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Piante del torrente e delle praterie/radure
Piante del torrente e delle praterie/radure “L’Arca della Biodiversità del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e dell’Appennino Romagnolo” è un progetto finanziato dal Gal L’Altra Romagna con la Misura 412 Az. 6 - Asse 4 Leader PSR 2007-2013 Regione Emilia Romagna e cofinanziato dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi IL TORRENTE E LE PRATERIE Oltre alle foreste, il territorio del Parco delle Foreste Casentinesi è caratterizzato dalla presenza di torrenti e praterie. La notevole quantità di precipitazioni e l’effetto mitigatore sul deflusso dell’acqua dovuto all’estesissima copertura vegetale garantiscono la presenza quasi costante di acqua nei ruscelli e nei torrenti che caratterizzano la rete idrografica principale; essi costituiscono un habitat molto selettivo in cui soprattutto l’effetto della turbolenza della corrente, rende difficile la vita agli organismi viventi. Le praterie e i pascoli rappresentano vaste superfici, originariamente occupate dai boschi submontani e dalle faggete, che già in epoche protostoriche, sono state distrutte dall’uomo per ricavare ambienti adatti al foraggiamento del bestiame; rappresentano quindi ambienti artificiali ma pur sempre particolari poiché soggetti a numerosi fattori di disturbo come il calpestio del bestiame che favorisce il mantenimento delle specie vegetali e arbustive. ONTANO NERO (Alnus glutinosa ) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Diffuso alle quote inferiori, genera formazioni ripariali e alveali lungo i corsi d'acqua e sul fondo di valli e vallecole secondarie. In questi fondi pianeggianti può occupare superfici anche molto estese, come nel caso del pianoro della Lama, dove l‘Ontano nero si trova associato al Salice bianco, al Pioppo nero e vanescente, all‘Ontano bianco e ad alcune specie dei boschi limitrofi. DESCRIZIONE Grande albero poco longevo che raggiunge i 25-30 m di altezza. La chioma è ampia e conica, formata da una rada ramificazione orizzontale e sorretta da un fusto dritto e slanciato. Le foglie sono semplici, alterne, brevemente picciolate, di forma ovata con base cuneata e apice ETIMOLOGIA tronco, dentate a i margini; la pagina superiore è verde ll nome generico Alnus, già in uso presso i scuro e lucida, quella inferiore più chiare. I fiori sono Romani, sembra derivare dalla radice celtica “al organizzati in amenti, con quelli maschili cilindrici e lan” (presso l'acqua) poiché l’albero predilige i penduli, e quelli femminili ovali. L'infruttescenza è luoghi umidi; quello specifico glutinosa si caratteristica, formata da squame legnose, prima verde e riferisce ai rami giovani attaccaticci a causa di poi brunastra, con peduncolo. una sostanza appiccicosa che ricopre gemme e . foglie giovani ONTANO NERO (Alnus glutinosa ) IMPORTANZA FORESTALE Gli apparati radicali ospitano batteri azotofissatori simbionti, per cui la pianta fertilizza naturalmente il suolo. Essendo un albero adattato a vivere anche in terreni periodicamente inondati, oggi trova largo impiego per consolidare le sponde fluviali e costruire ponti . La specie non presenta esemplari monumentali, ma diviene di monumentale importanza, in particolare dal punto di vista paesaggistico, grazie alla splendida ontaneta della Lama, subito identificabile dall'alto e di grande fascino anche per il portamento e la forma dei suoi componenti quando la si attraversa. UTILIZZI Il legno dell’Ontano nero ha un caratteristico colore giallo-aranciato, assume notevole resistenza quando è immerso nell'acqua per cui è sempre stato usato per fondazioni di palafitte e strutture sommerse in genere; È una pianta ricca di tannini che vengono