruppo dei laureati a
mostrare le medie più basse (1.23) diverse rispetto a tutti gli altri gruppi (Tab. 32).
Non si evidenziano differenze significative per quanto concerne la dimensione di Identificazione positiva, i cui
livelli sono alti in tutti i gruppi, anche se si osserva come essa sia lievemente maggiore nel gruppo dei laureati.
Per quanto riguarda l’occupazione svolta le differenze sono evidenti in tutte le dimensioni.
Alla scala Interrelazioni fra gruppi le differenze emergono (F(1,145) = 4.671, p < 0.001) tra chi svolge i lavori di
artigiano e impiegato che evidenzia punteggi minori (3.75) e chi svolge quello di operaio (4.45) (Tab. 33).
I punteggi relativi alla dimensione Etnocentrismo e Appartenenza mostrano differenze nelle medie (F(4,145) =
2.587, p < 0.05) tra chi è in cerca di lavoro (1.57) e chi è occupato come studente lavoratore (2.44), mentre è
chi svolge la professione di artigiano e impiegato a mostrare a questa scala la media maggiore (Tab. 33).
Infine alla dimensione Identificazione positiva le differenze (F(4,145) = 3.480, p < 0.01) sono presenti tra chi
studia (2.68) e tutti gli altri gruppi (Tab. 33).
Per quanto riguarda la convivenza familiare, mostra livelli più bassi di Etnocentrismo e Appartenenza (F(3,154) =
3.292, p < 0.05) chi vive con amici (1.70) rispetto a chi vive con la famiglia (2.33) e chi vive con i propri fratelli o
sorelle (2.39) che mostra le medie maggiori (Tab. 34); mentre nei riguardi del tipo di locazione abitativa adottata
non emergono differenze significative.
Analizzando gli anni di permanenza in Italia l’unica dimensione che mostra delle differenze significative
(F(5,152) = 3.891, p < 0.01) è l’Identificazione positiva, anche se con andamenti non coerenti (Tab.
35); sono infatti coloro che vivono nel Paese da 9 anni e non oltre i 15 a mostrare i punteggi medi più
alti (4.36).
Il paese di residenza influisce sia sulla dimensione Interrelazioni fra gruppi (F(3,153) = 4.573, p < 0.01)
sia su Etnocentrismo e Appartenenza (F(3,153) = 5.451, p < 0.001): in particolare mostrano livelli più
alti nella prima dimensione i residenti di Galeata (4.59) rispetto a coloro che abitano a Forlì (3.86), i
quali a loro volta
nella seconda dimensione mostrano punteggi significativamente più bassi (1.82)
rispetto a coloro che sono domiciliati a Civitella di Romagna (2.59) (Tab. 36).
In ultimo le medie relative alla dimensione Interrelazione fra gruppi mostrano differenze significative (F
(4,154) = 2.745, p < 0.05) in base alla prospettiva di permanenza in Italia: sono coloro che dichiarano
di voler rimanere per pochi giorni o mesi ad esprimere livelli minori (3.29) alla dimensione, rispetto a
coloro che dichiarano di voler vivere in Italia per sempre i quali forniscono i punteggi più alti (4.43)
(Tab. 37).
La scala dell’identità etnica sostegno sociale percepito
La scala del sostegno sociale percepito si compone di 12 item riferiti al sostegno sociale che il soggetto ritiene
di ottenere da tre tipi di fonti: la propria famiglia, i propri amici e una persona speciale, cui il soggetto è chiamato
a rispondere dando un giudizio di accordo su una scala a 5 punti, da 1 = Per nulla d’accordo a 5 = Molto
d’accordo.
Tendenzialmente il campione mostra medie alte con deviazioni standard pronunciate a tutti gli item della scala
(Tab. 38).
L’analisi fattoriale eseguita attraverso l’analisi delle componenti principali e rotazione Varimax estrae i 3 fattori
attesi: nel primo saturano quattro item relativi al sostegno sociale percepito nei confronti di una persona
speciale, essi mostrano una buona validità interna, α = .844 e insieme spiegano il 25,42% della varianza totale.
Nel secondo si trovano ulteriori 4 item relativi al sostegno percepito come proveniente dalla propria famiglia,
anche a questa dimensione la validità si rivela buona, α = .830 e capace di spiegare il 22,95% della varianza
totale.
Dell’ultimo fattore estratto fanno parte ulteriori quattro item che indagano il sostegno sociale percepito come
proveniente dagli amici. Questa dimensione, in maniera analoga alle altre, mostra una buona validità interna, α
= .878 e la capacità di spiegare il 22,61% della varianza totale della scala. Il coefficiente di affidabilità è pari ad
α = .828 (Tab.39).
Le medie relative alle tre dimensioni di sostegno sociale percepito mostrano come nel campione sia alta la
frequenza di chi lo avverte principalmente da una persona speciale (4.21; DS = 1.039) e dalla famiglia (4.08; DS
= 1.105), mentre è leggermente più basso quello percepito rispetto agli amici (3.89; DS = 1.160) (Tab. 40).
Le analisi di confronto effettuate con il t-test per campioni indipendenti mostrano come rispetto al sostegno
sociale percepito che proviene dalla famiglia esistano differenze in base al genere(F(2,153) = 11.534; p < 0.01),
esso è maggiormente esperito dai maschi, e in coloro che non posseggono la cittadinanza italiana (F(2,153) =
12.240; p < 0.05).
Le analisi effettuate attraverso l’ANOVA, mostrano come siano gli Africani del Centro Est (3.43) a sperimentare
un minore sostegno proveniente dalla famiglia rispetto a coloro che provengono dal Nord Africa (4.32), dal
Centro Ovest Africa (4.35) e rispetto agli Asiatici che in assoluto lo sperimentano maggiormente(4.50) (F(6,154)
= 2.776, p < 0.05) (Tab. 41).
Per quel che concerne le differenze in base all’orientamento religioso, sono i Cristiano-cattolici (3.58) a
sperimentare un minore sostegno proveniente dalla famiglia rispetto ai Mussulmani (4.41) e a chi professa altre
religioni (4.46) (F(6,154) = 12.496, p < 0.000).
Il livello di studi incide sul sostegno sociale percepito dalla famiglia (F(3,154) = 3.089, p < 0.05): è il gruppo dei
laureati a mostrare medie più alte (4.82) rispetto a chi ha terminato gli studi con l’acquisizione di un diploma di
scuola secondaria superiore (3.96) e chi ha concluso la formazione con l’adempimento degli obblighi scolastici
(3.85) (Tab. 42).
Per quanto riguarda le differenze in base all’occupazione lavorativa, si nota come il sostegno proveniente da una
persona speciale (F(4,145) = 2.693, p < 0.05) sia minore tra chi è impiegato come artigiano e impiegato (3.79) e
chi studia e lavora (4.84) (Tab. 6); mentre per quanto concerne il sostegno sociale proveniente dagli amici (F
(4,145) = 3.673, p < 0,01) chi è in cerca di lavoro mostra
punteggi medi significativamente inferiori (3.14)
rispetto a chi studia (4.30), e tra il gruppo degli artigiani e impiegati (3.43) rispetto quello degli studenti lavoratori
che forniscono i punteggi più alti (4.48) (Tab. 43).
