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Scheda sull`opera e sul restauro
IL RESTAURO, TRA FUNZIONALITÀ ED ESTETICA, DELLA TAVOLA DI LUDOVICO MAZZOLINO RAFFIGURANTE LA MADONNA IN TRONO COL BAMBINO E I SANTI ANDREA E PIETRO Chiara Rossi, Ciro Castelli, Achille Bonazzi, Curzio Merlo, Mario Amedeo Lazzari, Ivana Iotta, Paolo Mariani, Michele Bernardi, Gianni Toninelli Direttore Tecnico Laboratorio Dipinti OPD Firenze Capo restauratore supporti lignei OPD Firenze Università degli Studi di Parma Laboratorio di Diagnostica applicata ai Beni Culturali Cr.Forma Dirigente del Sistema Museale città di Cremona Scuola di Restauro Cr.Forma, Azienda Speciale della Provincia di Cremon Restauratore del Museo Civico di Cremona Sintesi Il dipinto di Ludovico Mazzolino è un olio su tavola degli inizi del XVI secolo, cm 172 di larghezza e cm 278 di altezza, del Museo Civico di Cremona. A causa dei gravi problemi di conservazione fu trasferito nel 1985, su indicazioni dell’allora Soprintendente delle Province di BS/CR/MN Antonio Paolucci, ai laboratori di restauro dell’O.P.D. Il dipinto presentava un supporto ligneo molto compromesso che minava seriamente la conservazione della pellicola di colore. Le operazioni per il restauro ligneo furono affidate alle cure di Ciro Castelli coadiuvato da Mauro Parri e Andrea Santacesaria. L’intervento fu preceduto da una prima campagna diagnostica non invasiva, realizzata presso i Laboratori dell’Opificio, utilizzando luminescenza UV, riflettografia IR, riprese IR in falso colore, radiografia e fluorescenza rX. Sul retro del supporto, composto da quattro assi di pioppo di cattiva qualità, era stata applicata una parchettatura in legno di douglas che copriva tutta la superficie del dipinto. Come consueto, per applicare la parchettatura, erano state realizzate una serie di operazioni: riduzione di metà dello spessore del supporto, una serie di tagli longitudinali nello spessore del tavolato e riempimenti con sverze di legno duro. Questo intervento ha aggravato la precaria stabilità degli strati preparatori e pittorici favorendo estesi sollevamenti di colore. Si è, pertanto, proceduto alla progressiva rimozione della parchettatura e sono state tolte le sverze interne ai tagli. Sulla faccia pittorica sono state rimosse le ampie stuccature lungo le commettiture che livellavano i margini pittorici, coprendo molto del colore originale. I margini delle sconnessioni e delle fessurazioni sono stati rettificati e portati allo stesso livello dei margini dipinti. Le connessioni e le fratture nel supporto sono state ricollegate, con piccoli cunei e sono state integrate alcune parti mancanti nel supporto. Considerate le dimensioni del dipinto, la drastica riduzione dello spessore del supporto e la patologica fragilità degli strati pittori, si è ritenuto opportuno dotare l’opera di un telaio perimetrale con traverse interne. Il sistema di collegamento tra supporto e telaio è stato realizzato con un meccanismo che permette il controllo lineare e della deformazione del supporto oltre che correggere alcune anomale alterazioni delle assi. Quando il dipinto venne trasferito al laboratorio di Cremona, il restauro del colore fu affidato alla direzione lavori di Chiara Rossi che ha seguito, con Michele Bernardi e Gianni Toninelli, le operazioni di fermatura puntuale dei sollevamenti di colore, il consolidamento sotto vuoto, la non facile pulitura e l’intervento di reintegrazione pittorica. Il lavoro di pulitura e parziale asportazione delle ridipinture, frutto di un’analisi e un percorso teorico/metodologico, è stato supportato dalle analisi diagnostiche eseguite presso il Laboratorio di Diagnostica applicata ai Beni Culturali della Scuola di Restauro di Cremona. Le tecniche imaging, con particolare riferimento alla luminescenza UV, si sono rivelate fondamentali per la definizione della miscela solvente da utilizzare per la sverniciatura: i numerosi tasselli sono stati -1- documentati in tempo reale per evitare che una pulitura non selettiva intaccasse il livello pittorico. I risultati della fluorescenza rX hanno avvalorato ed integrato le informazioni già acquisite dall’Opificio. Si è proceduto, infine, al prelievo di cinque microcampioni, inglobati e sezionati per documentare le sezioni stratigrafiche in microscopia ottica ed elettronica con microanalisi EDS. I risultati ottenuti hanno chiarito la tecnica esecutiva della policromia su legno. La ricollocazione dell’opera nel Civico Museo di Cremona, che è stato completamente rivisitato in tempi recenti, ha richiesto un analisi storico - museologica delle sale destinate ad accogliere sia la tavola del Mazzolino ma anche quella del Mansueti, il cui restauro è in fase di completamento presso i laboratori di restauro dell’O.P.D. Notizie storiche [1] Nella scheda che elenca gli oggetti donati al Museo di Cremona da Vincenzo Favenza [2], il redattore Carlo Crippa avvertiva che il “13 settembre 1894 [questi era] venuto a Cremona per trattativa circa i doni” e che il “24 ottobre [erano] arrivate le casse con doni e quadri” (AMCCr