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MASSIMO INTROVIGNE
IL SIMBOLO
RITROVATO
Massoneria e società segrete:
la verità oltre i miti
PIEMME
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Direttore di redazione: PierLuigi Zoccatelli
I Edizione 2010
© 2010 - EDIZIONI PIEMME Spa
20145 Milano - Via Tiziano, 32
[email protected] - www.edizpiemme.it
Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)
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IL SIMBOLO PERDUTO:
UN LIBRO DOVE TUTTI I MASSONI
(MENO UNO) SONO BUONI
Uno spot per la massoneria
Robert Langdon, il professore di simbologia che novanta milioni di lettori del Codice da Vinci conoscono,
arriva al Campidoglio di Washington invitato a tenere un
discorso dal suo vecchio amico Peter Solomon, un massone d’alto bordo. Ma quando – all’inizio del romanzo
di Dan Brown The Lost Symbol (in italiano Il simbolo perduto: Brown 2009, che cito qui dall’edizione italiana) –
entra nell’edificio, Langdon scopre che in realtà l’invito
è falso, e fa una macabra scoperta: trova una mano tagliata, quella di Solomon, su cui sono incisi tatuaggi massonici. La mano punta verso un affresco del 1865 del pittore nato a Roma – ma di origini greche – Constantino
Brumidi (1805-1880), che ritrae l’apoteosi del primo presidente degli Stati Uniti, George Washington (17321799), raffigurato con al fianco le dee Vittoria e Libertà
e colto nell’atto di trasformarsi egli stesso in un dio.
Il cattivo che ha teso la trappola a Langdon – la cui
vera identità scopriremo soltanto a fine romanzo – si fa
chiamare Mal’akh, «Angelo», ha il corpo ricoperto di
tatuaggi come un’opera d’arte ed è alla ricerca di una
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«parola segreta» massonica, nascosta da qualche parte
a Washington, con mirabolanti poteri. Con l’aiuto della
bella sorella di Solomon, Katherine, che studia la miracolosa scienza della noetica, Langdon completa un
percorso a ostacoli tra i misteri del rito scozzese della
massoneria, agenti della CIA e sacerdoti anglicani massoni, sconfigge i cattivi e salva gli Stati Uniti da una
trama pericolosissima.
Un colpo al cerchio e uno alla botte: dopo essersela
presa con la Chiesa nel Codice da Vinci stavolta Brown
se la prende con la massoneria? Non è proprio così. Certo, Brown è sempre Brown, uno scrittore che nessuno ha
mai accusato di fare serie ricerche storiche prima di scrivere i suoi libri. Pertanto in tema di rito scozzese, piramidi, cerimonie massoniche, architetture di Washington
che celerebbero un po’ dovunque allusioni massoniche,
per non parlare delle strabilianti pretese New Age della
noetica, lo specialista trova senza difficoltà non poche
imprecisioni, che fanno il paio con quelle sugli Illuminati
in Angeli e Demoni (Brown 2000).
In effetti, il tema della massoneria e quello degli Illuminati sono – come vedremo – strettamente connessi.
Di qui la decisione di trattarne insieme, prendendo
spunto dai romanzi di Brown per fare il punto su queste due società iniziatiche di cui molto si parla, non
sempre però a proposito. Quanto al terzo fra i romanzi di Brown che hanno Robert Langdon come protagonista, Il codice da Vinci (Brown 2003), si tratta di un
libro che non si occupa solo di società segrete ma va al
cuore della storia del cristianesimo. Poiché tuttavia anche nel Codice una società segreta – e un collegamento
con gli altri due romanzi di Brown – ci sono, il lettore
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troverà in appendice un riassunto dei temi e delle critiche principali che si possono muovere al libro finora
più venduto dello scrittore americano, appunto Il codice
da Vinci, sotto forma di domande e risposte.
È necessaria, però, una precisazione. Mentre Il codice da Vinci è un libro anticattolico e anticristiano (chi
ne dubitasse salti alla fine di questo libro e si legga l’appendice), Il simbolo perduto è il contrario di un libro
anti-massonico. Certamente i massoni possono lamentare – e lo fanno – qualche imprecisione o esagerazione. Ma qui la massoneria – a differenza dell’Opus
Dei nel Codice da Vinci o della Chiesa nemica della
scienza nel romanzo Angeli e Demoni (molto più virulento, va precisato, del relativo film, che ha notevolmente attenuato i toni) – non è il villain, il cattivo.
Mentre sparare sulla Chiesa è considerato, negli ambienti che frequenta Brown, politicamente corretto, si
ha la sensazione che quando deve trattare della massoneria lo scrittore proceda con cautela e scriva dopo avere infilato la mano in un bel guanto di velluto. Brown,
così, scherza coi santi e lascia stare i fanti.
