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Bilancio azotato - Studio Medico Vittorio Bianchi
I modelli cinetici dell'urea nell'Insufficienza Renale Cronica A cura del Dr. Salvatore Mandolfo I modelli cinetici trovano fondamento sui principi della conservazione della materia. La loro applicazione consente di descrivere e predire le variazioni di concentrazione di un soluto nel tempo e di interpretarne analiticamente i dati. 1 modelli utilizzati nel paziente uremico, derivano dai principi di farmacocinetica, nei quali l'organismo viene schematizzato in uno o più compartimenti ("pools") comunicanti fra di loro con processi di cinetica di primo ordine. In accordo a tali modelli, la quantità di un soluto all'interno di un volume di distribuzione diminuisce secondo una curva di tipo esponenziale, esprimibile come: Q(t)= Q0 exp (-k * t) ove Q0 è la quantità del soluto al tempo zero, k è il rapporto fra clearance e volume e t rappresenta il tempo. Tra i soluti utilizzati come "markers" di uremia, l'urea è sicuramente il più utilizzato in quanto è facilmente determinabile nel sangue e nelle urine, ha un volume di distribuzione pari all'acqua corporea, rappresenta il prodotto finale del catabolismo proteico, la sua clearance frazionare normalizzata per il volume di distribuzione (KTIV) si correla con la mortalità e la morbilità, come dimostrato, nel paziente sottoposto a emodialisi. La Figura 1 rappresenta il modello a doppio compartimento a volume variabile utilizzato per descrivere la cinetica dell'urea nell’insufficienza renale cronica in trattamento conservativo. dove DPI = introduzione di proteine; UGR = urea generata; DWI= introduzione di acqua; alfa = aumento di volume; CI= concentrazione del soluto intracellulare; CE= concentrazione del soluto extracellulare; VI= Volume di distribuzione intracellulare; VE= volume di distribuzione extracellulare; Kr= funzione renale residua; Kc= coefficiente transcellulare per l'urea; Q0=coefficiente transcellulare per l'acqua. Il bilancio azotato In condizioni di equilibrio metabolico, esiste una stretta relazione fra proteine introdotte con la dieta, catabolismo proteico e urea generata. Occorre comunque ricordare come l'urea generata dall'organismo deriva non solo dal catabolismo delle proteine, ma anche dall'ammonio riassorbito dall'intestino attraverso il circolo portale. Nel paziente in trattamento conservativo, il termine , urea generata" viene sostituito con urea apparente" (UNA), quest'ultima rappresenta la quantità di azoto ureico urinario (UUN) e non urinario (NUN). Per stimare il bilancio azotato (Nb), si ricorre alla seguente formula: Nb (g/N/die) = NI – ((UUN + NUN + APU) + DAzoto ove NI (g) = introito di azoto, UUN (g) = azoto ureico urinario, NUN (g) = azoto ureico non urinario, APU (g) = azoto proteico urinario, D Azoto (g) = variazioni del pool azotato. Per il calcolo del DAzoto, occorre fare riferimento alla seguente formula: deltaAzoto = [(Urea (i) * V) – (Urea (f) * V)] dove Urea (i) = inizio, Urea (t) = fine studio, V = volume dì distribuzione dell'urea. Per il calcolo di V è conveniente utilizzare le formule antropometriche proposte da Watson per la stima dell'acqua corporea totale In pratica è necessario calcolare, per almeno 3 giorni, l'introito proteico dietetico (dividere il valore per 6,25 per ottenere il NU, al primo e all'ultimo giorno dello studio, eseguire dei prelievi per azotemia e pesare il paziente, raccogliere le urine delle 24 ore, determinarne l'azoto ureico (azoturia diviso 2,14), la proteinuria (dividere il valore per 6,25 per ottenere APU), stimare il NUN attraverso il peso corporeo (Kg) del paziente moltiplicato per 0,031. Esempio pratico:paziente di 60 kg, con una diuresi di 1250 ml/die, una azoturía dí 1500 mgldl, un 'introito proteico di 1,2 glkg, una proteinuria di 3 gldíe, peso e azotemia stabili in corso di studio, avrà un UUN pari a 8,76 (gl7VIdie) e di NUN pari a 1,86 (glNldie), il suo bilancio azotato sarà pari a 0, 42 gINIdie. Tab 1: Fattori che possono influenzare il bilancio azotato nel paziente uremico: • • • • Antibiotici orali (> bilancio azotato) Diarrea (> contenuto fecale di Azoto) Uso di lattulosio (> contenuto fecale di Azoto) Assunzione di aminoacidi (sia per os sia e.v.) La prescrizione della dieta ipoproteica L’azotemia rappresenta insieme alla creatininemia, uno dei parametri indispensabili per valutare la funzione renale. In corso di insufficienza renale, i valori di azotemia, a loro volta, sono in relazione all'introduzione di proteine con la dieta. I modelli cinetici dell'urea trovano applicazione in questo campo in quanto consentono di predire la concentrazione di tale soluto in funzione della quantità di proteine prescritte con la dieta. E’ possibile calcolare tale valore, attraverso la seguente formula: C = [ ( ( ( DPI – 0,17 ) * 0,184 ) * V ) Kr ] * 2,14 ove C (mgldl) = concentrazione urea, DPI (gldie) = introito di proteine, V (litri) = volume di distribuzione dell'urea, Kr (ml/min) = clearance residua urea. Esempio: paziente di 60 Kg, dieta prescritta pari a 60 grammi di proteine, Kr = 7 (ml/min) dovremo attendere un valore di urea pari a 117 mg/dl. Se il valore di urea sarà maggiore a quello previsto, occorre ipotizzare un introito di proteine con la dieta più elevato, una condizione di ipercatabolismo (vedi Tabella 2), un errore nella stima del volume o infine un errore di valutazione della funzione renale residua, quale ad esempio una raccolta inadeguata e/o un errore di determinazione del laboratorio. In altri termini, conoscendo il valore della funzione renale residua, è possibile consigliare la quantità di proteine al fine di mantenere valori di azotemia al di sotto di un determinato valore. Esempio: per un paziente di 60 kg (vedi Figura 2), se vogliamo mantenere valori di azotemia inferiori a 165 mg/dl. in presenza di Kr pari a 5ml/min, potremo consigliare una dieta di 60 gr. Quando la Kr sara' ridotta a 3 mil/min, sara' necessario prescrivere una dieta di 37 gr. Tab 2: Condizioni di ipercatabolismo: · · · · · · Inadeguato apporto calorico (< 30 Kcal/Kg peso corporeo) Inadeguato apporto proteico (< 0,75 – 1 g/Kg) Stato Febbrile Malattie sistemiche Acidosi metabolica Assunzione di steroidi La valutazione della compliance dietetica Uno degli aspetti fondamebtali nella gestione ambulatoriale del paziente con insufficienza renale cronica e’ valutare la compliance terapeutica e dietetica La cinetica dell’urea riesce a fornire un supporto valido nel valutare la compliance relativa all’introito di proteine. Una formula molto semplice da utilizzare e’ quella prposta da Maroni e Mitch, ove l’introito proteico puo’ essere stimato in modo accurato attraverso la seguente equazione: DPI = 6,25 * (UUN + 0,031 * peso corporeo) +PPU Ove UUN (g) = azoto ureico urinario, PPU (g) perdita di proteine con le urine Esempio: paziente di 60 Kg, azoturia 1500 mg/dl, diuresi 1250 ml, proteinuria assente, avra’ un introito proteico stimabile in 66.4 g/die La valutazione dell’inizio del trattamento sostitutivo La scelta dell’inizio della terapia sostitutiva e’ sempre un momento particolarmente difficile per il nefrologo in quanto se da una parte un inizio tardivo espone il paziente a patologie (malnutrizione, neuropatia) che possono pregiudicarne la qualita’ di vita in dialisi, un inizio precoce sottrae al paziente un certo periodo di indipendenza dalla dialisi e comporta un inutile sacrificio di risorse economiche per la societa’ I modelli di cinetica dell’Urea, pur in assenza di evidenza, possono essere d’aiuto. In questo caso, come suggerito dalle linee guida americane, si utilizza l'’ndice wKrT/V, ove w corrisponde ai giorni di una settimana (=7), Kr e’ la clearance residua dell’Urea (ml/min), T sono i minuti di una giornata (=1440) e V e’ il volume di distribuzione dell’urea (ml). Esempio Paziente di 70 Kg V stimato in 40600 ml, Kr = 10 ml/min avra’ un wKrT/V pari a 2.48 In accordo al modello di Gotch, il trattamento sostitutivo va iniziato quando il valore di wKrT/V e’ inferiore a 2.0 Esempio Per pazienti di 60 Kg (V = 34.8 l) e di 80 Kg (V=46), la dialisi andrebbe iniziata rispettivamente per valori di Kr inferiori a 7 ml/min e 9.2 ml/min+ Formula per la stima del volume di distribuzione dell'Urea (Watson) Uomini: 2.447- (0.091 * eta') + (0.107 * altezza) + (0.036 * peso) Donne: 2.097+ (0.107 * altezza) + (0.247 * peso Fabbisogni energetici e nutrizionali nel paziente critico _______________________________________________________ A. Pignataro Anestesia e rianimazione, Ospedale Buccheri La Ferla FBF - Palermo Un’accurata valutazione dei fabbisogni nutrizionali è essenziale per controbilanciare in modo ottimale il deficit proteico ed energetico. La valutazione dello stato nutrizionale consiste di due componenti: la valutazione nutrizionale e quella metabolica. La valutazione della stato