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Capitolo 8. Altre soluzioni dei paradossi.
C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 Capitolo 8. Altre soluzioni dei paradossi. 8.1. Le proposte del Logicismo. Se Cantor aveva creato un paradiso, non di meno la proposta di Frege aveva aspetti che la raccomandavano come esempio assai singolare ed importante, ed indicava la possibilità di ricostruire la Matematica a partire dalla Logica. Proprio Russell che aveva individuato una pecca sostanziale del sistema, ha poi cercato di ‘riparare’ al fatto, presentando una proposta che ancora oggi si pone come pietra di paragone per ogni tentativo logicista. La sua teoria rientra in quelle forme di riduzionismo che pretendono di trovare una teoria ‘totalizzante’ che permetta una ricostruzione completa della Matematica. 8.1.1. La teoria dei tipi. L’evoluzione del pensiero di Russell verso la sua proposta ‘definitiva’ è stato assai complesso. Le concezioni idealiste della fine dell’Ottocento in Inghilterra mostravano, dopo i successi della stagione della Analytical Society e degli sviluppi che ne erano seguiti, una netta ostilità verso la logica tradizionale. Lo stesso Russell dirà che chi vuole diventare un logico non deve studiare la Logica (‘scolastica’ che ancora era impregnata di idee di ascendenza aristotelica). Nella mente di Russell si stava però sviluppando un pensiero che lo portava a cercare un fondamento ‘semplice’ per la Matematica, anche se in una prima fase mancavano al filosofo inglese i punti di partenza chiari su cosa e come fare. 8.1.1.1. Russell e Peano. L’incontro con Peano al congresso di Filosofia nell’Agosto del 1900 gli fornisce un primo punto di appoggio. Nella autobiografia Russell scrive: «Durante le discussioni del congresso mi resi conto che [Peano] era sempre più preciso di tutti gli altri e che in tutte le discussioni risultava invariabilmente il più brillante. Col passare dei giorni mi convinsi che questo doveva dipendere dalla sua logica matematica e pertanto mi feci dare da lui tutte le sue opere e non appena il congresso si chiuse mi ritirai a Fernhurst per studiare in tutta tranquillità tutto ciò che lui e i suoi discepoli avevano scritto. Mi resi conto che il suo metodo di notazioni forniva quello strumento di analisi logica che per anni avevo cercato, e che studiando l’opera sua stavo impadronendomi di una nuova e potente tecnica per il lavoro che da molto tempo desideravo fare.» (da Borga & Palladino, 1997) Erano quelli anche gli anni dello studio dell’opera di Frege, ma il simbolismo usato dal tedesco non facilitava la comprensione profonda dei problemi. Nell’Introduzione dei Principia Matematica del 1910, Whitehead e Russell scrivono: «D’altra parte noi abbiamo una logica simbolica, la quale, dopo un necessario periodo di crescita, ha ora, grazie a Peano ed ai suoi discepoli, acquistata l’adattabilità tecnica e la comprensività logica che sono essenziali ad uno strumento matematico per trattare con ciò che fino ad oggi sono stati gli inizi della matematica.» 235 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. Una nota a margine. Il successo avuto da Peano al congresso di Filosofia ebbe una conseguenza nefasta sulla scuola italiana. Il filosofo Benedetto Croce (1866 – 1952), punto di riferimento costante della cultura italiana per tutta la prima metà del XX secolo, si sentì ‘sminuito’ dal successo del matematico torinese in un congresso così importante come quello di Parigi. E non accettò il fatto. Nel 1905 usciva un suo scritto, la Logica come scienza del concetto puro, in cui abbondano critiche su quella che Croce chiama logica formalistica, aggettivo che rivela il dispregio del filosofo nei riguardi dell’argomento. Ma il testo di Croce, come è stato osservato poi da altri filosofi più vicini ai nostri giorni, contiene un repertorio assai vasto e nutrito di inesattezze con giudizi pretenziosi ed inesatti, di insulsaggini. Tra l’altro scrive: «… se come scienza del pensiero la Logistica è cosa risibile, degna veramente dei cervelli che l’hanno costruita [e abbiamo avuto modo di nominare in queste pagine alcuni di quegli inetti e limitati cervelli che tale brutta azione avevano commesso 1]… non è poi nostro assunto esaminarla in quanto formulario provvisto di pratica utilità; e su questo punto ci restringiamo a insistere sopra una sola e assai semplice osservazione. [Da Leibniz in poi] questi nuovi congegni sono stati offerti sul mercato: e tutti, sempre, li hanno stimati troppo costosi e complicati, cosicché non sono finora entrati né punto né poco nell’uso. Vi entreranno nell’avvenire? La cosa non sembra probabile, e, ad ogni modo, è fuori della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita: da raccomandarsi, se mai, a commessi viaggiatori che persuadono dell’utilità della nuova merce e le acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni adotteranno i nuovi congegni logici, questi avranno provato la loro grande o piccola utilità. Ma la loro nullità filosofica rimane, fin da ora, pienamente provata.» (da Man- gione & Bozzi, 1993). Non si può certo affermare che il Croce non avesse grandi capacità e profondità di pensiero, ma i suoi giudizi dimostrano una carenza di informazione spicciola e questo, data la sua posizione di prestigio ha avuto gravi conseguenze su tutta la cultura italiana, anzi, dato che il suo atteggiamento è stato sicuramente dettato da una presa di posizione dogmatica, si può ritenere che in questo il filosofo di Pescasseroli abbia una grande responsabilità culturale. Di fatto la pubblicazione e i contenuti di Logica come scienza del concetto puro è stata una delle ragioni principali della scomparsa della scuola logica italiana e la dissoluzione del patrimonio e del prestigio di cui godeva all’inizio del XX secolo. Torniamo a Russell, che ebbe poi la colpa di scrivere una storia della Filosofia in cui non cita neppure di sfuggita il nome di Croce. 8.1.1.2. I prodromi dei Principia Matematica. La prima opera di Russell in questo filone di ricerche è il testo del 1903 The Principles of Mathematics, iniziato già nel 1900. In esso mostra di accettare e fare propri due principi fondamentali desunti dai Grundgesetze di Frege: 1) i concetti matematici sono definibili esplicitamente in termini di un esiguo numero di concetti logici fondamentali; 1 Altrove cita “i Peano, i Boole e i Couturat”. 236 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 2) le proposizioni matematiche sono derivabili mediante deduzioni puramente logiche da un limitato numero di principi fondamentali di natura logica. Lo strumento logico che Russell adopera si avvale della notazione di Peano, ma ingloba una teoria delle classi, nella quale si ritrova una presentazione formale della teoria degli insiemi di Cantor ed in particolare il concetto di numero. Inoltre a differenza di Peano nei Principia Mathematica sono indicate esplicitamente anche le regole di inferenza (esplicitamente indicato solo il Modus ponens con l’aggiunta di assiomi del calcolo proposizionale e predicativo e la sostitutività). Ci sono tre ambiti in cui compaiono proposizioni primitive ed essi sono le proposizioni, le classi e le relazioni; a quest’ultimo aspetto Russell portò numerosi contributi originali. Il tentativo, pur essendo importante negli anni in cui fu pubblicato, ha però aspetti poco convincenti. Ci sono troppi concetti primitivi che comprendono le costanti logiche, molti termini di natura linguistica, altri che rimandano ad una ontologia, ad esempio “verità”, “costanza di forma”, “denotazione”, “classe”, “asserzione”, “variabile”. L’analisi di questi termini ha dato origine a molte complicazioni che non vengono risolte in modo adeguato. Ad esempio Russell introduce sei tipi diversi di quantificazione(“the”, “a”, “some”, “all”, “every”, “any”). È di questa opera che sta scrivendo che accenna nella lettera a Frege. Ed è per giungere a completare il suo testo, che riprende lo studio dei Grundgesetze, scoprendo l’antinomia che porta il suo nome. In un’appendice del testo del 1903 tenta di eliminare il paradosso con la presentazione di una gerarchia di funzioni proposizionali, primo passo verso la teoria dei tipi. Si rende però conto che le sue proposte non sono idonee al compito che si era prefisso e per questo cerca di percorrere altre strade. Come frutto dei ripensamenti pubblica un articolo nel 1905, dal titolo On Some Difficulties in the Theory of Transfinite Numbers and Order Types, sui Proceedings of he London Mathematical Society, in cui presenta tre proposte diverse per la soluzione delle antinomie. La prima è la cosiddetta “teoria zig-zag”. Con essa si attira le critiche di Poincaré che in una recensione scrive: «In questa notte, un solo chiarore: è la parola zig-zag» (da Mangione & Bozzi, 1993). L’idea era quella di considerare funzioni proposizionali ‘semplici’ termine che resta non chiarito e le loro estensioni. La seconda idea è quella della ‘limitazione della taglia’ che abbiamo visto avrà influenza sulle proposte neo-cantoriane. La terza proposta è quella della ‘teoria senza classi’, in cu propone di considerare le classi come simboli incompleti, privandole della ‘natura’ di estensione delle funzioni proposizionali, ma solo con funzioni proposizionali ed opportune sostituzioni. Si tratta in ogni caso di proposte con poca chiarezza e che verranno poi rielaborate in modo più convincete in altri scritti. L’aspetto più interessante della terza proposta fu l’analisi (e la successiva eliminazione) dell’articolo determinativo ‘the’ mettendone in luce le presupposizioni esistenziali convogliate da esso. L’esempio più famoso è il seguente: “l’attuale re di Francia è calvo” sembra afferma237 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. re, proprio grazie all’articolo determinativo, l’esistenza di un tale personaggio. Se si considera invece la parafrasi “Esiste un unico x tale che x è re di Francia e x è calvo” è evidente la falsità della affermazione per l’inesistenza di una persona che soddisfi le condizioni esplicitate. Questa linea di pensiero permise poi a Russell e Whitehead di ‘eliminare’ quei concetti matematici che potevano dare luogo a problemi, eliminando l’articolo determinativo. Nel 1908 compare Mathematical Logic as Based on the Theory of Types, ed in esso Russel ripresenta la teoria dei tipi come soluzione dei paradossi. Anzi è in questo lavoro che produce un elenco dei paradossi. Afferma che una caratteristica comune di tutte le antinomie è l’autoriferimento o, come lo chiama, il principio del circolo vizioso. Se si accetta questo principio, allora bisogna escludere tutte le definizioni impredicativa, oppure bisogna cercare altre definizioni ‘equivalenti’ che evitino il circolo vizioso. Per superare le antinomie propone quella che poi verrà chiamata Teoria dei tipi ramificati. 8.1.1.3. Breve analisi dei Principia Matematica. Scrivono Whitehead e Russell nel primo volume dei Principia Matematica (1910) «Una larghissima parte dello sforzo necessario per scrivere la presente opera è stata spesa sulle contraddizioni e i paradossi che hanno infettato la logica e la teoria degli aggregati. Abbiamo esaminato un grande numero di ipotesi per trattare queste contraddizioni; molte di tali ipotesi sono state proposte da altri, e quasi altrettante sono state inventate da noi. Talvolta ciò ci è costato diversi mesi di lavoro, per convincerci che tali ipotesi erano insostenibili. Durante questo prolungato studio, siamo stati condotti, come c’era da aspettarsi, a modificare le nostre idee di volta in volta; ma gradualmente ci è risultato evidente che si deve adottare una opportuna forma della dottrina dei tipi, se si devono evitare le contraddizioni. La forma particolare della dottrina dei tipi richiamata nel presente lavoro non è logicamente indispensabile, e ci sono varie altre forme di tale dottrina, ugualmente compatibili con la verità delle nostre deduzioni. Le abbiamo particolarizzate entrambe in quanto la forma della dottrina che utilizziamo, ci appare la più probabile, ed in quanto perché era necessario dare almeno una teoria perfettamente definita che eviti le contraddizioni. Ma difficilmente qualsiasi cosa nel nostro libro potrebbe cambiare dall’adottare una forma differente della dottrina dei tipi. Infatti, noi possiamo andare oltre e dire che, supponendo esistano altri modi per evitare le contraddizioni, ben poco del nostro libro, eccetto ciò che tratta esplicitamente dei tipi, è dipendente dall’adozione della teoria dei tipi in una qualsiasi forma, così come è stato mostrato. » (da Whitehead & Russell, 1910). La proposta di soluzione dei paradossi, dopo avere chiarito ed esemplificato il principio di circolo vizioso, parte dalla ‘pratica’ matematica con le funzioni. Dicono infatti i due autori «Siamo pertanto condotti alla conclusione, sia per opera del principio del circolo vizioso, sia dalla ispezione diretta, che le funzioni che hanno per argomento un dato oggetto a non sono in grado di essere argomento per ciascuna altra di queste, e non hanno termini in comune con le funzioni delle quali le funzioni considerate possono essere argomento. Siamo quindi in grado di costruire una gerarchia. Iniziando con a e con gli altri termini che possono essere argomento delle stesse funzioni 2 di cui a può essere argomento, otteniamo subito le funzioni delle quali può essere argomento, e poi le funzioni tali che queste funzioni ne sono possibili argomenti, e così via. Ma la gerarchia che è stata costruita non può essere semplice come appare ad un primo esame. Le funzioni che hanno a per argomento formano una totalità illegittima ed esse stesse richiedono una divisione in una gerarchia di funzioni. Ciò può essere facilmente visto come segue. Sia f (ϕ zˆ, x ) la funzione di due variabili ϕ ẑ e x. Allora, se, tenendo momentaneamente fissato x, asseriamo che ciò è possibile per tutti i valori di ϕ, otteniamo una proposizione: ∀ϕ ( f (ϕ zˆ, x )) . Qui, se x è una variabile, abbiamo una funzione di x; ma questa funzione coinvolge 2 Qui si intende parlare di funzioni proposizionali, ovvero formule. 238 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 la totalità dei valori di ϕ ẑ 3, non può essere esso stesso uno dei valori inclusi nella totalità, per il principio di circolo vizioso. Ne segue che la totalità dei valori ϕ ẑ implicati in ∀ϕ ( f (ϕ zˆ, x )) non è la totalità di tutte le funzioni in cui x può comparire come argomento, e che non c’è una totalità quale quella di tutte le funzioni di cui ϕ ẑ può essere un argomento. […] Per questo scopo, useremo lettere quali a, b, c, x, y, z, w, per denotare oggetti che non sono né proposizioni né funzioni. Chiameremo tali oggetti individui. Tali oggetti saranno costituenti delle proposizioni o funzioni, e ne saranno i costituenti genuini, nel senso che essi non spariranno nell’analisi come (ad esempio) fanno le classi o le frasi del tipo “il così e così”. Le prime matrici che si incontrano sono quelle i cui valori sono della forma ϕx, ψ(x,y), χ(x,y,z,…), cioè quelle i cui gli argomenti, per quanti ce ne possano essere, sono tutti individui. Le funzioni ϕ, ψ, χ, … poiché (per definizione) non contengono variabili apparenti, e non hanno argomenti eccetto gli individui, non presuppongono alcuna totalità di funzioni. Dalle funzioni ψ, χ… possiamo procedere a formare altre funzioni di x, come ∀y(ψ(x,y)), ∃y(ψ(x,y)), ∀〈y,z〉(χ(x,y,z)), ∀y∃z(χ(x,y,z)), e così via. Tutte queste non presuppongono altre totalità eccetto quella degli individui. Arriviamo così ad una certa collezione di funzioni di x, caratterizzata dal fatto che esse coinvolgono nessuna variabile al di fuori degli individui. Chiamiamo tal funzioni con il nome di “funzioni di primo ordine”. Introduciamo ora una notazione per esprimere “una qualunque funzione del primo ordine”. […]. Daremo il nome di matrici del secondo ordine a tali matrici che hanno per argomenti le funzioni del primo ordine, e non hanno altri argomenti eccetto che funzioni di primo ordine e individui (non è necessario che ci siano individui tra gli argomenti). Daremo il nome di funzioni del secondo ordine a quelle che sono matrici del secondo ordine o sono derivate da tali matrici trasformano alcuni argomenti i variabili apparenti. […] Noi possiamo procedere ora esattamente allo stesso modo alle matrici di terzo ordine che saranno funzioni contenenti funzioni del secondo ordina come argomenti e non contenendo altre variabili apparenti e nessun argomento eccetto gli individui, funzioni del primo ordine e del secondo ordine. Perciò abbiamo proceduto come prima, fino alle funzioni di terzo ordine; e così possiamo procedere indefinitamente. Se l’ordine più alto della variabile che occorre in una funzione, sia come argomento o come variabile apparente è una funzione dell’ordine n-esimo, allora la funzione in cui essa è presente è dell’ordine n+1esimo.» (da Whitehead & Russell, 1910). Dunque si tratta di una gerarchia di tipi. Per meglio capire la proposta e le sue finalità, è bene trattare la cosiddetta teoria dei tipi semplici, risultato di una rilettura semplificatrice del brano precedente dei Principia Matematica, ad opera di RamLeon Chwistek (1884 – 1944) sey e di Chwistek. Si consideri l’universo del discorso suddiviso in strati, in modo che ad ogni ente sia possibile associare un ‘tipo’. Il tipo 0 viene assegnato agli elementi (i costituenti basilari dell’universo del discorso); essi non possono essere insiemi, ma solamente elementi di altri insiemi. Gli insiemi di questi individui vengono caratterizzati col tipo 1. Il tipo 2 è costituito dagli insiemi che hanno per elementi esclusivamente gli oggetti di tipo 1. Più in generale, si potrà istituire una relazione di appartenenza o di non appartenenza con a sinistra di ‘∈’ un insieme (elemento) di tipo n e a destra con un insieme di tipo n+1. In questo modo si esclude la liceità della scrittura x∈x ed anche x∉x, e questo elimina il paradosso di Russell. Ma sono anche escluse le scritture del tipo x∈y e x∉y, se il tipo di x è n. quello di y è m e m ≠ n+1. 3 Il testo aggiunge qui la seguente nota: «Quando parliamo dei “valori di ϕ ẑ ” è assegnato ϕ e non z. Questo segue dalla spiegazione nella nota di pag. 42. Quando la funzione stessa è la variabile, è possibile e più semplice scrivere ϕ invece di ϕ ẑ , eccetto nelle posizioni in cui è necessario per mettere in luce che un argomento può essere fornito per assicurare il significato.» 239 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. In questa teoria il principio di comprensione garantisce che data una formula (o una proprietà), la collezione di tutti gli individui di un certo tipo che soddisfano la formula è un individuo del tipo successivo che ha per elementi tutti e soli quegli elementi. La scelta di questa formulazione mostra subito dei problemi di difficile soluzione. Ad esempio se si considera l’elenco dei numeri naturali come dati da Zermelo, si devono considerare ∅, {∅}, {{∅}}, {{{∅}}},… in cui il primo elemento è di tipo 1, il secondo di tipo 2, ecc. Quindi l’insieme dei numeri naturali non può avere un unico tipo e quindi non è ‘legittimo’ nella teoria dei tipi semplici. Inoltre la quantificazione in una teoria degli insiemi si applica ad oggetti di ogni tipo, nella teoria dei tipi ci sono quantificatori ‘diversi’ per ogni tipo. La breve escursione sui tipi semplici permette di comprendere meglio la proposta dei tipi ramificati di Russell e Whitehead. Essa è stata presentata, anche se una dichiarazione esplicita in questo senso non compare, come un rimedio da utilizzare per evitare i paradossi semantici. Oggi molte (anche se non tutte) tali antinomie vengono risolte in base alla distinzione tra semantica e sintassi, tra linguaggio e metalinguaggio. Così come il paradosso di Russell è stato ‘assorbito’ nella teoria degli insiemi con classi come la dimostrazione del fatto che la classe di Russell è una classe propria, così il paradosso del mentitore è stato trasformato nella dimostrazione della non definibilità del predicato di verità all’interno delle teorie formalizzate. 8.1.1.4. Tipi ramificati. I tipi ramificati si distinguono da quelli semplici per una ulteriore suddivisione in ordini (espressi da numeri naturali). Pertanto le variabili vengono indicate con due indici, quello a pedice corrisponde al tipo, quello ad apice indica, tra parentesi, corrisponde all’ordine. Solo gli individui, le variabili di tipo 0 non hanno indici ad apice. Tutte le altre di tipi maggiori di 0, si differenziano in vari ordini. Si fa cioè una partizione, in parti disgiunte, dei tipi (diversi da 0). Il motivo è che quando si considera il principio di comprensione l’eventuale presenza di quantificatori farebbe riferimento a totalità di oggetti di tipi superiori a 0 che, come osservato nel brano precedente rischiano di introdurre antinomie. Si considera allora la quantificazione non applicata a tutti gli oggetti di un dato tipo, ma solo agli oggetti del dato tipo e dato ordine. Di fatto si introducono infiniti quantificatori diversi. Con i tipi ramificati si escludono le definizioni impredicativa, perché gli oggetti verrebbero definiti solo a partire da oggetti o di tipo inferiore, oppure dello stesso tipo, ma di ordine inferiore. Con la suddivisione in ordini si vorrebbero eliminare le antinomie semantiche perché anche esse farebbero riferimento a enti dello stesso tipo, ma con la presenza di ordini diversi il rischio viene eliminato. Si può concludere che la proposta dei Principia Matematica evita e antinomie, ma il prezzo da pagare, almeno dal punto di vista matematico, è assai elevato. 