Certo, nel libro il cattivo è un massone. Ma è la classica eccezione che conferma la regola, e in effetti si è fatto
iniziare con un piano criminale già chiaro in testa, carpendo la buona fede degli ottimi «fratelli» del rito scozzese. Tranne uno – ma dove mancano le mele marce? –
tutti i massoni de Il simbolo perduto sono buoni, leali e
generosi. Robert Langdon ripete sulla massoneria quello che chi si avvicina alle logge sente dire dai massoni
stessi: il lettore saprà meglio cosa pensarne al termine
della prima parte di questo libro. «La massoneria», spiega Langdon, «non è una società segreta. È una società
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con dei segreti» (Brown 2009*, 44): non più della CocaCola che, dopo tutto, non rivela al primo venuto la formula della sua bevanda. La massoneria non è una religione. «Le religioni», insiste Langdon, «assicurano la
salvezza, credono in una determinata teologia e convertono i non credenti» (ibid.). Mentre la massoneria «non
promette salvezza, non ha una specifica teologia e non
cerca di convertire nessuno. Anzi, nelle logge massoniche è proibito discutere di religione» (ibid.).
Ma questo vuol dire – obietta a Langdon una studentessa – che la massoneria è ostile alla religione? Nemmeno per sogno, risponde il professore: «Al contrario.
Uno dei requisiti per esservi ammessi è la fede in
un’entità superiore. La differenza fra la spiritualità
massonica e la religione organizzata è che i massoni
non danno un nome o una definizione specifica a tale
entità superiore» (ibid., vv. 44-45). Così persone di diverse religioni possono ritrovarsi nella loggia, il che è
molto buono e molto bello: «In un’epoca in cui popoli di culture diverse arrivano a uccidersi per stabilire
qual è la definizione migliore di Dio, la tradizione di
tolleranza e di apertura mentale della massoneria mi
sembra assolutamente encomiabile» (ibid., 45).
Esamineremo punto per punto se questo spot pubblicitario per la massoneria sia credibile. Ma dobbiamo
anzitutto notare che si tratta, appunto, di uno spot. Ogni
tanto il sorriso del piazzista Langdon è perfino eccessivo,
e rischia di farlo scivolare nel ridicolo: «La massoneria
è sempre stata una delle organizzazioni più ingiusta* Tutte le citazioni dal volume Il simbolo perduto di Dan Brown sono tratte dall’edizione italiana Mondadori 2009, trad. a cura di A. Biavasco, V. Guani, N. Lamberti, A. Raffo e R. Scarabelli.
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mente diffamate e incomprese al mondo», declama. «Tutta la filosofia massonica si fonda sull’onestà e l’integrità.
I massoni sono tra gli uomini più degni di fiducia che
uno possa sperare d’incontrare». «Ho prove convincenti del contrario», gli replica una scettica direttrice
della CIA (ibid., 125).
E che cosa vuole il cattivo nel Simbolo perduto? Chi
non ha letto il romanzo stia tranquillo. Non stiamo per
rivelargli come va a finire. Tuttavia si capisce già abbastanza presto che dal momento che la massoneria è
un’organizzazione molto buona, e i cattivi di un romanzo di Brown per definizione sono molto cattivi – mostri
anche nell’apparenza fisica –, lo scopo del cattivone è
causare danni ai massoni. La modalità è molto semplice.
Il villain si è portato una piccola videocamera nella loggia
in cui è stato incautamente ammesso – non una loggia
massonica qualunque, ma la Potomac Lodge Numero 5
dove si danno convegno a Washington i massoni impegnati in politica – e ha filmato le cerimonie. Questi riti
presentano particolari macabri: promesse di farsi sventrare se si riveleranno i segreti massonici ed epiche bevute di vino da teschi umani. Le promesse sono vere, le
bevute false. Il teschio è un comune simbolo massonico
ma la scena della bevuta deriva dal testo anti-massonico di Jonathan Blanchard (1811-1892), il primo rettore
di un’università protestante conservatrice dell’Illinois, il
Wheaton College, che nel 1882 si presenta candidato alla
presidenza degli Stati Uniti per un Partito Anti-Massonico che attribuisce i mali del Paese alla massoneria. Blanchard è anche autore di exposé dove svela tutti i riti dei
massoni (cfr. Blanchard 1882): ma ogni tanto esagera, e
non tutti i suoi teschi meritano fede.
