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Antonio Mura - Conseil de l`Europe

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Antonio Mura - Conseil de l`Europe
5
INTRODUZIONE ALLA RACCOMANDAZIONE
Rec(2000)19
“SUL RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO NELL’ORDINAMENTO PENALE”
Antonio Mura
Roma, 4 luglio 2011
[email protected]
Introduzione.
La Raccomandazione adottata il 6 ottobre 2000 dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa, dedicata al «Ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento
penale», ha compiuto dieci anni.
Difficilmente poteva immaginarsi un modo più concreto di quello scelto dal
Consiglio Superiore della Magistratura italiano per rendere costruttivo il
confronto su quepol testo: rivolgersi ai neo-magistrati, facendo sì che primi
destinatari di questa iniziativa di studio – che registra la straordinaria presenza
a Roma, nella sede del CSM, di rappresentanti delle istituzioni italiane ed
europee – siano i giovanissimi colleghi della magistratura requirente e
giudicante che hanno di recente intrapreso, con l’assunzione delle rispettive
funzioni, il loro impegnativo percorso professionale.
Alcuni spunti per la riflessione sono proposti in questo mio sintetico contributo
personale (1) alla lettura critica – dopo un decennio dalla sua elaborazione –
della Raccomandazione Rec(2000)19: una riflessione che al passato guarda per
lo studio delle esperienze, ma si volge essenzialmente al futuro, in un’epoca
nella quale, da un lato, la tensione ideale ad un’affermazione sempre più
marcata dei diritti umani e delle libertà e, dall’altro, le tensioni istituzionali in
materia di giustizia paiono attraversare tutto il nostro continente.
1
Il testo riproduce lo schema della relazione introduttiva alla Conferenza internazionale
organizzata a Roma il 4 luglio 2011 dal Consiglio superiore della magistratura italiano, d’intesa
col Consiglio d’Europa, per celebrare il decimo anniversario della Raccomandazione
Rec(2000)19.
L’autore, sostituto procuratore generale della Corte di cassazione italiana, è vicepresidente del
Consiglio consultivo dei Procuratori europei, istituito dal Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa.
1
Limiterò a pochi cenni, per definire la cornice della presente riflessione, i
riferimenti all’istituzione dalla quale promana la Raccomandazione in esame.
E’ noto che il Consiglio d’Europa, il cui Statuto fu adottato a Londra il 5 maggio
1949 (e fu ratificato quello stesso anno dall’Italia: legge 23 luglio 1949, n.
433), partendo da 10 Stati membri fondatori (tra cui l’Italia) è giunto oggi a
raggruppare 47 Paesi: l’intera Europa in senso largo, fatta eccezione per
Bielorussia e Vaticano.
Il Consiglio d’Europa ha sede a Strasburgo e opera attraverso 2 organi:
- il Comitato dei Ministri;
- l’Assemblea parlamentare (2).
Lingue ufficiali sono l’inglese e il francese.
Mentre l’Assemblea parlamentare è l’organo deliberante (3) (4), il Comitato dei
Ministri è l’organo competente ad agire in nome del Consiglio d’Europa.
Ogni Membro del Consiglio d’Europa ha un rappresentante nel Comitato dei
Ministri, con un voto (5).
2
E’ stata così rinominata, nel 1994, l’originaria “Assemblea consultiva”.
3
Si compone di Rappresentanti di ciascun Membro, eletti dal suo Parlamento o designati
secondo una procedura da questo stabilita. Nessun Rappresentante può essere nello stesso
tempo membro del Comitato dei Ministri. L’Italia ha diritto a 18 seggi nell’Assemblea (è il
massimo di Rappresentanti: pari a quelli di Francia, Germania, Regno Unito, Russia). I
Rappresentanti italiani sono eletti dalle due Camere, fra i propri componenti, a maggioranza
assoluta, nella misura di nove per ciascuna.
4
In generale le risoluzioni dell’Assemblea sono prese a maggioranza dei due terzi dei voti
espressi.
5
I rappresentanti nel Comitato sono i Ministri degli Affari Esteri. In luogo del Ministro degli
Affari Esteri che non possa partecipare alle sedute, o qualora fosse opportuno per altre
circostanze, può essere designato un supplente. Questi sarà possibilmente un membro del
Governo del suo Paese.
2
Statuto del Consiglio d’Europa
art. 15/b
Le conclusioni del Comitato dei Ministri
possono avere la forma di Raccomandazioni ai
Governi.
Il Comitato può invitare i Governi ad
informarlo sull’applicazione da essi data alle
Raccomandazioni.
“SOFT-LAW”
A seconda delle materie trattate, le decisioni che possono essere assunte dal
Consiglio d’Europa richiedono differenti maggioranze.
Le Raccomandazioni di cui all’art. 15/b (diverse da quelle dell’Assemblea
parlamentare, che sono rivolte al Comitato dei Ministri con funzione propositiva)
sono adottate ad unanimità dei voti espressi, sempre a condizione che sia
presente la maggioranza dei rappresentanti aventi diritto di partecipare alle
sedute del Comitato dei Ministri.
Esse intervengono in quei settori nei quali c’è accordo entro il Comitato dei
Ministri sull’adozione di una "common policy". Il Comitato dei Ministri può pure
costituire comitati o commissioni consultive o tecniche.
Le
Raccomandazioni
sono
atti
giuridici
formali,
che
impegnano
“programmaticamente” gli Stati (ma in forma attenuata rispetto alla precettività
delle Convenzioni internazionali). Nonostante non siano, dunque, atti vincolanti,
il Comitato dei Ministri può richiedere ai Governi informazioni sulle azioni
intraprese in rapporto ad esse.
In linea con la predetta natura dell’atto, così recita il Memorandum esplicativo
della Rec(2000)19: «Non essendo la Raccomandazione giuridicamente
vincolante, quando la formulazione sembra impositiva di obblighi verso gli Stati
in realtà mira a suggerire (ma rimette ad ogni singolo Stato) l’attuazione del
principio di cui si tratta».
Siamo nel campo della cosiddetta “soft-law”: non fonte del diritto in senso
proprio (ma pur sempre superiore al mero atto d’indirizzo: ad esempio, le
Raccomandazioni sono spesso a base di valutazioni della Corte europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, circa l’esistenza di
ambiti o principi giuridici comunemente riconosciuti dai Paesi membri del
Consiglio d’Europa).
Si tratta di disposizioni non sanzionate, nel caso di inadempimento dei Governi
alle Raccomandazioni o di loro mancata risposta alle richieste di informazione
3
del Comitato dei Ministri, cui però si riconnette la possibilità per lo Stato
inadempiente di perdere lo status di membro del Consiglio d’Europa.
4
Scopi del Consiglio d’Europa
• maggiore unione fra i suoi membri
• primato del diritto:
• fondamento di qualsiasi vera democrazia
• ruolo-chiave dell’ordinamento penale per la
salvaguardia dello stato di diritto
• contrasto alla criminalità a livello nazionale ed
internazionale
“Consideranda” della Raccomandazione Rec(2000)19:
scopo del Consiglio d’Europa è di realizzare una maggiore unione fra i
suoi membri;
il Consiglio d’Europa ha anche lo scopo di promuovere il primato del
diritto, fondamento di qualsiasi vera democrazia;
l’ordinamento penale ha un ruolo-chiave per la salvaguardia dello stato di
diritto;
è necessità comune a tutti gli Stati membri quella di meglio combattere la
criminalità a livello nazionale ed internazionale.
5
A tali fini, il CoE si propone di
accrescere l’efficacia:
• degli ordinamenti penali nazionali
• della cooperazione penale internazionale
nel rispetto dei principi definiti nella Convenzione di
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali
A questo scopo – si legge in premessa, nella Raccomandazione – conviene
accrescere l’efficacia sia degli ordinamenti penali nazionali sia della
cooperazione penale internazionale, nel rispetto dei principi definiti nella
Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Il Pubblico Ministero
ha un ruolo determinante:
• nell’ordinamento penale
• nella cooperazione penale internazionale
 opportunità di promuovere la definizione di
principi comuni per i PM degli Stati membri
6
Rec(2000)19
adottata il 6 ottobre 2000
RACCOMANDAZIONE
DEL COMITATO DEI MINISTRI AGLI STATI MEMBRI
“SUL RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO
NELL’ORDINAMENTO PENALE”
Rec(2000)19
adottata dal Comitato dei Ministri il 6 ottobre 2000,
nella 724^ riunione dei Delegati dei Ministri
Raccomandazione
DEL COMITATO DEI MINISTRI AGLI STATI MEMBRI
“SUL RUOLO DEL PUBBLICO MINISTERO
NELL’ORDINAMENTO PENALE”
Definizione generale (punti 1-3):
Per «Pubblico Ministero» s’intende l’autorità incaricata di vigilare, a nome della
società e nell’interesse generale, sull’applicazione della legge quando
quest’ultima è sanzionata penalmente, in considerazione da un lato dei diritti
degli individui e d’altro lato della necessaria efficacia dell’ordinamento penale.
7
Recommendation REC(2000)19
ROLE OF PUBLIC PROSECUTION
IN THE CRIMINAL JUSTICE SYSTEM
Recommandation REC(2000)19
ROLE DU MINISTERE PUBLIC
DANS LE SYSTEME DE JUSTICE PENALE
Nello studio dei testi originari – inglese e francese – della Raccomandazione,
così come delle loro traduzioni, non secondari sono i problemi linguistici dovuti
anche alla non corrispondenza degli istituti giuridici, soprattutto ordinamentali
e processuali, nelle diverse tradizioni europee.
A mero titolo d’esempio, si noti la valenza più “soggettiva” della definizione del
PM in inglese:
ENG: «Public prosecutors» are public authorities who ...