240 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 Ed infatti, la matematica che viene presentata nei vasti tre volumi dei Principia Matematica è meno estesa di quella presentata nei Principles of Mathematics del 1903, in quanto nell’opera maggiore è escluso il calcolo differenziale e la Geometria ed anche alcuni risultati sulla teoria delle relazioni. In parte ciò dipende dal fatto che la scelta predicativista impedisce numerosi risultati di Matematica. Whitehead e Russell hanno rinunciato ai risultati di Cantor sulla cardinalità dell’insieme delle parti, alla teoria dei numeri reali di Dedekind, eccetera. Inoltre la presenza dei tipi ramificati complica notevolmente la trattazione. Ad esempio per poter definire i numeri secondo il procedimento individuato da Frege, occorre poter considerare dell’insieme delle classi che contengono un dato insieme x, mentre nei Principia, si riesce a parlare dell’insieme delle classi di un certo ordine che contengono x. 8.1.1.5. Gli assiomi non logici. Per superare le difficoltà, Whitehead e Russell assumono un assioma di riducibilità, cioè l’affermazione che dato un qualsiasi insieme di tipo n e ordine m, esiste un insieme di tipo n e ordine 0 che è coestensivo a quello dato. E questo assioma deve essere dato per ogni tipo e ogni ordine. Questo schema di assiomi permette di svolgere considerazioni più ‘vicine’ alla pratica matematica, ma di fatto rende inutile la ramificazione. Russell era consapevole del fatto: prima si introduce una tecnica assai raffinata e complessa per ‘tenere a bada’ alcuni paradossi, poi per necessità ‘pratiche’ si fa collassate questa suddivisione. In effetti nei Principia si scontrano due punti di vista filosofici: da una pare una esigenza di tipo ‘realista’ degli enti matematici come esistenti di per sé, dall’alta l’esigenza ‘predicativista’ che ha senso solo se si pensa che gli enti vengano costruiti ‘dal basso’ attraverso le definizioni che fanno passare dal semplice al complesso. Ammessa anche la possibilità di trovare un’altra impostazione che prescinda dall’assioma di riducibilità, resta però un problema insormontabile. La presenza di un ente infinito in atto non ha giustificazioni di carattere filosofico, si tratta di un’esigenza prettamente matematica. Quindi se con una qualunque impostazione teorica si vuole procedere alla costruzione della Matematica,bisogna confrontarsi con l’esigenza non logica, di introdurre l’infinito. Gli autori dei Principia avevano inoltre deciso di utilizzare la scelta, un ulteriore principio non giustificabile in un approccio logicista. Russell aveva a questo proposito presentato un bell’esempio: se dato un insieme di infinite paia di scarpe dobbiamo scegliere una scarpa da ogni paio, allora abbiamo la possibilità di fare ciò senza assioma di scelta. Ma se invece di infinite paia di scarpe si considerano infinite paia di pedalini, allora è indispensabile la scelta, mancando un criterio per individuare la destra dalla sinistra. Una proposta avanzata per superare questi problemi è stata quella di osservare che molte affermazioni matematiche sono del tipo ‘p → q’. Se tra le ipotesi p si considerano gli assiomi che non han241 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. no un contenuto riscontrabile nel Logicismo, allora si eviterebbe la critica precedente, dicendo possibile il riduzionismo di tipo logicista (della apodosi). Ma questo fatto non è coerente con il ritenere che le proposizioni, nel loro complesso, siano di natura esclusivamente logica; forse di qui si riconoscerebbe solo che i nessi tra p e q sono stabiliti in base a proprietà puramente logiche. Con il senno di poi, la proposta dei Principia oggi ci appare troppo ambiziosa, in quanto una proposta ‘onnicomprensiva’ con un unico universo di oggetti, per quanto stratificato e ulteriormente suddiviso in ordini. Il sistema, inoltre, sembra bloccare una qualunque indagine di tipo metalogico: oggi ci si è resi conto che un sistema logico che dovesse offrire una base per la Matematica andrebbe caratterizzato in modo indipendente dalla Matematica stessa. Negli anni 1925 – 1927 fu approntata una seconda edizione dei Principia, in cui sono presenti correttivi che alla prova delle applicazioni si sono rivelati insufficienti. Si aggiunga inoltre che dopo questa pubblicazione Russell ha cambiato drasticamente campo di ricerca, rivolgendosi ad altri argomenti filosofici e così il trattato che era stato per circa un decennio l’opera di riferimento per la ricerca nei fondamenti, finì per essere ritenuta una specie di testo di valore storico. Ciò non toglie che molti lavori, ad esempio uno fondamentale di Gödel, si siano sviluppati nello spazio di ricerca individuato dai Principia. L’assunto principale di Russell, e cioè che Logica e Matematica siano identiche è stato gradatamente abbandonato, anche se vi sono state riprese di ispirazione logicista. Negli anni ’30 del XX secolo la Logica ha cambiato ruolo, assumendo una configurazione assai vicina a quella attuale, acquisendo lo statuto di un campo separato dai Fondamenti, divenendo un complesso di sistemi di regole inferenziali, pur rimanendo lo strumento essenziale e forse insostituibile, per ogni ricerca sui fondamenti. Il rapporto con la Teoria degli insiemi e la Logica è rimasto attivo per quanto riguarda i problemi semantici. 8.1.2. Altri sistemi fondazionali logicisti. L’approccio logicista non è stato abbandonato del tutto, anche dopo un’analisi assai attenta di Ramsey dell’approccio ascrivibile al Logicismo, analisi che si concludeva con la evidenziazione della inaccettabilità all’interno della cosiddetta Grande Logica, degli assiomi tecnici. L’opzione logicista ha però continuato, seppure in tono minore, ad offrire proposte di fondazioni. Un esempio è dato da Carnap, che propone una sorta di assioma di riduzione ‘all’insù’ nel senso che suggerisce di considerare un tipo transfinito cui ‘ridurre’ i vari ordini e tipi, per potere fare la Matematica con maggiore coinvolgiRudolf Carnap (1891 – 1971) mento logico. 242 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 8.1.2.1. La teoria NF. Il tentativo più convincente è quello proposto dal matematico e filosofo Quine ad iniziare dal 1937 4. L’opera di Quine in ambito fondazionale è stata ampiamente influenzata dal lavoro di Whitehead e Russell ed egli ha cercato, a lungo, di trovare il Willard Van Orman Quine (1908 – 2000) modo per ‘liberare’ la teoria dei tipi dalle restrizioni che sono state messe in luce nelle parti precedenti. La sua risposta è contenuta nella nozione di stratificazione, una forma di ‘tipizzazione’ locale e non globale. La prima proposta fondazionale di Quine è presentata in un articolo su American Mathematical Monthly del 1937, New Foundations, da cui la sigla NF, con cui la teoria è più conosciuta. Si tratta di un linguaggio del primo ordine, con una sola sorta di variabili ed un unico predicato binario la appartenenza, denotato con ‘∈’. Si considera poi un operatore di astrazione, quello che fa passare da una formula alla sua estensione, indicato con le parentesi graffe, secondo la notazione di Zermelo; tale operatore applicato ad una variabile e ad una formula mediante astrazione fornisce un termine del linguaggio. Il sistema assiomatico ha solo due assiomi (avvicinandosi molto al sistema di Frege). Prima però si definisce l’uguaglianza come al solito: x = y sta per ∀z(z∈x ↔ z∈y). Il secondo passo, il più importante, è quello di definire il concetto di formula stratificata. Siccome le formule si generano a partire da quelle atomiche del tipo x∈y mediante connettivi e quantificatori, ma anche mediante l’operatore di astrazione, si dicono semplici le formule che non in cui l’operatore di astrazione non è presente. Una formula semplice si dice stratificata se e solo se è possibile rimpiazzare ciascuna presenza variabile di una stessa variabile mediante un unico numero naturale (eventualmente diverso per le variabili diverse) in modo che le presenze dell’appartenenza siano tali che il numero che sostituisce le presenze a destra del segno di appartenenza sia il successivo del numero che sostituisce a sinistra del segno di appartenenza. Ad esempio ∀z(z∈x ↔ z∈y) è una formula che può essere considerata stratificata perché, ad esempio se si sostituisce z con 5 e entrambe x e y con 6, si ha ∀5(5∈6 ↔ 5∈6). Se però, per altri motivi a x e a y si dovessero associare numeri diversi, la formula non sarebbe più stratificata. Non è sicuramente stratificata la formula x∈x e neppure (z∈x ∧ x∈z), dato che non è possibile trovare una assegnazione di numeri che soddisfi la richiesta per la stratificazione. In realtà, invece di considerare numeri naturali, si riesce ad ottener più semplicemente un algoritmo mediate i numeri interi relativi. Si procede nel seguente modo. Si considera una delle variabili presenti e ad essa si attribuisce il numero 0, poi se questa variabile si trova a destra di una appartenenza, alla variabile di sinistra si toglie 1, e se si trova a sinistra, alla variabile di destra si considera +1. Si procede in questo modo ed 4 Per questa parte ci si avvale ampiamente di Hatcher, W.S. (1973) Fondamenti della Matematica, Torino: Boringhieri. 243 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. alla fine si constata se l’attribuzione dei numeri interi ha portato a soddisfare le richieste. In caso affermativo la formula semplice è stratificata, altrimenti no. Di fatto la stratificazione è, in un certo senso, la ricostruzione dei tipi, con la differenza che la si fa localmente per la singola formula e non per tutti gli oggetti di una possibile universo. La stratificazione non è un criterio per vedere se una formula è ben formata, ma un algoritmo che entra nella presentazione degli assiomi. Per estendere la stratificazione anche alle formule ottenute con l’operatore di astrazione si procede come segue. Se in una formula ψ di NF è presente un operatore di astrazione come {x | ϕ(x)} allora al termine {x | ϕ(x)} si assegna il successivo del numero corrispondente a x. Ad esempio si consideri la formula x∈{y | ∀z(z∈x ↔ z∈y)}. Si assegni 0 ad x, allora si ha 0∈{y | ∀z(z∈0 ↔ z∈y)} e sulla base dell’algoritmo considerato, si ha 0∈{y | ∀(-1)((-1)∈0 ↔ (-1)∈y)}, da cui 0∈{0 | ∀(- 1)((-1)∈0 ↔ (-1)∈0)}, quindi a {y | ∀z(z∈x ↔ z∈y)} si associa 1, e così si ottiene 0∈1. Siccome la scelta della variabile con da sostituire con 0 è arbitraria, proviamo cosa succede ponendo z associato a 0: x∈{y | ∀0(0∈x ↔ 0∈y)}, quindi 1∈{1 | ∀0(0∈1 ↔ 0∈1)}, da cui si associa 2 a {y | ∀z(z∈x ↔ z∈y)}, e alla fine si ha 1∈2. Gli assiomi di NF sono assai prossimi a quelli del sistema di Frege: NF1 Per ogni formula ϕ(x,y) si ha ∀x∀y(x = y → (ϕ(x,x) ↔ ϕ(x,y))), purché la sostituzione non causi conflitti di variabili. Questo assioma è uno schema di sostitutività dell’uguaglianza. NF2 Per ogni formula stratificata ϕ(y) che contiene libera la variabile y, e sia x variabile libera per x in ϕ(y), allora indicata con ϕ(x) la formula che si ottiene sostituendo con x tutte le presenze libere di y in ϕ(y), si ha ∀x(x∈{y | ϕ(y)} ↔ ϕ(x)). Questo secondo assioma è uno schema ed è esattamente della stessa forma del principio di comprensione, con la sola differenza della clausola sulla stratificazione della formula. Di fatto l’operatore di astrazione è comodo, ma non è essenziale, e se non lo si introduce, ogni formula diviene semplice e l’assioma diviene ∃y∀x(x∈y ↔ ϕ(x)), conservando le condizioni sulla formula ϕ. Si parla di ‘insiemi’ relativamente alle variabili ed ai termini definiti per astrazione, grazie all’assioma NF2, ma solo relativi a formule stratificate. In questo modo si evita il paradosso di Russell, dato che la formula che lo produce x∉x non è stratificata. I modelli di NF hanno tardato ad essere considerati e questo ha in qualche modo diminuito l’interesse iniziale per il sistema. Ci sono poi altre anomalie che hanno, di fatto, ridotto l’interesse per il sistema. Ad esempio si può dimostrare che esso non è compatibile con l’assioma della scelta, anche se certi esempi specifici di tale assioma sono compatibili col sistema di Quine. 244 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 Il sistema ha però il vantaggio che al suo interno si può sviluppare la Matematica secondo le idee di Frege e questo fa ritenere NF come un sistema più potente della teoria dei tipi, e più flessibile di essa. La teoria degli ordinali non si riesce a presentare (almeno come ha fatto Von Neumann), perché, dato un ordinale x, l’ordinale successivo è dato da x∪{x}, cioè come {y | (y∈x ∨ y = x)}, quindi come {y |(y∈x ∨ ∀z(z∈y ↔ z∈x))}. Purtroppo la formula (y∈x ∨ ∀z(z∈y ↔ z∈x)) non è stratificata: se si associa 0 a z, si ha y∈x ∨ ∀0(0∈y ↔ 0∈x)), quindi (1∈1 ∨ ∀0(0∈1 ↔ 0∈1)). Invece la formula x = x è stratificata quindi per NF2, si può considerare l’insieme V = {x | x = x} e per esso si ha V∈V ↔ V = V. La formula V∈V non è stratificata, ma ciò non importa, perché deve essere stratificata quella che permette di definire V. Si definiscono poi, sempre seguendo le linee tracciate da Frege altre costruzioni insiemistiche quali le parti, il vuoto, la coppia, l’unione, l’intersezione di insiemi, dando luogo a una presentazione che ricalca quella tradizionale della teoria degli insiemi. Si giunge a dare una definizione di numero naturale alla Frege e si dimostrano i Postulati di Peano. Un punto critico è presentato dalla definizione delle parti: P(x) = {y | ∀z(z∈y → z∈x)} o, più brevemente P(x) = {y | y ⊆ x)}. Questa costruzione è eseguibile in NF e fornisce un insieme, in quanto la formula che la definisce è stratificata, ed inoltre se x è ottenuto mediante una costruzione stratificata, lo è anche P(x). In particolare si può considerare P(V). Ora, se z∈x, si ha che z∈V, in quanto z = z. Ciò permette di affermare, per le genericità di z, che qualunque sia x, x ⊆ V, quindi, qualunque sia x, x∈P(V). Per la definizione di uguaglianza si ha V = P(V). Ciò comporta un’altra ‘stranezza’ di NF, il fatto che esiste un insieme equipotente (identico) all’insieme delle sue parti, contro il Teorema di Cantor. Questa ‘stranezza’ può però essere adeguatamente giustificata perché grazie a questa osservazione è possibile analizzare la dimostrazione consueta e mostrare che si utilizza un termine non stratificato. Nel 1953 Specker ha dimostrato che l’aggiunta dell’assioma di scelta a NF causa paradossi. A questo proposito è interessante notare che la dimostrazione dei postulati di Peano nel sistema si avvale proprio della dimostrazione dell’incompatibilità dell’assioma di scelta con NF. Questo fatto, anche se relativo ad un sistema che Ernst Specker (n. 1920) non ha incontrato i favori del ‘pubblico’, ha messo in luce un aspetto inaspettato dei rapporti tra scelta ed infinito. 8.1.2.2. La teoria ML. Nel 1940 Quine pubblica un testo, Mathematical Logic, in cui espone il sistema che, dal titolo del libro, prende il nome di ML. Si può paragonare il rapporto che c’è tra NF e ML, al rapporto che c’è tra ZF e MKM. Si introducono cioè le classi e si distingue tra classi che 245 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. sono elementi di altre classi, gli insiemi, e quelle che non sono elementi di altre classi, le classi proprie. Quine non restringe l’assioma di astrazione a classi predicative sugli insiemi di NF. Il sistema nella forma originale ha vita molto breve perché contemporaneamente e indipendentemente, John Barkley Rosser (1907 – 1989) e Lyndon, provano che il sistema è contraddittorio. La presenza di contraddizioni è però causata da una ‘svista’ espositiva, per cui il sistema è facilmente Roger Lyndon (1917-1988) ‘salvabile’. Nel 1951 Quine presenta una nuova versione, e oggi ci si riferisce ad essa con la sigla ML. Si tratta di una teoria del primo ordine con una relazione binaria, l’appartenenza in cui, come nelle teorie con classi, si definisca in predicato ‘M’: essere un insieme. Gli assiomi sono 3; quello di estensionalità identico a NF1; ML2 è quello di astrazione (stavolta senza operatore) che è uno schema di assiomi di esistenza di classi: per ogni formula ϕ(x) contenente libera la variabile x e in cui non compare la variabile y, è un assioma ∃y∀x(x∈y ↔(M(x) ∧ ϕ(x))). Si ha infine un assioma (schema) di collegamento tra NF e ML. Si introduce la nozione di formula predicativa, come fatto in NBG, poi si considera una generica formula ϕ(x,y1,…,yn) le cui variabili libere sono elementi della lista x,y1,…,yn. Si chiede che tale formula sia predicativa e stratificata e contenga x libera, e non contenga la variabile w, allora è un assioma ∀y1…∀yn((M(y1) ∧…∧ M(yn)) → ∃w(M(w) ∧ ∀x(x∈w ↔ (M(x) ∧ ϕ(x,y1,…,yn))))). Con questo assioma, gli insiemi di NF sono anche insiemi di ML e si possono ripetere all’interno di ML le costruzioni insiemistiche viste nella teoria precedente. Anche in questo caso la classe universale è un insieme che appartiene a se stessa.. Con ML si provano alcuni risultati sugli insiemi con maggiore facilità: ad esempio vale un principio di induzione applicabile anche a formule non stratificate. Hao Wang (1921 – 1955) ha mostrato che ML è relativamente coerente rispetto a NF, quindi c’è la stessa situazione tra NF e ML, da una parte e ZF e NBG, dall’altra. Più tardi, lo stesso Quine ha abbandonato parzialmente la posizione che la Matematica si riconducibile alla Logica, proprio per la poca ‘naturalezza’ degli insiemi in NF. 8.2. Caratteri generali del costruttivismo. 5 Una risposta alla scoperta dei paradossi viene da alcune considerazioni che serpeggiavano nella Matematica ben prima che l’antinomia di Russell venisse nota. Lo sviluppo della disciplina nel XIX secolo aveva messo bene in luce che non esisteva un unico modo di pensare agli enti matematici e 5 Per questa parte si torna ad attingere abbondantemente da Borga & Palladino, 1997. 246 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 che, sostanzialmente due erano, seppure con varie sfumature, le posizioni presenti (e forse lo sono tuttora). Da una parte una concezione ‘realista’ della Matematica, come lo studio di una ‘realtà ideale’ che chiede di essere descritta, ma che è sostanzialmente indipendente dallo scienziato che la scopre. L’ampliamento, in numero e in ‘qualità’ dei risultati dell’Ottocento portava però con sé il problema di una presentazione ‘riduzionista’ che desse chiarezza su quali potevano essere i collegamenti interni tra i concetti, nella speranza-pretesa che il mondo ideale sia semplice e che ammetta una descrizione altrettanto ‘semplice’. Chi si attiene a questo punto di vista non si pone scrupoli sul problema se i metodi che sta utilizzando non hanno indicazioni costruttive. Un esempio ci proviene dalle prime ricerche di Hilbert nella teoria degli invarianti. Nel 1888 Hilbert prova la possibilità di estendere un precedente risultato di Gordan alla considerazione di forme di grado qualsiasi e con un qualsiasi numero di variabili. Il risultato che oggi è noto con il nome di Teorema della base, dimostra che in certi tipi di anelli esiste una base finita. La dimostrazione è però una tipica dimostrazione per assurdo, che quindi non fornisce indicazioni di come determinare tale base. Si tratta, insomma, di interpretare la quantificazione esistenziale come ‘esiste’ e non co- Paul Gordan (1837 – 1912) me ‘si può trovare’. Sembra che alla lettura dell’articolo di Hilbert, Gordan abbia commentato che ciò che il giovane matematico aveva fatto non era matematica, ma teologia. Anche Lindemann, che aveva avuto Hilbert tra suoi discepoli, si espresse dicendo che il metodo usato era inquietante. La vivace discussione attorno al Teorema della base, fa datare al 1888 l’inizio della problematica del costruttivismo, anche in risposta ai nuovi problemi che la teoria degli insiemi, che stava sviluppandosi ed applicandosi in quegli anni, portava con sé. Un secondo modo di intendere la Matematica ed i suoi metodi ha aspetti di ‘concettualismo’, riprendendo, di fatto, due categorie filosofiche sviluppatesi nel Medio Evo in connessione con il problema degli universali: il realismo di Guglielmo di Champeaux (1070 – 1121) e il concettualismo di Abelardo. In base al concettualismo, la Matematica è una costruzione umana e quindi i suoi enti sono il risultato della libera attività della mente. Ma i sostenitori di questa posizione, almeno nella prima fase di elaborazione, non negavano i risultati della disciplina, caso mai cercavano vie per adattare le molteplici conoscenze disponibili ad un approccio coerente con l’idea di fondo che gli enti matematici non fossero indipendenti dal pensiero umano. I dibattiti, talora anche assai accesi, avevano avuto un impatto marginale sui modi di produrre e presentare la disciplina. In un certo senso, il predicativismo cui si è accennato in precedenza ha caratteri di costruttivismo, o almeno di concettualismo. 