nutrizionale utilizza le misure statiche dei compartimenti corporei ed esamina le alterazioni causate dalla malnutrizione. La valutazione metabolica include l'analisi della struttura e della funzione dei sistemi organici, delle alterazioni del metabolismo che sono in relazione alla perdita della massa magra del corpo o di altri compartimenti e della risposta metabolica all’intervento nutrizionale (se favorevole o nocivo). La spesa energetica può essere calcolata o misurata direttamente. Il calcolo è abitualmente la via preferita nel paziente ambulatoriale perché la richiesta della misurazione diretta è disponibile soltanto in condizioni di malattie acute. Il primo passo è la determinazione del metabolismo basale (MB), usando equazioni standard basate sull’età il sesso ed il peso del paziente. Una di queste formule è quella di Harris Benedict. Essa dovrebbe tuttavia essere usata con cautela nel paziente critico perché è basata sulla valutazione di gruppi in di individui sani. La valutazione del peso del paziente, per esempio, può essere influenzata dalla presenza di edema o ascite. Le modifiche deve essere fatte per fattori di correzione come l’attività fisica, fattori di stress (come trauma e ustioni) e questo introduce inevitabilmente delle variabili. Il metabolismo (domanda energetica) aumenta del 20% dopo chirurgia elettiva e del 100% dopo un’ustione severa. Una ferita, un’infezione o un trauma rientrano tra queste due estremità (aumento del 50%) o richiedono un fattore stress di 1.5. Il terzo passo è la determinazione del livello di attività fisica del paziente. L’attività fisica viene adattata moltiplicando il metabolismo basale per un fattore di attività: paziente confinato a letto 1.2; pazienti che deambulano 1.3. Le richieste energetiche quindi possono essere calcolate come: Spesa Energetica = MB x fattore stress x fattore attività. La spesa energetica basale o a riposo è di circa 25kcal/kg di peso corporeo ideale per giovani adulti e di circa 20kcal/kg per gli anziani. La spesa energetica dei pazienti traumatizzati o gravemente malati è di circa il 50% maggiore. I pazienti denutriti che hanno un deficit energetico e hanno perso peso richiedono un aumento del 50% oltre le calorie di mantenimento per la ricostruzione tissutale. Calorimetria indiretta Lo standard di riferimento per la misurazione della spesa energetica nelle diverse condizioni cliniche è la calorimetria indiretta. Questa è una tecnica che misura il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica per il calcolo della spesa energetica. 1 litro di anidride carbonica prodotta genera 1.1kcal (4.60kJ). La “terapia” metabolica del paziente traumatizzato richiede: il controllo dello stimolo traumatico come primo processo. Il trattamento deve essere orientato nei confronti della sepsi, nell’interrompere il sanguinamento, rimuovere i tessuti necrotici e correggere lo shock e l’ipovolemia. E’ importante assicurare un corretto apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti. E’ fondamentale, inoltre: 1. mantenere un’adeguata pO2 e pCO2 2. regolare l’equilibrio acido-base 3. preservare il volume plasmatico 4. mantenere il tasso emoglobinico (>10 g/l) 5. assicurare la perfusione tissutale Una volta che il paziente è metabolicamente stabile, la terapia nutrizionale deve provvedere a garantire in requisiti nutritivi per la via più appropriata nello sforzo di favorire la cicatrizzazione delle ferite, stimolare la funzione immunitaria e preservare la perdita della massa magra. La terapia nutrizionale pertanto dovrebbe assicurare un adeguato apporto di energia (calorie), proteine e altri nutrienti nella fase critica del ricovero del paziente. Alla spesa energetica basale va aggiustata in base allo stato clinico del paziente (fattore di attività e fattore di aggressione o di stress), secondo la formula di Long (vedi tabella) BEE x fattore di attività x fattore d’aggressione Attività Fattore d’attività Riposo a letto 1,0 Allettato ma non a riposo assoluto 1,2 Attività leggera 1,3 Attività moderata 1,5 Fattore di stress (aggressione) Febbre (> 37 °C) 1,13 Chirurgia minore 1,20 Politraumatismo 1,35 Infezione grave 1,60 Ustioni diffuse 2,00 Stato metabolico Recenti lavori mettono in evidenza una sovrastima dei valori ottenuti con la formula di Long. Questa differenza si spiega, almeno in parte, con la diffusa utilizzazione, nei pazienti più gravi, di tecniche di analgesia e sedazione che riducono il consumo energetico. Una formula pratica, spesso utilizzata come verifica, è la seguente: • chirurgia media non complicata: metabolismo basale + 10% 20-25 kcal/kg/die • trauma medio: metabolismo basale + 20% 25-30 kcal/kg/die • infezione grave: metabolismo basale + 30% 30-35 kcal/kg/die • ustione grave: metabolismo basale + 50% 40-50 kcal/kg/die Bisogna evitare di assimilare fabbisogni ed apporti; in effetti non in tutte le situazioni cliniche i supporti nutrizionali devono coprire i fabbisogni: • nel paziente ipercatabolico si deve limitare "l’autocannibalismo"; la ricerca di una parità del bilancio energetico è illusoria e fonte di effetti collaterali; • nel paziente denutrito l’equilibrio energetico è spesso facilmente realizzabile. FABBISOGNO PROTEICO Le proteine (potere calorico = 4 kcal/g), composte da sequenze variabili di aminoacidi e caratterizzate dalla presenza di azoto nella loro molecola, si adattano alla qualità e quantità di nutrienti disponibili nell'organismo, tramite un costante turnover, processo che consiste in una continua demolizione e sintesi. Durante questa riutilizzazione, che coinvolge una quantità quadrupla delle proteine introdotte, una quota di aminoacidi viene comunque giornalmente persa. Le proteine sono indispensabili per la funzione contrattile dei muscoli, per l’architettura del tessuto connettivo, per il trasporto nel plasma di molte molecole, per la coagulazione, per la formazione di ormoni, enzimi, anticorpi e molto altro. In presenza di carenza proteica vengono mobilitate le riserve lipidiche, vengono prodotti corpi chetonici e avviene una degradazione muscolare, con rallentamento della deplezione di proteine viscerali a spese delle masse muscolari. Nell’organismo esistono molte proteine, tutte costituite a partire da venti aminoacidi. Rappresentano anche un substrato energetico importante (l’ossidazione degli aminoacidi serve al 20% dell’energia necessaria all’organismo), ma la loro funzione principale è quella plastica. Ogni giorno vengono rinnovati circa 300 g di proteine; l’apporto medio è di 80 g: la gran parte delle proteine degradate viene riutilizzata per la sintesi; questa quantità è legata all’entità dell’aggressione. Gran parte delle proteine sono sintetizzate a livello epatico. Nel fegato avviene anche la neoglucogenesi (sintesi di glucosio a partire da precursori non glicidici). In caso di NP gli aminoacidi corto-circuitano il fegato che, quando viene utilizzata la via normale di assorbimento intestinale, ha un effetto regolatore e protegge l’organismo dalle conseguenze di carichi eccessivi di aminoacidi liberi. Circa la metà delle proteine è a livello muscolare: tuttavia il muscolo non rappresenta un deposito, dato che il catabolismo muscolare si accompagna a perdita di funzione. L'azoto rappresenta il 16% delle proteine, quindi moltiplicando per il fattore 6,25 la quantità di azoto in grammi contenuta in un prodotto possiamo ottenere la corrispondente quantità di proteine in grammi (viceversa possiamo ottenere la quantità di azoto dividendo la quantità di proteine per 6,25). Non sono aminoacidi essenziali l’arginina, la cisteina-cistina (essenziali per il feto), la glicina (necessaria per i neonati), l’istidina (essenziale in pediatria e negli uremici, previene disturbi epatici), la tirosina (essenziale per i neonati), l’alanina, ac.glutammico, la prolina, l’ac.aspartico, la serina, la glutammina e l’asparagina. Nelle situazioni ipercataboliche è anche molto limitata la sintesi di arginina, glutamina e cisteina. Tra i 20 aminoacidi che, in varia combinazione, costituiscono tutte le proteine dell'organismo umano, otto sono ritenuti essenziali: isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina. L'essenzialità è in relazione al fatto che non possono essere sintetizzati ex novo dall'organismo, e devono quindi essere obbligatoriamente assunti con la dieta. Fabbisogno quantitativo: è in funzione dell’età, del sesso, dell’età gestazionale nella donna gravida. L’apporto proteico raccomandato è di 0,8 g/kg/die, in presenza di una digestione completa delle proteine e di un apporto energetico sufficiente. Il fabbisogno proteico è legato all’apporto energetico: per un dato apporto proteico l’aumento di quello energetico aumenta la ritenzione azotata. Fabbisogno qualitativo: per valore nutritivo di una proteina si intende la capacità di provvedere al fabbisogno in amminoacidi (essenziali e non essenziali) dell’organismo. Determinazione dell’apporto d’azoto: dipende dalla tolleranza del malato all’apporto proteico e dal valore del bilancio azotato. Nel soggetto denutrito, che deve ricostituire la massa magra e rilanciare la sintesi proteica, l’escrezione urinaria di azoto è bassa ed è possibile positivizzare il bilancio azotato con apporti limitati. Nel paziente critico (traumatismo grave, sepsi) la perdita di azoto è considerevole; l’obiettivo è di limitare la perdita di massa magra diminuendo la proteolisi. Nella pratica clinica il consumo di azoto viene ricavato dall’escrezione urinaria di azoto ureico, in assenza di perdite abnormi (diarrea, fistole, perdite cutanee e muscolari ). La formula è la seguente: Escrezione d’azoto (g) = concentrazione ureica ( g/l )/2 x diuresi x 1,20 + 2 (a) 2 g di urea equivalgono a circa 1 g di azoto; dividere la quantità di urea per 2 per ottenere il valore d’azoto ureico; (b) l’azoto ureico rappresenta circa l’80% dell’azoto urinario totale, si moltiplica il valore di azoto ureico per 1,20 per ottenere l’azoto totale; (c) i 2 g aggiunti corrispondono alle perdite extra-urinarie in assenza di perdite abnormi. Il fabbisogno proteico normale è il seguente (chirurgia media, neoplasie, malattie infiammatorie e malnutrizione sono esempi di fabbisogni aumentati; politrauma, sepsi e ustioni sono esempi di fabbisogni elevati): • azoto 0,16 g/kg/die (0,2-0,3 gr se aumentati, fino a 0,4-0,5 gr se elevati) • aminoacidi 1,2 g/kg/die (1,5-2,0 gr se aumentati, fino a 3,0-3,5 gr se elevati) • proteine 1,0 g/kg/die (1,25-1,87 gr se aumentati, fino a 2,5-3,1 gr se elevati) In alcune circostanze l’aumento degli apporti oltre una certa soglia (0.3 g/kg/die di azoto, 1,8 g/kg/die di proteine) non apporta benefici apparenti sul mantenimento della massa magra, ma aumenta il rischio di effetti collaterali. Rapporto calorie / azoto: il fabbisogno proteico dipende strettamente dall’apporto energetico, per un dato apporto proteico l’aumento di quello energetico aumenta la ritenzione di azoto. Il rapporto ottimale è compreso fra 100 - 200 kcal /g di azoto. L’ampia variabilità dipende dallo stato nutrizionale del paziente, dallo stato metabolico, dalla gravità della patologia in atto, dalla tolleranza del supporto nutrizionale. Esiste comunque una soglia minima di apporto d’azoto al di sotto della quale il bilancio azotato non può essere positivizzato, indipendentemente dall’apporto energetico. Schematizzando, il rapporto calorie non proteiche / g di azoto ottimale è: • 180-200 kcal per g di azoto (catabolismo lieve) • 120-150 kcal per g di azoto (catabolismo medio) • 100-120 kcal per g di azoto (catabolismo elevato) Un bilancio azotato negativo di 10g/die per 10 giorni corrisponde alla perdita di 625 g di proteine e di 3,1 kg di muscolo. Un esempio di Protein Sparring Nutrition minima (risparmio proteico minimo) può essere: • aminoacidi 1-1,7g/kg/die (es.: 500 cc di Soluzione di aminoacidi all’8,5%); • glucosio 600 kcal/die (es.: glucosata 10% 1.500 cc/die); • insulina: in condizioni normali, da 0 a 1U ogni 15 g; in condizioni di stress o nei diabetici: 1U ogni 4 g. FABBISOGNO GLICIDICO Gli zuccheri (potere calorico = 4 kcal/g) o carboidrati non sono esclusivamente una fonte di calorie, ma devono essere presenti in quantità superiore al 60% dell'energia totale assunta giornalmente allo scopo di evitare una pericolosa situazione di chetosi. Il glucosio in soluzione acquosa sterile è la fonte energetica più utilizzata; è il monosaccaride più importante, ha funzione di fonte energetica (attraverso la glicolisi anaerobia e il ciclo di Krebs), ha un effetto "protein sparring" e anabolizzante per azione mediata dall’insulina ed è essenziale per il metabolismo cerebrale e dei globuli rossi. Il glucosio può essere metabolizzato da tutte le cellule dell’organismo, viene utilizzato quasi completamente, favorisce il passaggio del K+ attraverso le membrane cellulari, è monitorizzabile tramite il dosaggio della glicemia e della glicosuria. Eritrociti e sistema nervoso centrale, in particolare, sono metabolicamente dipendenti dal glucosio: in condizioni normali sono necessari 140 g/die di glucosio per soddisfare i bisogni energetici del cervello e 40g/die per gli eritrociti. La dose orientativa necessaria è di 2-5g/kg/die. Possiamo dire che il glucosio è necessario (mentre vengono definiti essenziali alcuni aminoacidi, alcuni acidi grassi, vitamine e sali minerali). Tessuti glicolitici obbligati sono il cervello, il rene, il midollo osseo e i leucociti (cioè sono in grado di utilizzare solo glucosio), Il glucosio può essere tossico oltre i 500g/die (soglia massima), dando luogo a steatosi, aumento della SGOT, della fosfatasi alcalina e delle bilirubina (alterazioni reversibili). Come ricordato i carboidrati esercitano un effetto di risparmio delle proteine e sono indispensabili anche se in teoria l'organismo può sintetizzarli, in particolare dagli aminoacidi, tramite gluconeogenesi. Questo effetto si manifesta già per infusioni di 100 g/die. La liponeogenesi è uno dei meccanismi di adattamento agli elevati carichi glucidici; la conversione di glucosio in lipidi implica una maggiore produzione di CO2 e acqua, con conseguente aumento del carico ventilatorio e idrico. FABBISOGNO LIPIDICO I lipidi o grassi (potere calorico = 9 kcal/g) hanno essenzialmente funzione di fonte energetica, di deposito energetico, sono componenti fondamentali delle membrane cellulari, rappresentano il veicolo delle vitamine liposolubili e sono una fonte di acidi grassi essenziali. Non sono materiale solo calorigeno: gli acidi grassi insaturi, il linoleico e l'alfa-linolenico, sono definiti essenziali (AGE) in quanto indispensabili per il trofismo di molte cellule, e sono capostipiti di famiglie che danno origine al sistema prostaglandinico. La quantità di AGE che viene raccomandata, alla settimana, è di 8g (quantità contenuta in circa 1.000 cc di Intralipid al 10%). La carenza degli acidi grassi essenziali provoca, tra l'altro, ritardo di crescita, lesioni cutanee, anomalie della riproduzione, steatosi, neuropatie e alterazione della capacità visiva. I trigliceridi somministrati per via venosa scompaiono rapidamente dalla circolazione. Nei pazienti più gravi c’è rischio di accumulo ed è necessario controllare periodicamente la trigliceridemia. Le emulsioni lipidiche iniettabili contengono abitualmente olio di soia, lecitine e fosfolipidi. La bassa osmolarità (è tra i 280-380 mOsm/l) ne permette l’uso in vena periferica, pur avendo un alto valore calorico. I globuli emulsionati hanno un nucleo centrale composto da trigliceridi e una zona periferica composta da fosfolipidi. Una carica negativa legata all’acido fosforico crea un potenziale di membrana negativo che dà luogo a una forza di repulsione tra le gocce emulsionate che contribuiscono alla stabilità dell’emulsione stessa. I lipidi si possono usare come fonte di energia in parallelo con i glicidi, e dunque essere somministrati quotidianamente, oppure esclusivamente come fonte di acidi grassi essenziali (almeno La un dose flacone da orientativa è 500 2g/kg/die cc al (40-60% 20% del per settimana). fabbisogno calorico). L'utilizzo dell'olio di soia assicura l'apporto di entrambe le famiglie di acidi grassi. I lipidi vanno somministrati endovena lentamente, in non meno di tre ore (possono dare tachicardia, ipotensione, rossore); controindicazione sono le alterazioni del metabolismo lipidico, specie da danno epatico grave. Sono in commercio emulsioni lipidiche con MCT (trigliceridi a catena media) che contengono il 50% di MCT e il 50% di LCT (trigliceridi a catena lunga). Gli MCT hanno una migliore eliminazione dal plasma, favoriscono una riduzione del quoziente respiratorio e del volume respiratorio (all’ecografia le dimensioni del fegato e la densità degli echi rimangono inalterate), migliorano il risparmio proteico (maggiore ritenzione d’azoto, aumento del bilancio azotato), mantengono inalterato la funzione immunitaria, migliorano la funzionalità polmonare, hanno un effetto antiossidante. Gli acidi grassi a catena media che derivano dall’idrolisi degli MCT vanno incontro a rapida ossidazione con produzione di energia e attraversano facilmente la doppia membrana mitocondriale (non richiedono per il loro trasporto il sistema enzimatico carnitin-transferasico). Hanno inoltre una dimensione molecolare inferiore, una maggiore solubilità in acqua, una maggiore stabilità nelle infusioni, una migliore eliminazione dal plasma, un minor deposito nei tessuti. Per quanto riguarda il metabolismo proteico danno luogo a una più alta ritenzione d’azoto e a un miglior bilancio. C’è un minor deposito nel fegato, con minore anormalità degli esami ematochimici. Non interferiscono con gli scambi gassosi polmonari, con conseguente normale TIPO emodinamica. DI APPORTO