FRA: On entend par «ministère public» l'autorité chargée de ...
ITA: Per «pubblico ministero» s’intende l’autorità incaricata di ...
La traduzione italiana oggi disponibile nel sito del Consiglio d’Europa presenta
qualche passo discutibile. Non si tratta, naturalmente, di testo ufficiale (tali
essendo solo quelli inglese e francese).
In prosieguo, mi discosterò in queste note da detta versione italiana, laddove
una puntualizzazione della traduzione possa giovare a chiarire taluni concetti.
Segnalo, comunque, l’opportunità di affrontare la materia direttamente in base
ai due testi redatti nelle lingue ufficiali.
8
TESTI CONSIDERATI
dal Comitato dei Ministri
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Risoluzione(1977)27: Risarcimento delle vittime di reati
Rec(1980)11: Detenzione preventiva
Rec(1983)7: Partecipazione del pubblico alla politica penale
Rec(1985)11: Posizione della vittima in diritto e procedura penale
Rec(1987)18: Semplificazione della giustizia penale
Rec(1987)21: Assistenza alle vittime e prevenzione della vittimizzazione
Rec(1992)17: Coerenza nella determinazione delle pene
Rec(1994)12: Indipendenza, efficacia e ruolo dei giudici
Rec(1995)12: Gestione della giustizia penale
Rec(1997)13: Intimidazione dei testimoni, diritti della difesa
Rec(1996)8: Sulla politica penale in un’Europa in fase di trasformazione
Risoluzione(1997)24: Venti principi direttivi per la lotta contro la corruzione
Rec(191999)19: mediazione penale
La Rec(2000)19 cita in premessa una serie di testi del Consiglio d’Europa dei
quali ha tenuto conto.
Prevalentemente si tratta di Raccomandazioni: da quelle dei primi anni ’80
sulla detenzione cautelare, sulla partecipazione del pubblico alla politica
penale, sulla posizione della vittima del reato, a quelle degli anni ’90
sull’indipendenza dei giudici.
Segnalo che, oltre a quelli indicati nelle premesse, alcuni altri testi sono citati
nelle note della Raccomandazione e altri, specificamente, al punto 33.
E’ importante notare che nessun testo europeo era stato dedicato
specificamente al Pubblico Ministero prima della Raccomandazione del 2000.
Di quest’ultima è, pertanto, evidente il significato, anche quale punto di
partenza per l’elaborazione successiva in materia, assai nutrita.
9
I TESTI SUL PUBBLICO MINISTERO
• Linee-guida ONU sul ruolo del PM (L’Avana, 1990)
• Rec(2000)19
• Pareri del CPGE (2000-2008)
– “The Budapest Guidelines”: Linee-guida europee sull’etica
e la condotta del PM (2005)
• Pareri del CCPE (2007-2011)
– CCPE+CCJE: “The Bordeaux Declaration”: Giudici e PM in
una società democratica (2009)
• Rapporto della Venice Commission sugli standard
europei circa l’indipendenza del giudiziario (2010)
– Parte II: Il Pubblico Ministero
Nel quadro dell’elaborazione specificamente inerente al PM, cui ho fatto cenno,
meritano segnalazione i testi sopra menzionati, notando che:
-
-
l’intero decennio conclusivo del XX secolo ha visto impegnati gli
organismi facenti capo al Consiglio d’Europa (dei quali fornirò in
prosieguo alcuni elementi d’inquadramento):

dapprima le Conferenze dei Procuratori generali (CPGE),
nell’ambito delle quali particolarmente significativa è
l’approvazione delle “Linee-guida europee sull’etica e la
condotta del PM” (Budapest, 2005);

successivamente i pareri del Consiglio consultivo dei
Procuratori d’Europa (CCPE), tra i quali quello approvato
unitamente all’omologo Consiglio consultivo dei Giudici
europei (CCJE) nel 2009: la c.d. Dichiarazione di
Bordeaux, intitolata “Giudici e Pubblico Ministero in una
società democratica”, che definisce i svariati aspetti del
rapporto Giudice-PM e presenta peculiare significato in
ragione proprio della sua elaborazione congiunta da parte
dei due organismi;

è intervenuta pure, nel 2003, la Raccomandazione n. 1604
dell’Assemblea Parlamentare, sul ruolo del PM in una
società democratica regolata dal principio del primato del
diritto;
merita menzione anche l’art. 42 dello Statuto della Corte penale
internazionale (Roma, 1998), soprattutto per quanto attiene alla
espressa considerazione dell’indipendenza/imparzialità del
Procuratore;
10
-
per altro verso, entra nello scenario anche l’art. 86 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione Europea, sull’istituzione di una
Procura europea «a partire da Eurojust».
11
Il Comitato dei Ministri
RACCOMANDA
ai Governi di ispirarsi nelle legislazioni
e nelle prassi relative al ruolo del PM
nell’ordinamento penale, ai seguenti princìpi
Tenendo conto dell’insieme di princìpi e di norme che emergono dai testi che il
Consiglio d’Europa ha adottato nel settore penale, il Comitato dei Ministri
“raccomanda” ai governi degli Stati membri di ispirarsi nelle loro legislazioni e
nelle prassi relative al ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale, ai
princìpi enunciati nel documento.
Con l’espresso richiamo alle prassi, il riferimento è alla dimensione concreta
dell’azione.
Ciò è tipico, com’è ben noto, del campo operativo del Consiglio d’Europa: basta
menzionare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, nonché la giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
per la inequivoca definizione della obbligazione “di risultato” che incombe sugli
Stati membri, ben al di là del mero rispetto formale dei principi.
12
STRUTTURA
TESTO DELLA RACCOMANDAZIONE:
 Mandati del PM (punti 1-3)
 Garanzie riconosciute al PM per l’esercizio delle sue attività (4-10)
 Rapporti fra il PM ed i poteri esecutivo e legislativo (11-16)
 Rapporti fra il PM ed i giudici (17-20)
 Relazioni fra il PM e la polizia (21-23)
 Doveri e responsabilità del PM nei confronti degli individui (24-36)
 Cooperazione internazionale (37-39)
ESPOSIZIONE DEI MOTIVI
 Introduzione
 Considerazioni generali
 Commenti su ciascun punto della Raccomandazione
La Raccomandazione Rec(2000)19 si articola, secondo la struttura sopra
rappresentata, in 39 punti.
Il modello di trattazione adottato mostra per qualche aspetto i segni “dell’età”:
sono parimenti ampie tanto la prima parte, che enuncia principi ed indicazioni
concrete, quanto la seconda parte, esplicativa (ma a volte un po’ ripetitiva); e
qualche difetto di coordinamento affiora tra i testi inglese e francese (peraltro,
verosimilmente, in ragione anche di difficoltà di raggiungimento di un pieno
consenso tra visioni ordinamentali assai distanti).
Oggi, modelli in certa misura più efficaci sono stati sperimentati: ne è un
esempio la Dichiarazione di Bordeaux, che – con enunciati di principio sintetici
ed una successiva, più dettagliata esplicazione – è giunta a compimento dopo
un percorso che non è eccessivo definire arduo, per la varietà di prospettive
degli autori (giudici e pubblici ministeri), derivante non soltanto dalla diversità
delle tradizioni giuridiche, ma anche dalle differenti sensibilità che si registrano
nei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa riguardo alla posizione e ai rapporti
tra i protagonisti della giurisdizione.
13
Il Pubblico Ministero
a nome della società e nell’interesse generale
vigila sull’applicazione della legge penale,
tenendo in considerazione:
• i diritti degli individui
• l’efficacia dell’ordinamento penale
Circa la definizione generale del Pubblico Ministero, che già ho
richiamato, è interessante registrare che il Memorandum esplicativo della
Raccomandazione insiste sul fatto che il PM deve essere guidato
nell’esercizio del suo mandato dall’interesse generale.
A questo riguardo, si prescrive che la sua azione sia rispettosa di «due
imperativi di pari importanza»: i diritti individuali delle persone e
l’efficacia dell’ordinamento penale nel suo insieme.
La prospettiva è, evidentemente, protesa verso una funzione “di
giustizia” assai più avanzata di ogni riduttiva concezione del Pubblico
Ministero come “avvocato dell’accusa”.
Oggi, per una definizione del PM in prospettiva europea condivisa, è
ineludibile il riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo: dal caso Schiesser c. Svizzera del 1979, al recentissimo
Moulin c. Francia del 23 novembre 2010 (su cui avrò modo di tornare in
prosieguo).
Qui rinvio alla “Biblioteca minima del Pubblico Ministero europeo”, che la
Procura generale presso la Corte di cassazione italiana ha predisposto in
occasione della Conferenza delle Rete dei Procuratori generali delle Corti
supreme dei Paesi membri dell’Unione europea, tenutasi a Roma – sotto
la presidenza italiana – nel maggio 2011.
Oltre a tutti i testi europei (CoE e UE) che concernono il PM, essa
contiene la giurisprudenza delle Corti europee (di Strasburgo e
Lussemburgo) specificamente inerente alla materia. Secondo il nostro
progetto, questa biblioteca elettronica è destinata ad essere
costantemente aggiornata.
14
Attualmente è ospitata nel sito www.giustizia.it
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_1_4_1_3.wp
all’indirizzo:
Diverrà parte del sito della Procura generale presso la Corte di
cassazione, in allestimento.
15
Le culture dell’Europa giudiziaria
• matrici: Ministère Public / anglosassone
• procedura: inquisitoria / accusatoria
+ differenze su: giuria, azione penale privata,
costituzione di parte civile, rapporti PM-p.g.