Lab., Archivio di Carlo Crippa, cass. “Donatori e depositanti”, lettera F, Favenza Vincenzo); è dunque probabile che la tavola possa essere stata depositata nelle collezioni del Museo almeno da quella data. Nell’elenco inventariale del 30 maggio 1895 redatto dal segretario del Museo a sanatoria di un precedente inventario del 1894 si legge: “19 Grande tavola attribuita a Dosso Dossi rappresentante la Madonna in trono con santi” (v. in AMCCR Lab., cass. N bis, fasc. 2 “Donazione Favenza”). Nella scheda che la riguarda, così è annotato: “n. 661 Attribuito a Luteri detto Dosso Dossi […] Il Favenza attribuiva questo dipinto a Dosso Dossi ferrarese, ma i più escludono affatto tale attribuzione. Altri lo vogliono piuttosto di Benvenuto Tisi, maniera primitiva. Frizzoni Gustavo lo attribuisce a Lodovico Mazzolino”. Nel periodico “Arte Italiana decorativa industriale” (anno IV (MDCCCXCV), ed. Hoepli Milano e Arti Grafiche di Bergamo, fasc. 6, p. 48), diretto da Camillo Boito, viene menzionato il dipinto “La Cattedra della Madonna in un quadro di scuola ferrarese del secolo XVI” e un’attenta analisi dell’ “Egregio professor Fei che insegna ornato e decorazione nell’Istituto Ala Ponzone di Cremona, che affermava “…essere affatto erronea l’assegnare codesto quadro al pennello del Dosso […] Benché il quadro sia stato maldestramente guastato da abbondante ristauro, guaio che si presenta in quasi tutti i quadri provenienti dal Favenza, in questo abbiamo la fortuna d’avere la parte superiore della cattedra della Madonna intatta […] bene inteso nella parte decorativa, poiché le figure purtroppo hanno subito tali danni da non esser più riconoscibili” (v. in AMCCr Lab, Archivio di Carlo Crippa, Cass. Dipinti, I, n.661). Tuttavia, in mancanza di ulteriori notizie, è stato invece possibile recuperare nell’archivio del Museo il preventivo dei f.lli Porta di Milano del 21 maggio 1910 indirizzato al “R. Sovraintendente d’opere d’arte della Lombardia […] Preventivo della spesa occorrente per il restauro ai seguenti dipinti esistenti nel Museo Civico di Cremona […] II Per francatura del colore, pulitura stuccatura delle lacune coloritura con tinte neutre o locali nelle parti mancanti di colore, rinnovo di vernice da farsi al dipinto su legno di m. 1.70x3 rappresentante Madonna con Bambino e Santi, attribuito al pittore Dosso Dossi dell’epoca 1500 … L. 475” (AMCCr Lab., Cass. P bis “Restauri”, fasc. 6). Nel frattempo era deceduto il Landriani, sostituito dal marchese Antonio Sommi Picenardi e in seguito dall’avvocato Fulvio Maggi; poi fu assegnato il rimborso spese ai f.lli Porta venuti a Cremona per visionare i dipinti. Nel 1912 venne pure a Cremona il restauratore Vincenzo La Rocca per osservare le opere da restaurare, senza specificare quali fossero (AMCCr Lab, Cass. I-Re, registro “Urano”, p. 15). La questione dei restauri si protrasse fino alla convocazione della Commissione Conservatrice del Museo del 23 marzo 1915 in cui veniva annotato nel verbale di seduta a proposito del “Restauro tavole Favenza. Sentita la relazione del membro Prof. Galeati che, richiamata la lunga pratica al riguardo e la necessità di provvedere, accenna alla possibilità di servirsi del pittore Vanoli (attualmente qui per restauri in S. Agostino) col quale ebbe ad intrattenersi anche per la relativa spesa con trasporto su tela. Preso -2- atto della dichiarazione del membro sig. Priori [Pietro Priori, pittore e restauratore dr], disposto agli occorrenti restauri senza staccare i dipinti [dalle rispettive tavole per il riporto sopra tela dr] e per le pure spese. Rimette il conservatore di interpellare il Signor Sovraintendente delle Gallerie in Milano” (AMCCr Lab, Cass. “Restauri”, fasc. 6). Il 14 giugno 1915 il Conservatore Maggi scriveva al Modigliani sull’offerta di restaurare le tavole fatta dal Priori, specificando che lo stesso pittore intendeva agire con il minimo intervento e tuttavia col permesso del Sovraintendente; che rispondeva il 12 luglio seguente, dichiarando la propria soddisfazione per “l’intenzione manifestata”, ma avvertendo che per ogni operazione, anche se meccanica, era preferibile (e necessaria) l’opera di uno specialista e non semplicemente di un pittore. Probabile dunque che il Priori non abbia messo mano (almeno ufficialmente) alla saldatura e integrazione delle lacune della tavola, mentre della posa in opera di questi restauri non s’è trovata altra traccia. Nei verbali di congregazione degli anni seguenti e durante lo svolgersi del conflitto mondiale 1915-18, l’unica nota interessante è l’arrivo al Museo nel 1917 della gigantesca tavola di Tiziano, L’Assunta, capolavoro di m. 6,90x3,60, trasportata “per via fluviale” onde proteggerla da possibili incursioni aeree e conservata, debitamente imballata e protetta con sacchetti di sabbia “nella sala terrena verso corso Vittorio Emanuele dove si trovano le terrecotte e parte della libreria Albertoni” (AMCCr Lab, Cass. N bis, Verbali di sedute (1915-1919) ). In seguito, tra il 1927 e 1928, il materiale artistico fu trasferito nella nuova sede