A seguito di alcune domande poste già nel 1901, Bertrand russell
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A seguito di alcune domande poste già nel 1901, Bertrand russell
LE ANTINOMIE Il termine antinomia deriva dal greco antinomía (antí contro e nómos legge) ed indica la compresenza, in un ragionamento, di due soluzioni reciprocamente esclusive e contraddittorie, entrambe ugualmente dimostrabili. Essa è spesso definita paradosso, un altro vocabolo di origine greca ( pará oltre e dóxa opinione) indicante un ragionamento che contiene in sé una contraddizione la quale appare senza possibile risoluzione. Le prime antinomie a noi pervenute risalgono alla Grecia del V secolo a.C. con Zenone di Elea, Eubulide di Micene…ma è proprio agli inizi del secolo scorso che personalità come Russell, Richard, Zermelo, Tarski… si sono interessati ad analizzare i paradossi già esistenti, a formularne altri, a tentare di trovare le risoluzioni di questi rompicapo, arrivando al crollo delle basi della Matematica, successivamente ricostruite anche se forse non abbastanza saldamente da resistere a qualche probabile futuro terremoto. IL PARADOSSO DEL BARBIERE A seguito di alcune domande poste già nel 1901, il filosofo e matematico Bertrand Russell formulò nel 1918 il famoso paradosso del barbiere: in un villaggio c’è un unico barbiere, ben sbarbato, e sull’insegna del suo negozio vi è scritto: “Io rado tutti coloro che si radono da soli”. Ma chi rade il barbiere? La risposta che siamo portati a dare è che il barbiere si rade da solo ma violiamo una premessa: il barbiere rasandosi, non raderebbe esclusivamente coloro che non si radono da soli. Allora pensiamo che viene raso da qualcun altro, ma in questo caso non raderebbe tutti coloro che non si raderebbero da soli: cioè se si rade, non dovrebbe farlo; se non si rade, dovrebbe farlo. Se ragioniamo con una trattazione di tipo insiemistico, distinguiamo 2 insiemi: a: gli uomini che si radono da soli; b:gli uomini che non si radono da soli. Il problema sta nell’inserire il barbiere in uno di questi insiemi perché ovunque lo posizioniamo arriviamo ad una contraddizione. Furono avanzate varie ipotesi per la risoluzione di questo paradosso, ancor oggi oggetto di studio: tra le prime analisi ricordiamo quella di Willard Van Orman Quine, che considerava il paradosso una “reductio ad absurdum”: ossia secondo Quine non può esistere un barbiere con queste caratteristiche, altri hanno pensato che il barbiere non avesse la barba di natura, altri che si trattasse di una donna, ma ciò che importa è la generalizzazione di questo paradosso, che conduce alla contraddittorietà degli insiemi. Russell nel 1901 parlò della differenza tra insiemi che sono o meno elementi di se stessi e arrivò a chiedersi se l’insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi è o no elemento di se stesso. Ma per capire ciò bisogna chiarire cosa si intende per insieme come elemento di se stesso e come non elemento di se stesso: ad esempio, l’insieme di tutti gli uomini calvi non è elemento di se stesso in quanto l’insieme non è un uomo calvo, quindi questo insieme non appartiene a se stesso; l’insieme di tutti i pensieri astratti è elemento di se stesso perché è anch’esso un pensiero astratto e quindi appartiene a se stesso. A questo punto se consideriamo l’insieme R di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi, notiamo che gli elementi di R non sono elementi di se stessi ovvero se A è un elemento di R possiamo affermare che A non è un elemento di A. Ma R appartiene a se stesso o no? - se R appartiene a se stesso, allora per definizione R non appartiene a se stesso; - se R non appartiene a se stesso, per definizione, R appartiene a se stesso. IL PARADOSSO DI ACHILLE Nato a Elea (l’attuale Salerno) e vissuto nel V secolo a.C. , il filosofo e matematico greco Zenone è sopravvissuto nella nostra memoria all’azione corrosiva del tempo grazie ai suoi paradossi. Il suo paradosso più famoso vede Achille come protagonista: l’eroe greco è intenzionato a catturare una tartaruga, posta ad 1 km di distanza da Achille. Questi arriva nel punto occupato precedentemente dall’animale, che è avanzato di 10 metri. A questo punto, per raggiungere la tartaruga, Achille deve continuare il suo cammino, ma quando percorre quei 10 metri, nota che la tartaruga si è spostata. Potremmo protrarre questo rompicapo per ore, ma Achille non raggiungerà mai la sua meta: il corridore non riuscirà mai nel suo intento perché, per quanto ci si sposti rapidamente, in un tempo finito non può essere percorsa alcuna distanza infinita. Con questa argomentazione Zenone tentò di dimostrare che, nonostante i nostri sensi ci inducano erroneamente a credere all’esistenza del movimento, esso è logicamente impossibile. IL PARADOSSO DI BURALI-FORTI Nel 1897 Cesare Burali-Forti formulò un’ interessante antinomia: l’insieme di tutti i numeri ordinali A possiede tutte le proprietà di un numero ordinale e deve pertanto essere considerato tale. In altre parole, questo insieme appartiene a se stesso in quanto elemento di se stesso (cfr. Russell). Essendo anche questo insieme un numero, è possibile costruire il suo successore A+1, strettamente maggiore di A. Ma A+1 deve essere considerato