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Comunque sia, gli Stati Uniti nel Simbolo perduto sono in pericolo perché il cattivo Mal’akh farà vedere agli
americani i loro leader – senatori, deputati, ministri –
mentre partecipano a strane cerimonie che a prima vista potrebbero perfino ricordare i sacrifici umani, e il
medio elettore perderà definitivamente la fiducia nella
sua classe dirigente. Ma attenzione, l’elettore avrà torto
e sarà vittima di un equivoco. Il video è solo «un esempio di propaganda sleale in quanto ometteva tutti i nobili aspetti del rito per sottolineare solo quelli più sconcertanti» (Brown 2009, 516). In realtà, Langdon ce lo
assicura, «il rituale [è] innocuo e puramente simbolico»
(ibid.). Solo che la maggioranza degli americani non è
così aperta, tollerante e bene informata come il professore preferito dai lettori di Brown. Se il video fosse mostrato, «i teorici del complotto antimassonico se ne approfitterebbero come squali» (ibid.). «Nessuno capirebbe. Al
governo sarebbe scoppiato il finimondo. L’etere sarebbe stato invaso dagli strepiti dei gruppi antimassonici,
dei fondamentalisti e dei teorici del complotto, che
avrebbero sputato il loro odio e la loro paura, lanciando una nuova caccia alle streghe» (ibid., 519). «Questo
video creerà il caos» (ibid., 520). Gli Stati Uniti perderebbero il loro ruolo internazionale. La Russia e il mondo islamico non starebbero a guardare. Si comprende
come la CIA, e molti altri, diano man forte a Langdon
quando cerca di fermare Mal’akh e il suo video.
Messa così, la tesi è ancora più debole di altre di
Brown. Può trovarla credibile solo chi non sia mai entrato in una libreria protestante conservatrice o fondamentalista negli Stati Uniti, o non abbia passato qualche ora su siti Internet ostili alla massoneria. Chi lo fa, ci
trova facilmente descrizioni di rituali massonici a tinte
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ancora più fosche di quelle di Brown. Lo stesso libro di
Blanchard del 1882, di cui lo scrittore si è servito, non
si trova solo in polverose biblioteche, perché gruppi
protestanti anti-massonici continuano regolarmente a
ristamparlo. Né quello di Blanchard è l’unico exposé: ce
ne sono centinaia. I video dove si vedono cerimonie
massoniche – specie, appunto, quelle «sconcertanti» –
abbondano. Su Internet e altrove le liste di politici massoni, non solo americani, non sono troppo poche: sono
troppe, e se ne stanca anche il più curioso. Che l’America e il mondo sarebbero gettati nel caos dalla diffusione dell’ennesimo video che mostra le cerimonie massoniche è credibile più o meno quanto l’affermazione che
vivano oggi a Parigi discendenti carnali di Gesù Cristo
e di sua moglie, la Maddalena, che come è noto è la tesi
centrale del Codice da Vinci.
Washington è la capitale della massoneria?
Passando da Angeli e Demoni al Simbolo perduto su
un punto perfino Robert Langdon si è fatto più scettico (o forse Brown ha letto qualcuno dei suoi critici).
Nel nuovo romanzo Langdon esprime qualche dubbio
sul fatto che la pianta di Washington sia in effetti una
mappa massonica. Questa tesi, diffusa ma falsa, nasce
in parte dalla confusione con il fatto storico che vi è
davvero, negli Stati Uniti, una cittadina disegnata in
modo che la sua mappa rappresenti la squadra e il compasso massonici: Sandusky, nell’Ohio (Kurtz 1972). Per
Washington, la leggenda della «pianta massonica» è
stata invece persuasivamente smentita da anni. Pierre
Charles L’Enfant (1754-1852), che disegna il Plan of
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the City of Washington nel 1791-1792, non è massone,
e si conforma a indicazioni sui desideri del governo che
riceve non dal massone George Washington, ma dal
non massone Thomas Jefferson (1743-1826). Jefferson
è stato a lungo incluso negli elenchi dei presidenti degli
Stati Uniti che sono stati massoni finché nel 1960 lo storico William Ray Denslow (1916-1993) ha persuasivamente dimostrato che non ha mai fatto parte della massoneria, benché abbia partecipato a riunioni, cerimonie
e funerali massonici su invito di amici e alleati politici
che erano massoni (Denslow 1957-1961, II, 292-293).
Quanto a L’Enfant, per il suo piano per Washington
s’ispira principalmente a un progetto per la città di Versailles (Kite 1919). Come anche Langdon osserva nel
Simbolo perduto, con un po’ di fantasia si possono ottenere squadre, compassi e simboli di ogni genere dalle
mappe di qualunque grande città del mondo tracciando
linee che uniscono i loro «punti più significativi»: «Se
uno traccia abbastanza rette su una cartina, riesce a ricavarne tutte le figure che vuole» (Brown 2009, 40).