museale di Palazzo Affaitati ad opera del nuovo direttore Illemo Camelli che succedeva al Conservatore onorario, ingegnere Ettore Signori. Nel 1930 il dipinto, ancora attribuito a Dosso Dossi, fu pubblicato sul catalogo della nuova Pinacoteca, ma identificando il santo che regge la croce non in sant’Andrea, ma in un improbabile san Filippo Benizzi dell’Ordine Servita (in rivista “Cremona”, 6 (1930). Sembra tuttavia impossibile che durante i vari alloggiamenti, imballaggi e trasporti dell’opera (e senza dimenticare che analoghe operazioni vennero compiute durante l’ultimo conflitto) non possano essere state applicate almeno le cure necessarie per evitare disastri assai peggiori di quelli osservati nel 1907 dal Modigliani. E’ noto, per esempio, che il restauratore ufficiale del Museo durante la conservatoria Camelli fu il cremasco Giuseppe Papetti che spesso operava con il consenso e sotto la diretta tutela del direttore, tra l’altro Ispettore onorario della Soprintendenza, ed è assai probabile che il Papetti vi possa aver posto mano. Il 13 aprile 1949, il pittore Ernesto Piroli, restauratore presso il Museo, praticò alla tavola del Mazzolino, su invito di Alfredo Puerari nuovo Commissario-Direttore dal 1945, una “fissatura particolarmente ai lembi di due fenditure longitudinali, stuccatura, intonatura” (AMCCr Lab., Cass. 10 B “Restauri”, Archivio di Luisa Piroli, fasc. 2). Da una lettera del 16 marzo 1966, inviata da Puerari al Soprintendente di Mantova Giovanni Paccagnini per favorire un necessario intervento ad opera di Ottemi Della Rotta, allora restauratore milanese di grande prestigio, si vengono a conoscere le reali condizioni dell’opera: “Stato di conservazione: pessimo. Nonostante il restauro del 1949, che si risolse in una superficiale pulitura, la grande importante tavola è in uno stato pietoso. Presenta due grandi fenditure verticali, e un diffusissimo sollevamento del colore, sia in ampie zone, sia che in moltissimi punti particolari. Numerose le bolle e piuttosto grosse. La tavola necessita di una nuova imparchettatura che impedisca al legno di muoversi rompendo il colore, e di una accuratissima fissatura di tutto lo strato pittorico. Inoltre ha bisogno di una diligente pulitura che restituisca al colore il suo smalto originale” (AMCCr Lab., cass. N bis “Restauri”, fasc. 2). Il 4 giugno dello stesso anno, Paccagnini rispondeva a Puerari dando il proprio assenso all’intervento ma colla richiesta della “dichiarazione di proprietà e di non intervento finanziario” del Comune ed inoltre di foto a luce radente in doppia copia. I lavori ebbero effettivamente inizio il 17 ottobre 1966 e questi, con le testimonianze pubblicate alcuni mesi dopo dalla Provincia, sono gli unici restauri dei quali è stato possibile avere notizie certe, oltre all’operazione di Piroli. -3- La metodologia Nell’ambito del restauro delle tavole dipinte i casi di instabilità degli strati pittorici, come quello che presentato dall’opera, costituiscono uno dei problemi di più difficile soluzione. In realtà la fragilità del colore, se non legata a particolari episodi traumatici, non è che il sintomo più evidente di una patologia che può avere varie cause lontane e complesse, come si evince, in questo caso anche, dalla approfondita ricerca storica. Fino a quando non verrà recuperata la stabilità strutturale, i sollevamenti continueranno a formarsi ed il degrado ad avanzare. Si capisce, quindi, come sia indispensabile la fase della diagnostica e la successiva progettazione dell’intervento: lo studio preliminare permette di appurare quale sia la causa dello stato di degrado e consente di definire le operazioni da compiere, per operare in modo efficace e risolutivo. Nel caso in esame l’origine del degrado era da individuarsi nell’instabilità del supporto, già sottoposto ad un intervento di assottigliamento e parchettatura che ha aggravato, invece che risolto, il problema. Dopo avere acquisito i risultati della prima campagna diagnostica svolta presso i Laboratori dell’OPD, si è proceduto, inizialmente, al risanamento e stabilizzazione della struttura lignea, creando un sistema di traversatura adeguato a garantirne la stabilità. Successivamente sono stati abbassati i sollevamenti e consolidata la preparazione operando in modo tale da garantire la penetrazione in profondità del consolidante. Il terzo e ultimo obiettivo, conseguito a seguito delle indagine svolte dal Laboratorio di Diagnostica della Scuola di Cremona, è stato quello di liberare la superficie pittorica dalle vernici alterate e dalle numerose ridipinture che si sovrapponevano a larghe parti di originale. La ricostruzione, poi, con metodo reversibile ed identificabile, delle mancanze e delle abrasioni ha riportato l’opera ad una piena leggibilità. Le fasi di integrazione pittorica e verniciatura si pongono come conclusive nella sequenza degli interventi. Ora solamente la conservazione del dipinto in condizioni ottimali e controllate del microclima potrà evitare che variazioni significative dei parametri ambientali provochino dilatazione, rigonfiamento