• azione penale: «legalità» / «opportunità»
• PM-Esecutivo: indipendenza / subordinazione
• PM-Giudiziario: corpo unico / corpi separati
L’Europa giudiziaria è divisa fra due impostazioni culturali di base:
-
nel modello che informa la procedura penale: inquisitorio /
accusatorio;
-
nelle modalità di avvio dei procedimenti: sistemi di “legalità” / di
“opportunità”.
Tale divisione storica tuttavia tende a ridursi (in tal senso orienta anche il
diffuso rispetto della CEDU): molti indicatori convergono in questo senso
e ne ha dato recentemente conferma la Venice Commission (6), dieci
anni dopo la Raccomandazione Rec(2000)19, nel suo Rapporto del 2010
sugli standard europei circa l’indipendenza del giudiziario.
Interessanti, peraltro, le sollecitazioni che da varie fonti spingono a
«vedere le differenze non come una minaccia, ma come una ricchezza»
(così , ad esempio, Thomas HAMMARBERG, Commissario CoE per i diritti
dell’uomo, in occasione della Conferenza della Rete dei Procuratori
generali delle Corti supreme UE, tenutasi a Roma nel maggio 2011).
In sintesi: proficui gli avvicinamenti tra i sistemi, ma illusorio ritenere
agevole una completa armonizzazione sul piano continentale.
6
Col nome di Commissione di Venezia, o Venice Commission, si indica la «European
Commission for Democracy through Law», istituita nel maggio 1990 quale organismo
consultivo del Consiglio d’Europa su temi costituzionali.
Composta di giuristi esperti in diritto costituzionale e internazionale, membri di assemblee
parlamentari nazionali e giudici appartenenti a corti supreme e costituzionali di diversi Paesi, la
Commissione è dedita a promuovere il patrimonio giuridico tradizionale europeo ed è oggi
generalmente riconosciuta quale think-tank internazionale indipendente nel settore del diritto.
16
Da evitare, in ogni caso, gli accostamenti superficiali. Tale, ad esempio,
quello – a volte proposto – tra Italia e Francia: è vero che il modello
italiano è di matrice francese per vari profili, ma si colloca agli antipodi di
quello quanto all’indipendenza del PM dall’Esecutivo [si vedano le
recentissime sentenze (2010) della Corte europea di Strasburgo Moulin
c/ Francia e Medvedyev c/ Francia, che hanno escluso che il PM francese
abbia condizioni d’indipendenza che lo legittimino ad agire – in sede di
convalida dell’arresto – in alternativa ad un giudice, quale «pubblico
ufficiale autorizzato ad espletare funzioni giudiziarie» ai sensi dell’art. 5,
comma 3, CEDU].
Riguardo al PM, il panorama europeo presenta una varietà di soluzioni
istituzionali, sostanzialmente rapportabili a due grandi matrici:
-
il modello francese del « Ministère Public », che affida il quasimonopolio dell’azione penale ad agenti pubblici in un ambito
inquisitorio;
-
il
modello
anglosassone,
in
cui
i
procedimenti
sono
tradizionalmente intentati dietro sollecitazione o della vittima o
della polizia, in un ambito accusatorio.
Differenze significative tra i diversi Paesi, per profili che direttamente o
indirettamente coinvolgono posizione e ruolo del PM, si registrano anche
sui rapporti tra il Pubblico Ministero e la polizia giudiziaria,
sull’ammissibilità dell’azione penale privata, sulla possibilità di
costituzione della parte civile nel processo penale. E’ noto, peraltro, che i
sistemi processuali si sono evoluti e si vanno evolvendo con molteplici
momenti di commistione, sì da rendere ormai inesistente un modello
“puro” (7).
Oggi può dirsi che tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa
riconoscono una pubblica autorità qualificata a procedere penalmente. Il
quadro si presenta, peraltro, in continua evoluzione, che specificamente
concerne lo statuto ed il ruolo dei PM in numerosi ordinamenti.
Emblematiche, ad esempio, le dinamiche – circa il ruolo e l’ampliamento
delle competenze – che hanno interessato il CPS («Crown Prosecution
Service») per l’Inghilterra e il Galles, dalla sua creazione nel 1985 ai
nostri giorni (8).
La collocazione istituzionale riconosciuta al PM varia notevolmente da
uno Stato all’altro (senza una corrispondenza necessaria tra determinati
modelli processuali e la posizione istituzionale del PM):
7
Ad esempio, in ambito propriamente processuale, il tema della giuria popolare (che è tipica
della tradizione anglosassone) offre – secondo la Venice Commission (2010) – un esempio
tipico di compenetrazione reciproca dei 2 sistemi, se si guarda alle corti d’assise francesi e
italiane.
8
V., per una sintesi: http://www.cps.gov.uk/about/history.html
17
-
rispetto al potere
all’indipendenza;
esecutivo:
si
va
dalla
subordinazione
-
rispetto ai giudici: i due poli sono costituiti dagli ordinamenti che
prevedono un corpo (giudiziario) unico e da quelli che conoscono
corpi interamente distinti per le magistrature giudicante e
requirente (9).
Riguardo alle due grandi matrici ed alle linee culturali diversificate delle
quali s’è detto, è importante una considerazione di fondo: la
Raccomandazione del Consiglio d’Europa non propone né un’eventuale
«terza via», né l’unificazione degli ordinamenti, né un modello
sopranazionale cui gli Stati debbano ispirarsi nel definire la struttura
istituzionale del Pubblico Ministero.
Emerge, piuttosto, dal testo – «all’alba del terzo millennio» – la volontà
di estrapolare i grandi principi direttivi e di raccomandare gli obiettivi
concreti da perseguire «per giungere ad un equilibrio istituzionale da cui
dipendono in gran parte la democrazia e il primato del diritto in Europa».
Il percorso verso questa meta è oggi assai avanzato, ampia essendo la
condivisione nei diversi ordinamenti nazionali dei princìpi enunciati nella
Raccomandazione.
9
Se ne riscontrano riflessi addirittura sul piano lessicale: «Judiciary» – nella lingua e nella
cultura inglesi – è vocabolo (e concetto) in linea di massima inerente alla giurisdizione in senso
stretto, e dunque alla sola magistratura giudicante.
18
MANDATO COMUNE
AI GIUDICI E AI MEMBRI DEL PM
applicare e far applicare la legge
ma:
GIUDICI: in modo “reattivo”
PM: in modo “pro-attivo”
E’ importante, per la qualificazione del Pubblico Ministero quale organo
promotore di giustizia, il fatto che la Raccomandazione indichi il suo
principale mandato istituzionale come comune a quello dei giudici.
Si tratta del potere-dovere di applicare e far applicare la legge, che viene
poi specificato in rapporto alle peculiarità delle rispettive funzioni
istituzionali:
-
per i giudici, la modalità tipica di espletamento di tale missione è
definita “reattiva”, nel senso che la funzione ha modo di
esplicarsi sempre (e soltanto) nei giudizi dei quali essi vengono
investiti;
-
per il Pubblico Ministero la modalità è, invece, qualificata come
“pro-attiva”, perché ha riguardo precipuamente al mandato di
“vigilare” sull’applicazione della legge e adottare le iniziative
conseguenti: il PM osserva–agisce–investe la giurisdizione.
19
Mandati del PM
in tutti gli ordinamenti penali:
• decide se promuovere (o continuare) l’azione
penale
»il “nocciolo duro” della funzione
• esercita l’azione dinanzi ai tribunali
• può impugnare le decisioni giurisdizionali
In tutti gli ordinamenti penali il Pubblico Ministero ha il compito di:
-
decidere se è il caso di promuovere o di continuare l’azione
penale;
-
esercitare l’azione penale dinanzi ai tribunali;
-
proporre, se lo ritiene, impugnazione contro tutte o alcune
decisioni giurisdizionali.
Queste competenze costituiscono – secondo il Memorandum esplicativo –
il «nocciolo duro» della funzione.
In alcuni ordinamenti penali, inoltre, il PM:
-
attua la politica penale nazionale, adattandola se del caso alle
realtà regionali o locali;
-
conduce, dirige o sovrintende all’indagine;
-
ha un ruolo attivo nella ricerca delle illegalità (mentre in altri
ordinamenti agisce solo su stimolo dell’autorità di polizia
incaricata dell’inchiesta);
-
si accerta che le vittime ricevano un aiuto ed un’assistenza
effettivi;
-
decide riguardo a misure alternative all’azione penale;
-
sovrintende all’esecuzione delle decisioni giudiziarie;
-
ecc.
20
Per la corretta comprensione del riferimento al potere di decidere se è il
caso di promuovere o di continuare l’azione penale, occorre porsi nella
prospettiva di un testo avente caratteri davvero generali. Vanno,
dunque, evitate interpretazioni terminologiche condizionate dall’ottica di
un singolo sistema nazionale, tenendo presente la complessità che
discende dalle marcate differenze a seconda che in esso si applichi il
principio di legalità o quello di opportunità (10).
Quanto alla facoltà d’impugnare le decisioni giurisdizionali, secondo il
Memorandum esplicativo annesso alla Raccomandazione si tratta di uno
dei mezzi offerti al PM per vigilare sull’applicazione della legge,
concorrendo contestualmente a ricercare l’efficacia dell’ordinamento (in
modo particolare la coerenza della giurisprudenza) e, dunque, la
repressione del crimine.
10
Solo in tale prospettiva la definizione accolta nella Raccomandazione circa il potere inerente
alla promozione e alla prosecuzione dell’azione penale è pertinente rispetto all’Italia in quanto,
altrimenti, occorrerebbe una serie di specificazioni incompatibili con le caratteristiche di una
Raccomandazione europea (come la precisazione che in Italia la decisione del PM di non
avviare l’azione penale è soggetta a verifica giudiziale e lo spazio decisionale del PM sul se
proseguire l’azione in realtà non è pieno, non potendo egli discrezionalmente abbandonarla,
data la prescrizione di un momento giurisdizionale ineludibile).