Questo non toglie che Langdon consideri erroneamente
L’Enfant massone, e che continui a trovare – se non nella
mappa – nei maggiori palazzi storici di Washington maggiori significati massonici di quanti in verità ve ne siano.
«Il simbolo della massoneria è su tutte le banconote
da un dollaro»: vero o falso?
Nel Simbolo perduto Langdon ripete l’affermazione
molto comune secondo cui sarebbe «massonico» il simbolo dell’occhio che sovrasta una piramide tronca raffi12
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gurato sul sigillo ufficiale (Great Seal) degli Stati Uniti.
Si tratta, in realtà, del retro del Great Seal, il cui fronte
mostra invece un’aquila con gli elementi della bandiera
americana. Entrambi i disegni, fronte e retro, sono tuttora riportati sulle banconote da un dollaro. Vero o
falso? Gli studiosi di simbologia massonica hanno da
tempo chiarito la questione, anche se intere biblioteche
continuano a speculare sul presunto «occhio di Horus»
che figurerebbe sul retro del Great Seal e sulle sue connessioni con i «riti egiziani» della massoneria. L’affermazione ripetuta da Langdon secondo cui l’occhio sopra la
piramide è un simbolo «massonico» è vera se significa
che la massoneria, non solo negli Stati Uniti, a partire dal
secolo XIX e ancora ai giorni nostri ha ampiamente usato questa immagine su documenti, oggetti e decorazioni
di loggia. Ma il problema è se sia venuto prima l’uovo o
la gallina: se i massoni abbiano utilizzato un simbolo
creato da altri, ovvero se tutti gli americani che hanno in
tasca una banconota da un dollaro si servano di un simbolo creato originariamente dai massoni. La stessa affermazione infatti è falsa se si vuole intendere che il sigillo
sia stato disegnato da massoni con l’intento di trasmettere un messaggio massonico, o di affermare solennemente il legame fra Stati Uniti e massoneria.
Anzitutto, le date non tornano: i «riti egiziani» della
massoneria, detti di Memphis e Misraïm, su cui brevemente torneremo nel prossimo capitolo, sono posteriori
al Great Seal, in quanto appaiono solo nel secolo XIX,
ancorché trovino dei precedenti nel XVIII, dove però
non si ritrovano simboli neppure remotamente somiglianti a quello americano. Inoltre, la storia dell’adozione del
Great Seal mostra chiaramente l’origine non massonica
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del simbolo incriminato. Il primo comitato incaricato di
dare un sigillo ufficiale agli Stati Uniti, nominato il 4
luglio 1776, comprende il massone Benjamin Franklin
(1706-1790) e i non massoni Jefferson e John Quincy
Adams (1767-1848, futuro sesto presidente degli Stati
Uniti). Essi comunicano alcune loro idee a un artista di
origine svizzera, Pierre Eugène du Simitière (1736-1784).
Il modello di du Simitière, che non risulta affiliato alla
massoneria, comprende quello che era stato incaricato di
riprodurre come un «occhio della Provvidenza» (United
States Department of State Bureau of Public Affairs
1996, 2), ma nessuna piramide. Du Simitière inserisce nel
suo disegno un occhio posto all’interno di un triangolo
equilatero, un simbolo della Trinità utilizzato diverse volte in chiese cattoliche europee di epoca barocca, ma che
si ritrova talora anche precedentemente.
Il 20 agosto 1776 il bozzetto di du Simitière è respinto, e si deve attendere il 1780 per la nomina di un
secondo comitato, il cui progetto – che è sì disegnato
da uno scrittore e artista che è probabilmente massone, Francis Hopkinson (1737-1791), ma non comprende né l’occhio né la piramide – è pure rifiutato dal
Congresso. Un terzo comitato, nominato nel 1782, incarica l’avvocato William Barton (1748-1831), probabilmente non massone (le liste dei massoni che hanno
partecipato alla Rivoluzione americana comprendono
un William Barton che ha però una data di nascita diversa), di preparare un nuovo disegno (Patterson e
Dougall 1976). È Barton a introdurre la piramide tronca, ricavandola dal libro Pyramidographia di John
Greaves (1602-1652), pubblicato nel 1646 a Londra, e
più volte ristampato in seguito, da un professore di
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Oxford che era stato in Egitto e aveva fornito una delle
prime descrizioni accurate delle piramidi e dello stato
in cui si trovavano (Greaves 1746). Il disegno non soddisfa ancora i parlamentari, ma è approvato il 13 giugno 1782, dopo piccole modifiche introdotte dal Segretario del Congresso Charles Thomson (1729-1824), un
altro non massone.