o contrazione del supporto ligneo sollecitando pericolosamente preparazione, imprimitura e la pellicola pittorica. La diagnostica Il restauro ligneo fu preceduto da una prima approfondita campagna diagnostica non invasiva, realizzata presso i Laboratori dell’Opificio (P. Moioli, C. Seccaroni, 2004), utilizzando luminescenza UV, riflettografia IR, riprese IR in falso colore, radiografia e fluorescenza rX. La radiografia X ha fornito informazioni particolarmente significative sia per comprendere la tecnica originale sia per ricostruire l’evolversi del dipinto nel tempo. Indicazioni sulla struttura del supporto, la sua natura fisica e i suoi componenti (ad es. fibratura e condizione del legno, presenza di elementi costitutivi - cavicchi, chiodi, ecc. -, e di restauro), oltre a quelle relativi agli strati preparatori e pittorici. Sono emersi diversi pentimenti in corso d’opera, particolarmente evidenti nelle aree contenenti quantità elevate di materiali a base di piombo, come gli incarnati e altri colori ottenuti in miscela con biacca. Tra questi spicca un netto cambiamento del posizionamento della testa della Madonna, già nella versione originale portata ad un grado molto dettagliato e completo di pittura (Figure 1 e 2). Questo mutamento è unito alla presenza di elementi aggiunti alla struttura architettonica in secondo piano dietro al trono che attualmente coprono lo sfondo di paesaggio inizialmente esteso fino ai bordi laterali del dipinto (Figure 3 e 4). Il paesaggio, che si scorgeva nell’idea originale attraverso delle aperture formate da arcate e una sorta di muretto o balaustra, di cui si notano i segni incisi sulla preparazione fatta prima di dipingere, è stato sostituito dalle parti dipinte a monocromo con motivi ornamentali simili a quelli che sono visibili nel resto della costruzione monumentale oltre che sul trono. Un altro interessante “pentimento” è stato ravvisato nella parte centrale del piede del trono: una scena di combattimento dipinta a monocromo è stata ricoperta da una iscrizione in lingua ebraica racchiusa in una tabella (Figura 5). Questa frase è analoga a quella contenuta in altre due iscrizioni che si trovano nei cartigli -4- sagomati in alto ai lati del trono (Figure 6 e 7). La riedizione della composizione è stata eseguita probabilmente a dipinto già compiuto, forse in seguito a danni che hanno provocato notevoli cadute della pellicola pittorica e della preparazione, in particolare nell’asse di sinistra e, in misura minore, in quella mediana a destra. L’analisi della fluorescenza rX di 47 punti indagati ha evidenziato la natura della preparazione, presumibilmente a gesso e colla, che risulta di marcata fragilità, applicata al legno senza interposizione di tela o altro materiale. Per quanto riguarda gli strati pittorici, le stesure successive di pigmenti in un legante oleoso risultano tipiche di una tavolozza tradizionale. In alcuni casi i colori usati sono più specificamente riferibili all’ambiente padano/veneto di provenienza dell’opera (ad esempio l’utilizzo di un pigmento a base di arsenico, orpimento o realgar, per l’intero manto di San Pietro di colore marrone arancio, tipica dei dipinti rinascimentali di area padana, in particolare di scuola ferrarese e veneziana). E’ stata, inoltre, rilevata una notevole presenza di pigmenti moderni di sintesi nelle aree interessate da ritocco. Il lavoro di pulitura e parziale asportazione delle ridipinture, frutto di un’analisi teorico/metodologica, è stato supportato dalle analisi diagnostiche eseguite tra il 2010 ed il 2011 presso il Laboratorio di Diagnostica della Scuola di Restauro di Cremona (A. Bonazzi, F. Campana, C. Galli, M. Lazzari, C. Merlo). Le tecniche imaging, con particolare riferimento alla luminescenza UV, si sono rivelate fondamentali per la definizione della miscela solvente da utilizzare per la sverniciatura: i numerosi tasselli sono stati documentati in tempo reale per evitare che una pulitura non selettiva intaccasse il livello pittorico (Figure 8 e 9). In particolare, a seguito della sverniciatura, è stato possibile osservare e documentare all’IR alcune lettere posizionate in basso nell’angolo destro della tavola (Figura 10). I risultati della fluorescenza rX portatile di 35 punti indagati, con particolare riferimento alle aree maggiormente compromesse e/o soggette a ritocco pittorico, hanno avvalorato ed integrato le informazioni già acquisite dall’Opificio. La possibilità di effettuare indagini anche dopo la sverniciatura e, talvolta, all’interno di alcuni tasselli aperti “a secco”, ha permesso di caratterizzare la composizione di differenti livelli stratigrafici, evidenziando la presenza di azioni di ritocco differenziate nel tempo (Figura 11). Si è proceduto, infine, al prelievo di cinque microcampioni per osservare e documentare le sezioni stratigrafiche in microscopia ottica visibile/UV ed elettronica con microanalisi EDS. I risultati ottenuti hanno evidenziato la presenza in tutti i campioni di un sottile livello di biacca steso al di sopra della preparazione a gesso