247 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. Nel tempo, ed in risposta ai paradossi, il costruttivismo ha costituito una ‘galassia’ di proposte diverse. Per questo non è semplice determinare il filo conduttore comune a tutte. Dal punto di vista dei problema dei fondamenti, l’impostazione più rigorosa (e forse filosoficamente più approfondita) è stata quella dell’Intuizionismo. 8.2.1. Definizioni e dimostrazioni costruttive. Lo sviluppo Charles Hermite (1822 – 1901) dell’Algebra, della teoria dei numeri reali e di quella degli insiemi, avevano spinto ad analizzare approfonditamente la struttura Joseph Liouville (1809 – 1892) di R, distinguendo in tale insieme i numeri algebrici e trascendenti. La dimostrazione del 1844 di Liouville che in un qualunque intervallo di limitato di numeri reali vi sono infiniti numeri trascendenti, quella del 1873 di Hermite sulla trascendenza del numero e e quella di Lindemann (del 1882) della trascendenza di π avevano dato maggiore risalto a questa partizione dell’insieme dei numeri reali. Era poi giunto Cantor a provare che l’insieme dei numeri reali algebrici ha la stessa cardinalità di N e, estendendo quanto provato da Liouville, che la cardinalità dell’insieme dei numeri trascendenti appartenenti ad un qualunque segmento limitato di numeri reali è più che numerabile. La dimostrazione, anzi le due dimostrazioni di Cantor non forniscono indicazioni esplicite sulla possibilità di descrivere con le cifre un numero trascendente. La più nota delle due dimostrazioni presuppone che l’insieme dei numeri reali sia numerabile (ipotesi assurda), quindi che esista una enumerazione dei numeri reali, e su questa base determina un numero reale che non è presente nella enumerazione. Ma trattandosi di una dimostrazione per assurdo si conclude che tale enumerazione non esiste e così non si hanno strumenti per comprendere come individuare il numero reale ‘diagonale’ che gioca il suo ruolo. Quando poi compare la teoria degli insiemi di Zermelo, in particolare con l’uso dell’assioma di scelta, gli oggetti che vengono definiti mediante tale principio e le dimostrazioni che esplicitamente fanno ricorso all’assioma, sono non costruttivi. Un esempio ‘clamoroso’ è dato dalla esistenza - inesistenza di un buon ordinamento dell’insieme dei numeri reali. Andando indietro nel tempo, si è constatato che anche da Euclide in poi si era posto il problema e che in generale, l’atteggiamento mostrato dall’autore degli Elementi nei confronti dell’esistenza degli enti era di impianto costruttivo. Semplificando, si può considerare il problema del costruttivismo nell’interpretazione del quantificatore esistenziale. Se si vuole provare una affermazione del tipo ∃x(ϕ(x)) sono disponibili varie pos- 248 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 sibilità: la più ‘costruttiva’ è quella di esibire esplicitamente un oggetto t tale che ϕ(t). Ciò perché è un teorema logico ├ ϕ(t).→ ∃x(ϕ(x)), quindi grazie al Modus ponens si ha la conclusione cercata. Una posizione costruttiva più elaborata la si può trovare in Euclide. La Proposizione IX.20: «I numeri primi sono più di ogni assegnata moltitudine di numeri primi» garantisce che la totalità dei numeri primi è infinita (in potenza). In questo caso l’autore non esibisce un preciso elemento per mostrare quanto propone, ma presenta un procedimento che permette, data una “moltitudine” di numeri primi, di determinarne uno, non appartenente alla moltitudine, e che pertanto estende la moltitudine stessa. L’aspetto fondamentale è che il procedimento è eseguibile con un numero finito di passi. Nella dimostrazione presentata sugli Elementi, la “moltitudine” è data da tre numeri primi e sapendo che Euclide considera 1 non numero, e 2 come primo numero, 3 sembra il minimo possibile per una “moltitudine”. La dimostrazione considera poi il prodotto dei tre numeri primi e ad esso aggiunge 1, ottenendo un numero naturale che qui indichiamo con n.. Si tratta ora di analizzare i numeri da 2 a n e di controllare che almeno uno di tali numeri non è compreso tra i tre assegnati. Le proprietà mostrate in precedenza, che fanno uso del principio della discesa finita, permettono di concludere che tale numero primo esiste ed è diverso dai numeri primi assegnati. In questo caso non viene esibito esplicitamente un numero, ma si può ritenere che con una buona pazienza, data esplicitamente una “moltitudine” di numeri primi si riuscirà a trovare un numero primo con le proprietà cercate. A rigore, quindi, non si tratta di una dimostrazione, ma di una meta-dimostrazione che serve a convincere che ogni esempio di tale dimostrazione è possibile in termini finiti. Successive analisi della complessità del calcolo, mostreranno che anche questo tipo di procedimento può non essere accettato, in quanto potrebbe richiedere un calcolo estremamente lungo e costoso, per cui non realizzabile concretamente. Con questo esempio si mostra che l’aggettivo ‘costruttivo’ deve essere esteso anche ai procedimenti e sarà importante delinearlo in modo preciso. Una strada completamente diversa, e spesso usata in Matematica è quella di procedere per assurdo. Si vuole provare che ∃x(ϕ(x)) e si assume, per assurdo che ciò non avvenga, vale a dire che ∀x(¬ϕ(x)), e di qui ricavando una contraddizione. In questo caso si ha una tipica dimostrazione non costruttiva, in cui si conclude dell’esistenza di qualcosa, mostrando che la non esistenza porta a contraddizione. Questo procedimento può essere non accettato da chi pensa che gli oggetti si costruiscano, ma anche da chi non accetta senza discussione la possibilità di interdefinire i quantificatori con l’intervento della negazione. Dunque saranno anche le leggi logiche (ereditate dal passato) a dover essere sottoposte al vaglio dell’approccio costruttivista. Consideriamo ora la seguente proposizione: Esistono due numeri irrazionali a e b tali che ab è un numero razionale. 249 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. Questa proposizione è connessa con uno dei problemi, il settimo, posto da Hilbert nel congresso dei Matematici di Parigi nel 1900. Abbiamo la possibilità di esibire dei ‘conti’ semplici e precisi. Si consideri il numero c = 2 2 ; siccome 2 è un numero irrazionale (fatto noto dall’antichità greca), se c è razionale si è mostrato un esempio, quindi possiamo concludere costruttivamente la dimostrazione. Se c non è razionale, allora c 2 = 2 2 2 = 2 2⋅ 2 2 = 2 = 2 , quindi in que- sto caso si è trovata la potenza di un numero irrazionale, con esponente irrazionale, che è un numero razionale. Dal punto di vista matematico si può essere soddisfatti di questa dimostrazione. Dal punto di vista costruttivo, anche se apparentemente si procede con un numero finito di casi, la dimostrazione non è accettabile, in quanto non è possibile stabilire se c è razionale oppure no in modo costruttivo. Dunque non è prerogativa del costruttivo essere in presenza di un numero finito di casi, né essere non costruttivo se si richiedono totalità infinite, ma la situazione è più sottile e profonda. Nel 1934 Gel’fond (e Schneider, indipendentemente) dimostra che se a è un numero reale algebrico diverso da 0 e da 1 e b è un irrazionale algebrico, allora il numero ab è irrazionale trascendente. Si prova così che 2 2 è un irrazionale trascendente (e questa è la risposta al settimo problema di Hilbert). Aleksandr Gel’fond (1906 – 1968) Anche le definizioni sono passibili di un’analisi da parte del costruttivismo. Si prendano le seguenti definizioni: (a) m è il più grande numero primo tale che m-1 sia ancora un numero primo; (b) m è il più grande numero primo tale che m-2 sia ancora un numero primo. Dal punto di vista prettamente matematico ed anche morfologico c’è ben poca differenza tra le due definizioni. Si potrebbe obiettare sul contenuto esistenziale dell’articolo determinativo. Dal punto di vista costruttivo la prima definizione è perfettamente accettabile, in quanto individua il numero 3. Infatti il numero precedente di un numero primo dispari è un numero pari e l’unico numero primo pari è 2. La seconda non è accettabile dal punto di vista costruttivo, in quanto non è noto se esiste un massimo numero primo gemello (si chiamano così quei numeri primi come 11 e 13 oppure 29 e 31, ecc.). Non è dunque possibile individuare il numero m della seconda definizione, anzi, allo stato attuale non è noto neppure se esiste. Questa situazione mostra bene un altro aspetto del costruttivismo: se la Matematica è una costruzione umana, l’essere una definizione come la (b) costruttiva o no dipende dalla conoscenza finora ‘in250 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 ventata’ quindi il giudizio sulla definizione (dimostrazione, procedura) è soggetto al tempo e può mutare. Pertanto l’aspetto costruttivo è nella mente di chi si pone il problema, sulla base delle sue cognizioni, non è una caratteristica intrinseca dell’oggetto (teorema, processo). Un giudizio di non costruttività deve essere accompagnato da una data. Un esempio di dimostrazione ben nota ed usata abbondantemente in Analisi matematica: il teorema di Bolzano o teorema degli zeri. Teorema. Se una funzione f reale di variabile reale, continua, definita in un intervallo chiuso [a,b] è tale che f(a)·f(b) < 0, allora esiste c∈]a,b[ tale che f(c) = 0. Questo teorema, ad esempio, permette di affermare l’esistenza e di trovare approssimazioni per le radici di un polinomio. Per la dimostrazione si può procedere come segue: si suppone, senza perdita di generalità, che f(a) < 0 e f(b) > 0 (eventualmente si considera la funzione (-f) che si annulla per lo stesso numero reale per cui si annulla f.). Si pone a0 = a; b0 = b e c0 punto medio di a0 e b0. Si ha c0∈]a0,b0[. Se f(c0) = 0, la tesi è provata. Se f(c0) ≠ 0, allora si ha f(a0)·f(c0) < 0, oppure (aut) f(c0)·f(b0) < 0. Nel primo caso si pone a1 = a0 e b1 = c0; nel secondo si pone a1 = c0 e b1 = b0. Con queste scelte si ha, che f(a1) < 0 e f(b1) > 0, per cui, f(a1)·f(b1) < 0. Sia ora c1 il punto medio di a1 e b1; si ha c1∈]a1,b1[. Se f(c1) = 0, allora l’asserto è provato, altrimenti, si avrà f(a1)·f(c1) < 0, oppure f(c1)·f(b1) < 0. Si osservi che è a0 ≤ a1 < b1 ≤ b0 e 2(b1 – a1) = (b0 – a0). Procedendo in questo modo prima si individuano a2 e b2, poi c2 tali che f(a2) < 0 e f(b2) > 0, e così via, finché o si individua un indice n tale che f(cn) = 0, o al- trimenti si determinano due successioni la prima non decrescente, a0 ≤ a1 ≤ … ≤ ak ≤… e la seconda non crescente … bk ≤ … ≤ b1 ≤ b0, tali inoltre che per ogni m, 2m(bm – am) = (b0 – a0). Le condizioni sull’ampiezza degli intervalli che si costruiscono di volta in volta, garantiscono che: le due successioni sono convergenti e convergono allo stesso limite. Sia esso c, per la continuità di f si ha che lim f ( x) = f (c) ed anche lim f (an ) = f (c) = lim f (br ) . Ma essendo, per ciascun n, f(an) < 0 e f(bn) x →c n∈N r∈N > 0, si avrà f(c) = 0. Questa dimostrazione non ha un carattere costruttivo, anche se apparentemente sembra di poter decidere quale ‘metà’ considerare. Se ci fosse un criterio costruttivo effettivo per poter decidere, di volta in volta, se f(ci) è zero oppure no, allora sarebbe accettabile anche in questo senso più ristretto. Dimostrazioni di questo tipo sono frequenti in Matematica, essendo esempi di applicazioni di un metodo di bisezione. Ma tale metodo sembra richiamare alla mente l’esempio dei calzini di Russell. 8.2.2. Problemi legati alle versioni costruttive dei numeri reali. Fare Matematica anche per chi segue un approccio legato al costruttivismo, pone il problema di dare una definizione di numero reale, visto che si tratta di uno dei costrutti concettuali che ha avuto il maggiore successo nella applicazio251 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. ni (forse assieme al concetto di funzione). Si tratta anche di un concetto difficile e controverso, proprio per la sua stessa natura e il problema diviene ancora più complicato se ci si pone nella posizione di accettare solo l’infinito potenziale e non quello in atto. In Aritmetica l’uso di metodi costruttivi non cambia di molto il ‘panorama’ (e questo lo si può affermare con certezza in base ad alcuni risultati di Gödel. Per i numeri interi e i numeri razionali, ci sono pure poche differenze, a patto di non richiedere come un unico ente la collezione di tali tipi di numeri. I numeri reali sono tutta un’altra storia. Intanto ci sono vari approcci e la loro equivalenza sfrutta abbondantemente i risultati della logica classica, con l’effetto che se non si accetta, ad esempio, la interdefinibilità dei quantificatori mediante la negazione, non è garantito che non si abbiano nozioni differenti di numero reale, inconciliabili tra loro. Fissiamo la nostra attenzione sulla proposta di definizione dei numeri reali avanzata da Cantor. In breve si considerano le successioni di numeri razionali. Su di esse è possibile dare la definizione di successione (che soddisfa la condizione) di Cauchy, in quanto formalizzabile senza problemi. Si conoscono esempi di successioni di Cauchy di numeri razionali che ‘convergerebbero’ se il limite fosse un numero razionale, ma così non è. Quindi non si può parlare di successioni convergenti e per questo si sostituisce la nozione con quella di successione di Cauchy. Ricordo che una successione f di numeri razionali si dice di Cauchy se ∀ε∈Q+∃n∈N∀p∈N∀q∈N(|f(n+p) – f(n+q)| ≤ ε). Tra le successioni di numeri razionali è possibile definire (in modo puntuale) le operazioni di addizione e moltiplicazione, considerare le successioni costanti identificate da 0 e da 1 come elementi neutri – assorbenti per le operazioni; ed in complesso ottenere un anello. Purtroppo tale anello ha divisori dello zero, e per questo bisogna operare una selezione. Le successioni di Cauchy costituiscono un sotto-anello di quello delle successioni: i teoremi che provano che la somma e il prodotto di successioni di Cauchy sono ancora successioni di Cauchy servono proprio a questo scopo. Questo sottoanello è un anello locale, ha cioè un ideale massimo. Si introduce sull’insieme delle successioni una relazione di equivalenza legata a questo ideale. Si può presentare diversamente la questione della relazione di equivalenza, ponendo che due successioni di Cauchy di numeri razionali f e g sono equivalenti, se ∀ε∈Q+∃n∈N∀p∈N(|f(n+p) – g(n+p)| ≤ ε). Si dimostra che si tratta di una congruenze per le successioni di Cauchy e che l’insieme delle successioni equivalenti alla successione costante individuata da 0 (successioni infinitesime) è l’ideale massimo detto prima. Il quoziente dell’anello delle successioni di Cauchy rispetto a tale congruenza è un campo i cui elementi sdono detti numeri reali. Si dimostra con una buona dote di pazienza ed ingegno che in esso è possibile definire l’ordine, che è un campo ordinato e che è completo per successioni, cioè una qualunque successione di Cauchy di numeri reali converge. 252 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 L’approccio con le successioni potrebbe fare pensare all’accettazione dell’infinito potenziale. Non è così perché per un teorema di facile dimostrazione si prova che se f è una successione di Cauchy (o convergente) e g si ottiene da f cambiando i valori f(0), f(1), … f(n) in modo arbitrario, la successione g è ancora di Cauchy (o convergente allo stesso limite). È come dire che la parte ‘importante’ della successione è quella che non si vede, la ‘coda’ che va da n in poi, anche se n è il numero che indica (in lire) l’ammontare cumulativo del debito dello stato italiano negli ultimi cento anni. Inoltre il numero reale è la classe di equivalenza e questo, proprio per le considerazioni precedenti, è un insieme con infiniti elementi. Se il costruttivista ritiene troppo spregiudicato questo procedimento, deve offrire un sostituto per il concetto di numero reale, sacrificando il minor numero possibile di risultati dell’Analisi matematica. Su questo tema le varie accezioni di costruttivismo si differenziano notevolmente. Un approccio ‘accettabile’ al concetto di numero reale in ambito costruttivista potrebbe essere quello proposto da Grandi e Arzelà , sostituendo però il numero reale con una sua approssimazione. Cesare Arzelà (1847 – 1912) In Fisica capita di dover considerare ‘uguali’ due cose diverse perché con gli strumenti a disposizione non si riesce a distinguerle. Si può parlare in questo caso di un approccio operativo. Di fatto si tratta di istituire una opportuna relazione di equivalenza. Ad esempio, data la legge di Coulomb per la forza (attrattiva o repulsiva) che si esercita tra due cariche elettriche (in Elettrostatica), si definisce mediante essa il vettore campo elettrico come la forza che si esercita su una carica campione (pensata nulla). Evidentemente se la carica è nulla su di essa non si esercita forza da parte dell’altra carica, ma la si può vedere ‘nulla’ in quanto non rilevabile mediante strumenti. Arzelà e Grandi hanno proposto di considerare come numero reale [le classi di equivalenza di] due successioni monotone equivalenti, secondo la precedente definizione, una non decrescente e l’altra non crescente. Da questo approccio si può desumere una definizione accettabile in senso costruttivo. Si considerino due successioni costruibili con un prefissato procedimento, monotone, una non decrescente e l’alta non crescente. Esse individuano un numero reale se comunque fissato un numero razionale positivo si possono trovare un elemento della prima successione ed un elemento della seconda la cui differenza (in valore assoluto) è minore dell’approssimazione fissata. Ad esempio si considera il procedimento che permette di calcolare due successioni la prima data da 4; 4,1; 4,12; 4,123; 4,1231; 4,12310; 4,123105; … e la seconda data da 253 17 , e da questo si deducono Capitolo 8 5; 4,2; 4,13; 4,124; Altre soluzioni dei paradossi. 