estratti dalla corteccia, dai rami e dai fiori. Ampio è l'impiego in farmaceutica, per le proprietà antinfiammatorie, diuretiche, astringenti, febbrifughe. SALICE BIANCO (Salix alba ) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Cresce in aree umide presso laghetti e lungo canali e corsi d’acqua svolgendo una funzione di consolidamento del terreno, su suoli da argillosi a fangosi periodicamente inondati, ricchi in basi e composti azotati, dal livello del mare alla fascia montana inferiore. ETIMOLOGIA Il nome generico Salix, di antico uso, sembra derivare dal celtico 'sal lis' (presso l'acqua); il nome specifico alba si riferisce al colore biancastro della pagina inferiore delle foglie. DESCRIZIONE È un albero ben proporzionato, con tronco robusto e rami espansi che può raggiungere anche i 20 m di altezza; la corteccia è grigia e molto screpolata. Le foglie, alterne su corti piccioli, sono lunghe, strette e lanceolate, verde chiaro con riflessi argentati e bordo finemente seghettato. I fiori sono amenti penduli e i semi sono avvolti da un “pappo” cotonoso che li aiuta a disperdersi col vento. . SALICE BIANCO (Salix alba ) IMPORTANZA FORESTALE E’ un albero tipico delle rive dei corsi d’acqua: tollera infatti periodi di allagamento e preferisce terreni sciolti profondi e umidi. Diversi esemplari vegetano nella foresta della Lama. Come tutti i salici è dotato di elevata capacità pollonifera e quindi viene usato in foresta nella costruzione di graticciate vive per il consolidamento di frane e scarpate UTILIZZI I rami dei salici erano impiegati in passato come legacci per la vite, per palerie e per intrecciare cesti. Questi usi oggi sono venuti meno e vengono utilizzati ormai solo per la produzione di oggetti artigianali intrecciati quali sedie, cesti e tavolini ottenuti dai rami più giovani. La scorza contiene acido salicilico, componente essenziale dell'aspirina. Con le foglie si tingeva la lana di giallo. FARFARACCIO MAGGIORE (Petasites hybridus) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Diffusa in tutta l’area dell’Appennino Romagnolo ma limitatamente lungo i corsi d'acqua, nei prati umidi e presso le sorgenti su suoli limoso-argillosi spesso inondati, umiferi, ricchi in basi e composti azotati in cui è presente spesso con popolazioni dominanti. ETIMOLOGIA Il nome generico Petasites deriva dal greco “petasos” (cappello a falde larghe), per le grandi foglie spesso usate un tempo per ricoprire il capo dei bambini affetti da tigna; Il nome specifico hybridus (ibrido) probabilmente fa riferimento alla tendenza a incrociarsi di molte specie, formando ibridi. DESCRIZIONE Pianta erbacea perenne con grosso rizoma carnoso da cui in primavera si sviluppa il fusto fiorifero, alto fino a 50 cm. Le foglie, inizialmente assenti, appaiono soltanto al termine della fioritura; sono molto grandi (anche 80 x 40 cm.), reniformi o cuoriformi, con margine irregolarmente dentato e lungo picciolo color porporino. L'infiorescenza è un racemo allungato con brattee color porpora; i fiori, rossicci, sono riuniti in capolini. . FARFARACCIO MAGGIORE(Petasites hybridus ) Specie eurasiatica presente in tutta Italia salvo che in Sardegna, dal livello del mare alla fascia montana. Lungo i corsi d'acqua forma spesso popolazioni dominanti con Aegopodium podagraria, Calamagrostis arundinacea, Epilobium hirsutum. UTILIZZI La pianta è da lungo tempo usata a scopo medicinale e nella tradizione popolare sono ben note le sue proprietà tossifughe. Di recente, si è scoperta un'azione sedativa generale, utile contro l'eccitazione nervosa e l'insonnia. È adatto in particolare per ipertesi ed arteriosclerotici a cui regola pressione e stato di eccitazione psichica, mentre, agli asmatici alle via lo stato di ansia. Le