Thomson spiega così il retro del sigillo nel discorso con
cui ne propone l’approvazione ai membri del Congresso: la piramide – che peraltro corrisponde a un diffuso
gusto dell’epoca per i riferimenti all’Egitto e all’antichità in genere – «significa forza e durata nel tempo; l’occhio sopra a questa e il motto alludono ai molti evidenti interventi della Provvidenza in favore della causa
americana» (United States Department of State Bureau
of Public Affairs 1996, 6). I tredici gradini della piramide alludono anche ai tredici Stati originari degli Stati
Uniti: ed essa è tronca, non ancora completa, perché
altri Stati si aggiungeranno. «Il motto» sopra all’occhio
della Provvidenza è Annuit coeptis ed è stato introdotto dallo stesso Thomson, insieme all’altro sotto la piramide, Novus ordo seclorum, che non si riferisce a un
qualche «nuovo ordine mondiale» ma, secondo lo stesso discorso, alla data dell’indipendenza degli Stati Uniti, 1796, e «significa l’inizio di una nuova epoca per
l’America, che comincia da quella data» (ibid.).
Si può concludere che, se si ritrovano simboli simili
al retro del Great Seal nella letteratura massonica dopo
il 1782, ci si trova di fronte a massoni che si sono ispirati al sigillo e non viceversa. L’occhio all’interno di un
triangolo equilatero è certamente usato dalla massoneria a partire dall’ultimo decennio del secolo XVIII: del
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resto, molti simboli massonici derivano dalle sue origini corporative e sono originariamente simboli cristiani.
Ma, nella sua accezione massonica, il simbolo non fa
riferimento alla Provvidenza, e allude piuttosto a una
concezione deista di un Dio che vede quanto accade nel
mondo – o almeno si colloca al suo centro – ma si astiene dall’intervenire; mentre, mostrando l’occhio all’interno di un triangolo da cui emanano raggi che si dirigono verso una piramide in costruzione si trasmette
l’idea di una Provvidenza attiva (Morris 1995). Come
tale, l’occhio nel triangolo con i raggi è un simbolo cattolico comunissimo, specie nell’Ottocento: solo a Torino, lo ritroviamo, per esempio, sulla facciata della
chiesa dell’Opera Pia Convalescenziario alla Crocetta,
sul pulpito del santuario della Madonna Consolata, e
soprattutto – con le eloquenti parole «Divina Provvidenza» – sulla facciata della Piccola Casa della Divina Provvidenza di san Giuseppe Benedetto Cottolengo
(1786-1842), notissima a tutti i torinesi che certo non
confondono il loro «Cottolengo» (così è chiamata familiarmente la Piccola Casa) con una loggia massonica di
qualche rito più o meno «egiziano». L’occhio nel triangolo con i raggi non è dunque un simbolo massonico,
ma cristiano; posto sopra la piramide come appare nel
Great Seal è un simbolo tipicamente americano.
Sono certo che molti lettori hanno sentito dire talmente tante volte che l’occhio sopra la piramide del
dollaro è un simbolo massonico che non saranno convinti dagli argomenti di cui sopra. Considerando quante cose simbolizza il dollaro si può dire in effetti che la
storia, se non è vera, è bene inventata. O che le leggende molte volte sono più significative della realtà. È an16
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che vero che qualche massone attribuisce in effetti alla
massoneria l’onore di avere disegnato il simbolo degli
Stati Uniti. Ma la sua «testimonianza» non prova nulla:
che alcuni massoni rivendichino come «cosa loro» il
simbolo che compare sul dollaro non vuol dire che questa rivendicazione sia vera.
Gli Stati Uniti:
una repubblica fondata sulla massoneria?
Come ha spiegato lo stesso Brown (De Martino 2009),
una tesi ideologica interessante nel Simbolo perduto c’è.
E merita di essere subito esaminata. Avrebbe fatto più
rumore se Brown ce l’avesse fatta, come voleva, a finire
il libro durante la presidenza di George W. Bush. La
figura del presidente convertito al protestantesimo born
again e conservatore, infatti, conferiva vivacità a un dibattito storiografico che dura da almeno cento anni e che
contrappone due narrative a proposito delle origini degli
Stati Uniti. L’esperimento americano delle origini è stato
descritto in due modi diversi. Dal momento che la posta
in gioco del dibattito storiografico non è soltanto accademica, ma è culturale e politica, la discussione è particolarmente accesa (Meacham 2006).