Lo stato civile differenzia il sostegno sociale percepito dagli amici (F(2,154) = 3.573, p < 0.05): questo è avvertito
meno dal gruppo di separati/divorziati rispetto a chi è coniugato o celibe/nubile (Tab. 44).
Per quanto riguarda la convivenza abitativa differenze significative si rilevano per quanto riguarda il sostegno
proveniente da una persona speciale (F(3,154) = 10.757, p < 0.001) e dagli amici (F(3,154) = 5.062, p < 0.01).
Alla prima scala chi vive con amici mostra livelli minori (3.29) rispetto a chi vive con la famiglia (4.47), così come
le differenze sono evidenti tra chi vive solo (3.81) e chi vive con fratelli e sorelle che mostra le medie più alte
(4.67) (Tab. 45).
Le differenze nelle medie date alla scala del sostegno sociale percepito come proveniente dagli amici sono
presenti tra chi vive solo (3.34) e chi vive con la propria famiglia (4.18) (Tab.45).
Per quanto riguarda gli anni di permanenza in Italia e nel paese/città di odierno domicilio non si riscontrano
differenze significative comparando il campione per fasce quinquennali, così come non ve ne sono tra chi ha
cambiato il proprio domicilio nel corso degli anni e chi non lo ha fatto, e in base al numero di spostamenti
residenziali effettuati.
Una leggera differenza significativa (F(3,153) = 2.761, p < 0.05) viene rilevata per quanto riguarda il paese o la
città di domicilio: sono coloro che abitano a Cesena (3.79) a mostrare medie inferiori alla scala sostegno sociale
percepito dalla famiglia, rispetto a coloro che abitano a Civitella di Romagna (4.42) (Tab. 46).
Chi abita nel paese, se confrontato a chi abita nella cittadina, mostra medie più alte di sostegno proveniente da
tutte e tre le fonti sebbene le differenze riscontrate non siano significative (Tab. 47).
Infine in merito alla prospettiva di permanenza in Italia l’ANOVA evidenzia differenze significative nel sostegno
sociale percepito da parte di una persona speciale (F(4,154) = 6.080, p < 0.001) e da parte degli amici (F(4,154)
= 7.545, p < 0.001).
Nel primo caso il sostegno percepito da una persona speciale aumenta all’aumentare della prospettiva di
permanenza in Italia (Tab. 48). Anche per quel che riguarda il Sostegno sociale percepito dagli amici, esso
aumenta all’aumentare delle intenzioni di rimanere per molti anni (4.26) (Tab. 48).
Le caratteristiche della rete sociale
Osservando la frequenza delle risposte date alle domande formulate per indagare la rete sociale, si può
affermare che le reti sociali dei partecipanti includono sia persone della stessa nazionalità, sia italiani e membri di
altre nazionalità.
In particolar modo gli amici intimi sono soprattutto connazionali (62,5 % di risposte affermative); gli amici
generici, ovvero quelli con cui si svolgono attività divertenti nel tempo libero, sono principalmente appartenenti
ad altre nazionalità (71%), così come i colleghi di studio e lavoro (69%). Il grafico 10 mostra le frequenze
riportate dagli intervistati alle domande sulla nazionalità delle persone frequentate cui si era chiamati a
rispondere in maniera affermativa o negativa con la possibilità di indicare più nazionalità per la stessa categoria
sociale.
Chi partecipa alle attività di un’associazione/organizzazione, ha indicato che le persone frequentate al suo
interno appartengono principalmente a nazionalità eterogenee (45%), vi è poi una buona percentuale di
connazionali (36%) e infine una minima parte di Italiani (19%).
La frequenza con cui i soggetti del campione si relazionano con le persone significative della rete sociale è
valutata su una scala a cinque possibilità crescenti che vanno dal minimo di 1 = “Una volta al mese o meno”, al
massimo di 5 = “Una volta al giorno o più”.
Eseguendo dei confronti comparativi in merito alle risposte raccolte emerge come i contatti con i propri parenti
lontani vengono mantenuti con una frequenza vicina alle due volte alla settimana, quelli con gli amici intimi
maggiormente, circa due volte alla settimana, gli amici generici vengono contattati poco più che una volta alla
settimana, i colleghi di lavoro quasi due volte alla settimana e, per chi frequenta un’associazione o
organizzazione, questi avvengono poco più che una volta alla settimana (Tab. 49).
La rete è stata esplorata anche attraverso domande che indagavano il ricorso a diverse figure per ricevere
sostegno sociale di tipo pratico, economico e informativo. Attraverso le risposte raccolte emerge un quadro non
molto variegato (Grafico 11).
Per quanto riguarda il sostegno concreto nelle attività legate alla vita quotidiana quali l’aiuto in lavori che
richiedono collaborazione, il prestito di oggetti e l’affidamento temporaneo di persone e/o oggetti si nota come
la quasi totalità del campione si rivolga principalmente a familiari e amici intimi.
Pochissimi sono coloro che dichiarano di non aver nessuno su cui poter fare affidamento in caso di bisogno o di
rivolgersi a ditte specializzate. Gli amici generici sono indicati da pochi e, in maniera minore anche i colleghi di
lavoro, nel caso di aiuto nello svolgimento di lavori che non possono essere portati a termine da soli.
Per quanto concerne il ricorso ad aiuti in campo economico sono sempre familiari e parenti i primi interpellati,
seguiti dagli amici intimi; pochissimi si rivolgerebbero agli amici con cui fanno attività nel tempo libero ed ai
colleghi di lavoro, così come è molto basso il numero di coloro che dichiarano di non potersi rivolgere a nessuno
e di chi si affiderebbero a istituti di credito (Grafico 12).
Nel merito del sostegno di tipo informativo si confermano le osservazioni sugli altri due tipi di sostegno: parenti e
amici intimi sono i più interpellati, seguiti dai colleghi di lavoro e in maniera minore anche dagli uffici o enti
pubblici se si tratta d’informazioni utili e importanti (Grafico 13).
La scala della soddisfazione sulla vita
La scala della soddisfazione della vita si compone di soli 5 item su cui il soggetto è chiamato ad esprimere il suo
accordo mediante cinque possibilità di risposta, da 1 = Per nulla d’accordo, 5 = Molto d’accordo.
Il coefficiente di affidabilità calcolato è buono, α = .833, a mostrare una buona validità interna della scala che
permette di ottenere un indice globale di soddisfazione verso la propria vita molto velocemente data la sua
brevità.
Complessivamente il campione si mostra lievemente soddisfatto nei riguardi della propria vita ottenendo un
punteggio medio di 3.25 con una DS di 1.120.