4,1232; 4,12311; 4,123106;… In questo caso il consueto algoritmo utilizzato per determinare le cifre decimali (per difetto) permette di procedere a piacimento nell’individuazione delle cifre. La differenza tra i termini delle due successioni sono dati rispettivamente da 1 (= 100), 10-1, 10-2, 10-3,… Fissata quindi una approssimazione voluta, il numero reale costruttivo può essere dato dalla prima coppia di numeri razionali che la cui differenza (in valore assoluto) è minore della approssimazione fissata. Quindi un sostituto costruttivo dei numeri reali è dato da successioni che sono predeterminate, cioè i cui elementi sono individuabili in modo effettivo. Non tutte le successioni di cui ci si occupa in Matematica sono predeterminate. Ad esempio basta prendere un problema aperto dell’Aritmetica per costruirsi esempi non accettabili costruttivamente. Sia f(n) definita da f(n) = 0 se esiste un numero pari maggiore di 2, che non si può scrivere come somma di due numeri primi, mentre f(n) = 1 altrimenti. Si tratta della congettura di Christian Goldbach (1690 – 1764), problema aritmetico ancora aperto. In questo caso la successione non è determinata a causa della nostra attuale ignoranza. Un conteggio sulle cardinalità degli insiemi coinvolti, muovendoci tranquillamente nel contesto della teoria degli insiemi ‘classica’. L’insieme delle successioni di numeri razionali ha cardinalità più che numerabile. L’insieme delle successioni predeterminate, essendo tale concetto connesso con un’espressione linguistica, è un insieme di cardinalità numerabile. Dunque la totalità dei numeri reali, se va bene, è numerabile. In qualche modo bisogna poi evitare il quoziente rispetto ad una relazione di equivalenza che si è vista per le successioni di Cauchy, perché la considerazione delle classi di equivalenza introdurrebbe degli insiemi infiniti in atto. In ambito costruttivo, tra le successioni predeterminate si considerano i cosiddetti generatori dei numeri reali, che altro non sono che le successioni di Cauchy per cui vale la condizione ∀k∈N*∃n∈N∀p∈N(|f(n+p) – f(n)| ≤ 1/k). Apparentemente si ha una ‘consueta’ definizione di Cauchy, ma stavolta il quantificatore esistenziale va interpretato in modo costruttivo. Per meglio chiarire si consideri la seguente successione definita da f(n) = 2-n, se nello sviluppo decimale di π non esistono dieci cifre 7 consecutive prima della n-esima cifra decimale, altrimenti f(n) = 1. Di questa successione, visto che sono note più di 26 mi- lioni di cifre decimali di π, possiamo dare molti valori, sicuramente primi 10 sono tutti della forma 2-n. La successione è predeterminata perché si conoscono espressioni di calcolo effettivo delle cifre decimali, che in linea di principio possono darci tutte le cifre decimali. Quello che però non si sa è se da un certo punto in poi la successione continua ad essere una successione geometrica di ragione ½, oppure rimane diventa una successione costante di valore 1. Dal punto di vista classico tale suc254 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 cessione è convergente, a 0 oppure a 1, quindi si può considerare un generatore di numero reale, ma dal punto di vista costruttivo non siamo in grado di interpretare costruttivamente il quantificatore esistenziale, almeno fino alle conoscenze di oggi. Non si può pertanto stabilire effettivamente se |f(n+p) – f(n)| risulta minore di ½ oppure ci sono dei valori di p in cui il ‘salto’ è maggiore di ½, quello in cui si troverebbero le 10 cifre consecutive uguali a 7. Se un domani risolvesse questo (inutile) problema delle cifre consecutive modo positivo o negativo, la successione considerata sarebbe un generatore di numero reale, o del numero 0 o del numero 1. Si potrebbe allora cambiare esempio con un altro problema aperto. Però l’atteggiamento costruttivista tiene conto della conoscenza matematica e la interpreta dinamicamente, in quanto non c’è, come nell’approccio realista la presunzione di conoscere come stanno le cose. Una volta definiti i generatori si passa alla relazione di equivalenza, ma non è necessario passare alle classi di equivalenza, per i problemi detti, basta assicurarsi che quanto si fa con un generatore si possa ripetere con un altro equivalente. Si dice che f e g sono equiconvergenti se ∀k∈N*∃n∈N∀p∈N(|f(n+p) – g(n+p)| < 1/k), si tratta quindi di una relazione assai simile a quella definita sulle successioni, con la differenza della presenza di un quantificatore esistenziale costruttivo. Si definiscono poi una relazione d’ordine, ponendo f < g come abbreviazione di ∃n∈N∃k∈N*∀n∈N(g(n+p) – f(n+p) > 1/k), stante il significato costruttivo delle quantificazioni esistenziali. Si tratta di una relazione di ordine stretto, transitiva. Ma non vale per essa una legge di tricotomia (di cui però vale una versione molto indebolita). Per mettere in evidenza ciò si consideri uno sviluppo decimale di un numero d = 0,777… che prosegue con tutti 7 se nello sviluppo decimale di π non figurano 10 cifre 7 consecutive. Se però tale successione di cifre consecutiva esiste e la prima volta che ciò accade il decimo sette occupa la cifra k-esima, se k è dispari si continua lo sviluppo di d con tutti 6; se k è pari si continua lo sviluppo di d con 8. Quindi d è comunque un numero raziona- le, i quanto sicuramente periodico. Non è banale definirne l’antiperiodo, che potrebbe non esserci. Dallo sviluppo di d si costruisce facilmente un generatore di numero reale. Per l’algoritmo (costruttivo) che fa passare da un numero decimale periodico ad una frazione generatrice si ha che se d è periodico di periodo 7, allora d = 7/9, se invece interviene un mutamento alla cifra k, se k è dispari, si ha d < 7/9, mentre se k è pari si ha d > 7/9. Allo stato attuale delle conoscenze non siamo in grado di affermare che d < 7/9 ∨ d = 7/9 ∨ d > 7/9. La presenza di una costruzione o meno non si tratta quindi di un problema esclusivo dei numeri reali, bastano anche i numeri razionali ‘di buona famiglia’. Inoltre compare che la disgiunzione in sen255 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. so costruttivo è diversa da quella classica. Un ruolo importante è quella di scarto tra due generatori di numero reale. Siano f e g due generatori, si pone f #g se e solo se ∃k∈N*∃n∈N∀p∈N(|f(n+p) – g(n+p)| > 1/k). Questa relazione ‘rafforza’ il concetto di diversità, nel senso della diversità anche per equivalenza. La relazione di scarto (con la successione costante 0) serve per fare la divisione. La relazione di scarto implica che le due successioni sono non equiconvergenti, ma non il viceversa, perché la negazione in ambito costruttivo è diversa dell’interpretazione classica del connettivo di negazione. Infatti per dire che tra due successioni c’è la relazione di scarto, ci sono due quantificatori esistenziali costruttivi. Se quindi riuscissi a provare che date due successioni l’ipotesi che tra esse sussiste la relazione di scarto portasse ad un assurdo ciò non basta perché provare la equiconvergenza richiede a sua volta un procedimento che porti ad individuare costruttivamente un numero naturale e l’avere trovato un assurdo, in genere, non fornisce informazioni a riguardo. Sui generatori si definiscono le operazioni ma anche in questo caso ci sono dei problemi, rappresentati dalla non validità della legge di annullamento del prodotto. Per mostrarlo si considerino due successioni, f e g, tali che se nello sviluppo decimale di π non ci sono dieci cifre 7 consecutive, allora si pone per ogni numero naturale n, f(n) = g(n) = 2-n. Se nello sviluppo decimale di π ci sono dieci cifre consecutive uguali a 7 e la prima volta che ciò capita, il decimo 7 è il k-esimo decimale, allora si pone f(n) = 2-n e g(n) = 2-k per ogni n > k, se k è pari; f(n) = 2-k per ogni n > k e g(n) = 2-n se k è dispari. Con queste posizioni in ogni caso f e g sono generatori di numero reale. In ogni caso il prodotto dei due generatori, dato come prodotto dei singoli valori: (f×g)(n) = f(n)g(n), è equiconvergente alla successione costante di valore 0. Se non ci sono le dieci cifre consecutive uguali a 7 nello sviluppo di π, allora le due successioni sono successioni geometriche di ragione ½ e convergono entrambe a 0, si riesce a provare che sono equiconvergenti. Se invece tali cifre adiacenti ci sono, allora non si è in grado di dire se f o g sono equiconvergenti ad una successione costante di valore 2-k. Non si riesce quindi ad avere un procedimento costruttivo per dirimere la questione, anche perché la disgiunzione costruttiva chiede di decidere quale delle due casi si deve realizzare. Con una piccola variazione sulle definizione, si riesce a costruire un esempio che mostra come in ambito costruttivo non si possa dimostrare, nella forma consueta, il teorema degli zeri, o di Bolzano. Sia f un generatore di numeri reali definito da f(n) = (-2)-n, se non ci sono dieci cifre consecutive uguali a 7 nello sviluppo decimale di π, mentre se questa condizione è verificata e la prima volta che compaiono le dieci cifre consecutive uguali a 7, la decima cifra occupa il posto k-esimo, allora per ogni n > k si pone f(n) = (-2)-k. Se con a si indica il numero reale di cui f è generatore, non è dato di sapere se a = 0, oppure a negativo oppure a positivo. Si consideri ora una funzione lineare a tratti G definita in [-2,2] consideran256 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 do i seguenti tre tratti rettilinei. Il primo congiunge i punti del piano di coordinate 〈-2,-1〉 e 〈-1,a〉; il secondo congiunge i punti di coordinate 〈-1,a〉 e 〈1,a〉, ed infine il terzo congiunge i punti di coordinate 〈1,a〉 e 〈2,1〉. Essendo i tre tratti rettilinei ‘congiunti’ negli estremi comuni, la funzione risultante G è continua. Inoltre G(-2) = -1, G(2) = 1. Sono quindi soddisfatte le ipotesi del teorema di Bolzano: G è funzione reale di variabile reale definita e continua in un intervallo chiuso e limitato. La funzione G assume valore negativo ad un estremo dell’intervallo ed uno positivo all’altro estremo. La domanda se esiste un c∈]-2,2[ tale che G(c) = 0, in contesto costruttivo, richiede una individuazione costruttiva di c. Nel caso che non ci siano dieci cifre uguali a 7 nello sviluppo di π, garantisce che basta scegliere c in [-1,1]. Se invece le dieci cifre consecutive uguali a 7, ci sono, allora se k è pari, si ha c∈]-2,-1[, mentre se k è dispari, c∈]1,2[. Allo stato attuale delle conoscenze on possiamo stabilire quale caso si verifica, quindi non possiamo dire, in modo costruttivo che esiste un c per cui G(c) = 0. Per concludere, nei primi anni del XX secolo, il costruttivismo, nelle sue varie accezioni, non aveva assunto gli aspetti tipici dei un sistema fondazionali, il cui scopo era quello di eliminare i paradossi e fondare la Matematica, ma si poteva ritenere solo un invito ad assumere posizioni più prudenti nei confronti dei risultati trovati in capi apparentemente semplici per la consuetudine che si aveva, ma irti di difficoltà, quali la ‘regolamentazione’ della intuizione Henri Lebesgue (1875 – 1941) in campo aritmetico e geometrico. L’esempio forse più significativo lo si è avuto con importanti ma- René Baire (1874 – 1932) tematici della scuola francese, Lebesgue, Baire, Borel, Hadamard, i quali si mettevano in una posizione critica nei confronti della teoria degli insiemi pubblicando nel 1905, Cinq lettres sur la théorie des ensembles, Bullettin de la Societé Mathématique Emile Borel (1871 – 1956) de France, 33, 261 – 274. Baire e Lebesgue rifiutarono l’assioma di scelta, Borel si dichiarò favorevole ad accettare la Jacques Hadamard (1865-1963) scelta numerabile, ma non con insiemi di cardinalità superiore, Hadamard si dichiarò favorevole alla piena accettazione della scelta. Gli stessi matematici non si erano resi conto che nei loro lavori sulla teoria della misura e in analisi avevano già fatto uso dell’assioma di scelta in tutta la sua potenza, ma si richiamavano alla forma di costruttivismo di Kronecker. Le più importanti proposte costruttiviste si sono avute in tempi più vicini a noi negli anni ’50 e 60 del XX secolo. Molti aspetti del costruttivismo si ritrovano nella proposta intuizionista, questa una vera proposta per risolvere i paradossi e per ‘rifare’ la Matematica, avanzata a partire dal 1907. 257 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. 8.3 Intuizionismo. Nella tesi di dottorato, dal titolo Over de Grondslagen der Wiskunde, il matematico olandese Brouwer presenta delle tesi assai critiche nei confronti della Matematica del suo tempo e la sua polemica continua nel tempo. I suoi bersagli sono ‘solo’ tutta la Matematica e la Logica del passato, la teoria degli insiemi nella versione cantoriana (ma poi passa anche ad osteggiare quella che Zermelo presenta dopo), il logicismo di Frege e di Russell, l’impostazione assiomatica di Hilbert. Ritiene le critiche di Poincaré troppo superficiali e Luitzen Egbertus Jan Brouwer (1881 – 1966) inizia a ribaltare completamente i rapporti tra Matematica, Logica e Linguistica, facendo come primo oggetto concettuale la Matematica. 8.3.1. Brouwer. Per un periodo abbastanza lungo, l’Intuizionismo è stato identificato quasi esclusivamente con le proposte e le idee di Brouwer e ciò, forse, ha causato un rifiuto ad accettare le sue proposte. Le sue tesi rientrano abbondantemente nelle caratteristiche di un approccio concettuale e costruttivo della Matematica. Purtroppo, vuoi per i contenuti innovativi che proponeva, vuoi per una intrinseca oscurità del suo stile espositivo, le sue idee non ebbero la risonanza che meritavano. Solo negli anni ’20 del XX secolo, quando iniziò a proporre la ricostruzione intuizionista della Matematica, l’attenzione alle sue proposte iniziò a cambiare. Bisogna dire che è merito anche dei suoi ‘traduttori’, Weyl e soprattutto Heyting. La sua traccia resta però ancora attiva in molti matematici olandesi che vengono dopo di lui e le sue proposte, mediate e chiarite da altri hanno mostrato tutto il loro impatto anche nella teoria delle categorie. Le origini del pensiero di Brouwer si possono riallacciare alle cor- Arend Heyting (1898 – 1980) renti del costruttivismo dell’Ottocento ed anche alle proposte dei cosiddetti preintuizionisti francesi. La matrice cognitiva dell’Intuizionismo è però pregna di considerazioni di carattere filosofico. Principalmente Kant con la posizione che la conoscenza prende spunto dai giudizi sintetici a priori di tempo e spazio, nonché nel ‘rifiuto’ della concezione metafisica. Non mancano i riferimenti a Schopenhauer ed anche a Husserl, suo contemporaneo. Questi prestiti non diminuiscono minimamente la portata innovativa dei contenuti che Brouwer mette in proprio, perché per la prima volta appare con lui una nuova forma di Matematica ed anche una nuova forma di studio dei Fondamenti. La impossibilità di consegnare ad un ambito metafisico i contenuti della nostra Scienza, porta Brouwer a considerarla come il prodotto di una libera azione umana, indipendente dalla esperienza, ma che si sviluppa a partire da una intuizione fondamentale a priori, il giudizio sintetico sul tempo. 258 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 È interessante osservare come per Brouwer l’altro kantiano giudizio sintetico a priori, quello sullo spazio, non viene citato tra le fonti della Matematica, perché gli sviluppi della Geometria nel XIX secolo avevano ampiamente dimostrato la insostenibilità della Geometria euclidea come unico modo di interpretare lo spazio, necessario corollario delle posizioni di Kant a riguardo. Restava dunque il tempo, che lo stesso filosofo di Königsberg pone alla base della conoscenza aritmetica. Per questo Brouwer assume che la matematica si sviluppi a partire dal tempo, sulla base dell’attenzione propria dell’essere umano, in base alla quale il soggetto pone attenzione su un oggetto, o meglio, su qualche sensazione. L’attenzione produce una “entità” isolandola dallo sfondo. In questo Brouwer richiama Husserl, il quale aveva scritto nelle Ricerche Logiche: «Mentre abbiamo presente un oggetto rosso, messo in particolare rilievo il suo rosso, noi (producendolo) intendiamo (intellettivamente) il rosso, e lo fissiamo con una conoscenza di nuovo tipo, in virtù della quale diventa per noi oggetto la specie invece dell'individuo…Partendo da un oggetto dato, formiamo la nozione specifica mediante l'astrazione, concepita però in senso diverso da quello della psicologia empiricista…L'atto con cui intendiamo intellettivamente lo specifico è essenzialmente diverso da quello con cui intendiamo l'individuale, sia questo un tutto o la parte di un tutto». A questo punto entra il tempo, che fa cogliere identità e differenze in quanto il passaggio da una sensazione all’altra non può avvenire al di fuori del tempo stesso. L’approccio richiede l’intervento della memoria, dato che per rendersi conto della differenza tra quanto considerato prima come entità a quella che si ottiene successivamente, richiede un confronto con l’elaborazione precedente della sensazione. L’intuizione primordiale è quindi quella della bi-unità o duità, la scoperta della differenza tra le entità costituite. In Intuitionism and Formalism, Bullettin of American Mathematical Society (20) 1913, 81 – 96, l’autore scrive: «Questa intuizione della bi-unità, l’intuizione fondamentale della matematica, non crea solo i numeri uno e due, ma anche tutti i numeri ordinali finiti, in quanto uno degli elementi della bi-unità può essere a sua volta pensato come una bi-unità, processo che può essere ripetuto indefinitamente generando così il più piccolo ordinale infinito ω» (da Borga & Palladino, 1997). I numeri naturali sono dunque originati da questa intuizione e dalla sensazione del passaggio del tempo. Con tale approccio i numeri naturali non esistono al di fuori della mente del soggetto, non fanno quindi riferimento ad una metafisica. Non è però possibile considerare la ‘collezione’ completa dei numeri naturali, perché essi si presentano alla mente solo in termini di infinito potenziale. Heyting ribadisce questa posizione fondamentale dell’Intuizionismo, scrivendo nel 1958 in Intuitionism in Mathematics, R. Klibanski (ed.) Philosophy of the Mid-Century, Firenze: La Nuova Italia: «Il fenomeno iniziale è un passaggio di tempo. Con un passaggio di tempo una sensazione cede il posto ad un’altra, in modo che la coscienza conserva la prima come una sensazione passata e inoltre, attraverso la distinzione fra presente e passato, si allontana da entrambe e dallo stato di quiete per diventare mente. La matematica nasce quando la bi-unità creata da un passaggio di tempo viene privata dal soggetto di ogni qualità…» (da Borga & Palladino, 1997) Si chiarisce bene, in questo brano, il ruolo dell’esperienza e del successivo distacco da essa per divenire Matematica. 259 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. La presenza del soggetto nella costruzione della matematica rischia di far perdere ‘oggettività’ ‘scientificità’ a questa libera attività mentale. Si aggiunga che la posizione di Brouwer rispetto al linguaggio è assai critica. Le intuizioni che costituiscono l’origine della matematica sono esclusivamente personali e sono, di fatto, ineffabili. Si sente qui l’eco della più antica posizione cognitiva greca riportata negli Inni omerici, in base ai quali la vera conoscenza è ineffabile. Se quindi la Matematica è un ‘frutto privato’ e non comunicabile, resta il problema di come sia possibile considerarla una scienza, e addirittura una scienza a priori. Brouwer risponde a questa obiezione osservando che, pur con tutte le limitazioni che il linguaggio reca in sé, esso è strumento per la comunicazione umana e per la condivisione di scopi comuni e che si offre come supporto alla memoria. La Matematica è quindi un prodotto ‘utile’. Seppure attraverso una lastra ‘opaca’ quale quella del linguaggio, essa agisce sui partecipanti ad un progetto comune come il suggerimento a considerare le entità generate dalle sensazioni compartecipate. Ciò porta al riconoscimento che lo sviluppo cognitivo dei singoli individui ha caratteri intersoggettivi, perché originato dalla medesima intuizione sintetica a priori. Questi aspetti della Matematica ne fanno quindi una scienza che viene percepita come a priori, ben diversa dalle altre scienze che ricavano i loro dati solo a posteriori alle attività di osservazione. Fedele alla posizione di Kant, Brouwer ritiene che la Logica sia solo una riflessione analitica sul linguaggio e come tale si tratta di una scienza ‘naturale’ e a posteriori. Così la fiducia nel linguaggio e nella logica che in modo diverso caratterizza gli approcci formalista e logicista, è mal riposta, dato che si tratta di strumenti non completamente affidabili, come dimostrano appunto i paradossi che hanno scosso l’edificio della nostra scienza. È quindi il linguaggio la fonte di errore e il suo rapporto con la Matematica è, in via di principio, nullo o irrilevante, essendo la nostra scienza esclusivamente mentale. Il ruolo di un approccio logicista alla intera Matematica è completamente inaccettabile. Anche un approccio assiomatico non ha alcun valore intrinseco, eventualmente prova la sagacia dei suoi proponenti, ma nulla di più. Per l’intuizionista, la teoria cantoriana degli insiemi o la logica appartengono a quelle interazioni della Matematica con l’esperienza che al più si possono etichettare come ‘Matematica applicata’. La Matematica si identifica con le costruzioni mentali e l’impiego di procedimenti astratti in essa deve essere preceduto da giudizi di costruibilità effettiva di opportuni enti matematici. Dopo la pubblicazione della tesi di dottorato, nel 1908, appare un breve scritto, De onbetrouwbaarheid der logiche principes. Tijdschrift voor Wijsbegeerte 2, 152 – 158. in cui l’autore accentua gli attacchi alla matematica classica, mettendo in discussione il principio del terzo escluso e di altre forme di inferenza usate nelle dimostrazioni matematiche. 260 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 Per Brouwer i principio di terzo escluso è accettabile quando si tratta di situazioni finite ‘padroneggiabili’, ma la sua accettazione generale come legge logica implica la posizione espressa da Hilbert nel Congresso di Parigi 1900, sulla risolubilità di ogni problema, giustificata dal matematico tedesco con l’affermazione Emil Du Bois-Reymond (1818 - 1896) che in Matematica “non esistono ignorabimus”. L’affermazione di Hilbert era rivolta contro le posizioni del fisiologo Emil Du Bois-Reymond, fratello del matematico Paul cui si deve in teorema di integrabilità delle serie di Fourier. Il medico, pur essendo inserito nella corrente filosofica del Positivismo, nell'opera I sette enigmi del mondo del 1880, pone come ignorabimus l'origine di: materia, forza, movimento, vita, sensibilità, coscienza,· pensiero,· linguaggio Per Brouwer la posizione di Hilbert è contro ogni evidenza sia della vita quotidiana, sia relativa ai fatti matematici, ed inoltre confligge con la visione della Matematica come sistema aperto, di origine tipicamente concettualista, su cui si basa, secondo l’olandese, l’intero edificio della nostra scienza. L’abbandono della legge logica del terzo escluso ha conseguenze devastanti sulla Matematica classica: non è più possibile mostrare che le varie introduzioni dei numeri reali forniscano concetti equivalenti, non è possibile garantire che un insieme è finito oppure infinito, che il continuo possa essere considerato come un insieme ordinato (facendo sparire, di fatto la discontinuità dall’ambito delle funKarl Weierstrass (1815 – 1897) zioni). In successive opere Brouwer mostrerà la inaccettabilità dei teoremi di Bolzano e di Weierstrass sulle funzioni continue, la necessità di abbandonare la teoria dell’integrazione secondo Lebesgue ed ancora altri campi scientifici. Sparendo dalla scena in terzo escluso, quasi simultaneamente scompaiono molti argomenti paradossali. Ad esempio nel paradosso di Russell si parte dall’affermazione che si deve avere r∈r ∨ r∉r, un esempio del terzo escluso. Dalla validità di questa legge si conclude la presenza, in ogni caso, di una contraddizione. Per l’olandese questa conclusione è inaccettabile, perché non riguarda la essenza matematica, bensì la sua veste comunicativa. In questo modo scompaiono tutti i paradossi e si può affermare che la Matematica intuizionista è coerente. L’Intuizionismo come teoria dei Fondamenti non è una teoria assolutista che fa del riduzionismo la sua aspirazione. Si tratta di un atteggiamento nei riguardi della scienza, per cui si devono ‘ricostruire’ alcuni concetti in sostituzione di altri che sono stati esclusi dal novero delle ‘conoscenze certe ed indubitabili’. Quindi il compito del matematico intuizionista è duplice: da un lato quello di mettere 261 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. in luce (e in guardia) gli aspetti inaccettabili di varie dimostrazioni e concetti, dall’altra quella di proporre concetti ‘sostitutivi’. Un esempio importante è quello della Analisi matematica ‘depurata’ di molti aspetti inaccettabili dal punto di vista intuizionista. La posizione di Brouwer nei riguardi della Logica ha avuto l’effetto che per lungo tempo non si è tentato un confronto serio, da parte di quasi tutti i matematici, con le proposte dell’olandese, proprio perché venivano a mancare i paradigmi e gli strumenti per realizzare tale confronto. 