Secondo una prima narrativa, che corrisponde sostanzialmente a quella proposta nel secolo XIX dal magistrato e studioso di scienza politica francese Alexis de
Tocqueville (1805-1859: de Tocqueville 1835-1840), il
modello americano si basa su valori condivisi il cui fondamento non è cercato nella teologia di una specifica
denominazione cristiana ma nei principi che si ritiene
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le diverse comunità cristiane abbiano in comune. Alle
origini degli Stati Uniti ci sono infatti comunità minoritarie (protestanti e talora anche cattoliche) che nei
Paesi d’origine – principalmente il Regno Unito – sono
discriminate per la loro fede, e danno quindi un grande
valore alla libertà religiosa. Pertanto, mettono al centro
del sistema giuridico della nuova nazione la separazione dello Stato da una Chiesa ufficiale dominante. Tuttavia la separazione dello Stato dalla Chiesa nella Rivoluzione americana non assume lo stesso significato
rispetto alla Rivoluzione francese. È la lezione principale che ci ha trasmesso un grande storico degli Stati
Uniti, Russell Kirk (1918-1994: cfr. Kirk 1996). Secondo la formula sintetica della sociologa francese Danièle
Hervieu-Léger, l’espressione usata, «separazione», può
essere comune «ma è la nozione stessa di separazione
che riveste, al di là dell’Atlantico, un significato molto
diverso da quello che gli è proprio in Francia. La separazione alla francese fu elaborata per imporre alla Chiesa Cattolica di limitarsi a perseguire obiettivi strettamente spirituali, se proprio non la si poteva costringere
a limitare la sua attività alle sacrestie. È stata pensata
anzitutto per proteggere lo Stato contro l’espansione
possibile della Chiesa. Negli Stati Uniti, invece, è la libertà delle comunità religiose che il principio di separazione intende garantire, contro qualunque invadenza
dello Stato» (Hervieu-Léger 2001, 31). In Francia la separazione protegge lo Stato dalla religione, negli Stati
Uniti protegge la religione dallo Stato. Di qui un plurisecolare favor per la religione, che contrasta con l’ostilità francese e che ha garantito alle religioni quel particolare sviluppo che hanno avuto negli Stati Uniti.
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La seconda narrativa si muove in direzione opposta.
Sottolinea le affinità tra Rivoluzione francese e Rivoluzione americana, insistendo sul fatto che molti dei protagonisti principali delle due rivoluzioni fanno parte
della stessa istituzione, la massoneria. I valori evocati
dagli atti di fondazione della nazione americana non
sarebbero pertanto cristiani o teisti – cioè riferiti a una
nozione di Dio comune a diverse denominazioni o
Chiese –, ma piuttosto deisti, cioè ispirati a quella nozione di Dio vaga e indefinita, ben lontana dall’immagine cristiana di un Dio personale e provvidente, che
caratterizza l’ideologia delle logge massoniche. La «religione» degli Stati Uniti nascenti altro non sarebbe che
il patrimonio filosofico della massoneria. Questa seconda narrativa delle origini americane non è recente e ha
– se si vogliono usare queste categorie – una versione
«di destra» e una «di sinistra».
La prima corrisponde a un certo anti-americanismo
che denuncia gli Stati Uniti come un Paese intrinsecamente «anti-tradizionale», il quale non presenterebbe
nessuna continuità rispetto all’Europa e alle sue radici
cristiane, tanto che le stesse nozioni di un Occidente o
di una Magna Europa che comprenderebbero insieme
l’Europa e gli Stati Uniti sarebbero propagandistiche e
spurie. L’Europa – almeno l’Europa tradizionale, radicata nel cristianesimo – e gli Stati Uniti non starebbero
dalla stessa parte. Da una parte ci sarebbero i tradizionali valori religiosi – in crisi in Europa (nonché, si aggiunge spesso, abbandonati dal mondo ebraico) ma
ancora vivi nel mondo islamico e in certi ambienti dell’Estremo Oriente –, dall’altra il deismo massonico.
Questa negazione dell’Occidente di solito si accom1. IL SIMBOLO PERDUTO: UN LIBRO...
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pagna oggi ad atteggiamenti politici «islamofili», che
detestano Israele e gli Stati Uniti come presunte manifestazioni quintessenziali dell’Illuminismo massonico, e
vedono nei Paesi islamici gli ultimi baluardi della Tradizione con la T maiuscola.
La versione «di sinistra» della seconda narrativa sulle
origini americane propone la stessa lettura della storia,
ma ne rovescia completamente la valutazione. Qui le
due conclusioni secondo cui la Rivoluzione americana
è semplicemente una variante «transatlantica» della Rivoluzione francese, e la sua ideologia è il deismo massonico, non sono considerate elementi negativi ma estremamente positivi. Questo ethos delle origini degli Stati
Uniti – deista, massonico e laicista – meriterebbe ogni
apprezzamento. Ma l’apprezzamento non si estende agli
Stati Uniti di oggi, dove una secolare invadenza delle
Chiese (che, si aggiunge oggi, avrebbe raggiunto la sua
massima intensità con la presidenza di George W. Bush,
il quale l’avrebbe sistematicamente favorita) avrebbe
rovesciato l’ethos nazionale, riscritto la storia e falsificato le vere intenzioni dei Padri fondatori, creando il
mito della Christian nation, la «nazione cristiana».