Se si confrontano le medie ottenute ai diversi item della scala si nota come i punteggi medi più bassi sono
ottenuti da quelli che rimandano alle considerazioni di tipo idealistico e possibilistico, mentre i punteggi più alti
da quelli che riguardano direttamente le condizioni attuali di vita e la soddisfazione complessiva percepita. Le
deviazioni standard sono alte a tutti gli item a mostrare come vi sia una grande varietà nelle risposte date (Tab.
50).
I confronti effettuati mostrano come siano i maschi (3.40 vs 2.87, DS = 1.165 vs DS = 0.894) a esprimere una
maggiore soddisfazione verso la vita, anche se questa non è significativa, mentre vi sono differenze rispetto
all’età: la soddisfazione nei confronti della vita è maggiore nei più giovani, 13 – 19 anni (3.83), rispetto a chi ha
dai 20 ai 29 anni (3.13), e da chi ha 40 anni o più che mostra le medie minori (3.11) ( Tab. 51).
Per quanto concerne le differenze nelle medie in merito alla macroarea di provenienza esse sono significative tra
chi proviene dall’Est Europa (2.82) e chi dal Centro Ovest Africa (2.95) i quali si differenziano significativamente
rispetto a chi proviene da Asia e Ovest Asia che mostra i punteggi maggiori (3.92) (Tab. 52)
Non emergono differenze in base al: possesso della cittadinanza, in relazione all’orientamento religioso, al paese
o città di domicilio, agli anni di permanenza in Italia e di domicilio nell’attuale paese o città di residenza e alla
prospettiva di permanenza in Italia.
Differenze significative emergono in relazione al titolo di studio posseduto (F(3,154) = 3.883, p < 0.01): sono i
laureati a mostrare punteggi più alti (4.05) rispetto a tutti gli altri gruppi, mentre coloro che hanno terminato gli
studi obbligatori mostrano quelli più bassi (2.97) (Tab.53); e al tipo di occupazione svolta (F(4,154) = 3.973, p <
0.005): chi è in cerca di occupazione mostra i punteggi più bassi (2.49) rispetto a chi studia e lavora che mostra
il punteggio medio più alto (4.03) (Tab. 54).
Lo stato civile incide poi sulla soddisfazione sulla vita (F(2,154) = 6434, p < 0.01) chi è separato o divorziato
esperisce mediamente meno soddisfazione rispetto a chi è celibe/nubile o coniugato (Tab. 55).
Anche la convivenza familiare influisce sulla soddisfazione percepita (F(3,154) = 4.690, p < 0.005): minore in
coloro che vivono con amici (2.72) rispetto a chi vive con la famiglia (3.53), (Tab.56).
Infine non emergono differenze significative tra chi ha cambiato il proprio domicilio nel corso degli anni e chi non
lo ha fatto, ma confrontando i gruppi per numero di cambi effettuati emerge che chi ha cambiato più volte, dai
cinque ai sette spostamenti, esprime punteggi più bassi (1.57) rispetto a chi si è spostato tre – quattro volte
(3.19) o meno, sono coloro che hanno effettuato due cambi residenziali a esprimere la soddisfazione maggiore
(3.53) (F(3,78) = 7608, p < 0.001) (Tab. 57).
Correlazione tra senso di comunità e variabili psico-sociali
Sono qui presentate in maniera sintetica le correlazioni rilevate tra senso di comunità e le variabili psicosociali
indagate, che saranno discusse ampiamente nel prossimo capitolo.
Nel merito delle relazioni con l’identità etnica queste sono positive tra le scale Identificazione positiva e
Interrelazioni fra gruppi e le dimensioni Appartenenza e Integrazione del senso di comunità. Non emergono
invece correlazioni significative fra senso di comunità e la sottoscala Etnocentrismo e appartenenza (Tab. 58).
Per quanto riguarda il sostegno sociale percepito dalle varie fonti si evidenziano correlazioni positive tra il
sostegno proveniente dalla famiglia e la dimensione Integrazione e tra il sostegno proveniente dagli amici e la
dimensione Appartenenza.
Non emergono correlazioni significative fra senso di comunità e la scala del
sostegno proveniente da una persona speciale (Tab. 59).
Le correlazioni tra senso di comunità e caratteristiche della rete sociale sono state indagate considerando
l’ampiezza della rete (numero di persone dalle quali i partecipanti ottengono sostegno sociale pratico,
economico e informativo); l’ampiezza in termini etnici della rete, il numero di nazionalità incluse nella rete sociale
e la frequenza dei rapporti intrattenuti dal soggetto con le persone significative incluse nella rete.
Considerando il numero di persone che forniscono sostegno, le correlazioni sono negative tra la dimensione
Appartenenza e il sostegno pratico nelle attività che non possono essere svolte da soli e, con coefficienti di
correlazione più forti e sempre negativi, con il sostegno pratico per ottenere oggetti in prestito, quello
economico, e quello informativo relativo all’offerta di consigli e suggerimenti. Sono inoltre presenti relazioni
negative tra il sostegno informativo relativo alla richiesta e ricerca d’informazioni utili e la dimensione
Soddisfazione dei bisogni e, di segno positivo, con l’Influenza. Il sostegno pratico nel caso di affido di persone o
cose non risulta correlato alla scala del senso di comunità. (Tab. 60).
Nel merito delle correlazioni tra varietà etnica all’interno della rete sociale e senso di comunità queste sono
positive e forti con la dimensione Appartenenza. Nello specifico la maggiore varietà etnica nella propria cerchia
di amici intimi correla positivamente con la dimensione Appartenenza e, in maniera meno forte, con
l’Integrazione; la varietà etnica della rete degli amici generici mostra correlazioni negative con la dimensione
Influenza; e per quanto riguarda i soci di associazione una maggiore diversità etnica si accompagna a relazioni
forti con la scala Soddisfazione dei bisogni, mentre non emergono relazioni significative tra la varietà etnica
presente tra i colleghi di lavoro e il senso di comunità. (Tab. 61).
La dimensione Appartenenza è influenzata positivamente dalla maggiore frequenza con cui si mantengono i
contatti con i propri amici intimi e, con coefficienti più forti, con i colleghi di lavoro, mentre non emergono
relazioni significative tra senso di comunità e frequenza nei rapporti con i parenti lontani, con gli amici generici e i
colleghi di lavoro (Tab. 62).
Infine le correlazioni tra soddisfazione della vita e senso di comunità sono significative in tutte le sue scale,
seppur si rileva che il coefficiente meno forte è riferito alla dimensione Appartenenza (Tab. 63).
Le caratteristiche socio-demografiche e il senso di comunità
Dalle analisi comparative tra le caratteristiche socio demografiche e il senso di comunità sono emerse molte
differenze che saranno discusse e argomentate in questa sede.
Per alcune di queste esistono in letteratura delle spiegazioni che si ritiene possano essere trasferite anche al
particolare target in questione; per altre si tenterà di dare spiegazione sulla base della letteratura non specifica e
ove ciò non fosse possibile mediante l’esposizione di considerazioni di natura prettamente personale.