ENERGETICO: GLUCIDI E/O LIPIDI In letteratura si trovano le opinioni più disparate; i risultati degli studi clinici sono spesso discordanti per approcci diversi e talvolta posizioni dogmatiche. Molteplici considerazioni metaboliche evidenziano l’importanza di una distribuzione equilibrata tra glucidi e lipidi nella dieta nel periodo seguente uno stress: • diete iperglucidiche inducono uno stato ipermetabolico con aumento del VO2 (consumo di ossigeno); • l’apporto di glucosio, anche se maggiore del fabbisogno energetico, non blocca la lipolisi; l’organismo trasforma una parte di glucosio in glicogeno, ma continua ad ossidare i lipidi endogeni; • la clearance di una emulsione lipidica non sembra modificata neanche negli stati di stress più gravi; • i lipidi permettono di garantire un apporto di acidi grassi essenziali; il fabbisogno è assicurato da un apporto • la termogenesi • il In costo pratica di medio l’apporto 140-200 ml/die indotta dalle metabolico contemporaneo di emulsione infusioni di di una è stoccaggio glucidi e lipidi lipidica minore al 10%; i lipidi; con è minore è possibile con se i non lipidi. esistono controindicazioni alla somministrazione di una delle due sostanze e se il livello energetico supera le 800-1000 kcal, in tal modo si evitano gli effetti negativi di un carico eccessivo di glucosio e la carenza di AGE. Nel soggetto affetto da un trauma medio la capacità di indurre un risparmio azotato non è differente per le due • 50 - • 40 - sostanze, 60 50 si raccomanda % % di di un apporto calorie misto: glucidiche calorie lipidiche Nei pazienti più gravi l’effetto di risparmio azotato sarebbe migliore con il glucosio: si raccomanda un rapporto calorico Valutazione del fabbisogno proteico glucidi/lipidi dell’ordine del 70% / 30%. La dieta deve garantire una somministrazione di aminoacidi essenziali in dosi sufficienti per consentire all’organismo la sintesi delle proteine. E’ inoltre fondamentale assicurare un equilibrio tra perdite e produzione di azoto (BILANCIO AZOTATO). Le perdite di azoto avvengono attraverso tre sistemi: -- URINARIO -- FECALE -- CUTANEO Si parla di bilancio azotato perchè fisiologicamente l’azoto perduto quotidianamente attraverso feci, sudore, urine deve essere prontamente reintegrato per garantire l’efficienza del sistema di sintesi e quindi l’equilibrio proteico dell’organismo. L’obiettivo della N.E. è incrementare la massa magra muscolare dell’organismo quindi è indispensabile assicurare un apporto proteico quotidiano superiore alle perdite azotate. Quando risulta impossibile quantizzare le perdite azotate si ricorre a formule di calcolo basale sul dosaggio dell’urea urinaria, essendo stato appurato che l’urea escreta attraverso le urine corrisponde all’80% dell’azoto urinario totale. BN (bilancio azotato) = Ni (azoto introdotto) -- Ne (azoto eliminato) In pratica nella maggior parte dei pazienti si considera corretto un apporto di N compreso tra 0,15 0,35 g/Kg di peso corporeo attuale. Tuttavia nei pazienti ustionati o gravemente ipercatabolici si deve procedere ad una correzione della quantità quotidiana di N fino a 0,4 gr/Kg/die. L’apporto di azoto va inoltre modificato in caso di insuff. renale o epatica. Valutazione del fabbisogno idro-elettrolitico, vitaminico e di oligoelementi Una persona adulta ha la necessità di circa 1400 ml/m quadrato o di 30/35 ml/Kg di acqua al giorno in condizioni normali, ambientali e di salute fisica. Il calcolo risulta problematico nel paziente gravemente ammalato o in stato critico in quanto soggetto a numerose variabili che ne alterano gravemente l’entità. Inoltre nella malattia acuta si osserva ritenzione idroelettrolitica con ridistribuzione compartimentale di liquidi che tendono pertanto ad accumularsi nell’interstizio dei tessuti. Questo accumulo può peggiorare le funzioni di organi e apparati, in particolare quella polmonare. I principali accorgimenti per avere un’idea dell’idratazione del paziente sono i seguenti: -- rapide variazioni del peso corporeo; -- comparsa di edemi o versamenti; -- stato di cute e mucose; -- iperventilazione polmonare; -- funzionalità renale; -- ematocrito. Il fabbisogno elettrolitico è connesso a quello idrico e si può modificare grandemente nel corso della malattia. Allo stato attuale delle conoscenze non esiste alcun metodo per la determinazione del fabbisogno di vitamine e di oligoelementi, a parte, in alcuni casi, la possibilità di determinazione della concentrazione plasmatica e urinaria. 6.5 -- MONITORAGGIO DELLO STATO NUTRIZIONALE NEL CORSO NUTRIZIONE ARTIFICIALE Gli indici più utili e più usati per il monitoraggio dello stato nutrizionale del paziente sono: -- PESO CORPOREO -- BILANCIO IDRO-ELETTROLITICO ogni 3-4 giorni ogni giorno -- UREA URINARIA ogni 3-4 giorni -- TRANSFERRINA ogni 8 giorni -- COLESTEROLO ogni 7 giorni -- INDICE CREATININA/ALTEZZA ogni 21-30 giorni DELLA Per la valutazione dell’andamento del catabolismo invece vanno considerati: -- GLICEMIA ogni giorno -- GLICOSURIA ogni giorno -- BICARBONATI ogni giorno -- UREA PLASMATICA ogni giorno -- UREA URINARIA ogni giorno -- ALBUMINA ogni 7 giorni -- ENZIMI EPATICI ogni 7 giorni -- TRIGLICERIDI ogni 7 giorni La somministrazione di azoto comporta un aumento della produzione nell’organismo di anidride carbonica e di urea e del consumo di O2. E’ perciò importante valutare la tolleranza del paziente all’apporto di azoto attraverso diversi parametri: -- AZOTEMIA -- CREATININA -- AZOTO URINARIO sempre inferiore a 100 mg/dl -- CREATININA URINARIA -- EMOGASANALISI Anche l’apporto calorico quotidiano può essere eccessivo. Risulta pertanto necessaria la valutazione della tolleranza del carico calorico. Ciò avviene attraverso la valutazione dei seguenti indicatori: -- GLICEMIA -- GLICOSURIA -- FREQUENZA CARDIACA -- FREQUENZA RESPIRATORIA (ottimo indice quando aumenta del 30% senza altre cause specifiche) -- TEMPERATURA CORPOREA -- EMOGASANALISI Correva l'anno 1914 quando fu eseguito il primo esperimento sul fabbisogno proteico, analizzando le richieste di ratti di laboratorio. I ricercatori determinarono le quantità di proteine necessarie alla crescita dei giovani ratti e applicarono questi valori all'uomo [1]. Paradossalmente, applicando questo criterio, il latte umano non risulterebbe essere un alimento sufficiente per i nostri neonati! E' facilmente intuibile che ratti e umani possano avere ben diverse esigenze e richieste nutrizionali [2]: i piccoli ratti crescono ad una velocità maggiore dei neonati umani e di conseguenza richiedono una fonte più concentrata di proteine e nutrienti per sostenere quel ritmo di crescita per loro naturale. Il latte dei ratti è costituito dal 20% di proteine, mentre quello umano ne contiene solo il 7%. Ciò significa che se nutrissimo i ratti col latte umano, esso non riuscirebbe a soddisfare il fabbisogno necessario per la crescita dei piccoli dell'animale. Grazie a questi e altri pionieristici esperimenti, spesso condotti senza quel rigore che permette di pervenire a conclusioni affidabili, sono pervenuti fino ai nostri giorni, sopravvivendo all'evidenza scientifica, alcuni retaggi sulle proteine, ancora largamente utilizzati da molti divulgatori contrari alla nutrizione vegetariana. Uno di questi è il PER (Protein Efficiency Ratio), che indica la capacità di un alimento di favorire un aumento ponderale veloce. Si tratta del parametro più inutile e inaffidabile che sia mai stato utilizzato nella scienza della nutrizione. Che il latte di mucca sia l'alimento che favorisce la crescita più veloce nei bambini, ad esempio, non significa che esso sia un alimento di alta qualità, ma solo che la sua composizione di nutrienti, completamente differente da quella del latte umano, non è adatta alla crescita ideale dell'uomo (N.B. dove ideale non vuol dire la più veloce!). Il latte vaccino è adatto invece a favorire la crescita del vitello, il cui peso alla nascita raddoppia con una velocità quasi quadrupla rispetto a quella dell'uomo! Oggi il PER e altri parametri, come il valore biologico di una proteina (che assume come valore di riferimento quello dell'albume d'uovo), sono giudicati inadeguati da quasi tutte le Associazioni e gli esperti che operano nel campo della nutrizione. La convinzione -errata- che tutti gli aminoacidi essenziali debbano essere presenti nello stesso pasto per essere assorbiti e utilizzati dall'organismo umano è un altro esempio di nozione obsoleta che non è mai stata dimostrata con metodi scientifici. Ma cos'è un aminoacido essenziale? Teoricamente è un aminoacido che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare autonomamente in quantità adeguate a partire da un precursore, e che deve essergli quindi fornito prevalentemente dal cibo. Il concetto della complementazione delle proteine, e cioè la presunta indispensabilità di combinare, assumendo contemporaneamente