21
Garanzie riconosciute al PM per l’esercizio
delle sue attività:
• di status
• di organizzazione
• di mezzi appropriati (“in particolare il budget”)
» da determinare (al pari delle altre condizioni) “in
stretta concertazione con i rappresentanti del PM”
Agli Stati membri del Consiglio d’Europa è raccomandata l’adozione di
specifiche garanzie per l’adeguato espletamento delle funzioni del
Pubblico Ministero.
Deve essere emanato «ogni provvedimento utile» a consentire ai membri
di quell’ufficio di adempiere ai loro doveri ed alle loro responsabilità
professionali in condizioni di statuto, di organizzazione e con i mezzi
appropriati: in particolare le dotazioni economiche.
Anche alle modalità di determinazione delle predette condizioni operative
si presta espressamente attenzione, raccomandando che esse siano
determinate in stretta concertazione con i rappresentanti del Pubblico
Ministero.
E’ immediata la percezione del rilievo di queste prescrizioni nella
prospettiva dell’efficace espletamento delle funzioni. Ma non può sfuggire
come la materia si riconnetta altresì al canone dell’indipendenza.
Ciò può essere utilmente rimarcato soprattutto in relazione
all’elaborazione italiana. Certamente all’avanguardia per molteplici
aspetti della garanzia d’indipendenza assicurata al Pubblico Ministero, la
nostra riflessione è in generale meno sensibile al tema “economico”, che
pure può essere condizionante – e talora decisivo – per l’operatività
effettiva delle garanzie.
Nel promuovere, quindi, modalità procedimentali che prevedano che i
rappresentanti del PM possano interloquire nella determinazione delle
concrete dotazioni (di uomini, mezzi, finanze) funzionali alle loro attività,
il testo europeo offre uno spunto che presenta spazi consistenti di
sviluppo nel sistema italiano.
22
Procedure eque ed imparziali
+ criteri noti ed obiettivi per:
• reclutamento
• carriera
• trasferimenti
dei membri del PM
Il reclutamento dei membri del Pubblico Ministero, la loro carriera ed i
trasferimenti devono avvenire mediante procedure eque ed imparziali, in
base a criteri obiettivi, resi noti preventivamente (11).
Il Memorandum esplicativo fa riferimento anche alla possibile istituzione
di Consigli superiori della magistratura o del Pubblico Ministero.
Riguardo alla materia dei trasferimenti di sede – tema delicato, per i
potenziali condizionamenti che vi si possono riconnettere – l’auspicio è
che si tengano in considerazione le esigenze di servizio ma si valorizzino,
ad un tempo, anche la competenza e l’esperienza professionale.
Seppure non si giunga a prescrivere una garanzia d’inamovibilità analoga
a quella tipicamente riferibile ai giudici (qual è presente nell’ordinamento
italiano), anche per i membri del PM le indicazioni predette convergono
nel senso che la mobilità «non deve dipendere da atti arbitrari del
governo».
In materia disciplinare si prevede che la procedura normativamente
definita garantisca decisioni giuste ed obiettive, suscettibili di esser
sottoposte ad un controllo indipendente ed imparziale.
11
Nel richiamato parere del 2010 la Venice Commission distingue la nomina del vertice
del PM da quella degli altri procuratori: il vertice è escluso dalla (raccomandata)
designazione a vita.
Si segnala, peraltro, l’opportunità che il suo mandato, seppur a termine (ma
predeterminato), non coincida con la durata della legislatura.
Si tratta, in tutta evidenza, di un presidio dell’indipendenza dell’organo.
23
Di tutte le decisioni sullo status dei membri del PM dev’essere garantita
l’impugnabilità (anche in sede giudiziaria).
«Ragionevoli» e conformi «all’importanza dei mandati esercitati» devono
risultare le garanzie legislative su statuto, retribuzione e trattamento
pensionistico dei membri dell’ufficio del PM.
La protezione rispetto a minacce connesse alle funzioni dev’essere
garantita a livello sia personale sia familiare.
Deve essere effettiva la garanzia del diritto alla libertà di espressione, di
opinione, di associazione e di riunione. Possibili limitazioni possono
essere previste soltanto dalla legge, quando ciò sia necessario per
garantire il ruolo statutario del Pubblico Ministero.
Il Memorandum esplicativo precisa, a questo riguardo, che questa
raccomandazione s’ispira in modo particolare all’art. 10 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e deve
essere interpretata alla luce dei doveri del Pubblico Ministero, in
particolare quello di riservatezza.
Si tratta, com’è noto, della disposizione della CEDU dedicata alla libertà
di espressione: diritto fondamentale di ogni persona, rispetto al quale la
Convenzione precisa però che, trattandosi di libertà che importa doveri e
responsabilità, la legge – quando necessario in una società democratica –
può subordinarlo a formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni, a
determinati scopi. Rientrano tra questi, oltre a varie esigenze di
sicurezza, i fini di impedire la diffusione di informazioni riservate e di
garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.
24
Formazione professionale:
• iniziale
• continua
E’ DIRITTO-DOVERE
La Raccomandazione Rec(2000)19 qualifica la formazione professionale come
diritto e, allo stesso tempo, come dovere di ogni membro del Pubblico
Ministero, tanto al principio della carriera quanto in tutto il corso del suo
sviluppo.
Tra le materie d’interesse, comprensive di proiezioni pratiche ma anche di
riflessioni di principio: deontologia; diritti dell’uomo e libertà, quali enunciati
dalla CEDU (in particolare artt. 5 e 6), alla luce della giurisprudenza della Corte
di Strasburgo; diritti degli indiziati, delle vittime, dei testimoni; teoria e prassi
dell’organizzazione e della gestione delle risorse; fattori influenti sulla coerenza
delle attività; formazione specialistica, sulle caratteristiche della criminalità
(soprattutto quella organizzata), sui metodi di contrasto (ad esempio mediante
la creazione di équipe di specialisti, ovvero di squadre “pluridisciplinari”, quali è
possibile creare con l’inserimento di esperti contabili, doganieri, specialisti
bancari, ai fini della lotta contro la delinquenza finanziaria ed il riciclaggio),
sulla cooperazione internazionale in materia penale.
La Dichiarazione di Bordeaux (2009), dianzi citata, è in sintonia con la
Raccomandazione, sul tema della formazione, ma per certi aspetti la supera.
Essa muove da una considerazione di fondo: il più alto livello di capacità
professionale è “pre-requisito” per la fiducia dei cittadini nei giudici e nei
membri del Pubblico Ministero (12). E’, dunque, l’elemento sul quale
principalmente si fondano la loro legittimazione ed il loro ruolo.
La Dichiarazione di Bordeaux compie, poi, un significativo passo in avanti sul
tema della formazione definendo come essenziale, per il migliore svolgimento
12
Particolare rilievo ha questa notazione rispetto all’ordinamento italiano, nel quale manca una
investitura “politica” dei magistrati: sicché, appunto, sono le loro qualità professionali a
legittimarli, unitamente al necessario grado elevato di integrità morale.
25
dell’attività giudiziaria, che tutti i professionisti che sono in vario modo
protagonisti del procedimento condividano non soltanto i principi giuridici ma
anche valori deontologici comuni. «Ogni qualvolta ciò sia appropriato, la
formazione comune per giudici, membri del Pubblico Ministero e avvocati, su
temi di interesse comune, può contribuire al raggiungimento di una giustizia di
qualità elevata» (13).
13
E’ prospettiva, questa, da rimarcare particolarmente in Italia, ove i meccanismi di selezione
dei magistrati fanno sì che solo occasionalmente essi dispongano di una pregressa esperienza
forense: sicché particolarmente auspicabile – nell’interesse dell’amministrazione della giustizia
– è a mio avviso l’incremento di ogni possibile spazio di formazione comune alla magistratura
ed all’avvocatura, per lo sviluppo della più ampia comunanza delle basi culturali sui quali sono
costruite le diverse figure professionali.
26
Organizzazione degli uffici Assegnazione
dei fascicoli
Impostazione gerarchica, con precise garanzie:
• condizioni d’imparzialità e di indipendenza
• qualificazione e specializzazione
• non inefficienza burocratica
• criteri generali per evitare arbitrii
Scopi:
• correttezza, coerenza, efficacia dell’azione
Sul versante organizzativo interno agli uffici di Procura, il modello prevalente
sul piano europeo è certamente quello gerarchico, preferito in molti Paesi per
ragioni connesse essenzialmente ad obiettivi di efficienza e di coerenza
nell’azione.
Precise sono, però, le garanzie delle quali la Raccomandazione n. 19 del 2000
circonda l’impostazione gerarchica, così da assicurare condizioni d’imparzialità
nell’esercizio dell’azione penale e, in funzione di esse, condizioni
d’indipendenza dell’organo che ne è titolare, col fine esclusivo del miglior
funzionamento del sistema penale. Anche la valorizzazione della qualificazione
professionale e della specializzazione nelle diverse materie è funzionale ai
medesimi scopi.
In quest’ottica, le indicazioni in tema di organizzazione del PM mirano,
espressamente, a fini di correttezza, efficacia dell’azione e coerenza: esigenza,
quest’ultima, che il Memorandum esplicativo indica come tanto più sentita
quanto più il Pubblico Ministero è indipendente o dispone di una forte
autonomia (14).