e colla e hanno consentito di caratterizzare e “mappare” la distribuzione di alcuni pigmenti come i verdi di rame (malachite e resinato) e le lacche mettendo in evidenza la presenza di una preparazione leggermente colorata al di sotto del film pittorico superficiale (Tabella 1). Figura . Radiografia, particolare del volto Figura . Versione definitiva del volto -5- Figura . Radiografia, particolare paesaggio fondo Figura . Riflettografia IR piede del trono Figura . Strutture architettoniche coprenti il paesaggio Figura . IR cartiglio sx Figura . IR cartiglio dx L’intervento sul supporto Il dipinto misura 278x172 cm e il suo attuale spessore è 1,2 cm. Considerata la posizione attuale dei cavicchi presenti nel supporto ligneo, lo spessore originale si presume fosse di circa 2,5-2,6 cm. Il supporto, di forma centinata, si compone di quattro assi di legno di pioppo poste in senso verticale unite a spigoli vivi; all’interno di ciascuna commettitura, incollata con caseinato di calcio, ci sono tre cavicchi. Le assi sono di taglio relativamente centrale, la venatura è in parte curvilinea e ci sono altre deformazioni della fibra dovute alla presenza di numerosi nodi. Le assi sono state disposte con la faccia più interna verso la preparazione. Sul retro del supporto, in corrispondenza della commettitura centrale erano incassati quattro inserti a forma di farfalla, nelle altre connessioni tre inserti. Figura . Luminescenza UV prima della sverniciatura Figura . Luminescenza UV dopo la sverniciatura -6- Figura . Ripresa IR delle lettere in basso a destra VERDE VESTE ANDREA malachite, resinato, biacca, orpimento, giallo di Pb (?) INCARNATO PIETRO biacca, cinabro, ematite (2^) INDICE Figura . Analisi XRF livelli differenti ROSSO VESTE MADONNA BLU MANTO MADONNA lacca rossa azzurrite, biacca azzurrite, biacca cinabro, ematite (2^), tracce di biacca e orpimento malachite, biacca, orpimento, giallo di Pb (?) biacca gesso - colla biacca, ematite biacca AZZURRO CIELO biacca, cinabro biacca, azzurrite biacca biacca gesso - colla gesso - colla gesso - colla Tabella 1. Composizione dei livelli stratigrafici Biacca e tracce di azzurrite biacca gesso - colla Sulla faccia anteriore, in corrispondenza di ogni commettitura in alto e in basso, sono presenti due inserti a farfalla. (Figura 14). Il sostegno strutturale e il controllo delle deformazioni del supporto era affidato a due traverse del tipo a coda di rondine. Le tracce ricavate nel supporto erano profonde all’origine circa 1,3 cm, con larghezza che si riduce da una testa all’altra. Il dipinto in passato è stato oggetto di vari interventi nel supporto, probabilmente l’ultimo degli anni Sessanta è stato il più invasivo. Le assi che si presentavano scollegate sono state riunite in modo impreciso, sia sulle facce di unione, sia sul piano pittorico. Le imperfezioni di questo intervento sono state colmate con un impasto di segatura, gesso e colla forte. I margini dipinti che non erano sullo stesso livello sono stati aggiustati grattando il colore originale e stuccando a livello le commettiture. E’ seguito l’intervento di parchettatura. Per poter realizzare questa complessa operazione il supporto è stato ridotto di circa metà dello spessore ed è stato raddrizzato forzandolo. Per mantenerlo nel piano acquisito è stata realizzata e applicata una griglia di legno composta da listelli verticali e traverse orizzontali (Figura 12). I listelli verticali con le feritoie per contenere le traverse sono stati incollati al supporto nel senso longitudinale. Il legno impiegato per la parchettatura era di douglas. L’intervento di parchettatura subito dal supporto negli anni Sessanta, oltre ad aver creato pericolosi sollevamenti di colore ha dato origine ad una serie di fratture lungo la fibra del legno del supporto. La superficie pittorica presentava estesi sollevamenti di colore lungo la fibra del -7- legno. Parte delle commettiture erano scollegate, le farfalle sotto il colore erano deformate e distaccate dalle sedi. Figura 12. Retro del dipinto con la parchettatura Figura 13. Retro del dipinto con il telaio montato Considerate le problematiche conservative del dipinto, il progetto d’intervento ha previsto: 1. Rimozione della parchettatura. 2. Ricollegamento tra le assi. 3. Ripristino del livello dei margini dipinti. 4. Realizzazione di un telaio per il sostegno e controllo delle deformazioni per migliorare la stabilità del dipinto al variare del microclima. Verificata la correttezza delle variabili ambientali misurate nel laboratorio di restauro, si è progressivamente rimossa la parchettatura e sono state tolte le sverze interne ai tagli. Sulla faccia pittorica sono state rimosse le ampie stuccature lungo le commettiture che livellavano i margini pittorici, coprendo molto del colore originale. Si è quindi proceduto alla rettifica dei margini delle sconnessioni e delle fessurazioni e sono stati portati allo stesso livello i margini dipinti. Le connessioni e le fratture nel supporto sono state ricollegate, con piccoli cunei. Sono state integrate alcune parti mancanti