e secondo proporzioni prestabilite, alimenti vegetali "incompleti" diversi per ottenere una proteina simile a quella animale "completa", nacque e fu promosso da Frances More Lappe, nel 1971, che all'epoca voleva dimostrare come fosse possibile ottenere proteine di alto "valore biologico" con una alimentazione vegetariana. La pratica di abbinare cereali e legumi venne velocemente adottata, soprattutto dai vegetariani, e fu questa forse una delle principali cause del suo successo. In seguito, è stata proprio la stessa Autrice a smentire categoricamente la propria precedente conclusione, nella sua revisione del libro "Diet for a small planet": sebbene il suo intento fosse stato quello di sfatare un mito, l'autrice ammette di averne involontariamente creato un altro, concludendo che, alla luce di nuovi studi e ricerche, non è assolutamente necessario combinare alimenti vegetali diversi [4]. Oggi ancora in troppi, vegetariani e non, parlano di proteine complete e incomplete, creando una distinzione tra regno animale e regno vegetale, e andando completamente fuori strada. Una proteina è completa quando il suo profilo di aminoacidi non è più basso di quello ideale per l'uomo: ciò è stabilito dalla World Health Organization (WHO) e confermato dai più importanti centri di ricerca, come il Max Planck Institute, all'avanguardia nella ricerca sulla nutrizione. Ne deriva che il 94% dei frutti (sono esclusi ad esempio papaya, pera, prugna) e che quasi il 100% dei vegetali (con poche eccezioni, come il mais) forniscono proteine complete. Inoltre, decenni di ricerche e studi epidemiologici hanno dimostrato, e continuano a dimostrare, come le proteine vegetali siano anzi di più alta "qualità" per l'uomo, perché si discostano meno, rispetto a quelle animali, da quello che è il profilo aminoacidico ideale; le proteine della carne, ad esempio sono troppo ricche in zolfo -con le ben note conseguenze a lungo termine sulla salute dell'osso, e di Isoleucina, il cui eccesso tende a produrre troppa ammoniaca (NH3) all'interno dell'organismo. In seguito ad affermazioni e posizioni poco convincenti ma che si stavano affermando nei decenni scorsi, furono condotti alcuni studi che confermano senza ombra di dubbio quanto appena esposto: che cioè non solo le proteine vegetali sono complete, ma che sostenere la necessità di aggiungere prodotti animali alla dieta dell'uomo è affermazione priva di fondamento scientifico. In un primo esperimento condotto su volontari umani [5], vennero valutati gli effetti di un regime dietetico la cui fonte proteica era costituita da alimenti vegetali quali il grano, mais, fagioli e riso. Dopo 110 giorni i partecipanti all'esperimento presentavano tutti un bilancio azotato positivo, il che significa che le proteine assunte erano sufficienti per le necessità dell'organismo, che non aveva dovuto "intaccare" i propri depositi proteici. Latte e formaggio vennero aggiunti alla dieta di metà dei soggetti del gruppo per verificare se l'integrazione con altre fonti proteiche fosse necessaria. Il risultato fu che nei soggetti alla cui dieta erano stati aggiunti latte e formaggio non presentavano alcun cambiamento significativo nel bilancio azotato: le conclusioni dei ricercatori furono quindi che le sole proteine di alimenti vegetali si erano dimostrate in grado di fornire tutti gli aminoacidi e nella corretta quantità necessaria per soddisfare le richieste proteiche dei soggetti studiati. Un'ulteriore ricerca condotta nel 1971 confermò che le proteine del grano erano in grado di mantenere positivo il bilancio azotato dei soggetti esaminati [6]. L'aggiunta di uova dopo 200 giorni di una dieta a base di sole proteine vegetali, a metà del gruppo, si rilevò totalmente indifferente nel migliorare il bilancio azotato di questi soggetti. Ciò permise di concludere che una dieta a base esclusiva di proteine vegetali era perfettamente in grado di garantire la positività del bilancio azotato e che l'aggiunta di proteine animali a questa dieta non appariva aggiungere alcun vantaggio. In un altro studio clinico venne analizzato l'effetto di un regime dietetico a base esclusiva di proteine di frutta e verdura quali banane, mango, avocado, pomodori e carambola. La quantità di proteine assunta era di 24 g al giorno, e dopo 79 giorni tutti i partecipanti presentavano un bilancio azotato positivo e godevano di ottima salute [7]! A questo punto venne aggiunto fegato e carne alla dieta di metà del gruppo, che non comportarono alcuna modificazione del bilancio azotato dei partecipanti. Ancora una volta le proteine vegetali si erano confermate adatte a fornire la quantità necessaria di aminoacidi, e l'aggiunta di carne non aveva apportato ulteriori vantaggi nutrizionali rispetto alle proteine vegetali. Il solo riso è risultato in grado di fornire da 2 a 4.5 volte le quantità raccomandate dalla WHO di tutti gli aminoacidi essenziali (N.B: in studi precedenti condotti sui ratti la somministrazione di solo riso non si era dimostrata in grado di garantire una crescita normale dell'animale). Il motivo per cui è inutile combinare le proteine all'interno dello stesso pasto è che l'organismo è perfettamente in grado di riutilizzare gli aminoacidi delle proteine "incomplete" ottenendo da questi proteine complete attraverso un meccanismo di "riciclaggio" delle riserve endogene di aminoacidi liberi (il cosiddetto "pool aminoacidico"). Infatti, come dimostrato dal National Research Council, gli aminoacidi che consumiamo a pranzo vanno a finire, assieme a quelli consumati a cena, nel pool aminoacidico, cosicché una qualsiasi carenza di un aminoacido (che può essere causata solo dal consumo di uno dei pochi cibi vegetali incompleti) viene compensata dagli altri cibi assunti durante la giornata. I tempi di permanenza nel deposito variano a seconda degli aminoacidi: ad esempio, la lisina arriva a 15 giorni di permanenza nel pool senza bisogno di essere rinnovata. Non esiste nessuna motivo scientificamente dimostrato per cui sia necessario, in una alimentazione priva di prodotti animali, combinare diversi elementi vegetali per ottenere proteine complete (una carenza proteica si potrebbe realizzare solo nel caso in cui una dieta fosse composta esclusivamente e per lungo periodo da solo mais, o da quel 6% di frutti il cui profilo aminoacidico è più basso di quello ideale, ma è chiaramente una situazione estrema ed inconcepibile in condizioni di disponibilità adeguata di risorse alimentari vegetali). Molti sostenitori del mito del valore biologico delle proteine continuano a portare come prova della loro indifendibile tesi, il dato che nei Paesi poveri la malnutrizione esiste perché non vengono consumati carne e prodotti animali (il famoso "gap proteico"); questi signori dovrebbero piuttosto preoccuparsi di riconoscere ciò che invece è noto e dimostrato da anni, e cioè che la malnutrizione nei Paesi poveri deriva semplicemente dalla carenza di risorse alimentari che è responsabile dell'impossibilità di soddisfare il fabbisogno calorico. Le proteine non sono un problema purché venga rispettato il fabbisogno energetico. Il China Project [8], uno dei più grandi e accreditati studi epidemiologici, iniziato nel 1983, ha dimostrato come, benché il riso sia un alimento completo, un insufficiente apporto di calorie sia risultato in grado di provocare nella popolazione cinese una statura bassa rallentandone la crescita. Da quando la popolazione cinese ha potuto introdurre una quantità maggiore di cibi vegetali nella propria dieta, è stato da subito osservato un netto incremento nella statura media, seguito dalla progressiva scomparsa dei sintomi da malnutrizione. In molti Paesi la malnutrizione si spiega semplicemente perché le risorse alimentari insufficienti costringono la popolazione o ad un insufficiente apporto energetico, oppure all'assunzione di mono-diete basate praticamente su uno dei pochi cereali che non soddisfa il profilo aminoacidico ideale per l'uomo, che è appunto il mais, mancando la possibilità di introdurre alimenti come legumi, altri cereali, frutta e verdura. Tutti i lavori scientifici più recenti condotti sulle diete latto-ovo-vegetariane e vegane ritengono ormai obsoleta la necessità di combinare le proteine, al punto che questa pratica spesso non è più nemmeno menzionata da associazioni, di ogni tipo, che operano nel campo dell'alimentazione umana. Anche nella posizione ufficiale dell'American Dietetic Association si legge "A condizione che vengano consumati gli alimenti vegetali in modo variato e che venga soddisfatto il fabbisogno energetico, le proteine vegetali sono perfettamente in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali. La ricerca indica che una varietà di cibi vegetali assunti nel corso della giornata è in grado di fornire tutti gli aminoacidi essenziali ed assicurare l'assunzione e l'utilizzo di