Occorre evitare che l’organizzazione gerarchica porti all’instaurazione di
strutture burocratiche inefficienti o paralizzanti. Una gerarchia, dunque,
“intelligente”: che bandisca ogni effetto “perverso” di tipo burocratico, ciascun
membro dell’ufficio del PM dovendosi sentire responsabile delle proprie
14
Difficilmente possono rinvenirsi nel panorama continentale condizioni di effettiva
indipendenza d’azione maggiori di quelle proprie del PM nell’ordinamento italiano. Da ciò la
particolare importanza della correlazione “indipendenza-coerenza”, teorizzata nella
Raccomandazione. Acquisisce significato in questa prospettiva la recente disciplina legislativa
italiana in tema di verifica dell’«uniforme esercizio dell’azione penale» (art. 6 del decreto
legislativo n. 106 del 2006).
27
decisioni ed in grado di prendere le iniziative richieste dall’esercizio del suo
mandato.
Per altro verso, è essenziale che siano definite linee direttrici generali relative
all’attuazione della politica penale, con principi e criteri che costituiscano
riferimento chiaro per le decisioni nei singoli casi, al fine di evitare qualsiasi
arbitrio nel processo decisionale.
Stante la molteplicità dei modelli ordinamentali, per l’indicazione di principi,
criteri e linee direttrici si va dalla possibile competenza del Parlamento o del
Governo alla ipotesi della definizione ad opera degli stessi rappresentanti del
Pubblico Ministero, laddove il diritto nazionale ne sancisce l’indipendenza.
In ogni caso, si raccomanda – sempre in ossequio alla prospettiva pragmatica,
attenta all’efficacia ed all’efficienza – che i criteri siano determinati in modo che
possano effettivamente produrre gli effetti attesi, senza presentare rigidità «ed
in modo da non poter essere utilizzati da delinquenti per agire impunemente ai
margini del sistema».
Essenziale, infine, è l’informazione pubblica tanto circa il profilo organizzativo,
quanto riguardo ai richiamati principi, linee direttrici e criteri generali.
Gli spunti offerti dalla Raccomandazione del 2000 trovano consistente e
significativo sviluppo nella (più recente) Dichiarazione di Bordeaux, il cui
Memorandum esplicativo definisce l’indipendenza del Pubblico Ministero come
«corollario indispensabile dell’indipendenza del giudiziario».
Il testo precisa, a questo riguardo, che il ruolo del PM nell’affermare e tutelare i
diritti della persona – tanto quella sospettata o accusata di un reato, quanto
quella che di esso sia stata vittima – può essere svolto meglio quando il
processo decisionale proprio del Pubblico Ministero sia indipendente dai poteri
esecutivo e legislativo e quando, nello stesso tempo, sia correttamente
osservata la distinzione delle funzioni dei giudici. In una democrazia fondata
sullo stato di diritto, le basi delle linee d’azione nel perseguire i reati devono
essere offerte dalla legge.
La maggiore valorizzazione del concetto d’indipendenza del Pubblico Ministero
è accompagnata dalla considerazione che essa – al pari dell’indipendenza dei
giudici – non è conferita nell’interesse di chi ne è titolare, bensì quale forma di
“garanzia”, nell’interesse di un’amministrazione della giustizia che sia equa,
imparziale ed efficace, per la protezione degli interessi – pubblici e privati – di
tutte le persone coinvolte nel procedimento penale.
28
Se impartite “istruzioni”:
• scritte
• procedura per eventuale sostituzione del PM
assegnatario
[così Rec(2000)19]
Alla dimensione gerarchica cui s’è dianzi fatto cenno si connette direttamente –
quale aspetto particolarmente qualificante e di evidente delicatezza –
l’eventualità che nell’ambito della struttura del Pubblico Ministero vengano
impartite “istruzioni”.
Ad ogni membro del Pubblico Ministero compete, secondo la Raccomandazione
del 2000, il diritto di chiedere che esse gli siano date per iscritto («affinché la
gerarchia si assuma senza ambiguità le sue responsabilità», precisa il
Memorandum). E, se esse dovessero sembrargli illegali o contrarie alla sua
coscienza, l’ulteriore diritto di dar corso ad una procedura interna, anche ai fini
di un’eventuale sostituzione come assegnatario del caso.
L’ottica è quella di evitare quelli che vengono definiti “due eccessi”: da un lato,
quello di riconoscere genericamente ad ogni membro dell’ufficio del Pubblico
Ministero un «diritto di disobbedienza» che potrebbe essere foriero di eccessi,
non rimediabili con meccanismi di ricorso (i quali, inoltre, darebbero luogo ad
una «giudiziarizzazione» dei rapporti gerarchici, suscettibile d’intralciare la
corretta operatività dell’ordinamento); d’altro lato, esplicitamente si definisce
non umanamente accettabile, né scevro di pericoli per le libertà, il fatto di
costringere qualsiasi membro del PM ad eseguire un’istruzione che gli sembra
contraria alla legge o alla sua coscienza.
Le garanzie qui raccomandate sono viste come corrispondenti all’interesse sia
dei membri del PM, sia della società in generale. Se ne prevede l’applicazione
“solo a titolo eccezionale”, precisando che non devono essere utilizzate per fini
“abusivi”: ad esempio per intralciare il buon funzionamento del sistema.
In nessun caso, comunque, l’esercizio di tali diritti e garanzie da parte di un
membro del PM deve comportare conseguenze negative per la sua carriera.
La prospettiva auspicata è che l’organizzazione gerarchica lasci ampio spazio
alla concertazione ed allo spirito collettivo.
29
Sulle istruzioni:
garanzie insufficienti in Rec(2000)19
 secondo la Venice Commission
occorrono pure:
• motivazione (quando si contrasta il punto di vista
di un procuratore di rango “inferiore”)
• pronunzia di un organo indipendente (tribunale /
CSM …) sull’eventuale illegalità dell’istruzione
Un vero e proprio superamento della prospettiva or ora esaminata si rinviene
nel richiamato Rapporto della Venice Commission sugli standard europei circa
l’indipendenza del giudiziario (2010). In esso si definisce inadeguata, sul
punto, la Raccomandazione n. 19 del 2000, reputandosi in particolare
insufficiente che ad un’ipotetica istruzione illegale del “superiore” gerarchico
consegua solo la possibilità per l’inferiore di essere sostituito.
Si esprime, pertanto, l’esigenza che sia sempre enunciata una motivazione,
quando ad un livello gerarchicamente sovraordinato viene contrastato il punto
di vista di un procuratore di rango “inferiore”, e che per quest’ultimo sia
possibile ottenere la pronunzia di un organo indipendente (tribunale, CSM,
Consiglio dei Procuratori o altro) sull’eventuale illegalità dell’istruzione.
Emerge all’evidenza che si tratta di un passo in avanti significativo nel percorso
in atto, di rafforzamento dell’autonomia e delle garanzie d’imparzialità.
Questa notazione, e varie altre proposte in questa presentazione, offrono uno
spunto per cogliere l’esigenza – a dieci anni dalla redazione – di una riflessione
approfondita sull’attualità della Raccomandazione n. 19 del 2000, a fini
soprattutto di aggiornamento e di integrazione.
Una tale riflessione potrebbe propiziare la definizione di un modello di Pubblico
Ministero (non unitario, a livello ordinamentale, ma) rispettoso di principi
condivisi di indipendenza, imparzialità, responsabilità.
Ciò varrebbe anche a colmare in parte il divario esistente rispetto alla cospicua
elaborazione internazionale sull’indipendenza dei giudici (basta menzionare, di
30
recente, la c.d. «Magna Carta», adottata dal Consiglio consultivo dei giudici
europei nel decimo anniversario della sua fondazione).
si tratterebbe di un obiettivo da perseguire nell’interesse generale della
giustizia, pur sempre ribadendo la differenza fra le funzioni del giudice e del
PM: parte, quest’ultima, del processo penale, rispettosa del contraddittorio e
del principio di “parità delle armi” rispetto alla difesa.
31
Relazioni PM / Esecutivo e Legislativo
Modelli:
• PM indipendente
• subordinazione ad uno degli altri poteri
» ma sempre margini di autonomia
• soluzioni intermedie
Garanzie comuni nell’adempimento del mandato:
• non interferenze ingiustificate
» valenza reciproca
» non impedimenti a procedere contro pubblici ufficiali
• limiti ragionevoli alla responsabilità
Doveri correlati:
• resoconto pubblico sull’insieme delle attività svolte
Il Memorandum esplicativo della Raccomandazione n. 19 del 2000 definisce le
relazioni fra il Pubblico Ministero ed i poteri esecutivo e legislativo come
«questione-chiave», sulla quale l’Europa giudiziaria è divisa fra due tipi di
ordinamenti giuridici: quelli che preservano la totale indipendenza del Pubblico
Ministero nei confronti dei poteri legislativo ed esecutivo, e quelli in cui il PM
rimane subordinato all’uno o all’altro di questi poteri, pur beneficiando di un
margine di autonomia più o meno ampio.
Considerando «alquanto prematura» l’idea di un’armonizzazione europea sulla
base di un unico concetto di PM, la Raccomandazione si sforza di analizzare i
due tipi di ordinamento in vigore, «per definire le condizioni idonee a creare un
equilibrio, al fine di evitare eccessi in ogni direzione».
Garanzie essenziali per il PM nell’adempimento del mandato sono ritenute
quelle nei confronti di interferenze ingiustificate e la previsione di limiti
ragionevoli alla responsabilità.
Riguardo al pericolo di ingerenze indebite, il Memorandum esplicativo offre
un’interessante puntualizzazione, laddove chiarisce che il riferimento ai
rapporti del PM con altri poteri chiama in causa anzitutto quelli esecutivo e
legislativo, ma anche il potere economico e quello politico locale. Precisa altresì
che l’ingerenza sull’attività del PM può assumere forme insidiose e derivare, ad
esempio, da risorse insufficienti per il Pubblico Ministero.