foglie ed i rizomi sono velenosi per la presenza di alcaloidi epatotossici. La pianta emana un odore molto sgradevole che ricorda quello delle cimici. CARICE PENDULO (Carex pendula) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO La pianta è abbastanza localizzata all’interno dei boschi ripariali ad ontano nero e dei pioppeti lungo gli alvei fluviali; può anche crescere anche in siti “alterati” come nei boschetti a sambuco nero, al di sotto della fascia montana inferiore. ETIMOLOGIA Il nome generico Carex deriva dal greco “keìro” (tagliare), per il margine fogliare tagliente di alcune specie; il nome specifico pendula si riferisce alle lunghe spighe femminili pendule. DESCRIZIONE La Carex pendula appartiene alla famiglia delle Cyperacee a cui appartengono numerose specie palustri tra cui anche il famosissimo papiro (Cyperus papyrus). Forma densi cespi alti fino ad un metro e mezzo, ha foglie eleganti, lineari e ricurve di colore verde brillante e larghe dai 3 ai 15 mm, con evidenti nervature con bordi finemente dentellati e di conseguenza molto taglienti. I fusti sono eretti e acutamente trigoni, robusti e anch’essi taglienti, avvolti dalle foglie fino all’infiorescenza. I fiori femminili, formano 4-6 spighe pendule, quelli maschili sono riuniti in un'unica spiga superiore lunga 5-7 cm ed eretta; l'infiorescenza risulta allungata e unilaterale. I frutti sono costituiti da otricelli verdastri e glabri. CARICE PENDULO(Carex pendula ) La Carice pendula è una specie a distribuzione subatlantico-sudeuropea presente in tutte le regioni d’Italia salvo che in Valle d'Aosta. Un tempo era pianta abbastanza comune negli ambienti umidi ma attualmente risulta abbastanza rara a causa dell’influenza antropica che modifica e trasforma il suo habitat. UTILIZZI La specie si colloca perfettamente lungo il perimetro dello stagno sia nell’acqua che nel terreno umido per cui è l’ideale per ricreare l’ambiente ottimale degli specchi d’acqua popolati da volatili acquatici come le anatre. CAPEL VENERE (Adiantum capillus-veneris) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Abbastanza rara e localizzata, cresce alle quote inferiori lungo i corsi d'acqua e in prossimità delle sorgenti in ambienti di stillicidio, a volte anche intorno a vecchie fontane. DESCRIZIONE E’ una felce che ha bisogno di luce diffusa, vive in zone umide con gocciolamento di acqua, in grotte e presso sorgenti, ma è presente anche nel sottobosco umido. Possiede un rizoma che ogni anno emette radici e fusti nuovi. Alta fino a 40 cm, le piccole foglie cuneiformi, con lobi poco profondi, ricoprono rametti leggeri. Il capelvenere produce delle spore sulla pagina inferiore delle foglie che poi si disperdono alla fine dell’estate. ETIMOLOGIA Il nome generico Adiantum, dal greco “adiantos” (che non si bagna) si riferisce alla presenza sulle foglie di sostanze idrofobiche che le rendono impermeabili; il nome specifico capillus-veneris allude alle eleganti e sottili rachidi fogliari di colore nero, che ricordano la bellezza ai capelli della Dea Venere.. CAPELVENERE(Adiantum capillus-veneris ) Il Capelvenere è una felce a vasta distribuzione paleotropicale presente in tutte le regioni d’Italia. L’habitat in cui cresce (le rocce calcaree stillicidiose e muschiose e le sorgenti “pietrificanti”) è uno degli habitat prioritari in Europa. UTILIZZI La pianta è stata spesso utilizzata a scopo officinale per le numerose virtù curative (per esempio per combattere i sintomi di raffreddore e influenza). Fu il medico francese Lobelius, uno dei botanici più famosi del XVI e XVII secolo che per primo sperimentò su se stesso il capelvenere contro l'asma e la pertosse. Le parti utilizzate del capelvenere sono le parti aeree, quindi le fronde ma talvolta