8.3.2. Logica intuizionista. Un notevole passo avanti nella accettazione delle idee dell’Intuizionismo si ha quando Heyting presenta, nel 1930 due articoli consecutivi sulla stessa rivista, Sitzungberichte der preussichen Akademie der Wissenschften: Die formalen Regeln der intuitionischen Logik (pp. 42 – 56) e Die formalen Regeln der intuitionischen Matematik (pp. 57 – 61). L’apparato logico mostrato da Heyting è ‘a posteriori’, desunto cioè dalle dimostrazioni che nel frattempo Brouwer ed altri matematici intuizionisti avevano prodotto. In realtà, l’opera di Heyting non è completamente ‘neutra’, ma si possono riconoscere, dal confronto con i testi originali, alcune ‘forzature’ per rendere l’approccio intuizionista più vicino a quello matematico consueto. Il linguaggio considerato per la logica intuizionista non si discosta dai simboli usati in logica classica. Le costanti logiche, vale a dire i connettivi e i quantificatori, hanno significati diversi. Così se una formula è un teorema intuizionista ci si può porre il problema se si tratti o meno di un teorema classico, ma bisognerà ricordarsi che se anche scritta nello stesso modo, il significato sarà fortemente diverso. Per meglio capire quali sono gli assunti della logica intuizionista bisognerebbe, prima, avere bel chiaro almeno la logica classica dei predicati del primo ordine, ma rimandiamo la presentazione di questo argomento ad un altro capitolo. Sarà cura del lettore riprendere quanto fatto qui confrontandolo con la logica classica. Per illustrare il significato dei connettivi, consideriamo, temporaneamente, il caso più semplice, quello del calcolo delle proposizioni. Da Aristotele in poi si sono sempre introdotte le proposizioni come frasi della lingua parlata che possono essere solo vere o false. Poi ci rende conto che la lingua ha sfumature varie che rendono difficile, se non improbabile la possibilità di concludere della verità o della falsità di una affermazione. Restringiamo allora la considerazione solo a proposizioni che riguardano proprietà matematiche. Ribadiamo che in senso classico una proposizione è vera oppure falsa anche se non c’è modo di accertare quale dei due casi si verifica. Abbiamo visto che questa posizione non è sostenibile dal punto di vista costruttivo. In realtà se la verità o falsità richiede l’ispezione di un numero finito di casi, vale a dire tratta di domini finiti, allora ci si riesce anche dal 262 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 punto di vista costruttivo. Ma per i domini infiniti è tutt’altra cosa. Heyting ha messo in luce che, in generale, non ha senso parlare di verità o falsità di una proposizione indipendentemente dalle nostre conoscenze sui fatti che la proposizione stessa descrive. Quindi bisognerà considerare vera, in senso costruttivo, una proposizione solo se possediamo una sua dimostrazione costruttiva. Ad esempio 2+2 = 3+1 è vera perché possiamo costruire intuizionisticamente i numeri coinvolti e dare significato all’addizione verificando così che la costruzione del termine a destra coincide con quella del termine a sinistra. In questo caso si tratta di una proposizione atomica. Per costruire proposizioni più complesse si usano i connettivi, ed allora questi richiedono una analisi dal punto di vista intuizionista. Si consideri la proposizione (φ ∧ ψ). Una semplice richiesta è che si possa concludere della verità di tale proposizione a partire esclusivamente dalla eventuale verità delle proposizioni φ e ψ, e non dal contenuto linguistico delle proposizioni coinvolte. Tale richiesta, che può sembrare semplice, non è banale come mostrano gli esempi delle cosiddette logiche non monotone, oppure nel caso delle logiche associate alla teoria dei quanti. L’interpretazione intuizionista della congiunzione afferma che la verità della congiunzione si ha se e solo se φ e ψ sono vere, cioè è nota una dimostrazione costruttiva di φ e una dimostrazione costruttiva di ψ. Di qui si ottiene una dimostrazione costruttiva di (φ ∧ ψ). Si può pertanto vedere il connettivo di congiunzione come una regola esplicita per ‘incollare’ due dimostrazioni per ottenerne una terza. Nel caso della proposizione (φ∨ψ) si conclude la verità della disgiunzione soltanto se si ha una dimostrazione costruttiva di una delle due, con l’informazione esplicita di quale delle due si tratti (eventualmente anche di entrambe). Se si considera la formula (¬φ) si accetta come vera se e solo se l’ipotesi che φ sia dimostrabile porta, in termini costruttivi, ad una contraddizione. A questo punto si comprende perché non è accettabile il principio del terzo escluso, vale a dire la verità di (φ∨(¬φ)). Ad esempio sia φ la proposizione che esprime che nello sviluppo decimale di π ci sono dieci cifre consecutive uguali a 7. Se avessimo lo sviluppo decimale completo di π, oppure avessimo degli algoritmi che possano provare o disprovare che esista tale ‘agglomerato’ di cifre, avremmo che è vera φ oppure è vera (¬φ), sulla base della nostra conoscenza completa. Al momento attuale non è possibile concludere che sia dimostrabile costruttivamente uno dei due casi, quindi non possiamo concludere la verità di (φ∨(¬φ)). Per il matematico classico la validità del terzo escluso è fuori discussione, quindi si conclude che (φ∨(¬φ)) è vera, anche se non sono in grado di dire per quale motivo. 263 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. Quindi si deve tenere presente che gli enti matematici devono essere costruiti perché non sono indipendenti dalla conoscenza del matematico. Per quanto riguarda la proposizione (φ→ψ) essa si considera vera se esiste un procedimento costruttivo che da una dimostrazione costruttiva di φ permette di trovare una dimostrazione di ψ. Ad esempio se φ è la proposizione che il generico numero n è divisibile per 4 (basta controllare le due ultime cifre). Si ora ψ la proposizione il generico numero n è divisibile per 2, si può affermare la verità di (φ→ψ), dato che basta osservare che se n = 4p, allora n = 2·(2p). Si è cioè mostrato il passaggio da aggiungere ad una dimostrazione del fatto che n è divisibile per 4, per ottenere immediatamente che n è divisibile per 2. In genere, quando si considera la logica intuizionista si introduce un simbolo che nella versione classica è ‘evitabile’, un segno specifico per la contraddizione, ‘⊥’. Grazie ad esso, sia nella logica classica che in quella intuizionista, è possibile definire la negazione di una proposizione. Infatti la lettura della negazione (¬φ) è l’affermazione che dall’assunzione di una possibile dimostrazione di φ si ricava un assurdo, procedimento descritto dalla formula (φ → ⊥). Così l’introduzione del sim- bolo per la contraddizione permette di esprimere la negazione. La presentazione della logica intuizionista richiede un attento vaglio della logica classica per vedere quali sono le leggi, da sempre ritenute valide, che sono invece un modo forse meno evidente, di usare il principio del terzo escluso. Un esempio è dato dalla richiesta inglobata già nella lingua latina, che due negazioni affermano. In ambito intuizionista si riesce a provare che (φ → (¬(¬φ))), ma non che ((¬(¬φ)) → φ) e quest’ultima perché una da una dimostrazione di ((¬(¬φ)) dovrei ottenere una dimostrazione di φ. Ma ((¬(¬φ)) è vera se una dimostrazione che una dimostrazione di φ conduce ad un assurdo, condurrebbe ad un assurdo e ciò non ci dà modo di trovare esplicitamente una dimostrazione di φ. Non tutte le dimostrazioni ‘classiche’ si ‘buttano’. Ad esempio: anche in ambito intuizionista si può affermare la verità di (((φ → ψ) ∧ (χ → ψ)) → ((φ∨χ) → ψ))), ciò perché se sono date le procedure che permettono di passare da una dimostrazione di φ ad una dimostrazione di ψ e da una dimostrazione di χ ad una dimostrazione di ψ, allora se è data una dimostrazione di (φ∨χ), quindi la decisione di quale delle due è dimostrabile, basterà utilizzare tale dimostrazione per ottenerne una di ψ. Ma in logica intuizionista non si può concludere della verità di (((φ∨χ) → ψ) → ((φ → ψ) ∧ (χ → ψ))). Infatti se dalla individuazione che dalla presenza di una dimostrazione di φ oppure di χ, e di una procedura che ci dice quale dei due casi si applica per ottenere una dimostrazione di ψ, si riesce ad avere solo la verità di una delle due proposizioni (φ → ψ) e (χ → ψ), ma non di entrambe. I dettagli di cosa si può fare e cosa non si può fare per il momento vengono lasciati ad un altro capitolo. Una suggestione che dà un possibile criterio di verità per la logica intuizionista è ricavato da 264 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 una idea tratta da Rasiowa, H. & Sikorski, R. (1963) The Mathematics of Metamathematics, Warszaw: PWN. Si può afferma- re, anche sulla base di quanto visto nella storia dello sviluppo delle idee di Boole, che la logica classica sia relativa alle proHelena Rasiowa (1917 - 1994) prietà dell’algebra di Boole dei sottinsiemi di un insieme. In essa l’interpretazione dei connettivi è data dalle ‘corrispondenti’ ope- razioni insiemistiche ed in particolare alla negazione corrisponde l’insieme com- Roman Sikorski (1920 – 1983) plementare rispetto all’insieme (universo) dato. Per la logica proposizionale intuizionista le cose cambiano. Invece di un insieme si parte da uno spazio topologico ed invece di tutti i sottinsiemi, si considerano solo gli aperti di tale spazio 6. Alla congiunzione e alla disgiunzione corrispondono le operazioni (binarie) di intersezione ed unione, che forniscono aperti a partire da aperti.. La negazione ha una diversa interpretazione: se alla proposizione φ viene associato un aperto, il complementare di tale aperto è un chiuso, allora a (¬φ) viene associato l’aperto dato dall’interno del chiuso complementare. Il simbolo ⊥ viene interpretato nell’insieme vuoto, che è comunque un aperto. Una proposizione è vera se ad essa si associa tutto lo spazio (che è pure un aperto) 7. Ciò giustifica immediatamente perché non si possa affermare la legge del terzo escluso. Si consideri lo spazio topologico che ha topologia definita mediante gli intervalli aperti. Se a φ si associa l’intervallo aperto ]0,1[, il suo chiuso complementare è dato da (]- ∞,0] ∪ [1,+∞[), il cui interno è dato da (]- ∞,0[ ∪ ]1,+∞[) ed è questo associato a (¬φ). Ne consegue che a (φ∨(¬φ)) è associato l’aperto (]- ∞,0[ ∪]0,1[∪ ]1,+∞[) = R – {0,1}. Questo prova che non si può affermare in generale la verità della legge del terzo escluso. Questa ‘suggestione’ serve a chiarire che se la logica classica ha una interpretazione matematica importante, mediante algebre di Boole, quella intuizionista non è da meno, mediante le proprietà degli spazi topologici. Passare alla logica intuizionista del primo ordine presenta qualche difficoltà, anche sul piano immediatamente interpretativo. La verità di una affermazione del tipo ∀x(φ(x)) in un certo dominio B comporta che per ogni oggetto a di B, sostituibile in φ(x) è data una dimostrazione costruttiva di φ(a). Nel caso della formula quantificata esistenzialmente, ∃x(φ(x)) è vera se si individua in modo costruttivo un oggetto a di B ed una dimostrazione di φ(a). Anche in questo caso certe formule classiche smettono di valere, in particolare la ‘interdefinibilità dei quantificatori’ (∀x(φ(x)) ↔ (¬∃x(¬φ(x)))). Questa doppia implicazione non è accettabile intuizionisticamente: l’implicazione (∀x(φ(x)) → (¬∃x(¬φ(x)))) si giustifica intuizionisticamente. Infatti 6 Si può fare il tutto con i chiusi, usando una forma di dualità che faccia corrispondere agli interni le chiusure. 7 Per completezza bisogna dire che a (φ → ψ) viene associato l’aperto ottenuto dall’interno del chiuso complementare di ‘φ’ con ‘ψ’. 265 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. se è possibile dare per ogni a di B una dimostrazione costruttiva di φ(a), allora il fatto che si possa trovare in modo effettivo un a’ di B tale che la dimostrazione di φ(a’) conduca costruttivamente ad un assurdo è un assurdo, proprio perché si ha una dimostrazione costruttiva di φ(a’). Quindi l’implicazione indicata è vera intuizionisticamente. Invece la proposizione ottenuta scambiando antecedente e conseguente non è vera intuizionisticamente: ((¬∃x(¬φ(x))) → ∀x(φ(x))). Infatti la complessa situazione che garantisce la verità dell’antecedente non fornisce nessuna procedura costruttiva per mostrare la verità del conseguente per ciascun a in B. Nel caso dei quantificatori è possibile ancora una interpretazione topologica, ma non è così immediata perché solitamente in topologia si considerano unioni ed intersezioni di famiglie indiciate, mentre il quantificatore esistenziale (unione) dovrebbe essere fatto su tutti gli elementi ed analogamente l’universale (intersezione). Ricordo inoltre che l’unione qualunque di aperti è un aperto e l’intersezione qualunque di chiusi è un chiuso, ma l’intersezione qualunque di aperti può essere un chiuso mentre l’unione qualunque di chiusi può essere un aperto. Da ciò si desume che l’interpretazione dei un quantificatore universale è l’interno di una intersezione di aperti. La non verità di un enunciato può comunque essere mostrata mediante un contro esempio. Si consideri lo spazio topologico dato dall’insieme R dei numeri reali con la topologia indotta dagli intervalli. In tale spazio ogni singoletto è un chiuso. Si consideri ora l’insieme A di tutti e soli i numeri razionali dell’intervallo [0,1]. Si tratta di un insieme infinito, sottinsieme di Q, che è numerabile, quindi anche A è numerabile e Θ ne sia una enumerazione. Per ogni n∈N, l’insieme {Θ(n)} è un insieme chiuso di R, con interno vuoto, e di conseguenza (R - {Θ(n)}) è un insieme aperto, che si indicherà con Ψ(n). Se ora si considera l’insieme aperto che si può associare a (¬∃n(¬φ(n))), esso si costruisce per passi, prima associando a (¬φ(n)), l’interno di (R - Ψ(n)), quindi l’interno di {Θ(n)} che è vuoto, per ogni n∈N , poi considerando l’aperto ottenuto dall’unione di questi, che è ancora l’insieme vuoto, associato a ∃n(¬φ(n)), e poi il suo complementare, R, ed infine l’interno di tale complementare che è ancora R. Si conclude che a (¬∃n(¬φ(n))) si associa l’insieme R. Si ha quindi che se la formula (¬∃n(¬φ(n))) si mette come conseguente di un’implicazione, con questa interpretazione, qualunque sia l’antecedente e l’aperto ad esso associato, l’interpretazione della formula complessiva sarà data da R. Si consideri ora l’aperto associato a ∀n(φ(n)). Si ha I Ψ (n) = (]-∞,0[∪([0,1]-A)∪]1,+∞[), quindi n∈N l’intersezione è costituita dall’unione di due insiemi aperti e dall’insieme dei numeri irrazionali appartenenti all’intervallo [0,1]. Per trovare l’insieme da associare a ∀n(φ(n)) bisogna considerare l’interno dell’insieme appena indicato. Ma esso è dato da (]-∞,0[∪]1,+∞[) = (R - [0.1]), in virtù 266 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 della densità dei numeri razionali nei numeri reali. In conclusione l’aperto da associare a ((¬∃x(¬φ(x))) → ∀x(φ(x))) è (R - [0.1]), quindi questo controesempio permette di concludere che ((¬∃x(¬φ(x))) → ∀x(φ(x))) può non essere vera intuizionisticamente, ma non si può concludere da questo esempio che (∀x(φ(x)) ↔ (¬∃x(¬φ(x)))) sia vera intuizionisticamente. Si osservi che, l’interpretazione proposta da Rasiowa e Sikorski, permette di assegnare una semantica al calcolo intuizionista, sfruttando le costruzioni topologiche classiche. La precisazione dovuta ad Heyting della logica intuizionista ha dato un notevole impulso a questa proposta di una Matematica nuova, sganciandola completamente dai discorsi visti prima, e poco chiariti, di ‘effettivamente costruibile’, ‘condurre ad un assurdo’,… La proposta di una semantica per tale tipo di logica ha atteso molto, più di trenta anni. Qui si è accennato a quanto fatto da Rasiowa e Sikorski nel 1963. Una diversa proposta, viene presentata da Saul Kripke nel 1965. Saul Kripke (n. 1940) 8.3.3. Aritmetica intuizionista. Come si è visto nella presentazione delle idee di Brouwer l’Aritmetica ha un ruolo fondamentale l’approccio intuizionista, essendo ritenuta la ‘origine’ di tutta la Matematica. Una differenza fondamentale tra quanto proposto dagli intuizionisti e dai matematici classici è la non esistenza di un insieme dei numeri naturali, in quanto si rifiuta l’infinito in atto a favore di quello in potenza. Entrambe le correnti di pensiero accettano che ci sono infiniti numeri naturali, ma sull’esistenza di un loro ‘contenitore’ i pareri sono discordi. Brouwer e i suoi seguaci ritengono che le dimostrazioni in Aritmetica sono sempre delle costruzioni realizzate a partire dall’intuizione della duità. Così, ad esempio, per dimostrare che dato un arbitrario numero naturale n esiste sempre un numero primo maggiore di n, basta considerare una costruzione di n, poi a parti- re da essa si costruisce n! + 1 (in realtà basterebbe costruire 2n) e controllare le costruzioni di tutti i numeri da 2 a n!+1, per scoprire che esiste (e darlo effettivamente) un numero primo p e provare che è maggiore di n. Questa costruzione, di fatto non è una vera e propria costruzione, ma la ‘ricetta’ per trovare una costruzione apposita ogni volta che si assegna un numero. Quindi ci sarà una specifica costruzione per 5, una specifica costruzione per 12.347, eccetera. Il rapporto tra Aritmetica intuizionista e assiomi di Peano è abbastanza complesso. Di per sé i seguaci di Brouwer non accettano i sistemi assiomatici, perché troppo legati al linguaggio e meno all’intuizione, però i postulati di Peano forniscono alcune costruzioni fondamentali. Si rifletta inoltre che il testo originale di Peano non chiarisce fino in fondo se la concezione di infinito ivi adottata è attuale o potenziale. Quindi mentre per Peano era semplice dire che i numeri naturali sono gli oggetti descritti dai suoi postulati, per un intuizionista i numeri naturali sono una intuizione primordiale e resta del tutto aperto il problema di dimostrare, in termini intuizionisti, che essi soddisfano le 267 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. proprietà descritte dagli assiomi. Per i primi non c’è problema. Per l’assioma di induzione (che è n uno schema) la cosa diventa più delicata. Ad esempio si vuole provare che ∑ k = 1 n(n + 1) 2 (esempio esplicitamente commentato da Heyting in Intuitionistic Views on the Nature of Mathematics, Bollettino dell’Unione Matematica Italiana 9 (1974) suppl. fasc. 2, 122 – 134.). Indichiamo con P(n) l’eguaglianza scritta sopra. Si prova banalmente P(1) costruendo da un lato 1, e dall’altra prima costruendo 2, poi il prodotto di 1 e 2 e poi il quoziente del prodotto di 1 per 2 e 2. Il passo induttivo assume per ipotesi la dimostrazione di P(n). Dal punto di vista intuizionista si tratta di una costruzione ipotetica. Ma per concludere la tesi induttiva, vale a dire P(n+1), si opera con il solito passaggio aritmetico: n +1 n k =1 k =1 si ha ∑ k = ∑ k + (n + 1) = n( n + 1) n(n + 1) + 2(n + 1) (n + 1)(n + 2) + (n + 1) = = 2 2 2 . L’interpre- tazione intuizionista di questi passaggi riconosce in essi come, data una costruzione relativa alla ipotesi induttiva, se ne produce una relativa alla tesi induttiva. Dunque per ogni n, assunta l’esistenza di una dimostrazione di P(n) si forniscono indicazioni sul come completarla ad una dimostrazione di P(n+1). Ma questa è la interpretazione intuizionista di ∀n(P(n)). Di qui si conclude l’accettabilità intuizionista degli assiomi di Peano, anche se resta una differenza sui procedimenti dimostrativi per l’uso di una diversa logica. Si osservi però che dal principio di induzione è dimostrabile il principio di minimo che si può formulare per ogni proprietà P(x) come (∃nP(n) → (∃m(P(m) ∧∀r(r < m → ¬P(r)))) L’equivalenza tra le due affermazioni si prova facendo uso di dimostrazioni per assurdo. Non è quindi una sorpresa se tale equivalenza non può essere provata in ambito intuizionista. I rapporti veramente stretti tra Aritmetica classica e Aritmetica intuizionista sono stati ulteriorimente chiariti, dopo la esibizione della logica intuizionista proposta da Heyting, nel 1933. In quell’anno Gödel e Gentzen giungono contemporaneamente 8 a stabilire una ‘traduzione’ della Aritmetica classica in quella intuizionista, che conserva la dimostrabilità. Bisogna capire bene cosa si intenda. Se φ è un enunciato dimostrabile nella logica intuizionista, allora, data la presenza degli stessi simboli logici, φ è certamente un teorema anche della logica classica, a patto di interpretare diversamente le costanti logiche. Viceversa dato un enunciato φ che sia un teorema della logica classica, non si può dire che sia dimostrabile anche in quella intuizionista. Gödel propone una ‘traduzione’ τ dal linguaggio logico a quello intuizionista, definita per induzione sulla complessità della formula come segue: 8 Nel 1933 viene pubblicato l’articolo Gödel, K. (1933) Zur intuitionistichen Arithmetik und Zahlentheorie, Ergebnisse eines ma- thematischen Kolloquium, 4, 34 – 38. Contemporaneamente ed indipendentemente è stato presentto un manoscritto a Mathematischen Annalen: Gentzen, G. (1933) Über das Verhältnis zwischen intuitionitistischer und klassischer Aritmetik, giunto allo stato di bozze e ritirato dalla stampa per la precedente comparsa del lavoro di Gödel 268 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 se φ è atomica, allora τ(φ) è (¬(¬φ)); τ(φ∧ψ) è (τ(φ) ∧ τ(ψ)) τ(φ∨ψ) è (¬(τ(¬φ)∧τ(¬ψ))); τ(φ → ψ) è (τ(φ) → τ(ψ)); τ(¬φ) è (¬(τ(φ)); τ(∀x(φ(x))) è ∀x(τ(φ(x))); τ(∃x(φ(x))) è (¬∀x(¬τ(φ(x))). Con questa traduzione Gödel prova che per ogni enunciato φ della logica classica che sia un teorema dell’Aritmetica del primo ordine (con i postulati di Peano), allora τ(φ) è un teorema dell’Aritmetica del primo ordine in ambito intuizionista. Ovviamente vale anche il viceversa. 