Gli Stati devono pure fare in modo che i membri dell’ufficio del PM possano
adempiere al loro mandato senza rischiare di incorrere – al di là, appunto, di
quanto ragionevole – in responsabilità civili, penali o di altra natura (15).
15
Si noti come l’espressione echeggi, quasi testualmente, le linee-guida ONU del 1990.
32
Sul piano della responsabilità, l’equiparazione del PM agli altri cittadini è
indicata soltanto in una prospettiva: «... resta fermo che spetta all’agente
rispondere, come qualsiasi altro cittadino, dei reati commessi». E’ ritenuto,
peraltro, «evidente» che la responsabilità «è maggiore nella misura in cui il
membro dell’ufficio del PM gode di una totale indipendenza», e queste
condizioni «vanno di pari passo con una esigenza di trasparenza»: su un piano
generale, «ogni PM, in quanto agisce a nome della società, deve rendere conto
delle sue attività a livello locale, regionale ovvero centrale, se è organizzato a
quest’ultimo livello», con un «resoconto periodico ... diretto al pubblico», che
permette una migliore percezione dell’azione del Pubblico Ministero e può
includere un rapporto, statistiche che spiegano l’attività svolta, i fondi pubblici
spesi, gli obiettivi conseguiti e, se del caso, il modo con cui la politica penale è
stata messa in opera rispetto ai margini di discrezionalità di cui l’ufficio
dispone.
S’introduce, così, un importante dovere del PM correlato alle condizioni sopra
delineate: quello del periodico resoconto pubblico sull’insieme delle attività
svolte, con particolare riguardo alle modalità di attuazione delle priorità che gli
competono (16).
E’ opportuno notare che si parla di resoconto «sull’insieme» delle attività. La
Venice Commission ancor più esplicitamente ha, da parte sua, escluso che la
responsabilità (segnatamente quella di fronte al Parlamento, dove ammessa
per il capo del Pubblico Ministero) possa riferirsi ad «affari individuali».
Sancendo che il Pubblico Ministero non deve interferire nelle competenze del
potere legislativo e del potere esecutivo, la Raccomandazione del 2000
ribadisce per un altro aspetto – rispetto al punto precedente – il principio di
separazione dei poteri (17).
16
In quest’ottica si registra forse, nell’esperienza italiana, un qualche ritardo. Soltanto un
numero ristretto di Procure della Repubblica ha sinora manifestato una sensibilità sul tema,
provvedendo ad aprire alla conoscenza pubblica determinati dati salienti circa la propria
azione.
Positivo, quindi, il ruolo che in proposito ha assunto la Procura generale presso la Corte di
cassazione, che ha interpretato i poteri attribuitile dall’art. 6 del decreto legislativo n. 106 del
2006 anche quale occasione di raccolta di elementi e di veicolazione delle best practices
sperimentate dalla magistratura requirente dei diversi distretti.
Viene da chiedersi se non sia stata frutto di eccessiva superficialità la soppressione delle
relazioni annuali che i Procuratori generali italiani svolgevano in occasione dell’inaugurazione
dell’anno giudiziario: attività che, se non interpretata quale occasione di mera forma o
semplice adempimento burocratico, avrebbe potuto divenire uno strumento importante di
trasparenza, trattandosi dell’unica sede in cui il rappresentante della magistratura requirente
aveva occasione di parlare ufficialmente in ambito non processuale.
17
Occorre prestare attenzione, a questo riguardo, ad una sfumatura testuale: laddove nella
versione italiana che si rinviene nel sito web del Consiglio d’Europa si legge «Anche se il
Pubblico ministero può raccomandare modifiche legislative o rilasciare pareri interpretativi, egli
non può, di sua propria autorità, interpretare la legge», deve intendersi non già una
33
In caso di subordinazione del PM all’Esecutivo, le necessarie garanzie sono così
definite:
-
precisazione per legge dei poteri del governo;
-
esercizio dei poteri del governo:
trasparente;
in conformità ai trattati internazionali;
nel rispetto della legge e dei principi generali del diritto;
-
istruzioni emanate dal governo:
se di carattere generale:

scritte;

pubblicate;
quando impartite su singoli casi, siano accompagnate da:

garanzie di trasparenza;

garanzie di equità, in conformità alle prescrizioni di
legge, con specifica previsione di un parere scritto
preliminare del PM competente o dell’organo
rappresentativo, motivazione scritta delle istruzioni
(in particolare quando divergono dal parere sopra
menzionato) e inserimento delle istruzioni stesse e
dei pareri nel fascicolo della procedura, con
possibilità di contraddittorio su detti atti;

libertà di argomentare oralmente in giudizio, anche
in caso di presentazione di azione proposta per
iscritto in conformità alle istruzioni ricevute (18).
E’ enunciato il divieto – in linea di massima – di istruzioni negative, ossia che
impongano di non procedere, in riferimento a singoli casi. In ipotesi
eccezionali, ove siffatte istruzioni siano tuttavia emanate, la loro adozione deve
essere comunque sempre assistita dalle garanzie sopra delineate,
particolarmente rafforzate per quanto attiene alla trasparenza.
Il Memorandum esplicativo chiarisce che occorre in ogni caso garantire che le
istruzioni, in particolare ove si tratti di non procedere per una determinata
preclusione dell’attività interpretativa, ma soltanto che non compete al PM ma al giudice dare
l’interpretazione finale di ogni norma. Così, a sua volta, il testo francese: « il ne peut pas, de
sa propre autorité, faire oeuvre d’interprétation de la loi », a fronte del (più puntuale) testo
inglese: «it does not have the authority to impose a legal interpretation».
18
L’enunciato s’ispira in modo evidente al noto principio vigente nel sistema gerarchico del
«ministère public» francese, secondo il quale «la plume est serve mais la parole est libre».
34
categoria di fatti, rispettino rigorosamente l’equità e l’uguaglianza «e che, col
pretesto delle istruzioni generali, non s’intenda invece fornire copertura ad un
determinato caso».
Le istruzioni di natura individuale sono poi ritenute fonte di maggiori difficoltà,
per il rischio che il potere esecutivo privilegi soluzioni di parte: perciò si
raccomanda che siano vietate le istruzioni che ingiungono l’archiviazione del
caso.
Da evitare ogni impedimento a procedere penalmente contro pubblici ufficiali:
divieto che è particolarmente marcato in rapporto ai reati di corruzione, abuso
di potere, violazioni dei diritti dell’uomo e altri delitti riconosciuti a livello
internazionale.
Ove il PM è indipendente dall’Esecutivo, la natura e la portata dell’indipendenza
devono essere specificate dalla legge, al fine di evitare sia prassi clandestine
tali da pregiudicare l’indipendenza, sia ogni rischio di deviazione di parte dello
stesso Pubblico Ministero.
E’ generale il dovere del PM di cooperare con le altre istituzioni (che
ordinariamente dipendono in gran parte dal potere esecutivo), a fini di giustizia
e di efficacia della politica penale.
A sua volta, l’organizzazione interna del Pubblico Ministero deve essere idonea
ad assicurare la coerenza globale dell’azione dei vari membri dell’ufficio (19), in
particolare per quanto riguarda la politica penale effettivamente messa in
opera degli stessi, nel quadro della discrezionalità loro riconosciuta (la quale
non è limitata all’eventuale applicazione del principio di opportunità
nell’esercizio dell’azione penale).
19
Può ancora richiamarsi, in questa prospettiva, l’introduzione nell’ordinamento italiano della
sorveglianza, da parte del Procuratore generale, sull’«uniforme esercizio dell’azione penale», ai
sensi del già citato art. 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006.
35
Relazioni PM / giudici
• garanzie di non interferenza
• divieto di contestuale esercizio di funzioni
requirenti e giudicanti
• passaggio da una funzione all’altra:
» se consentito dall’ordinamento
» garanzia di attuazione concreta
La legge nazionale che disciplina status, competenza e ruolo procedurale dei
PM deve garantire che essi non esercitino interferenze sull’indipendenza e
sull’imparzialità dei giudici.
E’ correlata a questo fine la previsione di una chiara distinzione tra le funzioni
requirenti e giudicanti, con divieto di contestuale esercizio.
Il Memorandum esplicativo ha poi cura di escludere che quest’ultima
prescrizione contrasti con un altro punto del testo nel quale si ammette la
possibilità del passaggio fra le due funzioni al fine di consentire ad un membro
del Pubblico Ministero, nel corso della sua carriera, di divenire giudice o
viceversa (nel testo francese: «... favoriser la création de passerelles entre les
deux fonctions ...»).
La Raccomandazione prevede, infatti, che «se l’ordinamento giuridico lo
consente, gli Stati devono adottare provvedimenti concreti al fine di consentire
ad una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico
ministero e quelle di giudice, o viceversa. Tali cambiamenti di funzioni possono
intervenire solo su richiesta espressa della persona interessata e nel rispetto
delle garanzie». E spiega: «La possibilità di “passerelle” fra le funzioni di
giudice e quelle di pubblico ministero si basa sulla constatazione della
complementarità dei mandati degli uni e degli altri, ma anche sulla similitudine
delle garanzie che devono essere offerte in termini di qualificazione, di
competenza e di status. Anche ciò costituisce un’ulteriore garanzia per i
membri del pubblico ministero».
La prescrizione del dovere dei membri dell’ufficio del Pubblico Ministero di
rispettare l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici è pure specificata nel senso
36
che il PM non esprime dubbi sulle decisioni giudiziarie salvo quando esercita il
diritto d’impugnazione.