anche i rizomi. Può essere usata come sostitutivo del tè. LINGUA CERVINA (Phyllitis scolopendrum) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Felce piuttosto localizzata, che cresce lungo le sponde di ruscelli, in forre e boschi umidi, più frequente nella fascia del faggio ma che si può rinvenire anche più in basso; è relativamente frequente nei boschi misti di abete bianco e faggio di Campigna e della Lama. ETIMOLOGIA Il nome generico Phyllitis deriva dal greco “phyllon” (foglia) che ricorda la forma allungata della fronda intera di questa specie; il nome specifico scolopendrium deriva dal greco “skolopéndra” (scolopendra) in riferimento all'aspetto dei sori allungati sulla pagina inferiore delle foglie, simili alle lunghe zampe di questi artropodi. DESCRIZIONE E’ una felce, con lunghe foglie la cui forma ricorda quella di una lunga lingua (da qui il suo nome comune). Le foglie partono dalla base della pianta, sono lunghe anche 40 cm, intere, col margine lievemente ondulato e di colore verde intenso. Nella pagina inferiore delle foglie compaiono, nel periodo gennaio-luglio, i sori, minuscoli sacchetti ripieni di spore che in questa specie hanno un aspetto particolarmente allungato. LINGUA CERVINA(Phyllitis scolopendrium ) La Lingua cervina è una felce tipica dei climi temperati, a vasta distribuzione circumboreale presente in tutte le regioni d'Italia (salvo forse che in Valle d’Aosta). E’ una specie mesofila piuttosto esigente, protetta dalla legge regionale n° 2/77 UTILIZZI Citata già al tempo di Dioscoride per le sue virtù medicamentose relative alla cura contro i morsi delle serpi e la dissenteria, è indicata dal medico senese Mattioli (1501-1578) come rimedio per tutte le ”passioni” del cuore. In verità oggi resta un suo modesto uso come astringente, diuretico, espettorante e come primo rimedio per le scottature. MIRTILLO NERO (Vaccinium myrtillus ) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Il Mirtillo nero raggiunge il suo limite di distribuzione meridionale nelle zone sommitali in cui si estendono i prati di Monte Falco, dove forma piccoli popolamenti assieme al più raro mirtillo rosso. ETIMOLOGIA Il nome generico Vaccinium, già usato da Virgilio, probabilmente deriva dalla latinizzazione del greco arcaico “vakintos” (giacinto a fiore blu) con trasposizione del significato a 'bacca blu', quella del mirtillo nero; il nome specifico myrtillus in latino significa “piccolo mirto”, in riferimento alla vaga somiglianza delle foglie e dei frutti con quelli del Mirto DESCRIZIONE Il Mirtillo nero appartiene alla famiglia delle Ericacee; è un suffrutice con fusto sotterraneo molto allungato, legnoso e corteccia bruno rossastra. I rami fuori terra sono eretti verdi e angolosi, alti fino a 30 cm; le foglie sono semplici di color verde chiaro opaco e di forma ellittica, seghettate al margine. I fiori hanno aspetto globoso , isolati e pendenti, di color verdognolo e variamente arrossati; il frutto è una piccola bacca globosa di colore bluastro e consistenza pruinosa, edule . MIRTILLO NERO (Vaccinium myrtillus ) Il Mirtillo nero è una specie a vasta distribuzione circumboreale presente lungo tutto l'arco alpino e sull'Appennino sino al Molise, divenendo sempre meno frequente verso sud. Cresce formando popolamenti densi in brughiere di altitudine e in peccete e faggete altomontane, su suoli profondi, freschi, acidi, ricchi in humus, con optimum dalla fascia montana superiore a quella subalpina, raramente anche più in basso. UTILIZZI Le bacche del mirtillo nero contengono molti acidi organici (malico, citrico ecc.), zuccheri, tannini, pectina, vitamine A, C e, in quantità minore, la vitamina B e i glucosidi antocianici (mirtillina) i quali oltre a dare al frutto il suo