Brown nel Simbolo perduto scende in campo a favore della seconda narrativa delle origini americane, beninteso nella versione «di sinistra», «svelando» che i
Padri fondatori non erano, come crede ingenuamente
la maggioranza degli americani di oggi, cristiani ma al
contrario massoni imbevuti d’idee neo-pagane e gnostiche per cui il vero dio è l’uomo e il vero tempio è il suo
corpo. Se s’interessavano alla Bibbia – come Langdon
spiega chiaramente nel Simbolo perduto – è perché, a
differenza delle Chiese e comunità cristiane, la interpre20
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tavano come un testo che trasmette la sapienza pagana
degli antichi appena velata da simboli ebraici. Il segreto della Bibbia, noto ai Padri fondatori degli Stati Uniti,
ai massoni e anche al moderno New Age – che anzi ne
dà nel Simbolo perduto una versione «scientifica» con
la scienza noetica di Katherine Solomon – è che «noi
siamo creatori, e tuttavia recitiamo ingenuamente il
ruolo dei “creati”» (Brown 2009, 595). Noi siamo Dio,
e «il secondo avvento è l’avvento dell’uomo» (ibid., 593).
Questo nuovo segreto gnostico – tutto sommato né
tanto segreto né tanto nuovo – farà cambiare il mondo
grazie al New Age, alla noetica, ai nuovi iniziati alla
Langdon (e alla Brown) ma era già quello che i Padri
fondatori avevano nascosto secondo Il simbolo perduto
nel cuore delle origini degli Stati Uniti. «Per i massoni
padri fondatori dell’America la Parola era stata la Bibbia. Eppure pochissime persone nella storia ne hanno
compreso il vero messaggio» (ibid., 578). I cattivi «fondamentalisti» – in realtà, tutti i cristiani nel senso
comune del termine – considerano il cristianesimo e gli
«antichi misteri» pagani come opposti. Ma sbagliano, e
i fondatori degli Stati Uniti lo sapevano: «Gli antichi
misteri e la Bibbia sono la stessa cosa» (ibid., 583). Semplicemente, «la Bibbia non parla chiaramente per la
stessa ragione per cui le scuole degli antichi misteri venivano tenute nascoste» (ibid.). Ma alle origini degli Stati
Uniti c’erano massoni, uomini che conoscevano il segreto secondo cui «l’unica differenza fra noi e Dio è che
noi abbiamo dimenticato di essere divini» (ibid., 584).
Il rischio è che Brown stavolta seduca anche chi ama
la versione «di destra» della seconda narrativa delle
origini americane. Non sarebbe la prima volta. I libri
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un po’ provocatori della storica Catherine Albanese
(1990), secondo cui la vera fede nazionale americana è
una «religione della natura», condizionata dalla geografia e dai grandi spazi, e del critico letterario Harold
Bloom (1992), il quale sosteneva che le denominazioni più diffuse negli Stati Uniti, comprese quelle cristiane, hanno tutte al loro interno elementi esoterici e
gnostici, erano entrambi intesi a esaltare la specificità
statunitense. Ma furono facilmente letti «al contrario»
da un anti-americanismo «di destra», fin troppo lieto
di trovarvi una conferma della tesi secondo cui l’ethos
nazionale degli Stati Uniti non è cristiano ma pagano
o gnostico.
Con buona pace dei fan di questi testi, la seconda
narrativa delle origini americane, in qualunque versione, non è storicamente sostenibile. Si fonda su una lettura schematica dell’Illuminismo, della massoneria e
dello stesso deismo del Settecento, unificati in un grande modello «transatlantico» che ignora le profonde differenze anzitutto fra Gran Bretagna ed Europa continentale, quindi fra Stati Uniti ed Europa in genere.
L’Illuminismo che si sviluppa in Gran Bretagna non è
uguale all’Illuminismo dell’Europa continentale. È la
tesi – la cui eco spesso risuona nei discorsi e documenti di Papa Benedetto XVI (cfr. Introvigne e Ferraresi
2009) – sviluppata in particolare dalla storica statunitense Gertrude Himmelfarb, tra l’altro rispettivamente moglie e madre di due esponenti importanti del movimento neo-conservatore americano, Irving Kristol
(1920-2009) e William Kristol (Himmelfarb 2004). La
massoneria francese, spagnola o italiana – impegnata
fin dalle sue origini in un duro scontro con la Chiesa
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Cattolica – non è identica nel Settecento alla massoneria britannica e tanto meno a quella degli Stati Uniti.