Nella sua azione processuale, il PM ispira la sua azione ad obiettività e
correttezza [fairness]. In particolare, si accerta che il giudice disponga di tutti
gli elementi di fatto e di diritto necessari per una corretta amministrazione
della giustizia. Evidenti le implicazioni in ambito processuale, nella discovery e
rispetto alla fairness in generale.
Il Memorandum esplicativo non si limita a sancire che la «prossimità» dei
magistrati del PM e dei giudici non deve pregiudicare l’imparzialità di questi
ultimi. Considera, anzi, «ovvio» che esiste pure una reciprocità ed i giudici
«devono rispettare i rappresentanti della società, che sono i membri del
Pubblico Ministero, e non immischiarsi nell’esercizio delle loro funzioni».
37
Rapporti PM / polizia giudiziaria
Sistemi differenti:
• autorità del PM su polizia / indagini
• indipendenza della polizia
In ogni caso, doppio mandato per il PM rispetto
all’azione della p.g.:
– verifica della legalità delle indagini
– controllo del rispetto dei diritti umani
Riguardo ai rapporti Pubblico Ministero-polizia giudiziaria sussistono tra i vari
ordinamenti diversità radicali, definite nel Memorandum esplicativo «un altro
scoglio che si frappone alla volontà di armonizzazione europea».
In linea generale, comunque, si definisce un doppio mandato del PM rispetto
all’azione poliziesca:
-
per principio generale, comune a tutti gli ordinamenti, al PM compete
il potere-dovere di controllare la legalità delle inchieste condotte dalla
polizia, almeno quando decide d’intentare o di proseguire l’azione
penale;
-
il PM deve, in particolare, controllare il modo in cui la polizia rispetta i
diritti dell’uomo.
Nei Paesi in cui ha autorità sulla polizia o sulle indagini, il PM deve essere
messo in grado di:
-
assegnare ogni inchiesta al servizio di polizia che ritiene adeguato;
-
dare istruzioni efficaci (20);
-
verificare il rispetto delle sue indicazioni e della legge;
-
sanzionare (o far sanzionare) eventuali violazioni;
In ogni caso, anche ove la polizia è indipendente dal Pubblico Ministero, gli
Stati devono assicurare che PM e polizia cooperino in modo adeguato ed
efficace.
20
Si nota, fra l’altro, nel Memorandum esplicativo: «i poliziotti saranno tanto più in grado di
applicare effettivamente le istruzioni del PM quanto più quest’ultimo parteciperà al loro
addestramento».
38
Doveri e responsabilità del PM
nei confronti degli individui
•
•
•
•
•
•
•
•
•
correttezza, imparzialità, obiettività
rispetto e tutela dei diritti dell’uomo
massima celerità possibile
vigilanza attiva sul principio di eguaglianza
considerazione di tutti gli elementi, a favore o a carico
arresto dell’azione di fronte all’infondatezza delle accuse
non utilizzo di prove ottenute con metodi illegali
rispetto attivo del principio di parità delle armi
preservazione del carattere riservato delle informazioni, in
particolare se è in gioco la presunzione d’innocenza
• interessi dei testimoni
• opinione e preoccupazioni delle vittime
A proposito di doveri e responsabilità del Pubblico Ministero, si riprendono e si
sviluppano i due imperativi già menzionati nel punto 1 della Raccomandazione:
è prescritto il rispetto dei diritti degli individui e, ad un tempo, la ricerca di
un’azione efficace (21).
Il Pubblico Ministero (funzione alla quale vari atti europei raccomandano siano
destinate persone della più alta integrità morale, oltre che tecnica):
-
agisce con correttezza, imparzialità, obiettività (la Venice Commission
parla oggi, addirittura, di procuratore che deve «agir comme un
juge»);
-
rispetta e tutela i diritti dell’uomo come enunciati dalla CEDU;
-
vigila sulla «massima celerità possibile» dell’ordinamento penale;
-
evita ogni discriminazione;
-
vigila sull’uguaglianza di ciascuno davanti alla legge;
-
considera tutti gli elementi rilevanti, a favore o a carico della persona
sospettata (è interessante la correlazione fra questo dovere – ripreso
in Italia dall’art. 358 c.p.p. – e il principio di eguaglianza: secondo il
Memorandum esplicativo il PM è innanzitutto il custode della legge, e
proprio da ciò discende il dovere di comportarsi in modo
assolutamente imparziale; non attiva né prosegue il procedimento
21
Una discrasia si registra tra il testo in francese, che specificamente menziona doveri e
responsabilità nei confronti dei singoli «giudicabili», e quello in inglese, che adotta una
locuzione più ampia: nei confronti degli «individui». Il riferimento, secondo il Memorandum
esplicativo, è agli indiziati, alle vittime dei reati e anche ai testimoni. La versione inglese
risulta, dunque, più pertinente al senso complessivo della trattazione.
39
quando un’indagine imparziale ha dimostrato l’infondatezza delle
accuse);
-
non utilizza prove che sa (o che può ragionevolmente supporre)
essere state ottenute con metodi contrari alla legge: e il Memorandum
esplicativo precisa che per «metodi contrari alla legge» s’intendono
non tanto le irregolarità formali, quanto le illegalità che attentano ai
diritti fondamentali;
-
vigila sul rispetto del principio della “parità delle armi” tra le parti del
processo: in particolare, trasmette alle altre parti – salvo eccezioni
previste dalla legge – ogni informazione suscettibile di incidere su un
equo svolgimento del processo (22);
-
preserva il carattere riservato delle informazioni raccolte, in
particolare quando è in gioco la presunzione d’innocenza, a meno che
tali informazioni debbano essere comunicate nell’interesse della
giustizia o in base alla legge (da notare che si parla espressamente di
«presunzione d’innocenza», non semplicemente di «presunzione di
non colpevolezza»);
-
tiene conto degli interessi dei testimoni e, in particolare, si dà carico
di tutelare la loro sicurezza;
-
tiene conto dell’opinione e delle preoccupazioni delle vittime e si
accerta che esse siano informate dei loro diritti e dell’andamento della
procedura.
Rispetto all’eventuale decisione del PM di non promuovere l’azione penale, alle
parti interessate è riconosciuto il diritto di contestare la conclusione. Si tratta di
un diritto (eventualmente subordinato alla preventiva verifica gerarchica della
decisione del PM) che, a seconda dei sistemi nazionali, può essere variamente
definito ed esercitabile, dunque, o in via giurisdizionale o autorizzando le parti
a promuovere esse stesse l’azione.
Parti interessate, titolari del diritto a contestare la decisione del PM, sono in
modo particolare le vittime del reato. Ma dal Memorandum esplicativo emerge
con chiarezza che con questa espressione non ci si riferisce soltanto alle
vittime dirette (individuali o collettive, ma pur sempre identificabili): vengono
in considerazione anche quei reati (come la corruzione, o gli illeciti che
danneggiano gli interessi finanziari dello Stato o di una collettività territoriale),
per i quali pure occorre garantire – anche in assenza di vittime «dirette», che
agiscano come tali – il «controllo democratico sull’azione del PM in settori
particolarmente sensibili».
22
Com’è noto, il principio dell’uguaglianza delle armi, contenuto nell’art. 6.1 della CEDU,
costituisce in effetti un aspetto del concetto più ampio di equo processo dinanzi ad un tribunale
indipendente ed imparziale.
40
Indipendenza e autonomia
 maggiore responsabilità
• “Codice di condotta” per i membri del PM
– possibilità di sanzioni
– con garanzie procedurali
• Controllo interno sull’esercizio delle funzioni
I membri dell’ufficio del PM devono
“dar prova di eccellenza nelle loro decisioni
e nella loro condotta professionale”
Il tema dei controlli è articolato in rapporto alla necessità di un codice di
condotta per i membri del Pubblico Ministero (23), debitamente sanzionato,
nonché ad un meccanismo di controllo interno sull’esercizio delle funzioni.
Gli Stati devono vigilare affinché l’esercizio delle funzioni di membro del
Pubblico Ministero sia in tal modo regolamentato, con previsione di sanzioni
appropriate per le inadempienze.
Interessante l’indicazione, nel Memorandum esplicativo, che i membri
dell’ufficio del Pubblico Ministero devono «dar prova di eccellenza nelle loro
decisioni e nella loro condotta professionale».
La loro appropriata responsabilizzazione è necessaria in correlazione col
continuo rafforzamento dell’indipendenza e dell’autonomia.
23
Laddove si tratta del «codice di condotta», tale dizione – di carattere ovviamente generale –
pare doversi leggere come idonea a ricomprendere anche la normativa disciplinare italiana.
41
Cooperazione internazionale
• contatti diretti fra PM dei diversi Paesi
• contatti personali periodici
» CPGE  CCPE
• formazione professionale
• magistrati di collegamento
Non va dimenticato che la Raccomandazione n. 19 del 2000 fu elaborata
quando la moderna cooperazione giudiziaria (soprattutto europea) era agli
albori.
Il testo va, dunque, apprezzato per il meritorio sforzo anche su questo
versante, ma innegabilmente necessita oggi di aggiornamento al riguardo.
Esso muove da un’opzione di favore per i contatti diretti fra i membri
dell’ufficio del PM nei diversi Paesi, nel quadro di convenzioni internazionali o,
se queste mancano, in forza di intese pratiche.