L’età pare giocare un ruolo nel merito dei sentimenti d’integrazione esperiti dall’immigrato nei confronti della
comunità di appartenenza, la tendenza riscontrata è che questi aumentino progressivamente all’aumentare
dell’età. Ciò è in linea con quanto confermato dalle ricerche precedenti (Davison e Cotter, 1986; 1991; Prezza e
Costantini, 1998; Prezza et al., 2001,2009), sebbene con una differenza: in letteratura è riportato che durante gli
anni adolescenziali il senso di comunità diminuisce (Chiessi, Cicognani e Sonn, 2010), mentre nel campione tale
atteggiamento non è presente, gli immigrati appartenenti a questa fascia evolutiva mostrano livelli simili a tutti gli
altri.
L’area di provenienza produce differenze simili sia nei confronti del senso di comunità che sulle dimensioni
Integrazione e Soddisfazione dei bisogni. I punteggi più alti sono riferiti dagli asiatici e da chi proviene dall’Est
Europa, mentre quelli più bassi da chi proviene dal continente Africano. I dati concordano con le ipotesi di
partenza mostrando come effettivamente la caratteristica di provenire da società di tipo collettivistico in cui le
pratiche sociali e comunitarie sono valorizzate e interiorizzate dall’individuo fa si che la dimensione dell’essere
inseriti all’interno della comunità sia un aspetto centrale nella propria vita. Ciò si riflette sulla dimensione
Integrazione spingendo l’individuo sia ad avere atteggiamenti più positivi verso la comunità ospite, sia
motivandolo a integrarsi maggiormente nel tessuto sociale per poter ricreare le condizioni presenti nel Paese di
origine. Simili risultati sono stati messi in luce da Sonn (2002) il quale ha dimostrato che l’aver già fatto
esperienza del senso di comunità effettivamente promuove tali atteggiamenti agevolando l’immigrato nel
processo di adattamento e nella costruzione di un legame significativo e positivo con la nuova comunità di
residenza.
A ulteriore evidenza vi sono i livelli mostrati da coloro che provengono da Paesi caratterizzati da disgregazione
sociale e conflitti di natura politica e militare, questi sono minori nei confronti sia dell’integrazione, sintomo di
come le esperienze negative abbiano minato profondamente la fiducia nei confronti della comunità sia nel grado
in cui si ritiene che effettivamente si possa trovare soddisfazione ai propri bisogni facendo riferimento ad essa.
La cittadinanza italiana mostra di influire positivamente sulle percezioni d’influenza. Il possesso dello status
giuridico di cittadino, con le conseguenti concrete possibilità politiche che ne derivano, appare un aspetto
centrale nelle percezioni dell’immigrato di poter effettivamente incidere con la propria volontà e le proprie azioni
sulla comunità così come già messo in luce
dalla ricerca sociale (Zurla, 2010). Inoltre, poiché la dimensione era valutata tenendo conto del possibile
disimpegno nei confronti dell’azione sociale è probabile che il possesso della cittadinanza, ottenuto dopo averne
fatta richiesta sulla base del possesso dei requisiti temporali e non di quelli anagrafici e civili porti: non solo a
percepire la dimensione del diritto d’influenza, ma anche quella del dovere di esercitare i propri poteri per il bene
comune di una comunità in cui si è legittimi cittadini cosi come suggerito dalla letteratura sociologica
(Campomori, 2008).
Il titolo di studio è risultato produrre differenze in tutte le scale del senso di comunità fuorché la soddisfazione dei
bisogni. I sentimenti di appartenenza e integrazione mostrano un andamento decrescente all’aumentare del
livello d’istruzione, dalla scuola elementare alla scuola secondaria, per poi registrare i livelli più alti fra i laureati.
Ciò è conforme a quanto ci si attendeva e confermato dalle ricerche presenti in letteratura che hanno messo in
evidenza come a un minor livello d’istruzione si accompagnano maggiori sentimenti di appartenenza e
integrazione verso la comunità, sperimentata come fonte principale di sostentamento e soddisfazione, e come
sia il possesso di un titolo di studio prestigioso ad essere correlato ad alti livelli in tutte le dimensioni del senso di
comunità (Buckner, 1988; Campbell et al., 1976; Chiessi, Cicognani e Sonn, 2010; Prezza et al., 2009).
Alla dimensione Influenza l’andamento correlato al titolo di studio è lineare: all’aumentare del titolo posseduto
aumentano anche i livelli dichiarati. Ciò è in linea con quanto già evidenziato dalla letteratura: a una maggiore
istruzione si accompagnano maggiori livelli d’interesse sociale e politico, che sebbene non sempre si traducano
in azione, ne guidano il pensiero caratterizzato da una maggiore fiducia sociale (Cotesta, 2007).
L’occupazione svolta appare legata al senso di comunità, sia nel suo complesso, sia alle scale Soddisfazione dei
bisogni e Influenza. A tutte le dimensioni considerate i livelli minori sono riferiti da chi è disoccupato, quelli più
alti da chi studia, o studia e lavora e a livello intermedio si collocano i lavoratori. La disoccupazione si
caratterizza dunque come una condizione che influisce negativamente sul senso di comunità e in particolar
modo sulle due dimensioni maggiormente legate agli aspetti pratici e concreti di vita. Ciò è coerente se posto in
relazione all’osservazione che l’Italia è stata interessata dal fenomeno migratorio principalmente per le sue
attrattive economiche e lavorative (Fondazione Ismu, 2011), che ora vengono meno a causa della recessione
economica che sta vivendo. Se per l’immigrato il progetto migratorio è legato al miglioramento delle proprie
condizioni di vita attraverso l’ottenimento di un lavoro e condizioni più stabili, queste previsioni ora sono disilluse
e la comunità si rivela non in grado di soddisfare i suoi bisogni di primaria necessità. Inoltre il perdurare delle
condizioni sfavorevoli senza che si sia riusciti a cambiare lo stato della propria posizione occupazionale possono
aver contribuito a far registrare in questo particolare gruppo punteggi così bassi.
I livelli maggiori riportati da chi studia e lavora e da chi studia sono riferibili, per quanto riguarda la soddisfazione
dei bisogni, all’evidenza di come la comunità offra loro le effettive possibilità di fare ciò che desiderano (studiare
e lavorare) e al maggiore grado d’integrazione e competenza sociale che derivano dall’essere
contemporaneamente inseriti in due contesti: quello scolastico e quello lavorativo. I due ambiti si configurano
come spazi dinamici in cui i frequenti contatti con gli altri portano a una maggiore conoscenza delle opportunità
e delle modalità da utilizzare per poter raggiungere i propri scopi.
Poiché poi si tratta di un gruppo giovane, il 55,5% ha un’età compresa tra i 13 e i 19 anni e un ulteriore 22,2%
tra i 20 e i 29, gli alti livelli alla dimensione Influenza possono trovare spiegazione nel come vi sia nei giovani e
giovanissimi una tipologia di pensiero caratterizzato da una maggiore fiducia sociale e nelle proprie capacità, per
cui ritengono che attraverso l’impegno personale sia possibile produrre cambiamenti sulla società, che tende a
diminuire con l’ingresso nel mondo del lavoro. Risulta a tal proposito effettivamente maggiore, la partecipazione
di giovani e giovanissimi a forme di associazionismo connaturate da scopi di promozione e cambiamento
sociale, in cui molto accento è dato alle effettive possibilità di cambiamento derivanti dall’azione collettiva. A tal
proposito le indagini sulla partecipazione sociale rilevano come la partecipazione ad associazioni di volontariato
incrementi dai 17 sino ai 24 anni per poi diminuire sensibilmente.