caratteristico colore, riducono la permeabilità dei capillari e rafforzano la struttura del tessuto connettivo, che sostiene i vasi sanguigni, migliorandone l’elasticità e il tono. Le bacche sono commestibili sia crude sia in marmellate e sciroppi e contengono un pigmento colorante blu del tipo degli antociani (mirtillina), utilizzato anche come colorante naturali per alimenti con la sigla E163. Le foglie hanno proprietà astringenti GINEPRO COMUNE (Juniperus communis ) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Cresce nelle aree scoperte del crinale appenninico, in arbusteti pionieri o ai margini della faggeta e nelle chiare dei boschi misti di latifoglie, su suoli argillosi da subaridi a freschi, spesso decalcificati e quindi da neutri a subacidi, dal livello del mare a 1500 m circa (raramente più in alto); molto frequente anche nei pascoli e nei coltivi abbandonati ETIMOLOGIA Il nome generico Juniperus, già in uso presso i Romani, è di origine controversa: forse deriva dal latino 'iùnix' (giovenca) e 'pàrio' (do alla luce), alludendo al fatto che una delle specie (Juniperus sabina L.) veniva somministrata alle vacche per favorire il parto, oppure da 'iùnior' (più giovane) e 'pàrio' (do alla luce), perché produce sempre nuovi germogli. DESCRIZIONE Arbusto sempreverde appartenente alla famiglia Cupressacee, a crescita lenta, generalmente alto da 50 cm a 2 m ma a volte con portamento arboreo che permette di raggiungere altezze maggiori. Le foglie sono aghi rigidi blu-verdi con una banda bianco-argentea superiore, disposti in verticilli di tre. I fiori sono maschili e femminili sono portati su piante diverse, ma entrambi sono piccoli e poco appariscenti. I suoi frutti sferici, le galbule, maturano in due anni e diventano di colore blu scuro, GINEPRO COMUNE (Juniperus communis) Il Ginepro comune è un arbusto molto frugale ed eliofilo a vasta distribuzione eurasiatica presente in tutte le regioni d’Italia a causa della sua adattabilità ambientale che gli permette di svilupparsi dal livello del mare fino ad altitudini anche di 3.000 m. In funzione delle condizioni ambientali assume aspetto differente: da piccolo albero di forma conica alto fino a 6 metri a bassa quota, a basso arbusto ritorto con rami distesi nei pascoli aridi, fino a cuscinetto arrotondato e appiattito al suolo nei pascoli e praterie di quota. UTILIZZI Il legno duro e compatto è ricercato per lavori di ebanisteria e per la costruzione di utensili. Le sue galbule hanno uso alimentare per profumare vivande e liquori: ad es. si aromatizzano le acquaviti di cereali per ottenere il famoso 'gin'; le galbule possiedono anche proprietà balsamiche e sono utilizzati nelle affezioni delle vie respiratorie e urinarie. Nell’Europa medioevale le foglie e i rami di ginepro venivano bruciati per tenere lontano il maligno e per affumicare e conservare i prosciutti. FIOR DI STECCO (Daphne mezereum) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Cresce nelle praterie subalpine e montane, nei boschi mesofili di latifoglie decidue e nelle loro radure, dai querco-carpineti ma per lo più al di sopra delle faggete, su suoli argillosi piuttosto profondi, dalla fascia submediterranea alla fascia montana superiore. DESCRIZIONE E’ un arbusto di 50-80 cm, con foglie verde lucido e persistenti che crescono in ciuffi all’apice dei rametti; le foglie spuntano solo dopo la comparsa dei bei fiori rosati, inseriti direttamente sui rametti ancora spogli, e di qui il nome comune dato alla specie. I fiori sono ETIMOLOGIA Il nome generico Daphne deriva da “dàphne”, nome tubolari, profumatissimi e di colore rossogreco dell'alloro, per le foglie sempreverdi di alcune purpureo. Sui rami crescono i frutti, drupe di colore rosso vivo. specie appartenenti a