nel supporto. Le farfalle dipinte sono state ricollocate nel piano pittorico. Per realizzare il telaio, curvo in senso ortogonale e centinato, si è costruita una base per poter disporre i singoli pezzi (Figura13). La costruzione di questa struttura è stata realizzata mediante liste di legno di rovere sovrapposte in quattro strati e intersecate nel senso della lunghezza. Anche le traverse sono in quattro strati e si collegano ai ritti laterali per mezzo di un incastro (si tratta di una costruzione ottenuta sovrapponendo ed alternando gli elementi lignei nel senso della lunghezza). Con lo stesso sistema di legame a incastri è stata costruita la parte centinata. L’incollaggio tra le parti del telaio è stato fatto in una sola volta con resina epossidica e sottovuoto. Il collegamento tra supporto e telaio è realizzato tramite un meccanismo che permette il controllo lineare e di deformazione del supporto (Figura 15). Inoltre consente di correggere alcune deformazioni delle assi che presentano un imbarcamento anomalo concavo per il colore. Per rallentare gli scambi climatici tra il supporto e -8- l’ambiente di esposizione il supporto è stato protetto con cera microcristallina, multiwax 445, il retro del telaio è stato chiuso con un compensato di otto millimetri. Il dipinto e le parti realizzate per il restauro sono state protette con antitarlo a base di permetrina steso a pennello. L’intervento al colore La tavola è ritornata nella sede museale di Cremona alla fine del 2009 per completare l’intervento di restauro iniziato a Firenze. E’ stata oggetto di ulteriore approfondimento diagnostico, a seguito del quale sono intervenuti i restauratori Gianni Toninelli e Michele Bernardi, collaboratori della Scuola di Restauro Cr.Forma, coadiuvati da Chiara Rossi, Direttore Tecnico del Laboratorio Dipinti OPD. Inizialmente si è proceduto alla rimozione del velatino cartaceo, che ricopriva l’intera superficie del manufatto, con tamponi d’ovatta imbevuti di tiepida acqua demineralizzata. Successivamente è stata eliminata l’eccedenza di colla animale rimasta adagiata al supporto pittorico. Per l’intervento di pulitura, mirata all’eliminazione delle vernici, dei ‘beveroni’ e delle numerose ridipinture cromaticamente alterate (Figura 16) i restauratori e il chimico diagnosta hanno realizzato una serie di test sulla pellicola pittorica per individuare la miscela di solventi più idonei alla corretta rimozione dei materiali sovramessi. Figura 14. Farfalla, particolare Figura 15. Fedi che ricevono gli ancoraggi, retro, particolare La complessa opera di rimozione totale è stata eseguita con una miscela di alcool isopropilico e ligroina al 50%. L’operazione si è conclusa con una pulitura meccanica a bisturi delle vecchie ridipinture molte delle quali eccedenti sull’originale (Figura 17). Dopo la rimozione delle spesse vernici la superficie pittorica si presentava ricca di minute crestine e sollevamenti della preparazione (Figure 18 e 19). Per ridare al colore un’adeguata planarità si è proceduto ad un’operazione mirata all’abbassamento delle creste, operando a zone circoscritte di (10x10 cm) tramite l’apporto di umidità e temperatura, applicando colla di storione diluita al 8% su velatino inglese e lavorando su un foglio di melinex con termocauterio ad una temperatura controllata che non superasse i 35°C (controllo effettuato con termometro laser). Le zone sono state “massaggiate” per far rientrare tali increspature presenti sulla superficie pittorica e lasciate asciugare sotto una leggera pressione di cuscinetti di carta assorbente utili al fine di eliminare velocemente l’umidità in eccesso. Questa operazione ha interessato gran parte della superficie dipinta ed in particolare le zone dove le fibre del supporto ligneo risultavano più larghe e disomogenee e, pertanto, più facilmente sottoposte a quelle forze generate, a causa di frequenti sbalzi microclimatici, dal movimento del supporto. Dopo l’operazione di riadagiamento della -9- pellicola pittorica, sono state chiuse le fessure di congiunzione delle tavole in sottolivello con balsite. Successivamente è stata eseguita la stuccatura provvisoria delle innumerevoli lacune del supporto con mestichino di gesso e colla, in previsione del successivo consolidamento sottovuoto, per impedire alla colla di arrivare direttamente al supporto ligneo. Allo scopo di conferire una maggiore omogeneità e resistenza allo strato preparatorio, rinforzato in molte zone dalla fermatura dei sollevamenti, si è deciso di realizzare un consolidamento generale su tutta la superficie del dipinto. Era, inoltre, necessario che i sollevamenti della pellicola pittorica fossero già stati abbassati. L’operazione è stata eseguita al termine delle difficili fasi di pulitura e di fermatura, proprio per evitare la formazione di indesiderati accavallamenti o “malposizionamenti” di porzioni di colore. Sono stati attivati tutti i possibili accorgimenti utili a facilitare la penetrazione del consolidante e permettere la buona riuscita dell’operazione. Lo stato di conservazione del supporto