Il senso di comunità non mostra differenze in base al tipo di lavoro svolto, com’era prevedibile aspettarsi in
merito a quanto riportato dalla letteratura (Bradburn, 1969; Campbell et al., 1976); questo probabilmente perché
all’interno del campione non sono rappresentate sufficienti tipologie di occupazione tali da poter eseguire
confronti statisticamente significativi.
Per quanto concerne lo stato civile, emergono differenze all’indice globale, alla dimensione Appartenenza e a
quella dell’Influenza confermando ciò che la ricerca precedente ha già evidenziato (Prezza et al., 1991; 2001): il
senso di comunità è maggiore tra chi è coniugato rispetto a chi è celibe o divorziato, mentre chi è celibe/nubile
si pone in posizione intermedia.
Per quanto riguarda la tipologia di convivenza abitativa questa influisce sia sull’indice globale sia alle dimensioni
Appartenenza, Integrazione e Soddisfazione dei bisogni mostrando come sia chi vive con fratelli e sorelle a
sperimentare livelli significativamente inferiori a tutte le dimensioni considerate. In parte questi dati non
confermano ciò che la letteratura consultata suggeriva (Prezza et al., 1999), ovvero che il senso di comunità sia
significativamente maggiore in coloro che vivono con la propria famiglia; tale condizione non fa registrare
differenze nelle medie rispetto chi vive da solo o con amici.
Per quel che concerne i livelli più bassi sperimentati da chi convive con i propri fratelli, condizione che in
letteratura è indicata come predittore del senso di comunità (Davidson e Cotter, 2010), non si ravvisano criteri
chiari in grado di fare luce su questo dato.
Per quanto riguarda il rapporto tra senso di comunità e tipologia di convivenza famigliare si rileva che alla scala
Appartenenza le medie più elevate sono riferite da chi abita solo, mentre chi vive con amici riporta le medie più
alte di integrazione e soddisfazione dei bisogni.
Per quanto riguarda la prima associazione positiva si può argomentare che il vivere da soli si accompagna, nel
75% del campione, a una durata di permanenza nel comune di residenza di almeno 10 anni e sembra plausibile,
poter giustificare tale dato facendo riferimento alla letteratura che evidenzia come esista una relazione positiva
tra anni di permanenza all’interno della comunità e senso di comunità (Chavis et al., 1986; Davidson e Cotter,
1999; Glynn, 1986; Prezza et al., 2001; Skjaveland, Gӓrling e Maeland, 1996).
La relazione maggiormente positiva tra integrazione, soddisfazione dei bisogni e la convivenza con amici può
trovare conferma nella letteratura sul rapporto tra senso di comunità e sostegno sociale (Cicognani, Albanesi e
Zani, 2006; Pretty et al., 1994, 1996; Prezza e Costantini, 1998; Prezza et al., 2009). Inoltre il sostegno
proveniente dagli amici e sperimentato quotidianamente attraverso la convivenza abitativa, può tradursi in
benefici sul processo di adattamento dell’immigrato sia in termini psicologici, facilitando la continuità dell’identità
culturale e il senso di comunità, come dimostrato da Hugey e colleghi (2002), sia garantendo l’accesso a una
maggiore varietà di risorse, già mediata culturalmente, per la soddisfazione dei propri bisogni (Scidà, 2005).
Il possesso di una casa di proprietà correla positivamente col senso di comunità e nello specifico con i
sentimenti di appartenenza e di soddisfazione dei bisogni come ipotizzato.
La motivazione di acquistare un’immobile sembrerebbe dunque legata alla presenza di sentimenti di
appartenenza e soddisfazione verso le caratteristiche fisiche e sociali della comunità e dalla constatazione di
come i propri bisogni possano trovarvi appagamento.
La partecipazione alle attività di associazioni e organizzazioni produce differenze positive nei livelli di senso di
comunità e in particolare nelle dimensioni relative alla soddisfazione dei bisogni e all’influenza. La relazione è già
ampiamente riportata nella letteratura che ne ha indagato il rapporto (Nashville, Chavis e Wandersman, 1990;
Long e Perkins, 2003; Prezza et al., 1999; Prezza et al., 2009), mentre le considerazioni di Sonn (2002) nel
merito di una ricerca sul rapporto esistente tra senso di comunità e fattori facilitanti o inibenti l’adattamento degli
immigrati aveva messo in luce come alla base dei processi di integrazione e dello sviluppo del senso di comunità
vi sia l’importanza di partecipare a gruppi sociali di varia natura.
Così i dati emersi sembrerebbero confermare gli assunti dello studioso mostrando come la possibilità di
partecipare a forme associative incida sulla percezione dell’immigrato di vedere soddisfatti i propri bisogni
relazionali e sociali che incidono sugli atteggiamenti positivi verso la comunità, vista non tanto quanto il luogo
dell’appartenenza e dell’integrazione sociale, ma come fonte in grado di soddisfare i bisogni ricreativi, relazionali
e sociali e sulla quale vi sono le percezioni di poter influire per migliorare le cose. Nel dettaglio del rapporto tra
tipologia di associazione frequentata e senso di comunità, le differenze emergono tra le associazioni di natura
socio -culturale, cui sono associati livelli minori di senso di comunità in tutte le scale, e le associazioni di tipo
ricreativo che ottengono le medie più alte. A tal proposito pare utile osservare che le prime associazioni sono
principalmente impegnate a soddisfare esigenze legate alla propria cultura d’origine attraverso l’organizzazione
di feste tradizionali o eventi importanti; mentre le seconde sono finalizzate a offrire opportunità ricreative di vario
genere. Le differenze nelle medie potrebbero dunque trovare una spiegazione nella diversità del servizio svolto:
nelle prime centrato sul mantenimento e la valorizzazione della cultura d’origine, con attività che si svolgono
all’interno dell’organizzazione stessa; nelle seconde maggiormente aperto alla comunità sociale e contemplante
lo scambio interculturale come valore da promuovere.
Gli anni di permanenza in Italia mostrano di essere collegati alla dimensione integrazione mostrando minori livelli
nella fascia compresa tra i 16 e i 20 anni che si differenzia in maniera sensibile da quella di chi risiede da oltre 26
anni.