un elemento di A, che contiene tutti i numeri ordinali e si giunge ad affermare che: A<A+1≤A UN PARADOSSO ARITMETICO 1) a²-a² = a²-a² 2) raccogliendo in comune la a: a²-a² = a (a-a) 3) dalla 1 segue anche: a²-a² = (a-a) (a+a) 4) dal confronto tra la 2 e tra la 3: a (a-a) = (a-a) (a+a) dividendo per (a-a) si ottiene: a=2a dividendo per a si ha: 1=2 Come mai? Dov’è l’errore? Questa antinomia viene costruita sulla divisione per un termine pari a 0 (in questo caso a-a) e si sa che nessun numero è divisibile per 0 (5/0, 17/0, …, k/0 risultano impossibili e pertanto non hanno soluzioni reali) IL PARADOSSO DI BANACH-TARSKI Sulla rivista Fundamenta Mathematicae del 1924 vi è scritto: “È possibile suddividere una sfera dell’usuale spazio a tre dimensioni in un numero finito di parti che, ricomposte opportunamente, vanno a formare due sfere uguali a quella di partenza”. Questo è il celebre paradosso di Banach-Tarski, analogo all’evento narrato nei Vangeli della moltiplicazione dei pani di Gesù e formalizzato sulla base di una simile analisi del 1914 svolta da Hausdorff, che provò che una superficie sferica S può essere decomposta in quattro parti non vuote e tra loro disgiunte, delle quali tre sono uguali tra loro e alla loro unione. Questa decomposizione di Hausdorff venne proiettata dai due matematici Banach e Tarsi all’interno della sfera, deducendone la duplicazione e violando il principio newtoniano della conservazione della massa. Sappiamo che la massa di un corpo di densità uniforme è data dal prodotto della densità e del volume, ma nello spazio tridimensionale esistono solidi senza volume e quindi non potendo calcolare il volume è impossibile controllare che una superficie senza volume, che non risponde a determinate leggi fisiche, raddoppi. L’assenza di volume, infatti, combinata con appropriate rotazioni, può permettere la duplicazione di una sfera priva di misura, ma la decomposizione di questa superficie S non è prodotta esplicitamente in modo effettivo e dunque non è garantito che la suddivisione miracolosa possa avvenire sotto i nostri occhi. Nel 1947 R. M. Robinson spiegò in una quindicina di pagine del suo On the decompositions of spheres che il numero minimo di parti in cui si può suddividere una sfera per poi duplicarla è 5. Il problema sta nell’accettare o meno il paradosso di Banach-Tarski, ma ammettiamo che l’idea di poter duplicare lingotti d’oro, cibi… è assai affascinante. IL PARADOSSO DELL’INSEGNANTE Un’insegnante annuncia agli alunni: “La prossima settimana vi darò un compito in classe ma non saprete in che giorno”. Uno studente fa notare che hanno lezione con la professoressa il Lunedì, il Mercoledì e il Venerdì e giunge a dire che il compito non si farà. Perché? Si assenteranno in quei tre giorni? Se ci riflettiamo un attimo la soluzione appare banale: se passano i primi due giorni, i ragazzi sapranno che il compito ci sarà Venerdì, quindi per la premessa dell’insegnante bisogna escludere l’ultimo giorno; se passa Lunedì, rimane solo il Mercoledì (avendo già escluso il Venerdì) e dunque è escluso anche questo giorno; a questo punto resta solo il Lunedì, che è prevedibile e pertanto non ci sono giorni per fare questo compito a sorpresa. IL PARADOSSO DEL COCCODRILLO Questo è forse uno dei più simpatici paradossi tra quelli presenti in questa pagina: un coccodrillo cattura un bambino per mangiarlo e dice alla sua mamma: “se indovini ciò che voglio fare a tuo figlio, te lo ridarò; se sbagli, non lo rivedrai più”. La donna risponde: “Tu hai intenzione di mangiare mio figlio”. Cosa fa il coccodrillo? Questa antinomia è per certi aspetti simile al paradosso del barbiere e anche in questo caso non arriviamo a nessuna conclusione che non violi la nostra premessa: se il coccodrillo mangia il bambino, non dovrebbe mangiarlo per ridarlo alla madre; se non mangia il bambino per lasciarlo libero, dovrebbe mangiarlo. PARADOSSO DEL MENTITORE Eubulide di Mileto (IV secolo a.C.), filosofo greco alla guida della scuola megarica, è ritenuto l’autore del celebre paradosso del mentitore consistente nell’affermazione “Io sto mentendo”. Dopo una superficiale osservazione siamo portati a considerare la frase come vera, ma, se così fosse, la frase sarebbe falsa per la premessa; allora la consideriamo falsa, ma in questo caso risulterebbe vera. Infine ci rendiamo conto che è impossibile stabilire la verità o la falsità di tale frase. ALTRE ANTINOMIE -Nel 1913 il matematico francese P. E. B. Jourdain presentò il seguente paradosso: “La frase scritta sotto è vera” “La frase scritta sopra è falsa” o detta altrimenti: “La frase scritta sul retro è vera” e sul retro “La frase scritta sul retro è falsa” Anche in questi casi non è possibile stabilire la verità o la falsità delle frasi. -Adesso vi presento un’antinomia scaturita da due frasi di senso contrario. Tutti noi sappiamo che il contrario di una cosa vera è una cosa falsa e viceversa ma non è sempre così. Si considerino le frasi seguenti: “Questa frase ha sei parole”, “questa frase non ha sei parole”. La prima frase ha cinque parole ed è dunque falsa; la frase contraria, che dovrebbe essere vera è anch’essa falsa in quanto formata da sei parole. LICEO SCIENTIFICO A. EINSTEIN FRANCESCO CICCONI V A 2006/2007