Per favorire i contatti diretti fra i Pubblici Ministeri, linee di sviluppo sono
individuate in rapporto a:
-
diffusione di documentazione (ad esempio,
legislazione applicabile nei vari Paesi);
-
compilazione di liste di contatti e di indirizzi (con nomi degli
interlocutori competenti nelle varie Procure, loro specializzazione,
settore di responsabilità etc.);
-
contatti personali periodici: tra essi s’inquadravano, in particolare, le
già menzionate Conferenze dei Procuratori generali (CPGE),
successivamente evolutesi nel senso della creazione del Consiglio
consultivo dei Procuratori d’Europa (CCPE), istituzione che
continuativamente opera oggi nella prospettiva in questione (del CCPE
si illustreranno appresso i dati salienti);
-
corrispondenza elettronica;
42
informazioni
sulla
-
formazione professionale e seminari (24);
-
promozione della consapevolezza che costituisce necessità comune la
partecipazione attiva alla cooperazione internazionale e la promozione
di forme di specializzazione in materia;
-
formazione linguistica;
-
istituzione di “magistrati di collegamento”, nei diversi Stati (25);
-
possibilità per il PM dello Stato richiedente di rivolgere domande di
assistenza giudiziaria direttamente alla competente autorità dello
Stato richiesto e, correlativamente, per l’autorità richiesta di
rimandare direttamente al PM richiedente gli elementi di prova
raccolti.
Il Memorandum esplicativo suggerisce, fra l’altro, di favorire lo scambio
spontaneo d’informazioni fra gli uffici del PM dei vari Paesi, oltre ad indicare
come obiettivo a medio termine la creazione di una rete giudiziaria “paneuropea”.
24
Proprio nel relativo punto 38 della Raccomandazione s’inquadra l’iniziativa del CSM italiano
del 4-5 luglio 2011, per la quale questa presentazione è stata predisposta.
25
Com’è noto, l’Italia ha propri magistrati, espletanti tale funzione di collegamento (vitale per
la proficua cooperazione), a Bucarest, Londra, Madrid, Parigi; corrispondenti sono le presenze
dei magistrati di collegamento stranieri a Roma.
43
Il tema della cooperazione giudiziaria europea, or ora menzionato, induce ad
alcune considerazioni complementari, specificamente riguardo al Consiglio
consultivo dei Procuratori europei (CCPE – Consultative Council of European
Prosecutors).
E’ questo un organismo deputato ad esprimere pareri a richiesta del Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa, che ne deliberò l’istituzione con la Decisione
assunta il 13 luglio 2005.
L’istituzione del CCPE quale organismo permanente costituisce il momento
culminante di un percorso intrapreso all’inizio dello scorso decennio mediante
l’organizzazione di conferenze pan-europee dei vertici del Pubblico Ministero
dei Paesi membri del Consiglio d’Europa.
Queste – di solito indicate con l’acronimo CPGE (Conferences of Prosecutors
General of Europe) – presero le mosse dall’evento inaugurale tenuto a
Strasburgo nel maggio 2000 e dedicato al tema «Quale pubblico ministero in
Europa nel XXI secolo?».
Con la creazione del Consiglio consultivo dei Procuratori europei, il Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa intese istituzionalizzare la sede di confronto
tra Pubblici Ministeri in ambito continentale, dando ad essa stabilità e
definendone gli obiettivi.
Al CCPE furono, dunque, affidati i seguenti compiti:
-
redigere pareri (“Opinions”) per il Comitato europeo sui problemi
criminali (CDPC – European Committee on Crime Problems),
soprattutto
riguardo
all’applicazione
della
Raccomandazione
Rec(2000)19;
44
-
promuovere l’applicazione della predetta Raccomandazione n. 19 del
2000;
-
raccogliere informazioni sul funzionamento dei servizi di procura nei
Paesi membri del Consiglio d’Europa.
Il Consiglio consultivo può pure ricevere da singoli Stati membri del Consiglio
d’Europa la richiesta di studiare temi concernenti un determinato sistema di
procura, anche al fine di aiutare gli Stati a rispettare gli standard europei in
materia.
Nel Consiglio consultivo dei Procuratori – che ha base a Strasburgo ed il cui
Segretariato è costituito presso la Direzione generale del Consiglio d’Europa
per i Diritti umani e gli Affari legali – hanno diritto di essere rappresentati tutti
i 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa (26).
I rappresentanti nazionali sono designati dalle competenti autorità dei relativi
Stati, le quali devono sceglierli tra magistrati del Pubblico Ministero in servizio
che si caratterizzino per il più elevato grado d’integrità personale e per una
profonda conoscenza del funzionamento del sistema giudiziario.
Tra i rappresentanti dei 47 Paesi membri del Consiglio d'Europa sono eletti
annualmente il Bureau direttivo del CCPE (composto dal presidente, dal
vicepresidente e da altri due membri) e un “Gruppo di lavoro” incaricato della
redazione dei documenti da sottoporre alla discussione ed all'approvazione del
Consiglio consultivo in seduta plenaria.
26
In rappresentanza dell'Italia hanno partecipato ai lavori del CCPE, dalla sua costituzione, i
sostituti procuratori generali della Corte di cassazione Vito Monetti (2005-2008) e Antonio
Mura (dal 2009), attuale vicepresidente. Il CSM è stato rappresentato dai consiglieri Antonio
Patrono e Alfredo Pompeo Viola.
45
Nel sito web del Consiglio superiore della magistratura italiano compaiono
pagine specificamente dedicate al Consiglio consultivo dei Procuratori europei
(CCPE): http://www.csm.it/ccpe/index.html
46
Strasburgo, 22 maggio 2000
Conferenza pan-europea
“QUALE PM IN EUROPA PER IL XXI SECOLO?”
Rec(2000)19
Caserta
Bucarest
Lubiana
Bratislava
Celle
Budapest
Mosca
Varsavia
San Pietroburgo
Bordeaux
Yerevan
Roma, 4 luglio 2011
... QUALE PM IN EUROPA PER IL XXI SECOLO?
Portando a sintesi la ricca serie di spunti offerti dalla Raccomandazione n. 19
del 2000, che s’è esaminata nelle sue linee generali, possono proporsi alcune
notazioni di fondo:
a) la finalità dell’azione del Pubblico Ministero – «autorità incaricata di
vigilare, a nome della società e nell’interesse generale, sull’applicazione
della legge quando quest’ultima è sanzionata penalmente» – è l’interesse
generale all’efficacia del sistema penale e, ad un tempo alla tutela dei
diritti individuali;
b) tutti i sistemi nazionali hanno piena legittimazione: non può definirsi un
modello unico di PM, neppure come preferenza né come linea
tendenziale;
c) è però individuabile una generale tendenza, sul piano europeo,
all’incremento delle garanzie concernenti il Pubblico Ministero: di status,
di organizzazione, di mezzi (anche con specifico riguardo alla
determinazione del budget del quale il PM è dotato per la sua azione);
d) la corrispondenza degli ordinamenti nazionali agli standard delineati nella
Raccomandazione del 2000 è ampia, e risulta in crescita la sensibilità su
alcuni punti di rilievo (esempio significativo è offerto dagli spunti della
Venice Commission circa la necessità di adeguati rimedi ad eventuali
istruzioni gerarchiche illegali);
e) vi è una diffusa propensione per un modello organizzativo strutturato
gerarchicamente, ma che:
-
non deve diventare burocrazia paralizzante;
47
-
deve ispirarsi all’efficienza del servizio di giustizia penale (27);
f) il rapporto tra il PM ed i poteri legislativo ed esecutivo continua a
costituire tutt’oggi «questione-chiave»;
g) va riconosciuta una responsabilità diretta del PM in rapporto al «giusto
processo» (fair trial):
-
nelle indagini (anche a favore dell’accusato);
-
nella verifica della legittimità dell’operato della polizia giudiziaria;
-
nella discovery (mettendo a disposizione tutte le risultanze);
-
in tutte le scelte discrezionali: da compiere con imparzialità (28).
27
La Venice Commission sintetizza in 25 punti finali le indicazioni perché non vi sia indebita
ingerenza nell’azione del PM: interessa qui segnalare che il sistema italiano soddisfa tutte e 25
le prescrizioni. Spazi di progresso per l’Italia possono individuarsi sui temi del coordinamento
nell’azione delle procure, della trasparenza/pubblica responsabilità sull’azione complessiva del
PM, dell’attenzione per la vittima del reato, dei metodi di determinazione e gestione delle
dotazioni di budget per l’azione del PM.
28
Viene definitivamente sfatato il luogo comune (che spesso affiora nel dibattito italiano sulla
giustizia) che vorrebbe il PM di altri sistemi (soprattutto di common law) depositario di poteri di
scelta arbitrari e di finalità “agonistiche” svincolate dal fine di giustizia.
48
CONCLUSIONE:
La Conferenza dei Procuratori generali d’Europa organizzata a Strasburgo nel
maggio 2000, con un titolo tanto impegnativo quanto stimolante, poneva
l’interrogativo su come l’Europa concepisce il Pubblico Ministero nel XXI secolo.
Dieci anni dopo, la portata di quel quesito è intatta, anzi rafforzata: siamo nel
bel mezzo di un percorso importante per la democrazia, per la Rule of Law, per
lo stato di diritto, per la tutela dei diritti umani e delle libertà.
Il mio auspicio è che la tappa di Roma – col seminario dedicato alla
Raccomandazione Rec(2000)19 dal CSM italiano il 4-5 luglio 2011 – sia
proficua in questo cammino.
Mi permetto, in questa prospettiva, anche in qualità di vicepresidente del
Consiglio consultivo dei Procuratori d’Europa, di enunciare la speranza (che, in
realtà, vuole nella sostanza essere anche una precisa proposta): che da questa
Conferenza venga lo stimolo al Consiglio d’Europa per un rinnovato impegno a
portare pienamente ad effetto, ma anche ad aggiornare la Raccomandazione n.
19 del 2000, nell’interesse comune della giustizia.
Roma, 4 luglio 2011
Antonio Mura
Vicepresidente del CCPE
Sostituto procuratore generale
della Corte di cassazione italiana
49
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