In parte si possono confermare le assunzioni di partenza e affermare che all’aumentare della durata della
residenza aumenta il senso di comunità (Chavis et al., 1986; Davidson e Cotter, 1999; Glynn, 1986; Prezza et
al., 2001; Skjaveland, Gӓrling e Maeland, 1996), ma ciò non spiega la differenza tra i due periodi così vicini e
nemmeno come sia la dimensione integrazione, e non quella appartenenza come suggerito dalla letteratura
(Prezza, 2009), a mostrare tali differenze. Per tentare una comprensione di tale andamento si riporta che la
fascia intermedia tra le due, 21 – 25 anni, si posiziona a livello centrale tra il minimo e il massimo delle medie
riportate dai vari gruppi, mentre per le altre si osserva un andamento incrementale. É possibile che le percezioni
in merito all’integrazione, valutata a livello territoriale e non nazionale, risentano sia dell’anzianità di permanenza,
sia delle diversità legate al periodo storico in cui è avvenuto l’ingresso in Italia. Effettivamente, l’ingresso in Italia
della fascia che mostra i punteggi minori, si colloca ai primi anni ’90, momento in cui il Paese è divenuto meta di
abbondanti flussi migratori. La società italiana non era preparata culturalmente ad accogliere lo straniero e le
evidenti difficoltà che ha comportato questo primo incontro sono state caratterizzate da chiusura su entrambi i
fronti. La ricerca ha già messo in luce come l’adattamento a una nuova società sia condizionato dal rapporto tra
risposte fornite dalla società ospitante e caratteristiche e atteggiamenti dell’immigrato (Phinney, Horenczyk,
Liebkind e Vedder, 2001), si può dunque ipotizzare che la chiusura culturale presente in entrambi i gruppi in
quegli anni abbia agito in maniera pervasiva sulle capacità d’integrazione dell’immigrato producendo
conseguenze che perdurano anche nel presente.
Per quanto riguarda l’aver cambiato il proprio domicilio da quando si è in Italia non sono state riscontrate
differenze, mentre sono evidenti in merito al numero di volte tra chi lo ha fatto.
A un maggior numero di trasferimenti corrispondono medie inferiori alle dimensioni relative all’appartenenza e
all’influenza. Sembrano parzialmente confermate le ipotesi di partenza e che il minor numero di trasferimenti sia
riconducibile a sentimenti di soddisfazione verso il contesto fisico e sociale e ad alte percezioni di influenza e
controllo sulla comunità che svolgono il ruolo di fattori motivanti la stabilizzazione.
Per quel che concerne il rapporto tra senso di comunità e paese/città di residenza i dati hanno fornito un
riscontro contrario a quanto messo in evidenza dalla letteratura e ipotizzato in partenza (Prezza e Costantini,
1998, Prezza et al., 1999) ma riscontrato anche in quella più recente (Prezza et al., 2009): è chi abita nella
cittadina a sperimentare un maggior senso di comunità rispetto a chi abita nel paese. Inoltre la dimensione che
risulta implicata è quella dell’appartenenza.
Le differenze possono trovare spiegazione in base ad alcune caratteristiche che differenziano le due tipologie di
contesto e la loro relazione con il target di riferimento.
Innanzitutto la città ha la qualità di possedere una cultura maggiormente multietnica e aperta che facilita lo
scambio culturale, l’accettazione dell’Altro con le conseguenze positive che ne derivano sul piano
dell’integrazione.
In secondo luogo il contesto più ampio della città offre la possibilità di fruire di maggiori opportunità in grado di
soddisfare i bisogni dell’immigrato in merito ad esigenze concrete quali, ad esempio, le maggiori opportunità
lavorative e la presenza di servizi pubblici dedicati che ne agevolano l’inserimento sociale quali, ad esempio, i
Centri Servizi per Stranieri.
La cittadina offre poi maggiori opportunità in termini di possibilità relazionali e sociali:
in primis il numero di
persone che possono essere frequentate è maggiore e ciò consente all’immigrato di poter scegliere con chi
relazionarsi, permettendogli una maggiore soddisfazione nei confronti della propria rete sociale. In secondo
luogo è maggiore la varietà di attività proposte tra cui, anche in questo caso l’immigrato può scegliere e
selezionare quelle che più si avvicinano alle sue esigenze consentendogli di sperimentare una maggiore
soddisfazione verso la città in grado di appagare maggiormente queste tipologie di bisogno.
Nel merito degli anni di permanenza nella comunità odierna, sono state riscontrate differenze nel senso di
comunità e nelle sue dimensioni sottostanti, fuorché nella soddisfazione dei bisogni.
L’andamento riscontrato è concorde a quanto suggerito dalla letteratura (Chavis et al., 1986; Davidson e Cotter,
1999; Glynn, 1986; Prezza et al., 2001; Prezza et al., 2009; Skjaveland, Gӓrling e Maeland, 1996): all’aumentare
degli anni di permanenza aumenta anche il senso di comunità in maniera lineare.
Si può dunque concludere che, anche per quanto riguarda la popolazione immigrata nel comprensorio
cesenate, il tempo gioca un ruolo fondamentale per la nascita, lo sviluppo e il consolidamento dei sentimenti di
appartenenza, integrazione e degli atteggiamenti positivi nei confronti della comunità di residenza propri del
senso di comunità.
In ultimo era indagato il rapporto tra prospettiva di permanenza in Italia e senso di comunità, ipotizzando che vi
fosse una relazione positiva per cui all’aumentare del tempo dichiarato fosse più alto anche il senso di comunità.
Tale previsione è stata confermata mostrando che chi dichiara di voler rimanere pochi giorni o mesi mostra
minori livelli di senso di comunità rispetto a chi esprime il desiderio di voler rimanere per sempre. Il medesimo
aspetto è riferito anche alle dimensioni appartenenza e soddisfazione dei bisogni, mentre alla scala Influenza i
punteggi maggiori sono riferiti da chi dichiara di non poter esprimere la propria opinione rispetto a tutti gli altri.
Si può a tal proposito affermare che le percezioni di aver trovato una propria collocazione all’interno della
comunità, di sentire di esserne parte e la constatazione che essa sia in grado di soddisfare i propri bisogni di
tipo pratico, sociale e ricreativo fanno sì che si crei quel legame importante e significativo che porta con se il
desiderio di voler vivere all’interno della comunità per molto tempo, se non per sempre, facendo cambiare
talvolta, come riferito dagli stessi intervistati la durata del proprio progetto migratorio.
Le variabili psico-sociali e il senso di comunità.
La prima variabile psicosociale di cui sono state indagate le relazioni con il senso di comunità è l’identità etnica.
Sono state riscontrate correlazioni significative tra l’indice di Identificazione positiva e: l’indice globale del senso
di comunità (p < 0.05), la dimensione Appartenenza (p < 0.05) e la dimensione Integrazione (p < 0.05); inoltre la
sottoscala Interrelazioni tra gruppi mostra significative correlazioni con l’indice globale di senso di comunità (p <
0.05) e con le dimensioni Appartenenza (p < 0.01) e Integrazione (p<0.05)
Si può dunque affermare, in accordo con quanto mostrato dalle ricerche precedenti (Kenyon e Carter, 2011),
che il possesso di una buona identificazione positiva con il proprio gruppo di appartenenza si connaturi come un
aspetto positivo per l’adattamento dell’immigrato al nuovo contesto.