ha consentito l’attuazione della tecnica sottovuoto, applicando una pressione di 0,600 bar. Al di sotto ed intorno alla tavola sono state fissate porzioni di tela che favorissero l’uscita dell’aria attraverso le pompe per realizzare un’omogenea distribuzione della pressione. E’ stata utilizzata colla animale, materiale ben conosciuto e compatibile con quelli originali presenti sull’opera, in particolare la colla di storione in quanto ha il pregio di rimanere fluida a temperatura ambiente, garantendo, per la ridotta tensione superficiale, una conveniente bagnabilità. Per migliorare ulteriormente questi parametri è stata aggiunta una piccola percentuale di tensioattivo naturale (fiele di bue al 2%); la colla è stata utilizzata a circa 37/40 °C. Per evitare qualunque danno al dipinto tutte le lacune, le fessurazioni, le mancanze sono state stuccate affinchè l’acqua non arrivasse direttamente alle fibre del legno. Sulla superficie è stata applicata carta velina giapponese la quale, oltre a proteggere la superficie pittorica, favorisce anche la formazione del vuoto e la diffusione del consolidante. Molto importante in questo tipo di intervento è la velocità di esecuzione, onde evitare che i residui di collante sulla superficie si asciughino mentre l’operazione è ancora in atto, fatto questo che potrebbe complicare non poco l’apertura del sacco al termine del sottovuoto (Figure 20 e 21). Dopo l’apertura del sacco il consolidante in eccesso è stato eliminato, la superficie è stata tamponata con carta assorbente e l’opera è stata lasciata ad asciugare nell’ambiente laboratoriale. Eliminate le stuccature provvisorie abbondantemente impregnate di colla e, pertanto, troppo rigide, ne sono state eseguite delle nuove con gesso di Bologna e colla di coniglio. Dopo aver compiuto definitivamente la stuccatura, avvenuta nelle diverse fasi di rifinitura e di relativo livellamento, si è proceduto alla complessa e lunga fase d’integrazione pittorica ad acquerello, che ha compreso, in aggiunta, la ricostruzione di larghe partiture mancanti o lacunose. In seguito è stata applicata una prima stesura di vernice mastice al 5% in butilacetato, stesa a pennello per saturare le precedenti integrazioni e creare un film protettivo al fine di procedere, con un’attenta integrazione, a selezione cromatica tramite tecnica a rigatino con colori a vernice. La verniciatura finale eseguita a spruzzo, sempre con vernice naturale al 5% in essenza di trementina, ha concluso il restauro estetico. Figura 16. Ridipinture alterate, particolare - 10 - Figura 17. Stuccature debordanti sull’originale Figure 18 e 19. Grinze e sollevamenti dopo la pulitura, luce radente Figure 20 e 21. Particolare della fase di consolidamento sottovuoto NOTE [1] Fonti archivistiche: la documentazione originale menzionata nella stesura della parte storica del saggio e nella nota [1] è depositata presso l’Archivio del Museo Civico “Ala Ponzone” di Cremona (e d’ora in poi AMCCr), in cassette il cui contrassegno e posizionamento archivistico corrisponde alla datazione dei documenti (es. “1908”, “1909” … e seg.). Inoltre gli stessi atti, ordinati in cassette contrassegnate da lettere maiuscole dell’alfabeto e da numeri in carattere romano e arabo, sono consultabili presso l’Archivio del Laboratorio di Restauro del Museo sopraccitato (e d’ora in poi AMCCr Lab.). Si ringraziano infine la dirigente del Museo, dott. Ivana Iotta, e la responsabile dell’Archivio, dott. Luisa Baltieri, per aver favorito le necessarie ricerche storiche. [2] E’ necessario aggiungere qualche notizia biografica di Vincenzo Favenza; è noto che sia stato antiquario a Venezia almeno negli ultimi due quarti dell’800. Non è conosciuto l’anno della sua nascita ma il Crippa ne rivelava la scomparsa avvenuta, probabilmente a Venezia, il 26 febbraio 1901. Inoltre è forse possibile che possa essere stato un intagliatore in avorio e legno operante in quella stessa città intorno al 1850: “Favenza Vincenzo da Cremona già alunno dell’I. R. Accademia di Belle Arti è scultore in avorio e in legno, facilmente dei migliori che vi siano in - 11 - Europa” (notizia menzionata in: Venezia e le sue lagune, I, Venezia 1847, p. 410), e, in seguito, divenuto commerciante d’arte. Nella sua donazione del 1894 compaiono infatti due pregevoli intagli in avorio d’incerta cronologia. Infine, pare fosse titolare di uno stabilimento artistico per la fabbricazione dei vetri d’arte (infatti ne donò alcuni al nostro Museo). Secondo Bernard Berenson, il Favenza altro non era che un “fabbricante e venditore di falsi”. Il giornalista e storico Elia Santoro ricordava, in un articolo apparso sulla Provincia (Quotidiano “La Provincia”, Sabato 8 aprile 1967) che l’antiquario “era un raccoglitore appassionato di cose d’arte e, soprattutto di memorie cremonesi” e che “ebbe in eredità dalla famiglia anche numerosi strumenti musicali e sembra avesse posseduto alcuni meravigliosi esemplari di violini di Antonio Stradivari che vennero acquistati dai suoi antenati direttamente dal figlio del grande liutaio, Paolo”. Stando