azoto negli adulti sani, indicando che le proteine complementari non debbano necessariamente essere consumate all'interno dello stesso pasto" [9]. Ora che l'argomento "qualità" è stato affrontato, resta da rassicurare brevemente chi sceglie di escludere del tutto i prodotti animali riguardo l'argomento "quantità" (per maggiori informazioni, invito a consultare i numerosi documenti ed articoli sul sito di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, www.scienzavegetariana.it ). Le prime raccomandazioni ufficiali sulle proteine, basate sempre sugli studi sui ratti prima menzionati, arrivavano a consigliare 200 g e oltre di proteine al giorno, che oggi rappresenta purtroppo la quantità media di una dieta standard occidentale. Attualmente, dopo decenni di studi e ricerche, la maggioranza delle organizzazioni internazionali di nutrizionisti sono concordi nell'aver stabilito che l'introito di proteine, in una qualunque dieta vegetariana equilibrata, dovrebbe rappresentare il 10% circa delle calorie totali della dieta stessa. Una dieta che preveda il consumo di frutta, verdure, cereali, legumi, frutta secca e semi supera senza nessun accorgimento particolare, se non quello di consumare le calorie necessarie al proprio fabbisogno energetico, questa percentuale. Basti pensare che il mondo vegetale fornisce dal 6-10% (frutta) al 40-50% (verdure a foglia) di proteine, oltre a tante altre importanti sostanze come vitamine, antiossidanti e minerali. Che il consumo della carne sia "necessario" è un mito da sfatare nel mondo "normale", ma nel mondo "vegetariano" ancora non si è sfatato il mito che uova e formaggio vadano consumati in grandi quantità, in quanto fonte di proteine ad alto valore biologico. Questa convinzione ha infatti conseguenze negative sulla salute, portando come risultato a una dieta più ricca di grassi di quelle standard, compromettendo così i vantaggi per salute insiti in una dieta vegetariana equilibrata. Le proteine dei cereali, dei legumi e della frutta secca, della verdura e della frutta, sono in grado di fornire le richieste proteiche di qualunque organismo, a qualsiasi età, con qualsiasi tipo di attività fisica, da sedentari a sportivi professionisti, e sono abbondantemente contenute in questi alimenti, ricchi di molte altre sostanze fondamentali per la crescita e il mantenimento fisico e della salute dell'uomo. Bibliografia [1] Osborn. T “Amino acids in nutrition and growth”. Journal of biological chemistry 17:325 1914 [2] Vaghefi, S.B., Makdani, D.D. and Mickelsen, O. (1974). 'Lysine supplementation of wheat proteins, a review', Am. J. Clin. Nutr. 27, 1231-1246. [3] Rose, W.C. and Wixom, R.L. (1955). 'The amino acid requirements of man. XIII The sparing effect of cystine on methionine requirement', J.Biol. Chem., 216, 763-773. [4] Lappe, F.M. (1976). Diet for a small planet. New York, Ballantine Books. [5] Clark, H.E., Malzer, J.L., Onderka, H.M., Howe, J.M. and Moon, W. (1973). 'Nitrogen balances of adult human subjects fed combinations of wheat, beans, corn, milk, and rice', Am. J. Clin. Nutr., 26, 702-706. [6] Edwards, C.H., Booker, L.K., Rumph, C.H., Wright, W.G. and Ganapathy, S.N. (1971). 'Utilisation of wheat by adult man; nitrogen metabolism, plasma amino acids and lipids', Am. J. Clin. Nutr., 24, 181-193. [7] Lee, C., Howe, J.M., Carlson, K. and Clark, H.E. (1971). 'Nitrogen retention of young men fed rice with or without supplementary chicken', Am. J. Clin. Nutr., 24, 318-323 [8] http://www.nutrition.cornell.edu/ChinaProject/ [9] ADA Reports. Posizione dell'American Dietetic Association e dei Dietitians of Canada: Diete Vegetariane. J Am Diet Assoc. 2003;103: 748-765, traduzione italiana pubblicata on-line, ©SSNV 2003. http://www.scienzavegetariana.it/nutrizione/ADA_ital.htm (accesso 05.03.2005). Sezione 4. Digeribilità delle proteine Un aspetto importante del metabolismo delle proteine è in che misura il corpo digerisce una certa proteina. Spesso è detto che le polveri proteiche (specialmente le proteine predigerite o idrolizzate) sono digerite meglio delle proteine alimentari intere. A volte è anche detto che le fonti proteiche vegetali sono più digeribili di quelle animali. La digeribilità delle proteine è misurata osservando quanto azoto è espulso con le feci in confronto alla quantità di azoto assunta. Nel calcolo è tenuta presente la quantità di azoto normalmente persa con le feci. Perciò, la ricerca sulla digeribilità esamina quanto azoto va perso, oltre i livelli normali, quando è assunta una certa proteina. Se un individuo assumesse 5 g di azoto (circa 30 g di proteine) e con le feci fosse espulso 1 g di azoto, la digeribilità sarebbe pari all'80% (4 g conservati divisi per i 5 g assunti). La tabella 1 mostra la digeribilità di alcune proteine comuni. Tabella 1: Digeribilità di alcuni alimenti proteici comuni Fonte alimentare Digeribilità delle proteine (%) Uova 97 Latte e formaggio 97 Dieta USA mista 96 Burro d'arachidi 95 Carne e pesce 94 Grano integrale 86 Farina d'avena 86 Semi di soia 78 Riso 76 Fonte: National Research Council, Recommended Dietary Allowances , 10ª edizione, National Academy Press, 1989. Fatta eccezione per alcune proteine vegetali, vediamo che le proteine mangiate più di frequente (per esempio, quelle mangiate dai bodybuilder) hanno una digeribilità molto alta. Presumendo che normalmente il tratto digestivo di una persona funzioni bene, non c'è motivo di pensare che una polvere proteica sarà digerita molto meglio o avrà un impatto maggiore sulla crescita rispetto alle proteine alimentari intere 2 . Anche se una polvere proteica raggiungesse una digestione effettiva del 100% (difficile, perché nessun processo corporeo è efficiente al 100%), ci sarebbe una differenza di solo il 3% in confronto alle proteine dell'uovo o del latte. In pratica, per ogni 100 g di proteine assunte, ci sarebbe una differenza di 3 g. Se questa differenza può essere rilevante per le assunzioni proteiche basse, con le assunzioni proteiche osservate fra i bodybuilder, difficilmente le piccole differenze nella digeribilità avranno un grande impatto sulla crescita. Perciò, la differenza principale fra una polvere proteica e una proteina alimentare intera non sarà quanto bene una è digerita rispetto all'altra ma quanto velocemente sono digerite. Come discusso nella parte 1 di questo articolo, la natura predigerita di molte polveri proteiche accelererà la digestione e il rilascio nel sangue. Sezione 5. Qualità delle proteine La qualità delle proteine è un argomento di accesa discussione, sia nel mondo della ricerca, sia nel regno degli integratori proteici. È stato detto che una certa proteina è di qualità superiore rispetto a un'altra o che le polveri proteiche sono superiori alle proteine alimentari intere. Dato che il dibattito è così acceso, approfondirò la discussione della qualità delle proteine. La qualità delle proteine si riferisce, generalmente, a quanto il corpo usa una certa proteina. Più precisamente, si riferisce a quanto il profilo di amminoacidi (AA) essenziali soddisfa i fabbisogni del corpo 3 . Comunque, questo non significa che il contenuto di AA non essenziali di una proteina è irrilevante per la qualità della proteina. Come vedremo in seguito, non è facile risolvere il problema del fabbisogno di AA e ciò rende la discussione della qualità delle proteine ancora più problematica. Metodi per misurare la qualità delle proteine Esistono molti modi per misurare la qualità delle proteine. In larga parte, la valutazione della qualità di una proteina dipende dal metodo usato e ciò permette ai venditori di proteine di affermare la superiorità di una proteina rispetto a un'altra. Per esempio, misurata con un metodo, la proteina dell'uovo può essere la proteina con qualità più alta ma usando un altro metodo, quella con qualità più alta può essere la caseina. Inoltre, e forse più importante, la qualità di una proteina è direttamente legata ai fabbisogni fisiologici del soggetto studiato 3 . La proteina ottimale per un bodybuilder in una fase di massa può non essere ottimale durante una fase di dimagrimento o per un atleta di endurance. La dieta e l'attività possono influenzare il modo in cui il corpo usa gli AA. Per esempio, l'attività aerobica di lunga durata tende a ossidare grosse quantità di amminoacidi ramificati (BCAA) 4 , ciò indica che gli atleti di endurance possono avere un fabbisogno di BCAA più alto rispetto agli atleti non di endurance. Molto probabilmente, non esiste una singola proteina che risulti sempre la migliore in tutte le situazioni. Quindi, la prima domanda a cui rispondere è quale metodo per classificare le proteine è ideale per l'uomo. La risposta più facile è che non esiste un metodo ideale perché tutti fanno delle previsioni oppure sono basati su modelli che possono o non possono essere accurati. La seconda domanda, che