questo genere; il nome E’ una specie legata a praterie subalpine e specifico mezereum deriva dall'arabo e significa “mortale” per ricordare l’elevata tossicità presente in montane, che nel Parco si può incontrare per lo più al di sopra delle faggete. tutte le specie del genere. FIOR DI STECCO (Daphne mezereum) Il Fior di stecco è un piccolo arbusto a distribuzione eurasiatico-continentale presente in tutte le regioni dell’Italia continentale salvo che in Puglia. UTILIZZI Tutte le parti della pianta sono estremamente velenose per la presenza di un glucoside (dafnina). Le dafne sono note fin dall'antichità per le proprietà farmacologiche, ma il loro uso è molto pericoloso e spesso il solo contatto con l'epidermide causa arrossamenti e vesciche sulla pelle. I frutti rossi, la cui ingestione provoca avvelenamenti anche mortali, sono stati impiegati in pittura e anche come fard in Siberia, cosmetico non meno pericoloso della biacca usata dalle matrone romane. VIOLA DI EUGENIA (Viola eugeniae) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Cresce in prati, radure, cotiche pioniere e pascoli sassosi d'altitudine su substrati calcarei oltre i 1400 m di altezza; si trova ai margini e nelle radure delle faggete e nelle alte praterie di crinale, come quelle di Monte Falco e del Monte Falterona ETIMOLOGIA Il nome generico Viola già in uso presso i Romani per designare sia la pianta che il colore dei fiori di alcune specie, deriva da una radice indoeuropea che significa “intrecciare” o “flessibile” o “sinuoso”, forse per i lunghi rizomi di molte specie; il nome specifico eugeniae di questa bellissima viola fu dedicato dal grande botanico Filippo Parlatore (1816-1877) a sua moglie Eugenia. DESCRIZIONE Il genere Viola è costituito da piante prevalentemente erbacee caratterizzate da fiori ermafroditi con 5 petali irregolari di cui quello inferiore si prolunga all'indietro formando uno sperone nettarifero. Le gemme sono portate a livello del suolo e protette, durante la stagione critica, dai residui secchi nonché da un certo numero di foglie basali; queste ultime sono formate da una lamina arrotonda che presenta alla base del picciolo un paio di stipole (foglioline). Il fusto è breve e porta un unico fiore terminale dalla corolla a perimetro quadrato e variamente colorata da blu-violetto a giallo al raro bianco; la corolla misura 2-4 cm. . VIOLA DI EUGENIA (Viola eugeniae) Questa bella viola dalle foglie allungate, una delle quasi 50 specie italiane, è endemica dell’Appennino centro settentrionale, dove fu descritta nel 1875 dal botanico Parlatore e dedicata alla moglie Eugenia. La specie, localmente ancora abbondante è però minacciata sia dalle raccolte indiscriminate che dal riscaldamento climatico che riduce il periodo delle nevi e consente ad altre specie più “frugali” di competere in quelle aree. ORCHIDEA SAMBUCINA (Dactylorhiza sambucina) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Cresce in prati, pascoli e radure di altitudine, a partire dai 400 m di quota ma con la massima presenza nella fascia montana. In generale la sua distribuzione è discretamente ampia negli habitat favorevoli. DESCRIZIONE Pianta robusta, alta fino a 30 cm , munita di 4-7 foglie distribuite lungo il fusto e di forma ovatolanceolata, lunghe 5-12 cm. Fiorisce in maggiogiugno in modo caratteristico: la fioritura è policroma, cioè si presenta sia con dense infiorescenze a spiga, costituita sia da fiori rossi-violacei sia da fiori gialli, e a volte con colorazioni intermedie; il labello (petalo ETIMOLOGIA inferiore profondamente trasformato in base di Il nome generico Dactylorhiza, dal greco “dáktylon” atterraggio per gli insetti pronubi) presenta gola (dito) e “rhiza” (radice) si riferisce alla forma digitata