Certamente, come vedremo nel capitolo seguente di questo libro, il metodo massonico in quanto tale a lungo
andare corrode le pretese di verità di ogni singola religione e genera deismo, così che il giudizio della Chiesa
Cattolica è negativo rispetto a qualunque forma di massoneria, comprese quelle che si sviluppano in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Ma questo non è necessariamente chiaro agli albori settecenteschi in un Paese
come gli Stati Uniti, dove la massoneria in molti Stati
ammette i soli cristiani e richiede un’esplicita professione di fede nel Dio della Bibbia.
Con l’eccezione di alcuni singoli personaggi, che non
a caso erano stati in Europa e avevano frequentato la
massoneria francese, dall’affiliazione massonica di molti
Padri fondatori della nazione americana non si può dunque immediatamente dedurre che fossero ostili alla religione o anticristiani. Naturalmente, non erano neppure
tutti buoni cristiani, né nella vita privata né nell’ortodossia delle loro idee religiose, come vorrebbe una vulgata
contemporanea diffusa nel mondo protestante conservatore americano, che reagisce giustamente alla «seconda
narrativa» ma esagera e va al di là di quanto può essere
storicamente provato. Piuttosto, professavano una varietà di accostamenti alla religione e inseguivano una «lingua comune» tra le varie denominazioni protestanti – ancorché fra gli stessi Padri fondatori ci fossero anche
alcuni cattolici, che non erano affatto massoni, il più illustre e devoto dei quali, Charles Carroll (1737-1832), è
curiosamente presentato come massone nel film del 2004
della Walt Disney Il mistero dei templari, che ha come
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sfondo le stesse vicende storiche del romanzo di Brown,
ma almeno si presenta come pura opera di fantasia e non
intende trasmettere tesi ideologiche.
Lo stesso deismo che influenza certamente alcuni
Padri fondatori come Washington, Jefferson e John
Adams (1735-1826, secondo presidente americano e
padre del sesto presidente, il già citato John Quincy
Adams) non è – come ha mostrato da ultimo lo storico delle religioni David L. Holmes (2006) – identico al
deismo francese, né a quello del loro compatriota Thomas Paine (1737-1809), che cerca d’importare le idee
francesi negli Stati Uniti. È piuttosto un’ostilità alla
Chiesa episcopaliana, che svolge nella Virginia da dove
provengono un ruolo di Chiesa di Stato che ricorda
loro la persecuzione delle minoranze in Inghilterra:
un’ostilità che si manifesta nel sostegno a idee eterodosse alla moda, tra cui la negazione della Trinità e della
verginità di Maria. Ma questa eterodossia non implica
necessariamente una fuoriuscita dal cristianesimo, e
tanto meno dalla religione in genere.
Del resto, questi cosiddetti deisti americani sulla
questione della religione devono interagire, al momento della preparazione delle carte fondamentali della nazione americana, con cristiani ortodossi come Samuel
Adams (1722-1803), il cui contributo ai documenti di
fondazione è decisivo, John Jay (1745-1829) e Patrick
Henry (1736-1799). Nella loro grande maggioranza i
fondatori della nazione americana vogliono dunque
dare vita a un esperimento dove la separazione dello
Stato da ogni singola Chiesa e dalla sua ortodossia non
sia però separazione dello Stato da una costellazione di
valori morali, il cui fondamento religioso – pure diver24
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samente costruito da ciascuno dei Padri fondatori – è
esplicitamente riconosciuto (Holmes 2006).
Naturalmente, questo esperimento non è privo di
un rovescio di medaglia. L’enfasi sulla libertà di religione – che ha radici storiche ben precise – diventa facilmente enfasi sulle scelte individuali, con conseguente
rischio d’individualismo e di «privatizzazione» della
religione. Ne è testimone l’estrema frammentazione
del protestantesimo statunitense in centinaia, poi migliaia di denominazioni diverse. L’individualismo domina del resto l’intero ethos americano: la sua concezione della democrazia, della cultura, della società, della
religione, fin dal mito dell’uomo della Frontiera che
lotta da solo contro tutti e da solo si costruisce il suo
destino. Questo ha portato nella storia della nazione
americana vantaggi nella ferma resistenza a ogni seduzione e ideologia collettivista (il comunismo, per esempio, non ha mai messo vere radici negli Stati Uniti, se
non in qualche dipartimento universitario). Ma ha portato anche evidenti svantaggi. Non si tratta dunque di
beatificare l’ethos americano. Ma sostenere, come fa
Il simbolo perduto, che si tratti di un lieve velo di zucchero pseudo-cristiano spalmato a uso degli ingenui su
un culto dell’uomo pagano è una falsificazione grossolana e pseudo-storica.
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