8.3.4. Alcune idee di Analisi intuizionista. Il fatto che l’Aritmetica dei numeri naturali, interi relativi e razionali non differisca sostanzialmente nella trattazione classica ed in quella intuizionistica, mente per l’Analisi la cosa cambi drasticamente, fa capire che i problemi relativi ai numeri reali siano determinati dalla natura degli enti matematici che sono assai utili, ma assai critici. Non si riesce a definire cosa si intenda per numero reale, senza fare riferimento esplicito agli insiemi infiniti in atto (e a procedure ben poco costruttive). La soluzione delineata parlando dei caratteri generali della matematica costruttiva, quella di fare intervenire le successioni predeterminate, conduce ad una drastica riduzione del ‘numero’ dei numeri reali e,di conseguenza a problemi seri sulla definizione di vari tipi di oggetti matematici. Per questi ed altri motivi Brouwer ha proposto un approccio più complesso che permettesse di arricchire il ‘numero’ dei numeri reali. Il concetto fondamentale per l’Analisi intuizionista è quello di successione di scelta. C’è da dire che tale concetto non è intrinsecamente semplice, che Brouwer ha cercato di delinearlo in più riprese, col risultato di presentare, nelle varie versioni, aspetti non sempre coerenti. In seguito le sue idee sono state chiarite e anche se, con alcune forzature che il matematico olandese non ha accettato fino in fondo, oggi si presenta l’Analisi intuizionista come un corpus importante di definizioni e di risultati. La definizione di numero reale che ne risulta è molto ‘innovativa’ e lo studio dell’Analisi su tali basi richiede strumenti altrettanto innovativi. Le successioni di scelta sono intese come un procedimento per scegliere in modo infinito potenziale, dei numeri naturali e poi da questo dei numeri razionali. A questo punto bisogna aprire una breve parentesi sui rapporti tra intuizionismo e teoria degli insiemi. Il punto di massimo ‘dissidio’ tra Intuizionismo e Teoria (neo-cantoriana) degli insiemi è nella accettazione (o meno) dell’infinito in atto. In un contesto che accetta solo l’infinito potenziale, si 269 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. possono considerare quegli insiemi che sono finiti o che sono infiniti numerabili, ma solo quelli definibili in modo costruttivo. Brouwer ha una sorta di ‘sostituto’ del concetto di insieme, anzi ne ha due: lo spiegamento, che fornisce l’analogo di insieme definito per elencazione e la specie, il corrispondente dell’insieme definito per caratteristica. Ma in entrambi i casi si mette in evidenza il la presenza del procedimento che ‘crea’ o ‘identifica’ gli elementi dello spiegamento e della specie. Ora ci sono molti numeri reali che sono definibili mediante successioni predeterminate, tutti i radicali (grazie a procedimenti di calcolo approssimato derivato dai metodi delle secanti e delle tangenti). A questi si possono aggiungere i numeri e e π, di cui si conoscono più modi (successioni e serie) che convergono a tali numeri. Ma l’uso di sole successioni predeterminate è considerato troppo limitativo. Per ampliare la possibilità di trovare numeri reali, si propongono le successioni di scelta. In questo ambito, ad un ‘estremo’ ci sono le successioni predeterminate, all’altro ‘estremo’ ci sono le cosiddette successioni senza legge, come può essere una successione degli inversi dei numeri naturali da 1 a 90 ottenuta in base alle successive uscite del terzo numero del Lotto sulla ruota di Napoli, a partire dall’istituzione ufficiale del Lotto in tale città. Questo esempio ci dice che tale successione ha (finora) un numero finito di elementi e, data l’importanza economica di tale attività per lo Stato, è possibile considerare una tale successione infinita in potenza. La proposta intuizionista è quella di restringere in modo opportuno le successioni da considerare, così da avere più casi di quanto non offerti dalle successioni predeterminate e non troppi come quelli che si avrebbero con le successioni senza legge (il che, tra l’altro, porrebbe forse problemi alla convergenza di tali successioni). Il continuo viene così definito a partire dalla totalità delle successioni (di Cauchy) di scelta di numeri razionali, cioè nel linguaggio usato dagli intuizionisti, a partire dallo spiegamento dei generatori di numero reale. Una condizione (accettata intuizionisticamente) di ‘convergenza’ di un generatore di numeri reali è data, per una successione di numeri razionali, dal fatto che ogni elemento della successione venga scelto in modo che per ogni n, |f(n+1) – f(n)| < 2-n. Andando ancora più nei dettagli, uno spiegamento è data da una coppia (ordinata) formata da una legge dello spiegamento, Ls e una legge Lc, detta legge complementare. La legge di spiegamento permette di costruire le successioni ammissibili di numeri naturali; la legge complementare assegna ad ogni successione ammissibile di numeri naturali una successione di enti matematici, ad esempio numeri razionali (ma anche altro). La legge di spiegamento non è del tutto arbitraria, ma è sottoposta alle seguenti condizioni: (a) Si può decidere, mediante Ls quali numeri naturali sono elementi di una successione ammissibile di lunghezza 1. 270 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 (b) Ogni successione ammissibile di lunghezza maggiore di 1 può essere ottenuta iterando l’aggiunta di un elemento ammissibile ad una successione ammissibile. (c) Per ogni successione ammissibile si può stabilire in modo effettivo quali sono i suoi prolungamenti ammissibili con l’aggiunta di un ulteriore elemento. (d) Ogni successione ammissibile può essere prolungata con almeno un nuovo elemento, in modo da ottenere una nuova successione ammissibile. Una volta costruita una successione ammissibile, ad ogni suo passo è possibile associare oggetti matematici mediante la legge complementare. Così, data la successione ammissibile n1, n2, …, nk ad essa la legge complementare associa i k oggetti matematici corrispondenti e1, individuato a partire da n1, e2 individuato a partire da n1 e n2,…, ek individuato a partire da n1, …, nk. La condizione (d) non permette di considerare uno spiegamento come un fatto ‘finito’, ma potenzialmente infinito ed analogamente per la successione gli oggetti matematici associati allo spiegamento dalla legge complementare. La successione e1, …, ek, .. è detta un elemento dello spiegamento definito da Ls e Lc. Per ottenere lo spiegamento di un numero reale si opera in questo modo: si considera una elencazione Φ (effettiva, costruibile) di tutti i numeri razionali e si assumono Ls e Lc come segue (1) Ogni numero naturale è una successione ammissibile di lunghezza 1. (2) Se n1, …, nk è una successione ammissibile di numeri naturali, allora n1, …, nk, nk+1 è ammissibile se |Φ(nk+1) – Φ(nk)| < 2-k. (3) Per ogni k > 1, a n1, …, nk la legge complementare associa il numero razionale Φ(nk). Il risultato ottenuto dipende dalla scelta di Φ, quindi si introduce un altro tipo di variabilità oltre alla scelta della ‘continuazione’ ammissibile indicata dalla legge dello spiegamento. Per meglio comprendere questi concetti, mi avvalgo di un esempio specifico. Consideriamo una specifica successione ammissibile che abbia 1 come successione ammissibile di lunghezza 1. Si consideri inoltre la legge di spiegamento caratterizzata dal fatto che se n1,…, nk è una successione ammissibile, allora si possa prolungare scegliendo nk+1 tale che |nk+1 – 2nk| ≤ 1 ( sarebbe possibile una diversa legge, come |nk+1 – 3nk| ≤ 2). Ciò comporta che n2 può essere 1, oppure 2, oppure 3 per soddisfare la richiesta |n2 – 2| ≤ 1, quindi sono ammissibili le successioni di lunghezza 2: 1,1 oppure 1,2, oppure 1,3. Con l’altra legge di spiegamento sono ammissibili le successioni di lunghezza 2: 1,1 oppure 1,2 oppure 1,3 oppure 1,4 oppure 1,5. Quindi le successioni ammissibili dipendono dalla legge di spiegamento utilizzata. Come legge complementare si consideri quella che associa ad ogni successione ammissibile n1,…, nk il numero razionale nk 2k . Con questa legge si associa a n1 il numero 1 2 , a n1,n2, il numero 1 4 271 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. oppure 1 2 , oppure 3 4 . Le successioni di lunghezza 3 sono date da 1,1,1 oppure 1,1,2 oppure 1,1,3 (ottenute considerando n2 = 1) oppure 1,2,3 oppure 1,2,4, oppure 1,2,5 (ottenute considerando n2 = 2) oppure 1,3,5 oppure 1,3,6 oppure 1,3,7 (ottenute considerando n2 = 3). I numeri razionali che la legge complementare associa alle successioni ammissibili di lunghezza 3, costruite con la legge di spiegamento sono rispettivamente 18 oppure 1 4 oppure 3 8 (con n2 = 1); 3 8 oppure 1 2 oppure 5 8 (con n2 = 2); oppure 5 8 oppure 3 4 oppure 7 8 (con n2 = 3). Un’altra legge complementare potrebbe essere la seguente alla successione ammissibile n1,…, nk si associa il numero razionale k k ed allora alle precedenti successioni di lunghezza 3 si associano i ∑ nh h =1 numeri razionali 1, 3 4 , 3 5 ; 1 2 , 3 7 , 3 8 ; 13 , 310 , 311 . Mantenendo le stesse leggi, ma partendo da n1 = 5 si otterrebbero le successioni ammissibili 5,9; 5,10, 5,11; e poi 5,9,17; 5,9,18; 5,9,19; 5,10,19; 5,10,20; 5,10,21; 5,11,21; 5,11,22; 5,11,23; da cui i numeri razionali 17 8 , 9 4 ; 19 8 ; 19 8 ; 5 2 ; 218 ; 218 ; 11 4 ; 23 8 , quindi numeri razionali compresi tra 2 e 3. Questi esempi mostrano come la legge di spiegamento permetta ad ogni passo una scelta ‘controllata’ o se si vuole ‘limitata’ di successioni ammissibili. Il fatto che siano possibili ‘ripetizioni’ sul possibile prolungamento di una successione data non causa problemi. La legge complementare applicata stabilisce in modo ‘uniforme’i numeri razionali corrispondenti ed anche qui eventuali ripetizioni non disturbano. Nel primo esempio per ogni k si ottengono tutti le possibili frazioni con denominatore 2k maggiori di 0 e minori di 1. Nel secondo esempio si ha una maggiore varietà di denominatori, ma anche in questo caso si ottengono numeri razionali minori di 0 e non maggiori di 1. Sono possibili, evidentemente altri esempi. Una volta caratterizzato lo spiegamento dei generatori di numero reale, si procede alla costruzione del continuo in modo ‘parallelo’ anche se ‘divergente’ dal caso classico: un numero reale viene definito come una specie di generatori di numero reale ‘equiconvergenti’. Si tratta di una sorta di passaggio al quoziente che però non viene concluso in un oggetto, ma resta a livello di descrizione intensionale. Il continuo poi è la specie dei numeri reali. Per chiarire cosa si intenda per specie, lascio la parola a Heyting (1974): «La teoria delle specie è strettamente predicativa nel senso che gli elementi di una specie devono essere definiti indipendentemente dalla specie stessa. Noi partiamo con i numeri naturali; il livello successivo è formato da successioni di scelte di numeri naturali e da spiegamenti che possono essere considerati come specie di successioni di scelte. Specie di numeri naturali e spiegamenti sono specie di tipo 0. Una specie come NE [la specie delle specie non vuote di numeri naturali] è di tipo 1 e così via. La quantificazione sulle specie è ammessa ma solo ristretta agli elementi di un dato spiegamento o di una data specie» (Da Borga Palladio, 1997) 272 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 Heyting aggiunge poi un esempio: quello della specie S delle cifre dello sviluppo decimale di π che si presentano infinite volte. Con questo esempio mostra che la questione se un elemento appartenga ad una specie o no può essere non decisa (perché non si accetta il terzo escluso), ma che in ogni caso, sulla base delle conoscenze matematiche relative a numeri razionali, si ha che S∈NE, scrittura usata da Heyting stesso. Gli elementi del continuo sono determinati da uno schema generale di costruzione non ‘restrittivo’, ma aperto a possibili scelte diverse. Identificare il continuo con questi schemi generali di generazione ‘arbitraria e controllata’ richiede poi di studiare diversamente le proprietà del continuo sia con logica diversa che con apparati tecnici innovativi. Gli esempi che si sono mostrati prima sono quei particolari spiegamenti in cui per ogni lunghezza ci sono finite possibilità di prosecuzione ed essi vengono detti ventagli. Con questi ventagli si fornisce quella che viene detta rappresentazione canonica del continuo. In generale sono possibili anche spiegamenti in cui la legge di spiegamento ammette infinite scelte. L’ esempio mostrato dello spiegamento che parte da 1 e usa le leggi Ls: |nk+1 – 2nk| ≤ 1 e Lc(nk) = nk 2k , si ottengono (a meno di ‘e- quiconvergenza’ tutti i numeri reali dell’intervallo chiuso [0,1]. La successione di scelte che ‘tiene la sinistra’ 1 2 , 1 4 , 18 , 116 , … converge a 0, per eccesso, quella che ‘tiene la destra’ 1 2 , 3 4 , 7 8 , 15 16 ,…converge a 1, per difetto. Considerando come n1 un altro numero naturale si ottengono in- tervalli chiusi diversi, ad esempio con n1 = 5, la successione di scelte di sinistra converge a 2, per eccesso, quella di destra converge a 3 per difetto. Dice Heyting (1974): «Ad esempio, io parto senza restrizioni e scelgo 1 2 , 1 4 , 3 8 . A questo punto posso imporre la restrizione che ogni termine successivo sarà 3 . Un’altra possibilità è lasciare aperta la possibilità di scegliere sempre 3 , o 8 8 3 3 1 da n = k in avanti sempre . Nel secondo caso non so se la successione definirà il numero o un + 8 8 2k qualche numero un po’ più grande di 3 » (da Borga & Palladino, 1997). 8 Dal punto di vista classico la proposta dei ventagli come definizione di numero reale è accettabile ed innovativa, ma richiedere di pensare al ventaglio nella sua completezza, come processo ‘terminato’ Ed infatti le restrizioni imposte al ventaglio non escludono alcun numero reale visto però come limite di (eventualmente comune a più) successioni. Il punto di vista intuizionista non accetta questa visione dell’infinito come processo ‘terminato’, ma lo concepisce come un percorso che parte dalla radice procede lungo le diramazioni ed in ogni istante ci dà la conoscenza solo di un ‘segmento iniziale’ della successione. È quindi un processo in crescita che si basa su una conoscenza comunque finita. Quindi ciascun giudizio relativo alle successioni di scelte deve essere vero o falso solo sulla 273 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. base di una informazione finita nota ad un certo istante, cioè quella fornita dalla conoscenza delle leggi dello spiegamento e dal segmento iniziale della successione considerata. Questo atteggiamento ha importanti conseguenze sullo sviluppo dell’Analisi matematica. L’analogo di una ‘classica’ funzione di variabile reale f, associa un oggetto matematico ad ogni numero reale a, il che significa che il valore di f(a) dipende, in ogni istante, solo dalla conoscenza che si ha del ‘segmento iniziale’ di a, quindi se si sta considerando uno spiegamento, f(a) deve essere lo stesso per tutte le successioni che hanno (in quel momento) lo stesso segmento iniziale. Se però lo stesso segmento iniziale di a si può ottenere in spiegamenti diversi, allora il valore di f(a) può cambiare, dipendendo anche dall’informazione con- tenuta in a 9. Il Teorema del ventaglio o Principio di continuità di Brouwer, precisa rigorosamente questi fatti. Le conse- guenze sono molto sorprendenti e in contrasto con l’analisi Bruno De Finetti (1906 - 1985) classica: – ogni funzione ovunque definita è continua; Andrey Kolmogorov (1903 – 1987) – ogni funzione definita in un intervallo chiuso è ivi uniformemente continua. Si noti che in Analisi matematica classica le funzioni ovunque definite e discontinue costituiscono un insieme che ha cardinalità maggiore del continuo: basta considerare le funzioni caratteristiche di ogni sottinsieme di R, quelle che assumono il valore 1 se il numero reale appartiene al sottinsieme, 0 altrimenti. Quindi l’insieme di tali funzioni ha cardinalità maggiore o uguale a quella di P(R). Questi esempi però non contraddicono quanto provato da Brouwer, in quanto richiedono che per ogni numero reale si abbia che esso appartiene o non appartiene ad un certo sottinsieme, ma così facendo si assume il principio di terzo escluso, quindi le funzioni caratteristiche dei sottinsiemi non sono ovunque definite nel senso intuizionista. Una conseguenza di questo fatto è che il continuo intuizionista non ha sottospecie decidibili (tranne quelle banali, il vuoto ed il continuo stesso). In particolare non si riesca a distinguere tra la sottospecie dei razionali e quella degli irrazionali. 