gialla punteggiata di rosso.; il fiore è dotato di dell'apparato radicale; il nome specifico sambucina uno sperone conico e robusto. Il frutto è si riferisce al profumo dei fiori, vagamente simile a una capsula al cui interno sono contenuti quello dei fiori di sambuco. numerosi minutissimi semi piatti. ORCHIDEA SAMBUCINA (Dactylorhiza sambucina) IMPORTANZA FORESTALE L’Orchidea sambucina è una specie a distribuzione europeo-caucasica, dalla Scandinavia al Mediterraneo, presente in tutte le regioni d'Italia salvo che in Sardegna. L’abbandono dei pascoli e il conseguente processo di ricolonizzazione del bosco stanno iniziando ad escludere questa specie da una parte degli ambienti in cui è ancora abbastanza comune e diffusa. LA GERMINAZIONE DELLE ORCHIDEE I semi contenuti nel frutto sono privi di endosperma e contengono embrioni poco differenziati. I semi, dispersi per lo più dall’azione del vento, possono svilupparsi solamente dopo essere stati infettati dalle spore di funghi micorrizici presenti nel terreno. Questo meccanismo spiega la necessità di protezione per tutte le specie della famiglia, data la straordinaria concomitanza di fattori favorevoli che si deve realizzare per poter far sviluppare le nuove piante. ZAFFERANO MAGGIORE (Crocus vernus) DISTRIBUZIONE NELL’APPENNINO ROMAGNOLO Cresce fino alle praterie della fascia montana superiore, con optimum nei querco-carpineti e nelle faggete termofile, su suoli limoso-argillosi profondi, umiferi, ove forma dense popolazioni con altre piante bulbose a fioritura precoce. che allietano il paesaggio dei pascoli appena sgombri dalla neve. ETIMOLOGIA Il nome generico Crocus deriva dal greco “krokos” (filamento) in allusione ai lunghi stimmi filamentosi che secondo Teofrasto testimoniavano un legame d’amore; il nome specifico vernus, dal latino “ver” (primavera) si riferisce alla fioritura molto precoce che può verificarsi già alla fine di febbraio. DESCRIZIONE Pianta erbacea perenne, priva del fusto, con foglie radicali originate dal bulbo, organo di riserva che annualmente produce nuovi fusti, foglie e fiori). Dalle foglie basali, di forma lineare e laminata, partono uno o due fiori inodori costituiti da un tubo eretto che nella parte terminali si apre con sei segmenti violetti. Lo stilo si apre con tre stimmi di colore rosso aranciato; gli stami hanno antere color giallo oro. Il frutto è una capsula loculicida oblunga formata da tre valve Le radici sono del tipo fascicolato e si generano alla base del bulbo. . ZAFFERANO MAGGIORE (Crocus vernus) Lo Zafferano maggiore o primaverile è una specie a distribuzione mediterraneo-sudeuropeo-orientale presente in tutte le regioni dell'Italia continentale salvo che in Trentino-Alto Adige e Veneto. Il precedente nome di questa pianta era Crocus albiflorus e suggeriva che dal suo bulbo interrato si sviluppassero fiori di colore bianco, ma in realtà accanto a esemplari tipici ne compaiono anche a fiori violetti. UTILIZZI L'utilizzo di questa pianta è simile, ma in forma minore, alla specie Crocus sativus (il Croco coltivato o vero Zafferano) per cui viene usato in cucina per i suoi aromi e coloranti e in medicina popolare per le sue proprietà curative. L'utilizzo principale di questo fiore, è comunque nell’ambito del giardinaggio: le prime notizie di una coltivazione di queste piante risalgono a oltre 400 anni fa Il bulbo è velenoso. AMBIENTI ACQUATICI E DI PRATERIA DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO Ai sensi della Direttiva Habitat (92/43/CEE), si definiscono habitat naturali quelle zone terrestri o acquatiche che si distinguono in base alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali. Tra tutti gli habitat considerati, alcuni sono habitat di interesse comunitario (indicati