al tenore dei documenti fino ad ora rinvenuti, risulta che le condizioni conservative della tavola del Dossi (ed ora del Mazzolino) erano già considerate assai precarie. Va inoltre ricordata la scheda di Elisabetta Sambo nel recente catalogo del Museo (v. in La Pinacoteca Ala Ponzone. Il Cinquecento, a c. di M. Marubbi, Milano, Cremona 2003, pp. 78-80) in cui la studiosa ricostruisce il percorso delle proprietà, partendo da quella milanese dell’abate Mussinelli nel 1818, passando per la collezione bresciana del conte Teodoro Lechi e al nipote di questi che la vendette poi al Favenza. Da tali itinerari si possono intuire possibili restauri avvenuti in almeno tre casi a partire dalla data 1818. La prima menzione è del 10 febbraio 1909 ed è la lettera dal “Sovrintendente alle raccolte d’arte delle province lombarde Ettore Modigliani” indirizzata all’ “Ill. Sig. Sindaco di Cremona”, che scriveva: “Di passaggio per codesta città visitai giorni or sono la piccola ma interessante raccolta di pittura, conservata a cura di questa On. Amministrazione nel Palazzo Ala Ponzone. Avendo rivelato con rammarico lo stato non buono di conservazione delle tre pitture del dono Favenza – Trinità del Civerchio [e ora del Mansueti], polittico di Benedetto Diana e Madonna con santi attribuita a Dosso Dossi, mi rivolsi per schiarimenti al Sig. Conservatore [pittore Alessandro Landriani dr] dal quale seppi che codesta Amministrazione con lodevole premura si era rivolta ad un noto riparatore [si trattava dei f.lli Steffanoni di Bergamo che ‘spararono’ per il solo Dossi-Mazzolino 800 lire, v. minuta del 5/2/1909] per un preventivo di lavori atti ad assicurare la buona conservazione di quei dipinti. Sembra peraltro, che il preventivo molto elevato non abbia permesso l’esecuzione di tali opere di riparazione; […] L’imprimitura delle tre tavole in più punti non solo si è sollevata dando luogo a larghe sbollature, ma è crinata e frantumata per modo che il più leggero strofinio, anche soltanto la sfioritura della superficie dipinta, sarebbe cagione della caduta e della perdita di numerose ed ampie zone di colore […] ho pregato il Sig. Conservatore d’appilcare immediatamente ai dipinti nei punti lesionati, e con le norme consuete, veli di garza o di carta velina, allo scopo di prevenire la caduta di parti d’imprimitura e di colore …” (AMCCr Lab., Cass. P bis “Restauri”, fasc. 6). In una nota di promemoria del 23/2/1909 da inviare al Sindaco, il Conservatore Landriani, pur accettando l’invito del ‘Sovraintendente’ Modigliani e lamentando che tuttavia era da valutare se le tavole “dopo i gravi danni subiti da cattivi restauri in tempo che appartenevano al Favenza medesimo, possano avere la prevalenza su altri quadri che di presente giacciono arrotolati e dispersi” (ID, fasc. 6). La risposta del Modigliani, del 2/3/1909, pur ritenendosi “…lieto che codesta Amministrazione Comunale intenda provvedere a migliorare lo stato di conservazione di quelle pitture del suo patrimonio”, sottolineava l’urgenza di provvedere “alle tre tavole del dono Favenza” consigliando all’Amministrazione di “rivolgersi al riparatore sig. Annoni di Milano, il quale compie spesso lavori per la nostra Pinacoteca, è assai guardingo e non corre troppo nel procedere a trasporti [lo stacco da tavola e riporto su tela come proposto dagli Steffanoni dr] […] Interpellato da questa Direzione l’Annoni si è mostrato disposto a recarsi costà , purché dal Comune gli sia rimborsata la pura spesa di viaggio …” (ID, fasc. 6). Non è chiaro se l’Annoni possa essere venuto a Cremona, anche se una nota del Conservatore del 17/6/1909 suggeriva al Sindaco di “chiedere al restauratore Annoni di Milano le condizioni a cui eseguirebbe tale operazione” (ID, fasc. 6). - 12 - BIBLIOGRAFIA 1. Marco Ciatti, Ciro Castelli, Andrea Santacesaria, “Dipinti su Tavola la tecnica e la Conservazione dei Supporti” 2. Edifir Firenze, 1999 3. Camuffo Dario, “Improved Understanding of Past Climatic Variability from Early Daily European Instrumental Sources”, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 2002 4. Marco Ciatti e Cecilia Frosinini, a cura di “Il restauro dei dipinti mobili” in Restauri e ricerche. Dipinti su tela e tavola, Atti della giornata di studio, Firenze, 17 dicembre 2002, Firenze, Edifir, 2003. 5. I Quaderni "O.P.D. Restauro", n. 16/2004, n. 17/2005, n. 18/2006, n. 19/2007, n. 20/2008, n. 21/2009, n. 22/2010 a cura della casa editrice Centro Di, Firenze 6. Laura Speranza, a cura di “Il Crocefisso ligneo di Badia a Passignano: tecnica, conservazione e considerazioni critiche”, Firenze, 2004 7. Marco Ciatti, Ciro Castelli, Andrea Santacesaria, “Panel paintings. Technique and Conservation of Wood Supports”, Edifir Firenze, 2006 8. Camuffo Dario, “Church heating and preservation of the cultural heritage: a practical guide to the pros and cons of various heating systems - Il riscaldamento nelle chiese e la conservazione dei beni culturali: guida all’analisi dei pro e dei contro dei vari sistemi di riscaldamento”, Milano, Electa Mondadori, 2007 - 13 -