L’identità etnica consolidata funge dunque da base sicura che permette all’immigrato di poter operare
efficacemente una mediazione tra i propri valori culturali e quelli del nuovo contesto permettendogli di sviluppare
sentimenti di inclusione nella comunità senza per questo sentir di rinnegare le proprie origini e tradizioni. A tal
proposito la letteratura parla sempre più di appartenenze sociali multiple (Deux, 2000), indicando come la
maggiore multietnicità delle società moderne permetta ai suoi cittadini di sperimentare nuove forme d’identità
sociale ibride, complementari e non escludentesi.
In maniera analoga più sono forti le disposizioni positive nei confronti delle relazioni sociali di tipo multietnico e
maggiormente ci si percepisce appartenenti alla comunità e integrati in essa. Questo dato trova riscontro nella
letteratura (Phinney, Horenczyk, Liebkind e Vedder, 2001) che ha mostrato come gli atteggiamenti
dell’immigrato, uniti alle risposte date dalla comunità siano in grado di condizionare il processo di adattamento.
Così un pensiero che valorizza lo scambio culturale si traduce in azione e si potrebbe supporre l’esistenza di un
circolo virtuoso tra pensiero-azione-pensiero per cui il successo degli scambi sociali positivi supporta a sua volta
i sentimenti d’inclusione e integrazione. La valenza del successo degli scambi relazionali all’interno della
comunità era già messa in evidenza da McMillan e Chavis (1986), i quali la reputavano tra i fattori in grado di
facilitare la coesione tra i membri della comunità e la sua stabilità.
Conseguente a ciò, la percezione di essere inclusi nella comunità sociale porta con sé la consapevolezza di
esserne membri effettivi, caratterizzati da un ruolo e una status sociale e dunque di appartenervi. Più
soddisfacenti saranno le percezioni nei confronti del proprio ruolo e più positiva sarà la valenza data
all’appartenenza alla nuova comunità, facendo scaturire quei sentimenti di appartenenza e inclusione propri del
senso di comunità.
Per quel che concerne le relazioni tra senso di comunità e sostegno sociale percepito l’analisi di correlazione
mostra l’esistenza di un legame significativo tra sostegno proveniente dalla famiglia e l’indice globale del senso
di comunità (p < 0.05) e, con un coefficiente più elevato, con la dimensione integrazione (p < 0.01). Ancora, il
sostegno sociale percepito dagli amici mostra una correlazione significativa con la dimensione Appartenenza(p <
0.01).
Entrambe le correlazioni positive evidenziate sono state messe in luce dalla letteratura precedente (Chiessi,
Cicognani e Sonn, 2010; Cicognani, Albanesi e Zani, 2006; Pretty et al., 1994, 1996; Prezza e Costantini, 1998;
Prezza e Pacilli, 2009; Sonn 2002).
Il supporto proveniente dalla famiglia mostra di influire positivamente sul senso di comunità e in particolare, sulla
dimensione Integrazione, suggerendo che un’elevata percezione di disponibilità affettiva e cognitiva proveniente
dal gruppo parentale permetta al soggetto di sperimentare forme di partecipazione sociale con la sicurezza
emotiva di poter disporre di una rete di supporto alla quale poter far ritorno in caso di insuccesso.
Il supporto sociale degli amici influisce sulla dimensione Appartenenza, mostrando come il poter godere di una
rete amicale nel nuovo contesto di residenza fa si che si possano sperimentare i sentimenti di attaccamento ed
inclusione sociale grazie alla condizione di essere inseriti all’interno di un gruppo sociale. La rete amicale,
agevola e supporta il soggetto nel suo processo migratorio e di cambiamento personale, non solo a livello
concreto e pratico, ma anche a livello psicologico (Scidà, 2005). Gli amici, parallelamente alla famiglia,
costituiscono un gruppo protettivo all’interno del quale il soggetto può riconoscere e mediare la propria identità
sociale, trovando una nuova definizione di se stesso in relazione al contesto in cui si trova a vivere. Attraverso
l’esperienza di gruppo è dunque possibile per la persona immigrata avere accesso alle opportunità per
sperimentare nuovamente sia l’identificazione sociale, che l’appartenenza e porre così le basi per la costruzione
di un nuovo senso di comunità.
Si potrebbe argomentare inoltre, concordando con Sonn (2002), che famiglia e amici si configurano come
gruppi che permettono all’individuo di ricostituire la propria rete sociale, parzialmente perduta attraverso
l’esperienza d’immigrazione, consentendogli di ricreare legami sociali, affettivi e relazionali con il nuovo contesto
di appartenenza e le persone che lo abitano, permettendo un accrescimento dei sentimenti positivi nei riguardi
della comunità e dunque in grado di promuovere la nascita e lo sviluppo del senso di comunità.
In merito alle relazioni tra senso di comunità e caratteristiche della rete sociale appaiono diverse correlazioni
significative in base a: il numero di persone incluse nella rete, la frequenza con cui vengono mantenuti i contatti
con le persone significative e il numero di persone interpellate per ottenere diverse tipologie di supporto.
Nel merito del numero di persone interpellate per ottenere sostegno di vario tipo la scala Appartenenza mostra
correlazioni negative con tutte e tre le tipologie di sostegno considerate nell’indagine: con il sostegno sociale
pratico in caso di lavori pesanti (p < 0.05) e prestito di oggetti (p < 0.05); con il sostegno economico (p < 0.01) e
con il sostegno sociale informativo relativo all’offerta di consigli e i suggerimenti (p < 0.01).
Inizialmente si era ipotizzata l’esistenza di una correlazione positiva tra il numero di persone interpellate e il senso
di comunità, che invece non è confermata. Un possibile aiuto alla comprensione di questo dato può essere
fornito facendo riferimento alle frequenze espresse dal campione nel merito delle categorie sociali interpellate: la
grande maggioranza si rivolge principalmente a famigliari e ad amici intimi in caso di necessità. L’aumento del
numero di categorie cui si rivolgere chi mostra tale incremento non comprende la scelta di persone significative.
Per quel che concerne il supporto nel caso di lavori che non possono essere svolti singolarmente, chi indica più
di due categorie solitamente specifica l’intenzione di rivolgersi a ditte specializzate; nel caso di sostegno
economico molti soggetti hanno indicato familiari, nessuno e istituti di credito; e nel caso di richiesta di consigli e
suggerimenti una selezione indiscriminata di tutte le possibilità di scelta. Ciò può essere indice di una rete
sociale meno significativa e supportiva per questi soggetti, che rischia di alimentarne la marginalità sociale.
Inoltre, chi seleziona solo due opzioni, come già evidenziato, indica famiglia e amici: le due categorie già risultate
correlate alle scale Appartenenza e Integrazione, ad indicare come la percezione di poter godere di supporto
proveniente da queste due categorie sociali giochi un peso importante sull’esperienza del senso di comunità
nell’immigrato.
Sono poi evidenti correlazioni tra il supporto sociale informativo, relativo alla richiesta d’informazioni utili e
importanti, di segno negativo con la scala Soddisfazione dei bisogni (p < 0.05) e di segno positivo con quella di
Influenza (p < 0.05).