nessuno ha affrontato, è se i fabbisogni di AA di una persona sedentaria sono uguali o diversi da quelli di un bodybuilder che si allena duramente. Anche se esistono molti metodi diversi per confrontare le proteine, solo pochi sono usati abbastanza frequentemente nella letteratura popolare per necessitare di una discussione. Questi metodi sono: punteggio chimico, valore biologico, tasso di efficienza della proteina, punteggio degli amminoacidi corretto per la digeribilità. Misurata con un metodo, la proteina dell’uovo può essere la proteina con qualità più alta ma usando un altro metodo, quella con qualità più alta può essere la caseina. Punteggio chimico Il punteggio chimico è un metodo di valutazione delle proteine che si basa sulla loro composizione chimica (più precisamente i loro livelli di AA essenziali). Per determinare il punteggio chimico, una proteina è scelta come riferimento e le altre proteine sono classificate in confronto a quella proteina di riferimento. Ciò è concettualmente simile al dare al pane bianco il valore 100 nella classifica dell'indice glicemico e classificare gli altri carboidrati in confronto a questo valore. Solitamente, come proteina di riferimento è stata usata la proteina dell'uovo ma ciò presuppone che il profilo di amminoacidi dell'uovo sia ideale per l'uomo. Recentemente, in base alle crescenti informazioni sui fabbisogni di AA dell'uomo, sono stati suggeriti altri modelli di amminoacidi per sostituire l'uovo. Nel 1985, una commissione sui fabbisogni di proteine ha indicato un modello ideale di riferimento 6 ma questo modello è stato criticato da molti ricercatori perché troppo basso 7,8 . Dato che il punteggio chimico è un valore relativo e non assoluto, è possibile avere valori superiori a 100. Se 5 g della proteina di riferimento contengono 800 mg di un certo amminoacido e 5 g della proteina esaminata contengono 1.000 mg dello stesso amminoacido, quest'ultima proteina otterrebbe il valore 125% per quell'amminoacido. L'amminoacido essenziale presente nella quantità più bassa (relativamente a quanto necessario) è definito come il primo amminoacido limitante (vedere la parte 1 per una discussione sugli amminoacidi limitanti). Il secondo AA essenziale più basso relativamente ai fabbisogni è il secondo amminoacido limitante ecc. In generale, l'amminoacido limitante determinerà quanto una certa proteina è usata dal corpo. Ciò indica che integrare con l'amminoacido limitante (cioè assumere metionina supplementare insieme a una proteina limitata dalla metionina) o combinare le proteine con amminoacidi limitanti diversi potrebbe incrementare la qualità della proteina. Il punteggio chimico è utilizzabile anche per confrontare una certa proteina con le quantità di cui ha bisogno il soggetto in questione. È un cosa piuttosto utile in quanto prende in considerazione i fabbisogni dell'individuo, presumendo che siano conosciuti. Cioè, se una certa proteina fornisce 100 mg/kg di un certo AA e 150 mg/kg fossero quanto necessario per una persona, il punteggio chimico per quell'amminoacido sarebbe 0,67 (ciò significa che la proteina in questione fornisce solo il 67% della quantità richiesta da quella persona). Benché il punteggio chimico sia utile per classificare le proteine in base alla loro composizione, presenta un grosso svantaggio: ha poco a che fare con quanto il corpo (umano o no) utilizzerà una proteina alimentare, perché non tiene conto della digeribilità. Per questa ragione, raramente il punteggio chimico è l'unica misura usata per classificare la qualità delle proteine. Valore biologico (BV) Il valore biologico (BV) è probabilmente una delle misure della qualità di una proteina usate più comunemente. Il BV di una proteina è dato dalla quantità di azoto trattenuto nel corpo diviso per la quantità di azoto assorbito da quella proteina. È presa quindi in considerazione la digeribilità di quella proteina. Perciò: BV = (azoto trattenuto / azoto assorbito) x 100 Un BV di 100 indicherebbe l'utilizzo completo di una certa proteina alimentare, in quanto nel corpo è stato trattenuto il 100% delle proteine assunte senza perdere niente. Per misurare il BV, solitamente ai soggetti è somministrata una dieta senza proteine per misurare le perdite di base di azoto (cioè la quantità di azoto persa normalmente). Poi la proteine esaminata è somministrata in dosi diverse (generalmente 0,6, 0,5, 0,4 e 0,3 g/kg) ed è eseguito uno studio sul bilancio azotato 9 . Alcuni studi usano periodi di digiuno più lunghi e questa è una considerazione importante per valutare i dati. Per esempio, lo studio spesso citato dai pubblicitari per dimostrare la superiorità della proteina del siero idrolizzata ha misurato il bilancio azotato nei topi dopo tre giorni di digiuno, che nell'uomo corrisponde a un periodo più lungo 10 . In questo studio, la proteina del siero idrolizzata ha prodotto ritenzione di azoto e crescita maggiori rispetto alle altre proteine studiate. Quello che non è detto è che il digiuno influenza quanto il corpo deposita le proteine assunte, producendo valori BV falsamente alti. Questo studio non è molto applicabile a un individuo con un'assunzione proteica solitamente alta. Una discussione approfondita degli effetti di un'assunzione proteica limitata (cioè la ciclizzazione delle proteine) apparirà nella parte 3 di questa serie di articoli. Anche se la metodologia del bilancio azotato ha i suoi problemi (vedere la parte 1 di questa serie), è un indice generico di quanto una certa proteina soddisfa i fabbisogni del corpo. Se una certa quantità di proteine (o più precisamente, una certa quantità di azoto) pone una persona nel bilancio azotato (ovvero il bilancio azotato positivo), si può dire che la proteina in questione è di qualità sufficiente per sostenere il mantenimento delle riserve proteiche del corpo. Il principale svantaggio del metodo del bilancio azotato è che non dà informazioni sul metabolismo (e le deficienze) degli amminoacidi specifici o sui tessuti specifici influenzati (per esempio, muscolo vs. fegato), ma solo un indice di quanto succede a livello di tutto il corpo 9 . Secondo i fabbisogni individuali di amminoacidi di un certo tessuto, è possibile che una proteina possa sostenere ottimamente la sintesi proteica in un organo, come il fegato, senza però sostenere ottimamente la sintesi in un altro tessuto, come il muscolo. La questione del metabolismo proteico di tutto il corpo in confronto a quello dei tessuti specifici sarà discussa nella parte 3 di questa serie. Nonostante quanto detto a volte, è impossibile avere un BV superiore a 100. Per esempio, è stato detto che la proteina del siero ha BV uguale a 157 ma questo significherebbe che per ogni grammo di azoto assunto ne sono depositati 1,57 g. Dato che è termodinamicamente impossibile per il corpo depositare più azoto di quanto ingerito, anche il valore BV di 157 è impossibile. Le pubblicità delle proteine che propongono un BV superiore a 100 andrebbero guardate con sospetto. Un aspetto della misurazione del BV che può causare problemi di interpretazione dei risultati è che il BV di una proteina è influenzato da molti fattori. Il primo è l'assunzione calorica. Un'assunzione calorica molto alta migliora il bilancio azotato con qualsiasi assunzione proteica e viceversa. Ciò significa che una persona che assume molte calorie (per esempio un bodybuilder che segue una dieta di massa) mostrerà una migliore ritenzione di azoto e il BV “apparente” aumenterà (cioè sarà trattenuto più azoto in confronto alla quantità assunta). Allo stesso modo, se le calorie diminuiscono (per esempio durante la dieta di dimagrimento), il BV scende. Un secondo fattore che influenza il BV è l'attività. L'attività fisica, specialmente l'allenamento con i pesi, aumenta la ritenzione di azoto dando alla proteina un BV apparente più alto. Un terzo fattore, solitamente ignorato dalla letteratura popolare, è che il BV di una proteina è legato alla quantità di proteina somministrata 9 . Il BV è misurato a livelli inferiori al livello di mantenimento. Quando l'assunzione proteica aumenta, il BV di quella proteina diminuisce. Per esempio, la proteina del latte mostra un BV vicino a 100 con assunzioni di 0,2 g/kg. Quando l'assunzione proteica aumenta fin quasi i livelli di mantenimento, 0,5 g/kg, il BV scende a circa 70 9 . Citando da Pellet e Young, “…le proteine sono utilizzate meglio a livelli subottimali che ai livelli di assunzione di quasi mantenimento. Di conseguenza, le misurazioni biologiche della qualità delle proteine condotte a livelli subottimali nei soggetti sperimentali umani o animali possono sopravvalutare il valore delle proteine ai livelli di mantenimento” 9 . Perciò, mentre il BV può essere importante per classificare le proteine quando l'assunzione è al di sotto dei fabbisogni, il BV si applica male ai soggetti con assunzioni