8.3.5. Hilbert e Brouwer. Il modo ampiamente originale di intendere la Matematica e la vis polemica messa in campo fin dalla pubblicazione della tesi da parte di Brouwer, non valsero a procurargli simpatie nell’ambiente matematico, probabilmente a causa un diffuso ‘positivismo’ sviluppatosi forse da una parte sulla base degli avanzamenti scientifici del XIX secolo, dall’altra come strenua ‘difesa’ culturale contro le stranezze introdotte dai paradossi. La polemica contro quello che Brou- 9 Questo tipo di atteggiamento nei confronti di enti matematici si ritrova nel calcolo delle probabilità secondo l’impostazione sogget- tivistica di De Finetti, con la conseguenza della non accettazione dell’assioma di σ-addittività proposto da Kolmogorov 274 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 wer chiamava ‘formalismo’ e che accomunava il logicismo di Frege e Russell, l’uso dei sistemi assiomatici per la teoria degli insiemi i postulati di Peano – Dedekind e di Hilbert, si svolge negli anni dal 1907 e 1908. Riprende poi nel 1913 con l’articolo sul Bullettin of the American Mathematical Society. Nei cinque anni intercorsi dal 1908 al 1913, Brouwer dà al mondo la dimostrazione della sua abilità scientifica, dimostrando i suoi risultati (classici) più importanti: – l’invarianza topologica della dimensione (fornendo una definizione matematica adeguata al concetto, lungamente cercata a partire da Cantor ed anche prima, e che porterà poi alla esibizione delle dimensioni frattali); – un teorema di punto fisso; – tecniche originali di triangolazione (poi utilizzate in topologia algebrica e da Weyl per sistemare in modo rigoroso la teoria delle superficie di Riemann); Dal 1918 al 1930 l’attività di Brouwer è intensissima sul fronte della matematica intuizionista, della filosofia e dei fondamenti. Precisa e chiarisce meglio le sue posizioni, produce nuove dimostrazioni di risultati classici accettabili anche dal punto di vista intuizionista. Di rilievo le dimostrazioni del – Teorema fondamentale dell’Algebra; Camille Jordan (1838 – 1922) – Il Teorema di Jordan sulle curve chiuse. Sicuramente l’argomento più difficile da affrontare è stato la sistemazione della Analisi intuizionista, sulla quale Brouwer torna più volte presentando anche idee contraddittorie. Da non sottovalutare, per le influenze negative che ebbe, un vago carattere da persona ‘ispirata’ che traspare dalle affermazioni che accompagnano gli sviluppi tecnici veri e propri, sul tono di chi ha ricevuto l’incarico di purificare la Matematica e la Logica dalle indebite intrusioni di principi metafisici e dagli abusi pericolosi del linguaggio. Alcuni matematici anche di notevole valore furono attratti ed affascinati dalle proposte di Brouwer. In particolare Weyl. Hilbert si scagliò, a più riprese contro le proposte dell’intuizionismo, in quanto per lui sacrificava ad una presa di posizione a priori troppi risultati della matematica ‘classica’ in analisi, in geometria e nelle teorie cantoriane o neo-cantoriane sui numeri trasfiniti. Nel 1922 in Neubegründung der Mathematik. Erste Mitteilung, Abhandlungen aus dem mathematischen Seminar der Hamburgischen Universität, 1, 157 – 177, Hilbert scriveva: «Ciò che fanno Weyl e Brouwer consiste, in linea di massima, nel percorrere la via che fu già di Kronecker: essi cercano di fondare la matematica gettando a mare tutto ciò che a loro appare scomodo e istituendo una dittatura del divieto alla Kronecker. Ma ciò significa smembrare e mutilare la nostra scienza, e seguendo questi riformatori corriamo il pericolo di perdere una gran parte dei nostri più preziosi tesori […]; no, Brouwer non è, come sostiene Weyl, la rivoluzione bensì solo la ripetizione con vecchi metodi di un tentativo di putsch che a suo tempo, pur essendo stato intrapreso con maggiore risolutezza, fallì miseramente e che adesso è condannato in partenza all’insuccesso poiché il potere statale è stato così ben armato e rafforzato da Frege, Dedekind e Cantor» (da Borga & Palladino, 1997) 275 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. Alcuni anni dopo, 1928, in Die Grundlagen der Mathematik Abhandlungen aus dem mathematischen Seminar der Hamburgischen Universität, 6, 267 – 289, rincarava la dose affermando: «Mi meraviglio che, stando così le cose, un matematico possa dubitare della rigorosa validità dell’inferenza del tertium non datur. Ancor più mi meraviglio che, come sembra, un’intera comunità di matematici si sia ritrovata a fare questo. Mi meraviglio soprattutto del fatto che anche nei circoli matematici la capacità di suggestione di un singolo uomo [Brouwer], dotato di forte carattere e ricco d’ingegno, riesca ad esercitare le più improbabili ed eccentriche influenze» (da Borga & Palladino, 1997) La polemica continua nell’intervento che Hilbert propone al Congresso internazionale dei matematici, svolto a Bologna nel 1928, ed in questo caso si colora anche di motivi politici. Infatti, dopo la prima guerra mondiale i matematici tedeschi non erano stati invitati a partecipare alle edizioni del congresso internazionale, a causa della guerra scatenata nel ‘14-‘18. La prima occasione per i germanici di partecipare al Congresso internazionale fu loro offerta nel 1928, a Bologna, appunto. Hilbert accettò l’invito, ma larghi strati dei matematici tedeschi aderirono boicottarono il congresso su proposta da Bieberbach 10 e tra questi Brouwer. Il contrasto tra Hilbert e il matematico olandese divenne insanabile quando il tedesco riuscì a fare estromettere Brouwer dal comitato di redazione dei Matematische Annalen, forse anche in conseguenza dei vari lavori sull’intuizionismo Ludwig Bieberbach (1886 – 1982) apparsi su tale rivista, ogni anno, dal 1924 al 1927. Einstein, che era nello stesso comitato di redazione mantenne una posizione neutrale, commentando privata- mente in un lettera che la disputa tra i matematici gli sembrava una guerra tra una rana e i topi. A conclusione di questa parte dedicata all’intuizionismo, questo approccio nato dal problema dei fondamenti si è via via rivelato più un metodo innovativo di fare e di pensare alla Matematica, che una vera e propria proposta fondazionali, in quanto l’eventuale presenza di paradossi e di contraddizioni nella Matematica non è vista se non come una debolezza del sistema di comunicazione e non della scienza nella Albert Einstein (1879 – 1955) sua sostanza intrinseca. Il costante riferimento alle costruzioni, di fatto, rende impossibile la presenza di una contraddizione. Invece le contraddizioni rivelano l’insostenibilità di una Matematica in cui il linguaggio e la Logica si fanno carico di descrivere una (inesistente) realtà ideale. 8.4. Formalismo. La figura di Hilbert, cui è stato dedicato un’ampia parte relativa alle Grundlagen der Geometrie, nel Capitolo 6, è stata delineata anche nelle varie occasioni in cui il suo nome è stato fatto per le ‘concordie’ o ‘discordie’ con altri matematici. Un ulteriore ‘tassello’ a comporre un ritratto di Hilbert ci 10 Durante il periodo nazista, Bieberbach fu il direttore di una rivista di ‘matematica ariana’, Deutsche Matematik. 276 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 viene offerto da un programma di ricerca che aveva esposto e poi cercato di realizzare, in varie riprese e tempi, per rispondere alla crisi dei fondamenti. Ci si riferisce alla sua proposta parlando, di formalismo o di finitismo o di programma di Hilbert. Non sono esattamente sinonimi, ma hanno ampie sovrapposizioni. 8.4.1. Dalla coerenza della Geometria a quella dell’Analisi. Già nel 1899, nelle Grundlagen, Hilbert si era posto un problema di carattere metateorico: quello della coerenza della Geometria. Aveva ricondotto questo alla coerenza dell’Analisi, tramite il metodo delle coordinate. Al Congresso di Parigi del 1900 aveva indicato il problema della coerenza dell’Analisi come uno dei principali campi di ricerca, ed aveva anche messo in luce la necessità di provare ciò mediante un metodo diretto (o interno) che facesse a meno della costruzione di un modello. Si trattava di un’importante novità che non fu compresa in modo completo. Nel 1901 sugli Archiv der Mathematik und Physik, 1, 44-63 e 213 – 217, compare la lista dei problemi presentati al convegno parigino. L’autore scrive: «Nella geometria si ottiene la dimostrazione della non contraddittorietà degli assiomi costruendo un opportuno dominio di numeri in modo che agli assiomi geometrici corrispondano analoghe relazioni tra i numeri di questo dominio e dunque tale che ogni contraddizione fra le conseguenze degli assiomi geometrici dovrebbe essere riconoscibile anche nell’aritmetica di questo dominio numerico. Quindi, in questa maniera, la desiderata dimostrazione della non contraddittorietà degli assiomi geometrici viene ricondotta al teorema della non contraddittorietà degli assiomi aritmetici Per dimostrare la non contraddittorietà degli assiomi aritmetici occorre invece una via diretta. Gli assiomi aritmetici, in sostanza, non sono altro che le note leggi del calcolo con l’aggiunta dell’assioma di continuità […]. Ora sono convinto che si deve riuscire a trovare una dimostrazione della non contraddittorietà degli assiomi aritmetici, se in considerazione dello scopo prefissato si rielaborano con precisione e si modificano in modo opportuno i noti metodi inferenziali della teoria dei numeri irrazionali.» (da Borga & Palladino, 1997). Questo brano contiene alcune chiare indicazioni accompagnate da altre che appaiono meno chiare. C’è evidenza della necessità di una coerenza relativa, che scarichi l’eventuale contraddizione di una teoria sull’apparato di un'altra teoria. Può essere poco chiaro cosa intenda Hilbert per aritmetica, ma la precisazione successiva della presenza dell’assioma di continuità fa pensare ad una teoria dei numeri reali, quindi gli assiomi di campo ordinato completo. Non è invece chiaro cosa si intenda per la rielaborazione “in modo opportuno” dei “noti metodi inferenziali”. In un articolo precedente Über den Zahlbegriff, Jahresbericht der Deutschen Mathematiker Vereinigung, 8 (1900), 180 – 184. Hilbert aveva presentato una teoria assiomatica per i numeri reali e sembrava attribuire poca difficoltà al problema della non contraddittorietà: «Per dimostrare la non contraddittorietà degli assiomi costituiti, occorre soltanto un’idonea modifica di noti argomenti dimostrativi.» (da Borga & Palladino, 1997). Sembra di risentire Eulero che nel 1732 in De formis radicum aequationum cujusque ordinis conjectatio e De resolutione aequationum cuiusvis gradus, del 1762 ribadisce che le soluzioni di un’equazione algebrica di qualsivoglia grado possono essere ottenute come somma di radicali, in vario modo. 277 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. Queste affermazioni di Hilbert e di Eulero aprono la strada ad un problema filosofico complesso: quanto ci si può fidare della sensazione di generalità che certe esperienze comportano e come si giustifica, sulla base della nostra esperienza necessariamente finita, questa esigenza? Dal primo brano riportato è inoltre ovvia lo statuto della Geometria nei confronti dell’Analisi:per la prima disciplina è possibile il ricorso ad un qualcosa di esterno, per l’Analisi questo è da evitare. La pubblicazione del lavoro di Russell del 1903, con la presentazione del suo paradosso, cambia di gran lunga la situazione e la ‘fiducia’ nei processi di generalizzazione. Non era più possibile ‘fidarsi’ neppure dei sistemi assiomatici e quindi c’era bisogno di un ripensamento. Nel 1904 al convegno di Heidelberg, Hilbert presenta un contributo dal titolo Über die Grundlagen der Logik und der Aritmetik, che appare nel 1905 sugli atti del convegno: Verhandlungen des dritten internationalen Matematiker-Congresse in Heidelberg von 8, bis 13 August 1904. In questa opera chiarisce il ruolo diverso della Geometria e dell’Analisi (che continua a chiamare Aritmetica): «Mentre oggi c’è un accordo essenziale sul cammino da percorrere e sugli obiettivi da ricercare quando si è coinvolti nelle ricerca dei fondamenti della geometria, la situazione è abbastanza diversa nei riguardi della ricerca dei fondamenti dell’aritmetica: qui i ricercatori mantengono ancora una ampia varietà di opinioni nettamente in conflitto. In realtà, alcune delle difficoltà nei fondamenti dell’aritmetica sono di natura diversa da quelle che sono state superate quando si è giunti a stabilire i fondamenti della geometria. Esaminando i fondamenti della geometria ci è stato possibile lasciare da parte certe difficoltà di natura puramente aritmetica; ma il ricorso ad un’altra disciplina fondamentale non sembra consentito quando sono di scena i fondamenti dell’aritmetica. » (da Van Heijenoort, 1967) A questo punto Hilbert passa in rassegna i diversi punti di vista elaborati nel XIX secolo a riguardo dell’aritmetica, partendo da Kronecker per giungere a Frege, Dedekind e Cantor. In questa analisi viene messo in luce come la poca chiarezza di cosa si debba intendere per ‘universo degli insiemi’ o Bereich, rende di fatto impossibile fare ricorso ad un modello. Per questo Hilbert propone di attenersi al metodo assiomatico, introducendo, in questo modo un approccio totalmente nuovo al problema della coerenza. La proposta di Hilbert non è organica, ma il suo intervento al Congresso di Heidelberg mette in evidenza alcuni di quelli che saranno poi i punti centrali della sua speculazione: 1) necessità di sviluppare assieme aritmetica e logica. Scrive infatti: «L’aritmetica è considerata spesso come una parte della logica e le tradizionali nozioni logiche fondamentali sono, usualmente, considerate come presupposti quando si deve stabilire un fondamento per l’aritmetica. Ma se osserviamo con attenzione, ci rendiamo conto che nelle esposizioni tradizionali delle leggi logiche sono utilizzate nozioni aritmetiche fondamentali, per esempio la nozione di insieme e, fino ad un certo punto, anche quella di numero. Così stiamo girando in circolo e questo è il motivo per cui si richiede uno sviluppo parzialmente simultaneo delle leggi della logica e dell’aritmetica, se si devono evitare i paradossi.» (da Van Heijenoort, 1967) 2) Ridurre l’aritmetica ad un insieme di formule sulle quali operare mediante derivazioni formali. 3) Assumere l’esistenza extralogica di oggetti fondamentali, in generale oggetti del pensiero (Gedankending), e delle loro combinazioni. 278 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 Si tratta ed ancor più si trattava di un programma di ricerca non completamente chiaro e alle critiche che aveva fatto Frege sull’idea di coerenza sintattica, si aggiungevano, per quanto riguarda l’Aritmetica anche quelle di Peano e della sua scuola. Scrive infatti Alessandro Padoa (1868 – 1937) in Le problème n. 2 de M. David Hilbert, L’Enseignement Mathématique, 5 (1903), 85 – 91: «Il sig. Hilbert prosegue: “Ora sono convinto che si deve riuscire a trovare una dimostrazione della non contraddittorietà degli assiomi aritmetici, se in considerazione dello scopo prefissato si rielaborano con precisione e si modificano in modo opportuno i noti metodi inferenziali della teoria dei numeri irrazionali”. Strana convinzione quella del sig. Hilbert. Si può risparmiare la fatica di modificare non importa quale metodo di ragionamento, perché non approderà a niente. In effetti, le contraddizioni o le dipendenze fra proposizioni non possono essere dimostrate che per mezzo di ragionamenti deduttivi, mentre le non contraddizioni o le indipendenze fra proposizioni non possono essere dimostrate che per mezzo di constatazioni (si constata che delle interpretazioni opportunamente scelte dei simboli verificano o non verificano le proposizioni in questione).» (da Borga & Palladino, 1997). Padoa riteneva Hilbert responsabile di non avere dato corretto rilievo alla sua proposta di un metodo semantico per mostrare l’indipendenza di un termine dagli altri assunti come primitivi, e quindi una forma di ‘coerenza’ del sistema. Il metodo è ancora oggi noto come metodo di Padoa ed ha influito sulla ricerca della definibilità implicita (Teorema di Beth). Quella del modello era per Peano e la sua scuola il modo fondamentale per provare la coerenza. Unica voce (temporaneamente) dissonante tra i logici italiani era quella di Pieri che in Circa il teorema fondamentale di Staudt e i principi della geometria proiettiva, nel 1903, scriveva: «[…] non so condividere l’opinione del prof. A. Padoa […] che sia vano a priori qualunque sforzo per ottenere (come appunto vorrebbe il sig. Hilbert) “une démonstration directe de la non-contradiction des axiomes de l’arithmétique”. » (da Borga & Palladino, 1997) 8.4.2. La ripresa del programma nel secondo Hilbert. Il lavoro del 1904 (1905) aveva gettato il seme del programma. Hilbert però passa ad altri argomenti più tecnici. La speculazione sul tema dei fondamenti viene ripresa nel 1917 con una conferenza tenuta a Zurigo e in seguito pubblicata come Axiomatisches Denken, Mathematische Annalen 78 (1918) 405 – 415. Questa conferenza apre un periodo che vede Hilbert impegnato ad esporre le sue riflessioni in conferenze, molte delle quali poi pubblicate, a Copenaghen e ad Amburgo, a Lipsia, Münster, ancora ad Amburgo ed a Bologna in occasione del Congresso del 1928. In esse riprende e chiarisce le idee pubblicate nel 1905 ed elabora un approccio, che prenderà il nome di Metamatematica. Con esso cerca di stabilire delle proprietà di formule che si conservino per regole inferenziali, proprietà che non siano presenti nelle contraddizioni. Il suo è un programma solo delineato, ma dà origine alla Teoria della dimostrazione in cui, per la prima volta le dimostrazioni divengono oggetti matematici e non strumenti da utilizzare per altri scopi. Il più che decennio di silenzio potrebbe essere stato motivato sia dal ‘fiorire’ dei paradossi tra il 1903 e il 1908, dallo sviluppo della proposta logicista di Russell che a lungo era sembrata la soluzione dei problemi. Ma ad 279 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. un certo punto, preoccupato del successo dell’intuizionismo, per i “tentennamenti” dei matematici (per dirla con Weyl), prossimo ormai ai sessanta anni, Hilbert torna in campo e indica un programma ‘organico’ in base al quale (a) le teorie matematiche devono essere presentate come sistemi formali, ossia come sistemi assiomatici in cui siano completamente esplicitati linguaggio, assiomi e regole di deduzione; (b) con appropriati mezzi si deve fornire una dimostrazione diretta di non contraddittorietà, nell’ambito della teoria della dimostrazione. Per soddisfare il punto (b) in modo preciso, il vero obiettivo della proposta di Hilbert, è indispensabile soddisfare il punto (a). Per fare questo è necessario esplicitare la parte logica. C’è dunque differenza tra assiomatizzazione e formalizzazione. Il sistema assiomatico di Peano, tra l’altro scritto con linguaggio simbolico abbastanza elaborato, non è un sistema formale perché manca ad esso la precisa esplicitazione del sistema logico da utilizzare. Senza ciò una domanda fondamentale in matematica: che cosa è una dimostrazione, resta senza risposta, o al più si sanno fornire esempi. Ma siccome per Hilbert è indispensabile analizzare dal punto di vista matematico anche le dimostrazioni, questa situazione, basata su un ‘accordo tra gentiluomini’ non è soddisfacente. In questo modo il ruolo della Logica cambia, divenendo ora basilare per la ricerca dei Fondamenti della Matematica. 8.4.3. Il sistema logico di Hilbert. Si tornerà in seguito sulla Logica e su come sia possibile formularla. Qui ci si accontenta di presentare in modo succinto una proposta, abbastanza vicina ad una proposta di Hilbert e Ackermann (1928) Grundzüge der theoretischen Logik, Springer. Il sistema è scelto in modo da rendere il più possibile semplice la dimostrazione di alcuni teoremi di Logica. Wilhelm Ackermann (1896 – 1962) 8.4.3.1. Calcolo delle proposizioni. Si parla di ‘calcoli’ (eredità leibniziana). Il più semplice è di ordine zero (calcolo delle proposizioni).Esso parte da un al- fabeto (solitamente numerabile) di simboli: un insieme E i cui elementi sono detti proposizioni (atomiche o elementari), due simboli ‘¬’, ‘→’, detti connettivi e le parentesi ‘(‘ e ‘)’. Con questi ingredienti si costruisce un insieme For i cui elementi sono detti ‘formule (di ordine zero)’ o ‘proposizioni’, assieme ad un carattere numerico, la complessità, una funzione c: For → N, con semplici re- gole: – E ⊆ For, quindi ogni elemento p di E è una proposizione con c(p) = 0; – per ogni π∈For, (¬π)∈For e c(¬π) = 1 + c(π); – per ogni π,ρ∈For, (π→ρ)∈For e c(π→ρ) = 1 + c(π) + c(ρ); 280 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 – niente altro. La definizione avrebbe potuto essere data in modo migliore, parlando di una relazione contenuta in (For×N) su cui poi mostrare che si tratta di una funzione con dominio For e condominio N. L’ultima condizione può sorprendere, ma assieme al concetto di complessità, il numero di connettivi presenti nella formula, è quella che permette di ottenere diverse dimostrazioni mediante l’induzione su N. in quanto ogni proposizione è o elementare oppure è ottenibile come ‘combinazione’ di segni e proposizioni, nel modo specificato dalle altre clausole. Questa parte spiega gli aspetti morfologici del calcolo delle proposizioni. La specificazione degli aspetti morfologici è assente dal sistema di Peano. Per gli scopi di formalizzazione, è indispensabile aggiungere una lista di assiomi. Nel sistema di Peano sono indicati esplicitamente degli assiomi che riguardano i fatti aritmetici, gli assiomi propri della teoria, mancano quelli del generico sistema logico che riguarda le proposizioni che si possono ‘costruire’ col linguaggio prescelto, i cosiddetti assiomi logici. Vediamo gli assiomi logici. Abbiamo due scelte: definire un numero finito di assiomi e poi una regola (di sostituzione) che permetta di ‘ricopiare’ gli assiomi secondo le esigenze, oppure fornire schemi decidibili di assiomi. Qui seguiamo la seconda strada, considerando formule con proposizioni generiche, che assumono il ruolo di meta-variabili: per ogni π, ρ, σ∈For, A1) (π → (ρ → π)); A2) ((π → (ρ → σ)) → ((π → ρ) → (π → σ)); A3) (((¬ρ) → (¬π)) → (((¬ρ) → π) → ρ)). Si assume poi una regola di inferenza (primitiva) il Modus Ponens (MP). π , (π → ρ ) ρ Si dice che una formula π è deducibile da un insieme Γ di formule, in simboli Γ├ π se esiste una successione finita di formule che ha come ultimo termine a formula π in cui compaiono esclusivamente formule che sono a) esempi degli assiomi logici A1) – A3); b) elementi di Γ; c) ricavati da formule precedenti per mezzo della regola MP. Se l’insieme Γ è l’insieme vuoto, e π è una formula tale che ∅├ π, allora si scrive più semplicemente ├ π e si dice che π è un teorema logico. Una teoria T nel calcolo proposizionale è un insieme di formule. In questo caso, invece di scrivere T├ π, si preferisce affermare che π è un teorema di T e si scrive ├T π. Il concetto di teoria 281 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. del calcolo proposizionale è assai poco utilizzato, ma lo si è riportato in quanto si ripresenta poi in altri ambiti più complessi. Con questa presentazione del calcolo delle proposizioni è facile ottenere alcuni importanti teoremi. Il primo apparentemente banale afferma che Γ è un insieme di formule di For, Γ├ π se e solo se esiste un sottinsieme finito Γ0 ⊆ Γ tale che Γ0├ π (proprietà di compattezza sintattica). Il secondo di dimostrazione più complessa è il Teorema di deduzione che afferma, dati un insieme di formule Γ e due formule σ, π∈For, si ha Γ∪{σ}├ π se e solo se Γ ├ (σ → π). Il calcolo delle proposizioni ha una parte semantica che è assai nota, essendo data dal metodo delle tavole di verità che si sono giustificate nel Capitolo 4. Il rapporto tra sintassi e semantica è dato dal teorema di completezza che afferma ├ π se e solo se ╞ π, intendendo con questo secondo simbolo che π è una tautologia, cioè comunque si assegni valore alle proposizioni elementari presenti nella formula si ottiene il valore ‘vero’. Anche questo risultato viene provato in modo abbastanza semplice, basandosi quasi interamente sul Teorema di Boole sullo sviluppo visto in 4.2.3., quindi in modo costruttivo. Un risultato più generale si basa sul concetto di ‘implicazione logica’. Si dice che l’insieme di proposizioni Γ implica logicamente la proposizione π, o che π è conseguenza logica di Γ, in simboli, Γ ╞ π, se ogni assegnazione di valore alle proposizioni elementari presenti nelle formule di Γ e in π che rende vera tutte le formule di Γ, rende vera anche π. Anche con questa nozione più generale si una ‘completezza’ vale a dire si prova Γ ├ π se e solo se Γ ╞ π. La presentazione ‘alla Hilbert’ del calcolo delle proposizioni rende abbastanza facile la dimostrazione di questi risultati, ma è assai lontano dalla logica che si può trovare nella pratica matematica, dato che la scelta di privilegiare il connettivo di implicazione (e la negazione) mostra la preoccupazione metamatematica di fornire un’analisi delle dimostrazioni. La scelta rende però difficile, ma non impossibile, la trattazione dei connettivi di congiunzione e disgiunzione, più spesso presenti nelle dimostrazioni in Matematica. 