La relazione negativa fra presenza di sostegno informativo e soddisfazione dei bisogni può essere meglio
compresa facendo riferimento a quanto emerso durante la somministrazione del questionario. A questa
domanda molte persone hanno chiesto di che tipo di informazioni si trattasse, oppure lo hanno specificato in
maniera autonoma con affermazioni del tipo “Dunque per informazioni sulla disoccupazione/il permesso di
soggiorno/il lavoro”, ciò suggerisce che chi seleziona di volta in volta i soggetti cui rivolgersi mostra una
maggiore capacità di utilizzare le risorse sociali a sua disposizione; mentre chi indica più soggetti referenti è
possibile non sappia esattamente quali canali sia utile e opportuno utilizzare di volta in volta.
La correlazione positiva tra numero di persone interpellate e influenza, sempre nel merito della richiesta
d’informazioni importanti, potrebbe suggerire una maggiore ampiezza della rete unita a un maggiore interesse
per le questioni socio-politiche, dunque una maggiore competenza sociale che porta l’immigrato a utilizzare più
fonti informative quando si tratta di dover reperire informazioni di natura più specifica.
L’analisi di correlazione effettuata con l’ampiezza, in termini etnici, della rete ha mostrato l’esistenza di una
correlazione significativa (p < 0.001) e positiva con la scala Appartenenza .
La varietà etnica delle frequentazioni del soggetto si connette ai sentimenti di appartenenza nei confronti della
comunità, come dimostrato dalla letteratura (Hughey et al., 2002; Pretty et al., 1994, 1996, Sonn, 2002). Avere
molte connessioni interpersonali e multietniche rappresenta una risorsa a disposizione dell’immigrato, che
permette di avere una soddisfacente base relazionale e, grazie a quella, di avere accesso a una grande varietà di
risorse per l’adattamento. Perciò chi mostra di possedere una rete con tali caratteristiche è anche chi è riuscito
a mediare efficacemente tra il proprio attaccamento al luogo fisico, sociale e culturale d’origine e la nuova
comunità sviluppando sentimenti di appartenenza nei suoi confronti.
Al contrario, chi possiede una rete ristretta, può essere caratterizzato da tendenze di pensiero etnocentrico, per
cui ricerca principalmente la compagnia di persone della stessa nazionalità, con cui poter condividere simboli e
artefatti culturali in grado di fargli percepire sentimenti di benessere e inclusione sociale, che però non possono
essere trasferiti alla comunità sociale.
Se si analizzano le correlazioni esistenti tra il senso di comunità e le sue dimensioni con il numero di tipologie
etniche frequentate in ambito amicale, le correlazioni sono evidenti alle dimensioni: Appartenenza (p < 0.05),
Integrazione (p < 0.05) e Influenza (p < 0.05).
Alle prime due dimensioni la correlazione è positiva: all’aumentare del numero di nazionalità indicate, aumentano
i sentimenti legati all’appartenenza e all’integrazione, per cui si possono avvalorare le considerazioni
precedentemente esposte.
La correlazione con la dimensione influenza appare di segno negativo e analizzando il dettaglio della
composizione etnica dei due gruppi di amici, intimi e generici, è ravvisabile come sono questi ultimi a
determinarla. Non si ravvisano criteri chiari in grado di far luce su tale dato poiché la letteratura al contrario
suggerisce che le reti più ampie, caratterizzate da legami più indiretti e diversificati, come quelli con i conoscenti,
appaiono facilitare il ricorso delle persone alle istituzioni sociali o al mondo sociale (Hammer, 1980).
La varietà etnica presente nei soci dell’associazione frequentata correla positivamente con la scala
Soddisfazione dei bisogni (p < 0.01). Pare dunque che le opportunità offerte dall’associazionismo possano
essere messe in relazione con la necessità per l’immigrato di poter fruire di un’ampia gamma di relazioni sociali
diversificate dal punto di vista etnico e culturale, che, quando presenti, aumentano di fatto le percezioni di
soddisfazione.
Si riporta l’osservazione che all’interno delle tre tipologie di associazione considerate nel campione, l’unica in cui
non è indicata la partecipazione di italiani è quella socio-culturale, i cui partecipanti effettivamente mostrano
minori livelli di senso di comunità all’analisi delle differenze delle medie rispetto a tutti gli altri.
In ultimo la relazione tra rete sociale e senso di comunità è stata analizzata facendo riferimento alla frequenza nei
rapporti che l’immigrato mantiene con le persone significative. Le relazioni sono evidenziate tra la scala
Appartenenza del senso di comunità e il gruppo degli amici intimi (p < 0.05) e quello dei colleghi di lavoro (0.01),
mentre non si evidenziano relazioni significative tra le altre scale del senso di comunità e nessuna delle categorie
sociali.
A tal proposito si conferma nuovamente l’importanza rivestita dalla rete amicale, nei confronti delle percezioni di
appartenenza alla comunità; inoltre l’alta frequenza con cui si mantengono i contatti con i propri colleghi di
studio e lavoro può far supporre che anch’essi siano inseriti all’interno della rete sociale dell’individuo in una
posizione significativa. Quindi non solo una maggiore ampiezza della propria rete sociale fa si che si possa
sperimentare maggiormente l’appartenenza alla comunità come suggerito dalla letteratura (Hughey et al., 2002;
Pretty et al., 1994, 1996, Sonn, 2002), ma anche la qualità delle relazioni che si intrattengono con le persone
incluse all’interno della rete pare determinante a promuovere tale appartenenza.
La soddisfazione per la vita mostra di essere correlata sia all’indice totale del senso di comunità (p < 0.01) che a
tutte le altre dimensioni.
Questi dati confermano la relazione esistente tra benessere soggettivo esperito dal soggetto e senso di
comunità già ampiamente confermata in letteratura (Davidson e Cotter, 1991; Pretty et al., 1994, 1996; Prezza e
Costantini, 1998; Prezza et al., 1999, 2001).
É possibile ipotizzare che la valutazione del successo del proprio progetto migratorio, sia strettamente correlata
al senso di comunità.
Nel particolare target la soddisfazione verso la propria vita è correlata alla valutazione del successo del proprio
progetto migratorio, spesso motivato dalla ricerca di migliori condizioni di vita e che al contempo ha comportato
la perdita obbligata della comunità di origine. Il senso di comunità appare fondamentale nel qualificare la
valutazione: l’aver trovato un luogo in cui ci si sente parte integrante del tessuto sociale, caratterizzato da
relazioni sociali positive, in cui i propri bisogni possono trovare soddisfazione e sul quale è possibile intervenire a
livello sociale e politico fa si che la propria vita venga valutata in modo più soddisfacente rispetto a chi non
sperimenta tali sentimenti. Si potrebbe dunque concordare con Martini e Sequi (1988, p.13) i quali osservano
come “la qualità della vita della e nella comunità locale diventa fondamentale per la qualità della vita tout court”.
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