proteiche bel al di sopra dei fabbisogni. La tabella 2 presenta il BV di alcune proteine comuni. Tabella 2. BV di alcune proteine comuni Proteina BV Siero 100 Uovo 100 Latte 93 Riso 86 Caseina, pesce, manzo 75 Mais 72 Farina d'arachidi 56 Glutine del grano 44 Fonte : Normal and Therapeutic Nutrition, 17th ed. Corinne H. Robinson, Marilyn R. Lawler, Wanda L. Chenoweth, and Anne E. Garwick. Macmillan Publishing Company, 1986. Viste le alte assunzioni proteiche della maggior parte degli atleti di forza (2,0 g/kg o più), è difficile prevedere che il BV ricopra un ruolo significativo nella classificazione delle proteine per questa categoria di persone. Molto probabilmente, con questi tipi di assunzioni proteiche qualsiasi proteina di qualità decente produrrà gli stessi risultati. Inoltre, anche se le proteine come il siero hanno un valore BV leggermente superiore rispetto alle fonti proteiche come la caseina (latte) o l'uovo, difficilmente queste piccole differenze influenzeranno i guadagni di massa nel lungo termine. Tasso di efficienza della proteina (PER) A volte il PER è usato per valutare le proteine e per rappresentare la quantità di peso guadagnata (in grammi) in confronto alla quantità di proteine consumate (in grammi). Per esempio, un PER di 2,5 significa che per ogni grammo di proteine assunte sono guadagnati 2,5 g di peso. Dato che nell'uomo è impossibile misurare il guadagno di peso in grammi, generalmente il PER è misurato negli animali giovani in crescita posti in una dieta il cui peso è composto per il 10% da proteine. Ciò solleva il dubbio se gli animali giovani, in crescita, rappresentino un buon modello per un uomo adulto. Anche se la Food and Drug Administration ha consigliato l'uso del PER della caseina come modello di riferimento per etichettare gli alimenti proteici 12 , alcuni autori hanno criticato l'uso del PER per calcolare i fabbisogni proteici dell'uomo. Nessun metodo è inteso essere usato per determinare la qualità di proteine diverse per un bodybuilder adulto interessato all’aumento del tessuto muscolare. Sebbene l'uso del PER per classificare le proteine per l'uomo sia discutibile, andrebbe detto che uno studio recente sugli animali ha scoperto che combinazioni di proteine animali (30%) e vegetali (70%) hanno un valore PER superiore a quello delle proteine animali o vegetali mangiate da sole 14 . Ciò può avere a che fare con la “combinazione” delle proteine per diminuire l'impatto dell'AA limitante. I soggetti che vogliono diminuire l'assunzione di proteine animali possono riuscire a raggiungere valori PER più alti con una combinazione di proteine animali e vegetali rispetto a chi mangia solo proteine animali. Punteggio degli amminoacidi corretto per la digeribilità (PDCAAS) Il PDCAAS è il nuovo metodo per misurare la qualità delle proteine. È stato anche indicato come sistema ideale per classificare le proteine in base alla loro capacità di soddisfare i fabbisogni dell'uomo 15 . Simile al punteggio chimico, classifica gli alimenti proteici relativamente a una proteina di riferimento data. In questo caso, il profilo di AA di riferimento è quello considerato ideale per i bambini di 2-5 anni 15 . Ciò ovviamente solleva immediatamente la domanda di quanto sia rilevante questo profilo AA per i bodybuilder adulti. Comunque, il PDCAAS va oltre il punteggio chimico perché prende in considerazione la digeribilità di una certa proteina, dando al profilo di AA maggiore rilevanza per i bisogni dell'uomo. Cosa interessante, usando il metodo PDCAAS, insieme al modello di riferimento di AA proposto, le proteine precedentemente classificate come di cattiva qualità, come la soia, hanno ottenuto valutazioni qualitative migliori 16 . Ciò è più in linea con gli studi che mostrano che alcune proteine della soia purificate, come il Supro™ possono mantenere gli atleti nel bilancio azotato 3,16 . Anche in questo caso, l'uso del PDCAAS per classificare le proteine per i bodybuilder adulti è discutibile perché la fisiologia dell'allenamento con i pesi può influenzare i fabbisogni di alcuni amminoacidi (cioè glutammina, BCAA). Riassunto della qualità delle proteine Benché siano stati proposti molti metodi diversi per misurare la qualità delle proteine, nessuno è perfetto per la classificazione delle proteine per l'uso da parte dell'uomo. Anche se alcuni metodi di classificazione delle proteine si basano su quanto un animale cresce (ovvero il bilancio azotato raggiunto), questi metodi non danno informazioni sui fabbisogni specifici di amminoacidi o sulla sintesi proteica di un certo tessuto. Invece, si ottengono solo dati riguardanti la crescita di tutto il corpo. Un'altra strategia per classificare le proteine è confrontare il profilo di AA delle proteine alimentari con una qualche proteina di riferimento. Precedentemente, sono state usate come riferimento le proteine alimentari come l'uovo o il latte ma recentemente per la classificazione delle proteine ci si è mossi verso l'uso di un modello di riferimento idealizzato di AA. Ciò presuppone che i veri fabbisogni di un certo AA siano conosciuti, come discusso nella sezione. Infine, tutti i metodi per classificare la qualità delle proteine descritti sopra sono insufficienti per classificare le proteine per i bodybuilder. Sono usati principalmente per determinare i fabbisogni minimi per sostenere la crescita ottimale nei bambini (che differisce fisiologicamente dalla crescita vista nei bodybuilder perché gran parte del tessuto sintetizzato sono organi e non tessuto muscolare) o il mantenimento negli adulti. Nessuno di essi è inteso essere usato per determinare la qualità di proteine diverse per un bodybuilder adulto interessato all'aumento del tessuto muscolare (mantenendo altri tessuti del corpo). Nella parte 3 di questa serie approfondiremo la questione della qualità delle proteine esaminando i fabbisogni di AA. In questo contesto saranno esaminate molte proteine alimentari. La parte 3 vedrà anche lo sviluppo di un modello cinetico fondamentale del flusso degli AA nel corpo, illustrando i vari destini che possono avere gli amminoacidi. Questo modello sarà usato per esaminare gli adattamenti che si verificano con assunzioni proteiche sia alte sia basse affinché sia possibile esaminare le strategie alimentari come la ciclizzazione proteica. Riferimenti 1 National Research Council. Recommended Dietary Allowances, 10th ed. National Academy Press, 1989. 2 Moriarty, KJ et. al. Relative nutritional value of whole protein, hydrolysed protein and free amino acids in man. Gut (1985) 26: 694-699. 3 Young, VR. Soy protein in relation to human protein and amino acid nutrition. J Am Diet Assoc (1991) 91: 828-835. 4 Wagenmakers, AJM. Muscle amion acid metabolism at rest and during exercise: role in human physiology and metabolism. Exercise and Sports Science Reviews (1998) 26: 287-314. 5 Advanced Nutrition and Human Metabolism, 2nd ed. James L. Groff, Sareen S. Gropper, Sara M. Hunt. West Publishing Company, 1995. 6 Energy and protein requirements. Report of a joint FAO/WHO/UN expert consultation. WHO technical report series 724. Geneva: World Health Organizations, 1985. 7 Young, VR and El-Khoury, AE. Can amino acid requirements for nutritional maintenance in adult humans be approximated from the amino acid composition of body mixed proteins? Proc Natl Acad Sci USA (1995) 92: 300-304. 8 Millward, DJ. Metabolic demands for amion acids and the human dietary requirement: Millward and Rivers (1988) revisited. J Nutr (1998) 128: 2563S2576S. 9 Pellett, PL and Young, VR. Nutritional evaluation of protein foods. United Nations University, 1980. 10 Poullain, MG et. al. Effect of whey proteins, their oligopeptide hydrosylates and free amino acid mixtures on growth and nitrogen retention in fed and starved rats. J Parenteral and Enteral Nutrition (1989) 13: 382-386. 11 Normal and Therapeutic Nutrition, 17th ed. Corinne H. Robinson, Marilyn R. Lawler, Wanda L. Chenoweth, and Anne E. Garwick. Macmillan Publishing Company, 1986. 12 Henley, EC. Food and Drug Administration's proposed labeling rules for protein. J Am Diet Assoc (1992) 92: 293-294, 296. 13 Young, VR. and Pellett, PL. Protein evaulation, amino acid scoring and the Food and Drug Administrations's proposed food labeling regulations. J Nutr (1991) 121:145-150. 14 Hernandez, M et. al. The protein efficiency ratio of 30:70 mixtures of animal:vegetabls protein are similar or higher than those of the animal foods alone. J Nutr (1996) 126: 574-581. 15 Food and Agriculture Organization and World Health Organization (1990) protein quality evaluation. Report of a joint FAO/WHO expert consultation. Food and agriculture organization of the United Nations, Rome, Italy. 16 Young, VR and Pellett, PL. Plant proteins in relation to human protein and amino acid requirements. Am J Clin Nutr (1994) 59 (suppl): 1203S-1212S.