nell'allegato I della Direttiva), definiti come habitat naturali che nel territorio dell'Unione europea, alternativamente: rischiano di scomparire nella loro area di distribuzione naturale; hanno un'area di distribuzione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ridotta; costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una delle regioni biogeografiche alpina, atlantica, continentale, macaronesica e mediterranea. Questi habitat sono considerati prioritari poichè più di altri rischiano di scomparire; per questi l'Unione Europea dedica delle specifiche misure di tutela e conservazione. AMBIENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO Gli habitat acquatici e di prateria di interesse comunitario indicati nell’Allegato I della Direttiva Habitat, presenti all’interno dei Siti del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi sono numerosi. Di seguito l’elenco dei principali habitat riferiti al torrente e alle praterie/radure: ACQUE OLIGO-MESOTROFICHE CALCAREE CON VEGETAZIONE BENTONICA A CHARA: si tratta di laghetti e pozze con acque abbastanza ricche in basi disciolte (pH spesso tra 6 e 7) o con acque per lo più da blu a verdastre, molto limpide, povere di nutrienti, ricche in basi (pH spesso maggiore di 7.5). Il fondo di questi corpi d’acqua non inquinati è ricoperto di tappeti di alghe appartenenti ai generi Chara e Nitella). Si tratta per lo più situazioni puntiformi, o comunque poco estese, localizzate in corrispondenza di pozze d’acqua di poche decimetri di profondità a margine dell’alveo di corsi d’acqua oligotrofici, nelle parti più riparate e tranquille del corso d’acqua stesso. FORESTE A GALLERIA DI SALIX ALBA E POPULUS ALBA si tratta di foreste riparie del bacino del Mediterraneo e del Mar Nero, dominate da Salix alba, Salix fragilis o specie affini. Scarsamente presente sul territorio, causa la mancanza delle condizioni ecologiche necessarie, come la granulometria fine del substrato e un alveo abbastanza ampio, appare fortemente contratto e frammentato. AMBIENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO FIUMI CON VEGETAZIONE RIPARIA LEGNOSA A SALIX ELAEAGNOS: boschetti o boschi di varie specie di Salici e Ontani che si sviluppano su massi fluviali dei corsi d’acqua montani con un regime delle acque di tipo alpino, abbondante in estate. Si sviluppa al meglio in ambienti con alveo fluviale ciottoloso abbastanza ampio e bassa copertura boschiva delle zone di riva anche se nell’Appennino romagnolo è relativamente poco rappresentato. FORESTE ALLUVIONALI DI ALNUS GLUTINOSA E FRAXINUS EXCELSIOR: questo habitat prioritario comprende diverse tipologie di boschi ripariali che si formano su suoli generalmente ricchi di depositi alluvionali e periodicamente inondati dalle piene annuali, ma ben drenati ed aerati durante i periodi di magra. L’habitat è scarsamente diffuso e più frequente alle quote più basse ma ha una stazione molto interessante: quella dell'impluvio della Lama. FORMAZIONI A JUNIPERUS COMMUNIS SU LANDE O PRATI CALCICOLI: l'habitat origina dalla sospensione di pratiche agro-pastorali su aree un tempo utilizzate come colture, prati stabili e pascoli. Si tratta di uno stadio preforestale con formazioni a Juniperus communis. AMBIENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO FORMAZIONI ERBOSE SECCHE SEMINATURALI ANCHE CON PRESENZA DI CESPUGLI SU SUBSTRATO CALCAREO: Questo habitat prioritario individua le praterie calcaree aride o semiaride (Festuco-Brometea). comprende le praterie steppiche o subcontinentali e le praterie delle regioni più oceaniche e sub-mediterranee come gli Xerobrometi e le praterie secondarie (semi-naturali) con Bromus erectus (Mesobrometi); queste ultime si caratterizzano per la loro ricchezza in orchidee.