8.4.3.2. Calcolo dei predicati (del 1° ordine). Il calcolo delle proposizioni e il calcolo della classi di Boole ed altri sono, sostanzialmente lo stesso oggetto matematico. L’innovazione si ha con Frege e poi con lo studio delle proprietà delle relazioni. Ciò si risolve con l’introduzione dei predicati, e questo complica notevolmente molti aspetti che nelle proposizioni sono semplici. Intanto l’alfabeto diviene un insieme strutturato in modo complesso. L’alfabeto di un calcolo dei predicati del 1° ordine è costituito dall’unione di vari insiemi disgiunti: 282 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 – un insieme X i cui elementi sono detti variabili individuali; solitamente si considera un insieme numerabile con una data enumerazione; – l’insieme delle costanti logiche {¬,→, ∀} i primi due connettivi e il terzo quantificatore (universale); – l’insieme dei simboli ausiliari {,,(,)} la prima virgola qui scritta in neretto è un simbolo, da non confondere con la virgola usata nell’elencazione degli elementi di un insieme; – un insieme C eventualmente vuoto i cui elementi sono detti costanti individuali; – un insieme Pr dei predicati che è unione, per ogni n∈N, di insiemi disgiunti Prn, e gli elementi di Pr sono detti predicati e più specificamente gli elementi di Prn sono detti predicati n-ari; – in insieme Fn che è unione per ogni n∈N, di insiemi disgiunti Fnm, e gli elementi di Fn sono detti simboli funzionali e più specificamente gli elementi di Fnm sono detti simboli funzionali m-ari. L’unione dei primi tre insiemi costituisce la cosiddetta parte comune ad ogni linguaggio dei predicati del 1° ordine. Ogni alfabeto risulta quindi individuato perfettamente conoscendo la terna di insiemi C, Pr e Fn. Su di essi si pone la condizione che (Pr∪Fn) ≠ ∅. Tra gli elementi di Pr2 ci può essere il simbolo =, però ci sono teorie (quella degli insiemi) che non lo prevedono. La semplice individuazione dell’alfabeto e della conseguente parte morfologica del calcolo dei predicati ha occupato per lungo tempo i logici tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Un concetto che non si può porre nel linguaggio delle proposizioni è quello di termine (che si fornisce assieme ad altri enti), costruendo l’insieme Ter dei termini e la funzione altezza h: Ter → N e la funzione lib: Ter → Pfin(X) insieme dei sottinsiemi finiti di X. Si pongono le seguenti clausole – X ⊆ Ter, e per ogni elemento x∈X, si pone h(x) = 0, lib(x) = {x}; – C ⊆ Ter, e per ogni elemento c∈C, si pone h(c) = 0, lib(c) = ∅; – siano dati i termini t1,…,ts∈Ter e sia f∈Fns, allora f(t1,…,ts)∈Ter e h(f(t1,…,ts)) = 1+h(t1)+…+h(ts), lib(f(t1,…,ts)) = (lib(t1)∪…∪lib(ts)) ; – niente altro. L’altezza di un termine è il numero di simboli funzionali usati per costruire il termine. A questo punto si definisce l’insieme For delle formule, iniziando con At, le formule atomiche. Anche nel caso delle formule si definisce tale insieme e contemporaneamente una funzione complessità c, una funzione lib e una ulteriore funzione sf, tali che c: For → N; lib : For → Pfin(X); sf: For → Pfin(For). Prima le formule atomiche: per ogni P∈Prm, per ogni t1,..,tm∈Ter, P(t1,…,tm)∈At. Si dà la definizione di For con le seguenti clausole: 283 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. – At ⊆ For e se P(t1,…,tm)∈At e si ha c(P(t1,…,tm)) = 0, lib(P(t1,…,tm)) = (lib(t1)∪…∪lib(tm)) e sf(P(t1,…,tm)) = {P(t1,…,tm)}; – per ogni φ∈For, (¬φ)∈For e si ha c(¬φ) = 1 + c(φ), lib(¬φ) = lib(φ), sf(¬φ) = (sf(φ)∪{ ¬φ}); – per ogni φ,χ ∈For, (φ→χ)∈For e si ha c(φ→χ) = 1 + c(φ) + c(χ), lib(φ→χ) = (lib(φ)∪lib(χ)), sf(φ→χ) = (sf(φ)∪sf(χ)∪{ (φ→χ )}); – per ogni φ∈For, per ogni x∈X, ∀x(φ)∈For e si ha c(∀x(φ)) = 1 + c(φ), lib(∀x(φ)) = (lib(φ) – {x}), sf(∀x(φ)) = (sf(φ)∪{∀x(φ)}); – niente altro. Una formula φ tale che lib(φ) = ∅ si dice un enunciato. Gli aspetti morfologici da considerare sono abbastanza complessi e non si esauriscono nelle regole di formazione dei termini e delle formule, ma riguardano anche le sostituzioni, ma non è il caso di soffermarcisi. La sintassi si ottiene aggiungendo agli assiomi proposizionali altri due assiomi ed un nuova regola: A4) (∀x(φ) → φ(t)), purché t sia un qualunque termine sostituibile ad x in φ(x); A5) (∀x(φ → χ) → (φ →∀x(χ))), purché x non sia libera in φ. La regola aggiunta è la generalizzazione (Gen) ϕ ( x) . ∀x(ϕ ( x)) Non si ripetono le considerazioni viste a riguardo del calcolo delle proposizioni. Anche in questo caso è possibile dare una semantica, molto più complessa di quella delle proposizioni, semantica che è apparsa ben dopo la formulazione sintattica di Hilbert, attorno al 1936, ad opera di Tarski. In questa nuova semantica si distinguono vari aspetti. Lo stesso, con opportune modifiche si possono provare il teorema di deduzione e di completezza, perdendo, però l’aspetto di costruibilità. Un accenno alla logica dei predicati del secondo ordine. In essa si possono quantificare anche i predicati, quindi il linguaggio contiene simboli analoghi alle variabili individuali che sono indicati come variabili predicative. Le regole di formazione delle formule vanno adeguatamente modificate così come il concetto di presenze libere e vincolate, e si aggiungono due nuovi assiomi ed una nuova regola di inferenza A42) (∀P(φ) → φ(P)) A52) (∀P(φ → χ) → (φ → ∀P(χ))) purché P non sia libero in φ. E la regola, di generalizzazione al secondo ordine, Gen2, data da ϕ ( P) ∀P(ϕ ) 284 . C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 8.4.4. Il programma di Hilbert. Si è già discusso in 6.1. il ruolo della coerenza per Hilbert. Lo studioso intendeva che la coerenza sintattica era garanzia di coerenza semantica, quindi rivestiva anche un ruolo ontologico. Hilbert pone il problema di provare direttamente la coerenza (sintattica) dell’Analisi. Abbiamo già visto che il problema può essere formulato come l’affermazione che esiste almeno un enunciato non dimostrabile. In realtà, come si proverà in un successivo capitolo, l’equivalenza tra la dimostrabilità di una contraddizione e la dimostrabilità di ogni enunciato si basa su una logica almeno intuizionista. Ma ci sono logiche ancora più deboli in cui le due richieste sono distinte. La proposta di Hilbert, cui si è accennato sopra, è quella di trovare una proprietà comune a tutti gli assiomi ed ai postulati di una specifica teoria, che si conservi per regole di inferenza e che una contraddizione, o almeno una formula non ha. Si conclude in questo modo che avendo tutte le formule dimostrabili in quella teoria la stessa proprietà, la teoria è coerente. Questo è uno schema possibile per provare la coerenza di una teoria, che però ha il grosso limite nel fatto che non sono generalmente note le proprietà da cercare per applicare lo schema detto. Inoltre una dimostrazione diretta di coerenza, di fatto si avvale di altri risultati, quelli che mostrano che le dimostrazioni (oggetti di un linguaggio) hanno una certa proprietà e che questa si conserva con opportuni passaggi (quindi si tratta di considerazioni che si svolgono ad un livello superiore). Nasce allora il problema di vedere se le tecniche da usare al livello superiore sono o no corrette ed accettabili. Hilbert si rende conto di ciò e perciò propone che gli strumenti da usare per analizzare le dimostrazioni siano ‘finitisti’. Cosa davvero intenda per questo termine non è mai stato chiarito, anche se c’è un generale consenso a definire questo programma di ricerca anche col nome di finitismo hilbertiano. Un chiarimento ci proviene dalle parole di Herbrand, pubblicate nel 1931, in Sur la noncontradiction de l’aritmétique, Journal für die reine un angewandte Mathematik, Jacques Herbrand (1908 – 1931) 166, 1 -8.. «Per ragionamento intuizionista si intende un ragionamento che soddisfa le seguenti condizioni: si tratta sempre solo con un numero finito e determinato di oggetti e di funzioni; queste sono ben definite, permettendo la loro definizione il calcolo univoco dei loro valori; non si afferma mai l’esistenza di un oggetto senza indicare come costruirlo; non si considera mai l’insieme di tutti gli oggetti x di una totalità infinita; e quando si dice che un ragionamento (o un teorema) vale per tutti questi x, questo significa che per ogni x particolare è possibile ripetere il ragionamento generale in questione, che deve quindi essere considerato come il prototipo di questi ragionamenti particolari» (da Borga & Palladino, 1997) È assai ‘stonato’ l’aggettivo ‘intuizionista’ usato da Herbrand per parlare di una proposta di Hilbert, visti i suoi dissapori con Brouwer. È pur vero che tra le proposte degli intuizionisti, o più in generale dei processi costruttivi, e quelle del formalismo-finitismo hilbertiano in quegli anni non c’era grande chiarezza. Questa confusione si protrasse per un po’ di tempo e ciò fa capire come le propo285 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. ste fondazionali di Hilbert e la sua polemica con Brouwer potessero risultare, complessivamente poco chiare. Solo dopo la traduzione di Gödel e Getzen dell’aritmetica classica in quella intuizionista, si comprese come i metodi finitisti fossero più restrittivi di quelli intuizionisti. Dunque, a priori, era mediante i metodi di Hilbert che si applicava una riduzione della Matematica ancora più drastica di quella proposta da Brouwer e i suoi sostenitori. Per fare meglio comprendere in che cosa consistano i metodi finitisti, si confronti la dimostrazione del fatto che (34·24) = (2·3)4. Per induzione si riesce a provare che ∀a∈N∀b∈N∀c∈N((ac·bc) = (a·b)c) da cui, particolarizzando, si ottiene la richiesta uguaglianza. La dimostrazione per induzione è una proprietà che utilizza (o richiama) la totalità dei numeri naturali. Per un intuizionista essa è una sorta di meta-procedura che indica come provare, una volta fissati i numeri che intervengono, si può dare una costruzione effettiva per il caso in considerazione. Invece, la dimostrazione finitista, dell’uguaglianza di (34·24) = (2·3)4 richiede il computo diretto di questo risultato, senza necessità di desumere da questo regole generali. Questo esempio, assai grossolano, è anche discutibile in quanto Hilbert non diede mai una precisa definizione di cosa intendesse per finitismo. Quello che lui sperava era che si potesse ottenere una dimostrazione di coerenza (all’interno della stessa teoria) e, come tale, assunto che la dimostrazione sia una successione finita di formule, evidentemente ottenuta in modo finitista. Quindi, se si ottenesse una tale dimostrazione non ci sarebbero dubbi sul suo finitismo. La precisa definizione di finitismo è invece richiesta per dimostrare che una tale dimostrazione non può esistere. Feferman ha proposto una sorta di paragone con le costruzioni mediante riga e compasso in ambito geometrico. Se una costruzione è eseguibile, essa stessa dà evidenza della sua esistenza. Se per un certo problema non si trova la costruibilità della soluzione per riga e compasso, questo non vuol dire che non esista una Solomon Feferman (n. 1928) costruzione con questi strumenti. Provare che una costruzione, ad esempio la rettificazione della circonferenza, datone il raggio, non è realizzabile con gli strumenti classici, ci è voluta una diversa indagine sulla natura algebrica degli enti costruibili con riga e compasso. Il programma di Hilbert aveva lo scopo di fornire una dimostrazione della coerenza dell’Analisi, ma più in generale di una qualsiasi teoria ‘importante’ per la Matematica, riconducendola al suo nucleo finitista. Questo secondo aspetto del programma, viene detto della riduzione ed è in parte diverso da quello della coerenza. Per capire la differenza bisogna prima, seguendo una distinzione hilbertiana, distinguere tra asserzioni ideali e asserzioni reali, seguendo Hilbert (1926) Über das Unendliche, Matematische Annalen, 95, 161 – 190, uno scritto in onore di Weierstrass presentato nel 1925: 286 C. Marchini – Appunti delle lezioni di Fondamenti della Matematica Anno Accademico 2009/2010 «Scegliamo una qualunque formula dalla ricca moltitudine di formule elementari, per esempio 1 n(n+1)(2n+1) 6 Poiché in essa possiamo sostituire ogni intero al posto di n, per esempio n = 2 o n = 5, questa formula contiene infinite proposizioni e questo è ciò che di essenziale c’è riguardo ad essa; ciò avviene in quanto costituisce la soluzione di un problema aritmetico e in quanto la dimostrazione richiede un vero e proprio atto di pensiero, mentre ciascuna delle specifiche uguaglianze numeriche 1 12 + 22 = ·2·3·5 6 e 1 12 + 22 + 32 + 42 + 52 = ·5·6·11 6 può essere verificata con semplici calcoli e quindi non c’è interesse a considerarle di per sé. Presentiamo un’altra, interamente differente interpretazione, o caratterizzazione fondamentale, della nozione di infinito quando consideriamo il metodo così estremamente importante e fertile degli elementi ideali. Il metodo ha un’applicazione già nella teoria elementare del piano. In essa i punti e le rette del piano sono, inizialmente gli unici oggetti reali, di fatto, esistenti inizialmente. L’assioma di connessione, tra gli altri possibili, vale tra punti e rette. Da esso si deduce che due rette si intersecano al più in un punto. La proposizione che comunque prese due rette queste si intersecano in un punto, non è valida; piuttosto le due rette possono essere parallele. Ma, come è ben noto, l’introduzione degli elementi ideali, cioè dei punti all’infinito trasforma la proposizione in base alla quale due rette si intersecano in uno ed un solo punto, valida universalmente. Gli elementi ideali “all’infinito” hanno il vantaggio di rendere il sistema delle leggi di connessione il più possibile semplice e comprensibile. Come è noto la simmetria tra punto e retta produce il principio di dualità della geometria, che è così fecondo.» 12 + 22 + 32 + … + n2 = (da Van Heijenoort, 1967) Le asserzioni reali sono esemplificate da (34·24) = (2·3)4. Essa possiede un significato finitista, mentre tutte le asserzioni che trattano dell’infinito, pur così importante in Matematica non hanno un significato finitista. E ancora Hilbert (1926) afferma: «Abbiamo osservato in precedenza che l’infinito non può essere ritrovato in alcun modo nella realtà, non importa quali esperienze ed osservazioni o quale tipo di scienza vogliamo addurre. […]. Consideriamo la natura ed i metodi della consueta teoria dei numeri finitaria. Può essere certamente sviluppata attraverso la costruzione di numeri esclusivamente per mezzo di considerazioni contenutistiche intuitive. Ma la scienza della Matematica non si esaurisce con uguaglianze numeriche e non si può ridurre solo a queste. Si potrebbe affermare tuttavia, che si tratta di un apparato che può fornire sempre equazioni numeriche corrette quando viene applicato agli interi. Ma, allora, siamo obbligati a investigare la struttura di tale apparato in modo sufficiente da rendere questo fatto apparente. E l’unico strumento che è a nostra disposizione in questa indagine è lo stesso che usiamo per ottenere le uguaglianze numeriche nella costruzione della stessa teoria dei numeri, cioè un interesse per i contenuti concreti, la struttura finitistica della mente. Tale richiesta scientifica può essere, infatti, soddisfatta; cioè è possibile in via puramente intuitiva e finitaria, così come avviene per le verità della teoria dei numeri, quelle intuizioni che garantiscono l’affidabilità dell’apparato matematico.» (da Van Heijenoort, 1967). Pertanto il ricorso ad elementi ideali o affermazioni generali che riguardano l’infinito sono riconducibili solo ad esperienze finite, anche se necessariamente devono trascendere da esse. Il lavoro da cui si sono tratte le due precedenti citazioni ha rilevanza filosofica perché fa intendere che Hilbert col suo programma voleva conciliare gli usi ‘disinvolti’ dell’infinito di origine cantoriana, con il costruttivismo di Kronecker. Quindi la sua posizione è che si può usare l’infinito per provare in modo più semplice e comodo asserzioni reali, anche se queste tecniche sono, in linea di principio, evitabili. 8.4.5. Le conferme al programma di Hilbert. Hilbert aveva un insieme di collaboratori – discepoli, di grandi qualità scientifiche. Essi erano impegnati nel cercare di confermare con risultati specifici 287 Capitolo 8 Altre soluzioni dei paradossi. quanto proposto dal loro maestro. In questo fervore di studi si ebbe un primo risultato di rilievo ad opera di Ackermann. Egli riuscì a provare che era possibile costruire un’interpretazione della Teoria degli insiemi (senza assioma di infinito) all’interno dell’Aritmetica, dando, cioè significato alla relazione di appartenenza, costruita mediante la divisibilità. In questa interpretazione non vale l’assioma di infinito, ma vale anche l’assioma della scelta. In un certo modo tale risultato era una sorta di ‘verifica’ del fatto che anche teorie che trattano dell’infinito hanno un nucleo finitario. Inoltre sempre lo stesso Ackermann, sviluppando alcune proposte di Hilbert, ed in particolare considerando un calcolo logico con ‘designatore’, sembrava avere ottenuto una dimostrazione finitista di coerenza dell’Analisi. Nel 1924 presenta questo lavoro, Begründung des tertium non datur mittels des Hilbertschen Teorie der Widerspruchsfreiheit, Mathematischen Annalen, 93 , 1 – 36. Nel cenacolo hilbertiano questi risultati contribuirono a creare un clima di fiducia sulla realizzazione del programma. Nella correzione delle bozze però Ackermann si accorge che doveva apportare delle modifiche e per questo aggiunge una nota in cui introduce una restrizione alla regola di sostituzione. Ma con la modifica non appare più chiaro quale sia il sistema di cui si è provata in tale modo la coerenza. Anche con le correzioni sono presenti imprecisioni nell’ultima parte. Alla lettura del lavoro di Ackermann, Von Neumann scrive un testo, che appare solo nel 1927, Zur Hilbertschen Beweistheorie, Mathematische Zeitschrift, 26, 1 – 46 in cui presenta una diversa dimostrazione della coerenza dell’Analisi. Tale dimostrazione viene accettata come risposta al problema della coerenza dell’aritmetica del primo ordine in cui l’induzione venga applicata solo a formule senza quantificatori. A questo punto nel circolo hilbertiano si ha la sensazione che la dimostrazione della coerenza di tutta l’aritmetica del primo ordine sia a portata di mano, con qualche generalizzazione delle dimostrazioni di Von Neumann o di Ackermann. Questa ‘sensazione’ viene affermata da Hilbert (1928): «Per la fondazione dell’analisi usuale egli [Ackermann] ha sviluppato la strategia dimostrativa fino al punto che il compito residuo consiste ormai soltanto nell’esecuzione di una dimostrazione puramente matematica di finitezza.» (da Borga & Palladino, 1997) È questa un’altra occasione in cui Hilbert ha dato prova di eccessivo ottimismo, sulla scia delle affermazioni fiduciose fatte anche al Congresso di Parigi del 1900. I risultati concreti dimostrati fino a quel punto, sebbene parziali, potevano giustificare l’ottimismo, e la cosa non era solo un’impressione della sua scuola, anzi anche alcuni oppositori di Hilbert sul piano dei fondamenti davano la cosa come già avvenuta. Si capisce quindi lo sconcerto nell’ambiente del tempo, alla presentazione dei risultati di Gödel. 288